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IMPULSIVITA' E TEMPERAMENTO IN PAZIENTI CON DISTURBO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE: VALUTAZIONI IN UN CAMPIONE PILOTA.

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INDICE

1.

RIASSUNTO ANALITICO…..……….……….………3

2.

DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE (DCA)…….…..……….………....5

2.1. Epidemiologia ...………...7

2.2. Eziopatogenesi……….……….9

2.3. Diagnosi e manifestazioni dell’anoressia nervosa (AN).….……….………11

2.4. Diagnosi e manifestazioni della bulimia nervosa (BN)……….………15

3.

IMPULSIVITÀ………..……..……….………..19

3.1. Ipotesi eziologiche sull’impulsività……….……….24

3.2. Impulsività ed alimentazione……….……….………....25

3.3. Impulsività nei disturbi della condotta alimentare ………26

3.4. Multi-impulsività nei DCA……….……….31

3.5. Disturbo bipolare (DB) ed impulsività………..32

4.

TEMPERAMENTO E CARATTERE……….……….………36

4.1. Teorie del temperamento e della personalità..……….……….…36

4.2. La teoria Biopsicosociale di Cloninger……….…..……. 43

4.3. Strumenti di valutazione: Temperament and Character Inventory……….………45

4.4. Dimensioni temperamentali e sistemi neurotrasmissivi..……….……..47

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5.

PARTE SPERIMENTALE………..………..51

5.1. Obiettivo dello studio.……….……….51

5.2. Materiali e metodi.………....…………...51 5.3. Risultati………58 5.4. Discussione e conclusioni ……….………68

6.

BIBLIOGRAFIA…….……….…..76

7.

APPENDICI……….88

8.

RINGRAZIAMENTI……….……….……….97

(3)

3

1. RIASSUNTO ANALITICO

OBIETTIVO DELLO STUDIO. I disturbi della condotta alimentare (DCA) sono caratterizzati da una eccessiva preoccupazione per il peso e la forma corporea che influisce sull’autostima in modo inadeguato; in letteratura esistono una serie di studi dedicati alla valutazione della dimensione impulsività che rappresenta un elemento di rilievo in termini di patogenesi, presentazione clinica ed outcome in pazienti con disturbo della condotta alimentare.

L’Impulsività è definita come la tendenza a mettere in atto una risposta rapida e non pianificata senza la necessaria valutazione delle conseguenze, rappresenta una variabile psicopatologica transnosografica ed associata a specifici circuiti neuro-endocrini.

L’obiettivo principale del nostro studio era di valutare la dimensione impulsività nei soggetti affetti da DCA, ipotizzando a) che l’impulsività, valutata a livello di specifiche tipologie di comportamento, sia maggiore nei pazienti con DCA rispetto ai controlli, b) che ci sia una differenza dei suoi livelli nei due sottotipi dell’Anoressia Nervosa (AN) e c) come l’impulsività possa essere incrementata dalla presenza di comorbidità con disturbi dell’umore, come il disturbo bipolare.

Obiettivo secondario è stato lo studio dei tratti temperamentali e caratteriali di queste pazienti, con lo scopo di confermare l’ipotesi che i disturbi della condotta alimentare siano associati a degli specifici tratti personologici e temperamentali che influenzano l’outcome e il successo terapeutico di queste pazienti.

MATERIALI E METODI. A questo scopo sono state somministrate a 20 pazienti affette da DCA afferenti all’Ambulatorio per i Disturbi della Condotta Alimentare della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa 2 scale, la Barratt Impulsiveness Scale 11 (BIS) per la valutazione dell’Impulsività e il Temperament and Character Inventory (TCI) per studiare il Temperamento ed il Carattere. Di questo campione 9 pazienti presentavano bulimia

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nervosa (BN) e 11 anoressia nervosa (AN) e 7 soggetti presentavano comorbidità con disturbo Bipolare (I o II). I soggetti hanno ricevuto una diagnosi di disturbo della condotta alimentare tramante l’intervista clinica strutturata per i disturbi di asse 1 per DSM-IV (SCID I).

RISULTATI. Il confronto caso controllo ha evidenziato come i soggetti affetti da DCA risultino più impulsivi rispetto ai controlli in molte delle dimensioni esplorate e cioè nel punteggio totale, nell’impulsività da non pianificazione e tra le dimensioni di primo livello sia nell’attenzione (>AN) che nell’instabilità cognitiva, che rappresenta un deficit dell’attenzione (>BN). Si è inoltre evidenziato come la presenza di un disturbo dell’umore in comorbidità con DCA, si associ ad un ulteriore aumento dei livelli dell’impulsività, che appare maggiore rispetto ai soggetti non affetti da disturbo bipolare sia nel punteggio totale, che nell’impulsività motoria e nell’impulsività da non pianificazione.

L’analisi del TCI invece ha messo in evidenza come le pazienti con BN abbiano livelli maggiori di novelty seeking (NS), reward dependance (RD) e minori di self-directedness (SD). Inoltre le pazienti con sottotipo binging-purging dell’anoressia nervosa (AN-BP) sono risultate più reattive alle stimolazioni esterne ed endogene e maggiormente impulsive (>NS), dipendenti dalla ricompensa (>RD3 ed RD) e meno responsabili e propositive rispetto al sottotipo restricter che invece è risultato più controllato, determinato e rigido (>SD).

CONCLUSIONI. Dal nostro studio si conferma, come ipotizzato, che l’impulsività sembra essere più elevata nei soggetti affetti da disturbo della condotta alimentare rispetto ai controlli ed in particolare se il DCA concomita con il disturbo bipolare, condizione caratterizzata da instabilità timica e discontrollo degli impulsi, si assiste ad un ulteriore aumento dei suoi livelli. Di particolare rilevanza è il fatto che le pazienti AN-BP siano risultate più impulsive rispetto alle restricter (AN-R) e che quindi

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l’impulsività nei pazienti DCA sembri essere un fattore condizionante il tipo di disturbo lungo un continuum di ipercontrollo- discontrollo.

2. I DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE

I disturbi della condotta alimentare (DCA) sono disturbi caratterizzati da un problematico rapporto con il cibo ed il peso corporeo e dal condizionamento che questo esercita sulla stima di sé (P. Santonastaso, 2006). Sono disturbi molto più frequenti nel sesso femminile e tendono ad insorgere prevalentemente durante l’età adolescenziale o nella prima età adulta. Sono diffusi soprattutto nei paesi industrializzati e compaiono molto spesso in categorie definite “a rischio” quali ballerine, ginnaste, modelle; dal punto di vista eziopatogenetico sembra che alla base ci sia una multifattorialità e quindi una interazione tra fattori genetici, sociali, biologici e psicologici. Indipendentemente dalle differenze nel decorso clinico, negli aspetti demografici e nelle modalità di trattamento fra i vari DCA, è stata riconosciuta una caratteristica comune a tutti questi disturbi: l’eccessiva preoccupazione per il peso e la forma corporea che influisce sull’autostima in modo inadeguato (Wilfley, Bishop, Wilson, & Agras, 2007).

