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aspetti clinico-organizzativi,tecnologici e innovativi nella presa in carico del soggetto amputato di arto inferiore

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INDICE

Riassunto pag. 1

Introduzione pag. 7

Capitolo 1

Anatomia dell’arto inferiore pag. 10

Capitolo 2

Aspetti generali dell’amputazione pag. 23

Capitolo 3

Livelli e tecniche di amputazione pag. 29

Capitolo 4

Cenni di storia e tipologia delle protesi pag. 38

Capitolo 5

Approccio clinico e riabilitativo al paziente

amputato di arto inferiore pag. 73

Conclusioni pag. 121

Bibliografia pag. 124

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RIASSUNTO

Il programma protezione nasce a Pisa nel 2004 allo scopo di fornire al paziente amputato

e alla sua famiglia un riferimento concreto e vicino su cui fare affidamento. Si è cercato

infatti attraverso la costituzione di una Associazione no profit di condurre una ricerca

pilota con lo scopo di studiare i molteplici problemi correlati al fenomeno

dell’amputazioni. Per l’indispensabile iter post-chirurgico che comprende gli aspetti

della stabilizzazione dell’amputazione e tutti i provvedimenti necessari per la corretta

definizione delle protesi, del loro inserimento e della riabilitazione funzionale oltre il

60% dei pazienti che subiscono una amputazione maggiore si rivolge a strutture

nosocomiali extraregione Toscana. L’analisi di questo dato evidenzia un punto

significativo: è notevole il numero dei pazienti che “emigra” dall’Area Vasta Pisana nel

periodo successivo al post-intervento. Questo ricorso a strutture nosocomiali

extraregionali somma ai disagi dei pazienti il contestuale costo economico a carico degli

Enti dell’Area Vasta pisana. Dopo la dimissione che avviene mediamente in 4°-5°

giornata, i pazienti e le loro famiglie si trovano senza una struttura dedicata cui fare

affidamento; si generano una serie di disagi e di sofferenze anche psichiche che

incidono molto negativamente sulla Qualità della Vita e rendono molto difficile il

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~ 2 ~

nosocomiali extraregionali non soddisfa i termini del fenomeno. Il problema esiste.

Richiede una soluzione concepita oltre aggiustamenti parziali e contingenti

Occorre gettare le basi per creare un percorso innovativo che, analizzando razionalmente

“dove siamo”, “dove vogliamo arrivare”, “cosa e come fare per raggiungere l’obiettivo”,

rappresenti un salto di qualità, per le necessità dei pazienti e dei loro familiari e per gli

aspetti organizzativi/economici. Programmare interventi riabilitativi sul paziente

amputato e gestire i criteri generali di interventi di valutazione di diagnosi e terapeutici,

fornire un binario sicuro sul quale viaggiare, necessitano di un efficace ed efficiente

percorso socio-sanitario centrato sul soddisfacimento dei bisogni della persona

diversamente abile, della sua famiglia e di conseguenza orientato all’outcome. Ci si è

basati sul concetto che la riabilitazione dell’amputato non può prescindere dalle

problematiche intrinseche, fisiatriche, ortopediche, neurologiche , psicologiche e sociali.

Con la collaborazione delle U.O. di Chirurgia Vascolare, U.O. di Neuroriabilitazione,

U.O. di Ortopedia e Traumatologia , si è creato un sistema sinergico che prende in carico

il paziente ancor prima che subisca l’amputazione. Gestito da personale qualificato ed

addestrato il Programma Protezione si propone come punto di riferimento capace di

assicurare risposte concrete e complete alle questioni pendenti che spesso causano una

dissezione inutile di risorse psicofisiche per il paziente e la famiglia che lo circonda

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~ 3 ~

collaborazione tra paziente,familiari e personale medico e paramedico ed è per tutti

sempre molto chiaro il percorso da seguire così come il giusto interlocutore per

affrontare il problema del momento.

Un punto sicuramente vincente di questo progetto è la presenza nel Programma

Protezione di persone amputate che si pongono all’attenzione del paziente quali esempi

di come con un giusto percorso riabilitativo oltre che la volontà di recuperare autonomia

e l’appoggio di un’equipe multidisciplinare che fa da guida, si possa ritornare ad avere

una vita normale.

Se pensiamo a tutti gli aspetti psicologici che investono una persona che subisce

un’amputazione ed alla complessità di questi, si può capire come l’amputato si senta

diverso ed in svantaggio rispetto alle persone che lo assistono ed in molti casi questo

determina un distaccamento psicologico dal professionista che cerca di motivarlo in

quanto l’amputato penserà sempre che questi non possa capire realmente lo stato

emozionale in cui si trova, quindi sarà refrattario alla terapia e non porrà fiducia nelle

figure che compongono l’equipe assistenziale, compromettendo in questo modo tutti gli

obiettivi del percorso riabilitativo.

Viceversa quando si creano le condizioni per cui il paziente può constatare con i propri

occhi quello di cui magari non si era nemmeno accorto e cioè che la persona che l’ha

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normale , la voglia di riconquistare l’autonomia che si credeva completamente persa con

l’intervento. Questo concetto che il Programma Protezione definisce, “Evidenza

Dimostrabile”, a supporto delle teorie, è ,un punto essenziale a favore della qualità della

vita del paziente amputato perché rappresenta la capacità di un individuo di funzionare,

dal punto di vista fisico, sociale, psicologico e di trarre soddisfazione, da quanto fa, in

rapporto sia alle proprie aspettative che alla capacità di realizzare ciò che desidera.

I progressi tecnologici in questo settore hanno permesso l’evoluzione delle protesi

moderne in grado di garantire al paziente amputato un comfort ed una autonomia sempre

maggiori. La ricerca e lo sviluppo della bionica fanno intravvedere, in un futuro ormai

non troppo lontano, la possibilità di integrare con il corpo umano sistemi elettronici

capaci di simulare il fisiologico movimento di un arto mancante.

La protesica sperimentale rischia di far diventare obsoleta la prospettiva di “perdere un

arto”.

Superare la condizione attuale ed elaborare la condizione migliore possibile, questo

rappresenta di fatto la complessa natura della riabilitazione come disciplina di sintesi tra

saperi diversi.

Il progetto quindi si prefigge di:

- definire un nuovo paradigma di progettazione per prodotti protesici “custom fit”;

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~ 5 ~

- utilizzare strumenti che permettano l’acquisizione della morfologia della porzione

terminale dell’arto amputato sia in condizioni di statica che in fase dinamica;

- realizzare modelli “physics based” con prodotti e materiali diversi e che possano essere

utili in simulazioni che riproducano il comportamento reale del sistema “uomo-protesi” per

verificarne la funzionalità;

- realizzare prototipi virtuali di protesi provvisorie al fine di validare in tempi brevi la

scelta del prodotto con conseguente riduzione dei tempi e dei costi di realizzo.

L’interfaccia fra la porzione terminale dell’arto amputato e la parte meccanica della protesi

esige un elevato grado di personalizzazione in quanto dipendono esclusivamente da questa

la corretta esecuzione del progetto protesico il comfort di beneficio del paziente amputato.

Attualmente in Italia la realizzazione delle protesi di arto inferiore è prevalentemente

artigianale, eseguita da personale tecnico specializzato con strumenti che non sono in grado

di gestire. Questo fatto evidenzia la mancanza di metodologie appropriate e dei limiti nei

metodi e negli strumenti, che di fatto sono derivati da quelli sviluppati per altri settori

industriali.

