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Presenza di amine biogene negli alimenti e implicazioni per la salute pubblica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN

“ISPEZIONE DEGLI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE”

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Presenza di amine biogene negli alimenti e implicazioni per la salute pubblica

CANDIDATA RELATORE

Martina Terenzoni Francesca Pedonese CORRELATORE

Francesco Iacona

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Indice

Riassunto ... 3

Abstract ... 4

Capitolo 1. Le amine biogene ... 5

1.1 Natura chimica ... 5

1.2 Sintesi ... 9

1.3 Azioni biologiche ... 13

1.4 Azioni tossicologiche ... 15

1.5 L’istamina ... 19

1.5.1 L’evoluzione del problema istamina ... 24

Capitolo 2. Amine biogene negli alimenti ... 27

2.1 Amine biogene nei prodotti ittici ... 29

2.2 Amine biogene nei formaggi ... 35

2.3 Amine biogene nei prodotti carnei ... 39

2.4 Amine biogene nelle uova ... 41

+2.5 Amine biogene negli alimenti di origine vegetale ... 43

2.5.1 Amine biogene nel vino ... 43

2.5.2 Amine biogene nei prodotti a base di soia ... 44

Capitolo 3. Il quadro normativo ... 45

3.1. I limiti nell’Unione Europea ... 45

3.2 Soglia di accettabilità a livello internazionale ... 49

CONCLUSIONI ... 52

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3 Riassunto

Parole chiave: amine biogene, istamina, tiramina, sicurezza alimentare

La presenza di amine biogene (AB) negli alimenti può rappresentare un rischio per il consumatore a causa della loro tossicità che può determinare effetti più o meno gravi nell’uomo. Negli alimenti le AB sono principalmente formate a partire dagli aminoacidi precursori a seguito del metabolismo di batteri decarbossilasi-positivi. Tra le intossicazioni da AB, quella da istamina (sindrome sgombroide), la più importante, è una forma di intossicazione alimentare che si manifesta in seguito al consumo di prodotti (per lo più ittici) contenenti elevati livelli dell’amina.

L’istamina si forma per decarbossilazione dell’aminoacido istidina, presente in elevate quantità, in forma libera, nella muscolatura di alcune specie di pesce (tonni, sgombri, sarde, sardine, acciughe ecc.). La formazione del composto avviene post mortem ad opera di enzimi liberati da batteri che possono contaminare il pesce direttamente in mare oppure successivamente alla pesca.

Una corretta conservazione del pesce e dei prodotti derivati (rispetto di adeguate temperature di stoccaggio e buone condizioni igieniche) durante tutte le fasi (stoccaggio, trasporto, manipolazione, distribuzione e somministrazione) rappresenta una condizione indispensabile per ridurre al minimo l’incidenza di questa patologia.

Per quanto riguarda il formaggio, altro substrato alimentare compreso tra quelli più frequentemente implicati in casi di intossicazione da AB, le concentrazioni più elevate di AB sono state rilevate nei prodotti a base di latte crudo, in quelli a lunga maturazione, specialmente se maturati in ambienti particolari come grotte e fosse, e nei formaggi erborinati e l’amina più frequentemente rilevata ad alte concentrazioni è la tiramina che per i suoi effetti tossici può portare alla cosiddetta cheese reaction.

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Abstract

Key words: biogenic amines, histamine, tyramine, food safety

Biogenic amines (BA) presence in food can represent a health risk for consumers due to their toxicity that can cause negative effects of various degree in humans. In food BA are primarily formed from precursor amino-acids by the metabolism of decarboxylase-positive microorganisms.

The histamine poisoning (scombroid syndrome), the most important food disease determined by BA, is a food poisoning that occurs after the consumption of products (mainly fish) containing high levels of this biogenic amine.

Histamine is formed through the decarboxylation of histidine amino-acid contained in high amounts, in free form, into the muscles of some species of fish (tuna, mackerel, sardine, pilchard, anchovy etc.). This compound is produced in the post mortem stage by enzymes released by bacteria that can contaminate the fish in the sea, or after fishing.

The proper storage of fish and fish products (appropriate storage temperatures and good hygiene practices) during all the stages (storage, transport, handling, distribution and administration) is a necessary condition to minimize the incidence of this food disease.

Regarding cheese, another food frequently implicated in BA intoxication, the highest BA concentrations have been reported in raw milk products, in long-ripened cheeses, especially in those ripened in particular environments, such as traditional caves or “fosse”, and in blue cheeses. The amine most frequently reported at high concentration in cheese is tyramine which can lead, due to its toxic effect, to the so called “cheese reaction”.

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Capitolo 1. Le amine biogene

1.1 Natura chimica

Le amine biogene (AB) sono composti organici a basso peso molecolare e strutturalmente sono derivati organici dell’ammoniaca formati per sostituzione di uno, due o tutti e tre gli atomi di idrogeno con gruppi alchilici od arilici (Ladero et al., 2017, Figura 1 e Tabella 1 e 2). Questi composti sono sintetizzati in tutti gli organismi viventi a partire dai relativi precursori amminoacidici attraverso vie metaboliche che di solito comportano decarbossilazione (Kusano et al., 2008). L’enzima responsabile è una decarbossilasi che ha come cofattore il coenzima piridossal fosfato, principale trasportatore di gruppi aminici. Negli alimenti, dunque, si possono ritrovare naturalmente o prodotte per decarbossilazione di amminoacidi ad opera di enzimi di origine microbica (biogene). Amine naturali sono presenti nei vegetali in concentrazioni moderate e generalmente prive di significato tossicologico per la salute del consumatore, anche se esistono delle eccezioni: ad esempio il lampone può contenere tiramina fino a 90 mg/Kg. Molti prodotti a base di frutta contengono amine, tra cui in particolare la putrescina in varie quantità (Maxa e Brandes, 1993).

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Tabella 2: La struttura chimica di alcune amine biogene e dei loro precursori (Ladero et al., 2017).

In tutti gli alimenti che contengono proteine o amminoacidi liberi permettenti lo sviluppo e l’attività biochimica dei microrganismi è possibile rilevare quantitativi variabili di AB. La causa che comporta

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9 la formazione e la quantità totale di AB è legata essenzialmente alla natura dell’alimento e ai microrganismi presenti (Ten Brink et al., 1990). Sempre più attenzione è stata posta ad alcune AB in relazione al fatto che, per le loro peculiari proprietà vasoattive e neuroattive, possono essere un potenziale rischio per la sicurezza dei consumatori, soprattutto nel caso siano presenti fattori inibenti il sistema enzimatico di detossificazione delle mono e diamino-ossidasi, cui hanno il ruolo di degradazione di queste molecole. Le complesse reazioni che riguardano le AB rendono difficile l’individuazione di una soglia di tossicità. Questa dipende, in ultima analisi, dall’efficacia dei sistemi di detossificazione, che muta in relazione agli individui e alle variabilità fisiologiche.

Le più importanti sindromi di origine alimentare causate dall’ingestione di alimenti includenti questi composti sono l’intossicazione da istamina presente in alcune famiglie di pesci, o scombroid syndrome e l’intossicazione da tiramina, cosiddetta cheese syndrome, confermate in numerosi studi epidemiologici (Shalaby, 1996; Benkerroum, 2016). Tuttavia, anche quando la loro concentrazione nel sangue non raggiunge livelli considerati tossici, la sola presenza di AB può rappresentare un rischio per la possibile formazione di nitrosamine, potenti oncogeni che si formano per reazione tra acido nitroso e amine secondarie in ambiente acido, oltre che poter essere assunte direttamente con gli alimenti. Questa reazione è favorita dal pH gastrico.

Inoltre, per alcune derrate la presenza di AB può essere correlata alla qualità igienica delle materie prime e allo stato di freschezza (Sørensen et al., 2018); in altri casi ancora le loro concentrazioni negli alimenti sono correlate con le condizioni di produzione e/o conservazione.

Quindi, è importante controllare e monitorare le AB non solo per la loro tossicità, ma anche perché possono svolgere un ruolo importante come indicatori di qualità e / o di accettabilità di alcuni alimenti e la loro quantificazione potrebbe contribuire alla corretta gestione dei processi produttivi (Ruiz-Capillas et al., 2019).

1.2 Sintesi

La sintesi di AB ad opera dei batteri ha una ragione energetica. Raffigura infatti un meccanismo secondario per la produzione di energia, che entra in gioco in condizioni di difficoltà nutrizionale, in cui per i batteri non sarebbe possibile mettere in atto processi metabolici a più alta resa energetica. Dal punto di vista metabolico il miglior modo di sintesi delle AB è rappresentata, quindi, dalla decarbossilazione batterica a partire da amminoacidi liberi. In particolare, per la formazione di AB sono presupposti necessari (Ten Brink et al., 1990; Shalaby, 1996):

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• presenza di batteri decarbossilasi-positivi • disponibilità di amminoacidi liberi

• condizioni ambientali favorevoli allo sviluppo microbico, alla sintesi e all’attività decarbossilasica (pH, temperatura, aw)

Nei formaggi l’ultimo aspetto è particolarmente importante in quanto l’attività decarbossilasica è massima a valori intorno a pH 5, valori che si ritrovano in molti formaggi.