Il DSM-V (American Psychiatric Association) distingue i DCA in:

1 - Pica (persistente ingestione di una o più sostanze senza contenuto alimentare)

2 - disturbo da ruminazione (ripetuto rigurgito del cibo dopo l’alimentazione che può essere rimasticato e poi nuovamente ingerito o sputato).

3 - disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo

4 - anoressia nervosa

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6 6 - disturbo da binge-eating (BED)

7 - disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione

8 - disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione

L’anoressia nervosa (AN) si caratterizza per una progressiva perdita di peso dovuta ad importante riduzione dell’apporto alimentare, ricerca ostinata della magrezza e dell’esilità e fobia di ingrassare; la perdita di peso viene vissuta da queste pazienti come una conquista straordinaria ottenuta grazie ad una ferrea autodisciplina e l’aumento di peso è per loro totalmente inaccettabile e vissuto come una perdita della capacità di controllo.

La bulimia nervosa (BN) invece si caratterizza per la comparsa improvvisa di impulsi incontrollabili che portano queste pazienti ad abbuffarsi, mangiando quantità abnormi di cibo in poco tempo e a cui segue un intenso senso di colpa e una sensazione di perdita del controllo inaccettabile, che porta queste pazienti ad eseguire condotte eliminatorie, principalmente rappresentate da vomito autoindotto. Anche in queste pazienti esiste la paura di ingrassare ma nonostante questo tendono a non perdere peso ma anzi a mantenerlo stabile o talvolta ad aumentarlo.

Il Binge-eating Disorder o Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI o BED) è caratterizzato dalla presenza di ricorrenti episodi di abbuffate, seguite da sentimenti che vanno dallo sconforto al disgusto alla depressione e/o alla colpa senza la presenza di meccanismi compensatori; è presente un marcato disagio riguardo al discontrollo alimentare. Nel DSM-V il BED è diventato una categoria dei disturbi della condotta alimentare, mentre nel DSM-IV non era riconosciuto come un disordine bensì facente parte di una appendice, la B, con solo dei criteri diagnostici provvisori.

I disturbi alimentari con altra specificazione comprendono quelle condizioni nelle quali siano presenti livelli elevati di psicopatologia del comportamento alimentare senza che

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siano soddisfatti pienamente i criteri per nessuna delle categorie diagnostiche del DSM-V-TR. Questa categoria raccoglie quindi un numero importante di pazienti con disturbi del comportamento alimentare ed è anche per questo motivo che molti studi negli ultimi anni hanno riconsiderato la classificazione dei DCA, per cercare di ridurre il più possibile questo tipo di diagnosi in modo da divenire sempre più specifici e da poter raggiungere un miglior approccio terapeutico per ogni paziente. Si distinguono in:

• anoressia nervosa atipica: presenza di tutti i criteri per l’anoressia nervosa, ad eccezione del fatto che nonostante una perdita di peso notevole il peso rimane sopra l’85% dell’ideale

• bulimia nervosa a bassa frequenza e/o durata limitata: crisi bulimiche presenti ma si verificano meno di una volta la settimana e/o per meno di 3 mesi

• disturbo da binge-eating a bassa frequenza o durata limitata: abbuffate che si verificano meno di 1 volte a settimana e/o per meno di 3 mesi

• disturbo da condotta di eliminazione: ricorrenti episodi di eliminazione per influenzare il peso o la forma corporea in assenza di abbuffate (Biondi, 2014).

2.1. EPIDEMIOLOGIA

La prevalenza dei DCA si riscontra soprattutto in alcune popolazioni definite “a rischio” che sono rappresentate da tipologie di pazienti quali le danzatrici, le studentesse, le modelle, le atlete. Nel sesso femminile si può stimare che l’incidenza annua di AN sia circa 8 casi/100.000 abitanti, quella di BN 12 casi/100.000 abitanti e le fasce di popolazione più interessate sono quelle che vanno dai 15 ai 19 anni per l’AN e dai 20 ai 24 anni per la BN. Nei maschi l’incidenza annua si colloca tra lo 0,02 e 1,4 ogni 100.000 abitanti per l’AN e intorno a 0,8 ogni 100.000 abitanti per la BN (Santonastaso P.).

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Nello studio di Fairburn del 2003 (Fairburn & Harrison, 2003) i DCA risultavano particolarmente frequenti nel sesso femminile (19:2 rispetto a sesso maschile), in soggetti adolescenti o giovani adulti e soprattutto in soggetti appartenenti a classi sociali agiate o benestanti.

Tabella 1. Distribuzione DCA nella decade 1995-2003 (Fairburn & Harrison, 2003) ANORESSIA NERVOSA BULIMIA NERVOSA

Distribuzione mondiale Prevalentemente società occidentali Prevalentemente società occidentali

Origini etniche Sesso femminile (>90%) Sesso femminile

Sesso Adolescenti/giovani adulti Giovani adulti

Età Possibile prevalenza nelle classi sociali più agiate Distribuzione uniforme

Classe sociale 0,7% 1-2%

Prevalenza 19 femmine,2 maschi 29 femmine,1 maschio

Incidenza

(100.000 per year) Possibile aumento Probabile aumento

Invece uno studio molto recente ha riscontrato un importante aumento di DCA nell’ultima decade (2003-2010) in tutti i settori demografici, tuttavia un aumento particolare è stato evidenziato soprattutto nel sesso maschile, nelle classi socioeconomiche di più basso livello e nelle fasce di età più avanzate (D. Mitchison, 2014).

Inoltre il binge-eating, la restrizione alimentare severa ed il purging hanno subito un incremento ad una velocità ancora maggiore nei soggetti che vivono al di sotto della

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soglia di povertà (Gagne D.A., 2012). Tutto questo significa che il disturbo sta subendo una notevole espansione ed anche notevoli cambiamenti, interessando delle fasce di popolazione che fino a pochi anni fa non erano particolarmente interessate (Hoffman et al., 2012).

I disturbi della condotta alimentare sono tra i disturbi psichiatrici con i più elevati indici di mortalità: nell’AN la mortalità a lungo termine tende al 15-21% e le cause più frequenti sono le complicanze mediche (infezioni, squilibri idro-elettrolitici) e il suicidio. Il rischio di morte per una paziente con AN è 10 volte maggiore di quello di soggetti della stessa età e dello stesso sesso senza disturbo(Hudson, Hiripi, Pope, & Kessler, 2007).

