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LA CO-PRODUZIONE DI VALORE ECONOMICO E SOCIALE IN AGRICOLTURA SOCIALE: IL CASO DI ORTI E.T.I.C.I.?

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Produzioni Alimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Curriculum

LA CO-PRODUZIONE DI VALORE ECONOMICO E

SOCIALE IN AGRICOLTURA SOCIALE: IL CASO DI

Candidato:

Salvatore GRIFFO

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UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI AGRARIA

Corso di Laurea Magistrale

Produzioni Alimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Curriculum Agricoltura Biologica e Multifunzionale

Tesi di Laurea Magistrale

PRODUZIONE DI VALORE ECONOMICO E

SOCIALE IN AGRICOLTURA SOCIALE: IL CASO DI

“ORTI E.T.I.C.I.”

Candidato:

Salvatore GRIFFO Dr. Gianluca BRUNORI

Dr. Francesco DI IACOVO

Dott.ssa Alessandr

Anno Accademico 2013/2014

Produzioni Alimentari e Gestione degli Agroecosistemi

Agricoltura Biologica e Multifunzionale

PRODUZIONE DI VALORE ECONOMICO E

SOCIALE IN AGRICOLTURA SOCIALE: IL CASO DI

Relatori:

Dr. Gianluca BRUNORI

Francesco DI IACOVO

Correlatore:

Dott.ssa Alessandra FUNGHI

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Sommario

Introduzione ... 4

Metodologia di lavoro ... 7

Capitolo 1. Concetto di agricoltura sociale ... 9

Il concetto di multifunzionalità e di diversificazione dell’agricoltura ... 9

Il concetto di Agricoltura Sociale ... 17

Capitolo 2. Gli strumenti terapeutici dell’agricoltura sociale... 29

La Pet Therapy ... 30

La terapia orticolturale ... 33

Vendita e valorizzazione dei prodotti ... 38

Capitolo 3. Le implicazioni economiche istituzionali in agricoltura sociale ... 39

Dalle politiche europee ai PSR regionali... 39

La nuova PAC 2014 – 2020 ... 44

Gli attori che concretizzano l’AS ... 50

Il concetto di co-produzione ... 52

Capitolo 4. Il progetto ““Orti E.T.I.C.I.”” ... 55

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Gli attori ... 61

Gli obiettivi e le modalità di applicazione ... 65

Il processo di inserimento, monitoraggio e valutazione ... 69

Capitolo 5. La co-produzione del valore economico e sociale del progetto “Orti E.T.I.C.I” ... 73

Il Project Work ... 73

Valutazione degli esiti economici ... 80

Valutazione degli esiti sociali ... 88

Valutazioni complessive ... 98

Il valore economico-sociale nei prodotti ... 100

Conclusioni ... 106

Bibliografia ... 107

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Introduzione

Oggetto del presente elaborato è quello di effettuare un’analisi sull’agricoltura sociale e i suoi meccanismi al fine di valutare i suoi effetti sia nel contesto urbano sia in quello rurale.

L’analisi ha come base di partenza il concetto di multifunzionalità delle aziende agricole. Multifunzionalità infatti, vuol dire possibilità e capacità di produrre sia beni e servizi primari, relativamente al tipo di attività svolta in ogni azienda agricola, ma anche beni e servizi secondari. Un’azienda multifunzionale è una realtà in grado di creare un forte connubio fra beni e servizi primari e secondari e, attraverso questa capacità, svolgere funzioni alimentari, ambientali, rurali e sociali, incrementando il proprio valore economico.

Nell’elaborato si potrà constatare che il concetto di “Agricoltura Sociale” si basa sulla multifunzionalità aziendale in quanto è dai beni e dai servizi prodotti che si ricavano la attività idonee per l’espletarsi dell’agricoltura sociale.

L’agricoltura sociale è definita come quella attività che impiega le risorse dell’agricoltura e della zootecnica, la presenza di piccoli gruppi, familiari e non, che operano nelle aziende agricole, per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa di ricreazione, di servizi utili per la vita quotidiana e di educazione. Questi aspetti si integrano con l’agricoltura attraverso pratiche utilizzate nella terapia e nella riabilitazione dei diversamente abili, mirando all’inserimento lavorativo, a stimolare l’indipendenza economica dell’individuo e l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati e, nello stesso tempo, offrendo servizi educativi e culturali di supporto alle famiglie e alle istituzioni didattiche.

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Il vero valore aggiunto di questo settore è rappresentato dalla capacità di avere delle proprietà terapeutiche con la conseguente nascita del concetto di terapia orticolturale. Il secondo capitolo dell’elaborato, infatti mira, attraverso una ricerca bibliografica, a stabilire come nel tempo questo concetto si sia evoluto e come viene considerato oggigiorno. Dalle analisi effettuate nel tempo si sono scoperti numerosi vantaggi di natura fondamentalmente riabilitativa. Sicuramente un aspetto da non sottovalutare, e che può avere un impatto socio-economico positivo, è la possibilità di ridurre la terapia farmacologica di un paziente in seguito all’incremento dell’attività lavorativa nell’ambito agricolo. Infine, il potenziale dell’agricoltura sociale si ritrova anche nel contesto urbano dove fanno da padrone sia la commercializzazione dei prodotti della terra sia la comunicazione che, inevitabilmente, deve mettere in relazione tutti gli attori coinvolti con il mondo dei consumatori.

A testimonianza della grande importanza che ha assunto l’agricoltura sociale, sono stati messi in evidenza gli interventi a livello europeo volti a sostenere, soprattutto economicamente, tutte gli attori coinvolti nelle attività agricole e sociali. In particolar modo è stato analizzato il quadro politico che coinvolge tutti gli stati membri fino alle singole regioni che, attraverso i Piani di Sviluppo Regionali, si impegnano a portare avanti ed incrementare il valore dell’agricoltura sociale e il suo legame con il territorio. In chiusura del terzo capitolo dunque, emergono aspetti di co-produzione, sussidiarietà e agricoltura sociale innovativa e si analizzano le eventuali prospettive innovative per i prodotti agro-sociali in grado di garantire una sostenibilità economica, elemento base dell’innovazione.

Gli ultimi due capitali dell’elaborato focalizzano l’attenzione sul caso di studio della tesi nonché il fulcro della sperimentazione effettuata: “Orti E.T.I.C.I.”, un progetto

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che nasce dalla collaborazione tra diversi soggetti, pubblici e privati, quali la Cooperativa Sociale di tipo B Ponteverde, l'azienda agricola BioColombini, il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro-Ambientali "Enrico Avanzi" di Pisa e il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell'Università di Pisa. Attraverso i metodi di analisi successivamente descritti, sono stati analizzati i dati economici relativi allo svolgimento del progetto, i relativi punti di forza e di debolezza e le influenze derivanti dai vari interlocutori coinvolti.

Scopo ultimo della tesi, in funzione dei dati raccolti, è quello di capire la sostenibilità del progetto e cercare di quantificare il valore sociale presente all’interno dei prodotti finali ottenuti. Importante è precisare che, se da un lato questa analisi è stata ostacolata dalla impossibilità di reperire tutti i dati necessari, dall’altro ha permesso di formulare una base di partenza da offrire a chi, ogni giorno, cerca sentieri alternativi per la crescita territoriale e a chi vede nella quantificazione del valore sociale ottenuto in ogni prodotto una leva efficace per la sensibilizzazione del consumatore finale.

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Metodologia di lavoro

Il lavoro di tesi è stato realizzato attraverso materiale bibliografico per tutto ciò che è inerente all’agricoltura sociale, in particolare ai soggetti coinvolti e alle implicazioni economico-istituzionali.

Per la realizzazione della parte sperimentale è stato necessario integrare le fonti bibliografiche con i dati reperiti attraverso interviste effettuate a esperti del settore, relative agli impatti economici e sociali dell’agricoltura sociale.

Il caso di studio “Orti E.T.I.C.I.” ha permesso di focalizzare l’attenzione su aspetti concreti e reali attraverso la formulazione delle seguenti domande:

• Il progetto genera valore economisociale attraverso i principi di co-produzione?