Un altro parametro allo stesso modo importante è la temperatura: è stato visto che la produzione di istamina viene ridotta a temperature intorno ai 10 °C, terminando poi a 5 °C, a causa delle difficoltà di crescita dei batteri decarbossilasi-positivi alle basse temperature (Silla Santos, 1996; Linares et al., 2012).

Il possedere nel corredo enzimatico decarbossilasi permette a molte specie di batteri di decarbossilare uno o più amminoacidi. La distribuzione di una flora che caratterizza ogni tipologia di alimento va ad influenzare la presenza maggiore o minore nei prodotti di alcune amine rispetto ad altre. Sono presenti decarbossilasi in Bacillus (Rodriguez-Jerez et al., 1994), Pseudomonas (Tiecco et al., 1986), Photobacterium (Morii et al., 1988; Jorgensen et al., 2000), in diversi generi della famiglia Enterobacteriaceae (Citrobacter, Klebsiella, Escherichia, Proteus, Salmonella, Shigella) (Edwards e Sandine, 1981; Rodriguez-Jerez e Mora-Ventura, 1996; Marino et al., 2000) e delle Micrococcaceae (Staphylococcus, Micrococcus) (Rodriguez-Jerez et al., 1994; Martuscelli et al., 2000).

Le Enterobacteriaceae hanno elevate capacità decarbossilasiche, soprattutto per quanto riguarda la produzione di cadaverina e putrescina. Hanno una responsabilità nella formazione di elevate quote di istamina, prodotta in discrete quantità in modo particolare da Enterobacter cloacae, E. aerogenes, Klebsiella oxytoca (Roig-Saguès et al., 1996) e da E. coli (Silla-Santos, 1998) e Morganella (Proteus) morganii (Bover-Cid et al., 2000). Un non corretto stoccaggio delle materie prime oppure fermentazioni non controllate possono causare proliferazioni di Enterobacteriaceae e conseguente rilascio nel prodotto di decarbossilasi già nelle prime fasi della fermentazione. Gli enzimi che si liberano nel prodotto possono così essere responsabili dell’accumulo di AB, anche se non sono presenti cellule microbiche vitali (Bover-Cid et al., 2001). Questa attività enzimatica è stata riscontrata in microrganismi appartenenti sia alla microflora alterante, sia quelli appartenenti alla

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11 microflora utile in alimenti fermentati e stagionati come, ad esempio, nei batteri lattici (Straub et al., 1995; Masson et al., 1996; Montel et al., 1999; Bover-Cid et al., 2000), in Micrococcus, in Staphylococcus xylosus (Tiecco et al., 1986) e nei lieviti (Montel et al., 1999).Anche tra i batteri lattici (LAB), che agiscono nei processi di fermentazione di alimenti generalmente considerati sicuri dal punto di vista igienico-sanitario, ci sono alcune specie maggiormente coinvolte nella produzione di AB.

In alcuni casi tipici ceppi di batteri lattici non decarbossilanti o poco decarbossilanti, sono capaci di acidificare velocemente il prodotto e possono essere adatti per inibire la crescita di altri microrganismi fortemente decarbossilanti: infatti è stato visto, ad esempio, come in formaggio pecorino, ceppi di Lactococcus lactis abbiano limitato la produzione di AB da parte di Streptococcus thermophilus ed Enterococcus faecalis (Gardini et al., 2018). Analogamente, in prodotti a base di pesce fermentato è stata osservata la produzione da parte di LAB di antimicrobici, quali batteriocine e altri metaboliti, in grado di inibire batteri amino-produttori (Xu et al., 2018).

E’ importante quindi, quando possibile, la selezionare ceppi non decarbossilanti.

In generale, però, lattococchi, pediococchi, streptococchi (Streptococcus thermophilus) e Leuconostoc, compreso Oenococcus oeni, sono segnalati come potenziali agenti decarbossilanti (Straub et al., 1995). Vari ceppi di lattobacilli appartenenti alle specie Lactobacillus buchneri, L. alimentarius, L. plantarum, L. curvatus, L. farciminosus, L. bavaricus, L. homohiochii, L. reuteri e L. sakei possono essere buoni produttori di amine (in particolare tiramina) (Bover-Cid et al., 2000; Masson et al., 1996; Montel et al., 1999). Micrococcus e Staphylococcus xylosus hanno una più spiccata tendenza a produrre istamina (Tiecco et al., 1986).

Esistono pochi dati in letteratura riguardanti l’apporto dei lieviti alla sintesi di AB negli alimenti fermentati, ma, ad esempio, lieviti isolati da carni fermentate ed appartenenti ai generi Debaryomyces e Candida hanno comprovato attività decarbossilasica istamino-produttrice, anche maggiore di quella riscontrata in LAB e stafilococchi nello stesso substrato. I lieviti sono risultati in grado di sintetizzare elevate quantità di feniletilamina e tiramina (Montel et al., 1999; Gardini et al., 2018).

Condizione necessaria per la produzione di AB è la disponibilità di amminoacidi precursori (Joosten, 1988), che possono essere presenti nell’alimento in forma libera o liberati in dopo la proteolisi di peptidi fattada enzimi autoctoni/microbici.

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L’attività decarbossilasica, oltre che dalla disponibilità di precursori, è condizionata anche dalla presenza di un enzima, la permeasi, in grado di trasportare l’amminoacido precursore nel citoplasma affinché venga decarbossilato, di un cofattore (piridossalfosfato o vitamina B6) (Edwards e Sandine, 1981) e di valori di pH ottimali per la decarbossilazione, compresi tra 5.0 e 6.5, in relazione al tipo di decarbossilasi. L’attività enzimatica necessita di temperature ideali: quella ottimale è compresa tra 20 °C e 35 °C, infatti a bassa temperatura l’attività è notevolmente ridotta (Tiecco et al., 1986; Halasz et al., 1994).

Non è sempre possibile controllare la produzione di amine attraverso la sola temperatura, poiché alcuni batteri producono amine biogene a temperature inferiori a 5 °C (Naila et al., 2010).

Le AB sono termostabili, ad eccezione della spermina (Wendakoon e Sakaguchi , 1993), mentre per quanto riguarda le decarbossilasi, alcune non vengono inattivate neppure dopo la pastorizzazione. Oltre a questo processo , si possono effettuare altri trattamenti termici come la cottura, che però, come la pastorizzazione, è in grado di prevenire la formazione di istamina negli alimenti solo inattivando i batteri che la producono, ma non l’amina stessa. Infatti l’istamina è molto termoresistente e una volta formata non viene distrutta nemmeno se trattata con alte temperature, ad esempio in autoclave a 121 °C per 15-20 minuti, rimanendo così intatta nei prodotti cotti (Hattori e Seifert, 2017).

La pastorizzazione consiste in un trattamento termico del latte effettuato ad almeno 72 °C per 15 secondi, in grado di inattivare microrganismi che hanno la capacità di produrre AB (Novella-Rodríguez et al., 2004; Torracca et al., 2016).

Purtroppo il rischio di presenza di amine rimane alto anche in formaggi prodotti con latte trattato termicamente, poiché le contaminazioni possono avvenire nelle successive fasi di trasformazione. Inoltre è stata dimostrata in alcuni casi la resistenza di enzimi decarbossilasici, ad esempio è stata verificata la resistenza dell’enzima istamina-decarbossilasi, prodotto da Streptococcus thermophilus, nonostante il trattamento del latte a 70-75 °C per 10 minuti (Gardini et al., 2001). Poiché le AB sono termoresistenti, per impedirne l’accumulo negli alimenti, si possono effettuare, nei casi possibili, trattamenti termici a temperature elevate che vadano ad impedire la crescita dei microrganismi responsabili della formazione delle AB. È stato visto infatti che i microrganismi Gram negativi (enterobatteri e pseudomonadi) sono rapidamente resi inattivi a temperature comprese

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13 tra i 60 e 65 °C per 30 minuti, mentre i batteri lattici, termofili, essendo più resistenti, necessitano di trattamenti termici più drastici (Diaz-Cinco et al., 1992).

Detto ciò, perfino negli alimenti che hanno subito trattamenti termici non è assicurata la distruzione di amine e non è neppure improbabile un aumento dei livelli durante le fasi di maturazione e stoccaggio.