2.2. EZIOPATOGENESI

Nel corso degli ultimi anni si sono susseguite una serie di ipotesi e teorie eziopatogenetiche per cercare di spiegare l’origine di questi disturbi; queste ipotesi hanno preso in considerazione sia fattori familiari che socioculturali che biologici e questi ultimi sembrano essere i maggiormente implicati(Polivy & Herman, 2002).

I fattori individuali possono essere distinti in fattori personologici e fattori biologici; i fattori personologici si riferiscono alla presenza di una personalità pre-morbosa responsabile di una particolare vulnerabilità allo sviluppo di un DCA. Questi fattori possono essere rappresentati dalla presenza di un disturbo della personalità, di un eccessivo perfezionismo o di un narcisismo, così come una bassa stima di sé. I fattori biologici invece suggeriscono la presenza di una vulnerabilità biologica all’AN o BN basata sull’evidenza che questi disturbi presentano aggregazione familiare. È infatti ormai dimostrato che questi disturbi sono più frequenti tra i familiari di pazienti anoressiche o bulimiche piuttosto che nella popolazione generale e ciò implica

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l’esistenza di qualche meccanismo di trasmissibilità genetica legato a geni non ancora identificati con certezza (Fassino et al., 2002).

I fattori socio-culturali hanno un ruolo importante, legato al fatto che la cultura di una società è tra i maggiori determinanti del peso corporeo, in quanto gli attribuisce un preciso significato sociale (ad esempio nelle società povere l’essere grassi è considerato un segno di ricchezza, nelle società ricche o industrializzate invece è la magrezza ad essere iperapprezzata ed ipervalutata, soprattutto perché mantenuta in una cultura dove il cibo è di facile reperibilità) (Klump, McGue, & Iacono, 2000).

I fattori familiari invece hanno una influenza su diversi livelli, per la complessa interazione tra fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti. Tra i fattori predisponenti riconosciamo l’ereditarietà, la presenza di disturbi dell’umore o di condotte di abuso tra i fattori precipitanti invece si inseriscono eventi stressanti (lutto, separazione, abuso, conflitti familiari), l’incapacità dei genitori di gestire il disturbo tendendo all’iperpreoccupazione-iperprotezione o la trasmissione di “stili di attaccamento”, cioè particolari interazioni, credenze distorte e attitudini. Tra i fattori familiari precipitanti merita una particolare attenzione l’abuso sessuale nell’infanzia o adolescenza da parte di familiari e non, in quanto numerosi studi hanno dimostrato che le pazienti anoressiche e bulimiche riferiscono spesso di essere state vittime di tali abusi durante l’infanzia; tuttavia l’incidenza non è superiore a quella che si riscontra in altri disturbi psichiatrici e pertanto si ritiene ad oggi che l’abuso fisico o sessuale in età infantile rappresenti un fattore di rischio generico per disturbi psichiatrici.

Quindi in conclusione si può ritenere che i DCA insorgano in seguito ad una complessa e ancora poco nota interazione tra fattori predisponenti (individuali e familiari) e fattori precipitanti (socioculturali e familiari); una volta che il disturbo inizia le modificazioni indotte dagli squilibri nutrizionali possono rinforzare e favorire il mantenimento ed il

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perpetuarsi di comportamenti alimentari aberranti tramite l’instaurarsi di un circolo vizioso che si automantiene (Friederich, Wu, Simon, & Herzog, 2013).

2.3. DIAGNOSI E MANIFESTAZIONI ANORESSIA NERVOSA (AN)

Nella quinta edizione del DSM i criteri che consentono di porre diagnosi di anoressia nervosa sono questi:

A. Restrizione dell’apporto calorico in rapporto ai fabbisogni tale da causare una significativa perdita di peso in relazione all’età, al sesso, alla traiettoria di sviluppo e alla salute fisica. Perdita di peso significativa si definisce una condizione in cui il peso è minore del minimo considerato normale o, per adolescenti e bambini, inferiore al peso minimo previsto.

B. Intensa paura di prendere peso o diventare grasse, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso nonostante ci sia un peso significativamente basso.

C. Disturbo della percezione dell’immagine corporea, influenza dell’immagine o del peso corporeo nella stima di sé, persistente mancanza di consapevolezza della gravità dell’attuale basso peso corporeo.

Sottotipi:

• Forma restrittiva (AN-R): negli ultimi 3 mesi il soggetto non ha mai avuto abbuffate o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, uso di lassativi o diuretici). Questo sottotipo descrive una condizione in cui la perdita di peso è dovuta principalmente a dieta, accelerazione e/o eccessivo esercizio.

• Sottotipo binging-purging (AN-BP): se negli ultimi 3 mesi il soggetto ha avuto episodi di abbuffate e/o condotte di eliminazione (vomito autoindotto, lassativi o diuretici).

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12 Specificare se:

- in remissione parziale: dopo che tutti i criteri sono precedentemente risultati positivi, viene a mancare per un periodo di tempo prolungato il criterio A ma persistono i criteri B e C.

- in totale remissione: dopo che tutti i criteri sono risultati precedentemente positivi vengono a mancare tutti e completamente per un periodo di tempo prolungato.

Specificare attuale gravità: nei soggetti adulti la severità si valuta con l’indice di massa corporea(BMI), mentre nei bambini e negli adolescenti si valuta con il BMI percentile. I valori di cut-off sono:

• Medio: BMI 17 kg/mquadrato

• Moderato: BMI 16-16,99

• Severo: BMI 15-15,99

• Grave: BMI <15

SINTOMI E SEGNI DI ANORESSIA NERVOSA

L’anoressia ha un esordio di tipo graduale e piuttosto insidioso, soprattutto durante l’età adolescenziale, solo più raramente l’esordio è acuto ed in questi casi è spesso su base traumatica. La restrizione alimentare quando presente si ha prevalentemente nei confronti dei cibi ricchi di lipidi e carboidrati che vengono progressivamente ridotti fino ad essere eliminati completamente dalla dieta; la fobia dell’aumento del peso spinge le pazienti ad evitare il cibo tuttavia le AN non hanno “mancanza di appetito”, che esiste ma viene ignorato, ma hanno un’enorme preoccupazione che viene generata da tutto ciò che dà appetito(Steiger, 2004). Il pasto diventa un forte motivo di ansia e le pazienti tentano di procrastinare il più possibile; a volte può capitare però che la fame non possa essere ignorata e che allora riemerga sotto forma di crisi bulimiche, ovvero abbuffate e

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che a questo si possano associare conseguenti condotte eliminatorie legate al senso di colpa che la crisi ha provocato. Alla restrizione alimentare inoltre si associa abbastanza frequentemente iperattività fisica, soprattutto aerobica, volta a bruciare calorie, che tende ad incrementare progressivamente nel corso del disturbo tanto che qualsiasi attività fisica viene sfruttata per “consumare”. Con il progredire del disturbo l’alimentazione, le condotte di controllo e le abitudini di vita diventano più rigide e stereotipate e nonostante il deperimento e l’aspetto emaciato rimangono immutabili la dismorfofobia, la paura di ingrassare e la ricerca di una distanza di sicurezza sempre maggiore tra il peso temuto e quello raggiunto che porta le pazienti a dimagrire sempre di più. La polarizzazione ideativa sull’immagine corporea è uno degli aspetti cardine della AN con tendenza ad ipervalutare la larghezza rispetto all’altezza ma limitata solo all’immagine di sé; la dismorfofobia è resistente a qualsiasi confutazione e permane anche quando il corpo è gravemente emaciato. Quando le condizioni generali peggiorano e diventano scadenti l’iperattività scompare e la paziente diventa apatica con umore spesso orientato alla depressione-disforia che può evolvere in un vero disturbo depressivo maggiore (P. Santonastaso, 2006).