• Quali sono gli attori coinvolti nel progetto e che ruolo hanno all’interno del progetto?

• Quale ruolo svolgono le politiche pubbliche? • Chi sono i destinatari del progetto?

• Quali sono gli esiti economico-sociali del progetto?

• Il progetto è in grado di autosostenersi secondo i principi dell’agricoltura sociale innovativa?

• Quali sono gli impatti sociali sugli utenti, sui consumatori e sulle politiche pubbliche?

• Il progetto “Orti E.T.I.C.I.” è ha un’efficacia maggiore rispetto ad altri progetti?

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• È possibile quantificare il valore economico sociale presente in un chilogrammo di prodotto?

Per rispondere a queste domande è stato intrapreso il processo logico di seguito esposto.

Innanzitutto è stata definita tramite fonti bibliografiche la struttura su cui si regge il progetto “Orti E.T.I.C.I.” con tutti gli attori e il funzionamento generale.

In secondo luogo, sono stati analizzati i dati economici disponibili al fine di individuare il grado di sostenibilità e gli impatti economici dell’agricoltura sociale. In particolare, sono stati analizzati i conti economici del triennio 2011-2013 per quantificare, tramite il confronto tra costi e ricavi, i risultati economici finali.

Successivamente, per poter individuare gli esiti sociali, sono state analizzate le informazioni reperite dagli operatori sociali, sia in termini di valutazione sui singoli utenti sia di interviste fatte ai consumatori finali, e dai soggetti pubblici, in particolar modo dalla Società della Salute.

Infine, per la valutazione dell’efficacia del progetto, si è partiti con l’idea di elaborare un’analisi multicriteri al fine di evidenziare tutti i dati raccolti in termini numerici, normalizzarli per renderli comparabili e, sulla base dei risultati ottenuti, cercare di paragonare l’efficacia del progetto “Orti E.T.I.C.I.” rispetto ad altri progetti di inclusione sociale. La mancanza di dati significativi non ha permesso di proseguire per questa strada. Al fine di sopperire alle informazioni mancanti, sono state fatte delle interviste ai responsabili dei servizi sociali che hanno contribuito al raggiungimento dell’obiettivo finale della tesi, ovvero valutare la co-produzione di valore sociale ed economico del progetto “Orti E.T.I.C.I.”.

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Capitolo 1. Concetto di agricoltura sociale

Il concetto di multifunzionalità e di diversificazione dell’agricoltura

Il termine multifunzionalità dell’agricoltura fa riferimento alle numerose funzioni che il settore agricolo può svolgere affiancate a quella “tradizionale” di produzione di beni realizzati per il mercato (principalmente beni alimentari ma anche altri prodotti). Queste altre funzioni, come si vedrà in seguito, coinvolgono diversi ambiti che vanno da quelli paesaggistico-ambientali fino a quelli sociali. “L’agricoltura, infatti, intesa nella sua valenza multifunzionale, si concretizza in vantaggi occupazionali che consentono di mantenere la presenza della popolazione nelle aree rurali. L’esaltazione del concetto di multifunzionalità rende l`agricoltura capace sia di favorire la crescita di tutte le attività definite minori, quali l’artigianato, gli itinerari turistico-enogastronomici, l’agriturismo e le fattorie didattiche, sia di diversificarsi con attività connesse, quali ristorazione, degustazioni di prodotti tipici di provenienza aziendale, ospitalità, organizzazione di eventi culturali, didattici, ricreativi e sociali, sia infine di interagire con gli altri settori della produzione, rappresentando il motore per lo sviluppo di queste attività nell’ottica di una politica di sviluppo non più settoriale bensì territoriale” (Lanfranchi, pag. 2, 2002).

“La multifunzionalità comincia ad affermarsi nell’ambito delle politiche comunitarie intorno alla fine degli anni ‘80, quando, cioè, da un lato si evidenzia l’insostenibilità finanziaria di una politica agricola finalizzata essenzialmente all’aumento delle produzioni e dall’altro si diffonde nella società la consapevolezza di un ruolo delle attività agricole che va ben al di là del garantire la sola autosufficienza alimentare. Il

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concetto di multifunzionalità esprime effettivamente il passaggio da una visione essenzialmente produttiva dell’agricoltura a una visione più ampia, che associa al settore agricolo funzioni ambientali, sociali e culturali, oltre che economiche. In questa prospettiva, l’agricoltura fornisce contemporaneamente commodities e non

commodities, legate, quest’ultime, allo sviluppo economico e sociale, alla cultura, al

mantenimento del paesaggio e dell’ambiente, alla qualità alimentare e ai servizi alla persona di tipo educativo, terapeutico e ricreativo” (Casini et al., intro. pag.1, 2009). Il concetto di multifunzionalità assume un significato importante non solo a livello europeo ma soprattutto a livello mondiale; importanza tale da subire diverse interpretazioni da parte delle maggiori organizzazioni mondiali (OCSE, FAO, WTO). La tabella 1 riassume brevemente quali sono le linee guida che definiscono i principi di multifunzionalità intrapresi dalle suddette organizzazioni mondiali.

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La definizione dell’OCSE ovvero l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, è senz’altro una delle più accreditate ed afferma che: “oltre all’offerta di

cibo e fibre, l’attività agricola può anche modificare il paesaggio, provvedere alla gestione sostenibile dell’ambiente attraverso la conservazione del territorio, la gestione sostenibile delle risorse naturali, la preservazione della biodiversità e il mantenimento della vitalità socio-economica delle aree rurali” (OECD, 2001).

Il concetto di multifunzionalità, secondo le normative europee, racchiude tre principali funzioni:

funzioni economiche, erogazione di beni e quindi di reddito;

funzioni ambientali, ovvero salvaguardia ambientale con la riduzione delle

dinamiche che impattano negativamente sul verde urbano e rurale, valorizzazione del paesaggio e delle aree rurali;

funzioni sociali, come sistema vantaggioso di mantenimento delle tradizioni e dei

tessuti socioculturali rurali, per l’erogazione di servizi alla comunità di tipo sia terapeutico che didattico ed infine come sicurezza degli alimenti (Casini et al., 2009).

Il punto cardine e anche il più complesso, è rappresentato interamente dalle difficoltà, instauratesi negli anni, di stabilire con esattezza quale sia il modo migliore per valutare il confine che esiste tra commodity output (CO) e non commodity output

(NCO). Infatti, l’efficienza degli strumenti utilizzati per la valutazione (in termini di

sostegno economico) del valore dei CO erogati dagli agricoltori è nettamente superiore a quella degli strumenti, a disposizione dell’organizzazione, per la valutazione dei NCO. Ciò, almeno inizialmente, ha aumentato il rischio di favorire, in modo imparziale, la diversissime realtà presenti nei territori considerati.

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Partendo dunque da una definizione chiara di multifunzionalità e dalle suddette considerazioni, nell’ultimo decennio, in particolare, l’OCSE ha affrontato queste tematiche con estrema attenzione al fine di raggiungere un accordo comunitario altrettanto chiaro e definito.

Il lavoro sviluppato dall’OCSE, attribuisce all’agricoltura un ruolo tale da non essere esplicitato soltanto con l’erogazione di un bene primario ma anche, e alcune volte soprattutto, con l’erogazione di beni e servizi finalizzati alla produzione di valore pubblico sia sociale, sia ambientale. In questo senso, si può incorrere nel rischio che il mercato non riesca a riconoscere il valore erogato dall’agricoltura con conseguente assenza di garanzia che la domanda venga soddisfatta (Casini et al., 2009; Idda, 2002).

