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L'acquifero confinato in ghiaie della piana costiera di Pisa: aggiornamento dei dati idrogeologico-geochimici e considerazioni sull'intrusione marina.

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INDICE

RIASSUNTO

1 - INTRODUZIONE

2 - INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO

2.1 - INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

2.2 - INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’AREA 2.3 - INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

2.4 - EVOLUZIONE PALEOGEOGRAFICA DELLA PIANURA PISANA 2.5 - IDROGRAFIA

3 - CARATTERI CLIMATICI DELLA PIANURA PISANA

3.1 - LA TEMPERATURA 3.2 - LE PRECIPITAZIONI

4 - INQUADRAMENTO GENERALE DELL’ACQUIFERO DELLA PIANURA PISANA

4.1 - CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE

4.2 - IL SISTEMA ACQUIFERO DELLA PIANURA PISANA (Sap) 4.2.1 - L’acquifero multistrato confinato della Pianura Pisana (Amc) 4.3 - STUDIO DEL PRIMO ACQUIFERO CONFINATO IN GHIAIE

5 - CONSIDERAZIONE SUL FENOMENO DELL’INTRUSIONE SALINA

5.1 - INTERFACCIA ACQUA DOLCE/ACQUA SALATA

5.2 - INTRUSIONE MARINA DAI CORSI D’ACQUA

6 - PROGETTO DI RICERCA

6.1 - UBICAZIONE DEI PIEZOMETRI

7 - INDAGINI DI CAMPAGNA

7.1 - METODI E STRUMENTI UTILIZZATI

8 - DATI RACCOLTI

8.1 - PIEZOMETRIA

8.1.1 - Realizzazione delle carte piezometriche 8.2 - PARAMETRI CHIMICO-FISICI MISURATI

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8.3 - MONITORAGGIO IN CONTINUO

9 - ANALISI DI LABORATORIO

9.1 - CLASSIFICAZIONE E INQUADRAMENTO DELLE ACQUE

10 - CONCLUSIONI 11 - BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI

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1. INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI

Il presente lavoro di Tesi si inserisce in un Progetto di Ricerca volto allo studio idrogeologico e idrogeochimico dell’acquifero confinato in ghiaia della Pianura di Pisa, con lo scopo principale di valutare la possibile presenza di intrusione di acqua marina e conoscere i meccanismi di miscelazione tra acque dolci e acqua di mare. Tale studio è stato finalizzato dal Parco Regionale Migliarino-S. Rossore-Massaciuccoli (MSRM) e condotto dall’Università di Pisa-Dipartimento di Scienze della Terra (DST) e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Geoscienze e Georisorse (CNR-IGG). Oltre alle attività previste dal presente lavoro di Tesi, lo studio è stato realizzato anche mediante altre Tesi di Laurea (Cignoni, 2012; Neri, 2014; Ruberto, in corso), discusse presso l’Università di Pisa.

La Pianura di Pisa, situata nella Toscana centro-occidentale, presenta un assetto idrogeologico costituito da un acquifero superficiale poco sfruttato e dal sottostante acquifero multistrato confinato (Amc). Quest’ultimo è caratterizzato da un primo orizzonte sabbioso (1° acquifero confinato in sabbie) e da un secondo orizzonte ghiaioso-ciottoloso (1° acquifero confinato in ghiaia). Il livello in ghiaie dell’acquifero multistrato della Pianura di Pisa, oggetto del presente lavoro di Tesi, che si trova in generale ad una profondità compresa tra 50 e 100 m sotto il livello del mare ed è spesso circa 10-20 m è costituito da ciottoli e ghiaie di dimensione e litologia diversa, in matrice sabbiosa e costituisce un acquifero confinato interessato da numerosi pozzi di emungimento. Esso contiene certamente una delle principali risorse idriche per approvvigionamento idropotabile, industriale e agricolo, sebbene, in diversi casi, l’acqua non sia di ottima qualità. Il chimismo di tale acquifero si lega anche alla problematica dell’intrusione marina: recenti studi (Butteri et al., 2010; Cignoni, 2012; Neri 2014), effettuati nelle acque dei pozzi presenti nella zona, hanno evidenziato tale caratteristica, soprattutto nell’area di Tirrenia-Calambrone, dove una ingressione di acqua di mare influirebbe notevolmente sulla qualità delle acque dell’acquifero con importanti conseguenze per le aziende agricole e per tutte le realtà produttive presenti nell’area, che sfruttano tale risorsa, nonché per la sopravvivenza e la diffusione di numerose specie animali e vegetali presenti nel Parco.

Nell’ambito del presente lavoro di Tesi sono state effettuate due campagne di misura nei mesi di Settembre 2013 e Febbraio 2014: i punti d’acqua analizzati sono 40 pozzi, 11 piezometri e due punti di misura per le acque superficiali, uno per il Fiume Arno e l’altro per il Canale Scolmatore. In ognuno di questi è stato misurato il livello piezometrico (livello idrometrico per i corsi d’acqua) e, tramite il campionamento delle acque, sono state effettuate le misure (in situ) di conducibilità elettrica (C.E.), pH e temperatura. Per la campagna di Settembre 2013 è stata svolta

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anche l’analisi chimica dei campioni d’acqua presso il Laboratorio di Chimica delle Acque del CNR di Pisa. A partire dalla rielaborazione dei dati sono stati costruiti dei diagrammi classificativi che hanno permesso di riconoscere le facies idro-chimiche presenti ed eventuali mescolamenti tra le varie componenti che entrano in gioco nel sistema, tra cui l’acqua di mare. Lo scopo della Tesi è in particolare lo studio dell’acquifero confinato in ghiaie, inquadrato nel contesto idrogeologico della Pianura costiera Pisana, sotto l’aspetto idrogeologico e idro-geochimico, al fine di valutare i rapporti tra le acque superficiali e quelle sotterranee ed il loro interessamento da parte dell’ingressione marina. L’insieme dei risultati sarà una risorsa fondamentale per il controllo qualitativo e quantitativo della risorsa idrica con l’obiettivo di evitare, o quantomeno ridurre, eventuali danni ambientali causati dal sovrasfruttamento o da interventi, non idonei, sul territorio.

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2. INQUADRAMENTO DELL’AREA DI STUDIO

2.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

La Pianura di Pisa si trova nel settore litoraneo nord-occidentale della Toscana, copre una superficie di circa 450 Km2 ed è compresa fra 43°35’00” e 43°40’44” di latitudine nord e fra 10°17’40” e 10°26’37” di longitudine est (www.regionetoscana.it).

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L’area oggetto di studio di questa Tesi è ubicata nella fascia costiera della Pianura Pisana e risulta delimitata a nord dal Fiume Arno e a sud dal Canale Scolmatore (Fig. 2.1b).

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Dal punto di vista amministrativo, l’area di studio comprende per la maggior parte il territorio di competenza del Parco di Migliarino-S. Rossore-Massaciuccoli (Fig. 2.1c), istituito dalla Regione Toscana con la legge regionale n. 61 del 13/12/1979; esso ha una lunghezza lungo la fascia litoranea di 32 km e, nell’entroterra, arriva fino alle falde dei Monti Lucchesi e Pisani, allargandosi in distese pianeggianti fino allo scolmatore dell’Arno, ai confini amministrativi tra Pisa e Livorno. La superficie complessiva del Parco è di 23.114 ettari: 5.846 ettari costituiscono la Tenuta di San Rossore, 780 ettari la Macchia Lucchese, 3.705 ettari la zona del Lago di Massaciuccoli e 3.776 ettari la Macchia di Migliarino.

Il Piano Territoriale del 1986 ha destinato 2.234 ettari all’allagamento; cioè a settori adibiti al rispristino di specchi d’acqua per la rinaturalizzazione dei terreni più depressi.

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2.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’AREA

Gli acquiferi della fascia costiera pisana, fanno parte dello strato sommitale di un complesso apparato deposizionale, che costituisce il riempimento post-orogenico di una struttura a graben, denominata Bacino Versiliese-Pisano, che si estende dalla foce del Fiume Magra ai dintorni di Pisa e Livorno (Mazzanti & Pasquinucci, 1983; Federici, 1993).

Tale struttura consiste in una depressione tettonica di forma sub-triangolare allungata, orientata NW-SE e delimitata ad Est dalle Alpi Apuane, dai Monti d’Oltre Serchio e dai Monti Pisani, ad Ovest dalla dorsale di Viareggio, sommersa dal mare, ed a Sud dai Monti Livornesi e quelli di Casciana Terme. Questa depressione tettonica, il cui sprofondamento nella parte assiale e centrale (zona di Viareggio), iniziato nel Miocene superiore, è valutato in circa 3.000 metri (Tongorgi, 1978), è stata successivamente colmata da sedimenti detritici incoerenti di origine marina, marino-transizionale e continentale, in quest’ultimo caso derivanti principalmente dai bacini dei fiumi Magra, Serchio ed Arno. Il substrato litoide di tale depressione è costituito da formazioni della successione toscana e/o ligure, analoghe a quelle che si rinvengono nei Monti Pisani e su quelli d’Oltre Serchio (Giannini & Nardi, 1965; Rau & Tongiorigi, 1974).