Le pazienti anoressiche risultano avere livelli sopra la norma di serotonina (5-HT) (Kaye et al., 2000) e la funzione serotoninergica è fortemente associata al controllo degli impulsi. Pertanto molti studi affermano come le pazienti AN abbiano una importante inibizione degli impulsi ed abbiano comportamenti e tratti personologici simili a quelli degli asceti religiosi (Carney, Tait, & Touyz, 2007). Tuttavia, nonostante l’elevata inibizione, le pazienti AN possono essere anche molto impulsive, tanto che in uno studio di Nagata del 2000 (Nagata, Kawarada, Kiriike, & Iketani, 2000) circa il 10% delle pazienti aveva alle spalle una storia di tentato suicidio (Fessler, 2002). Queste scoperte suggeriscono come inizialmente l’AN possa essere caratterizzata da livelli elevati di 5-HT che inducono comportamenti molto rigidi ed inibiti che lasciano successivamente il posto a comportamenti più impulsivi quando la malattia è in fase attiva ed avanzata

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perché la malnutrizione induce una riduzione del funzionamento serotoninergico (Steiger, 2004).

COMORBIDITA’

È comune l’associazione con i disturbi dell’umore, soprattutto depressione e distimia ma anche con disturbo bipolare e nelle pazienti anoressiche sono spesso presenti tratti compulsivi che possono evolvere in un vero e proprio disturbo ossessivo-compulsivo; particolarmente frequente inoltre l’associazione con disturbi di personalità, soprattutto di cluster C. Gli studi hanno identificato associazioni tra DCA e specifici tratti della personalità: perfezionismo, impulsività, ossessivo-compulsivi, narcisismo, attivazione comportamentale e autonomia (Cassin & von Ranson, 2005) ed hanno inoltre suggerito che molti disturbi della personalità siano diagnosticati all’interno di campioni clinici di persone affette da DCA. I disturbi di personalità più comuni nei pazienti con DCA sono quelli del cluster C (ossessivo-compulsivo, dipendente, evitante),seguiti da quelli del cluster B(borderline, istrionico, narcisistico, antisociale) e cluster A (paranoide, schizoide, schizotipo) (Wonderlich & Mitchell, 1997).

Per quanto riguarda l’anoressia nervosa nel sottotipo restrittivo, il disturbo di personalità più comunemente associato è l’evitante (53%), dipendente (37%), ossessivo-compulsivo (33%) mentre per la forma binging-purging prevale il disturbo borderline, evitante, dipendente e paranoide (Cassin & von Ranson, 2005).

DECORSO ED ESITO

Il decorso dell’AN è variabile: si può verificare una remissione parziale e talvolta anche completa ma questo soprattutto in pazienti molto giovani con migliore adattamento sociale preesistente e in seguito ad un singolo episodio che viene seguito e trattato subito. Altrimenti l’andamento è più frequentemente irregolare con remissioni e riesacerbazioni; fattori prognostici negativi sono una lunga durata di malattia, età di

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esordio più elevata, sottotipo binging-purging, riduzione di peso marcata e scarso sostegno familiare (Clausen, Lubeck, & Jones, 2013).

2.4. DIAGNOSI E MANIFESTAZIONI BULIMIA NERVOSA (BN)

Secondo i criteri del DSM-V si può avere diagnosi di bulimia nervosa quando abbiamo:

• Ricorrenti episodi di binge-eating; un episodio di binge-eating si caratterizza per: mangiare per un discreto periodo di tempo (circa 2 ore) una quantità di cibo superiore rispetto a quella che mangerebbe la maggior parte delle persone in uno stesso periodo di tempo e simili circostanze e senso di mancanza di controllo durante l’episodio.

• Ricorrenti ed inadeguati comportamenti compensatori atti a evitare l’incremento di peso (vomito autoindotto, abuso di lassativi o diuretici, eccessivo esercizio fisico o digiuno)

• Le abbuffate ed i meccanismi compensatori avvengono almeno una volta a settimana per almeno 3 mesi

• La valutazione di sé è ingiustificatamente influenzata dal peso corporeo o dalla forma fisica

• Il comportamento disturbato non si verifica necessariamente durante un episodio di anoressia nervosa.

Inoltre specificare se:

- in parziale remissione: dopo che tutti i criteri della bulimia nervosa sono già stati precedentemente riscontrati, alcuni ma non tutti scompaiono per un certo periodo di tempo.

- in totale remissione: dopo che tutti i criteri per bulimia nervosa sono già stati precedentemente riscontrati, tutti scompaiono per un prolungato periodo di tempo.

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Specificare la gravità: questa si valuta in base alla frequenza di inappropriate condotte compensatorie; possiamo avere:

- bassa: media di 1-3 episodi di condotta compensatoria inappropriata a settimana.

- moderata: media di 4-7 episodi di condotta compensatoria inappropriata a settimana.

- severa: media di 8-13 episodi di condotta compensatoria inappropriata a settimana.

- grave: media di 14 o più episodi di condotta compensatoria inappropriata a settimana.