I risultati del primo rapporto OCSE, infatti, giungono ad alcune considerazioni. “La prima tiene conto della forte interconnessione tra commodity output (CO) e NCO in agricoltura, secondo una relazione che può essere di tipo complementare (come nel caso di tecniche produttive che tutelano la biodiversità, l’equilibrio idrogeologico o il paesaggio), oppure di rivalità (come nel caso dell’agricoltura intensiva). Di conseguenza, il sostegno alla multifunzionalità non può essere perseguito concentrando le azioni correttive verso la produzione di CO” (Casini et al., pag. 3 2009). In questo modo infatti, si rischia di utilizzare i sostegni pubblici in maniera squilibrata avvantaggiando lo sviluppo dei CO rispetto agli NCO. Di grande importanza dunque, sarà capire quali solo le modalità di erogazione di un bene/servizio primario e il legame che esite con il bene/servizio secondario relativo alla promozione della multifunzionalità dell’agricoltura. Capire il legame tra CO ed

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NCO infatti vuol dire capire quando un sostegno agisce positivamente sulla multifunzionalità o in maniera opposta (Casini et al., 2009).

“Una seconda riflessione, come accennato precedentemente, serve per capire quale valore ha l’erogazione di un NCO da parte di una qualsiasi realtà agricola. In questo contesto, la definizione di un sistema di valori può essere di origine esogena, come nel caso dei prezzi ombra o endogena, come nel caso di prezzi determinati da meccanismi d’asta per la fornitura di specifici servizi sociali. D’altra parte, il sistema di valore può essere anche di tipo non monetario e consistere in indicatori fisici da mettere in relazione con il sistema di incentivi. In ogni caso il sistema di informazione è ovviamente cruciale per un’effettiva soluzione” (Casini et al., pag.4, 2009).

Nel 2003, l’OECD elabora un nuovo rapporto il quale definisce in maniera più precisa il rapporto esistente tra attività agricole ed esternalità positive, analizzando la relazione presente tra fattori produttivi, lavoro, livello di produzione di beni materiali e livello di produzione di esternalità. Nello stesso rapporto inoltre si afferma quanto possa essere importante analizzare separatamente il processo che porta alla produzione di CO e NCO, al fine di stimare il costo di produzione delle esternalità. Infine, l’ultima tappa riguarda la stima della domanda di NCO da parte della popolazione con tecniche di valutazione sia monetaria che non monetaria. Inoltre per ogni area può essere misurata la differenza tra le esternalità correnti e le loro variazioni in funzione dei beni/servizi primari. Tuttavia, questi metodi rimangono alquanto aleatori in quanto, per utilizzarli, bisogna ricorrere a forti semplificazioni. Per questi motivi nel 2005 l’OECD pubblica un ulteriore rapporto per migliorare maggiormente le tecniche di valutazione del valore dei CO e NCO e quindi i relativi

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aiuti comunitari per la loro valorizzazione. Il punto focale di questo rapporto è rappresentato dall’analisi dei cosiddetti “Non Governmental Approach (NGA) che si

basano sulla promozione di contratti tra privati o su offerte volontarie che, minimizzando l’intervento pubblico, conducono all’utilizzo di meccanismi di mercato per l’offerta di NCO” (OECD 2005). “In sintesi il rapporto OCSE del 2005 enfatizza

l’importanza di una definizione del diritto di proprietà quale strumento fondamentale per migliorare l’efficacia del mercato nel valutare le funzioni dell’agricoltura. L’intervento del governo dovrebbe quindi assolvere in primo luogo alla definizione chiara di tali diritti, indicare forme di assegnazione del diritto, vigilare sul funzionamento delle forme di applicazione del diritto e, solo in seguito, valutare l’opportunità di interventi diretti” (Casini et al., pag.5, 2009).

Il concetto di multifunzionalità in Europa invece, assume una crescente importanza a partire dal 1992 con la riforma McSharry, in un contesto agricolo basato sullo sfruttamento molto spinto della terra. Lo stesso contesto infatti, è segnato dall’aumento indiscriminato dell’inquinamento generale causato in buona parte dalla produzione eccessiva di CO. Nella riforma McSharry dunque si individua la prima vera trasformazione del concetto di agricoltura in termini di sostenibilità ambientale, promuovendo e premiando la produzione primaria e quindi gli agricoltori come gestori della salvaguardia ambientale. Dopo diverse migliorie ottenute con Agenda 2000, si arriva al 2003 con la riforma di Fischler, attraverso la quale, si costituisce un’equilibrata definizione di multifunzionalità che viene presentata nelle sue varie sfaccettature tramite i quattro pilastri su cui si basa la medesima riforma.

“Nel primo asse infatti, sono previste azioni per favorire l’internalizzazione di alcuni NCO, quali il sostegno a forme di competitività basate sulla capacità degli agricoltori

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europei di comunicare ai consumatori una immagine dei prodotti legata al territorio e all’ambiente. In questo senso, la promozione di un’immagine fondata sulle funzioni ambientali, sociali ed economiche che l’agricoltura assolve in maniera diversa a seconda delle differenti specificità territoriali, rappresenta una reale opportunità per la valorizzazione ed il sostegno della multifunzionalità” (Casini et al., pag. 7, 2009). Nel secondo asse, la multifunzionalità si basa su due concetti chiave ovvero la gestione e il mantenimento della terra in buone condizioni agronomiche e ambientali, grazie al lavoro degli agricoltori che erogano servizi alla comunità in sinergia con il mercato. Nel terzo asse invece, la multifunzionalità viene intesa come valorizzazione delle aree rurali attraverso la diversificazione delle aziende, come per esempio la creazione di agriturismi. Infine, l’ultimo asse promuove lo sviluppo rurale dal basso, e, attraverso l’ausilio delle comunità locali, favorisce la multifunzionalità attraverso le azioni appena descritte (Casini et al., 2009).

Con le precedenti premesse, si può affermare che il concetto di multifunzionalità, interpretato nella riforma, ha caratteri di flessibilità molto accentuati. Ciò fa sì che permangano delle perplessità circa gli stumenti per la promozione dell’agricoltura multifunzionale. Infatti l’applicazione di questi strumenti è completamente affidata ai singoli stati membri con il rischio che non rispondano alle interpretazioni teoriche richiamate finora e non consentano effettivamente una piena valorizzazione delle NCO dell’agricoltura, ma provocando effetti negativi per l’intera società.

Per quanto riguarda la situazione in Italia invece, il ruolo multifunzionale dell’agricoltura viene definito dal decreto legislativo n°228 del 18 Maggio 2001 il quale assorbe ciò che è stato delineato in ambito europeo. Con questo decreto infatti, chiamato anche “Legge di Orientamento”, vengono descritte le attività proprie delle

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aziende agricole multifunzionali non diverse da quelle sancite dall’Unione Europea. In pratica, sviluppo rurale, salvaguardia dell’ambiente e valorizzazione del territorio sono parte integrante e fondamento dell’agricoltura. Al fine di ottenere questi risultati, diventano molto interessanti gli strumenti che possono essere utilizzati sia dagli agricoltori sia dalle pubbliche amministrazioni. Infatti, la multifunzionalità si basa sulla possibilità di stipulare contratti di collaborazione e convenzioni tra impresa agricola e pubbliche amministrazioni al fine di ottenere quei vantaggi specificati nella stessa “Legge di Orientamento”. “Tali convenzioni possono consistere anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Le pubbliche amministrazioni, possono stipulare contratti di appalto con gli imprenditori agricoli singoli o associati” (art.15, comma 2).

