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Ameglia, Trebiano e Nicola di Ortonovo. Architettura Vernacolare nella Bassa Val di Magra.

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL

SAPERE

ANNO ACCATEMICO 2012/2013

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO

SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Ameglia, Trebiano e Nicola di Ortonovo

Architettura vernacolare nella bassa Val di Magra

Vol. 01

Relatore

Denise Ulivieri Michela Cervia

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INDICE

INTRODUZIONE

1. CAMPO DI RICERCA……… 1

1.1 Architettura vernacolare Dall’ecostoria all’archeologia del costruito……… 1

2. LA BASSA VAL DI MAGRA, TERRA DI LUNIGIANA………… 10

2.1 Posizione geografica e aspetto fisico………. 10

2.2 Cenni storici……… 16

3. CARATTERI COSTRUTTIVI DELLA LUNIGIANA E DELLA BASSA VAL DI MAGRA……… 24

3.1 Materiali e tecniche costruttive………. 24

3.2 L’evoluzione dell’abitazione……… 30

4. AMEGLIA,TREBIANO E NICOLA DI ORTONOVO: UN “TRIANGOLO” SUL FIUME MAGRA……….. 34

5. AMEGLIA……….. 39 5.1 Cenni storici……….. 39 5.2 Il castello di Ameglia……… 42 6. TREBIANO………. 45 6.1 Cenni storici……… 45 6.2 Il castello di Trebiano………. 47 7. NICOLA DI ORTONOVO……… 50 7.1 Cenni storici………. 50

7.2 La Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo di Nicola……… 54

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8. PER CONOSCERE L’EDIFICATO……… 58 8.1 Metodologia d’indagine……… 58 8.2 Tipologia di schedatura……… 61 9. SCHEDATURA EDIFICI……… 70 9.1 Borgo di Ameglia……… 70 9.2 Borgo di Trebiano……… 222

9.3 Borgo di Nicola di Ortonovo……… 374

10. PATTERN BOOK ……… 497

CONCLUSIONI ……… 517

BIBLIOGRAFIA………. 519

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INTRODUZIONE

Questa indagine vuole evidenziare la ricchezza architettonica di alcuni borghi della bassa Val di Magra, partendo da un’analisi estensiva dei centri storici di Ameglia, Trebiano e Nicola di Ortonovo.

La scelta del campione, oltre che da un vivo interesse per questo territorio, è stata determinata dalla tipologia insediativa e dal ruolo politico e sociale di questi abitati nel corso dei secoli.

Nel sviluppare la ricerca verrà realizzata prima di tutto un’indagine preliminare attraverso la bibliografia riguardante il territorio, costituita essenzialmente dagli studi degli storici locali, oltre all’analisi delle fonti scritte in grado di fornire preziose informazioni sulle vicende edilizie dei siti, sul loro periodo di fondazione, eventuali interventi costruttivi o distruttivi, passaggi di proprietà, restauri ecc., sulle strutture edilizie. Si passerà poi all’osservazione sul campo, elaborando un censimento, delle strutture più caratteristiche in modo da individuare le principali tendenze architettoniche degli edifici di riferimento. L’analisi diretta e la raccolta delle informazioni verrà effettuata attraverso la compilazione di una schedatura, da effettuarsi su ogni edificio, comprensiva di una documentazione composita di mappe catastali e fotografie relative ad esso. La scheda, suddivisa in argomenti e campi di testo, raccoglierà dati riguardanti la denominazione, la collocazione, la struttura fisica dell’edificio oltre ad elencare tutti i materiali utilizzati per la composizione degli elementi che lo compongono e dare informazioni sugli ampliamenti, le modifiche e i restauri svolti su di esso. La raccolta dati si chiuderà, con la compilazione delle informazioni relative alle leggi, ai regolamenti ed ai vincoli che disciplinano l’abitato, e così si procederà con la schedatura, fino al raggiungimento di un numero sufficiente di edifici per una lettura complessiva dell’edificato. Lo svolgimento della ricerca, seppur in modo limitato rispetto alla complessità della materia, attraverso uno sviluppo di elaborazione dati, segue, sotto certi aspetti gli studi sulla conoscenza del costruito, nella Lunigiana Storica, ad opera di Tiziano Mannoni e degli altri membri dell’Istituto Storico di Cultura Materiale (ISCUM).

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Istituto, cui diede il suo prezioso contributo Isabella Ferrando Cabona, da considerarsi tra i principali studiosi responsabili, a partire dagli inizi degli anni ’70, dell’ ”archeologia dell’elevato”. Il loro studio, imprescindibile riferimento nello svolgere tale elaborato, verrà preso in considerazione per alcuni aspetti metodologici, considerando particolarmente i metodi preliminari di ricerca, riferibili al concetto di conoscenza delle strutture attraverso l’analisi e l’attenta osservazione di queste; i metodi d’indagine tecnici, sviluppati attraverso indagini di laboratorio approfondite e grazie all’utilizzo di preziosi strumenti diagnostici, seppur da ritenersi di fondamentale importanza, non verranno in questo caso presi in esame. L’indagine sui tre borghi della bassa Val di Magra, si sviluppa attraverso una raccolta dati oggettiva sulle caratteristiche dei suoi edifici, lasciando comunque spazio a successive interpretazioni e letture sul materiale schedato da parte di figure professionali appartenenti ad altri ambiti disciplinari, o ad un conseguente sviluppo di studio sul materiale raccolto, attraverso indagini specifiche di laboratorio, come quelle proposte da i più importanti studiosi della materia.

Gli edifici presi in esame, saranno, oltre a quelli, riconosciuti per il loro spiccato significato culturale, come edifici pubblici, di culto, castelli ecc., quelli che hanno ugualmente valore di testimonianza, specialmente quando rappresentano modi di vivere che vanno scomparendo e in cui trovano voce generazioni e generazioni di parti sociali ignorate dalla grande storia.1

Il passato architettonico e urbanistico sono costantemente presenti, anche quando non appartengono a edifici che troviamo nelle pagine dei manuali; le comunità organizzano da sempre il proprio sistema di residenze, dimostrando di essere capaci di redigere un loro personale e funzionale autoprogetto.2 Tale ricerca,

partendo da quest’ultimo concetto, prenderà in considerazione la cosidetta architettura minore, più correttamente identificata a livello internazionale, con il termine di architettura vernacolare. A partire dall’anno 1972 l’UNESCO definisce il monumento, l’insieme architettonico e il sito, che è “ogni complesso, sia opera dell’uomo che della natura, a cui omogeneità e interesse

1 I. FERRANDO CABONA, Guida critica all’archeologia dell’architettura, “Archeologia

dell’architettura”, VII, (2002), p. 10.

2 P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico, Raccolta e saggi a cura di Denise Ulivieri, Pisa University Press, Pisa 2009, p. 9.

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principalmente artistico, formale, storico, etnografico, scientifico, letterario o leggendario, giustificano una protezione e una valorizzazione”. E si arriva a sostenere che “Tout le territoire de l’Europe est «Centre Historique»”.3 I tre

borghi presi in esame, appartengono a questo grande “centro storico”, racchiudendo in un territorio piccolo come la bassa Val di Magra caratteristiche che rendono unico il suo edificato. Tale singolarità, può essere legata a differenti fattori, che andranno ricercati negli aspetti territoriali, politico-culturali ed economici, senza trascurare, le più personali, ma non meno importanti ed influenti scelte della committenza, dell’abilità delle maestranze e soprattutto delle personalità di chi ha abitato questi edifici.

La ricerca, svilupperà una banca dati attraverso modalità esplicative facilmente comprensibili, ponendosi come obbiettivo di illustrare i caratteri costruttivi predominanti nell’area della bassa Val di Magra. Scopo finale dunque, è la realizzazione di un Pattern Book, un campionario che, dopo aver rielaborato tutti i dati raccolti durante la fase di ricerca, presenti attraverso immagini, concetti e osservazioni, la natura oggettiva dell’architettura del territorio. La creazione del Pattern Book, vuole essere un elaborato d’immediata comprensione, con l’intento che possa divenire un mezzo di fruizione per la conoscenza dell’edificato dei centri-storici di Ameglia, Trebiano e Nicola di Ortonovo. Conoscere l’architettura vernacolare di un determinato luogo ci permette di comprenderlo nella sua interezza, educandoci al rispetto e al suo mantenimento, la preventiva consultazione del Pattern Book, può essere utile per attuare modifiche, ampliamenti o aggiunte di nuove costruzioni attraverso un atteggiamento più consapevole.