SINTOMI E SEGNI DI BULIMIA NERVOSA

L’inizio della malattia è spesso ascrivibile ad una dieta dimagrante cominciata per rimediare in genere ad un lieve sovrappeso; il disturbo vero e proprio può essere preceduto da una fase di anoressia di durata variabile oppure insorgere direttamente come bulimia, ma in ogni caso entrambe le forme sono caratterizzate da reiterati tentativi di restringere l’alimentazione che portano a periodi di digiuno o semidigiuno a cui cominciano a seguire successivamente episodi di crisi bulimiche. Le crisi bulimiche sono episodi caratterizzati dall’ingestione, in un dato periodo di tempo, di una grande quantità di cibo; alle crisi seguono alterazioni dell’umore (depressione con senso di colpa e sentimenti di autosvalutazione) e gli episodi possono ripetersi più volte al giorno e sono in genere precipitati da stati d’animo spiacevoli, ansia, noia, tristezza o vista di “cibi proibiti”. Infatti l’alimento con cui cominciano le abbuffate è spesso uno di quelli considerati pericolosi o proibiti seguito dall’ingestione di molto altro cibo fino ad arrivare ad introdurre dalle 5000 alle 20.000 kcal ad episodio. L’ingestione è vorace, caotica e compulsiva ed è frequente la sensazione di non riuscire a smettere di mangiare; alla crisi fanno invariabilmente seguito il senso di colpa, la vergogna, il disprezzo e il disgusto per l’episodio appena avvenuto e la conclusione è il vomito autoindotto o raramente l’ingestione di emetici(Kaye, Klump, Frank, & Strober, 2000). Dal 20 al 40% delle pazienti abusa di lassativi sia dopo la crisi che in maniera cronica.

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Subito dopo l’aver messo in atto il comportamento compensatorio le pazienti si sentono immediatamente soddisfatte e hanno una riduzione importante dei livelli d’ansia libera, tuttavia questi sentimenti “positivi” hanno brevissima durata e lasciano precocemente posto ai soliti sentimenti di autosvalutazione. In alcuni casi, il mancato controllo sull’alimentazione e i sentimenti di colpa e autosvalutazione determinano l’insorgenza di atti autolesionistici, quali il graffiarsi o tagliarsi. Le pazienti invece affette dal sottotipo di BN senza condotte di eliminazione cercano di compensare l’abbuffata ricorrendo a esercizio fisico o digiuno. A prescindere dal sottotipo di BN tutte le pazienti condividono le preoccupazioni eccessive riguardanti l’aspetto, il peso e le proporzioni del corpo fino ad arrivare a dismorfofobia. La maggior parte delle pazienti inoltre tende a mantenere un peso normale nonostante il VAI (P. Santonastaso, 2006).

COMORBIDITA’

Può esserci associazione con AN nel 30% dei casi mentre il rapporto tra BN e disturbi dell’umore è ancora poco chiaro ma sembra esserci una stretta correlazione tra i due disturbi, soprattutto disturbo bipolare. Frequente anche la comorbidità con i disturbi d’ansia, soprattutto fobia sociale e disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi del comportamento e del controllo degli impulsi. I disturbi di asse II sono stati riscontrati nel 50-75% dei casi, in particolare la comorbidità con il disturbo borderline di personalità varierebbe tra il 14 e il 40% dei casi ed inoltre si riscontrano anche il DP dipendente (37%) ed evitante (30%) (O'Neill & Bornstein, 2001).

DECORSO ED ESITI

La compromissione funzionale è variabile, in alcuni casi viene mantenuto un buon compenso ed una buona funzionalità, in altri casi invece le pazienti sviluppano un disadattamento più o meno marcato sul piano sociale, interpersonale e lavorativo. Il tasso di mortalità è circa del 3% con aumentato rischio di suicidio rispetto alla

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popolazione generale. Fattori prognostici positivi sono la minore durata della malattia e l’assenza di disturbi di personalità; invece comorbidità con altre malattie psichiatriche rappresentano un indice prognostico negativo (Krug et al., 2008).

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3. IMPULSIVITÀ

Genericamente il termine Impulsività si riferisce alla disposizione a cedere a impulsi (spinte irresistibili) che possono essere nocivi per sé o per gli altri. Vi è una patologica propensione all’atto come conseguenza d’esperienze emotive specifiche. Si ha la caratteristica successione di un aumento parossistico dell’ansia (bisogno interiore irresistibile, con eccitamento crescente e vari gradi di resistenza), prima di compiere l’atto e di un brusco calo della tensione susseguente al cedimento all’impulso (Poli E. , 2006).

La letteratura definisce l’Impulsività come “la tendenza a scegliere piccole ricompense, immediatamente disponibili, a discapito di ricompense più grandi, ritardate”, e / o “la tendenza a rispondere rapidamente senza premeditazione e / o senza attenzione per le conseguenze” (Evenden, 1999; Swann, Bjork, Moeller, & Dougherty, 2002).

Barratt (Patton, Stanford, & Barratt, 1995)) descrive la persona impulsiva come quella che “agisce senza pensare, agisce sulla spinta del momento, è irrequieta se deve stare seduta, ama rischiare, è spensierata, ha difficoltà a mantenere la concentrazione, una persona che agisce, non un pensatore.”

Questa modalità di decision making può rappresentare una caratteristica permanente o essere adottata in specifiche circostanze; l’impulsività diviene un problema psicopatologico quando non è correlata a specifiche richieste ambientali, quando è associata ad altri aspetti, in particolare l’aggressività e in genere tanto maggiore è il livello di consapevolezza.

L’impulsività comporta anche una relativa carenza di controllo sull’azione o sulla decisione finale da parte del soggetto, mentre è connessa alla componente affettiva o somatica(somatic-maker) e motivazionale che sarebbero correlate all’abbreviazione dei passaggi logici. L’azione impulsiva è caratterizzata non soltanto da una ridotta

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considerazione delle premesse logiche ma anche delle conseguenze con conseguente adozione di condotte rischiose(Pallanti S., 1995).

A livello soggettivo il momento difettoso consiste nella diminuzione della capacità di rappresentazione, ovvero, il soggetto agisce senza avere presente né se stesso né l’altro inteso come sistema di valori oggettivi.

I comportamenti impulsivi sono stati descritti come aventi tre dimensioni:

1) l'incapacità di utilizzare le informazioni disponibili per riflettere sulle conseguenze delle azioni,

2) l'incapacità di rinunciare a un piccolo premio immediato in favore di una più grande ricompensa successiva,

3) un deficit nel sopprimere le risposte motorie prepotenti (Chamberlain & Sahakian, 2007).

Prese insieme, queste tre dimensioni di impulsività riflettono l'incapacità di valutare e successivamente di rispondere in modo flessibile alla ricerca di un determinato scopo o risultato in condizioni ambientali mutevoli (Torregrossa, Quinn, & Taylor, 2008).

Fernandez-Aranda, Pinheiro (Fernandez-Aranda et al., 2008) definiscono: “I disturbi del controllo degli impulsi quelle condizioni nelle quali è presente l’impegno ripetitivo o compulsivo in un comportamento nonostante le avverse conseguenze, l’impossibilità a resistere all’impulso, l’urgenza o il craving prima di compiere l’atto e il senso di piacere o gratificazione o di allentata tensione dopo che l’atto sia compiuto”. Il fenomeno dell’impulsività è oggi epidemiologicamente e socialmente complesso, non si può ipotizzare un meccanismo psicologico e neurobiologico univoco, ma una complessità definita di eventi ambientali e biologici (Pallanti S., 2006).