Durante il Pleistocene medio, il carico solido proveniente dai corsi d’acqua, e quindi la costruzione delle pianure e dei litorali, sono stati fortemente influenzati dalle variazioni del livello marino, collegate con le vicende del glacialismo. Con la variazione negativa del Würm II, i depositi alluvionali del paleo-Serchio (a quel tempo confluente in Arno), danno origine ad un livello ciottoloso leggermente inclinato verso mare, posto ad una profondità circa compresa tra 40 e 60 metri sotto la piana di Pisa (Doveri et al., 2009).

Il ritiro del mare è seguito dal formarsi di notevoli complessi di dune, ad oggi rintracciate nel sottosuolo di Viareggio e Pisa ed affioranti con le loro culminazioni in sinistra dell’Arno e tra Arno e Serchio. Su questi depositi si accumularono successivamente limi fluvio-palustri, riconducibili ad una ridotta attività fluviale legata probabilmente sia alla cessazione dell’abbassamento eustatico del livello marino, sia ad un inaridimento del clima (Della Rocca et al., 1987) e infine, al di sopra dei limi fluvio-palustri si trovano le sabbie eoliche. Dopo l’acme della glaciazione würmiana il livello del mare inizia a salire (trasgressione versiliana), senza tuttavia mai oltrepassare quello attuale (Mazzanti, 1983). La trasgressione versiliana progredisce verso l’interno fino al II-I secolo a.C., dopodiché, sebbene il livello del mare continui lentamente e mediamente a salire, in tutto il litorale versiliese-pisano si verifica l’avanzamento delle spiagge. Questo fenomeno è determinato dall’aumento degli apporti solidi dei corsi d’acqua, ed in modo particolare dell’Arno, a sua volta favorito da alcune attività antropiche, come il notevole

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disboscamento e l’estensione delle pratiche agricole in seguito alla colonizzazione romana (Mazzanti & Pasquinucci, 1983). L’effetto combinato della formazione di dune e del progressivo innalzamento del livello marino, hanno impedito un agevole sbocco al mare dei corsi d’acqua, favorendo lo sviluppo di paduli e lagune e la deposizione di sedimenti fini con presenza di torba e lignite (Fancelli, 19849. L’esempio più significativo di questo tipo di morfogenesi costiera è rappresentato dal Lago di Massaciuccoli e dalle zone acquitrinose ad esso adiacenti, attualmente in buona parte drenate da canali artificiali.

Il meccanismo di accrescimento del litorale è avvenuto attraverso la formazione di barre parallele che, inizialmente sommerse, venivano col tempo ad emergere in lunghi lidi paralleli alla linea di riva, che separavano strette lagune interdunali o più ampi specchi d’acqua retrodunali, che hanno permesso la deposizione di modesti livelli limosi con intercalazioni torbose. L’emersione dei lidi, favorendo l’accumulo delle sabbie trasportate dal vento, ha contribuito poi alla formazione di cordoni di dune e alla trasformazione delle lagune in paludi, con il conseguente ampliamento delle terre emerse.

L’evoluzione paleogeografica della Pianura Versiliese-Pisana ha in definitiva determinato la formazione di un apparato deposizionale composito, costituito da sedimenti alluvionali e palustri di varia granulometria (da ciottoli e ghiaie a limi con torbe e argille), da sedimenti eolici (essenzialmente sabbie) e da sedimenti marini e marino-transizionali (sabbie, sabbie-limose, limi e limi argillosi), poggianti sul substrato roccioso pre-messiniano; nello schema geologico di Fig. 2.2a sono rappresentati i suddetti complessi litologici ordinati secondo la loro sovrapposizione geometrica (Baldacci et al.,1994).

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Figura 2.2a - Schema geologico delle pianure di Pisa e Lucca (da Baldacci et al., 1994; modificato).

Legenda: 1) Depositi continentali e litoranei: a - Depositi alluvionali ed eolici olocenici; b - Depositi eolici e fluvio-colluviali (Pleistocenen sup.); 2) Depositi alluvionali e fluvio-lacustri (Rusciniano ? - Pleistocene medio); 3) Depositi marino-transizionali (Pleistocene inf.-medio e Pleistocene inf.); 4) Depositi marini e continentali (Miocene sup.); 5) Unità liguri indifferenziate; 6) Unità toscane non metamorfiche (Falda Toscana): a - Complesso preflysch-flysch arenaceo Scaglia-Macigno (Cenomaniano-Oligocene); b - Gruppo delle formazioni mesozoiche calcareo-marnose (Trias sup. -Cretaceo inf.); 7) Unità toscane metamorfiche dei Monti Pisani: a - “Copertura” calcareo-silicea (Trias sup. - Terziario); b - Complesso filladico quarzitico comprendente il “basamento” toscano e la sua copertura terrigena (Verrucano s.l.; Paleozoico-Trias medio); 8. Faglie dirette e loro prosecuzione o sepolte (trattini sul blocco abbassato); 9. Isobate del tetto del substrato pre-messiniano (in metri sotto il livello del mare - Ghelardoni et al., 1968); 10. Depositi marino-transizionali e continentali, neogenici e quaternari, indifferenziati (sezioni).

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Per quanto riguarda specificatamente la fascia costiera che orla la pianura pisana, viene riportata in Fig. 2.2b la carta geologica della pianura di Pisa elaborata a partire dalla cartografia geologica esistente alla scala 1:10.000, relativa alla Regione Toscana; in Fig. 2.2c è riportata la legenda della carta geologica di Fig. 2.2b.

Per un’analisi di dettaglio dell’area, si riporta una descrizione dei litotipi del sottosuolo della pianura pisana.

Depositi di spiaggia. I sedimenti delle spiagge attuali sono costituiti in generale da sabbie fini,

mentre i sedimenti di battigia sono leggermente più grossolani (sabbie medie). I sedimenti più distanti dalla linea di battigia sono da considerare di origine eolica viste le loro dimensioni e la loro elevata classazione.

Per quanto riguarda invece la variazione granulometrica nel senso parallelo all’andamento della spiaggia, da studi sedimentologici (Pranzini, 1996) è stata verificata una evidente riduzione della dimensione dei clasti a partire dalla foce dell’Arno e procedendo verso Livorno. A nord della foce dell’Arno le dimensioni dei granuli sembrano invece più grossolane.

A sud della foce dell’Arno, i sedimenti sabbiosi delle spiagge attuali si trovano a partire da Calambrone fino all’abitato di Tirrenia mentre a nord di quest’ultima, la costa è soggetta a fenomeni erosivi ed è quindi protetta da opere di difesa trasversale o longitudinali in prossimità delle quali non è presente o è molto scarso un accumulo di sedimenti.

A nord della foce dell’Arno, le spiagge attuali aumentano la loro entità procedendo da sud verso nord in quanto i fenomeni erosivi raggiungono la massima intensità in prossimità del delta dell’Arno che è attualmente in fase di smantellamento. In tutto il litorale pisano i sedimenti di spiaggia attuali sono comunque alimentati prevalentemente da materiali trasportati dall’Arno.

Depositi alluvionali attuali (Olocene). Sono i depositi dei letti fluviali attuali, soggetti ad

evoluzione, attraverso processi fluviali ordinari, costituiti da sabbie, limi e ghiaie. Per quanto riguarda l’Arno si tratta di sedimenti a granulometria variabile da limo-argillosa a sabbiosa in rapporto all’energia delle acque che li hanno deposti.

Depositi eolici (Olocene). I depositi sabbiosi si trovano lungo una fascia della larghezza di circa

7 km posta in direzione nord-sud che separa la pianura alluvionale di Pisa dal mare. Tale disposizione spaziale rappresenta gli antichi andamenti del litorale che è andato espandendosi fino al secolo scorso.

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I lidi e le dune litoranee sono costituiti da depositi sabbiosi su cui prevalgono composizionalmente i granuli quarzosi. Tali sabbie si presentano sciolte in superficie e mediamente addensate in profondità.

I lidi, chiamati localmente “Cotoni”, non raggiungono quote molto elevate. Corrispondono a barre emerse per sovraccumulo di sedimenti trasportati dall’azione marina litoranea, scaricati sulle spiagge dalle onde e, in tempi successivi, stabilizzati dalla vegetazione (Mazzanti, 1994). Le dune sabbiose, dette “Tomboli”, si sono formate invece in seguito ad accumuli di origine eolica. Si presentano mediamente più elevate rispetto ai lidi ed hanno una forma allungata prevalentemente nel senso del litorale. In generale la loro formazione è legata al prevalere di un vento costante ed hanno per questo un profilo asimmetrico che rimane visibile dove non è stato alterato dall’azione antropica.