Fattori come elevate concentrazioni di NaCl (5-8%) e la presenza di ossigeno inibiscono l’amino-biogenesi, andando ad ostacolare lo sviluppo batterico (Ababouch et al., 1991), mentre le condizioni di anaerobiosi negli alimenti fermentati sembrano, invece, facilitarne la sintesi (Joosten e Stadhouders, 1987; Vidal-Carou et al., 1990).

Un vero punto critico nella formazione delle AB è rappresentato dalla conservazione degli alimenti sia in relazione alla temperatura che alla durata dello stoccaggio(Diaz-Cinco et al., 1992). Una tra le misure di prevenzione migliori rimane, dove possibile, la conservazione degli alimenti a basse temperature.

Negli alimenti fermentati è consigliabile l’uso di fermenti selezionati, capaci di portare a termine la fermentazione nel più breve tempo possibile. Riguardo al meccanismo di sintesi, la decarbossilazione amminoacidica prende il via dalla rimozione del gruppo β-carbossilico per dare origine alla corrispondente amina. Istidina, tirosina, triptofano, lisina, fenilalanina e ornitina sono rispettivamente gli amminoacidi precursori delle amine istamina, tiramina, triptamina, cadaverina, feniletilamina e putrescina (PUT) (Liu et al.,2018). Vedi anche Tabella 1 e 2 (Ladero et al., 2017). L’agmatina può essere prodotta attraverso il metabolismo dell’arginina, così come le poliamine, spermina (SPM) e spermidina (SPD) (Lonvaud- Funel, 2001).

1.3 Azioni biologiche

Le AB sono composti stabili capaci di resistere al calore e sopravvivere in condizioni di acidità e alcalinità, posseggono cariche positive disposte lungo tutta la catena idrocarbonica e possono fare legami con molecole cariche negativamente.

In base alla loro derivazione, dalla dieta o se biosintetizzate, le loro funzioni biologiche e le conseguenze sui possibili effetti tossici sono diverse in rapporto alle singole amine.

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La PUT e le poliamine, SPM e SPD, sono implicate in alcune fasi della sintesi del DNA e dell’RNA. Infatti grazie alle loro caratteristiche strutturali favoriscono l’inizio ed il controllo della traduzione del mRNA nella sintesi proteica, andando a regolare anche la traduzione. Possono stimolare l’associazione delle subunità ribosomiali, stabilizzare la struttura del tRNA e ridurre la quota di degradazione dell’RNA.

Le poliamine incrementano la sintesi di DNA e RNA, cambiano con legami covalenti le proteine e regolano stabilità e rigidità delle membrane cellulari. La funzione metabolica fondamentale è di agire come secondo messaggero mediando l’azione degli ormoni e dei fattori della crescita (Bardòcz, 1995). Esse sono necessarie per assicurare la funzione intestinale e favorirne il sistema immunitario. Alcuni organi, come pancreas e milza caratterizzati da un elevato turnover cellulare, sono particolarmente dipendenti dall’introduzione di poliamine attraverso la dieta (Bardòcz, 1993). Inoltre SPM, SPD (con più gruppi aminici) e PUT (con due gruppi aminici) presentano azione antiossidante impedendo l’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi (Marmo, 1991) e questo effetto è collegato al numero di gruppi aminici presenti.

La richiesta di poliamine è particolarmente elevata nei tessuti a rapido accrescimento di tipo patologico come quelli tumorali: in questi la loro azione è stata ampiamente studiata. In particolare, nello studio di terapie antitumorali, l’inibizione della biosintesi di poliamine è considerata un target della risposta individuale alla patologia. Per moderare la crescita tumorale, una via seguita dalla ricerca sul cancro è rappresentata dall’idea di agire andando a limitare l’immissione delle poliamine nel tessuto o favorendone la distribuzione verso fini differenti, allontanandole dal tessuto tumorale (Pegg, 1986; Jamne, 1986).

Per quanto riguarda mono- e diamine, esse svolgono una varietà di ruoli fisiologici, quali regolazione della temperatura corporea, del volume dello stomaco, del pH, modulazione dell’attività cerebrale. Tra le AB l’istamina si contraddistingue per la potente attività biologica.

Benché si trovi in grandi quantità sotto forma di granuli all’interno delle mastcell e dei basofili ematici, i suoi effetti non si rivelano se non a seguito della sua liberazione in particolari condizioni come reazioni allergiche, nelle quali è rilasciata in circolo. I recettori di membrana si trovano a livello cardiaco e in alcune ghiandole secretorie. Andandosi a legare ai recettori induce nell’organismo diversi effetti:

• agisce sull’attività cardiaca mediante liberazione di adrenalina e noradrenalina; • eccita la muscolatura liscia dell’utero, dell’intestino e dell’apparato respiratorio;

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15 • eccita i neuroni sensori e motori e controlla la secrezione acida gastrica (Halasz et al., 1994;

Stratton e Taylor , 1991).

Anche la tiramina avrebbe effetto antiossidante, legato alla presenza di un gruppo idrossilico. L’azione sarebbe direttamente proporzionale alle sue concentrazioni (McCabe , 1986).

1.4 Azioni tossicologiche

Le amine sono composti mutageni/oncogeni. Potrebbero agire sia da precursori di composti capaci di formare N-nitrosamine, sia essere direttamente nitrosate in N-nitrosamine, composti ritenuti potenzialmente oncogeni in diverse specie animali e nell’uomo. L’uomo si espone oltre che con l’ingestione di nitrosamine preformate, anche con la nitrosazione in vivo, a livello gastrico in presenza di nitriti, a 37 °C e pH 1-2, di amine introdotte attraverso la dieta (de La Pomélie et al., 2017). Alimenti sottoposti a trattamenti tecnologici (uso di additivi, severi trattamenti termici) comportano maggiore rischio di nitrosazione delle amine.

Diete sperimentali costituite da alimenti contenenti amine e nitriti comportano lo sviluppo di problemi epatici in animali di laboratorio, imputati alla formazione di N-nitrosamine a partire dalle amine endogene e dai nitriti aggiunti, oltre ad una abbondante eliminazione attraverso le urine di nitrosamine (Marinè-Font et al., 1995).

In alimenti crudi, originariamente privi di nitrosamine, processi tecnologici, come la salagione e l’affumicamento, assieme a trattamenti termici di cottura domestica (frittura), ne aumentano la formazione. Amine come PUT e CAD, riscontrate in alimenti cotti, sono trasformate rispettivamente in pirrolidina e piperidina; il trattamento termico le trasforma in nitrosamine N-nitrosopirrolidina e N-nitrosopiperidina, molecole implicate nella produzione di composti oncogeni (amine eterocicliche).

L’agmatina e le poliamine SPM e SPD, presenti nel pesce e in prodotti carnei, mostrano anch’esse capacità di nitrosazione (Smith, 1981) in determinate condizioni, mentre tracce di altre nitrosamine (N-nitrosodimetil- e N-nitrosodietilamina) sono rinvenute in altri alimenti dopo cottura.

Oltre che per la formazione di nitrosamine, le monoamine e le diamine possono mostrare tossicità in relazione alle loro proprietà biologiche. In particolare, livelli elevati di tiramina, vaso-attiva, e istamina, vaso- e neuro-attiva, presenti nella dieta, possono essere tossici particolarmente in soggetti sensibili. La tiramina, infatti, fa parte del gruppo delle amine pressorie (triptamina e

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ß-feniletilammina). La sua presenza negli alimenti implica conseguenze tossicologiche collegate alla capacità di interagire con l’azione di farmaci MAO inibitori (IMAO) stimolando crisi ipertensive (Mariné-Font , 1978;Tailor et al., 1994; Lorenzo et al., 2017). La tiramina agisce direttamente aumentando l’attività cardiaca e indirettamente mediante il rilascio della noradrenalina dal sistema nervoso simpatico. Come sintomi da intossicazione da amine pressorie si osservano dilatazione delle pupille, lacrimazione e salivazione, aumento della frequenza respiratoria e del glucosio ematico (Joosten, 1988).

Nei soggetti poco sensibili l’efficacia dei sistemi detossificanti riduce la soglia di tossicità della tiramina, anche ad elevate concentrazioni. Sperimentalmente è dimostrato che 400 mg non provocano, in soggetti sani, un significativo aumento della pressione sanguigna o altri disturbi (Carniel et al., 2000). Mentre nei soggetti che fanno uso di farmaci IMAO (inibitori irreversibili delle MAO) nell’ambito di terapie antidepressive, le concentrazioni determinano un effetto inibitorio sulle monoaminossidasi e quindi sul processo di detossificazione dell’amina. Così concentrazioni di amine pressorie, come la tiramina, derivanti dalla dieta, possono scatenare crisi ipertensive nei pazienti che hanno un livello di amine nel sangue elevato.