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Patton et al (Patton, et al., 1995) dividono l’impulsività in tre componenti:

• Istantaneità dell’impulso (attivazione motoria)

• Riduzione di focalizzazione sul compito o sull’obiettivo(attenzione)

• Riduzione della programmazione, riflessione o attenzione interna (mancanza di pianificazione).

Sulla base delle ricerche nel campo dell’impulsività, i ricercatori hanno dedotto che:

- sembra esserci una base personale per la tendenza a compiere azioni impulsive,

- ci sono diverse ipotesi riguardo questa base personale,

- differenti costrutti sembrano esser stati inclusi sotto il termine impulsività

Per schematizzare, nelle diverse dimensioni utilizzate per definire e studiare il costrutto dell’Impulsività, si possono riscontrare quattro principali approcci (Vicenzi, Giorgi, & Pessa, 2006):

1. Impulsività come dimensione di personalità,

2. Approccio comportamentale all’Impulsività,

3. Impulsività correlata alla percezione del tempo,

4. Approccio neuropsicologico e neurofisiologico.

1. L’impulsività come dimensione di personalità indica la tendenza ad intraprendere attività in modo avventato, senza previsioni future o programmazioni o ad attuare comportamenti senza riflettere in modo attento(Dawe, Gullo, & Loxton, 2004).

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Barratt e Patton(Patton, et al., 1995)hanno individuato tre componenti dell’Impulsività: una componente di Impulsività motoria (agire senza pensare), una componente di Impulsività attentiva (prendere decisioni improvvise) ed un’Impulsività da mancanza di programmazione (assenza assoluta di programmazioni future).

Secondo Whiteside e Lynam (DR, 2001) esistono 4 differenti Impulsività:

• urgenza, intesa come l’urgenza negativa, cioè la tendenza ad agire avventatamente quando vengono esperite sensazioni negative.

• perdita di programmazione, cioè l’incapacità di programmare.

• perdita di perseveranza

• sensation seeking, (Van den Broek MD, 1987) cioè la tendenza a ricercare stimoli originali ed avvincenti (Uso di sostanze).

Due di questi tratti sono, secondo gli autori, più frequentemente presenti in pazienti con DCA: Urgenza e Mancanza di programmazione. Recentemente è stata individuata anche l’urgenza positiva, cioè la tendenza ad agire avventatamente in occasione di un umore estremamente positivo.

2. Per quanto riguarda il comportamento impulsivo, è definito tale il comportamento che preferisce una ricompensa immediata, anche se piccola, ad una ricompensa maggiore, ma che può essere ottenuta solo successivamente (Rachlin & Green, 1972). Logue(Forzano & Logue, 1995)ha esteso questa definizione a tutte le scelte che determinano una ricompensa immediata ma che, in un’estensione di tempo maggiore, portano a conseguenze negative. La capacità di differire una ricompensa (Autocontrollo) è considerato il comportamento opposto a quello impulsivo (Madden, Petry, Badger, & Bickel, 1997).

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3. Impulsività e percezione del tempo. Barratt e Patton (1983) hanno ipotizzato che l’orologio interno delle persone impulsive scorra più velocemente di quello delle persone che non lo sono, questo porta i due Autori a sostenere che le persone impulsive sovrastimino gli intervalli di tempo (Van den Broek e coll., 1987).

4. Infine, la neuroanatomia e neurofisiologia dell’impulsività è stata studiata ricercando la localizzazione neuro anatomica delle aree deputate al suo controllo e il loro funzionamento (Love JM, 2003).

Manuck e coll. (Manuck SB, 2003) illustrano la differenziazione delle attività della corteccia prefrontale (PFC), prevalentemente relative al coordinamento di comportamenti pianificati. La PFC è la parte della corteccia cerebrale anteriore alla corteccia premotoria e supplementare all’area motoria ed è stata suddivisa in tre ampie aree: corteccia prefrontale dorso laterale (DL-PFC), corteccia prefrontale mediale (medial PFC) e corteccia orbitofrontale (OFC). La regione dorso laterale sembra esser sede della capacità di inibire gli impulsi, pesare conseguenze e priorità ed è una delle aree che matura più tardi nello sviluppo, intorno ai 20 anni d’età. La regione orbitofrontale ha delle connessioni molto sviluppate con le strutture sottocorticali implicate nella motivazione e nell’emozione. La distruzione delle connessioni tra queste e l’OFC compromettono l’abilità di ottimizzare una scelta.

Socialmente l’impulsività è stata considerata come un comportamento appreso, derivante da un ambiente familiare in cui i bambini “imparano a reagire immediatamente per ottenere quello che desiderano come gratificazione”. Gli individui impulsivi quindi, secondo questo concetto, non hanno la capacità di pesare le conseguenze delle loro azioni, né per loro stessi né per gli altri; pertanto l’impulsività ha un impatto non solo sugli individui impulsivi ma anche sugli altri.

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3.1 IPOTESI EZIOLOGICHE SULL’IMPULSIVITÀ

Studi sui gemelli evidenziano la possibilità di una trasmissione ereditaria dei dispositivi che sovraintendono ad una normale Impulsività(Pallanti S., 2006).

L’impulsività è stata ricondotta, almeno in parte, a una riduzione delle capacità inibitorie del lobo frontale ed è stata documentata l’ipofunzionalità di questa area cerebrale. Individui con danni localizzati alla corteccia orbitofrontale sono più impulsivi dei soggetti sani (Berlin, Rolls, & Kischka, 2004). Damasio (Damasio, 1996) ha ipotizzato un modello decisionale in cui uno stato emotivo o variazione emotiva che accompagna la risposta ad uno stimolo somatic-maker influenza il processo cognitivo messo in atto per prendere una decisione. Bechara e coll. (Noel, Van Der Linden, & Bechara, 2006) in uno studio sul gioco d’azzardo, hanno messo in evidenza come a lesioni dell’area ventromediale del lobo frontale si associ una ridotta sensibilità per le conseguenze future e le decisioni siano prevalentemente guidate da vantaggi immediati. Questo limite è simile a quello presente nei soggetti che abusano di cocaina, oppiacei o alcol. Altre conferme sul ruolo dei lobi frontali nell’impulsività sono date da studi sul metabolismo cerebrale in pazienti impulsivi-aggressivi e sul flusso cerebrale di giocatori d’azzardo patologico. Rispetto ai soggetti normali si ha un diverso pattern di attivazione, con l’evocazione di una condizione di arousal che, sia quantitativamente sia qualitativamente, si distingue in questi soggetti. Per alcuni disturbi del controllo degli impulsi sembrano potersi indicare specifici stimoli, trigger ambientali, per esempio l’impulsività sessuale.