Depositi palustri (Olocene). I sedimenti interdunali presentano un andamento parallelo ai lidi e

sono stati deposti nelle depressioni comprese tra i lidi e le dune. Anche questi terreni, come quelli precedentemente descritti, si sono originati in prossimità di linee costiere dei secoli scorsi e di conseguenza sono costituiti da depositi sabbiosi in particolare arricchiti della frazione più fine.

Nelle aree interdunali, in quanto morfologicamente depresse, si sono verificati ristagni d’acqua nei periodi di maggiore piovosità. Di conseguenza, in queste zone si è spesso notevolmente sviluppata una vegetazione igrofila, la cui alterazione ha dato origine a depositi organici e torbosi negli strati più superficiali di terreno.

Depositi prevalentemente limoso-argillosi, talvolta con abbondanza di materiale organico, affiorano nelle aree occupate dal Padule di Coltano. Si tratta di zone soggette a periodiche sommersioni o, comunque, soggette a opere di bonifica relativamente recenti.

Depositi alluvionali recenti, terrazzati e non terrazzati. Sono riconducibili a depositi di piana

alluvionale, costituiti prevalentemente da ciottolati in matrice limoso-sabbiosa, ghiaie, sabbie e limi talora variamente pedogenizzati.

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Fig. 2.2b - Carta geologica realizzata sulla base del Continuum Territoriale Geologico della Regione Toscana.

Fig. 2.2c - Legenda relativa alla carta geologica.

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2.3 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

La morfogenesi del tratto di fascia costiera in esame, che fa parte del più esteso litorale apuo-versiliese-pisano, è il risultato del complesso equilibrio tra le dinamiche litoranea, eolica e fluviale (Baldacci et al., 2008).

La pianura pisana è costituita fondamentalmente da un ventaglio di terreni degradanti verso il mare, che partono dai piedi delle Alpi Apuane meridionali e dai Monti Pisani e si allargano verso il mare, da Torre del Lago fino a Livorno.

La pianura di Pisa ha subito, fin dall’epoca romana e successivamente nel corso dei secoli, profonde modificazioni del paesaggio naturale, collegate soprattutto alle grandi opere di bonifica e di sistemazione idraulico-agraria che hanno reso il sistema di drenaggio nella pianura quasi del tutto artificiale. Come caratteristica morfologica fondamentale emerge la superficie pianeggiante, che dai 15 metri s.l.m. delle zone più interne (Pontedera) passa a quote medie intorno ai 2-3 metri delle dune litorali, attraversando tratti con quote inferiori al livello marino. In alcune circostanze si può avere ristagno di acqua con tendenza alla formazione di nuove aree paludose, nonostante tutte le opere di bonifica succedutesi nel corso dei secoli e tutt’ora in atto (Mazzanti, 1994). L’intera pianura ha una debolissima pendenza media dello 0,05%, verso sud/sud ovest. La parte interna della pianura di Pisa, originata essenzialmente dai depositi alluvionali dei sistemi idrografici dell’Arno e del Serchio, è separata dal mare da una fascia costiera, estesa verso l’interno per circa 7 km all’apice del delta dell’Arno e comunque non minore di 4 km, di un alternarsi di sedimenti sabbiosi e limo-argillosi, corrispondenti ad un complesso sistema olocenico di lidi e di dune litoranei e alle lagune e paludi (lame) rispettivamente retrostanti (Mazzanti & Rau, 1994); nella piana alluvionale si trovano inoltre zone depresse, un tempo occupate da stagni ed acquitrini palustri e in parte attualmente prosciugate con opere di bonifica, situate sia nella fascia pedemontana dei M. Pisani, sia a margine dei depositi di esondazione prossimali, più grossolani. La continuità del sistema dunare è interrotta dai depositi alluvionali del Serchio e dell’Arno stessi, che vanno anche a interdigitarsi con quelli delle lame (Butteri, 2007).

Un importante ruolo morfogenetico è stato svolto dai cordoni di sabbia che, dapprima come barre sommerse o appena affioranti e poi come lidi, consentirono l’isolamento totale (con formazione di stagni) o parziale (con formazione di lagune) delle zone interne.

I lidi sono ben riconoscibili perché allineati secondo gli antichi andamenti del litorale (Mazzanti et al., 1984), dividendo l’area planiziale da quella più propriamente marina. Detti localmente “cotoni”, essi sono poco elevati e si sono formati nel tempo, sia in relazione ai cambiamenti del

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livello marino medio dovuti ai fenomeni glacio-eustatici (Della Rocca et al., 1987), sia a causa del sovraccumulo di sedimenti trasportati dalla deriva litoranea, scaricati sulle spiagge dal getto di riva e successivamente stabilizzati dalla vegetazione (Mazzanti & Rau, 1994). Le zone interne di cui si è detto sopra hanno costituito una fascia depressa, una “lama” ancora allagata, ma poi progressivamente colmata in gran parte con sabbie strappate alle creste dei tomboli, divenuti nel frattempo vere dune.

Le dune sabbiose, dette “tomboli”, si sono formate invece in seguito ad accumuli di origine eolica. Si presentano mediamente più elevate (fino a 6-8 m di altezza) rispetto ai lidi ed hanno una forma allungata prevalentemente nel senso del litorale. In generale la loro formazione è legata al prevalere di un vento costante ed hanno per questo un profilo asimmetrico che rimane visibile dove non è stato alterato dall’azione antropica. Tali dune affiorano lungo il litorale Versiliese-Pisano, soprattutto nell’area di Marina di Vecchiano (Tenuta di S. Rossore), anche se ormai sono presenti solo come blande ondulazioni avendo subito smantellamenti dovuti all’azione dell’uomo. Le sabbie di duna più antiche, quelle del Pleistocene sup. (età tardo Wurmiane), sono più arretrate rispetto alle precedenti e si rinvengono in località Palazzetto e Coltano (Baldacci et al., 2008). Poiché il fenomeno dovette ripetersi più volte, ancora oggi si possono osservare tali antiche dune che accompagnano quasi ovunque la spiaggia, allineate in serie parallele con l’intermezzo di zone acquitrinose, le lame.

Le lame, con i loro depositi prevalentemente argillosi di origine palustre che si intervallano alle sabbie di duna recenti, occupano le depressioni interdunali, talora sommerse da acque salmastre. I maggiori di tali acquitrini sono presenti nella zona di S. Rossore, a nord della foce dell’Arno. L’esame delle tracce degli alvei fluviali abbandonati mostra una notevole quantità di queste morfologie; il percorso prefociale, attraverso la fascia costiera, del Serchio era in effetti molto più lungo, come attestato dai meandri che divagavano in tempi remoti alle spalle dei cordoni dunari litoranei. Il tratto terminale, mostra una marcata deviazione verso nord, da imputare al trasporto solido netto lungo la riva.

La spiaggia attuale ha un’ampiezza crescente allontanandosi dalla foce dell’Arno; raggiunge un massimo di circa 180 metri tra bocca di Serchio e il Fosso della Bufalina a nord e si estende invece per circa 100 metri a sud presso Calambrone. La tendenza generale del litorale pisano, iniziata ormai più di 100 anni fa, è di un netto arretramento, evidenziato tra Bocca di Serchio e Tirrenia e più marcatamente a Bocca d’Arno. Questa situazione critica è stata in parte contrastata mediante poderose e costose opere di difesa artificiale longitudinali e trasversali soprattutto nei pressi di Marina di Pisa e a nord del Porto di Livorno (Baldacci et al., 1994).

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Tra le cause che stanno determinando l’erosione del litorale pisano il Pranzini (2004) indica anche la graduale subsidenza delle aree di pianura e l’innalzamento del livello del mare, due fattori che provocano l’accentuazione dei processi erosivi. I depositi della pianura pisana che come detto sono costituiti da forti spessori di sedimenti molto compressibili limoso-argillosi ed anche torbosi, sono soggetti a progressiva compattazione per effetto della consolidazione indotta dai carichi litostatici, dalle variazioni dei livelli piezometrici per effetto degli emungimenti o dai carichi antropici. Ciò determina il graduale abbassamento (subsidenza) delle terre emerse e dei fondali rispetto al livello medio del mare in quanto i dislivelli non vengono più compensati da nuovi apporti di materiale sedimentario. Ciò favorisce un incremento della intensità dei fenomeni erosivi lungo la fascia litorale anche a causa della perdita verso mare, oltre la profondità di base del moto ondoso, dei sedimenti movimentati nel processo di deriva litoranea, che vengono reintegrati da nuovi materiali mobilizzati dalla costa (Pranzini, 2004), e quindi nelle zone costiere l’avanzamento del mare verso l’interno.

Diversa è invece la situazione fra Tirrenia e Calambrone e più a nord, fra Bocca di Serchio e il Fosso della Bufalina, dove si verifica un avanzamento del litorale. Come già accennato, la Pianura di Pisa continua verso nord nella bassa Versilia, restringendosi in corrispondenza del Lago di Massaciuccoli (di origine retrodunare) e del suo emissario Fosso della Bufalina.