Obiettivo quindi, quello di validare una metodologia adeguata che permetta di innovare e

migliorare il processo di progettazione delle protesi di arto inferiore garantendo la

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engineering, la prototipazione dell’invaso, la analisi del movimento, la simulazione

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INTRODUZIONE

Il Programma Protezione – un impegno verso il paziente amputato è stato elaborato a

cura della Associazione Onlus Progetto Riabilitazione di Pisa che negli ultimi anni ha

seguito con particolare interesse i fenomeni correlati all’ amputazione di un arto in

pazienti prevalentemente vasculopatici geriatrici e questo ha favorito l’ impostazione e

lo sviluppo di un iter post dimissione del paziente amputato con un approccio

metodologico che prevede azioni di intervento pronte, coordinate, continue a carattere

multidisciplinare, utilizzando tutte le figure professionali necessarie per il miglior

recupero psico-motorio-funzionale possibile e per questo motivo si è reso necessario

un approccio terapeutico a più ampia valenza rispetto al trattamento tradizionale per

altro assente come servizio destinato. Superare la condizione attuale ed elaborare la

condizione migliore possibile, questo rappresenta di fatto la complessa natura della

riabilitazione come disciplina di sintesi tra saperi diversi. Questa considerazione

appare tanto più vera di fronte ad esperienze drammatiche come quella dell’

amputazione di un arto che di fatto ha in sé la negazione delle opportunità. Il

Programma Protezione rappresenta proprio il superamento della cruda evidenza

perché opera solamente nella direzione delle possibilità. Un ambizioso obiettivo che

necessita di una grande esperienza e di un bagaglio culturale che consenta di elaborare

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andare oltre l’evidenza del fenomeno che appare agli occhi di tutti impietosa. Un

percorso con queste caratteristiche è più che mai necessario per il paziente amputato la

cui patologia si presenta da subito drammatica e come la negazione del possibile.

Scopo del programma è quindi quello di generare un percorso riabilitativo che

permetta la ricostruzione della funzione, intesa globalmente con le sue caratteristiche

di evoluta variabilità e di dinamica interazione con il mondo.

Nelle pagine che seguono verranno analizzate le fasi più importanti che un paziente

amputato deve necessariamente affrontare. Sono fasi difficili e faticose tanto quanto

essenziali per un processo che possiamo definire di rinascita. La corretta cura della

porzione distale dell’arto amputato, la accettazione di una nuova situazione molto

diversa dalla precedente, il riassetto socio-lavorativo e familiare conseguente

all’iniziale perdita della autonomia, la rieducazione funzionale all’uso della protesi,

sono questi in sintesi gli stadi più importanti di questo programma .

La programmazione di un percorso riabilitativo con le caratteristiche ipotizzate

richiede il superamento della interpretazione meccanicistica dei modelli culturali di

tipo cartesiano. Pensare il corpo come la somma dei pezzi che lo compone abbatte

brutalmente chi uno di questi pezzi l’ha perduto irrimediabilmente, ne nega ogni

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Al contrario, pensare il corpo come un sistema fondato dalle relazioni tra le sue

componenti permette di ipotizzare scenari riabilitativi evoluti in cui la protesi assume

il ruolo dinamico di “prolungamento percettivo”, con dati clinici oggettivi

incoraggianti circa il livello di recupero funzionale ottenuto dopo amputazioni

maggiori di arto inferiore.

Formattato: Allineato a sinistra, Rientro: Sinistro: 0 cm, Interlinea multipla 2,5 ri

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CAPITOLO 1

ANATOMIA DELL’ARTO INFERIORE

L’arto inferiore consta di quattro parti che, andando dalla radice dell’arto stesso alla

sua estremità libera, sono:

- l’anca: è il raccordo fra il tronco e l’arto inferiore. E’ un voluminoso osso piatto che

risulta dalla fusione delle tre ossa della cintura pelvica primitivamente distinte in ileo,

pube e ischio. Il punto d’incontro e di saldatura di tali tre ossa è l’acetabolo, grande

cavità che si trova sulla faccia esterna dell’osso dell’anca e che è deputata ad

accogliere la testa del femore;

- la coscia: costituita solo dal femore. E’ un osso lungo ed è il più voluminoso fra tutte

le ossa. Orientato obliquamente dall’alto verso il basso in direzione latero-mediale, si

articola superiormente con l’osso dell’anca e inferiormente con la tibia e la rotula

formando l’articolazione del ginocchio. Il femore è formato da un corpo e due

estremità, superiore e d inferiore. Il corpo del femore ha forma prismatico-triangolare

con tre facce: anteriore, laterale e mediale. La faccia anteriore è liscia e convessa e si

continua senza limiti distinti con le altre due facce. L’estremità superiore presenta la

testa del femore che ha la forma di un segmento di sfera e, rivestita di cartilagine

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anatomico al cui lato si situa il grande trocantere, mentre medialmente, in posizione

più bassa, troviamo il piccolo trocantere. L’estremità inferiore del femore presenta due

grosse sporgenze convesse che sono i condili laterale e mediale.

- la gamba: consta di due ossa lunghe: la tibia e il perone.

- tibia: è situata medialmente ed è un voluminoso osso lungo e presenta un corpo e due

estremità, superiore ed inferiore. Il corpo ha forma prismatico- triangolare con tre

facce separate da tre margini ben distinti.

Il margine anteriore è chiamato cresta anteriore ed è incurvato e tagliente. L’estremità

superiore della tibia presenta due masse denominate condili della tibia, la cui

superficie superiore è rivestita di cartilagine ialina ed è adibita ad articolarsi con i

condili femorali. L’estremità inferiore è più piccola di quella superiore; sulla superficie

inferiore vi è incavata la faccia articolare inferiore della tibia che si articola con la

troclea dell’astragalo.

Medialmente l’estremità inferiore della tibia si prolunga verso il basso con un robusto

processo quadrilatero, il malleolo mediale, sulla cui faccia laterale si trova la faccia

articolare del malleolo mediale che si articola con la faccia malleolare mediale del

talo. –

- il perone: è un osso lungo notevolmente più esile della tibia che è posto

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~ 12 ~

L’estremità superiore si chiama capitello e sul contorno mediale presenta una

superficie articolare che si articola con la tibia.

L’estremità inferiore prende il nome di malleolo laterale e in basso si articola con la

faccia malleolare laterale dell’astragalo.

- il piede: costituito da tre parti che in senso postero-anteriore sono il tarso, il metatarso e le

falangi. L’asse longitudinale del piede forma un angolo retto con l’asse longitudinale della

gamba. Il tarso è formato posteriormente da due grosse ossa che sono l’astragalo e il

calcagno. La parte centrale è costituita dall’osso navicolare mentre la parte anteriore,

andando in senso medio-laterale, è costituita I, II e III cuneiforme che sono davanti al

navicolare e l’osso cuboide che è davanti al calcagno.

Il metatarso è costituito dalle cinque ossa metatarsali che sono ossa lunghe disposte

longitudinalmente nel piede ed affiancate fra di loro. Sono indicate, in senso

mediolaterale, come I, II, III, IV e V osso metatarsale. Le falangi costituiscono lo

scheletro delle dita del piede. Sono in numero di tre in ciascun dito, tranne che

nell’alluce che ne possiede solamente due. Poste longitudinalmente, in senso

postero-anteriore sono indicate come I, II e III falange.

A costituire l’arto inferiore va anche la rotula, un osso sesamoideo accolto nel tendine

del muscolo quadricipite del femore. Ha forma triangolare ed è posta in

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~ 13 ~

1.1- ARTICOLAZIONI DELL’ARTO INFERIORE

Le articolazioni che riguardano l’arto inferiore sono:

- l’articolazione coxo-femorale;

- l’articolazione del ginocchio;

- le articolazioni tibio-peroneali;

- l’articolazione tibio-tarsica;

- le articolazioni del piede.