L’aumento della pressione sanguigna è un effetto spesso associato al consumo di formaggi e per questo conosciuto anche come cheese reaction. Formaggi, come Gouda, Cheddar, Gruyère, Cheshire e Swiss, possono indurre fenomeni di tossicità se consumati eccessivamente (Ladero et al., 2017). L’intossicazione provoca forti emicranie, emorragie cerebrali o anche insufficienza miocardica in pazienti sotto trattamento IMAO. Anche il consumo di altri alimenti ricchi di tiramina (prodotti carnei, aringhe e fegato di pollo), può causare simili crisi. Segni e sintomi comprendono rigidità nucale, sudorazione, nausea e vomito, che diminuiscono in genere dopo trattamento con farmaci antagonisti alfa-adrenergici (ad esempio fentolamina). Pertanto, durante terapie che utilizzano IMAO-farmaci, è sconsigliata l’assunzione di alimenti ricchi di tiramina ed è raccomandato il proseguimento della restrizione dietetica per almeno due settimane dopo l’interruzione degli IMAO, per permettere al corpo di risintetizzare gli enzimi detossificanti. Viceversa, il rischio di crisi ipertensive da tiramina risulta diminuito nei soggetti che prendono RIMA (farmaci antidepressivi inibitori reversibili delle MAO), come la moclobemide. Per quanto riguarda l’istamina, essa può provocare sintomi di leggera intossicazione in soggetti sensibili anche a livelli modesti (50-100 mg/Kg), se ingerita con alimenti o bevande con elevati quantitativi di PUT e CAD. Queste amine, di per sé senza effetti tossici, vanno a concorrere per l’attività detossificante degli enzimi andando a facilitare il passaggio dell’istamina attraverso la mucosa intestinale.

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17 Ingerita in dosi importanti, dopo un periodo di incubazione che può variare da qualche minuto a qualche ora, l’amina può indurre, una vera e propria crisi istaminergica, con manifestazioni quali nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, rush cutanei, orticaria, edemi, infiammazione localizzata, ulcere orali. In altri casi compaiono ipotensione, emicrania, palpitazioni, formicolii, vampate di calore e sudorazione. Nei casi più gravi l’intossicazione può comportare broncospasmo, soffocazione e grave difficoltà respiratoria (Butor et al., 2017).

Non solo i soggetti sensibili possono manifestare la sintomatologia ma anche consumatori sani in seguito all’ingestione di alimenti di origine animale che, normalmente, possono contenere quantità elevate dell’amina. In particolare, il consumo di pesci appartenenti alle famiglie Scombridae e Scomberesocideae (tonni, lucci sauri, sgombri etc.), Clupeidae e Engraulidae (sardine, aringhe, sardelle, acciughe ecc.), Coryfenidae (lampuga) o Pomatomidae (pesce serra) è coinvolto frequentemente in forme di intossicazione da istamina (Carniel et al., 2000).

I soggetti che hanno un sistema di detossificazione efficace (DAO e istamina-N-metil-tranferasi), che si trova nel tratto intestinale, riescono a metabolizzare l’istamina introdotta con la dieta e quella prodotta dai batteri intestinali, andando ad evitare effetti tossici. Tuttavia ci sono alcuni fattori che possono influenzare tale detossificazione anche in soggetti non sensibili. In primo luogo la simultanea presenza di altre amine può potenziare l’attività biologica dell’amina vasoattiva.

In animali da laboratorio la somministrazione per os di PUT, CAD, tiramina, triptamina, β-feniletilammina, seguita da quella di istamina aumenta di un fattore 10 la reazione all’istamina. SPM e SPD contribuiscono aumentando l’entità del trasporto dell’amina in circolo attraverso la parete intestinale. AMINE BIOGENE SINTOMI ALIMENTI A RISCHIO DOSE TOSSICA (mg per uomo) ISTAMINA Libera adrenalina e noradrenalina; stimola i neuroni motori e sensoriali;

controlla la secrezione gastrica;

tachicardia, mal di testa, vomito diarrea e problemi

respiratori Formaggi, pesce, vini, spinaci e pomodori 75-100

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TIRAMINA

Vasocostrittore (> battito cardiaco); aumento della glicemia ed

emicrania. Crisi ipertensiva: > pressione sanguigna e battiti cardiaci, nausea,

salivazione, edema polmonare e maggior suscettibilità alle infezioni

batteriche Cioccolato, arance, banane, crauti, formaggi, pesce, pomodori e salumi 600 PUTRESCINA (PUT), CADAVERINA (CAD), SPERMINA, SPERMIDINA Ipotensione; bradicardia; potenziano l’azione tossica

delle altre amine

Alimenti proteici (carne, pesce) in fase di decomposizione avanzata CAD >800 PUT > 2000 FENILETILAMMINA Rilascia noradrenalina; causa emicrania; aumenta

la pressione sanguigna Cioccolato, vini rossi ed alimenti fermentati 30

Tabella 3: Effetti negativi sulla salute del consumatore in seguito all’ingestione di alimenti che presentano alta concentrazione di amine biogene (Benkerroum, 2016)

Esiste poi una capacità individuale di detossificazione attraverso reazioni di acetilazione e ossidazione mediate dai sistemi enzimatici MAO, DAO e PAO.

I soli strumenti che potenzialmente possono degradare le AB preformate sono l'uso di enzimi, come la diammina ossidasi (DAO), e l'uso di batteri che possiedono questo enzima, , ma non sono metodi di conservazione applicati (Naila et al., 2010). Devono inoltre essere considerate alcune fasce di consumatori (soggetti con problemi respiratori e coronarici, quelli affetti da ipertensione o carenza di vitamina B12), che risultano essere più a rischio, perché sensibili anche a bassi livelli di amine. Pazienti con patologie gastrointestinali (gastriti, sindrome del colon irritabile, malattia di Crohn, ulcere gastriche e del colon) possono incorrere in particolari rischi andando a consumare alcuni alimenti (ad esempio un abbondante pasto a base di formaggio, crauti o salumi e vino), perché rispetto a quella di individui sani l’attività intestinale delle ossidasi è di norma minore.

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19 Alcuni autori (Ruiz-Capillas et al., 2019) hanno suggerito che i prodotti a base di carne stagionati (chorizo, salchichón, salame ecc.) contengono abbastanza tiramina per intossicare le persone che assumono IMAO anche con bassi livelli di tiramina (nell'intervallo 6-9 mg/kg).

Ancora in alcuni casi il rischio tossicologico può essere associato alla contemporanea introduzione di IMAO e farmaci DAO-inibitori (farmaci utilizzati nella cura delle malattie di Alzheimer e Parkinson), o anche a particolari condizioni fisiologiche, ad esempio nelle donne in fase premestruale il consumo di amine può rappresentare un problema poiché nel loro organismo si riscontra una temporanea riduzione dell’attività delle MAO B-type.

Per la parte generale sulle AB si è fatto riferimento al lavoro di ricerca bibliografica di D’Ambrosio (2007).

1.5 L’istamina

L’istamina, in particolare, è una amina biogena costituita da un anello imidazolico e un gruppo aminico legati da due gruppi metilenici.

Figura 2: Molecola di istamina (Ladero et al., 2017)

L’istamina (Figura 2) si forma a partire dall’istidina libera, tramite l’azione dell’enzima istidino-decarbossilasi (HD).

E’ un’amina altamente termostabile e quindi per denaturarla non sono sufficienti i comuni trattamenti di cottura. Per una completa inattivazione saranno necessarie operazioni più severe, come un trattamento a 116 °C per 90 minuti o per 3 ore a 102 °C: questi dati sono stati ottenuti in uno studio sperimentale su pesce in scatola (Ienistea, 1973); ne deriva quindi che il pesce mal conservato o mal lavorato, benché venga successivamente sottoposto a trattamenti termici, può contenere l’amina (Hattori e Seifert, 2017).

L’amina in esame si trova normalmente in molti tessuti (mucosa gastrica, intestino tenue, cute, fegato, polmoni e, in concentrazioni inferiori, cuore, cervello, milza, muscoli scheletrici) e le mastcellule rappresentano sicuramente il principale luogo di deposito del composto nell’organismo.

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Nei tessuti e nei liquidi organici, essa può essere presente sotto forma libera o legata a particolari componenti (eparina, acidi nucleici) in complessi a legame labile.

In condizioni fisiologiche la forma libera, quella attiva, è presente solo in quantità minima ma può aumentare in varie condizioni patologiche in seguito a liberazione della forma combinata (Bacellar Ribas Rodriguez et al., 2014).

Nell’organismo l’istamina svolge un ruolo importante nella regolazione della secrezione acida gastrica, funge da neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale, interviene durante le reazioni allergiche (shock anafilattico) ed in seguito a danni cellulari (reazioni infiammatorie) (Figura 3).