Oltre ad esserci un limite geografico (Lago di Massaciuccoli e Fosso della Bufalina) anche dal punto di vista geomorfologico esistono delle differenze sostanziali più o meno a questa altezza. Infatti, tutta l’area della pianura pisana a sud di questo limite è attraversata dai due fiumi maggiori, Arno, Serchio e dai loro affluenti, con andamento trasversale, mentre quella a nord riceve solo piccoli torrenti che scendono dalle Alpi Apuane e, al suo vertice, dal Magra che percorre il bacino stesso con andamento longitudinale (Mazzanti, 1994). L’accumulo dei sedimenti all’interno della pianura pisana è, ed è stata, influenzata grandemente da questa disposizione dei fiumi alimentatori, da cui è risultato un riempimento maggiore nel settore meridionale, più direttamente rifornito dall’Arno e dal Serchio.

Tale situazione è stata favorita anche da movimenti tettonici che hanno portato ad una subsidenza maggiore nel settore sud della pianura (Boccaletti & Coli, 1985) per l’attivazione di faglie dirette a geometria listrica, le quali si mantennero attive fino almeno a tutto il Pleistocene inferiore (Della Rocca et al.; 1987); mentre per quanto riguarda la subsidenza, che senza dubbio è stata ed è ancora attiva nell’area più strettamente planiziale vanno riconosciuti i valori attribuibili a cause tettoniche, diagenetiche ed antropiche. I primi sono dell’ordine di grandezza di 1 mm all’anno per l’area centrale del bacino di Viareggio-Pisa (Tongiorgi, 1978). I valori della subsidenza di origine diagenetica sono stati stimati tra 2 e 4 mm all’anno nei dintorni di

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Stagno (Tongiorgi, 1978) sulla base delle stratigrafie quotate dei sedimenti olocenici di una serie di pozzi della zona (Galletti Fancelli, 1978). I valori della subsidenza dovuta alle attività umane, in prevalenza grandi emungimenti d’acqua, sono stati misurati sino ad 1 cm all’anno nella Tenuta Salviati e a Coltano (Palla, 1978) e, comunque, sono presenti con entità notevoli in tutta la pianura di Pisa.

A nord-est l’area è delimitata dalla pronunciata dorsale dei Monti Pisani, che culmina alla quota di 917 metri del M. Serra, e dai Monti d’Oltre Serchio, con quote massime intorno ai 200 metri separati fra loro dalla stretta Valle di Ripafratta. La fascia pedemontana presenta caratteri di sovralluvionamento dovuti a più fasi di innalzamento glacio-eustatico del livello marino, dove tratti con ripide pareti si alternano a zone meno acclivi che si raccordano dolcemente con la pianura attraverso estesi apparati alluvionali (coni di deiezione e/o terrazzati). A est dei Monti Pisani si apre l’ampia Valle di Bientina, un tempo percorsa dal paleo-Serchio e poi occupata in parte dall’ex Lago di Bientina, ad est della quale si ritrovano i rilievi delle Cerbaie, costituiti al livello sommitale da terreni del Pleistocene Medio (Bartolini & Pranzini, 1980). L’ex Lago, originato dallo sbarramento creato dalle alluvioni dell’Arno, è stato definitivamente prosciugato nel 1859 (Federici, 1988) grazie alla realizzazione di un sistema di canali che raccoglie le acque nel Canale Emissario di Bientina e le convoglia nel Canale Arnaccio, che a sua volta le porta a defluire in mare a Calambrone. Infine, verso sud, il limite fisiografico della pianura è delimitato dalle Colline Pisano-Livornesi, costituite da depositi eolici e fluvio-palustri del Pleistocene superiore e originatisi quindi dall’iniziale accumulo eolico e dalla successiva erosione fluviale (Marroni, 1990).

La Fig. 2.3a, che rappresenta le principali forme presenti nella fascia costiera della pianura pisana, è stata ottenuta dalla sovrapposizione georeferenziata tra un’immagine satellitare (Google Earth 2007) e gli elementi geomorfologici tratti dalla cartografia esistente alla scala 1:10.000, relativa alla Provincia di Pisa (Casarosa & Putzolu, 2005).

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2.4 EVOLUZIONE PALEOGEOGRAFICA DELLA PIANURA PISANA

Fig. 2.4a - Bacini Plio-Quaternari in Toscana (da Bartolini et al., 1982). a - elementi longitudinali a direzione NW-SE; b - elementi trasversali a direzione NE-SW.

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La genesi della pianura costiera della Toscana nord-occidentale è legata alla tettonica estensionale del periodo tardo Miocene-Pleistocene, che ha dato origine, in tutto il territorio regionale, a morfostrutture negative alternate ad alti morfostrutturali. Tale alternanza si è generata dalla combinazione di due tipi principali di elementi lineari (Bartolini et al., 1982; Boccaletti & Coli, 1983):

a) elementi longitudinali a direzione NW-SE; b) elementi trasversali a direzione NE-SW.

I primi elementi hanno il carattere di faglie dirette ed agiscono in regime di distensione, mentre i secondi rappresentano strutture trasversali con caratteri di trascorrenza che determinano evidenti discontinuità in senso longitudinale, separando settori ad evoluzione tettonica e paleogeografica diversa (vedi Fig. 2.4a).

La struttura a graben che comprende l’area di studio, denominata Bacino Versiliese-Pisano (B.V. in Fig. 2.4a), si estende dalla foce del Magra ai dintorni di Pisa e di Livorno.

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Tale struttura consiste in una depressione tettonica di forma sub-triangolare allungata (Fig. 2.4b), orientata NW-SE e delimitata ad est dalle Alpi Apuane, dai Monti d’Oltre Serchio e dai Monti Pisani, ad ovest dalla dorsale di Viareggio, sommersa dal mare, ed a sud dai Monti Livornesi e quelli di Casciana Terme (Mazzanti & Pasquinucci, 1983). Questa depressione tettonica, il cui sprofondamento nella parte assiale e centrale (zona di Viareggio), iniziato nel Miocene superiore, è valutato in circa 3000 metri (Tongiorgi, 1978), è stata successivamente colmata da sedimenti detritici incoerenti di origine marina, marina-transizionale e continentale, in quest’ultimo caso derivanti principalmente dai bacini dei fiumi Magra, Serchio ed Arno. Il substrato litoide di tale depressione è costituito da formazioni della Successione Toscana e/o Ligure, analoghe a quelle che si rinvengono sui Monti Pisani e sui Monti d’Oltre Serchio (Giannini & Nardi, 1965; Rau & Tongiorgi, 1974). A partire dal Pleistocene medio-superiore, ovvero una volta raggiunta la depressione versiliese-pisana, anche il Fiume Arno fornisce importanti apporti di sedimenti, in particolare provenienti dalla Garfagnana per mezzo del paleo-Serchio che raggiungeva l’Arno stesso attraverso la depressione di Bientina (Mazzanti & Pasquinucci, 1983).

Durante il Pleistocene medio, il carico solido proveniente dai corsi d’acqua e quindi la costruzione delle pianure e dei litorali sono stati fortemente influenzati dalle variazioni del livello marino, collegate con le vicende del glacialismo. Con la variazione negativa risalente al Wurm II, i depositi alluvionali del paleo-Serchio (a quel tempo confluente nell’Arno), danno origine ad un livello ciottoloso leggermente inclinato verso mare, posto ad una profondità circa compresa tra 40 e 60 metri sotto la Piana di Pisa. Il ritiro del mare era seguito dal formarsi di notevoli complessi di dune, ad oggi rintracciate nel sottosuolo di Viareggio e Pisa ed affioranti con le loro culminazioni a Coltano, Castagnolo (in sinistra dell’Arno) e Palazzetto (in destra dell’Arno, nelle vicinanze del Serchio). Su questi depositi si accumularono successivamente limi fluvio-palustri, riconducibili ad una ridotta attività fluviale legata probabilmente sia alla cessazione dell’abbassamento eustatico del livello marino, sia ad un inaridimento del clima (Della Rocca et al., 1987) e infine, al di sopra dei limi fluvio-palustri, si trovano le sabbie eoliche. Terminata la glaciazione wurmiana, il livello del mare iniziò a salire durante la fase di trasgressione denominata trasgressione versiliana, senza tuttavia mai oltrepassare il livello attuale (Mazzanti, 1983). La trasgressione è progredita verso l’interno fino al II-I secolo a.C., dopodiché, sebbene il livello del mare sia lentamente e mediamente continuato a salire, in tutto il litorale versiliese-pisano si è verificato l’avanzamento delle spiagge (Mazzanti & Pasquinucci, 1983). Questo fenomeno fu determinato dall’aumento degli apporti solidi dei corsi d’acqua, ed in modo particolare dell’Arno, a sua volta favorito da alcune attività antropiche, come il notevole