1.1.1 – Articolazione Coxo-Femorale

Congiunge l’osso dell’anca al femore; è un’enartrosi. La superficie articolare del

femore è rappresentata dalla testa, che ha forma di segmento di sfera; quella dell’osso

dell’anca è data dall’acetabolo, cavità che è pure di forma sferica (e del quale

solamente la parte periferica, rivestita di cartilagine ialina, prende parte

all’articolazione).

La cavità dell’acetabolo è resa più profonda dal labbro acetabolare, un cercine

articolare di fibrocartilagine applicato al ciglio acetabolare.

La capsula articolare si attacca sull’osso dell’anca esternamente al labbro acetabolare;

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~ 14 ~

circolari, situati profondamente, e di fasci fibrosi longitudinali che sono più

superficiali e formano i legamenti ileo-femorale, pubo-femorale e ischio-femorale

Questa articolazione possiede anche un legamento interarticolare che è il legamento

profondo del femore che va dalla fossetta della testa del femore all’incisura

dell’acetabolo. I movimenti possibili a quest’articolazione sono quelli di flessione,

estensione, di abduzione e adduzione, di circumduzione e di rotazione della coscia.

1.1.2 – Articolazione del ginocchio

Collega la coscia alla gamba; essa si instaura tra il femore, da una parte, e la tibia con

la rotula dall’altra. E’ un’articolazione trocleare.

La superficie articolare del femore è data dai suoi due condili, laterale e mediale, con

interposta anteriormente la faccia rotulea.

La superficie articolare della tibia è rappresentata dalle due cavità glenoidee, laterale e

mediale, scavate sui due rispettivi condili della tibia alle quali si adattano i due condili

del femore. Sopra alla tibia, e a quest’ultima fissata dal legamento rotuleo, si trova la

rotula, che con la sua faccia posteriore si articola con la troclea femorale.

Fra i condili femorali e le cavità glenoidee della tibia sono interposti due menischi

intercalari fibrocartilaginei e di forma semilunare, l’uno laterale e l’altro mediale,

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~ 15 ~

La capsula articolare, sul femore, si inserisce in avanti al di sopra della faccia rotulea,

al di sotto dei rispettivi condili laterale e mediale, posteriormente risale sopra i due

condili e si approfonda nella fossa intercondiloidea. Sulla tibia prende attacco in

vicinanza delle fosse glenoidee. Sulla rotula si attacca lungo la sua circonferenza.

L’articolazione del ginocchio possiede molti legamenti che sono:

- legamento rotuleo;

- i retinacoli della rotula laterale e mediale;

- il legamento collaterale laterale;

- il legamento collaterale mediale;

- il legamento popliteo obliquo;

- il legamento popliteo arcuato;

- i legamenti crociati anteriore e posteriore;

I movimenti che può compiere quest’articolazione sono la flessione, l’estensione, e

limitati movimenti di rotazione della gamba.

1.1.3 – Articolazioni tibio-peroneali

Sono una prossimale e una distale. La tibia e il perone sono collegate fra di loro dalla

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~ 16 ~

L’articolazione tibio-peroneale prossimale è un’artrodia che si realizza fra la faccia

articolare peroneale del condilo laterale della tibia e la faccia articolare tibiale della

testa del perone.

Quest’articolazione permette piccoli movimenti di scorrimento, correlati ai movimenti

fra la tibia e il perone in corrispondenza dell’articolazione tibio-peroneale distale.

L’articolazione tibio-peroneale distale è la sindesmosi tra l’incisura fibulare della tibia

ed il malleolo del perone. Le due superfici articolari non sono ricoperte da cartilagine

ialina ma sono connesse tra di loro da tessuto connettivo denso.

Quest’articolazione permette l’allontanamento del perone dalla tibia nel movimento di

flessione dorsale del piede.

1.1.4 – Articolazione tibio-tarsica

Collega la gamba al piede. E’ un’articolazione trocleare, completata sui due lati da

due artordie.

La superficie articolare della gamba è data dalla tibia e dalla fibula, che assieme

formano con le loro estremità inferiori il cosiddetto mortaio crurale. Questo è un

profondo incavo la cui parte centrale si articola con la troclea dell’astragalo.La

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~ 17 ~

La capsula articolare dell’articolazione tibio-tarsica si inserisce lungo i margini delle

superfici articolari. Essa è resa molto resistente sui due lati dove la irrobustiscono i

legamenti collaterali laterale e mediale.

Il legamento collaterale laterale consta di tre fasci ben distinti che sono l’anteriore, il

medio e il posteriore.

Il legamento mediale o deltoideo consta di una parte superficiale, a sua volta divisa in

tre parti (anteriore, media e posteriore) e di una parte profonda (il legamento

tibio-astragalico anteriore).

Questa articolazione permette movimenti di flessione, estensione, adduzione,

abduzione, pronazione, supinazione e circumduzione del piede.

1.1.5 – Articolazioni del piede

Sono presenti molte articolazioni all’interno del piede che sono:

- Articolazioni intertarsali: talo-calcaneale, talo-calcaneo-navicolare, calcaneo

cuboidea (detta anche articolazione di Chopart, è un’articolazione a sella rinforzata

plantarmente dal maggiore dei legamenti del piede il legamento

calcaneo-cuboideodorsale e concorre al mantenimento della volta plantare impedendone

l’appiattimento), navicolo-cuboidea, navicolo-cuneiforme, intercuneiformi e la

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~ 18 ~

- Articolazione tarso-metatarsale: chiamata anche articolazione del Lisfranc ed è

l’articolazione fra le ossa distali del tarso e le cinque ossa metatarsali; risulta formata

da una serie di artrodie. Possiede i legamenti tarso-metatarsali, dorsali e plantari che ne

rinforzano la capsula articolare; possiede anche i legamenti tarso-metatarsali interossei

di cui due sono particolarmente sviluppati: il mediale (o legamenti di Lisfranc) che si

porta dal I osso cuneiforme alla faccia mediale della base del II osso metatarsale, e il

laterale;

- Articolazioni intermetatarsali;

- Articolazioni metatarso-falangee;

- Articolazioni interfalangee.

1.2 – MUSCOLI DELL’ARTO INFERIORE

1.2.1 – Muscoli dell’anca

Sono muscoli che vanno dal bacino, ed alcuni anche dalla colonna vertebrale, verso la

radice della coscia, dove quasi tutti si inseriscono sul femore. Si possono distinguere

in:

- Muscoli della fossa iliaca: dalla colonna vertebrale e dalla fossa iliaca interna si

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~ 19 ~

- Muscoli della regione glutea: sono disposti nella natica in vari strati. Sulla strato

superficiale troviamo il tensore della fascia lata e il grande gluteo; nel secondo strato

vi è il medio gluteo; nello strato successivo troviamo il piccolo gluteo, il piriforme,

l’otturatore interno, i gemelli superiore ed inferiore e il quadrato del femore.

Fig. 1 posteriori della coscia

1.1.2 – Muscoli della coscia

Essi possono essere distinti in:

- anteriori: sono il muscolo sartorio ed il muscolo quadricipite del femore (nel quale

(21)

~ 20 ~

profondità, il vasto intermedio). Sono muscoli che principalmente flettono la coscia sul

tronco ed estendono la gamba sulla coscia;

- mediali: sono fondamentalmente muscoli adduttori della coscia. Sono disposti su

vari piani sui quali troviamo il pettineo, l’adduttore lungo ed il gracile sul piano più

superficiale; l’adduttore breve sul piano più profondo; l’adduttore piccolo e l’adduttore

grande su un terzo piano e il muscolo otturatore esterno sull’ultimo piano.

- posteriori: sono costituiti dal bicipite femorale, dal semitendinoso e dal

semimembranoso. Sono tutti muscoli flessori della gamba sulla coscia.