Diverso dal concetto di multifunzionalità è il concetto della diversificazione. La diversificazione, infatti, si riferisce alla possibilità di una realtà agricola di diversificare il proprio reddito ovvero aumentare il numero dei beni e servizi offerti al fine di ottenere reddito da vie differenti. Un esempio di diversificazione aziendale è rappresentato dall’agriturismo. “Esso, fra le attività cosiddette minori, rappresenta quella tipologia di agricoltura erogatrice di servizi alla collettività riguardanti il paesaggio, l’ambiente, il turismo, il tempo libero, gli usi, i costumi e le tradizioni. Esso costituisce anche un valido strumento di sviluppo integrato del territorio. Infatti, laddove accanto all’attività agricola si affiancano quelle di ricezione e di ospitalità, si realizza la sintesi più significativa del concetto di multifunzionalità dell`agricoltura, poiché l’attività produttiva si coniuga con la salvaguardia del patrimonio ambientale, valorizzando altresì il rilevante patrimonio culturale, artistico, enogastronomico e

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dell`artigianato che caratterizza gran parte delle regioni italiane. L’agriturismo rappresenta quindi indubbiamente una delle soluzioni concrete che possono contribuire a risolvere l’atavico problema della bassa redditività in agricoltura, che nel tempo ha portato a cambiamenti sociali; nel contempo, può essere considerato lo strumento che consente la giusta remunerazione per il ruolo multifunzionale riconosciuto all’azienda agraria. Non è un caso se anche il turismo ormai da diversi anni ha riscoperto il fascino della natura e delle masserie e se il sistema agroindustriale nelle sue strategie di marketing punta sempre più sui prodotti tipici e sulla territorialità agroalimentare” (Lanfranchi, pag.2, 2002).

Il concetto di Agricoltura Sociale

“L’agricoltura sociale (AS) è definita come quella attività che impiega le risorse dell’agricoltura e della zootecnica, la presenza di piccoli gruppi, familiari e non, che operano nelle aziende agricole, per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa di ricreazione, di servizi utili per la vita quotidiana e di educazione. L’AS rappresenta un aspetto particolare della multifunzionalità dell’agricoltura, non abbraccia tutte le terapie verdi, ma riguarda quelle pratiche in cui, l’uso della natura ha un significato produttivo, indipendentemente dalla scala, e dalla gestione da parte di operatori provenienti dal mondo agricolo o socio-sanitario” (Di Iacovo, pag.14, 2011).

Partendo dai principi finora espressi riguardo il tema della multifunzionalità infatti, si può affermare che l’agricoltura sociale include numerose tipologie di servizi. Tra i servizi che è in grado di offrire v’è senza dubbio quelli legati all’aspetto sociale che

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poi, di conseguenza, aprono diversi orizzonti per quanto concerne l’aspetto socio-sanitario. Questi aspetti si propongono di utilizzare l’agricoltura, non solo come strumento di produzione di beni primari, ma anche come strumento per la riabilitazione dei diversamente abili, per l’inserimento lavorativo e l’indipendenza economica dell’individuo e per l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati, per l’organizzazione di servizi civili per le popolazioni. In pratica, L’AS si sviluppa grazie ad una profonda collaborazione tra più attori che collocano al centro delle attività tutte quelle persone che presentano difficoltà di integrazione nella società o che, in ogni caso, necessitano di specifici servizi.

Le sfaccettature dell’AS sono numerose e, avendo un rapporto così fortemente intersecato con il concetto multifunzionale dell’agricoltura, “svolge azione di ponte tra politiche agricole e politiche sociali, formative, sanitarie, della giustizia. Gli ambiti di attività dell’agricoltura-sociale sono molteplici:

– riabilitazione/cura: esperienze rivolte a persone con gravi disabilità (fisica, psichica/mentale, sociale) con un fine principale socioterapeutico;

– formazione e inserimento lavorativo: esperienze orientate all’occupazione di soggetti svantaggiati (con disabilità relativamente meno gravi o per soggetti a bassa contrattualità (detenuti, tossico-dipendenti, migranti, rifugiati);

– ricreazione e qualità della vita: esperienze rivolte ad un ampio spettro di persone con bisogni (più o meno) speciali, con finalità socioricreative; tra cui: particolari forme di agri-turismo “sociale”, le esperienze degli “orti sociali” peri-urbani per anziani;

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– educazione: azioni volte ad ampliare le forme e i contenuti dell’apprendimento per avvicinare alle tematiche ambientali persone giovani e meno giovani con o senza difficoltà nell’apprendimento e/o in condizioni di disagio;

– servizi alla vita quotidiana: come nel caso degli agri-asili – nidi famigliari in ambito verde – o di servizi di accoglienza diurna per anziani” (Di Iacovo, pag.15, 2011).

Alla luce del tipo di utenza e di organizzazione in funzione dei servizi erogati dunque, le diverse realtà agricole possono essere suddivise in varie tipologie. Ci sono, infatti, aziende che accolgono persone svantaggiate, ovvero persone che presentano svantaggi fisici, mentali e/o sociali, gestendoli attraverso forme associative e quindi senza riconoscimenti obbligatori e soprattutto senza creare un rapporto diretto e collaborativo con i servizi sociali.

Un altro tipo di azienda invece e rappresentato da quelle che hanno finalità di inserimento lavorativo. Qui, sono accolte persone con scopi senz’altro terapeutici e l’azienda stabilisce un contatto diretto con i gestori dei servizi al fine non solo di migliorare lo stato psicofisico dell’utente ma anche per facilitarne l’inserimento lavorativo. In questo caso ci possono essere riconoscimenti economici diretti purchè sia garantita la piena funzionalità del servizio reso.

Infine, ci sono aziende attive nei servizi civili, cioè in grado di erogare servizi in aree rurali e periurbane, per anziani e bambini. In questo tipo di azienda non ci sono ancora riconoscimenti veri e propri per i servizi multifunzionali erogati, benchè le aziende si stiano organizzando per trovare soluzioni specifiche, come nel caso degli agri-asili, tuttavia la legislazione sta muovendo i propri passi per trovare una valida soluzione. Un indubbio vantaggio che l’AS porta alle realtà aziendali è rappresentato

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dalla capacità di aumentare la visibiltà e di migliorare la reputazione di chi la pratica in quanto le stesse realtà agricole offrono un servizio all’intera comunità relativamente agli aspetti positivi già menzionati ma anche agli aspetti occupazionali in quanto tutti gli utenti che ne usufruiscono crescono insieme all’azienda, partecipando attivamente (Di Iacovo, 2012).

“Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente economici l’agricoltura sociale valorizza:

economie di scopo: la possibilità di aggirare una delle chiavi organizzative dei

servizi pubblici, basati solitamente sulla dimensione e sulle economie di scala, a vantaggio di economie basate sulla multifunzionalità delle strutture e dei loro scopi;

dispersione territoriale: grazie al punto precedente e alla diffusione delle aziende

agricole sul territorio, la possibilità assicurare in modo nuovo la prossimità dei servizi nei confronti degli utenti e dei bisogni;

flessibilità e innovazione: la possibilità di adattare in modo nuovo i servizi alle

esigenze degli utenti, attraverso la valorizzazione della pluralità dei setting disponibili nelle realtà di agricoltura sociale” (Di Iacovo, pag 17, 2011).

Come accennato in precedenza, l’AS si basa sulla collaborazione di più attori nello stesso territorio e gli stessi attori possono essere organizzati giuridicamente sotto la forma di associazioni, cooperative e, ovviamente, aziende agricole. Queste piccole ma anche grandi realtà locali creano dunque delle reti che mirano alla sensibilizzazione, non solo dei fruitori di tali servizi, ma anche la sensibilizzazione di coloro che producono i servizi. Per quanto affermato fino ad ora, riguardo la collaborazione tra più attori, l’AS può essere considerata come una pratica di

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innovazione sociale. In questa prospettiva, l’AS può rappresentare uno strumento efficace per il miglioramento del welfare locale. Infatti, questa pratica porta vantaggi sia a livello economico con un risparmio sulle strutture adibite all’accoglimento delle persone svantaggiate, sia a livello imprenditoriale in quanto favorisce la visibilità e la multifunzionalità aziendale ed infine, a livello terapeutico ed inclusivo, nel confronti delle persone a bassa contrattualità.