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disboscamento e l’estensione delle pratiche agricole in seguito alla colonizzazione romana (Mazzanti & Pasquinucci, 1983). I depositi fini (sabbie, limi e argille) portati dall’Arno, poiché facilmente trasportabili dalla deriva marina, hanno di fatto liberato la linea di riva dalla stretta dipendenza dal piede delle Alpi Apuane, dei Monti d’Oltre Serchio e dei Monti Pisani, nonché dai coni di deiezione agli sbocchi dei torrenti da essi discendenti. Il meccanismo di accrescimento del litorale è avvenuto attraverso la formazione di barre parallele che, inizialmente sommerse, venivano col tempo ad emergere in lunghi lidi paralleli alla linea di riva, che separavano strette lagune interdunali o più ampi specchi d’acqua retrodunali, che hanno permesso la deposizione di modesti livelli limosi con intercalazioni torbose. L’emersione dei lidi, favorendo l’accumulo delle sabbie trasportate dal vento, ha contribuito poi alla formazione di cordoni di dune e alla trasformazione delle lagune in paludi, con il conseguente ampliamento delle terre emerse. L’esempio più significativo di questo tipo di morfogenesi costiera è rappresentato dal complesso del Lago di Massaciuccoli e delle zone acquitrinose ad esso adiacenti, attualmente in buona parte drenate da canali artificiali. Quest’ultima fase di progradazione verso ovest della pianura è continuata, probabilmente con una decelerazione nell’alto Medioevo, fino verso la metà del secolo scorso (Mazzanti e Pasquinucci, 1983) quando la tendenza evolutiva del sistema litorale è stata invertita nuovamente per i mutati interventi antropici indirizzati all’ampio sfruttamento dei materiali detritici fluviali: prima per colmare le paludi e, in seguito, come materiali da costruzioni.

Se le variazioni climatiche e gli interventi antropici hanno causato le più ampie ed evidenti mutazioni nella posizione e nelle tendenze evolutive del litorale, con relative implicazioni su tutta la fascia più occidentale della pianura di Pisa, esse non sono rimaste estranee dall’influenzare anche gli altri settori.

Dalle stratigrafie del sottosuolo di questa pianura (Mazzanti e Rau, 1994) si può trarre che i materiali clastici grossolani, indicanti una intensa attività di trasporto fluviale concomitante con la presenza di superfici montane dei bacini imbriferi afferenti, ampiamente libere di boschi e soggette ad intensa erosione, caratteristiche di un clima glaciale, si trovano solo a profondità dai circa -20 m rispetto al livello del mare nel sottosuolo di Calcinaia ai circa -55 m nel sottosuolo di Stagno. Al di sopra i sedimenti della pianura sono composti di materiali detritici fini (sabbie, limi e argille) che risalgono ampiamente anche le valli incise nel Monte Pisano presentanti in affioramento i loro coni di deiezione pleistocenici conglomeratici solo nei tratti medio-superiori (per es. valli di Asciano, di Calci e di Buti). D’altra parte la scarsità di elementi clastici grossolani nei depositi dell’Arno e del Serchio deriva anche, e soprattutto, dal fatto che questi fiumi prima di giungere nella Pianura di Pisa attraversano ampie conche lacustri (o ex lacustri)

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che costituiscono delle “trappole di accumulo” per questo tipo di depositi. La grande quantità di ciottoli del pleistocenico Conglomerato dell’Arno e Serchio da Bientina del sottosuolo della Pianura di Pisa va considerata quindi indicativa di un periodo climatico particolarmente umido ma anche molto freddo, tale cioè da avere provocato la mancanza del bosco su gran parte dei versanti più elevati del Monte Pisano che ha fornito la maggioranza dei materiali clastici per quella formazione sedimentaria.

Con l’Olocene, Arno e Serchio hanno riversato nella Pianura di Pisa quasi esclusivamente sedimenti fini mentre i corsi d’acqua minori provenienti dai Monti Pisani, che si ammantavano di boschi fino alle vette, e quelli provenienti dalle Colline Pisane, argillose e sabbiose, non hanno rappresentato che un contributo del tutto minore alla formazione della pianura. È prova di ciò il fatto che i profili trasversali di quest’ultima mostrano spesso quote più basse al piede del Monte Pisano e delle Colline Pisane che non in vicinanza del corso attuale o degli antichi corsi abbandonati dell’Arno, come è già stato fatto notare da Targioni Tozzetti (1768-79). Questa situazione, unita alla presenza delle “barriere” verso mare rappresentate dai lidi e dune litoranee, ha presentato da sempre grosse difficoltà al drenaggio delle acque superficiali della pianura. Difficoltà aumentate dalla costruzione di potenti arginature dei corsi d’acqua principali allo scopo di difendere i centri abitati dalle esondazioni.

I depositi marini, transizionali e continentali, che hanno colmato l’antica depressione tettonica (“Bacino Pisano-Versiliese”) dando origine alla pianura pisana, sono delimitati e poggiano sugli stessi complessi litologici affioranti sui rilievi montuosi che la racchiudono; nello schema geologico di Fig. 2.4c sono rappresentati i suddetti complessi litologici ordinati secondo la loro sovrapposizione geometrica (Baldacci, 1994); nella parte sommitale di tale successione di depositi post-orogenici ha sede la struttura acquifera oggetto di questo studio.

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Fig. 2.4c - Schema geologico delle pianure di Pisa e di Lucca (da Baldacci et al., 1994; modificato). 1. Depositi continentali e litoranei: a Depositi alluvionali ed eolici olocenici; b - Depositi eolici e fluvio-colluviali (Pleistocene sup.); 2. Depositi alluvionali e fluviolacustri (Rusciniano ? - Pleistocene medio); 3. Depositi marino-transizionali (Pliocene inf.-medio e Pleistocene inf.); 4. Depositi marini e continentali (Miocene sup.); 5. Unità liguri indifferenziate; 6. Unità toscane non metamorfiche (Falda Toscana): a - Complesso preflysch-flysch arenaceo Scaglia-Macigno (Cenomaniano-Oligocene); b - Gruppo delle formazioni mesozoiche calcareoeo-marnose (Trias sup. - Cretaceo inf.); 7. Unità toscane metamorfiche dei Monti Pisani: a – “Copertura" calcareo-silicea (Trias sup. - Terziario); b - Complesso filladico-quarzitico comprendente il “basamento" toscano e la sua copertura terrigena (Verrucano s.l.; Paleozoico-Trias medio); 8. Faglie dirette e loro prosecuzione o sepolte (trattini sul blocco abbassato); 9. Isobate del tetto del substrato pre-messiniano (in metri sotto il livello del mare - Ghelardoni et al., 1968); 10. Depositi marino-transizionali e continentali, neogenici e quaternari, indifferenziati (sezioni).

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Nelle pagine seguenti (Fig. 2.3 d) vengono riportate 12 tavole numerate rappresentanti la ricostruzione dell’evoluzione paleogeografica e paleoidrografica del Valdarno inferiore partendo dalla situazione attuale ed andando a ritroso nel tempo fino al Miocene superiore (Federici, Mazzanti, 1988).

Fig. 2.4d (pagina a fronte e seguente) - Ricostruzione dell’evoluzione paleogeografica e paleoidrografica del Valdarno inferiore (modificata da Federici, Mazzanti, 1988).

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2.4 IDROGRAFIA

La massima parte delle acque superficiali in circolazione nella pianura di Pisa è costituita dai deflussi dei fiumi Serchio e Arno: il primo lambisce questa pianura a settentrione, l’altro la suddivide in due.

Il Serchio è alimentato da un bacino imbrifero di 1400 km2, sul quale le precipitazioni sono particolarmente abbondanti (ex Ufficio Idrografico e Mareografico di Pisa, vari anni). Questo fiume abbandona le sue aspre vallate montane poco prima di Lucca e fa il suo ingresso nella pianura litoranea quando oltrepassa la stretta di Ripafratta; scorre, quindi, per qualche chilometro ai piedi del Monte Pisano, ma da Vecchiano in poi si dirige verso il mare, che raggiunge dopo circa 12 km (Baldacci et al., 1993). Nel bacino montano del Serchio esiste un complesso sistema di utilizzazioni delle acque per produzione di energia elettrica, che fa capo a undici invasi artificiali e a numerose centrali idroelettriche, grandi e piccole. Tale drastica forma di antropizzazione del Serchio si riflette sul regime dei deflussi, parecchio alterato rispetto alle condizioni naturali in dipendenza dalle portate di volta in volta utilizzate per la produzione di energia elettrica. Il deflusso annuo medio del Serchio alla foce è stimato in circa 1750 milioni di m3. In condizioni di regime naturale, questo fiume avrebbe una portata mensile massima di circa 100 m3/s in Dicembre ed una minima di 13 m3/s in Agosto, e trasporterebbe alla foce mediamente ogni anno circa 380 mila ton. di sedimenti, i quali contribuirebbero, molto più di ora, al ripascimento dei litorali (Cavazza, 1984). Poiché i serbatoi artificiali trattengono gran parte di tali sedimenti impedendo il loro deflusso verso il litorale, si stima che, allo stato attuale, non ne arrivino in mare più di 20 mila ton./anno (www.sir.toscana.it). Il valore massimo delle portate al colmo del Serchio può essere stimato alla foce in circa 1700 m3/s.