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~ 21 ~

1.1.2 - Muscoli della gamba

Sono distinti in tre logge:

- anteriore: sono quattro muscoli accolti nella loggia osteo-fasciale anteriore della

gamba, che vanno dallo scheletro della gamba a quello del piede. Disposto

longitudinalmente in un singolo piano sono: tibiale anteriore, estensore lungo

dell’alluce, estensore lungo delle dita e il peroniero anteriore;

- laterale: sono muscoli che dalla fibula si portano allo scheletro del piede. Essi sono il

peroniero lungo e il peroniero breve;

- posteriore: sono disposti in due strati: superficiale, nel quale troviamo il tricipite

surale e il plantare, e il profondo nel quale sono locati il popliteo e, ancora più in

profondità, il flessore lungo delle dita, il tibiale posteriore e il flessore lungo

dell’alluce.

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~ 22 ~

1.1.2 – Muscoli del piede

Sono ripartiti in:

- muscoli del dorso del piede: sono l’estensore breve dell’alluce e l’estensore breve

delle dita. Insieme costituiscono il muscolo pedidio che si dirige dal calcagno verso le

prime quattro dita;

- muscoli della pianta del piede: troviamo l’adduttore dell’alluce, il flessore breve

dell’alluce e l’adduttore dell’alluce posti nella regione mediale e l’abduttore del V

dito, il flessore breve del V dito e l’opponente del V dito posti nella regione laterale.

Nella regione media della piante del piede sul piano più superficiale troviamo il

flessore breve delle dita, sul piano subito più profondo, invece, si hanno il quadrato

della pianta e i quattro lombricali del piede.

Nel piano ultimo abbiamo gli interossei plantari e gli interossei dorsali.

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~ 23 ~

CAPITOLO 2

ASPETTI GENERALI DELL’AMPUTAZIONE

2.1 EPIDEMIOLOGIA

La maggiore frequenza delle amputazioni d’arto inferiore si verifica nei soggetti di

sesso maschile. Vi sono variazioni di incidenza legate a fattori genetici ed ambientali:

dai 50 casi/100000/anno del Nord America , ai 20casi dell’Inghilterra, ai 2,9 casi in

Spagna.

Dati italiani (Catalano 1993) evidenziano un’incidenza di amputazione d’arto inferiore

di 17 casi/100000anno, da questi dati risulta evidente che l’incidenza e la prevalenza

di questa patologia sono di entità nettamente inferiore rispetto ad altre di interesse

riabilitativo, come ad esempio lo stroke che conta circa 900000 casi/anno in Italia,

tuttavia la richiesta di risorse necessarie al suo trattamento rimane di notevole

considerazione per la complessità degli interventi necessari.

2.2 ETIOLOGIA

Nelle cause non traumatiche, il 70% delle amputazioni di arto inferiore è secondario a

patologie vascolari (ischemia acuta o cronica) e infettive e colpisce prevalentemente la fascia

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colpisce soprattutto nella fascia tra i 5 ed i 20 anni, mentre il 3% a correzione di

malformazioni congenite (Global Lower Extremity Amputation Group, 2000;High et

al.,1984).

Nelle cause traumatiche, il 23% di amputazioni di arto inferiore è attribuibile ad

incidenti o traumi che si verificano soprattutto tra i 20 e i 50 anni.

Nelle Patologie Vascolari il 6-15% degli arteriopatici severi va incontro ad

amputazione (High et al.,1984; Malone e Goldstone, 1986). Raramente l’ischemia

acuta, dovuta o a embolia o a trombosi su placca, è responsabile di lesioni talmente

estese e gravi da condurre ad un’ amputazione primaria poiché la chirurgia ripartiva

consente di mantenere una perfusione distale sufficiente a garantire la vitalità dell’arto.

L’ischemia cronica è responsabile dell’80% delle amputazioni non traumatiche degli

arti inferiori. Solo raramente il paziente subisce una amputazione primaria.

Più frequentemente il paziente presenta lesioni arteriose croniche che, in seguito al

fallimento delle terapie mediche e chirurgiche di rivascolarizzazione dei territori

ischemici, conducono all’intervento demolitivo.(Cutson e Bongiorni, 1996; Bartlett et

al. , 1987).

Generalmente l’intervento viene condotto in elezione e la natura elettiva di questo

intervento permette di pianificare un valido programma riabilitativo con percorsi di

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~ 25 ~

Questo consente di ottenere una rapida protesizzazione, poiché la accettazione della

perdita dell’arto induce di fatto il paziente a vivere la amputazione come l’inizio di

un nuovo periodo privo di dolore e di ritorno ad una vita socialmente attiva.(Collin et

al., 1992).

Nelle Patologie Endocrine, (Diabetici) rappresentano il 40-60% di tutti i soggetti

amputati .

Il tasso di prevalenza dei diabetici in Italia è superiore al 5%, si stima che circa il 15%

dei soggetti diabetici sviluppi ulcere agli arti inferiori almeno una volta nell’arco della

vita.

La maggiore diffusione del diabete, assieme all’invecchiamento progressivo della

popolazione generale e all’aumentata incidenza dei fattori di rischio aterosclerotico è

inoltre responsabile del forte incremento percentuale delle lesioni ischemico/infettive

che conducono alla perdita dell’arto.

Nelle Malattie infettive, le amputazioni per gangrena infetta rappresentano una vera e

propria urgenza chirurgica. La velocità con cui l’infezione provoca la necrosi dei

tessuti molli del piede è talvolta sorprendente , perché nonostante l’interessamento

gangrenoso cutaneo possa essere confinato alle parti più distali, l’infezione distrugge

completamente più prossimalmente i tendini e le fasce del piede che sono avascolari

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~ 26 ~

Le infezioni delle gangrene diabetiche sono abitualmente polimicrobiche, con

frequente presenza di germi anaerobi, responsabili del caratteristico odore

nauseabondo che le accompagna. Quando il piede non è più salvabile, è preferibile

eseguire una prima amputazione aperta a livello della caviglia e a distanza di 7 giorni

la amputazione definitiva; questo consente di guadagnare un livello di amputazione e

si evita la sovra infezione della porzione distale dell’arto.(Berton e Kerstein, 1985)

2.3 COMPLICANZE

Le complicanze perioperatorie sono principalmente influenzate dalle condizioni

cardiorespiratorie. Il rischio di morte è maggiore nelle amputazioni sopra il ginocchio

perché riguardano pazienti più compromessi ed anziani, e a 3 anni il 50% degli

amputati anziani va incontro a decesso (Rush et al., 1981).

Le complicanze locali , quali infezioni e deiscenza della porzione distale dell’arto sono

più frequenti a livelli distali di amputazione; mentre la morbilità e la mortalità,

particolarmente quella cardiologica, sono più frequenti nelle amputazioni prossimali.

Vanno controllati in modo adeguato tutti i processi settici ed eventualmente eseguite

amputazioni primarie. Nel postoperatorio il paziente dovrebbe evitare l’assunzione di

posture scorrette nel letto che possono favorire un atteggiamento in flessione

(28)

~ 27 ~

2.4 PROGNOSI

Nonostante il progresso delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche, la mortalità

postoperatoria oscilla tra il 10 ed il 45% (Brewster ed Edwards,1991; Cutler, 1986).

Il 15% di amputati transtibiale si sottopone dopo 2 anni ad un’amputazione trans

femorale. Un altro 15-20% va incontro ad un’amputazione controlaterale ed il 20-30%

va incontro a morte. La sopravvivenza media varia tra i 2 ed i 5 anni (Rush et

al.,1981). La causa più frequente di morte è la cardiopatia. Questi dati di

sopravvivenza sono sostanzialmente invariati dagli anni 60 nonostante le innovazioni

nelle tecniche chirurgiche e protesiche e il fatto che il rapporto tra amputazioni

transtibiali e transfemorali è aumentato.