Nascita dell’agricoltura sociale

L’Agricoltura Sociale trova le sue radici più remote nei dibattiti scientifici avvenuti agli inizi del XIX secolo quando si cominciava a capire che nel mondo bucolico c’era molto di più di quanto, scrittori e poeti, avevano esaltato fino ad allora. Considerato uno dei padri fondatori della psichiatria americana, Benjamin Rush fu il primo che scrisse testi ufficiali riguardanti le proprietà terapeutiche dell’agricoltura ma più in generale del contatto con la natura e dell’attività manuale. Le sue prime riflessioni, che risalgono al 1768, sono state pubblicate nel 1812 nel libro “Medical

inquiries and observations upon diseases of the mind” (“Quesiti e osservazioni mediche sui disturbi della mente”). “Qui si ritrova una sua osservazione divenuta

storica, perché ormai è riportata da tutti i testi anglosassoni che trattano l’argomento. Rush osservò che le persone con problemi psichiatrici ospedalizzate miglioravano se, essendo maschi, venivano coinvolte in operazioni di giardinaggio in senso allargato (tagliare legna, preparare il fuoco, zappare) ed essendo donne, collaboravano alle operazioni domestiche (lavare, stirare, pulire i pavimenti). Le persone di classi sociali superiori, invece, che normalmente erano esonerate da compiti di questo genere, languivano, spegnendosi lentamente tra le pareti dell’ospedale. In poche parole Rush confermò, nell’ambito degli studi psichiatrici del suo tempo, che

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relegare la persona con problemi psichiatrici in una condizione di assoluta inattività e di mancanza totale di coinvolgimento non fa che peggiorare la sua situazione, mentre un’attività manuale, in particolare a contatto con la terra e con la natura, aiuta il processo di guarigione” (Finuola R., Pascale A., pag. 15, 2008). Da queste riflessioni si creò un nuovo sentiero verso una direzione che si allontanava da quelle che erano le pratiche più antiche per curare chi aveva problematiche psicofisiche. E questo vale soprattutto per gli ambienti manicomiali dell’epoca che miravano a segregare il malato anziché spingerlo verso direzioni che potessero prediligere un contatto più ampio con il mondo esterno. Tuttavia questa condizione perdurò nel tempo, in Europa ma soprattutto in Italia, nonostante altri progetti furono avviati come per esempio quello dello studioso Wilhelm Griesinger con lo scopo di creare un percorso di “liberalizzazione” dei malati cronici che venivano accolti dalle famiglie contadine. Nella storia del nostro paese, sarà Franco Basaglia nella metà degli anni ’60 del secolo scorso a farsì che le condizioni di gestione delle persone con problemi psicofisiche subiscano una vera svolta che porti ad un recupero, seppure parziale, delle loro abilità anzichè alla loro alienazione sociale.

Contemporaneamente all’instaurarsi di questa crescita sociale nelle aree urbanizzate, nella realtà contadina dell’epoca, l’AS si esprimeva, già da un po’ di tempo, attraverso le forme di solidarietà e valori di reciprocità, gratuità e mutuo aiuto che hanno caratterizzato da sempre le aree rurali. E questo per merito soprattutto del particolare connubio che si è sempre creato, in maniera del tutto naturale, tra l’uomo gli animali e le piante e la possibilità di trarre beneficio da queste relazioni che hanno permesso all’agricoltura di svolgere la propria funzione sociale e, in generale, alle comunità rurali di dare valore e dignità alle persone più svantaggiate. Le

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menomazioni che oggi vengono indicate come disabilità fisiche o mentali erano molto comuni nelle zone rurali. Il grande numero che rappresentava questi casi si pensa derivi da fenomeni scatenati dall’ansia ma a renderlo così importante era senza dubbio la scarsità di mezzi di locomozione e, più in generale la tradizione dell’epoca, la quale imponeva quasi l’isolamento tra le comunità e il conseguente proliferare dei matrimoni tra parenti stretti. Piano piano, poi, con l’industrializzazione si è creato un lento migrare dalle campagne alle città con un conseguente aumento delle persone affette da problemi fisici e mentali. Tutto questo permise di evidenziare l’immensa distanza tra le persone svantaggiate accudite nell’ambiente familiare e contadino rispetto a quelle segregate per tempi lunghissimi nelle strutture apposite (Finuola et

al., 2008).

A partire da queste evidenze l’AS ha continuato, seppure nell’ombra e a lungo tempo, a provvedere sentieri di supporto per la vita di persone a bassa contrattualità, solitamente in esperienze condotte in modo isolato e individualmente. Solo più recentemente il tema ha visto un approfondimento e una riorganizzazione anche grazie all’attiva collaborazione dei servizi socio-sanitari del territorio.

Oggi, più che mai, da una parte la forma dello sviluppo sociale, economico e industriale portano ad un incremento nel numero e nella tipologia di soggetti che, a diverso titolo, scontano difficoltà di adeguamento ed inserimento nei percorsi ordinari di vita. D’altra parte, una crescente domanda di personalizzazione e flessibilità delle risposte di servizio, e una contemporanea carenza di risorse economiche, portano a cercare soluzioni e risposte innovative, tra cui quella dell’agricoltura sociale. In questa prospettiva, il tema dell’agricoltura sociale ha

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trovato spazio e interesse crescenti dando avvio a numerose ricerche scientifiche ma, soprattutto, a numerose iniziative d’impresa.

Uno sguardo in Europa

L’evoluzione dell’AS, come in Italia, si è sviluppata con un lento crescendo di modificazioni che trovano il loro punto di partenza sempre nell’ambiente contadino. Si può considerare, infatti, questo il tronco principale da cui si sono sviluppati tutti i rami dell’agricoltura sociale, oggi ormai ben radicata in tutta l’area europea. Infatti, ci sono delle linee guida che accomunano il concetto e le finalità dell’AS ma allo stesso tempo permangono diverse sfumature, differenze dovute agli strumenti utilizzati nei vari stati della comunità europea, che si denotano anche nei diversi vocaboli utilizzati per tradurre il termine “Agricoltura Sociale”. In conseguenza dell’esistenza di un filo conduttore principale in tutta la comunità si sono di recente moltiplicate le iniziative di networking che hanno riunito ricercatori di diversi Paesi. Fra queste rientra il progetto SoFar (Social Farming), utilizzato come una sorta di strumento per permettere lo sviluppo di strategie innovative attraverso il diretto confronto delle pratiche e delle percezioni del tema dell’AS tra diversi Stati dell’Unione Europea.

Oltre alle numerose linee in comune, dalle analisi di questo progetto, si sono potute denotare anche molte differenze. In Olanda ad esempio, che si può definire uno tra i Paese più rappresentativi da questo punto di vista, l’AS viene considerata di attinenza con il settore sanitario e si esprime attraverso le aziende private le quali, essendo riconosciute come erogatrici di servizi terapeutico/riabilitativi nei confronti delle persone svantaggiate, ricevono finanziamenti pubblici proporzionali al grado di erogazione del servizio.

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In Belgio invece, anche se l’AS è un fenomeno considerato di attinenza del settore agricolo, si prevedono aiuti per la riorganizzazione delle strutture aziendali private nonché il riconoscimento e la compensazione degli impegni lavorativi degli agricoltori che operano in questo campo. Ciò che accomuna entrambi i Paesi risiede nel fatto che le attività terapeutico-riabilitative costituiscono un’integrazione, in Olanda non secondaria del reddito aziendale.

Per quanto riguarda la Germania, gli orientamenti di base dell’AS sono a metà strada tra il settore socio-sanitario e quello della salute. Infatti, le istituzioni che gestiscono e tutelano l’AS sono per lo più rappresentate dalle strutture pubbliche e meno da quelle private (istituti religiosi e laici, fondazioni e servizi sociali pubblici), in genere con finalità di integrazione di soggetti disabili o con problemi sociali e nelle quali l’aspetto sociale prevale su quello produttivo. Rimane scontato dunque sottolineare che sono proprio queste istituzioni a ricevere i finanziamenti in misura proporzionale agli utenti ricevuti.

Come in Germania, anche in Francia l’AS è considerata anzitutto come un’attività di alto valore etico-sociale e predominano anche qui le strutture istituzionali pubbliche rispetto alle private. Tuttaviale attività dell’AS rientrano prevalentemente nel settore sociale e terapeutico-assistenziale. Gli aspetti economici seppur posti in un secondo piano, prevedono aiuti fondamentalmente alle associazioni di volontariato e ai progetti pubblici.