Molto più ampio e importante è il bacino dell’Arno, che si estende su circa 8200 km2

. Anche esso è sottoposto ad una forte antropizzazione, la quale influenza non tanto il regime delle portate, quanto la quantità e la qualità delle acque. Attualmente, la differenza tra il regime delle portate naturali e quello delle portate reali è modesta. Maggiore è, invece, l’influenza esercitata dalle prese di acqua per usi antropici e, soprattutto, dagli scarichi di tipo urbano, industriale e agricolo.

Per il primo di tali aspetti, si osserva che le acque sottratte annualmente all’Arno, e non più restituite, sono stimate per il bacino in 51 milioni di m3, pari ad una portata di 1,62 m3/s (Autorità di Bacino dell’Arno, 1985). I valori delle portate al colmo delle massime piene annuali, osservate dal 1924 ad oggi, si nota una certa periodicità con cui si verificano le piene più forti. In circa settanta anni di osservazioni, ci sono ben quattro piene con portate al colmo tra i 2200 ed i

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2300 m3/s (la piena del 1992 è molto inferiore per l’entrata in funzione dello Scolmatore). Piene con portate al colmo di tale ordine di grandezza, si ripetono, quindi, con tempo medio di ritorno di circa 20 anni.

Peraltro si nota anche una sensibile diminuzione delle portate al colmo di piena nell’ultimo ventennio, le quali raramente hanno superato i 1000 m3/s, grazie anche al ruolo che hanno avuto gli interventi antropici nel bacino imbrifero (Rapetti, Vittornini, 1994).

L’andamento meandriforme che caratterizza i fiumi Arno e Serchio è stato rettificato, con interventi compiuti tra il 1300 e il 1700; numerosi sono anche i paleo-meandri abbandonati presenti nella pianura, per effetto della naturale evoluzione di questo tipo di alveo fluviale. Tutti i corsi d’acqua della zona di studio, originati dai rilievi che circondano la pianura pisana, sono completamente canalizzati nei loro tratti finali e convogliati nella fitta rete di fossi e canali che una volta servivano, oltre che all’irrigazione, come forza motrice e come idrovie. Ne risulta quindi una rete idraulica piuttosto complessa che è il risultato di una elaborazione i cui inizi risalgono presumibilmente al periodo medievale. L’ampia valle di Bientina, un tempo percorsa dal paleo-Serchio, è attualmente drenata dal Canale Emissario di Bientina, collegato all’“Arnaccio”, che attraversa la pianura di Pisa andando a sfociare a sud di Tirrenia (Ceccarelli et al., 1994). Le acque provenienti dalla depressione di Fucecchio sono invece tutte raccolte nel Canale Scolmatore, che inizia subito a valle della confluenza dell’Era nel Fiume Arno e riceve le acque anche del Canale Usciana oltre che degli eventuali trabocchi dell’Arno; inoltre, quest’opera ha permesso che la maggior parte delle acque dei fossi di sinistra dell’Arno (ma anche quelli provenienti dalle Colline Pisane) potesse essere raccolta in esso e poi fatta defluire in mare. Anche le acque dei torrenti Zannone, Crespina, Orcina, Isola, Tavola, Tora e Tanna, sono tutte allacciate, attraverso tratti canalizzati, alla Foce di Calambrone. Infine, a nord dell’Arno, la Pianura di Pisa riceve le acque comprese fra i tratti sopraelevati di Arno e Serchio e drenate dal Fosso Maltraverso. Grazie alle opere di canalizzazione, sono state quasi del tutto eliminate le aree palustri che occupavano la fascia retrodunare a sud dell’Arno, anche se la debole pendenza della pianura, fa sì che in alcune zone si formino ancora aree paludose (zone di Castagnolo-Coltano) (Mazzanti, 1994).

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4. INQUADRAMENTO GENERALE DEL

COMPLESSO ACQUIFERO DELLE PIANURA PISANA

L’inquadramento idrogeologico di seguito effettuato è riferito alla sola Pianura Pisana essendo essa un’unità fisiografica a sé stante, nonché alla specifica zona presa in analisi in questa Tesi. Lo “Schema Idrogeologico della Pianura di Pisa” di Baldacci et al. (1994), riportato in Fig. 4a è delimitato dallo spartiacque morfologico dell’insieme di bacini fluviali che dai rilievi montuosi adiacenti, confluiscono direttamente nella Pianura di Pisa e nelle sue due appendici verso la Pianura di Lucca (Valli di Ripafratta e di Bientina). Tale spartiacque superficiale corre quasi completamente su rocce da impermeabili a scarsamente permeabili, in corrispondenza delle quali i suddetti autori assumono che esso coincida o mediamente corrisponda (come risultati di una compensazione tra opposti scostamenti) a quello sotterraneo.

Solo in due limitati tratti dove affiorano rocce carbonatiche, molto permeabili e sede di una intensa circolazione sotterranea profonda, si verificano apprezzabili discrepanze tra bacino idrografico ed idrogeologico. Il primo tratto si trova all’estremità sud-orientale del bacino, in corrispondenza dei Monti di Casciana Terme; questo rilievo costituisce infatti l’area di assorbimento dell’alimentazione locale (l’altra componente derivando da circuiti regionali, più profondi) delle sorgenti termo-minerali di Casciana Terme (Chiostri et al., 1969; Dal Piaz et al., 1950), situate nell’adiacente bacino del T. Casciana. Lo spartiacque idrogeologico è quindi interno rispetto a quello morfologico, determinando così una “uscita” sotterranea dal “Bacino della Pianura di Pisa”. Al contrario, si verificano “entrate” nel bacino stesso, provenienti dalla Valle del Guappero-Bacino del Fiume Serchio (Nardi et al., 1987).

Per i restanti affioramenti carbonatici (terminazione nord-occidentale dei Monti Pisani e Monti d’Oltre Serchio), gli scostamenti dello spartiacque superficiale da quello sotterraneo sono da considerare ininfluenti.

Lo spartiacque superficiale del “Bacino idrografico” preso in considerazione può dunque essere approssimato, per quasi tutto il suo perimetro, ad un “limite a flusso nullo”, analogamente alle sue due chiusure costiere, rispettivamente verso la Pianura versiliese (Fosso della Bufalina-Lago di Massaciuccoli) e il Terrazzo di Livorno; queste ultime sono infatti disposte circa parallelamente alle linee di flusso sotterraneo, dirette nell’insieme ortogonalmente alla linea di costa.

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Fig. 4 a - Limiti idrogeologici del Sap: a - Spartiacque superficiale, corrispondente mediamente a quello sotterraneo (“Limite a flusso nullo”), ad eccezione dei tratti “Es” ed “Us” (rispettivamente “Entrate” ed “Uscite” sotterranee); b - Bordo parallelo alle linee di flusso (“Limite a flusso nullo”); c - “Limiti a flusso imposto”, in entrata nel sistema: 1. Dati quantitativi; 2. Dati semi-quantitativi; d. “Limite a potenziale imposto”. Complesso acquifero della Pianura di Pisa: 1a. Depositi alluvionali prevalentemente limo-argillosi; localmente depositi fluvio-palustri e/o di colmata (con soprassegno); 1b. Depositi alluvionali prevalentemente sabbiosi e limosi; 2. Depositi eolici delle dune e dei lidi litoranei; 3. Depositi alluvionali di fondovalle, dei coni di deiezione e/o terrazzati, prevalentemente ghiaiosi-ciottolosi; 4. Depositi eolici e fluvio-colluviali. Rocce incassanti: 5. Successioni post-orogenetiche; 6. Unità strutturali pre-messiniane: a. Strutture carbonatiche pedemontane; b - Unità idrografiche; 7. Sorgenti fredde; 8. Sorgenti termominerali; 9. Traccia delle sezioni litostratigrafiche interpretative (tratta da Baldacci et al., 1994).

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4.1 CARATTERISTICHE IDROGEOLOGICHE

Gli acquiferi freatici della fascia costiera pisana, corrispondenti nel loro insieme al sistema dunare litoraneo, fanno parte dell’orizzonte sommitale di un complesso apparato deposizionale che costituisce il riempimento post-orogenico del bacino versiliese-pisano; nella successione stratigrafica di quest’ultimo sono rappresentati vari termini di sedimenti detritici incoerenti di varia natura ed origine, da continentale (fluviale, fluvio-lacustre, palustre ed eolica), a marino-transizionale ed a marina. Tali depositi sono in generale caratterizzati, oltre che da frequenti variazioni latero-verticali di facies, da granulometrie molto variabili, cui corrisponde un diverso grado di permeabilità primaria, fino al praticamente impermeabile; essi assumono quindi le differenti funzioni idrodinamiche di acquiferi (litologie ghiaiose e sabbiose), acquitardi (litologie sabbiose fini-limose) e acquicludi (litologie limo-argillose).