Figura 3: Fisiologia istaminica (Haouet, 2001)

Come già accennato, l'istamina viene prodotta per decarbossilazione dell'istidina ma è indispensabile che l'aminoacido si trovi in forma libera.

Le specie ittiche riportate nella Tabella 4 sono quelle più frequentemente coinvolte nei casi di intossicazione da istamina perché presentano un elevato contenuto in istidina libera nel tessuto muscolare.

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Scombridae

Sgombro (Scomber scombrus) Palamita (Sarda sarda)

Tonno rosso (Thunnus thynnus) Tonno bianco (Thunnus alalunga) Tonnetto liscio (Euthynnus allettatus) Tonnetto striato (Euthynnus palamita) Tombarello (Auxis rochei)

Tonno albacora (Neothynnus albacores) Scomberesocidae

Aguglia imperiale (Tylosurus acus imperialis) Aguglia (Belone belone)

Costardella (Scomberesox saurus) Clupeidae

Aringa (Clupea harengus) Cheppia (Alosa fallax nilotica) Agone (Alosa fallax lacustrisis) Sardina (Sardina pilchardus) Papalina (Sprattus sprattus) Alaccia (Sardinella aurita)

Tabella 4: Specie ittiche con livelli elevati di istidina muscolare (elaborazione dell’autore, sulla base del Regolamento (CE) n. 2073/2005 della Commissione del 15 novembre 2005 e successive modifiche).

Nelle specie che gli autori anglosassoni definiscono "attive", cioè soggette a continui e lunghi spostamenti (migrazioni), l’istidina ha un effetto protettivo andando ad evitare, durante lo sforzo anaerobio natatorio, un eccessivo abbassamento del pH muscolare per accumulo di acido lattico. A conferma di ciò, è stata notata una variazione stagionale del contenuto di istidina libera, soprattutto nelle aringhe, nelle sardine e nel tonnetto striato, con un minimo di presenza nella stagione invernale e un massimo in quella estiva (Lehane e Olley, 2000).

L’istamina e le altre amine biogene si formano negli organismi viventi durante il normale ciclo metabolico, mentre negli alimenti derivano generalmente dalla decarbossilazione batterica degli amminoacidi.

È importante sottolineare che nel pesce l'origine dell'istamina è solo in minima parte riconducibile direttamente a fenomeni autolitici di origine tessutale; essa è infatti di natura prevalentemente batterica, essendo dovuta all'azione di specifici enzimi (in primo luogo dell'istidina-decarbossilasi), elaborati da numerosi microrganismi, che vanno ad agire sugli amminoacidi liberati durante le prime fasi di degradazione (Haouet, 2001).

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I principali batteri responsabili, attraverso i loro enzimi, della decarbossilazione post mortem dell’istidina libera a istamina appartengono alla famiglia delle Enterobacteriaceae (Morganella morganii, Klebsiella, Hafnia alvei, Citrobacter freundii, Enterobacter aerogenes, Salmonella, Escherichia e altri) (Barcik et al., 2017).

Sono batteri che contaminano il pesce direttamente in mare oppure alla pesca (Lanza et al., 1996; Tiecco, 1997; FDA, 2001; Leone, 2009).

La formazione dell’istamina necessita come fondamentale requisito la presenza del (istidina), ma anche altri fattori influenzano la formazione dell’amina: in particolare la temperatura e il pH del prodotto, che sono in grado di condizionare in maniera significativa l’attività dell’enzima decarbossilasi.

L’attività enzimatica vede un range di pH ottimale compreso fra 2,5 e 6,5 ed il pH degli sgombroidi freschi va da 5,5 a 6,5; questo livello di lieve acidità quindi favorisce la produzione di istamina da parte delle decarbossilasi batteriche.

Anche l’attività dell’enzima istaminasi (responsabile del catabolismo dell’istamina), a queste condizioni di pH compresi tra 7,5 e 8,0 dimostra una modica attività (Arnold e Brown, 1978). Altro fattore da valutare è la temperatura: un’elevata temperatura di conservazione del prodotto ittico (temperatura superiore a 4-5 °C) favorisce lo sviluppo batterico e le reazioni enzimatiche che portano alla sintesi di istamina (si ricorda che la normativa vigente prevede la conservazione dei prodotti ittici freschi a temperatura "vicina a quella di fusione del ghiaccio") (Alini et al., 2006). La temperatura di conservazione è uno dei fattori più importanti della formazione di istamina nel cibo (Biji et al., 2016). Le alte temperature (intorno ai 25-30 °C) sono state descritte da molti autori come ottimali per la maggior parte dei microrganismi istaminogenici. La formazione di istamina è stata segnalata anche negli alimenti refrigerati (4-10 °C). Si è scoperto che solo la conservazione in ghiaccio a circa 0 ° C ritarda la formazione di istamina (Jiang et al., 2013).

Basti pensare che, tra 6 °C e 20 °C, la sua formazione è addirittura maggiore di quella dell'ammoniaca, ritenuta comunemente il miglior indicatore del grado di freschezza del pesce (Haouet, 2001).

A conferma di quanto detto, alcuni autori (Lehane e Olley , 2000) riportano ad esempio che i casi confermati di “Histamine Fish Poisoning” da consumo di sgombro affumicato si hanno soprattutto in tarda estate, quando le temperature sia del pesce che dell’acqua sono più elevate.

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23 Le basse temperature sono capaci di ritardare la sintesi batterica dell'istamina anche in maniera considerevole; a 0 °C, occorrono 16 giorni per raggiungere una concentrazione di 6 mg/Kg (Haouet, 2001).

Deve però essere specificato che, benché a temperature più elevate coincida una carica batterica maggiore sia superficiale che profonda, non è possibile mettere in rapporto la carica microbiologica con la produzione di istamina: affinché questa amina si formi è più importante la composizione (qualità) della flora contaminante piuttosto che il suo numero (quantità) (Alini et al., 2006).

È possibile quindi asserire che nelle specie ittiche più a rischio l'attività microbica può, in determinate condizioni favorevoli, indurre rapidamente la sintesi di elevate quantità di istamina (fino all'1%, cioè 10.000 mg/Kg), senza che ci siano cambiamenti del gusto apprezzabili.

È molto importante inoltre constatare che la concentrazione di istamina riscontrata nel pesce varia ampiamente in base alla sede. Nel pesce fresco è di norma presente ai più alti livelli nei tessuti vicini alle branchie, nella cavità celomatica e nell'intestino, cioè nei principali reservoir dei batteri istaminogeni o istidino-decarbossilasi produttori (Alini et al., 2006).

Proprio in relazione a ciò, è stato visto che il contenuto di istamina in sgombri non eviscerati è 10 volte più alto che in sgombri eviscerati, dopo un periodo di stoccaggio a temperatura ambiente per 140 ore (Lehane e Olley , 2000). Questo risultato è spiegabile pensando alla maggiore quantità di batteri responsabili della decarbossilazione dell’istidina presenti nel pesce non eviscerato.

Inoltre, per confermare quanto detto, alcuni autori, eseguendo analisi su tonnetti striati alterati, hanno constatato le maggiori concentrazioni di istamina vicino alla cavità celomatica e nella parte anteriore e concentrazioni progressivamente minori procedendo dalla testa alla coda tanto da avere i livelli minimi nella parte terminale (Alini et al., 2006).

Elevati livelli di istamina (> 200 mg/kg) sono stati riscontrati nel salmone australiano o kahawai (Arripis trutta) conservato a temperature comprese tra 20 e 35 °C per 15 ore. A 15 °C sono state necessarie più di 24 ore prima che i livelli di istamina superassero i 100 mg/kg. Da questi studi è emerso che i kahawai freschi diventano pericolosi solo se sottoposti a procedure di manipolazione molto scadenti. In generale, mentre i batteri produttori di istamina sono in grado di crescere in un ampio intervallo di temperature, il loro tasso di crescita e la conseguente produzione di istamina è più veloce a temperature superiori a 20 °C (Bremer et al., 2003).

Nella preparazione del tonno in scatola vengono solitamente utilizzate alte temperature (ad esempio 100-105 °C per 110 minuti, i valori variano in dipendenza della dimensione delle scatole).

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La relazione tempo-temperatura è piuttosto alta per ridurre drasticamente il carico batterico presente. Dopo la pre-cottura nel caso in cui il tonno venga tenuto a temperatura ambiente ci possono essere ricontaminazioni ambientali e crescita batterica con conseguente formazione di AB (Lopez-Sabater et al., 1994).

L’accumulo di istamina si verifica spesso dopo che i pesci congelati sono stati scongelati e conservati per lunghi periodi a temperatura ambiente prima di essere inscatolati (Zarei et al.,2011).