L’elaborazione della tesi, durante tutto il suo svolgimento, considererà l’edificio, come documento storico a cielo aperto, sottolineando quanto sia importante la sua conoscenza per la conservazione della “memoria”. Il mantenimento e la trasmissione ai posteri, di questi particolari “documenti”, può avvenire attraverso una buona educazione, regolamentazione e tutela dei singoli edifici in rapporto al loro contesto. Le trasformazioni strutturali, gli ampliamenti, le sostituzioni e le nuove costruzioni, fanno parte dei normali

3D. ULIVIERI, Introduzione all'architettura vernacolare, SEU Servizio Editoriale Universitario di Pisa, Pisa 2000, Introduzione.

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mutamenti che l’uomo sottopone all’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze; conoscere l’esistente, può aiutarci a capire come è possibile operare tali cambiamenti, preservando la personalità dei borghi storici

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1. CAMPO DI RICERCA

1.1 Architettura vernacolare

Dall’ecostoria all’archeologia del costruito.

Per molti anni l’approccio alla storia dell’architettura, si è limitato a considerarla come la scienza che studia tutti quegli edifici aventi un rilevante valore storico-artistico, per la loro fattezza o per essere stati realizzati dalla mano di un grande architetto.4 L’architettura in realtà si compone di più

discipline, ed il suo termine ha un significato ben più ampio, riassumibile nella materia che ha come scopo l'organizzazione dello spazio a qualsiasi scala, ma principalmente quella in cui vive l'essere umano. Quando si parla di ‘scala umana’, non ci si riferisce a un dato numerico, bensì all’osservazione profonda che andrebbe fatta ogni qual volta si conosce un luogo, per scoprire i gesti, atteggiamenti e abitudini, non fissati in un determinato istante ma nel muoversi e nel divenire nel tempo di una società che vive in quel territorio la propria quotidianità.5 L’interpretazione di questo spazio, avviene oggi attraverso uno

specifico ramo dell’architettura, quello ecostorico, o ecistico, fondato sullo studio dell’oikos, ovvero sulla storia degli insediamenti umani, comunque configurati. Tale disciplina nacque dal forte interesse di alcuni studiosi di ricercare nuove metodologie per uno studio scientifico sulle architetture minori, si tenne così a Lucca dal 24 al 28 ottobre 1975, lo storico convegno internazionale dal titolo “Gli studi di storia urbanistica: confronto di

metodologie e risultati”. Organizzatore del convegno fu Piero Pierotti, il quale

al termine dei vari interventi elaborò un libro dall’omonimo nome, nel testo si includevano le nuove strategie d’indagine appena enunciate, e soprattutto si decise di designare con il termine ecostoria, il complesso degli studi che vi si riferiva.6 Nel campo di applicazione dell’ecostoria rientrano le residenze, i

luoghi di lavoro, le vie di comunicazione, il paesaggio, l’ambiente: in pratica tutto il sistema delle modificazioni che l’uomo ha introdotto sul suolo per trasformarlo in un territorio abitabile e usabile per i suoi fini. “Le architetture

4 P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., p. 5

5 S. LANGE’- D. CITI, Comunità di Villaggio e architettura, L’esperienza storica del Levante

ligure, Jaca Book, Milano 1985, p. 87.

6 P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., nota a piè di pagina.

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costruite dall’uomo, sono la realizzazione concreta di questo sistema di comunicazione e corrispondono alla situazione sociale in cui egli si organizza”.7

“Poiché abitare e usare il suolo è un problema di tutti, l’ecostoria è la storia di tutti. Non solo cioè di coloro che si sono distinti per opere particolarmente eccelse ed eccezionali, ma anche di coloro che hanno segnato sul suolo le tracce della quotidianità e di un’organizzazione di vita assolutamente ordinaria”. 8.

L’abitare è dunque un’attività di tutti e proprio per questo motivo è ricca di contenuti e di informazioni. Tutti noi nel momento in cui ci insediamo sul suolo lasciamo inevitabilmente le impronte della nostra presenza. L’ecostoria infatti, nel modo più ampio e democratico, prende in considerazione, non solo “le opere degli abilitati alla professione, le città disegnate sulla carta, i progetti col timbro”, ma si occupa dell’infinita “scienza dell’abitare”. E’ doveroso a tal proposito ricordare che la capanna nacque prima della professione dell’architetto e il villaggio prima della professione dell’urbanista.9

Abitare per l’uomo è da sempre stata un’esigenza primaria, come il cibarsi e il dormire. Fisicamente fragile l’uomo ha sempre avuto la necessità di cercare o costruire dei ripari per se stesso, per la prole, per la famiglia. E’ vero che anche gli uccelli sanno fabbricare dei nidi; però l’uomo per così dire, nidifica dappertutto e, inoltre, sa costruire una tipologia indefinita di nidi. I suoi “nidi” corrispondono alla capacità che egli ha di usare liberamente della sua intelligenza per introdurre nell’ambiente quei prolungamenti che gli consentono di adattarsi ad ogni condizione esterna e di adeguarsi ad ogni situazione. 10 Il legame tra architettura e lo spazio ambientale e sociale in cui essa si colloca, diventa imprescindibile; poiché né costituisce il supporto fisico e rappresenta l’organismo primario col quale l’uomo è stato chiamato a confrontarsi e a mediarsi per possederlo. La natura è la prima fornitrice di dati, la prima cosa esterna che condiziona l’uomo e il suo modo di agire, il quale, a

7 P. PIEROTTI, Paradigmi di architettura, manuale storico critico di storia dell’edificazione, Edizioni Plus, Pisa 2005, p. 91.

8

P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., p. 7. 9

D. ULIVIERI, Introduzione…cit., Introduzione.

10 P. PIEROTTI – D. ULIVIERI, Culture sismiche locali, Edizioni Plus Università di Pisa, Pisa 2001, p.7.

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sua volta, per volgerla alle sue esigenze in qualche modo la modifica, cioè attua un progetto. Il territorio è lo specchio della società che lo vive; e viceversa la società è quella che attua la sua organizzazione sopra di esso e si adopera per trasformarlo a seconda delle sue esigenze specifiche. Ogni frammento di mondo che si esamina và osservato nella sua globalità e non staccato dal contesto in cui è collocato. Non si spiega una strada, un paese, se prima non si capisce ciò che lo circonda; come non si capisce un uomo se lo si isola dal contesto in cui è vissuto o vive, ecco perché il territorio viene definito lo specchio della società. 11

Fin dai tempi più antichi, quando ancora progettista, esecutore e fruitore erano di massima la stessa persona o lo stesso gruppo sociale,12 l’integrazione tra questi tre elementi, avveniva nella maggior parte dei casi, attraverso la massima economia derivante dall’uso quasi esclusivo dei materiali locali. L’utilizzo delle risorse in loco, è da considerarsi uno dei rapporti più stretti, che da sempre si instaura tra uomo e territorio. La ricerca del materiale per la costruzione dell’edificio ideale varia a seconda delle ricchezze dello spazio abitabile, le differenti tipologie di ambiente, portano ad altrettante differenti tipologie di manufatti, che vengono il più possibile adattati alle caratteristiche del territorio.

L’esposizione climatica, come la presenza o meno di vegetazione o di un corso d’acqua, sono tutti fattori decisamente influenti nelle scelte costruttive di un insediamento che, insieme all’espressione dei singoli gruppi sociali, del loro potenziale tecnico, delle differenti ideologie e credenze, così come a un certo numero di valori artistici, estetici e morali, vanno complessivamente a caratterizzare l’architettura di un determinato luogo. 13

Tali espressioni, sono effetti di una cultura “locale”, che magari il “globale” cancella, non di rado per la pura ignoranza della perdita di valori che ne consegue.14

11 M. BARONTI – R. GHELFI, Proposte di uno studio metodologico sull’

individuo territoriale della Val di Magra, “Cronaca e storia di Val di Magra”, IV, (1975), pp. 225-227.

12

P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., p.206.

13 A. ARECCHI, La casa nella roccia, architetture scavate e scolpite, Edizione Mimesis, Milano 2001, p. 13.

14 P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., p.206

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Un’architettura che per molto tempo è stata da molti considerata minore, spontanea e anonima, ma in realtà si tratta di un’architettura con una matrice assai complessa che non rientra dentro a rigorose schematizzazioni, e proprio per questa ragione non può essere capita da tutti.