In Gran Bretagna esistono i giardini terapeutici non solo a livello istituzionale ma anche nell’ambito delle comunità locali, dove si praticano terapie con le piante (horticultural therapy). Le aziende agricole private invece non hanno alcun impatto relativo all’AS.

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In Slovenia l’AS è praticata soprattutto nell’ambito di strutture pubbliche, mentre ci possono essere, in maniera puntiforme, delle iniziative private senza alcuna politica specifica e/o supporto istituzionale.

Infine in Italia, la cooperazione sociale viene affiancata, via via col tempo, sempre in misura maggiore da un numero crescente di aziende private. (Finuola, 2011).

Lo scenario europeo quindi dà modo di pensare che l’AS sta acquisendo notevole importanza, tale da incanalare risorse, non solo economiche, verso le realtà capaci di apportare beneficio nel settore sociale e non solo. Infatti, ciò che accomuna tutti i Paesi è la presenza di metodi di coltivazione biologici che testimonia una sostanziale convergenza fra rispetto dell’uomo e rispetto della natura.

Le nuove frontiere

Da quanto affermato fino ad ora, il tema dell’AS seppur chiarito dal punto di vista della sua valenza etica e del suo potenziale in termini di servizi offerti rimane indefinito in termini di legislazione ma soprattutto rimangono indefinite le modalità di applicazione degli strumenti per raggiungere gli obiettivi che l’AS si prefigge. Questo è dovuto soprattutto al fatto che l’AS può essere considerata, nonostante la storia ci dica il contrario, un tema del tutto nuovo che merita di essere preso in considerazione in tutti i suoi aspetti da tutti gli stati europei. In questo senso il CESE (Comitato economico e sociale europeo) che è un organo consultivo dell'Unione europea istituito nel 1957 e che fornisce consulenza qualificata alle maggiori istituzioni dell'UE, si sta mobilitando per cercare di approfondire ma soprattutto definire il concetto dell’AS in modo tale che abbia valenza univoca in tutto il territorio europeo. “Ne consegue l’opportunità di avviare un programma di ricerca statistica per poter disporre di dati quantitativi, valutare in modo più approfondito le

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dimensioni del settore nei vari paesi dell’Unione e analizzare le diverse forme in cui esso si presenta, gli sviluppi e le tendenze. La banca dati così costituita potrebbe essere ulteriormente ampliata allo scopo di promuovere programmi di ricerca in ciascuno Stato membro” (Finuola, pag. 56, 2012b).

La seconda proposta operativa del CESE riguarda la ricerca: le attività dell’AS dovrebbero essere sostenute da ricerche interdisciplinari in diversi settori che ne convalidino i risultati empirici, ne analizzino gli effetti e i benefici da prospettive diverse (sociale, economica, sanitaria, individuale, ecc.) e assicurino la diffusione delle conoscenze acquisite nella pratica. È necessario, a tale scopo, promuovere e rafforzare la cooperazione avviata a livello UE poiché la produzione e lo scambio di conoscenze scientifiche, professionali e pratiche in tutta Europa è di fondamentale importanza.

Le nuove frontiere dell’AS si basano sulla ricerca in quanto sono gli studi fatti in campo che possono dare delle risposte definite e reali per quanto riguarda i riscontri e i risultati che si possono ottenere dalle pratiche agricole sociali. In particolar modo per gli studi in ambito medico che forse hanno rilevanza maggiore rispetto agli altri ma anche i riscontri economici, sociali. Rimane fondamentale poi documentare ogni tipo di evoluzione sia positiva che negativa in modo tale da poter condividere e creare un confronto diretto tra tutti gli stati dell’UE. Inoltre, un aspetto da non sottovalutare potrebbe essere quello di formare chi crea AS e chi crea i servizi connessi attraverso la propria realtà agricola non solo per migliorare la qualità del servizio ma soprattutto per essere in grado di monitorare ulteriormente il proprio lavoro e soprattutto di documentarlo. La sensibilizzazione, la cooperazione e la condivisione delle esperienze sono i tre pilastri su cui si sta facendo leva e

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rappresentano il punto di partenza verso la creazione di un’AS definita e univoca con lo scopo di portare ogni singolo stato, di pari passo con gli altri, ad una crescita etica, sociale ed economica (Finuola, 2012).

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Capitolo 2. Gli strumenti terapeutici dell’agricoltura sociale

“Agricoltura sociale”, “farming for health”, “care farming”, “green care”, “green therapies” sono tutte locuzioni che vengono utilizzate nell’Unione Europea volte ad inquadrare il concetto di AS. Esse si riferiscono alle diverse pratiche terapeutiche e riabilitative e all’inclusione sociale delle persone svantaggiate, ecc.

Praticare AS dunque ha come base di partenza valorizzare appieno il ruolo dell’agricoltura e che implica non poche difficoltà di ordine burocratico ma soprattutto di ordine gestionale dei terreni e delle persone. Infatti, l’AS permette di avere rapporto diretto e ripetuto con piante e animali in un’ampia gamma di attività adattabili alle capacità delle singole persone; le stesse operazioni possono essere svariate e, in quanto tali, adattabili ad ogni tipo di mansione e capacità operativa delle persone. Praticare AS vuol dire porre l’uomo a stretto contatto con la natura, l’ambiente agricolo e rurale. Si trae dunque un numero elevato di vantaggi a doppio senso: valorizzazione dell’ambiente interessato, miglioramento provato dello stato psico-fisico della persona che pratica l’attività. Operare in una realtà agricola, infatti, obbliga ad avere rapporti interpersonali, collaborazioni di gruppo, affiatamento tra gli operatori e soprattutto la possibilità di confrontarsi con altre persone e condividere le esperienze personali. Permane, in chi pratica AS, un senso di autocontrollo, di capacità di autogestirsi e un conseguente crescere dell’autostima che aiuta la persona ad avere un riconoscimento sociale ed economico attraverso il proprio lavoro. Gli strumenti di cui dispone l’agricoltura sociale sono estremamente naturali facendo completo affidamento sulle piante e gli animali. La Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano, ad esempio, ha affermato che “il rapporto che intercorre tra la natura e la persona umana, le piante e gli animali sono

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elementi agevolmente riconoscibili anche da individui con difficoltà di natura cognitiva o psichica”. Questo perché oltre a considerarsi responsabili, queste persone non subiscono la paura di essere giudicati raggiungendo quella serenità di pensiero che li migliora, permettendogli di avere maggiori livelli di autonomia, di rispetto per sé stessi e per il proprio corpo. La natura, poi, posside quella forza in grado di far superare la fragilità del considerarsi imperfetti e ciò dimostra che salute psicofisica e felicità sono prerogative del mondo vegetale e animale di notevole utilità nelle pratiche terapeutiche e riabilitative.

Il biologo Edward O. Wilson definisce “biofilia”, desiderare di vivere in prossimità di una distesa d’erba verde o di uno specchio d’acqua. Il concetto di biofilia si riferisce a tutte le tipologie di persone ma gli aspetti terapici della natura sono assolutamente importanti per quelle categorie di persone svantaggiate, che vanno dalle persone con disabilità fisica o mentale ai minori in difficoltà, dalle donne che hanno subito violenza agli anziani non autosufficienti, dai tossicodipendenti a coloro che hanno subito interventi chirurgici, dai condannati a pene detentive a coloro che riacquistano la libertà dopo un periodo di reclusione (Finuola et al., 2008).