Nei soggetti impulsivi è stata riscontrata una prevalenza emisferica destra e una riduzione dell’attività della serotonina, implicata sia nelle manifestazioni aggressive sia in quelle impulsive. Poiché la serotonina favorisce anche l’incremento dei livelli ematici di prolattina e cortisolo (attraverso il sistema CRH-ACTH), anche questi potrebbero essere coinvolti nella genesi delle alterazioni comportamentali in questione.

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L’aumentata attività noradrenergica faciliterebbe inoltre l’espressione dell’aggressività e dell’impulsività contrapponendosi al sistema serotoninergico. Secondo un’ipotesi comportamentale l’agire impulsivo avrebbe un ruolo importante nel determinare una riduzione di uno stato di disagio, per cui la riduzione della tensione potrebbe costituire un rinforzo per il comportamento impulsivo, che verrebbe pertanto mantenuto. I soggetti impulsivi, in risposta alla frustrazione ed alla punizione, risponderebbero con l’azione, senza riflettere.

Il fenomeno dell’impulsività è epidemiologicamente complesso e non si può provare a ipotizzare un meccanismo, psicologico e neurobiologico univoco, ma una complessità di eventi ambientali e biologici.

3.2 IMPULSIVITÀ ED ALIMENTAZIONE

Stunkard e Messick nel 1985 concettualizzarono il processo del nutrirsi in tre fattori fondamentali: controllo cognitivo, disinibizione e fame; questi tre aspetti portano alle scelte nutritive che tutti compiamo. La relazione fra l’impulsività ed il processo del nutrirsi non è chiara. Innanzitutto ci sono elementi demografici che incidono: persone più giovani hanno più alti livelli di impulsività motoria e d’attenzione e quindi sono maggiormente in grado di compiere scelte impulsive rispetto al cibo. Un Controllo cognitivo maggiore è riscontrato in soggetti di sesso femminile forse a causa della maggior enfasi sociale per il peso; il controllo cognitivo è correlato positivamente anche con il grado di istruzione (nella popolazione generale l’alto controllo cognitivo è frequentemente uno strumento utile per compiere scelte nutritive salutari, un minor numero di anni di istruzione è risultato infatti essere un fattore di rischio per l’insorgenza dell’obesità) (Wardle, Waller, & Fox, 2002). L’associazione fra la disinibizione e i vari aspetti dell’impulsività è interessante e complessa: non c’è correlazione con l’impulsività da non pianificazione ma c’è con quella motoria e con quella attentiva. Correlazione positiva anche fra la fame e l’impulsività attentiva.

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Nel normale processo del nutrirsi quindi si ha un’associazione fra l’impulsività motoria e quella attentiva con la disinibizione; fra l’impulsività attentiva e la fame.

3.3 IMPULSIVITÀ NEI DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE

L’impulsività nei DCA è un argomento di recente dibattito nel quale non si hanno risultati chiari a causa di un problema fondamentale, oltre al già citato dibattito nella definizione dell’impulsività stessa, e cioè la varietà delle scale di misurazione usate per valutare questo costrutto, non sempre adeguate. Alcuni ricercatori, utilizzando pazienti in programmi di trattamento, hanno riportato maggiore impulsività in soggetti con disturbi alimentari rispetto ai controlli normali (Fahy & Eisler, 1993; Jimerson, Herzog, & Brotman, 1993).

Molti studi hanno trovato un grado di Impulsività decrescente a partire dai pazienti con BN, seguiti da quelli con ANBP, per giungere all’ANR, che presenta livelli di Impulsività nel range della normalità (Diaz-Marsa et al., 2008). Inoltre molti degli studi che sono stati condotti hanno definito come alti livelli d’impulsività correlino ad un peggiore indice prognostico nelle pazienti con disturbi della condotta alimentare (Keel & Mitchell, 1997).

Sembra che alterazioni della funzione serotoninergica cerebrale possano contribuire a diversi aspetti dei disturbi della condotta alimentare quali il perfezionismo, il binge-eating, l’impulsività stessa e problemi nella regolazione del tono dell’umore. Alterazioni nelle concentrazioni di Serotonina possono essere conseguenza di polimorfismi genetici, deficit nutrizionali (la Serotonina è sintetizzata a partire dal Triptofano, assunto con la dieta), abusi subiti nell’infanzia o altre condizioni. La presenza di una o più di queste condizioni potrebbe favorire lo scatenarsi di un DCA in conseguenza di un evento "trigger" (per es. una dieta dimagrante) e potrebbero essere correlate alla sintomatologia del DCA (Steiger, 2004).

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Nella review di Waxman del 2009(Waxman, 2009) viene evidenziata la presenza di maggior impulsività nei soggetti che compiono abbuffate rispetto ai controlli, i quali, a loro volta, presentano maggiori livelli dei soggetti restricters (maggior impulsività motoria, inattenzione, ricerca di stimoli, responsività alla ricompensa, ricerca di divertimento) nelle misurazioni self-report. L’impulsività non permette di differenziare fra i vari sottotipi di DCA, piuttosto differenzia individui con AN e BN nel tipo di presentazione clinica: bingeing/purging e non purging (Waxman 2009).

I pazienti Bingers differiscono rispetto ai restricters poiché hanno maggiori livelli d’impulsività, più frequentemente comportamenti impulsivi (come ferirsi intenzionalmente, abuso di sostanze, promiscuità sessuale) e più alta comorbidità con patologie psichiatriche con caratteristiche impulsive come Disturbo da uso di sostanze, Disturbi del Controllo degli Impulsi e Disturbi di Personalità del Cluster B(Bulik et al., 2007; Dawe & Loxton, 2004); Le donne affette da ANR, al contrario, presentano maggior perfezionismo, rigidità, harm avoidance e ossessioni.

Rosval e coll. (Rosval et al., 2006) hanno studiato l’impulsività in un gruppo di pazienti con DCA con la Barratt Impulsiveness Scale, versione 11, ed hanno riscontrato che tutti i soggetti con DCA hanno maggior impulsività cognitiva, quindi deficit dell’attenzione, rispetto ai controlli che possono essere spiegati come conseguenze delle alterazioni nutrizionali; l’impulsività motoria è più elevata in soggetti con comportamenti binge/purge: BN e ANBP, indicando che questo gruppo è quello che più frequentemente possiede comportamenti impulsivi e presenta minor inibizione per le risposte motorie. Per quanto riguarda invece l’impulsività da non pianificazione sembra essere caratteristica solamente dei soggetti con bulimia nervosa. I pazienti con AN possiedono elevati livelli di Prudenza e quelli appartenenti al sottogruppo ANBP mostrano al tempo stesso elevata Prudenza e Impulsività motoria. La BN differisce inoltre per il punteggio totale della BIS-11, rispetto ad ANR e soggetti sani; mentre i

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soggetti con ANBP hanno una posizione intermedia e non si diversificano dagli altri gruppi (in particolare è 75,56±10,67 nella BN, 67,24±10,88 nell’ANBP, 63,19±8,56 nell’ANR, 61,49±9,64 nei controlli) (Rosval, et al., 2006). Secondo questo studio, in linea con altri, i soggetti con ANBP per quanto riguarda l’Impulsività, sembrano avere più in comune con i bulimici che con i pazienti con ANR (Claes, Mitchell, & Vandereycken, 2012) ma soprattutto, i comportamenti binge/purge sono associati a impulsività motoria, non necessariamente ad altre componenti dell’impulsività.