2.5 VALUTAZIONE CLINICA GENERALE

Il paziente amputato tipo è anziano, di età superiore ai 70 anni, le cui condizioni

sono spesso compromesse da insufficienza cardiovascolare nell’80%, da diabete

mellito nel 50%, da patologie polmonari che aumentano il consumo di ossigeno del

20% e, meno frequentemente da retinopatia diabetica e/o neuropatia periferica e stato

ansioso depressivo. Prima di iniziare un programma riabilitativo è importante valutare

la collaborazione offerta dal paziente, la ferita chirurgica, l’apparato tegumentale.

(29)

~ 28 ~

fumo, diabete, dislipidemia manifestazioni aterosclerotiche e di patologia diabetica o

vascolare che ha condotto all’amputazione nonché alla sua evoluzione.

Gli esami ematochimici raccomandati sono:

- condizione di sanguificazione

- profilo glicemico

- funzionalità epatica e renale

- coagulazione

- routine infettivologica

- radiografia e MOC della porzione distale dell’arto

-ecocolordoppler arterioso degli arti inferiori e carotideo

- ECG.

E’ necessario escludere la presenza di controindicazioni assolute allo svolgimento di

un training fisico quali possono essere angina, aritmia, scompenso cardiaco, infezioni

acute, tromboflebite oppure controindicazioni relative quali malattie metaboliche,

cardiomegalia e obesità marcata. Inoltre va tenuto presente che nella fase riabilitativa

della deambulazione con protesi si possono verificare episodi ischemici e/o fenomeni

aritmici determinati dal maggiore consumo di ossigeno richiesto, infatti si registra un

aumento certo del 20% nelle amputazioni trans tibiali, del 50% nelle trans femorali e

(30)

~ 29 ~

CAPITOLO 3

LIVELLI E TECNICHE D’ AMPUTAZIONE

3.1 DEFINIZIONE

Con il termine “amputazione” si intende una tecnica che asporta una porzione di un

arto sezionando uno o più segmenti ossei; dovrebbe essere distinto dal termine

“disarticolazione” con il quale si intende la rimozione di un segmento a livello di

un’articolazione, tuttavia, per comodo, il termine “amputazione” sarà impiegato per

entrambe le tecniche.

3.2 LIVELLI D’ AMPUTAZIONE

Durante l’esecuzione di un’amputazione si cerca di salvare quanto più possibile

dell’arto compromesso compatibilmente con un soddisfacente esito chirurgico e

funzionale.

3.2.1 AMPUTAZIONE PARZIALE DEL PIEDE

- AMPUTAZIONE SINGOLO RAGGIO: solitamente provoca una minima perdita

funzionale ad eccezione fatta per il primo raggio dove deve essere conservata una

lunghezza utile per consentire una sufficiente volta trasversa. Se fosse necessaria

Formattato: Interlinea multipla 2,5 ri

Formattato: SpazioPrima: 6 pt, Dopo: 6 pt, Interlinea multipla 2,5 ri

(31)

~ 30 ~

l’amputazione di due o più raggi, è preferibile un’amputazione trans metatarsale che

può dare un migliore risultato funzionale.

- AMPUTAZIONE TRANSMETATARSALE: i metatarsi sono sezionati trasversalmente

di solito appena prossimalmente alle teste metatarsali; queste sono poi arrotondate

inferiormente.

- AMPUTAZIONE DI LISFRANC: viene eseguita una disarticolazione

tarso-metatarsale.

- AMPUTAZIONE DI BOYD: si esegue la rimozione di tutte le ossa metatarsali ad

eccezione del calcagno sul quale si effettua un’osteotomia trasversale subito

distalmente al tubercolo dei peronei rimuovendo la parte anteriore.La parte rimanente

del calcagno è fissata all’interno della pinza malleolare con la sua faccia inferiore

parallela al suolo. Questa tipo di amputazione è impiegata in ambito pediatrico per

patologie congenite.

- AMPUTAZIONE DI PIROGOFF: viene eseguita una disarticolazione di caviglia e

comporta l’artrodesi tra tibia e parte del calcagno che viene sezionato verticalmente e

privato della sua parte anteriore; la sua porzione posteriore, con il lembo cutaneo,

viene ruotata anteriormente in alto di 90° affinchè la superficie di sezione del calcagno

(32)

~ 31 ~

- AMPUTAZIONE DI SYME: è una disarticolazione di caviglia per lesioni distruttive o

infettive del piede che non possono essere trattate con l’amputazione trans metatarsale.

Questa tecnica comporta la resezione di tibia e perone a livelli dell’articolazione

tibioastragalica e l’ancoraggio del guscio talloni ero alla tibia per ottenere una

porzione distale di arto che consenta il completo carico terminale. La parte distale

dell’arto e fisiologicamente globosa, e per diminuirne il volume a solo scopo

cosmetico della protesi occorre l’eliminazione chirurgica delle sporgenze malleolari

che presenta però la difficoltà tecnica che il cuscinetto calcaneare può migrare

posteriormente o medio lateralmente se non adeguatamente ancorato al margine della

tibia.

A questo problema si va incontro con un’accurata applicazione della protesi a contatto

totale o con riposizionamento chirurgico.

3.2.2 AMPUTAZIONE TRANSTIBIALE

Vi sono vari livelli in corrispondenza dei quali può essere effettuata un’amputazione

trans tibiale:

-SOTTO IL GINOCCHIO CORTISSIMO: la lunghezza minima di una porzione distale

di arto amputato è di circa 4 cm., purchè sia presente l’inserzione del muscolo

(33)

~ 32 ~

-SOTTO IL GINOCCHIO CORTO:sul terzo prossimale della tibia.

-SOTTO IL GINOCCHIO MEDIO: fra il terzo prossimale e il terzo medio della tibia.

-SOTTO IL GINOCCHIO LUNGO:fra il terzo medio ed il terzo distale della tibia.

Risulta essere molto utile , quando possibile, conservare l’articolazione del ginocchio

nelle amputazioni dell’arto inferiore, al fine di ottenere i migliori risultati possibili

nella fase riabilitativa; possiamo affermare che il livello ottimale sia di circa 12-14 cm.

dalla rima articolare del ginocchio per le migliori possibilità che si hanno di stoffare

la porzione distale dell’arto. In generale il terzo distale della gamba non è molto

adatto come sede di amputazione in quanto in questa zona i tessuti sono relativamente

poco vascolarizzati e risulta anche insufficiente lo spessore delle parti molli. Il perone

deve essere sezionato sempre ad un livello più prossimale della tibia .

3.2.3 DISARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO: Si ha la rimozione di tibia e

perone a livello del ginocchio. Solitamente viene utilizzata in caso di traumi ed

infezioni. Offre alcuni vantaggi che sono; una base d’appoggio ampia,

completamente gravabile in quanto si utilizza la parte inferiore dei condili femorali

normalmente abituati al carico, inoltre ha un braccio di leva massimo e quindi è

(34)

~ 33 ~

3.2.4 AMPUTAZIONE TRANSFEMORALE

Anche questa amputazione può essere eseguita a vari livelli:

-SOPRA IL GINOCCHIO CORTO: entro il terzo prossimale del femore

-SOPRA IL GINOCCHIO MEDIO: entro il terzo medio del femore

-SOPRA IL GINOCCHIO LUNGO: entro il terzo distale del femore

Nelle amputazioni trans femorali non si può parlare di livello o lunghezza ideale,

tuttavia si auspica che , il livello di amputazione sia distale da offrire un braccio di

leva lungo che consenta il contenimento del dispendio energetico necessario al

controllo della protesi, che la porzione distale dell’arto si presenti ben coperto di parti

molli e senza tensioni.