La Pet Therapy

La Pet Therapy è una terapia che utilizza gli animali per fini terapici sia fisici che psicologici nei confronti delle persone che hanno bisogno di questo tipo di sostegno. In alcuni casi viene richiesto un livello di ubbidienza da parte degli animali abbastanza elevato. La Pet Therapy nasce nel 1953 in America, ad opera dello psichiatra Boris Levinson. Mentre lavorava con un bambino autistico, si rese conto

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che il suo cane gli offriva la possibilità di proiettare le proprie sensazioni interiori, costituiva un'occasione di scambio affettivo, di gioco e rendeva più piacevole le sedute. Nel 1961 coniò il termine Pet Therapy, oggi sostituito in italiano, più propriamente, da Terapie Assistite dall'Animale (TAA). L'espressione Pet Therapy, infatti, viene utilizzata per indicare i programmi di addestramento del comportamento animale. La Terapia Assistita dall'Animale (TAA) è un intervento che ha obiettivi specifici predefiniti, in cui un animale, che risponde a determinati requisiti, è parte integrante del trattamento. La TAA è diretta da un professionista con esperienza specifica nel campo, nell'ambito dell'esercizio della propria professione. Ad essa si affiancano le Attività Assistite dall'Animale (AAA), interventi di tipo educativo, ricreativo e/o terapeutico, che hanno l'obiettivo di migliorare la qualità della vita. Gli interventi di AAA possono essere erogati in ambienti di vario tipo, da professionisti opportunamente formati, para-professionisti e/o volontari, con animali che rispondono a determinati requisiti.

Coloro a cui le TAA possono arrecare dei benefici, in affiancamento ad altre forme di terapia, sono, persone con difficoltà relazionali, persone in stato confusionale, persone con disordini dello sviluppo, persone con disabilità fisiche quali, persone con difficoltà di parola, udito e vista, persone con disturbi psichiatrici, malati terminali, bambini, anziani (www.difossombrone.it).

“Studi recenti suggeriscono che il contatto con animali da compagnia, i cosiddetti

pet, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti, possa favorire i

contatti interpersonali attraverso meccanismi di facilitazione sociale.

Per quanto riguarda invece l’impiego finalizzato di “animali da reddito” a scopo terapeutico, esistono pochissimi studi che ne attestino l’efficacia. Tali pratiche sono

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relativamente recenti e si riscontrano in diverse nazioni europee e negli Stati Uniti, ma date le difficoltà oggettive che comportano, dovute ad esempio alla diversa tipologia degli animali coinvolti e all’ambiente stesso in cui il contatto avviene, necessitano ancora di ulteriori indagini” (Cirulli et al., pag. 3, 2011).

Nell’ambito delle attività e terapie assistite dagli animali, rientra anche l’ippoterapia che richiede l’utilizzo del cavallo non solo per sport e tempo libero ma anche per fini terapici. Inoltre, si è scoperto un’altra branca dell’equitazione sociale chiamata onoterapia che sfrutta il rapporto empatico che può nascere tra l’uomo e l’asino. In questi casi, si vengono a stabilire generalmente dei ruoli in cui l’uomo prova non solo senso di autorevolezza, dominanza e credibilità ma cosa più importante fiducia, che poi diventa reciproca, nei confronti dell’equino che sia piccolo o grande.

In sintesi quindi, l’utilizzo di un essere vivente, di tipo domestico in particolare, scatena nel soggetto svantaggiato un sensazione che ribalta le sue prospettive in quanto diventa egli stesso colui che si prende cura di un altro essere vivente e non il contrario. Questo ha una valenza soprattutto per le persone con problemi relazionali in quanto alla base delle relazioni con gli animali c’è la comunicazione non verbale. E sono proprio queste le corrispondenze che regalano gratificazione alla persona ma soprattutto felicità e benessere psicofisico (Finuola et al, 2008).

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La terapia orticolturale

L’evoluzione storica della terapia orticolturale

“L'utilizzo dell'orticoltura può essere collocata intorno al 2000 a.C. Infatti i fertili fiumi della valle del Tigri e dell'Eufrate ispirarono i primi giardini dei sensi. I Persiani, circa nel 500 a.C., crearono giardini per compiacere tutti i sensi, bellezza, fragranza, musica (acqua) e temperature miti. Nel 1100 San Bernardo descrive il giardino del monastero di Clairaux riferendo sui benefìci terapeutici del silenzio, del verde, dei profumi e del canto degli uccelli (Gerlach–Spriggs, Kaupfman & Warner, 1998).

Nel 1699 Leonard Maeger scriveva che “ non vi è modo migliore di conservare la propria salute che lavorare in giardino” (English gardener). Nel 1812 il Dottor Benjamin Rush professore dell'Istituto di Medicina e Pratiche Cliniche dell'Università della Pennsylvania (conosciuto per il suo ruolo nello sviluppo della psichiatria moderna) pubblicò il suo libro “Medical inquirers and observation upon

diseases of the mind” che introdusse il metodo scientifico in base al quale la

lavorazione del terreno e il rapporto con le piante può avere un benefico effetto sulla salute mentale. Da allora l'agricoltura e le attività di giardinaggio furono incluse negli ospedali psichiatrici: primo esempio conosciuto data nella Philadelphia del 1813. Nel 1879 fu costruito il primo giardino terapeutico che iniziò la lunga tradizione della terapia orticolturale. Programmi di terapia orticolturale furono utilizzati in migliaia di interventi di riabilitazione di reduci della prima e seconda guerra mondiale. Negli anni '50 del secolo scorso Alice Burlingame progettò corsi di terapia orticolturale al Pontiac State Hospital e fu attivato il primo master in

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scrisse il primo libro sulla terapia orticolturale con il Dr. Donald Watson, “Therapy

through Horticulture” (Burlingame & Watson 1960). Negli anni ‘70 fu istituito il

primo corso di laurea universitaria presso la Kansas State University in collaborazione con il National Council Job Therapy, & Rehabilitation. I programmi di terapia orticolturale si sono diffusi in Australia, Giappone, Canada, Gran Bretagna (l'Università di Reading rilascia un certificato in Social and Therapeutic Horticulture). In Italia la Scuola Agraria del Parco di Monza organizza corsi professionali in materia” (Zerbini & Ponzellini, pag. 4, 1997).

“L’orticoltura viene usata in molte realtà come una forma di terapia diretta o indiretta. Solitamente si tende a distinguere la “terapia orticola” (horticultural

therapy) dall’orticoltura terapeutica (therapeutic horticulture). Sempik e

collaboratori (2003) descrivono la terapia orticola come “l’uso di piante da parte di professionisti come un mezzo per raggiungere obiettivi di cura ben definiti da un punto di vista clinico” . Gli stessi autori parlano di orticoltura terapeutica come di “un processo in cui le piante e il giardinaggio vengono utilizzate per migliorare il benessere degli individui” cosa che può essere raggiunta attraverso un coinvolgimento diretto o indiretto” (Cirulli et al., pag. 4, 2011).

L’Horticultural Therapy (HT), solo da pochi anni è stata tradotta in Italia come “terapia assistita dalle piante”. In generale, che si tratti di giardini o di spazi verdi aperti, molto ampi, la “Terapia Orticolturale” si basa sempre sul praticare l’orticoltura o sullo stare semplicemente a stretto contatto con la natura al fine di ottenere dei vantaggi a livello sia fisico sia mentale. Ormai sono numerosi gli studi che attestano l’esistenza di benefici a livello psicologico e la relazione positiva tra attività fisica e salute mentale, raccogliendo sempre maggiori prove a favore di una

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relazione positiva tra attività fisica svolta all’aperto, a contatto con la natura, e salute mentale individuale. Il contatto con la natura procurerebbe benessere psicologico, riducendo i livelli di stress e migliorando l’umore in quanto sono le piante coltivate che diventano prodotti stessi del processo di guarigione. Inoltre, si è registrato un aumento dell’autostima e addirittura diminuizione della pressione arteriosa e un miglior adattamento alla struttura ospedaliera. L’attività a stretto contatto con la natura e quindi anche l’orticoltura viene anche chiamata green exercise (Cirulli et al., 2011).

I giardini terapeutici

Gli Healing gardens (il cui significato non è “giardini terapeutici” ma “giardini che curano, che cicatrizzano le ferite fisiche e morali”) non costituiscono una terapia alternativa a tutte le cure tuttora esistenti negli ospedali ma vengono considerati un’ottima integrazione alle stesse cure che siano di natura fisica o mentale. “L’American Horticultural Therapy Association (ATHA) descrive diverse tipologie di giardini che differiscono tra di loro per struttura, ubicazione e per finalità terapeutiche.