In campo internazionale, ha assunto una graduale importanza divenendo oggetto di studio ed identificandosi con il nome di “architettura vernacolare”. Sono stati fatti molti tentativi per definire tale ambito disciplinare, da comprendersi nell’ampia materia dell’ecostoria.

Nello studio del linguaggio, il termine vernacolare, sta a significare un idioma indigeno “sottodialetto della lingua italiana”, la parola deriva dal latino vernaculus, nativo, domestico. Estendendo l’analogia linguistica che è frequentemente applicata alla grammatica, alla sintassi e perfino allo stile e alla maniera delle espressioni dell’architettura formale, il vernacolare è il dialetto locale o regionale, il linguaggio comune degli edifici.15 Il termine vernacolare fu adoperato per la prima volta nel XIX secolo, per la precisione nel 1839 in Inghilterra, dagli architetti che studiavano le costruzioni rurali dell’età preindustriale.16 Il termine oggi viene utilizzato per evidenziare l’architettura

caratterizzante un determinato luogo; attraverso l’uso quotidiano, una determinata area acquista identità, unicità con ovvi riferimenti alla vita che si svolge in quel territorio e in un determinato tempo, dando valore agli edifici che l’uomo abita quotidianamente.17

Dal 9 novembre 1964 al 7 febbraio 1965, al MoMa di New York, si tenne un’importante mostra fotografica dal titolo “Architecure whitout Architects, a

short introduction to Non-Pedigreed Architecture”. L’apertura di questo evento

ampliò lo sguardo degli studiosi di architettura verso orizzonti ancora poco esplorati, come affermò in tale occasione Bernard Rudofsky, curatore della mostra, nell’introduzione del catalogo, evidenziando il fatto che l’arte del costruire, e lo studio che se né era fatto sino a quel momento, riguardava sempre e solo le grandi realizzazioni dei grandi architetti, lasciando così un vuoto enorme, quello delle architetture anonime, del quale si avvertiva ora,

15 P. PIEROTTI – D. ULIVIERI, Culture sismiche… cit. p. 7.

16 G. TOSCIRI, Il Vernacolare: analisi critica di un concetto, tesi di Laurea in Scienze dei beni culturali, anno accademico 2008/2009, Pisa, p. 3.

17 P. PIEROTTI, Il Metodo Ecostorico…cit., p. 10.

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l’esigenza di colmare. Rudofsky, affermava che non esisteva una classificazione per queste costruzioni e in mancanza di una vaga etichetta, decise di chiamarla “architettura vernacolare anonima, spontanea, indigena, rurale”.18

La mostra fotografica, ebbe un grandissimo successo e grande visibilità, al momento che divenne itinerante per undici anni, esposta in diversi luoghi stimolò l’interesse dei visitatori per la “nuova” tematica. Sempre nello stesso anno, 1964, venne organizzato a Venezia il Secondo Congresso internazionale

degli architetti e dei tecnici dei monumenti storici, in tale occasione fu redatta

la Carta di Venezia, un documento internazionale sulla conservazione ed il restauro dei monumenti; elaborata da Piero Gazzola e Roberto Pane, i quali proposero la sostituzione della parola monumento con l’espressione bene

culturale, già adottata dalla convenzione dell’Aja tenutasi dieci anni prima.

Nella Carta di Venezia, Gazzola esalta il valore dell’edilizia minore, alla quale fu affidata la funzione di trasmettere, alle varie articolazioni urbane, il calore, il

carattere e il colore che rendono unica e irripetibile la città.19 Per la prima volta il valore estetico e di “firma” del manufatto, lasciano spazio al valore storico-documentario di esso, e vengono così a costituirsi organi per la tutela e lo studio dell’architettura vernacolare. Nel 1965 Gazzola divenne il presidente dell’International Council of Monuments and Sities -ICOMOS-, associazione internazionale, non governativa, dedicata all’applicazione della teoria, della metodologia e delle tecniche scientifiche per la conservazione del patrimonio architettonico ed archeologico.20 Solo qualche anno dopo, ci fu la conferenza

sulla protezione dell’architettura vernacolare, organizzata dall’ICOMOS. Dal primo colloquio, si ebbe proprio l’enunciazione e definizione dell’architettura vernacolare, che fu detta “tipica improvvisa, che è chiamata spontanea, minore

18 B. RUDOFKY, Architecture Whitout Architects, New York, Doubeday & Company, 1964, p.2.

19 P. GAZZOLA, La situazione urbanistica nelle nostre antiche città, in “Atti del VII Congresso nazionale di urbanistica” Bologna, 1958, pp. 437-438.

20 P. GAZZOLA, II° Congresso Internazionale degli Architetti e dei Tecnici del Restauro, in Antichità e Belle Arti n. 21, Firenze 1965, pp. 152-153 .

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o popolare, secondo la visione particolare, che i diversi periodi storici hanno avuto del fenomeno, occupa una posizione di un’importanza particolare”.21 Con il passare degli anni, la sensibilizzazione verso questo genere di architettura, per la sua valorizzazione e tutela si accentuò. Nel 1977 proprio per indagare questa categoria architettonica si costituì il CIAV, Comitè International d’Architecture Vernacolaire, con l’intento di conferire alla ricerca un carattere interdisciplinare studiando le morfologie, la conservazione, l’adattamento e il restauro, per approfondire ricerche, tenendo sempre ben presenti le principali variabili che condizionano queste architetture, comprese le funzioni, la progettazione, la natura, l’appartenenza, il contesto, considerando vernacolare sia i casi isolati che i centri urbani, sia i paesaggi urbani che rurali, appartenenti ad una certa regione, manifestazioni materiali

della differenza dei vari gruppi etnici e socioeconomici che li hanno creati.22 Importanti, in questo ambito gli studi di Paul Oliver, tra i maggiori esperti di architettura vernacolare, che nel 1997 redige la sua più importante opera

Encyclopedia of Vernacular Architecture of the World (ed Cambridge

University Press) raccogliendo i contributi di 750 studiosi provenienti da oltre 80 paesi. Nella sua Enciclopedia, riccamente illustrata di fotografie e mappe, emerge l’incredibile varietà delle architetture tradizionali di questi luoghi, dovuta ai differenti contesti territoriali e culturali in cui esse sono state collocate, dall’iglù degli Inuit, popolazione originaria dell'estremo nord del Canada, alle capanne africane. Paul Oliver dedicando così ampliamente, la sua attività all’architettura vernacolare del mondo, ha creato una preziosa raccolta, risorsa ancor oggi incredibile per le ricerche di architetti, antropologi, geografi ed altre figure professionali.23

La materia venne ufficialmente “consacrata” durante la 12ª Assemblea generale dell’ICOMOS, tenutasi in Messico, nella quale si promulgò la “Carta

dell’Architettura Vernacolare” (Charte du Patrimoine bâti Vernaculaire), la

quale recita:

21 P. GAZZOLA, Premier colloque sur les problèmes posés par la sauvegarde de

l’architecturepopulaire, in “Monumentorum Tutela” Ochrana pamiatok 9, Simposium

ICOMOS, CSSR, 1971 p. 2.

22 D. ULIVIERI, Dall’architettura anonima all’architettura vernacolare, Pisa, P. 54-55. 23 P. OLIVER, Dwellings. The vernacular house world wide, Phaidon 2003, p. 16.

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“il patrimonio architettonico vernacolare è motivo di orgoglio di tutti i popoli. Riconosciuto come una creazione caratteristica e pittoresca della società, si manifesta in modo informale ma organizzato; possiede, tuttavia, interesse e bellezza. È nello stesso tempo riflesso della vita contemporanea e testimonianza della storia della società. Sarebbe, quindi, indegno non cercare di conservare e di promuovere questa ricchezza che rappresenta, per l’umanità, la sua esistenza e il suo avvenire”.