Le alternanze di strati a differenti proprietà idrauliche costituiscono pertanto, nel loro insieme, una composita struttura acquifera multistrato, incassata nel substrato roccioso del Bacino versiliese-pisano, nella quale risiedono falde a diversa tipologia, da quelle a pelo libero (acquiferi freatici superficiali), a quelle in pressione (acquiferi semi-confinati e acquiferi confinati). All’interno degli acquiferi freatici possono trovarsi falde sospese; si possono inoltre verificare casi di falde in pressione che, a causa di fenomeni di depressurizzazione dovuti ad eccessivi emungimenti, si trasformano, almeno localmente e/o temporaneamente, in falde a pelo libero. La ricarica superficiale e profonda dell’acquifero multistrato avviene in parte per infiltrazione diretta delle acque meteoriche, sia nel sistema dunare costiero che nelle conoidi pedemontane, in parte dalle rocce incassanti (in particolare da quelle carbonatiche, molto permeabili per fessurazione e carsismo), sul margine interno della piana costiera. Un ulteriore contributo alla ricarica può derivare dalle perdite di subalveo dei principali corsi d’acqua, nel caso in cui essi siano in collegamento idraulico con la falda freatica ed il loro livello idrometrico sia superiore a quello piezometrico (corsi d’acqua alimentanti).

Per una definizione delle condizioni idrogeologiche superficiali dell’area di studio compresa tra il Fiume Arno ed il Canale Scolmatore si riporta in Fig. 4.1b la carta della permeabilità (Butteri et al., 2009), elaborata a partire dalla cartografia geologica di base esistente alla scala 1:10.000 (Provincia di Pisa, 2005). La classificazione delle unità idrogeologiche affioranti è basata principalmente su una valutazione qualitativa della permeabilità, in funzione delle caratteristiche granulometriche dei vari terreni, legate a loro volta alla loro genesi. Le varie unità idrogeologiche, come riportato nella legenda, sono state classificate come acquiferi e acquitardi:

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Per acquifero si intende una unità litologica che permette dotata di porosità efficace e con buona continuità dei pori tali da consentire un buon immagazzinamento ed il passaggio dell’acqua, sia per effetto della gravità che per un gradiente di pressione;

Per acquiclude si intende una unità litologica dotata di porosità ma con pori molto piccoli, capace di contenere una certa quantità d’acqua ma prevalentemente di ritenzione e quindi non trasferibile;

Per acquitardo si intende una unità litologica a caratteristiche intermedie fra acquifero e acquiclude.

I depositi eolici delle dune e dei lidi litoranei, costituiti da sabbie medio-fini, ed i depositi di spiaggia attuale, costituiti da sabbie fini, sono stati classificati come acquiferi con grado di permeabilità medio; i depositi sabbiosi riconducibili alla presenza di alvei abbandonati ed i depositi delle Sabbie e Limi di Vicarello (questi ultimi affioranti in minima parte all’interno dell’area di studio) sono stati classificati come acquiferi con grado di permeabilità da medio a medio-basso. I depositi alluvionali di esondazione, costituiti da sabbie limose, sono dotati di permeabilità primaria di grado medio-basso. Gli unici affioramenti classificati come acquitardi sono i depositi limosi fluvio-palustri di interduna, retroduna e di colmata con grado di permeabilità basso.

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Fig. 4.1 b – Carta della permeabilità della zona compresa tra Fiume Arno e Canale Scolmatore (Butteri et al., 2009).

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4.2 IL SISTEMA ACQUIFERO DELLA PIANURA PISANA (Sap)

Nello studio di Baldacci et al. (1994), nel Sistema acquifero della pianura pisana (Sap) vengono distinti un Complesso acquifero della pianura pisana dove ha sede un Acquifero multistrato confinato (Amc), e le Strutture idrogeologiche “incassanti” che partecipano all’alimentazione dell’Amc ed in cui sono coinvolte le formazioni dei Monti Pisani e d’Oltre Serchio, delle Colline Pisane-Livornesi e delle Colline delle Cerbaie.

All’interno del Sistema acquifero, le falde dell’Amc vengono alimentate, sia dalle Strutture idrogeologiche “incassanti” (ricarica laterale e profonda), sia attraverso il Complesso acquifero della Pianura di Pisa (apparati detritico-alluvionali intra-pedemontani; cordoni dunari costieri e dune antiche; depositi eolico-fluviali della fascia pedecollinare meridionale); nel secondo caso la ricarica si effettua, oltreché per infiltrazione diretta delle acque meteoriche, dai corsi d’acqua e dalle loro falde di subalveo.

L’Arno e il Serchio, nella parte centrale della pianura (dove la copertura limo-argillosa raggiunge spessori fino a circa 50 metri), sono idraulicamente ben separati dalle falde confinate; si possono quindi ammettere soltanto limitati fenomeni di drenanza discendente originati dai due fiumi, dovuti alle attuali condizioni di depressione piezometrica.

Condizioni alquanto diverse si verificano nei tratti pedemontani e costieri dei suddetti corsi d’acqua, dove invece la copertura permeabile e semipermeabile dell’Amc ha spessori più limitati, e ciò potrebbe determinare più accentuati fenomeni di drenanza, verso le sottostanti falde confinate (Baldacci et al., 1994).

Il Complesso acquifero della pianura pisana può essere suddiviso in almeno due sottoinsiemi: l’acquifero superficiale, di tipo freatico, che si trova entro qualche metro di profondità dal piano campagna in terreni sabbioso-limosi, oltre che nelle sabbie lungo la costa; e l’acquifero profondo, sottostante, formato da più livelli di acquiferi contenuti in terreni sabbiosi e ghiaiosi e che per questo è stato denominato “Acquifero multistrato confinato” (Baldacci et al., 1994). Le condizioni idro-stratigrafiche della pianura pisana si possono riassumere in questo modo:

Acquifero superficiale: è l’orizzonte che costituisce la copertura del sistema acquifero confinato; esso è costituito da terreni a bassa permeabilità, con la presenza di un insieme di corpi lenticolari, o comunque discontinui, a permeabilità maggiore di quella dei terreni circostanti. Le falde freatiche che sono contenute in questo orizzonte, sono alimentate direttamente dalle precipitazioni e dallo scambio idrico con la rete idrica minore. In tutto il territorio della pianura pisana la falda superficiale si trova a qualche metro di

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profondità, anche se in alcuni casi affiora addirittura in superficie formando piccoli specchi d’acqua. Presso le sabbie dunari la falda è in contatto con le acque marine.

Acquifero multistrato confinato (Amc): l’acquifero multistrato presente nel sottosuolo della pianura pisana, è suddivisibile in due acquiferi distinti:

- “Primo acquifero confinato in sabbie”  questo orizzonte prevalentemente sabbioso, si estende su gran parte della pianura di Pisa. Ha spessori molto variabili, con massimi intorno a 13 m in corrispondenza degli apparati dunari più antichi (come Coltano e Castagnolo). La profondità del tetto di questo acquifero si individua a profondità variabile intorno ai 20-30 m a sud dell’Arno, si approfondisce fino a 50-60 m nella zona di Pisa, mentre più a nord risale a profondità minori (Baldacci et al., 1994). In corrispondenza del margine nord-orientale della pianura i livelli acquiferi sabbiosi, essendo collegati ai coni detritico-alluvionali situati alla base dei Monti Pisani, ricevono un contributo di acque dalla circolazione idrotermale. Spostandoci dall’entroterra della pianura verso l’area costiera, in prossimità di quest’ultima l’acquifero confinato in sabbie diviene freatico poiché è collegato al sistema dunare, che svolge la funzione di area di ricarica diretta.

- “Primo acquifero confinato in ghiaie”  tale sistema acquifero ha sede invece nei

Conglomerati dell’Arno e del Serchio, costituiti da depositi clastici (ciottoli di anageniti, quarziti, calcari bianchi e grigi con liste di selce, ad elevata permeabilità) originatisi in ambiente fluviale (alvei tipo fiumara) durante gli spostamenti degli antichi corsi dell’Arno e del Serchio (Della Rocca et al., 1987). L’origine alluvionale determina una certa discontinuità dei livelli ghiaiosi nella rappresentazione bidimensionale, che non esclude però possibili collegamenti idraulici tra loro nella terza dimensione e con il fondo marino, in particolare in corrispondenza delle foci del paleo-Serchio. La sua profondità varia dai 20 ai 40 metri, al piede delle Colline Pisane, fino a 100-170 metri andando verso nord-nordest, dove l’acquifero diventa più discontinuo. La ricarica della falda acquifera che risiede nelle ghiaie avviene attraverso i rilievi di Vicarello, i corpi ghiaiosi intra-pedemontani dei Monti Pisani e le alluvioni della valle di Bientina (Baldacci et al., 1994).