Gli Healing Gardens - Giardini di cura (def. ATHA) sono ambienti dove è

dominante la presenza di piante, fiori, acqua e di diversi aspetti della natura. Sono generalmente realizzati in ambienti sanitari e indicati come giardini di guarigione, accessibili a tutti.

Therapeutic Gardens-Giardini terapeutici (def. ATHA) sono progettati per

essere utilizzati come componente di un programma di trattamento di terapia occupazionale, di terapia fisica, o con programmi di terapia orticolturale e possono essere considerati come una sottocategoria di un healing garden.

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Horticultural Therapy Gardens-Giardini per la terapia orticolturale (def. ATHA) sono giardini terapeutici, progettati per raggiungere obiettivi nel

trattamento della persona e principalmente per supportare le attività orticole. • Restorative gardens-Giardini ristorativi o meditativi (def. ATHA) questo tipo

di giardino impiega il valore ristoratore della natura per fornire un ambiente favorevole al riposo mentale, alla riduzione dello stress, al recupero emozionale e al potenziamento di energia mentale e fisica.

Enabling gardens-Giardini di abilitazione sono giardini multi-uso progettati

per i bambini, gli anziani, le famiglie, ma soprattutto per quei membri della comunità con vari gradi di dis/abilità fisiche e cognitive” (Benotti, 2012).

Gli aspetti terapeutici

Gli effetti positivi sono numerosi ed è per questo che la terapia orticolturale si incarna nell’agricoltura sociale. Recenti studi, infatti, hanno dimostrato che nelle patologie nei confronti delle quali si reagisce con problematiche per lo più mentali, come per esempio depressione, stress, ansia, dissociazione con l’ambiente e invecchiamento, è possibile raggiungere elevate percentuali di successo attraverso quel particolare rapporto con il paesaggio che i giardini consentono. I malati, infatti, hanno una percezione del mondo circostante positiva, riescono a sentirsi parte della natura e nasce in loro la voglia di prendersi cura delle loro piante. Inoltre non hanno la sensazione di essere giudicati e si sentono liberi di esprimersi.

Le attività ri/abilitative orticolturali sono caratterizzate da impegno sia fisico che psicologico e fanno in modo che gli utenti si sentano responsabili verso un qualcosa che è rappresentato dalle piante. Inoltre, il lavoro di gruppo fa da contorno a tutto il

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contesto e dà un apporto estremamente positivo ai soggetti. L’attività ri/abilitativa permette:

sollecitazioni sensoriali: il lavoro in continuo contatto con gli essere viventi,

che siano piante o animali, permette lo sviluppo dei sensi : vista, olfatto, gusto e tatto;

sviluppo del senso di utilità sociale e di autostima: le persone si sentono

responsabili della vita delle loro piante e ciò favorisce la stima nei loro confronti;

attivazione di capacità affettive ed educazione al saper attendere: le doti

affettive si rafforzano dietro il lento crescere delle piante che vengono costantemente osservate e ciò sviluppa nella persona il saper aspettare e la comprensione del fluire del tempo e delle stagioni dettato dai ritmi della natura;

processi decisionali e interazione sociale: si impara a prendere decisioni di

vario tipo e a collaborare e confrontarsi con le altre persone al fine di raggiungere un obiettivo comune;

recupero di aspetti remunerativi: la vendita dei prodotti produce ricavi che

diventano ricompense anche materiali;

possibilità di inserimenti lavorativi: lavorare nei giardini, come in

agricoltura, sviluppa negli utenti delle competenze lavorative che possono essere sfruttate sempre sia durante la terapia sia alla fine del processo riabilitativo (Benotti, 2012).

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Vendita e valorizzazione dei prodotti

Anche l’agricoltura hobbistica e le attività educative e ricreative fatte nelle aree periurbane possono essere considerati dei validi strumenti terapeutici soprattutto nei confronti di persone con problemi relazionali ma anche anziani non autosufficienti e i minori con particolari difficoltà nell’apprendimento e/o in condizioni di disagio. A Roma, ad esempio, con l’utilizzo di tronchi e rami prodotti dalla manutenzione degli alberi di città si producono semilavorati che vengono successivamente segati, scolpiti, lisciati, incisi, dipinti da persone con disagio di vario tipo e trasformati in elementi di arredo, oggetti d’arte, cose per la casa.

Il fatto che l’agricoltura comprenda anche attività di tipo imprenditoriale la rende strumento terapeutico. Infatti, le attività agricole prevedono non solo il consumo di quello che si produce ma anche la commercializzazione, che per i prodotti agricoli in particolare, acquisisce valore legato alla vendita di prodotti locali e biologici. Queste attività vengono vissute come il risultato di un impegno personale e opportunità volte ad incrementare l’autostima dei soggetti coinvolti e intraprendere relazioni dirette con l’ambiente esterno (Finuola et al., 2008).

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Capitolo 3. Le implicazioni economiche istituzionali in agricoltura sociale

Dalle politiche europee ai PSR regionali

Secondo quanto precedentemente affermato, l’agricoltura sociale, si individua nel tema della multifunzionalità che è un concetto ampiamente analizzato nell’ambito delle politiche europee. L’AS, infatti, come ben considerato in maniera alquanto uniforme all’interno della Comunità Europea, svolge molteplici funzioni: dal costituire fonte di reddito a trasformare le aziende agricole in centri di generazione di salute psico-fisica e mentale, dal creare opportunità di inserimento lavorativo per persone a ridotta contrattualità all’offrire una prospettiva unitaria dello sviluppo economico e di quello sociale. In conseguenza di ciò, l’AS occupa diversi spazi all’interno della Politica Agricola Comune dal 2003 a oggi ed è considerata meritevole di aiuti finanziari finalizzati al suo continuo sviluppo per opera dei singoli stati membri. “Fino al 2013 infatti, l’UE ha destinato i propri fondi insieme con quelli dei singoli stati membri verso due linee politiche distinte: quella di sviluppo rurale finanziata dal 2° pilastro della PAC tramite il FEASR e quelle relative alle politiche regionali e di coesione finanziate dal FSE e dal FESR” (Finuola et al., pag. 71, 2008). In conclusione, si ritrovano, in entrambi i casi, incentivi per l’agricoltura sociale ma si è in corso in una situazione di sovrapposizione degli interventi. Con la nuova PAC 2014 – 2020, si è cercato di correggere questo errore con modifiche che verranno esplicitate più avanti in questa tesi.

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Lo sviluppo rurale

In seguito alla riforma della PAC 2003-2005, che serve a semplificare la gestione della programmazione dello sviluppo rurale, è stato introdotto il Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale (FEASR). L’istituzione del FEASR ha semplificato i sistemi di programmazione ed organizzativi regionali creando un sistema di programmazione unico per lo sviluppo rurale attuato con i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) o nazionali o regionali e gli Stati membri hanno dovuto scegliere se preferire una programmazione nazionale o regionale. “L’organizzazione del FEASR ha previsto tre livelli di programmazione:

• Comunitario: il Regolamento del Consiglio europeo dei ministri n.1698/2005; Regolamento del Consiglio europeo dei ministri n.1974/2005; e orientamenti strategici comunitari;

• Nazionale: il Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, predisposto dagli Stati membri;

• Regionale: il Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013, predisposto dalle Regioni e sottoposto all’approvazione della Commissione Europea.

Il FEASR è un fondo che si basa sul principio del cofinanziamento, in base al quale per finanziare gli interventi previsti sono state stanziate risorse aggiuntive nazionali e regionali” (www.ue.regione.lombardia.it). Il Fondo fornisce un’assistenza complementare alle azioni nazionali, regionali e locali che contribuiscono alle priorità della Comunità.

A livello dei singoli stati membri, in Italia, è stato costituito il Piano Strategico Nazionale dal MIPAF attraverso un ampio processo di integrazione con le esigenze

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