La perdita dell’architettura vernacolare, cancellerebbe per sempre parte delle origini della nostra civiltà, che in modo istintivo ma non casuale ha creato il proprio habitat, la propria casa. Ogni società è mossa dall’osservazione attenta di ciò che la natura impone, dai meccanismi che si innescano e rendono fruibile e possibile la vita in un determinato territorio.24

Importante è inoltre considerare che non tutte le comunità hanno le solite esigenze, le necessità variano e così si differenzia anche il modo di costruire, esistono comunità nomadi, dinamiche e quelle statiche come la popolazione dei liguri apuani. Originari della bassa Val di Magra, essi manteneva un tenore di vita a livello di semplice sussistenza, una volta individuato uno spazio adatto e compatibile per lo stanziamento della loro tribù veniva solitamente trasformato e non più modificato, occupandolo definitivamente.25

L’indagine approfondita sull’architettura vernacolare, si è sviluppata poi negli ultimi decenni, attraverso la nascita di nuove discipline che hanno definito una forma di studio incentrata sull’analisi diretta del manufatto.

A tal proposito, prende campo tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, la così detta “archeologia dell’architettura”.

Questa disciplina si sviluppa attraverso differenti focolai di incubazione: quelli sviluppatisi in Liguria dall’Istituto Storico di Cultura Materiale (ISCUM), in Toscana dal Diartimento dell’Università di Siena, in Lombardia dall’Ente Acli Istruzione Professionale (Enaip Botticino), a Roma dal museo archeologico nazionale romano (Crypta Balbi), a Venezia dal Dipartimento di Scienza e Tecnica del Restauro, che hanno prodotto una riflessione teorica e offerto metodi di indagine che, pur muovendosi prevalentemente dai principi codificati dall’archeologo Edward C. Harris sulla stratigrafia archeologica, vennero rielaborati e applicati allo studio degli elevati, considerando la superficie

24 S. GOMIERO, La Ruta della Paz, un progetto ecostorico di Jimenéz Deredia, Pisa University Press, Pisa 2012, p. 14.

25 P. PIEROTTI, Imparare l’ecostoria, Ed. Franco Angeli, Milano 2009, p. 35

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muraria come un deposito stratificato le cui singole unità sono il frutto di diverse azioni edificative o distruttive. 26

La strategia di ricerca di questa ‘nuova’ materia, è impostata sull’osservazione analitica del dato materiale, cioè dell’edificio indagato nella sua consistenza strutturale come prodotto di azioni e di attività costruttive, per conoscerne le trasformazioni, il funzionamento e principalmente la sua storia. La complessità dell’“Archeologia del costruito”, è data dal fatto che si tratta di una materia strettamente connessa ad altre discipline, storiche, geografiche, antropologiche, ma anche tecniche come il restauro; ognuna di esse affronta tale argomento sotto un aspetto differente ma allo stesso modo importante, per giungere ad una conoscenza globale dell’edificato. L’analisi così, può effettuarsi sotto diversi punti di vista, da quelli dell’architetto, dell’ingegnere, del restauratore, dello storico dell’arte, del paleografo o dell’archeologo, in modo da avere maggiori informazioni.

A proposito del crescente interesse per l’architettura vernacolare, e per lo sviluppo sugli studi riguardanti l’archeologia dell’elevato, è nuovamente, doveroso ricordare Isabella Ferrando Cabona che, particolarmente interessata al costruito lunigianese, esprimeva così il suo pensiero: “La Lunigiana è terra di antica civiltà, ricca di tradizioni, di centri storici, di monumenti e di comuni abitazioni del passato sopravvissute all’ingiuria del tempo […]”

La studiosa ha dedicato, insieme all’ISCUM, la sua ricerca alla storia delle dimore povere e dei modi di vita che esse esprimono; all’edilizia sopravvissuta, che ha catalizzato sempre maggiori attenzioni a partire dal 1977, sono dedicati studi incentrati sul problema della datazione delle strutture rimaste in uso al fine di riuscire a ricostruire modelli abitativi rappresentativi di momenti storicamente determinanti. Il dibattito sul restauro e sul riuso dei centri storici e dell’architettura tradizionale in genere ha incentivato le ricerche schiudendo nuovi campi di applicazione pratica delle informazioni acquisite. L’archeologia dell’edilizia applicata dall’ISCUM in Lunigiana, si è basata su diversi metodi di datazione dell’edilizia storica, fondati su vari tipi di analisi, come quella riferibile allo studio dei materiali da costruzione. Quest’ultima, come anche

26 G. P. BROGIOLO, Prospettive per l’archeologia dellarchitettura, “Archeologia dell’architettura”, I, (1996), p. 11.

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quella sullo studio delle tecniche costruttive ed altre ancora, permette di raccogliere dati utili alla ricostruzione storico-sociale globale degli abitati.27

L’affermazione di questi metodi di ricerca ha permesso un ulteriore sviluppo della materia che ha portato ad approfondire la conoscenza della storia dell’uomo attraverso lo studio dell’edificato.

E’ sempre importante ricordare che, il tipo di materiale da costruzione, la sua lavorazione, le tecniche e gli stili presenti in una città, come in un piccolo borgo, non sono mai frutto di una scelta casuale.

27 G. M. MAFFEI, La casa rurale in Lunigiana, Marsilio Editori, Venezia 1990, pp. 151, 161. 9

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2. LA BASSA VAL DI MAGRA, TERRA DI LUNIGIANA

Mappa storica della Lunigiana

Tratto da: P.Marchi, La Spezia e la foce della Magra, Liguria territorio e civiltà, p. 6.

2.1. Posizione geografica e aspetto fisico.

Prima di addentrarsi nello specifico territorio d’indagine, è importante allargare lo sguardo, collocando la bassa Val di Magra all’interno di quella regione storica chiamata Lunigiana, dominio della città romana di Luni e di una tra le più antiche e potenti diocesi della cristianità.

Per cercare di capire l’utilizzoche nei millenni ha fatto l’uomo di questa terra, non si può non tener conto della sua forma fisica e della sua posizione geografica, che ha fatto di questo ristretto territorio una cerniera di collegamento tra le aree circostanti.

La Lunigiana storica, comprendeva un vasto territorio corrispondente a tutto il bacino del fiume Magra (Val di Vara compresa), ma anche territori dell’alta

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Garfagnana e della montagna parmense. Gli storici identificano la Lunigiana storica con il territorio del municipium della città romana di Luni.28 Il suo nome si legge per la prima volta, in un atto del 1141; ma senza dubbio, esso dovette ricorrere in documenti assai più remoti che il tempo ha dispersi. Quell’atto servì ad indicare il territorio del comitato di Luni corrispondente all’incirca al territorio della diocesi lunense, i cui confini erano più estesi di quelli della colonia romana, che a Luni faceva capo. La diocesi, che era direttamente soggetta alla Santa Sede per titolo originario, ha conservato fino al 1821 la giurisdizione distrettuale che aveva avuto in epoca apostolica.

Per Lunigiana, oggi invece si intende, una piccola area geografica amministrativamente appartenente alla Liguria e alla Toscana, suddivisibile in due differenti zone, la comunità montana a nord, con baricentro a Pontremoli, e l’area a sud con il suo baricentro nella città di Sarzana.

La Lunigiana occupa un punto rilevante del suolo della penisola, fra l’Italia settentrionale, di cui è l’ultimo lembo, e la centrale; essa però, non trova una precisa definizione geografica, per l’indeterminatezza dei confini, particolarmente di quello sud, non segnato da ostacoli naturali.

La zona della bassa Val di Magra, argomento d’interesse del presente lavoro di ricerca, è caratterizzata al livello fisico-geografico, dall’importante presenza del fiume Magra, la

sorgente che origina il corso d’acqua sgorga

tra il monte

Borgognone ed il monte Tonale a quota 1400 metri nei pressi del Passo della Cisa e da lì, con andamento quasi parallelo all’asse orografico

28

“Pare che nel Medioevo la Lunigiana, oltre a tutto il bacino del Magra, incluso il suo affluente Vara e il Golfo di La Spezia, comprendesse una parte della pianura lungo la costa ai piedi delle Alpi Apuane; da Moneglia a Framura fino a Marina di Pietrasanta.”P.M.CONTI ,

Luni nell’ alto Medioevo, Cedam, Padova 1967, p. 4.

Corso del fiume Magra

Tratto da: Archivio Ente Parco Montemarcello Magra.

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che segna il confine ligure-toscano percorre longitudinalmente la terra di Lunigiana.