3.3 AMPUTAZIONE TRANSPELVICA E DISARTICOLAZIONE D’ANCA

Nella disarticolazione d’anca il femore è lasciato in sede per dare stabilità alla protesi

ed evitare cavità antiestetica. L’amputazione trans pelvica è rappresentata dalla

rimozione chirurgica dell’arto inferiore e di tutto l’ileo o parte di esso. Queste

procedure si adattano di solito sulle infezioni incontrollabili, nei traumi maggiori e nei

tumori maligni.

Formattato: Interlinea multipla 2,5 ri

(35)

~ 34 ~

Fig. 6 Livelli di amputazione Formattato: Centrato, Interlinea multipla 2,5 ri

(36)

~ 35 ~

3.4 TECNICHE CHIRURGICHE

In generale si possono eseguire due tipi di amputazione: chiuse o aperte.

Le amputazioni chiuse sono eseguite in un solo atto operatorio mentre quelle aperte si

eseguono in due o più atti chirurgici nei quali si provvede a rimodellare il moncone e

alla chiusura definitiva della ferita. L’amputazione aperta viene utilizzata in casi di

ferite infette conseguenti a traumi importanti, con necrosi estese e contaminazione da

sostanze estranee, in tal caso si esegue una terapia antibiotica e dopo circa 15 giorni

la ferita pulita sarà suturata.

Questa tecnica può essere eseguita:

- LEMBI CUTANEI RIFLESSI

- METODICA APERTA CIRCOLARE: nella revisione secondaria si può

riamputare e suturare a livello più alto e ricostruire la porzione terminale

dell’arto con una plastica.

I principi fondamentali che bisogna seguire per effettuare una amputazione che

determini una porzione di arto distale funzionale e ben cicatrizzato sono:

- LIVELLO CHIRURGICO: con le moderne tecniche di invasatura a contatto totale

non risulta essere più tanto importante il livello di amputazione, quanto invece il grado

di cicatrizzazione e la asportazione dell’evento patologico.

Formattato: Interlinea multipla 2,5 ri

(37)

~ 36 ~

- LEMBI CUTANEI: risulta molto importante la copertura dell’apice distale dell’arto

con un ottimo mantello di cute che deve essere mobile e con normale sensibilità.

Per ogni livello di amputazione sono noti i lembi di cute più validi. E’ tuttavia

importante ricordare che, se necessario, è preferibile utilizzare un lembo di cute atipico

piuttosto che amputare ad un livello più prossimale.

Non ha molta importanza dove andrà a formarsi la cicatrice è sufficiente evitare la

aderenza all’osso sottostante ed una eccessiva ridondanza di tessuto molle.

- MUSCOLI: di solito vengono sezionati circa 5 cm. al di sotto della sezione ossea in

modo che poi possano retrarsi, può rendersi necessario tagliarli in obliquo e

regolarizzarli adeguatamente per ottenere una porzione distale dell’arto ben

modellato.

- NERVI: è consigliato di trazionare i nervi delicatamente all’esterno della ferita

chirurgica e tagliarli al netto in maniera da favorire la retrazione spontanea corretta;

risulta comunque necessario per evitare dolorabilità diffusa anche dopo la guarigione

della ferita non esercitare trazioni eccessive del nervo.

- SEGMENTI OSSEI: è necessario evitare eccessivi scollamenti del periostio ed

eventuali irregolarità ossee qualora non fossero circondate da sufficiente parte molle

(38)

~ 37 ~

- DRENAGGI: alla sutura della ferita si applica un drenaggio che di solito viene

rimosso in terza giornata.

Fig.7 Livelli di amputazione

(39)

CENNI DI STORIA E TIPOLOGIE DI PROTESI

4.1 STORIA DELLE PROTESI

Abbiamo riscontri di millenni che dimostrano quanto sia antico il problema di

sostituire esteticamente ed anche funzionalmente un arto amputato.

Sono stati fatti ritrovamenti di protesi che risalgono praticamente a tutte le epoche;

quello più importante risale a 2000 anni fa ed è una mano artificiale di una mummia

egiziana.

Ma la protesi più antica è il

archeologici nei pressi del Cairo (Egitto), datato tra il 1000 ed il 600 a.C.

Fig. 8 “Cairo Toe” (Alluca del Cairo)

~ 38 ~

CAPITOLO 4

CENNI DI STORIA E TIPOLOGIE DI PROTESI

4.1 STORIA DELLE PROTESI

Abbiamo riscontri di millenni che dimostrano quanto sia antico il problema di

te ed anche funzionalmente un arto amputato.

Sono stati fatti ritrovamenti di protesi che risalgono praticamente a tutte le epoche;

quello più importante risale a 2000 anni fa ed è una mano artificiale di una mummia

Ma la protesi più antica è il primo dito del piede di una donna rinvenuta in scavi

archeologici nei pressi del Cairo (Egitto), datato tra il 1000 ed il 600 a.C.

Fig. 8 “Cairo Toe” (Alluca del Cairo)

CENNI DI STORIA E TIPOLOGIE DI PROTESI

Abbiamo riscontri di millenni che dimostrano quanto sia antico il problema di

te ed anche funzionalmente un arto amputato.

Sono stati fatti ritrovamenti di protesi che risalgono praticamente a tutte le epoche;

quello più importante risale a 2000 anni fa ed è una mano artificiale di una mummia

primo dito del piede di una donna rinvenuta in scavi

archeologici nei pressi del Cairo (Egitto), datato tra il 1000 ed il 600 a.C.

Formattato: Tipo di Grassetto, Colore carattere:

di carattere: 13 pt, carattere: Sfondo 2

(40)

~ 39 ~

La protesi è realizzata in legno e pelle ed è assemblata in modo da potersi piegare ,

inoltre sono evidenti segni di usura che indicano chiaramente che aiutasse davvero la

persona che l’indossava a camminare.

Questa ipotesi è stata verificata da Jacky Finch, ricercatore del KNH Center for

Biomedical Egyptology di Manchester , che ha reclutato volontari amputati del primo

dita del piede destro per testarne una copia.

Prima del “Cairo Toe”(alluce del Cairo), la protesi più antica era una gamba in bronzo

e legno del300 a.C. ritrovata in una tomba romana.

Sappiamo inoltre che nel MedioEvo le protesi erano costruite da artigiani specialisti in

armature; nel 1863 fu ritrovata sulle rive del Reno, una protesi metallica conosciuta

con il nome di “mano di Alt-Ruppin”.

Il pollice era indipendente, mentre le dita unite a coppie, erano bloccabili con due

bottoni posti sul palmo della mano.

Nel 1509 Goetz Von Berlichingen era famoso per la sua mano metallica articolata; si

trattava di una struttura polifunzionale con tutte le falangi articolate in modo

indipendente e potevano essere bloccate in ogni posizione garantendo così la presa

sicura di ogni oggetto che veniva rilasciato attraverso lo sblocco di determinati

(41)

~ 40 ~

la flessione; inoltre il pollice si opponeva alle dita ed era presente anche la flessione

carpica. La protesi pesava 1400grammi.

Già alla fine del XVI secolo compaiono le protesi moderne per concezione e

realizzazione. Alla fine dell’800 il Dott. Vanghetti intuì la possibilità di utilizzare la

muscolatura residua in un avambraccio per ottenere il comando di una mano artificiale

e da questa felice intuizione si arriva agli anni ‘ 60 in cui si realizzano le prime protesi

mioelettriche.

Il periodo successivo alle guerre mondiali fu decisivo perché di impulso cruciale alla

soluzione del fenomeno amputazioni che riguardava davvero un numero notevole di

individui visto che le condizioni sanitarie non permettevano soluzioni meno drastiche.

Arrivando ai nostri giorni, possiamo far conto su materiali resistenti, leggeri ed

intelligenti. L’aiuto tecnologico ci ha permesso di arrivare al ginocchio elettronico che

è in grado di ridurre il costo energetico del cammino.