In relazione a quest’ultimo aspetto indicato, si ricorda che in occasione di un caso di sospetta sindrome sgombroide (dicembre 2005), le analisi di laboratorio effettuate su parte del residuo del pasto (tonno sott'olio servito presso un bar di Milano, come ingrediente di una "insalatona"), hanno rilevato una bassa concentrazione di istamina (inferiore a 30 ppm, valore di più di sei volte più basso rispetto al massimo previsto dalla vigente normativa); ripetendo la ricerca sulla parte non analizzata è stata invece evidenziata una concentrazione di istamina completamente diversa (326,5 ppm). Questa situazione è spiegabile considerando il fatto che, trattandosi di confezioni di tonno da 2 kg di peso, in una latta vengono immessi pezzi appartenenti a capi diversi, con diversi valori di istamina, o comunque considerando che le analisi hanno interessato parti diverse di un pesce con differenti valori di istamina, a causa della sua diversa distribuzione a seconda della parte anatomica del pesce stesso (Catellani et al., 2000; Giaccone et al., 2000).

Per la parte sull’istamina si è fatto riferimento al lavoro di ricerca bibliografica di Manciola (2009).

1.5.1 L’evoluzione del problema istamina

La prima intossicazione da istamina è stata segnalata in marinai già alcuni secoli fa, ma fu solo nel 1946 che iniziarono le pubblicazioni che descrivevano la relazione tra istamina e sintomi di intossicazione (Legroux et al.,1946). Negli anni '80, l'OMS raccomandò di usare il termine intossicazione da istamina e non “sindrome sgombroide”, in quanto la causa scatenante non è solo dovuta al consumo di sgombro, ma anche di altre specie ittiche, come anche di altri alimenti (Taylor, 1985).

L'intossicazione viene distinta dall’allergia alimentare in quanto manca una storia clinica pregressa e l’insorgenza coinvolge solitamente più di un singolo soggetto andando a costituire un focolaio e insorge in un breve periodo di tempo dopo il consumo di alimenti con un elevato tenore di istamina

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25 (Ladero et al., 2010). Per differenziare le due è possibile misurare la concentrazione di triptasi sierica entro 1-2 ore dall'insorgenza dei sintomi. Nell'allergia alimentare, l'attività della triptasi sierica aumenta, mentre nell'intossicazione dell'istamina dovrebbe rimanere nei normali valori fisiologici (Ricci, 2010; Kovacova-Hanuskova et al., 2015). Inoltre, nel caso di presunta intossicazione un aiuto può derivare dall’analisi della matrice alimentare sospetta che presenterà elevati livelli di istamina. Viene definita invece intolleranza all'istamina, nota anche come istaminosi enterale, il disturbo nell'omeostasi dell'istamina principalmente dovuto alla ridotta degradazione di tale amina per deficit dell’attività dell’enzima DAO e conseguente aumento delle concentrazioni plasmatiche di istamina (Maintz, 2007; Schwelberger, 2010; Reese et al., 2017). Questo disturbo non è così ampiamente conosciuto come l’intossicazione da istamina, dal momento che il primo riferimento per l'intolleranza all'istamina risale al 1988, e la maggior parte degli studi sono comparsi negli ultimi 15 anni. La carenza dell’enzima DAO può avere un'eziologia genetica. La secrezione di DAO può anche essere inibita in presenza di alcune patologie, in particolare malattie infiammatorie intestinali, e anche dall'azione di farmaci (acetilcisteina, acido clavulanico, metoclopramide, verapamil ecc.) (Maintz, 2007; Kovacova-Hanuskova et al., 2015). Il ruolo di farmaci inibitori DAO può essere significativo, in quanto è stato stimato che tali farmaci verrebbero consumati da circa il 20% della popolazione europea (Sattler et al.,1988).

Le persone che mostrano sintomi di intolleranza all’istamina dovuti a deficit di DAO possono mostrare i sintomi caratteristici di quelli dell’intossicazione, ma questi compaiono dopo assunzione di una bassa dose di istamina. In queste persone l’intolleranza può essere identificata determinando l'attività enzimatica nel siero, sebbene l’utilità di tale test non sia stata ancora validata.

Sebbene variabili livelli di istamina plasmatica siano stati associati all'insorgenza di sintomi, come precedentemente scritto, non vi è ancora consenso su quale sia la quantità di istamina che possa essere responsabile di focolai di intossicazione. I dati relativi all’effetto dose-risposta indotta dall'istamina negli alimenti sono scarsi (Rauscher-Gabernig et al., 2009).

I livelli di istamina negli alimenti associati a questi focolai variano notevolmente, nella stragrande maggioranza dei casi con valori compresi tra 100 e 5000 mg/kg (Dalgaard et al., 2008; Colombo et al., 2018), anche se sono state segnalate quantità fino a 10.000 mg/kg (Colombo et al., 2018). Mancando una soglia per definire la dose tossica approvata internazionalmente, alcuni autori hanno proposto livelli di sicurezza (Bover-Cid et al., 2014; Hungerfort, 2010). Lehane e Olley (2000)

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suggerirono come dose sicura 30 mg di istamina, calcolata a partire dal livello massimo di 100 mg/kg di istamina negli alimenti e basata su una dose di pesce di 300 grammi e un peso del consumatore di 60 kg. Gli stessi autori, tuttavia, hanno sottolineato che l'accuratezza del loro calcolo era limitata da una comprensione incompleta dell'intossicazione dell'istamina. Più tardi, Rauscher-Gabernig et al., (2009) hanno riportato che livelli di istamina nella dieta di 6-25 mg/pasto non hanno avuto effetti avversi. Il gruppo di esperti dell'EFSA sui rischi biologici ha proposto 50 mg/persona/pasto come limite massimo sicuro per gli individui sani, sulla base dei pochi studi pubblicati fino ad oggi (EFSA, 2011). Un livello sicuro di assunzione di istamina per gli individui intolleranti non è proposto in nessuno studio. L'unica raccomandazione disponibile è dell'EFSA, che ha effettuato una valutazione del rischio di formazione di amine biogeniche in prodotti fermentati e ha concluso che solo i cibi con livelli di istamina inferiori ai limiti rilevabili possono essere considerati sicuri per i pazienti intolleranti (EFSA, 2011).

Diagnosi errate e la mancanza di un sistema adeguato e obbligatorio per riportare i casi di intossicazione da istamina potrebbero spiegare la limitatezza dei dati statistici sull’incidenza di questa malattia di origine alimentare (Visciano et al., 2014; Kovacova-Hanuskova et al., 2015). Nel periodo 2010-2015 sono stati segnalati in totale 386 focolai in diversi Stati membri dell'UE (EFSA, 2017). In 191 focolai è stato provato come responsabile l’alimento contaminato: in questi casi sono state coinvolte più di 1000 persone, 107 delle quali sono state ospedalizzate. Non sono stati riportati casi di decesso in questo periodo.

La causa principale dei casi riportati di intossicazione durante questo periodo è stata identificata in: pesce e prodotti ittici (176 focolai), seguiti da "cibi misti" (sei focolai, tre dei quali includevano una porzione di tonno), "formaggio" (tre focolai), "pasto a buffet", "crostacei, molluschi, molluschi e prodotti derivati", "prodotti lattiero-caseari diversi dai formaggi", "verdure e succhi e altri prodotti derivati da vegetali"(un caso ciascuno) e "altri alimenti" (due focolai) (EFSA, 2017).

Secondo le informazioni del Sistema di Allarme Rapido per Alimenti e Mangimi (Rapid alert System for Food and Feed, RASFF), si è registrato un netto aumento di notifiche di casi di intossicazione da istamina legati al consumo di tonno nel periodo 2014-2017, con un aumento particolarmente pronunciato nel 2017. Nel maggio 2017, Spagna e Francia hanno riportato un'alta incidenza di intossicazione da istamina dopo il consumo di tonno pinna gialla proveniente dalla Spagna. Ulteriori casi potrebbero essere sorti in altri Paesi che hanno importato questo prodotto alimentare. Sono state colpite più di 150 persone in Spagna e più di 40 in Francia dopo aver consumato tonno che

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27 presumibilmente era stato trattato con un estratto vegetale per alterarne il colore e migliorarne la freschezza. La modifica del colore può mascherare il deterioramento responsabile della produzione di istamina e altre AB (Whitworth, 2018).

Per valutare l'esposizione dei consumatori, è necessario disporre di dati sui livelli di istamina negli alimenti. L'esposizione complessiva è difficile da stimare a causa delle sue molteplici fonti potenziali e della concentrazione variabile dell’istamina negli alimenti.

L'esecuzione di un'adeguata caratterizzazione del rischio quantitativo dell'esposizione all'istamina è ostacolata dalla mancanza di dati dose-risposta. Tuttavia, un approccio qualitativo, tenendo conto dei limitati dati disponibili, suggerisce che il rischio di intossicazione da istamina è relativamente basso, poiché l'esposizione supera il limite di sicurezza in pochissime occasioni (Comas-Basté et al., 2019).