Lungo il corso la sua portata viene aumentata da numerosi apporti idrici di torrenti suoi affluenti e, dopo sessantasette chilometri, lambendo la base dei contrafforti montuosi del braccio che delimita ad oriente il golfo della Spezia, si immette con un’ampia foce nel mare Tirreno.29

Augusto, nello spartire l’Italia in undici regioni, di cui la Liguria era settima e l’Etruria nona, pose il fiume Magra quale confine di queste due; Plinio dal canto suo, lo fissò come Liguriae finis; limite che, generalmente, fu ritenuto nel Medioevo e dopo. Dante invece, nel canto IX del Paradiso, volendo con molta approssimazione stabilire i termini della patria di Folchetto, gli fa dire:

Di quella valle fu’ io littorano tra Ebro e Macra, che, per cammin corto,

lo Genovese parte dal Toscano,

il poeta non guardava alla divisione augustea, egli considerò questo fiume non dal punto di vista geografico, ma esclusivamente sotto l’aspetto storico, infatti nonostante il fiume Magra non aveva dietro di sé un ‘cammin corto’, poiché giungeva al Tirreno dopo più di 60 chilometri di percorso, Dante, volle riferirsi solamente all’ultimo tratto del suo corso che separava, è vero, il territorio genovese da quello toscano, quando Genova aveva preso possesso dell’ultima porzione di territorio solcato da questo fiume.30

La presenza del Magra, è stata da sempre motivo d’interesse per i territori che attraversa; la sua influenza sul paesaggio è evidente, anche per quanto riguarda il suo condizionamento dal punto di vista climatico, elemento non trascurabile, in quanto esso ha condizionato le scelte abitative delle comunità, che nel corso degli anni si sono stabilite nella zona. Compreso nelle latitudini decisamente intermedie e nella regione climatica Ligure Toscana settentrionale, il bacino del Magra, pur risentendo dell’influenza climatica del Mediterraneo, deve essere suddiviso, cominciando dalle termometrie, in tre fasce assai articolate in relazione alla distanza dal mare, ma anche dell’altitudine media

29 F. MARMORI, La Val di Magra, AGIS Editrice, Genova 1979, p. 5.

30 G. PETRONILLI, Lunigiana, Società editrice internazionale, Torino 1961, p. 4.

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dell’esposizione dei versanti e della direzione media prevalente dei segmenti vallivi, tutte caratteristiche in base alle quali non solo le tre fasce si differenziano decisamente tra loro, ma anche al loro interno.31 La breve e

terminale fascia costiera, pianeggiante, è caratterizzata da un clima temperato, fortemente condizionato dalla vicinanza col mare, viceversa, la fascia montana interna, risente dell’altitudine e propone temperature medie invernali prossime allo zero e medie estive prossime ai 20°. La fascia intermedia, collinare, è quella che, sotto l’aspetto termometrico, propone più marcate differenze. La distribuzione delle piogge anch’essa, si manifesta in modo diverso da zona a zona, esse condizionano il regime idrico del Magra, sono generalmente abbondanti e distribuite specialmente in autunno e primavera, periodi in cui si registrano le massime piene, generalmente dalle tre alle cinque, in un anno. L’aspetto fluviale, è certamente l’elemento caratterizzante della Val di Magra, ma è l’estrema varietà dei suoi aspetti paesaggistici a rendere il territorio così particolare, a cominciare dalla morfologia. Se da nord si svolge lo sguardo verso sud, infatti, posizionandoci nella zona poco acclive e facilmente

31 P. FALZONE – V. GARRONI – P. MARCHI, Centri storici in provincia di Genova e La

Spezia, Sagep Editrice, Genova 1976, pp. 18-19.

Foce del fiume Magra, Alpi Apuane sullo sfondo Tratto da: Fondo biblioteca civica “Ubaldo Mazzini”, La Spezia.

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valicabile della Foce dei Carpinelli, punto di contatto fra l’alta valle del Serchio e l’alta valle dell’Aulella, la prospettiva della Val di Magra si chiude con una frastagliata catena di monti articolata in complesse masse calcaree. Il massiccio delle Alpi Apuane si pone, sempre, come sfondo del paesaggio lunigianese, emergendo dalle catene montuose meno elevate e più appenniniche, quasi un basamento del Pisanino e del Pizzo d’Uccello. Verso occidente il sistema montuoso si dispone con andamento parallelo alla costa ligure.

Meno articolato del precedente, esso muove dai contrafforti apuani e, dopo l’interruzione determinata dal passaggio del Magra, si collega presso le pendici del Gottero al crinale appenninico.

Il sistema vallivo del Magra si può articolare in tre settori:

- quello della riva destra composto da crinali di lunghezza uniforme che si mantengono per un buon tratto a quote elevate per precipitare bruscamente a fondovalle;

- quello della riva sinistra più ampio ed articolato del precedente, assimilabile ad un triangolo avente i lati coincidenti a sud con la valle dell’Aulella, ad est con l’asse del Magra, a nord-est con il crinale appenninico;

- quello delle valli del Bagnone, Tavarone e Rosaro, che determinano altrettanti sistemi innervanti dai rispettivi spartiacque.32

La fascia montana in generale, non raggiunge quote elevate, il territorio della Val di Magra è caratterizzato piuttosto, dalla presenza di rilievi non superiori agli 800 mt. e facilmente percorribili, tanto da essere scelti, come luoghi ideali per l’insediamento umano. Lungo il corso degli anni, le comunità della Lunigiana si stabiliscono così, principalmente nel territorio collinare, adattandolo alle proprie esigenze, attraverso edificazioni, disboscamenti e nuove coltivazioni. Questi colli, oltre a costituire una buona via di passaggio, differentemente dalle cime più alte e dalla vallata troppo paludosa, permettevano, attraverso campi terrazzati lo sviluppo dell’agricoltura e dell’importanti colture della vite e dell’ulivo. La vegetazione, in Val di Magra si presenta sufficientemente omogenea, poco frammentaria e per la maggior

32R. GHELFI, Cronache e storia di Val di Magra, “Centro aullese di ricerche e di studi lunigianesi”, X/XI, (1983), pp.190,191.

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parte di derivazione antropica. Il vero dominatore delle colline e delle montagne del territorio, è indubbiamente il castagno, per la maggior parte piantato dall’uomo, in sostituzione degli alberi spontanei, i castagneti ricoprono quasi il settanta per cento della zona boschiva, e per questo hanno da sempre rappresentato una grande risorsa economica per la valle, dalla lavorazione delle castagne venivano infatti ricavati i principali alimenti della dieta contadina, prodotti fondamentali per il sostentamento personale oltre che per lo scambio e la vendita.

« … Il terreno di Lunigiana in genere, sebbene non è molto spazioso, è per la maggior parte formato da pendici di monti e di colline, da poche strisce di pianura lungo i fiumi e dai piani di Pontremoli, di Busatica, di Groppoli, Sarzana e di Massa in poi; nientedimeno è ameno, delizioso e per avventura abitato a proporzione di ogni altra parte d’Italia, e per la moltitudine degli abitanti, ch’è grandissima, essendo coltivato ovunque meglio si può, si rende fertilissimo ed abbondante d’ogni cosa per il vivere umano…».33

Nella sua indagine, sul paesaggio toscano, Giovanni Targioni Tozzetti, osservò la cura particolare della popolazione lunigianese, nel saper sfruttare al meglio, attraverso una buona coltivazione, questo particolare territorio, nel quale la pianura né rappresenta solo una piccola parte. Quest’ultima si apre inaspettatamente tra monti e colline, acquista importanza solo dopo grandi opere di bonifica, insieme all’arginamento del fiume e dei canali, solo a questo punto i territori collinari vengono progressivamente abbandonati per territori più fertili ed è così che le città di fondovalle, come Sarzana, iniziano a crescere e ad avere un incremento demografico e di conseguenza, uno sviluppo urbanistico - architettonico.

Nonostante, già in epoca romana, passassero dalla piana, le più importanti vie di comunicazione, come la Aemilia Scauri, ed in epoca medievale la via Francigena, importante via di pellegrinaggio che da Roma portava a Canterbury, è solamente in epoca moderna che la vallata diviene più vivibile, e fortemente umanizzata, rispetto ai paesi medievali, arroccati con i loro castelli, sui colli. Sono comparse con il tempo, la ferrovia, le autostrade, che mettono in comunicazione il centro Italia con il nord e le prime industrie, in sostituzione

33

G. TARGIONI TOZZETTI, Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, X, Firenze, 1772, p. 356.

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all’attività agricola. Nonostante l’ultimo sviluppo, nel complesso la zona della Lunigiana e della Val di Magra, non è stata stravolta come altre parti dell’entroterra ligure o toscano, pur avendo subito evidenti cambiamenti, ha mantenuto infatti il suo paesaggio sostanzialmente integro.