Anche nel piede protesico sono stati fatti progressi tecnologici, introducendo un

concetto fondamentale riguardante la sua funzione: non più semplice ammortizzatore

del carico ma anche propulsore. Infatti siamo passati dal piede rigido a quello a

(42)

~ 41 ~

Per quanto riguarda invece l’invaso, le maggiori novità riguardano l’ancoraggio. Si

può usare o un ancoraggio distale (vite-clip) o l’effetto sottovuoto passivo o attivo.

Ciò permette di allentare le prese condiloidee e spinta poplitea

Fig. 9 Protesi modulari arto inferiore

4.2 TIPOLOGIA DELLE PROTESI MODERNE

La scelta del tipo di protesi che meglio si adatta alle condizioni generali , alle

caratteristiche alle esigenze ed anche alle aspettative del paziente è ovviamente un

punto focale del programma protezione. il fisiatra, il fisioterapista e il tecnico

ortopedico sono le figure professionali chiamate in équipe a definire il tipo di protesi.

La scelta delle componenti strutturali e funzionali per la costruzione di protesi

(43)

~ 42 ~

fisica generale, il moncone (forma, mobilità, lunghezza, forza, sensibilità, ecc.), la

condizione psicologica, il carattere, le abitudini di vita, la professione, l’ambiente

circostante, sociale e fisico e il grande numero di prefabbricati ortopedici oggi a

disposizione fa sì che, anche nella scelta e costruzione della protesi, questa

individualità possa essere rispettata.

Le protesi sono classificate in:

– protesi tradizionali o eso-scheletriche (in legno o in resina nelle quali le pareti

determinano la forma e hanno funzioni portanti);

– protesi modulari o scheletriche (una struttura tubulare svolge la funzione portante).

Inoltre le protesi sono distinte in provvisorie e definitive.

Particolare attenzione va rivolta a: tipo di invasatura, componenti strutturali o portanti,

componenti funzionali, estetica.

Se in letteratura si trova indicata la protesi immediata (applicata al tavolo operatorio) e

precoce o post-operatoria (1-2 settimane dopo l’intervento), nella pratica questi due

tipi sono usati pochissimo. Trovano invece ampia applicazione la protesi temporanea

o provvisoria e la protesi definitiva

La protesi temporanea è realizzata con sistema scheletrico-modulare, l’invasatura sarà

adattabile alle variazioni del moncone (riduzione del volume per riduzione dell’edema)

(44)

~ 43 ~

varie misure, e regolabili. Spesso queste protesi non avendo un’invasatura conforme al

moncone richiedono un sistema di cinghia o bretella che può creare problemi di

adattamento.

Raggiunto il volume definitivo, al paziente viene fornita la sua protesi modulare con

componenti nuove. Se dopo il primo ciclo di riabilitazione con protesi provvisoria,

tornato a casa l’amputato dimostra di usare la protesi temporanea e questa risulta

incongrua con il moncone che ha continuato la fisiologica trasformazione, dopo 6

mesi, si procede alla fornitura di una protesi definitiva. L’invasatura è costruita su

misura e costituisce il legame tra il corpo dell’amputato e la parte distale della protesi.

La sua forma è importante per la deambulazione e per un buon comfort. Per i monconi

di coscia, oggi, normalmente si costruiscono invasature in resina laminata, a contatto

totale, e con appoggio ischiatico, su calco in gesso del moncone.

I tipi più comuni di protesi ortopediche definite “modulari” sono costituite da quattro

parti fondamentali:

- un invaso anch’esso costruito e sviluppato su misura che accoglie la cuffia alla quale

si aggancia con un sistema a pressione, liberabile attraverso un pulsante di sgancio.

(45)

~ 44 ~

- un asse di carico comprendente o meno eventuali articolarità al ginocchio e/o

all’anca fissato all’invaso e che costituisce la linea di carico della protesi.

- un piede che sostituisce quello “che non c’è più” rispettandone le caratteristiche

personali del paziente.

La caratteristica è un struttura di tipo scheletrico portante, con elementi articolari ed

un rivestimento con finalità estetiche. I componenti o moduli strutturali (quali tubi,

giunti di allineamento e di rotazione per la protesi scheletrica) la cui funzione è

prevalentemente portante esistono in vari materiali (acciaio, titanio, carbonio,

alluminio) e vari diametri. La scelta dei moduli strutturali è dettata soprattutto da due

fattori: la resistenza e la leggerezza, e dipende soprattutto dal peso del paziente. Una

protesi in acciaio resistentissima che può sopportare carichi di 120 kg, è molto pesante

(2753g) camminarci richiede un notevole sforzo quindi è poco indicata per l’amputato

anziano per il quale una struttura portante in alluminio (2436g), testata fino ai 75 kg o

in titanio (2461 con forcella in titanio-2660 con forcella in alluminio) testata fino ai

100 kg può essere decisiva per la possibilità di tornare a camminare, essendo molto più

leggera. La modularità permette il raggiungimento di un rapido e ottimale

allineamento statico e dinamico della protesi, in relazione alle necessità dell'utente,

crescita compresa; a ciò va associata una ottimale cosmesi (aspetto molto importante

(46)

~ 45 ~

4.2.1 L’INVASATURA

L’invasatura per amputazione trans femorale

La maggior parte delle officine ortopediche realizza gli invasi su calco in gesso, ma

attualmente è già possibile rilevare misure con sistema CAD-CAM (Computer-Aided

Design/Computer-Aided Manufacturing). Questo è un sistema computerizzato di

costruzione dell’invaso: un convertitore analogico-digitale converte le informazioni

dallo stampo negativo virtuale dell’arto residuo in dati numerici letti da un computer;

un software fornisce le immagini dell’arto residuo su un monitor; un tornio a controllo

numerico fresa un blocco di schiuma poliuretanica (o gesso) da cui realizza il positivo

dell’incavo. Dal positivo si realizza l’invasatura test in plastica trasparente, che serve

per la verifica dell’invaso definitivo.

(47)

~ 46 ~

IN VA SAT UR A Q U A D RI L A T E R A

:

Il nome di questo tipo di invasatura deriva dal fatto che vista su un piano orizzontale

essa mostra quattro pareti. Le forze pressorie determinate dal peso corporeo si

scaricano prevalentemente sull’ischio.

IN VA SAT UR A CAT- CA M

:

Contoured Adducted Trochanteric – Controlled Alignment Method, questo tipo di

invasatura racchiude il moncone creando un effetto bloccante che previene la

possibilità che l’invaso si muova sul moncone. Differisce dal tipo quadrilaterale in

quanto presenta una forma ovale, il diametro antero posteriore è maggiore di quello

latero mediale. Ciò provoca uno spostamento antero laterale dell’adduttore lungo che

si traduce in una riduzione di pressione sul triangolo di Scarpa. La forma dell’invaso fa

(48)

~ 47 ~

sì che la tuberosità ischiatica sia in esso contenuta e viene infatti definita invasatura “a

contenimento d‘ischio”.

INVASATURA ISNY

L’invasatura a pareti flessibili (ISNY) fu ideata nei primi anni ’80 dall’islandese

Ossur Kristinsson in collaborazione con G.Holmgren (Svezia) e l’University Medical

School di New York. Questo tipo di invasatura è costituita da pareti flessibili, sottili,

trasparenti, e da un telaio portante in fibra di carbonio che trasmette i carichi alla parte

meccanica della protesi. L’invasatura flessibile comporta una riduzione del peso della

stessa, pari circa al 12-15% rispetto a quella a pareti rigide e una maggiore adattabilità,

alle variazioni di volume del moncone a seguito delle contrazioni muscolari.