Gli studi disponibili sono stati effettuati su specifici alimenti e fino ad oggi nessuno ha avuto a che fare con la gamma completa di cibi contenenti istamina. Il rischio per la popolazione intollerante all'istamina è più alto, perché anche piccole quantità di istamina possono innescare effetti avversi (Latorre-Moratalla et al., 2017).

Le conoscenze disponibili sulla formazione di AB in alcuni alimenti hanno permesso di progettare misure per prevenire o almeno ridurre il loro accumulo durante la produzione e lo stoccaggio. Una strategia chiave è garantire e migliorare la qualità igienica delle materie prime e dei processi produttivi. Poiché i microrganismi contaminanti sono responsabili della formazione di AB in molti prodotti, la gestione della qualità e della sicurezza alimentare basata sull'analisi dei pericoli e sui punti critici di controllo (HACCP) sono essenziali (Hungerfort, 2010; Biji et al., 2016).

I modelli predittivi di formazione di AB in prodotti deperibili in funzione del tempo e della temperatura potrebbero essere utilizzati per evitare condizioni di stoccaggio pericolose (Naila et al., 2010; Emborg et al., 2008).

Capitolo 2. Amine biogene negli alimenti

Le AB possono essere riscontrate, per effetto dell’attività microbica, in diversi prodotti (Tabella 5), come le carni, i vegetali, i prodotti ittici, il vino e i prodotti fermentati, tra cui quelli lattiero-caseari (Shalaby, 1996; Silla-Santos, 1996).

Generalmente prodotti alimentari (salumi, yogurt), ottenuti mediante processi fermentativi (in corso di maturazione e di stagionatura) o che durante lo stoccaggio o la conservazione sono esposti

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a contaminazione microbiologica, contengono quantitativi variabili delle diverse amine, anche se sottoposti a trattamenti termici.

Il controllo della temperatura durante i processi di fermentazione ha dimostrato essere il più semplice ed efficace metodo per ridurre la produzione di amine biogene. Un recente studio ha messo in evidenza come un appropriato incremento della temperatura nelle fasi finali della fermentazione potrebbe ridurre l'accumulo di AB e potrebbe avere un impatto positivo sulla qualità del pesce fermentato.

Nello studio i campioni, dopo essere stati preparati per il processo fermentativo, sono stati divisi in quattro lotti e fatti fermentare in modalità diverse per 28 giorni in condizioni di anaerobiosi: il primo lotto è stato sottoposto a una temperatura di 25 °C per 7 giorni seguiti da 21 giorni a 30 °C; il secondo a 25 °C per 10 giorni seguiti da 18 giorni a 30 °C; il terzo a 25 °C per 14 giorni seguiti da 14 a 30 °C; infine il gruppo di controllo a 25 °C per 28 giorni.

I modelli che prevedevano un processo fermentativo in due stadi con periodo iniziale a 25 °C per 7-10 giorni a cui faceva seguito una seconda fase della durata di 18-21 giorni a una temperatura di 30 °C hanno dimostrato livelli di AB più bassi rispetto gli altri modelli. Questa tipologia di lavorazione potrebbe essere applicata nella produzione di pesce fermentato a basso contenuto di sale per ottenere un prodotto di migliore qualità (Xu et al., 2018).

Benché trattamenti termici possano distruggere i batteri che producono istamina negli alimenti, se si verificano ricontaminazioni e/o sbalzi termici dopo la trasformazione, la formazione di istamina può ancora verificarsi (Naila et al., 2010).

Alcuni prodotti come pesci sgombroidi e non (ad esempio sardine, sardelle, acciughe, aringhe), formaggi, prodotti a base di carne ed alcune bevande possono contenere livelli elevati di amine biologicamente attive e sono considerati alimenti a rischio. Inoltre, benché di norma si costituiscano nel corso di processi alterativi per decomposizione dell’alimento dopo proteolisi e sviluppo batterico, alte concentrazioni di amine si ritrovano prima che l’alimento presenti segni di alterazione o divenga inaccettabile dal punto di vista organolettico.

Le condizioni necessarie affinché le AB si sviluppino nei prodotti alimentari sono relative ai parametri intrinseci ed estrinseci dell’alimento stesso che funge da substrato, come temperatura, pH, sale, disponibilità di fonti di carbonio e presenza di vitamine. Ugualmente importanti sono i fattori che riguardano la qualità della materia prima e le buone pratiche di produzione e conservazione dell’alimento (Suzzi e Torriani, 2015).

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Microrganismi Alimento Amine

Klebsiella pneumoniae, Morganella morganii, Proteus mirabilis, Proteus vulgaris, Clostridium perfringens, Enterobacter aerogenes, Bacillus spp, Staphylococcus xylosus

Pesci Istamina, tiramina, cadaverina,

putrescina, agmatina, spermina, spermidina

Lactobacillus buchneri, L. bulgaricus, L. plantarum, L. casei, L. acidophilus, L. arabinosus, Enterococcus faecium, S. mitis, Bacillus macerans

Formaggi Istamina, tiramina, cadaverina,

putrescina, beta-feniletilamina, triptamina Pediococcus spp., Enterobacteriaceae, Lactobacillus spp., Pseudomonas spp., Enterococcus spp.

Carne e prodotti carnei Istamina, tiramina, cadaverina, putrescina, beta-feniletilamina, triptamina

Lactobacillus plantarum, Pediococcus spp., Leuconostoc mesenteroides

Vegetali fermentati Istamina, tiramina, cadaverina, putrescina, triptamina

Tabella 5: Le ammine biogene ed i gruppi microbici implicati nella produzione nei diversi alimenti (Shalaby et al., 1996)

2.1 Amine biogene nei prodotti ittici

Da tempo pesci e prodotti ittici sono considerati con molta attenzione in relazione al contenuto in amine biogene. La maggiore quota di istamina presente nei prodotti ittici e responsabile dei fenomeni di intossicazione nell’uomo è espressione dell’attività batterica. L’origine dell’istamina è riconducibile solo in minima parte a fenomeni autolitici d’origine tissutale, poiché la sua produzione è dovuta all’azione di decarbossilasi batteriche sugli amminoacidi liberi già durante le prime fasi dei processi degradativi tissutali. L’attività dell’enzima istidina-decarbossilasi è in funzione di diversi fattori, primo fra tutti il contenuto di istidina nel substrato. Alcuni pesci, principalmente appartenenti alla famiglia Scombridae, presentano una muscolatura particolarmente ricca di istidina libera che può essere decarbossilata in istamina (Yamanaka et al., 1986).

In secondo luogo, è nota l’incidenza della temperatura sulla formazione di AB nei pesci. La loro produzione avviene sia a temperature moderate che elevate e, in particolare, la formazione di

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istamina è massima alla temperatura di 37,8 °C. Viceversa la conservazione del prodotto a basse temperature risulta sfavorevole alla produzione di amine; se stoccati a 0 °C i prodotti ittici contengono livelli ridotti di istamina fino a 18 giorni, mentre se conservati a 10 °C presentano concentrazioni fino a 1 g/Kg già dopo 5 giorni (Ababouch et al., 1995).

La produzione di istamina è un importante criterio di valutazione di freschezza/deterioramento dei prodotti ittici. Però la produzione dell’amina può non essere accompagnata da cambiamenti delle caratteristiche organolettiche o produzione di cattivi odori; infatti un pesce può contenerne in elevate quantità, pur manifestando colore e odori normali. Molti autori hanno proposto diversi indici di valutazione della freschezza dei prodotti ittici, tra questi è compreso il cosiddetto indice delle amine biogene (BAI) o indice di Karmas, basato sulla determinazione delle diverse AB in HPLC, che si basa sulla determinazione quantitativa di cinque amine biogene:

Formula del Biogenic Amine Index (BAI) (Biji, 2016)

La somma delle tre AB poste al numeratore, che possono essere riscontrate in molti alimenti con elevate quantità di proteine, aumenta con il deterioramento, mentre al denominatore le concentrazioni di spermina e spermidina tendono a rimanere costanti o a ridursi (Papageorgiou et al., 2018).

Tale indice può essere favorevolmente correlato con le caratteristiche organolettiche del prodotto ed il risultato espresso con un punteggio da 1 a 10. Per valori di BAI ≤ 1 il livello di qualità è considerato “buono”; da 1 a ≤10 “accettabile”; >10 indica il prodotto “decomposto”.

L’istamina, comunque, è la principale responsabile dei fenomeni di intossicazione, determinando la cosiddetta “sindrome sgombroide” (scombroid fish poisoning), sebbene le altre AB svolgano un ruolo sinergico o potenziante.