2. 2. Cenni storici.

La ricerca storica che comprende l’area lunigianese deve partire da molto lontano, poiché questa regione posizionata in modo strategico, facile passaggio tra le Alpi e l’Appennino, via di comunicazione tra la valle dell’Arno, la Liguria e l’Emilia occidentale, è stata abitata da sempre ed ha assunto, per migliaia di anni, la funzione di crocevia militare e guerresco. Punti favorevoli al passaggio, come questi, sono stati spesso scelti per strade e sentieri, ma erano anche usati istintivamente dagli animali selvatici in movimento, venendo a determinare ottime stazioni per la caccia. Ciò può spiegare perché sono frequenti, vicino ai valichi, piccole aree con scarti di lavorazione degli strumenti di selce del Paleolitico Superiore, e specialmente del Mesolitico, quando cioè piccoli gruppi di uomini si spostavano continuamente nelle foreste d'abete bianco, pino e quercia, che ricoprivano le valli e le montagne, per appostare la selvaggina. E' evidente che, nell'attesa, i cacciatori scheggiavano i ciottoli di pietra dura raccolti nell'attraversare i torrenti.34

Il territorio lunigianese quindi fu già abitato nel Paleolitico, ma è soltanto nel Neolitico, nell’età del Ferro e nell’età del Bronzo che le popolazioni dovettero raggiungere un alto grado di civiltà, di cui resta testimonianza nelle statue - stele: rappresentazioni stilizzate in pietra di figure maschili (sempre identificate da armi: asce e pugnali), e femminili (riconoscibili dagli attributi, i seni). Quasi tutte le statue sono scolpite su arenaria compatta (attribuibile alla formazione del macigno anche se Filetto, Malgrate e Filattiera, dove è avvenuta la maggior parte dei ritrovamenti, sono località lontane dal macigno e sono invece ricche di calcari marmosi, calcareniti e argilloscisti). Il 70% circa delle statue fu realizzato a partire da blocchi trasportabili da 2 o 4 uomini mentre per il 30% furono utilizzati massi più grandi per cui fu necessaria la lizzatura su rulli di

34 U. FORMENTINI, Per un dizionario toponomastico della Lunigiana, in “Memorie dell’Accademia Lunigianese di scienze G. Cappellini”,V, 1924, pp. 33-34.

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legno per il trasporto. In alcuni casi si potrebbe trattare anche di trasporti naturali (e così si spiegherebbero taluni angoli smussati).35

L’uomo che realizzò le steli aveva sicuramente una buona capacità tecnica e spirituale e una grande cultura figurativa. Purtroppo, a parte le statue, niente ci parla di questi uomini (si può supporre che alcune tracce siano sempre da trovare).

Gli archeologi, si dividono sul significato da attribuire a questo fenomeno megalitico, molti dubbi e quasi nessuna certezza a riguardo.36 “A cosa servivano e per quale motivo sono state realizzate le statue - stele?”

Alcuni studiosi, attestano che potessero essere semplicemente opere d’arte fini a se stesse, altri ritengono fossero dedicate alla dea madre o ad eroi divinizzati, chi suppone potesse trattarsi di pietre tombali, di cippi confinari, spiriti familiari ed altro ancora.

A partire dalla fine dell’età del Bronzo (1300-900 sec. a.C.), si intensifica la presenza umana nel territorio, iniziano a svilupparsi piccoli insediamenti posti su sommità collinari, denominati castellari,37 composti da capanne da dove si

35 E. ANATI, Le statue-stele della Lunigiana, Jaca Book, Milano 1983, pp. 38-39. 36 E. ALDEROTTI, Porto Lunae, rinasce, Storia tradizioni e progetti nella bassa Val di

Magra, Imago Media Editrice, Dragoni (CE) 2005, p. 24.

37 In Lunigiana il toponimo Castellaro è tuttora molto diffuso ed è certamente il nome di luogo che con più sicurezza ha guidato gli archeologi a riconoscere un certo tipo di insediamento. Infatti, si è notato da tempo che i Castellari noti sono tutti relativi a sommità di colline attualmente quasi sempre disabitate ma in cui si rinvengono resti protostorici. Varie ipotesi, sono state fatte sull’origine del toponimo ritenendola ora ligure ora latina. Nel concreto si deve rilevare che i Castellari non sono fra loro tutti uguali designandosi così sia cime piccole che grandi, di bassa ed alta quota, frequentate sul finire dell’Età del Bronzo o nell’Età del Ferro. Forse, il toponimo, per i Liguri dell’epoca significa semplicemente altura, o, meglio ancora,

altura abitata e questa ipotesi ben si concilia con i dati archeologici di quei Castellari che non

Statue stele

Tratto da: Museo delle Statue Stele Lunigianesi, Castello del Piagnaro, Pontremoli.

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potevano controllare le greggi e proteggerle dai furti, in quanto l’allevamento rappresentava la risorsa principale del tempo.38

In epoca preromana la regione era abitata da quelle tribù Liguri che, pur stanziate nella loro generalità in una ben più vasta area, erano qui identificate in quelle dei Liguri Apuani. I loro villaggi si distribuivano seguendo la conformazione del terreno, essi intervenivano solitamente con opere di terrazzamento imponenti, l’estensione degli insediamenti variava da poche capanne a centri di notevole importanza demografica.39 Le abitazioni erano

costruite in gran parte con legno, frasche e pelli di animali, con il sostegno, qualche volta di piccole opere murarie, erano inoltre composte da uno o due locali, sempre dotati di un focolare. L’armamento dei Liguri era poco adatto allo scontro in campo aperto (i Liguri non avevano cavalleria) rispondeva alle esigenze della mobilità per effettuare attacchi di sorpresa: un pugnale, un giavellotto, uno scudo, una spada, a volte un elmo, spesso catturati al nemico.40 Nonostante mezzi da battaglia poco evoluti, rispetto ad altre popolazioni del tempo, i Liguri Apuani vennero descritti dai loro contemporanei come uomini e donne spietati, forti e vigorosi; Diodoro Siculo (80 – 20 a.C.) li definì

“fiere, e si suol dire che nei combattimenti, il più corpulento dei Galli la cede ad un gracile Ligure (...) e sono violenti ed aedimentosi non solo in guerra, ma anche in tutte le altre più rischiose attività: si danno alla navigazione nei mari sardi e africani, sfidano arditamente i più gravi pericoli”.

La presenza dei romani in questo territorio, fu indubbiamente uno dei pericoli più imponenti, essi infatti, spinti dalla logica delle loro conquiste, volsero la loro attenzione verso l’Italia settentrionale, dove i Liguri e i Galli si facevano

hanno mai avuto strutture difensive, ad esempio cinte in pietra, e sembrano interpretabili come luogo di controllo dei pascoli in altura. Nel periodo delle guerre con Roma alcuni Castellari ovviamente divennero luoghi di resistenza e rifugio dai pericoli. Infine, il toponimo Castellaro, che designa appunto siti protostorici, non và confuso con toponimi apparentemente simili come Castello o Castelvecchio che, in Liguria, indicano siti sommitali e che, a differenza dei Castellari, oltre ad aver sempre avuto cinte difensive sono stati frequentati fra la tarda antichità (V-VI secolo d.c.) e la fine del Medioevo ed oltre ancora.

38ISCUM, I liguri dei monti, Le origini della civiltà

contadina nellAppennino, Sagep Editrice,

Genova 1987, p. 5.

39 P. PIEROTTI, Imparare…cit., p. 36. 40 E. ALDEROTTI, Porto Lunae… cit., p. 20.

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minacciosi, i primi che si erano spinti fino alla foce dell’Arno, furono ricacciati a nord, Lucca e Genova furono occupate, i Galli invece, sconfitti a Talamone furono praticamente schiacciati nel 225 a.C.

La guerra tra Liguri e Romani, caratterizzata da alterne vicende, ebbe fine attorno al 180 a.C., epoca in cui iniziò la tragica deportazione in territorio sannita della popolazione soggiogata.41

Solo a questo punto inizierà la vera romanizzazione della valle, avviatasi alla fine del III secolo a.C. e definitivamente conclusa in età augustea (fine I sec. a.C.), durante la quale i Romani occuparono il bacino del Magra.