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Queste due suddivisioni nascono dallo studio di precedenti lavori riguardanti il sottosuolo della Pianura di Pisa (Baldacci et al., 1994; Baldacci, 1999; Rossi & Spandre, 1994, 1995; Frondini et al., 2001; Grassi & Cortecci, 2005). É da mettere in evidenza che questi corpi idrici (se pur differenziati fra di loro) non corrispondono a due limiti fisici che caratterizzano due acquiferi ben definiti, ma ad una pluralità di corpi permeabili più o meno continui, sfalsati in alcuni casi sia in senso orizzontale che in senso verticale.

4.3 STUDIO DEL PRIMO ACQUIFERO CONFINATO IN GHIAIE

Il primo acquifero confinato in ghiaie, contenuto nei livelli clastici dei “Conglomerati dell’Arno e del Serchio da Bientina”, rappresenta la risorsa idrica più importante della pianura pisana sia per la sua buona produttività che per la qualità delle acque fornite.

È formato da ciottoli e ghiaie di dimensioni e litologia diversa, immersi in una matrice sabbiosa in varie proporzioni, talvolta intercalati a livelli francamente sabbiosi (Baldacci et al., 1994). La permeabilità di tale acquifero è molto buona raggiungendo valori di K compresi fra 10-3-10-2 m/sec (Gegliardi & Raggi, 1985) e ciò lo rende così sfruttato da gran parte delle aziende industriali e agricole dell’area pisana. Mentre il soprastante primo acquifero confinato in sabbie è costituito essenzialmente da depositi sabbiosi che passano a sabbiosi-fini e a limo-sabbiosi, di facies fluvio-lacustre, marina-transizionale ed eolica, l’ambiente che costituisce invece l’acquifero in ghiaie è più strettamente fluviale e più precisamente riferibile ad alvei tipo fiumara, con depositi prevalentemente ghiaiosi e sabbiosi (Trevisan & Tongiorgi, 1953).

Per un inquadramento idrogeologico del primo acquifero confinato in ghiaie, al fine di cercare di individuare nel miglior modo possibile l’estensione di questo corpo idrico, Butteri et al. (2009) hanno elaborato una carta d’insieme della pianura di Pisa (Fig. 4.3a), con quattro sezioni litostratigrafiche che mettono in evidenza la presenza di due orizzonti separati e non di corpi acquiferi unitari. Dalle sezioni mostrate si nota che le ghiaie non presentano mai spessori superiori a 10 metri (Fig. 4.3c) e nel settore meridionale dell’area di studio (compreso tra Tirrenia, Tombolo e Calambrone) esse si trovano in livelli presumibilmente continui a profondità tra 50 e 100 metri (Fig. 4.3a, sezioni 2,3,4 e 5). Verso nord (Fig. 4.3a, sezioni 1 e 4) si individua nuovamente una certa continuità di un livello ghiaioso intorno alla profondità di 100 metri, mentre a profondità inferiori le ghiaie non rappresentano un unico acquifero continuo, ma l’inviluppo di più corpi alluvionali di minori dimensioni e geometria lenticolare. Nella zona di S. Piero a Grado discontinui livelli ghiaiosi sono interposti all’acquifero principale in sabbie, che essendo direttamente connesso con le dune può mettere in comunicazione idraulica le ghiaie

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stesse con la superficie. Il quadro idro-strutturale descritto, evidenzia come i due principali acquiferi confinati risultino talvolta discontinui e non separati tra loro su tutta l’area costiera. Dall’osservazione della carta e delle sezioni precedentemente mostrate, si evidenzia una buona continuità spaziale del “primo acquifero confinato in ghiaie” in tutta la parte centro-meridionale della pianura, con una profondità che si mantiene intorno ai 50-60 metri. Tale acquifero però si interrompe, o comunque il suo spessore è molto limitato, tra l’area di Calambrone e quella di Coltano. Nella fascia meridionale della pianura abbiamo quindi un andamento all’incirca pianeggiante, secondo l’antico corso del paleo-Arno-Serchio. È stato inoltre riscontrato nella fascia pedecollinare (Colline livornesi-pisane), che la struttura idrogeologica si differenzia dalla più tipica successione dell’Amc, comprendente due principali livelli acquiferi; in questa zona l’acquifero in ghiaie viene infatti direttamente sormontato dai terreni semipermeabili appartenenti all’unità delle Sabbie e Limi di Vicarello (in questo caso non è quindi presente il livello superiore dell’Amc in sabbie e tale unità funziona da area di ricarica dell’Acquifero in ghiaie, che localmente diviene semi-confinato). In diverse aree della pianura, come nei pressi di S. Piero a Grado (sud-ovest di Pisa), discontinui livelli ghiaiosi sono interposti tra l’acquifero in sabbie, alimentato anche attraverso il complesso sistema di dune, e quello sottostante in ghiaie; sono quindi possibili collegamenti idraulici, più o meno diretti, tra i due acquiferi principali, anche per fenomeni di drenanza attraverso gli strati semipermeabili e di limitato spessore, che li separano. Procedendo verso nord l’andamento dell’acquifero studiato mostra un marcato approfondimento (valori che variano dai 120-130 m di profondità nella città di Pisa, per spingersi fino ai 160-170 m nella zona dell’ippodromo di S. Rossore). Proprio all’altezza della città sono stati riscontrati depositi di delta, sempre legati al sistema Arno-Serchio, attraverso i quali si può ipotizzare che la linea di costa fosse ubicata proprio in questa zona. A conferma di questa ipotesi sono stati ritrovati, durante lo scavo di pozzi nell’azienda Saint-Gobain, ghiaie marine di spiaggia poggiate su sabbie di ambiente litorale (Romagnoli, 1957).

Nelle Fig. 4.3b e 4.3c vengono riportate le ricostruzione del tetto e del letto e dello spessore del primo acquifero confinato in ghiaie ma bisogna considerare che si tratta di una ricostruzione di massima, in quanto è solo in parte basata su dati geognostici, che risultano peraltro scarsi e disomogeneamente distribuiti.

Per quanto riguarda gli spessori (Fig. 4.3c), essendo questo acquifero molto disomogeneo, è difficile stabilirne un valore preciso; in generale gli spessori nella pianura variano fra i 2 e i 10 metri, mentre sul bordo delle Colline Pisane e in prossimità delle conoidi presso i Monti Pisani raggiungono talvolta anche i 10-15 m (Baldacci et al., 1994).

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Fig. 4.4b – Carta del Tetto del primo acquifero confinato in ghiaie (Autorità di Bacino dell’Arno)

Fig. 4.4c – Carta del Letto e dello spessore del primo acquifero confinato in ghiaie (Autorità di Bacino dell’Arno)

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5. CONSIDERAZIONI SUL FENOMENO DELL’INTRUSIONE MARINA

La qualità delle acque del reticolo fluviale e di quelle sotterranee delle fasce costiere può essere significativamente influenzata dalla presenza del mare. Quando infatti le acque salate vengono a contatto con quelle dolci, tendono a penetrare verso l’entroterra al di sotto di quelle dolci, per effetto della maggiore densità dell’acqua di mare.

In condizioni normali, l’intrusione di acqua marina sotterranea negli acquiferi costieri si mantiene entro limiti abbastanza stabili, influenzati soltanto dalle variazioni stagionali del flusso delle acque dolci, dalle variazioni climatiche e dalle maree; il problema si intensifica, spesso progredendo in maniera irreversibile, nelle zone dove è più intenso e incontrollato lo sfruttamento delle acque di falda: nelle isole e nelle pianure costiere questo fenomeno è in progressivo avanzamento (Civita, 2005).

Nelle pianure costiere, con particolare riferimento alle falde freatiche, il fenomeno dell’intrusione marina avviene non solo attraverso l’interfaccia acqua dolce/acqua salata nell’acquifero lungo la linea di riva, ma anche tramite la risalita del cuneo salino nei corsi d’acqua a basso gradiente idraulico, nel caso che essi siano in connessione idraulica con la falda freatica stessa (rapporti fiume /falda) (Rossi & Spandre, 1994).

5.1 INTERFACCIA ACQUA DOLCE/ACQUA SALATA

Al contatto tra acqua dolce e acqua salata si crea una zona di miscelazione, detta zona di transizione o interfaccia acqua dolce/acqua salta. Questa può essere rappresentata come una zona delimitata da due superfici curve quasi parallele (Fig. 5.1a); ciò avviene, probabilmente, in un acquifero isotropo ed omogeneo ma nelle situazioni reali, caratterizzate da anisotropie più o meno marcate, l’interfaccia ha un andamento più complesso a causa delle differenze di velocità di flusso che si riscontrano a profondità diverse.

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