I batteri generalmente responsabili della produzione di alti livelli di istamina sono soprattutto Enterobacteriaceae e Pseudomonadaceae (Ozogul et al., 2017). Tra i più potenti produttori di istamina si possono citare Morganella morganii, Klebsiella pneumoniae, Proteus, Pseudomonas spp.

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31 e specie Gram positive, come alcuni Bacillus e varie specie di micrococchi e lattobacilli (Ucak et al., 2019).

Nei casi di intossicazione risultano determinanti la contaminazione del prodotto, la temperatura di conservazione e l’intervallo di tempo intercorso tra la cattura e l’applicazione delle temperature di refrigerazione. Di norma è considerato critico un intervallo di tempo superiore a tre ore dopo la cattura (Progetto Uniprom, 2001).

Stabilire limiti tossicologici per l’istamina è piuttosto complesso: è necessario prendere in considerazione più variabili (concentrazioni di istamina, sommatoria delle concentrazioni delle altre AB, fasce di consumatori sensibili ecc.); inoltre i dati bibliografici spesso non sono concordanti. Secondo la FDA (Food and Drug Administration), 290 mg/Kg di istamina nel tonno indicano una cattiva manipolazione, 500 mg/Kg rappresentano un livello potenzialmente tossico. Alcuni autori (Cattaneo et al., 1984) propongono come parametri di riferimento i seguenti valori: <50 mg/Kg: assenza di sintomatologia; 50-100 mg/Kg: possibile comparsa di sintomatologia in soggetti sensibili; 100-1000 mg/Kg: tossicità moderata; 15.000 mg/Kg: tossicità elevata.

Tra le diverse specie appartenenti alla famiglia Scombridae le sardine, seguite da sgombri, alici e tonno (Progetto Uniprom, 2001), possiedono le concentrazioni medie più elevate. Nel caso dei prodotti ottenuti da questi pesci in seguito a processi di maturazione enzimatica e trattamento con salamoie la produzione di amine è ostacolata dall’uso di elevate concentrazioni saline (fino al 5-8%) utilizzate nella tecnologia, che possono influire negativamente sulla moltiplicazione batterica. La salagione controlla (ma non impedisce) la produzione di istamina, grazie all’effetto inibitorio del cloruro di sodio sull’attività batterica. Una percentuale di sale inadeguata può, però, permettere la proliferazione dei microrganismi produttori di istamina anche dopo l’inscatolamento e per questo spesso le semiconserve sono ritenute responsabili di casi di intossicazione. Altri fattori in grado di condizionare lo sviluppo della microflora ittica e dei livelli di AB, sono ad esempio l’uso di additivi come il potassio sorbato, acidulanti come l’acido citrico, malico e succinico, e la presenza di spezie, come cannella e chiodi di garofano, mentre la sterilizzazione non riduce significativamente il contenuto di AB (Lebiedzinska et al., 1991; Papageorgiou et al., 2018).

E’ stato inoltre dimostrato che sostanze inibitorie specifiche naturalmente presenti nelle spezie aggiunte agli alimenti possono esplicare una certa azione inibente sulla formazione di amine. Tali sostanze includono curcumina (curcuma), capsaicina (pepe rosso) e piperina (pepe nero) (Naila et al., 2010).

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In generale molti consumatori accettano sempre meno l’utilizzo di conservanti negli alimenti e cercano inoltre prodotti moderatamente salati, a causa delle possibili implicazioni sulla salute legate all'elevata assunzione di sodio.

I metodi emergenti come misure di controllo includono l'aggiunta di colture starter di batteri che degradano l'istamina, il trattamento ad alta pressione, l'irradiazione, il confezionamento in atmosfera modificata, l'uso di additivi e conservanti e l’applicazione di tutti quei processi che determinano condizioni sfavorevoli allo sviluppo dei batteri amino-produttori. La maggior parte di questi metodi non sono nuovi nell’ambito delle tecniche di conservazione degli alimenti, ma non sono comunemente usati nel controllo delle AB (Naila et al., 2010).

Una modalità di controllo della produzione di AB nei prodotti ittici è rappresentata dall’utilizzo di atmosfere ricche di anidride carbonica nel confezionamento in MAP (Modified Atmosphere Packaging) (Giordano, 2004). Questa tecnologia comporta la sostituzione dell’aria, normalmente presente nella confezione, con uno o più tipi di gas, da soli o in miscela tra loro, in concentrazioni appositamente studiate per il controllo dello sviluppo della flora microbica dell’alimento e la stabilizzazione delle caratteristiche sensoriali e ha lo scopo di prolungarne la shelf-life. Tra i gas utilizzati l’anidride carbonica (CO2) esplica una vera e propria azione antimicrobica, di tipo batteriostatico, ed è capace di ridurre efficacemente la produzione di AB nei prodotti ittici. Tuttavia non è opportuno programmare una miscela formata per il 100% da CO2, ma, al fine di prevenire la crescita di Clostridium botulinum, è consigliabile utilizzare anche basse percentuali di ossigeno. A livello esemplificativo, la produzione di istamina in tonno stoccato per 28 giorni a 1 °C è stata tenuta sotto controllo in MAP con una miscela di gas composta dal 40% di CO2 e dal 60% di ossigeno (O2) (Emborg et al., 2005).

E’ stato dimostrato l'effetto sinergico di una MAP costituita dal 40% di CO2 e del 60% di azoto (N2), che seguiva il congelamento, per controllare la produzione di istamina da parte di Photobacterium phosphoreum nell’aguglia. Quando l'aguglia veniva scongelata e conservata a 5 °C, la durata di conservazione era più lunga del 70% se questa era mantenuta in MAP ed è stata osservata una riduzione della produzione di istamina rispetto a quelle stoccate senza MAP.

Tra le altre tecnologie alternative, troviamo il trattamento ad alta pressione (HPP), tecnica usata abitualmente come agente pastorizzante per alcuni prodotti alimentari, quali succhi di frutta, alcuni prodotti a base di carne (per esempio gli affettati) ed alcuni prodotti ittici e l'irradiazione, che può

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33 controllare la formazione di amine biogene negli alimenti sia mediante la radiolisi delle amine che riducendo il numero di batteri amino-produttori.

La funzione principale dell’HPP è quella di avere un grande effetto inibitorio sulla crescita di microrganismi come Listeria, Vibrio, Morganella morganii e P. phosphoreum, senza comportare modifiche del colore, sapore e della consistenza del prodotto ittico.

L’obiettivo principale dello studio effettuato da Ucak et al. (2019) ha riguardato in particolare la ricerca degli effetti dell'HPP sulla crescita microbica e sulla formazione delle AB in filetti di aringa marinata durante lo stoccaggio refrigerato.

Le principali AB riscontrabili nell’aringa marinata sono risultate istamina, tiramina, putrescina e cadaverina. Per valutare l’effetto dell’HPP sulle varie AB, sono stati presi in considerazione campioni di aringhe in cui veniva effettuato il trattamento ed altri che non venivano trattati. Nelle aringhe non sottoposte a trattamento, il valore iniziale dell’istamina era pari a 4,14 mg/kg, ed aumentava poi notevolmente durante il periodo di stoccaggio, raggiungendo valori di 82,06 mg/kg. Al contrario, nei campioni trattati con l’HPP (500 MPa) per 10 minuti in combinazione con il 4% di acido acetico, i valori di istamina nell’aringa rimanevano a livelli insignificanti fino alla fine della prova.

Lo stesso effetto positivo dell’HPP è stato riscontrato anche per le altre AB. Questa tecnica risulta essere quindi molto vantaggiosa poiché migliora notevolmente la sicurezza e la shelf life, preservando allo stesso tempo le proprietà del pesce fresco.

Inoltre i consumatori sono sempre di più alla ricerca di prodotti alimentari preparati nel rispetto dell’ambiente.

Come già anticipato, l'irradiazione può controllare la formazione di AB negli alimenti, mediante la radiolisi delle amine (Mbarki et al., 2009) e riducendo il numero di batteri responsabili della produzione delle amine (Kim et al., 2003).

L’uso delle radiazioni ha messo in evidenza una degradazione significativa di spermina, spermidina e putrescina, utilizzando dosaggi al di sopra dei 5 kGy (Kim et al., 2004). Tuttavia, come alcuni autori hanno notato, lo studio si basa solo su un modello, mentre l'applicazione a un sistema alimentare richiede ulteriori indagini. L’uso di alte dosi può infatti influenzare la qualità sensoriale del cibo. Lo studio si basava su un sistema modello dove campioni standard di istamina, cadaverina, putrescina, spermidina, spermina, triptamina, tiramina e agmatina furono irradiati a 2.5, 5, 10, 20, e 25 kGy dopo essere stati disciolti in acqua distillata a concentrazioni di 100 ppm. La degradazione

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