Nel 177 a.C. proprio alla foce del fiume, con evidenti scopi militari, a difesa del porto, venne fondata la colonia romana di Luni. Tra le ragioni delle deduzioni della colonia, va ricordata quella economico-sociale: doveva contribuire a sanare la grave situazione creatasi a Roma in quel periodo. Luni, infatti sorse come colonia agraria e, secondo Livio, vi furono dedotti ben 2000 coloni, a ciascuno dei quali furono assegnati 51 iugeri di terreno. Nel I sec. a.C., con la scoperta dei ricchi giacimenti marmiferi delle vicine montagne, la città ebbe subito un rapido incremento economico che la portò ad un periodo di

grande floridezza. Durante l'Alto Medioevo (V-X sec. d.C.) dopo il passaggio dei barbari proprio nella zona intorno a Luni si attesta il confine tra l'Impero Bizantino e i Longobardi: Luni è Bizantina, Lucca è Longobarda.

La Lunigiana diventa la Provincia Maritima Italorum e la guerra tra Bizantini e Longobardi termina intorno al 650 d.C., quando Luni e il suo territorio cadono in mano dei

41 F. MARMORI, La Val di… cit., p. 8.

Ricostruzione della colonia romana di Luni

Tratto da: Disegni di Francesco Corni, Museo archeologico di Luni, Luni.

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Longobardi di Rotari. Dopo la sconfitta di questi ultimi, ad opera di Carlo Magno, gli Obertenghi ottennero l’investitura feudale della Lunigiana e tra le varie famiglie obertenghe il ruolo preponderante lo assunsero i Malaspina. Dopo aver avuto conferma dei propri possessi in Lunigiana da Federico Barbarossa, i Malaspina, nel primo decennio del XIII secolo, iniziarono azioni di guerra contro i vescovi-conti di Luni e nel 1206 furono bloccati a Caprigliola dal vescovo Gualtiero, non riuscendo ad occupare la piana di Luni. Il principale atto politico dei Malaspina fu, la spartizione della Lunigiana in due parti: la sponda destra, con capoluogo Mulazzo, mantenne lo stemma dello Spino secco, la sponda sinistra invece, assunse lo stemma dello Spino fiorito.42 L’aver diviso in due la Lunigiana fu il primo errore politico dei

Malaspina, al quale si aggiunse la frammentazione del territorio in una miriade di piccoli feudi autonomi, fatto dovuto alla fedeltà alla legge longobarda di successione che prevedeva la suddivisione dell’asse ereditario tra tutti i figli legittimi; da legare a quest’ultimo fatto, l’edificazione, in questo periodo, di gran parte dei castelli della zona.43 La famiglia Malaspina era in continua lotta

per il predominio del “comitato lunense” con il potere dei vescovi-conti di Luni, che dall’ VIII secolo si trasferirono dall’antica e ormai inospitale città romana a Sarzana. Le lotte ebbero termine nel 1306, a favore dei Malaspina, con la pace di Castelnuovo Magra, a cui partecipò come mediatore, Dante Alighieri. Lo sfaldamento dell’autorità comitale dei vescovi lunensi diviene totale nella seconda metà del XIV secolo; si assiste così alla transitoria Signoria di Castruccio Castracani che, con la duplice investitura di visconte della diocesi e di vicario imperiale mantenne il potere fino alla sua morte avvenuta nel 1328. Negli anni a venire, la Lunigiana ormai privata da ogni autonomia politica, diventa un territorio ambito, anche per la sua, non trascurabile posizione geografica. E’ inevitabile che il territorio della valle posto a cavallo del confine tra Genova e Firenze, le due città che erano riuscite a unificare Liguria e Toscana, debba divenire luogo di scontro. Se i genovesi infatti fecero propria Sarzana e Castelnuovo, i fiorentini rimasero padroni dell’importante posizione strategica di Sarzanello, non solo, ma questi ultimi,

42 P. FERRARI, Castelli di Lunigiana, Bassani, Carrara 1963, p. 108.

43 D. VENERUSO, Da luna a Luni, contributo alle comunità di Ortonovo e Nicola, Sarzana 1977, p. 28.

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approfittando di situazioni favorevoli e dopo essere penetrati profondamente nel territorio diedero luogo alla prima podesteria toscana occupando Casola e costituendo il capitanato di Fivizzano prima e, in altra occasione, quello di Castiglione del Terziere.44

La Lunigiana si trova così divisa in zone di diversa influenza, anche Milano, conquistato il pontremolese che rimase suddito, sia pure saltuariamente, per circa due secoli e mezzo, al suo dominio, mirò sempre ad una sistematica dilatazione nelle contrade limitrofe. Con la decadenza dell’attività politica italiana e con la preponderanza straniera, si arrestò anche nella regione il contrasto fra i tre maggiori stati che si contendevano il primato sulla Lunigiana, per cui nessuno di loro giunse ad ottenere una prevalenza talmente salda da esercitare una sensibile azione unificatrice.

Questi fatti finirono per rendere stazionarie le condizioni di frazionamento della Lunigiana, e tali esse si mantennero fino alla rivoluzione francese. Con la creazione di dipartimenti e di circondari, Napoleone, secondo i piani imperiali da lui predisposti, unendola alla Liguria, riportava la Lunigiana nel complesso regionale del nord dell’Italia, come esigeva la situazione geografica. Rimaneva così connessa all’Emilia settentrionale, non solo per l’estensione del dipartimento degli Appennini al versante padano, ma perché Napoleone aveva inteso che il dipartimento medesimo dovesse in un certo modo integrare il territorio ligure.

Dopo il congresso di Vienna (1815), la regione subì altre non facili mutazioni, che in parte si collegavano al riconoscimento di antichi privilegi. L’alta Val di Magra (ovvero l’ex circondario di Pontremoli) passò agli stati parmensi con la denominazione di Lunigiana parmense. La media Val di Magra – che, geograficamente, fa centro ora, all’Aulla e si stende dal confine meridionale del comune di Villafranca al confine del territorio di Santo Stefano, e da Podenzana a Fivizzano – passò, insieme alla plaga più meridionale della regione, al di là del bacino della Magra, cioè ai territori di Carrara, Massa e Montignoso, agli stati estensi con la denominazione di Lunigiana estense. La bassa Val di Magra (da Santo Stefano alla foce, dal golfo della Spezia al territorio di Lévanto incluso), la quale, attualmente si identifica con la

44 F. MARMORI, La Val di… cit., p. 10.

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provincia della Spezia, passò agli stati sardi (parte distinta come Intendenza del Levante) con la denominazione di Lunigiana genovese.45

L’integrità territoriale della Lunigiana, non si verificò neppure con l’Unità d’Italia, l’alta e la media valle, i territori ducali quindi, venivano assegnati alla regione Toscana ed inclusi nella provincia di Massa Carrara, provincia questa che Vittorio Emanuele II aveva istituito nell’anno 1861; la parte terminale invece, già Sarda, nella provincia di Genova e successivamente, nel 1923, in quella della Spezia.

La neocostituita provincia di Massa Carrara si trova ad affrontare subito gravi problemi di ordine sociale, politico ed economico. E' in questo periodo che anche in Lunigiana, grazie allo sviluppo delle comunicazioni e degli scambi sociali e culturali (soprattutto con la realizzazione della ferrovia Parma-La Spezia) comincia a farsi strada l'ideologia socialista che porta alla costituzione del movimento operaio.

La situazione è precaria; la Lunigiana è una delle terre più colpite dall'emigrazione: la Maremma, la Corsica, la Francia e l'America sono le mete dei lunigianesi che cercano altrove migliori condizioni di vita. Alla fine saranno decine di migliaia quelli che avranno compiuto questo tipo di scelta. Ad aggravare maggiormente il panorama economico e sociale sopraggiunge la Prima Guerra Mondiale e, nel 1920, un disastroso terremoto che colpisce la zona orientale della Lunigiana, Fivizzano in particolare, provocando numerose vittime e gravissimi danni.