Fig. 11 Invasatura

quadrilatera

Fig. 12 Invasatura

(49)

~ 48 ~

INVASO M.A.S. (MARLO ANATOMICAL SOCKET).

Si tratta di un invaso a contenimento ischiatico non convenzionale. L’altezza della

parete posteriore è abbassata al di sotto della plica glutea, lasciando il muscolo grande

gluteo all’esterno dell’invaso, contrariamente agli invasi tradizionali. La tuberosità

ischiatica e parte del ramo ischiatico sono racchiuse nell’invaso, senza tuttavia

costituire un’area di appoggio e senza alcuna restrizione di movimento. Anche le

pareti anteriore e mediale sono più basse, rimanendo al di sotto del livello ischiatico. I

tendini dei muscoli della coscia rimangono al di sopra della parete di contenimento

inferiore, migliorando l’aderenza alla parete laterale. Considerato che non c’è un’area

prossimale su cui gravano le forze del peso corporeo, l’invaso M.A.S. costituisce un

sistema di scarico del peso “quasi-idrostatico” su tutto il moncone e la forza risultante

garantisce il controllo dell’invaso. Secondo Trower5 M.A.S. è in grado di migliorare il

comfort nella seduta, l’escursione articolare dell’anca, il controllo della protesi, la

cosmesi, la deambulazione.

(50)

~ 49 ~

L’invasatura per amputazione trans tibiale

L’invasatura a contatto totale può essere realizzata secondo tre tipologie:

- PTB (Patellar Tendom Bearing): l‟ancoraggio al moncone è assicurato da un

cinturino sopra rotuleo. Quest‟invasatura ha una limitata presa sui condili femorali.

Presenta un appoggio sottorotuleo e in parte sulla rotula ed è realizzata in modo da

avere una controspinta stabilizzante posteriore nella zona poplitea

- PTS (Protesi Tibiale Sopracondilare di Nancy): è idonea per monconi corti con

possibilità di appoggio terminale. Quest‟invasatura è dotata di una presa sui condili,

un appoggio sottorotuleo e sulla rotula. La parte antero-superiore ingloba la rotula al

suo interno aumentando la superficie d‟appoggio ed impedendo le rotazioni del

moncone all‟interno dell‟invasatura

- PTK (Protesi Tibiale di Kegel): la sospensione al moncone è affidata ad una presa

sui condili femorali. È presente un appoggio sottorotuleo e una controspinta

stabilizzante nel cavo popliteo. Questa è l‟invasatura prevalentemente adottata.

Protesi per la disarticolazione d'anca e l’emipelvectomia

La disarticolazione d'anca e l’emipelvectomia possono essere protesizzate solo con

protesi di tipo modulare realizzando una buona dinamicità dell'utente, considerando

(51)

~ 50 ~

cosmesi. E' stato possibile anche qui migliorare notevolmente il comfort di queste

protesi con l'introduzione di invasature flessibili ed avere anche un consistente

contenimento del peso realizzando dette protesi in titanio.

L'invasatura racchiude la parte amputata e si estende attorno avvolgendo anche le

pelvi della parte non amputata. Il peso corporeo viene scaricato attraverso l'appoggio

ischiatico sulla protesi. Nel caso di emipelvectomia l'appoggio generalmente avverrà

direttamente sulle masse muscolari presenti.

Va segnalato che da alcuni anni a questa parte si sono realizzate protesi specifiche per

lo svolgimento di attività sportive come la corsa, bicicletta e sci ed è stato proprio da

queste attività che hanno reso disponibili sul mercato della componentistica protesica

ginocchia e piedi con specifiche caratteristiche anche in relazione al tipo di attività

sportiva da svolgersi.

(52)

~ 51 ~

4.2.2 La cuffia

Le cuffie tradizionali vengono realizzate in tre diversi materiali (materiale morbido,

gomma espansa, silicone laminato) e forniscono un comfort medio-basso in quanto

hanno una ridottissima elasticità, sono poco morbide ed hanno una bassa capacità di

ammortizzare i carichi. Le cuffie di nuova generazione offrono un comfort nettamente

migliore e sono una soluzione ideale per monconi con cute sensibile agli sfregamenti o

con limitata tolleranza al carico nelle zone di appoggio.

I nuovi materiali, come l‟uretano o lo stirene, inoltre, permettono una maggior

personalizzazione della cuffia tramite termoformatura sul modello di gesso.

Una evoluzione di queste ultime è rappresentata, sia per le protesi transtibiali che per

le protesi transfemorali, dall‟ancoraggio terminale.

Cuffie Per Protesi Transfemorale

Il sistema con la cuffia consente di protesizzare più efficacemente i monconi

prossimali e/o con parti molli esuberanti e realizzare un reale contatto totale. Rispetto

al sistema a suzione elimina i problemi di risucchio nei confronti del moncone e

migliora il comfort dell’invaso riducendo le sollecitazioni nelle zone di carico e lungo

(53)

~ 52 ~

L’ancoraggio terminale della cuffia permette di eliminare, da un lato, la valvola e

quindi il sistema di sospensione a tenuta pneumatica con indubbi vantaggi per l’apice

del moncone, e dall’altro, i mezzi sospensione meccanica (cinghie, sospensione tipo

Silesian, bretellaggi, presa di bacino).

L’adozione della cuffia con ancoraggio distale comporta alcuni svantaggi quali

l’umento di peso della protesi (400 g circa), aumento dei costi (500 € circa); inoltre

non è nclusa nell’attuale nomenclatore tariffario e, pertanto, una parte della spesa è a

carico del paziente

Cuffia Per Protesi Transtibiale

La cuffia con ancoraggio terminale per protesi trans tibiale non è una innovazione

recente. Il sistema di sospensione è composto da due componenti: un perno filettato o

meno nella parte distale della cuffia e il dispositivo di ancoraggio in cui viene inserito

e bloccato il perno che viene poi sganciato tramite un pulsante.

Il sistema con la cuffia consente di protesizzare più efficacemente i monconi

prossimali e/o con parti molli esuberanti e ridurre, entro certi limiti, la presa sui condili

femorali. L’ancoraggio distale permette di eliminare i mezzi di sospensione meccanica

(cosciale articolato, cinturino sovra rotuleo, ginocchiera di sospensione) diminuendo

(54)

~ 53 ~

4.2.3 Il ginocchio

Un elemento funzionale importantissimo è l’articolazione di ginocchio. Essa deve

garantire la stabilità in posizione statica eretta e nella fase di appoggio della

deambulazione e deve guidare il movimento della parte distale della protesi durante la

fase di lancio.

I ginocchi attualmente più utilizzati sono dei sistemi meccanici passivi, azionati da

particolari movimenti del moncone che, effettuati all’interno dell’invasatura,

comandano il grado di flesso-estensione dell’articolazione.

Le classificazioni dei ginocchi protesici-

- in base alle possibilità di movimento si distinguono ginocchi rigidi o articolati;

- in base alle caratteristiche funzionali intrinseche e alle loro combinazioni si

distinguono i monofunzionali dai polifunzionali per la presenza isolata o combinata

dei sistemi idraulici, pneumatici, a frizione o meccanici di funzionamento del

ginocchio;

- in base al numero di assi di rotazione che determinano le modalità di movimento

articolare si distinguono i monocentrici o monoassiali e i policentrici o pluriassiali.

I monocentrici sono composti da un solo asse di rotazione per cui garantiscono il

singolo movimento di flesso-estensione e la loro sicurezza è data dall‟allineamento

Figura

Fig. n.5 Muscoli della loggia anteriore e posteriore della gamba
Fig. 6 Livelli di amputazione  Formattato:  Centrato, Interlinea multipla 2,5 ri
Fig. 8 “Cairo Toe” (Alluca del Cairo)
Fig. 9 Protesi modulari arto inferiore
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