Il secondo conflitto mondiale non fa che peggiorare la situazione: la Lunigiana si trova ad essere la retrovia della linea gotica che divide le truppe tedesche da quelle alleate. La ritirata dell'esercito tedesco coinvolge direttamente il territorio e la sua popolazione: alcuni episodi più tristi dell'intero conflitto si consumano proprio qui. Mentre le truppe tedesche occupano il fondovalle per garantire la ritirata verso nord, in montagna i partigiani combattono. Ma la Resistenza provoca la reazione tedesca: Canova, Bardine, S.Terenzo, Vinca sono i paesi più colpiti. Il secondo dopoguerra vede la Lunigiana inserita nella nuova realtà repubblicana, ma sempre occupata dai vecchi problemi: il mancato rilancio economico, la crisi dell'agricoltura e la mancata

45 G. PETRONILLI, Lunigiana…cit., p.7.

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industrializzazione spingono ancora una volta i lunigianesi a emigrare verso i paesi stranieri e verso le nuove fabbriche del nord Italia.

Il resto è storia di oggi che vede la realizzazione di tutta una serie di infrastrutture fino alla costruzione dell'autostrada Parma-mare che collega i mercati del nord con la costa tirrenica; il completamento del raddoppio della ferrovia "pontremolese" sancirà ancora una volta il carattere di terra di passaggio, proprio da millenni, della Lunigiana.

Oggi ci troviamo dunque di fronte ad un territorio di confine e di collegamento tra aree vicine, ma anche di grandi risorse umane ed ambientali, che, paradossalmente, proprio per la mancata industrializzazione e il relativo ‘isolamento’ geografico e culturale risulta terra d’indubbio interesse, con i suoi paesaggi incontaminati, ricchi di storia e di tradizioni.46

46

M. B. GAVARINI – R. PEDICONE, Le fornaci a calce di epoca pre-industriale

nel territorio della Lunigiana Storica, Tesi di Laurea in architettura, anno accademico

1997/1998, Firenze, pp. 168-169.

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3. CARATTERI COSTRUTTIVI DELLA LUNIGIANA E DELLA BASSA VAL DI MAGRA

3.1 Materiali e tecniche costruttive

La storia delle costruzioni ci dice molto sul significato che, attraverso il tempo, ha assunto sempre più importanza la volontà di realizzare per sé e per la collettività, un ambiente idoneo in cui vivere. Partendo dalle risorse naturali, dalle condizioni ambientali, unendovi la tecnica e le conoscenze scientifiche, l’uomo ha da sempre ricercato il progresso della sua abitazione, per adattarla alle proprie esigenze. Ad uno sguardo attento e consapevole, ci si rende conto che questa continua ricerca, è un altalenarsi fra passato e futuro, fra tradizione e innovazione.47

Rispettare le tradizioni, non vuol dire soltanto conservare per ragioni affettive, o per bisogni di identificazione con le proprie radici, ma significa anche conoscere le volontà edificative accumulate e trasmesse nei secoli.

Le tradizioni architettoniche possono essere ricercate attraverso la conoscenza e la scelta dei materiali adatti agli scopi funzionali ed estetici di ogni edificio, e la tecnica con cui tali materiali vanno estratti, lavorati e messi in opera per un migliore rendimento visivo e per una maggiore durata.

Le condizioni che guidano le comunità locali nella scelta del materiale da utilizzare sembrano dettate, generalmente, da esigenze di tipo pratico ed economico, che possono essere così riassunte:

- la tendenza a ridurre la lunghezza del percorso cava cantiere;

- la facilità del percorso dall’estrazione all’impiego, (la possibilità di trovare un percorso via mare o via fiume ad esempio, diventava un criterio importante per la scelta dei materiali);

- la lavorabilità; - il costo di estrazione;

47

M. C. TORRICELLI – R. DEL NORD – P. FELLI, Materiali e tecnologie dell’architettura, Edizioni Laterza, Bari 2006, p. 3.

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- le caratteristiche fisiche e meccaniche (soprattutto leggerezza e resistenza);

- la funzione estetica.48

I materiali da costruzione, sono solitamente quelli più facilmente reperibili, direttamente presi sul posto o nelle immediate vicinanze, questo avviene come vedremo, anche per le costruzioni presenti nel territorio della Lunigiana e della bassa Val di Magra.

La prevalenza dell’utilizzo della pietra nell’edilizia di questo territorio, non è da ritenersi casuale, la complessità geologica della zona è da sempre la principale causa di una notevole varietà di materiali litici. La pietra in Lunigiana non è solamente la materia dell’architettura, ma è anche il mezzo con il quale la civiltà locale ha espresso la propria cultura fin dalla protostoria. Nel medioevo la pietra si arricchisce di significati simbolici, e il suo impiego tecnico assume un’importanza vitale dipendente da fattori di sicurezza sociale ed economici, si pensi non solo alla costruzione di insediamenti e di fortificazioni, ma anche a quella di strade e ponti, ed ancora alla sua commercializzazione, particolarmente attiva nel territorio lunense per il marmo.49

A partire dalle statue stele di epoca preistorica per giungere a opere otto-novecentesche, si può affermare che gran parte del costruito della Lunigiana è in pietra, oltre al legno reperito localmente. Anche oltre il medioevo, l’età della quale sono rimasti molti edifici monumentali, la pietra continua ad essere largamente presente in questo territorio nei secoli successivi e, quando altrove nell’edilizia si va diffondendo l’uso del mattone, le case ed i palazzi lunigianesi hanno continuato ad essere costruiti con questo materiale. L’utilizzo prevalente della pietra, nella maggior parte dei centri storici lunigianesi, contribuisce a creare quel particolare aspetto di architettura, più che costruita, quasi “scavata”. Di più recente messa in opera la presenza di strutture miste, in cui

48

M. DELLA MAGGIORA, Analisi dinamica di un campanile medievale in muratura, tesi di laurea, anno accademico 2001/2002, Pisa, pp. 17-21.

49

N. GALLO, Le pietre nell’edilizia medievale della Lunigiana, Edizione all’Insegna del Giglio, Firenze 2001, p. 1.

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nell’edificio vengono impiegati diversi materiali, come laterizi e materiali di recupero.

Nei centri presi in esame, l’intonacatura caratterizza i borghi attraverso le sue particolari colorazioni, giallo, rosa e rosso mattone, risultano le tinte predominanti, oltre a svolgere la funzione primaria di protezione della struttura muraria. L’intonaco è stato introdotto in tempi successivi nelle struttura originarie, le quali un tempo si presentava con muratura faccia a vista. Elemento significativo di alcuni edifici della Val di Magra è la decorazione scultorea su materiale litico, riscontrabile soprattutto nelle sovraporte, cornici, stipiti e marcapiani scolpiti spesso a bassorilievo, trattandosi talvolta di vere e proprie opere d’arte, altre invece di prodotti artigianali; particolarmente importanti per lo studio e la datazione delle strutture edilizie cui si riferiscono e di cui costituiscono un preciso riferimento. La pietra decorata può appartenere a differenti tipologie, ma la più usata in questo territorio e forse la più suggestiva è l’ardesia, uno scisto-calcareo argilloso, di colore plumbeo nerastro, facilmente lavorabile. In virtù di quest’ultima proprietà, e per la sua facile reperibilità sul territorio, l’ardesia è stata da sempre impiegata in vari modi: per la realizzazione di tetti, pavimentazioni, gradoni di scale e soprattutto lavorata con pura valenza estetica, con riferimenti molto spesso, alla tradizione religiosa locale.

Oltre all’ardesia e al prezioso marmo bianco di Carrara, utilizzato principalmente nei manufatti di rappresentanza, altra pietra ampiamente impiegata fin dai tempi più remoti in tutto il territorio, è sicuramente l’arenaria. Una roccia sedimentaria molto presente in Liguria, specialmente nei bacini dei fiumi Magra e Aulella. L’arenaria più diffusa in questo territorio è del tipo macigno, formatasi grossomodo tra 40 e 22 milioni anni fa ed è composta da sottili strati di sabbie a granulometria variabile, generalmente da un massimo di 2 mm a 1/16 di mm, anche se quest'ultima è meno frequente. La pietra si presenta di colore grigio-acciaio quando la superficie è appena messa in evidenza mentre il colore è più grigio-giallastra in seguito alle alterazioni

dovute agli agenti naturali.

Pur non essendo l’arenaria un materiale di facile lavorazione, con essa sono stati realizzati i più svariati manufatti, partendo dalle antichissime statue stele, alle più recenti macine di mulini e dei frantoi, ai blocchi per la costruzione di

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