Nell’ANR, gli studi che indagano l’impulsività, suggeriscono che i pazienti con questo disturbo siano meno impulsivi dei controlli non psichiatrici 1993(Claes, Bijttebier, Mitchell, de Zwaan, & Mueller, 2011).

Butler e Montgomery (2005) hanno trovato che i soggetti con AN hanno una bassa Impulsività quando misurata con scale di autovalutazione, ma sono più impulsivi nelle misure comportamentali; utilizzando misure comportamentali di Impulsività, invece, non emergono differenze significative tra ANR, ANP, BN e controlli (Claes, et al., 2012).

Secondo gli autori questo può riflettere la mancanza di controllo inibitorio secondario al digiuno, ma può derivare anche dalla natura delle scale di autovalutazione che misurano come il paziente vede se stesso, mentre misure oggettive ne riflettono il comportamento.

Fessler (Fessler, 2002) studia l’impulsività nell’ANR, che risulta minore rispetto agli altri pazienti con DCA, e spiega l’apparente paradosso di comportamenti impulsivi in questi soggetti con una teoria evoluzionistica. Infatti, soggetti da sempre considerati dotati di un non comune auto-controllo compiono gesti impulsivi; questo è in parte dovuto alle carenze nutrizionali che s’instaurano a seguito del digiuno prolungato come

dimostrano studi su soggetti normali mantenuti in condizioni di semi-digiuno, (es. Minnesota semi-starvation experiment) (Keys, 1950).

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Le carenze nutrizionali portano ad un ridotto funzionamento serotoninergico, infatti la Serotonina è prodotta in maniera endogena da precursori assunti con la dieta come il triptofano. La serotonina è cruciale nel controllo dei comportamenti impulsivi, una diminuzione dei livelli di attività accompagna tutti i comportamenti impulsivi: aggressioni, irritabilità, cleptomania, binge-eating, automutilazioni, esibizionismo, suicidio. La serotonina è fondamentale anche nel controllo dei comportamenti alimentari e nella sazietà (Adipudi & Simansky, 1995). AN sottopeso dimostrano deficit del funzionamento del sistema serotoninergico sia tramite misure dirette sia indirette, in accordo con i molti studi sui ratti (triptofano plasmatico, 5HIAA urinaria, leganti piastrinici della serotonina, 5HIAA nel liquor ridotti), deficit che sono corretti in seguito alla riacquisizione di peso.

Quindi, le carenze alimentari portano a mettere in atto una serie di comportamenti impulsivi anche esibiti dagli umani in corso di restrizioni caloriche: il binge-eating ha ad esempio il significato di massimizzare le entrate da una risorsa disponibile prima che le circostanze o gli avversari ne precludano ulteriori accessi. Quando le risorse sono scarse, la selezione naturale favorisce gli individui che colgono le opportunità per acquisire risorse anche se non spettano loro di diritto.

In molti studi viene evidenziata un’elevata Impulsività nella BN (Claes, et al., 2012) (Diaz-Marsa, et al., 2008) mentre alcuni autori riportano che l’Impulsività, nei soggetti bulimici che non sono in programmi di trattamento, non è maggiore rispetto alla popolazione generale. Secondo questi autori i pazienti in trattamento, che spesso hanno comorbidità multiple, potrebbero presentare una maggiore Impulsività e non essere rappresentativi dei soggetti con DCA in generale (Bushnell, Wells, & Oakley-Browne, 1996).

Infatti, Wolfe e coll. rilevano che nella BN l’Impulsività, misurata con la BIS, versione 10 (Barratt E, 1985), è significativamente maggiore rispetto ai soggetti sani, ma non è

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correlata con la frequenza degli episodi di binge-eating e di autoinduzione di vomito, con l’età di esordio del binge-eating, con la durata di malattia, con il peso corporeo attuale, né con il precedente sovrappeso. In questo studio l’Impulsività non correla neanche con il punteggio totale riportato ad una scala di valutazione dei sintomi alimentari(Garner, Olmsted, Bohr, & Garfinkel, 1982) (EAT, eating attitude test), ma correla soltanto con la sottoscala “bulimia e preoccupazione per il cibo”.

L’Impulsività nella BN è correlata alla riduzione della funzione serotoninergica che contribuisce anche alla riduzione della sazietà e ad aumentare la tendenza al binge-eating (Jimerson, et al., 1993), attraverso una distinta via anatomica. Fischer e coll. (Fisher, 2003) sottolineano che l’Impulsività nelle stesse pazienti correla con il mangiare in risposta a sentimenti negativi, che è associato ad alterazioni della funzione serotoninergica. La mancanza di associazione tra Impulsività e gravità del binge-eating nella BN potrebbe esser correlato a diverse alterazioni serotoninergiche.

Diaz-Marsà e coll. (Diaz-Marsa, et al., 2008) rilevano un’associazione tra Impulsività, sintomi bulimici e soppressione del cortisolo con il Test al desametazone. Quest’associazione secondo gli autori potrebbe riflettere una possibile disfunzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, associata probabilmente ad un sottotipo di DCA caratterizzato da una maggiore Impulsività. Pazienti con sintomi bulimici presentano maggior soppressione della secrezione di Cortisolo in risposta al Test di stimolazione con Desametazone rispetto ai soggetti Restricters e ai soggetti sani e questa soppressione è significativamente correlata con i punteggi della BIS 11, indicando che una disfunzione, con ipersensibilità, dell’asse ipotalamo-ipofisi-corticale surrenale potrebbe essere specificatamente correlata con sottotipi di DCA con maggior impulsività.

I più recenti modelli dell’impulsività non hanno tenuto conto del ruolo delle emozioni nonostante ci sia chiara evidenza che l’esperienza di alcuni sentimenti si relaziona a

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comportamenti pericolosi. Le emozioni negative hanno un ruolo centrale nelle azioni eseguite con rabbia nelle quali individui con crisi bulimiche si ingaggiano, infatti, tutti gli aspetti dell’impulsività sono risultati connessi alla BN con misurazioni self-report ma quella con un effetto maggiore è la negative urgency, questo, secondo Fisher, significa che l’agire avventatamente quando angosciati, aumenta la vulnerabilità ai comportamenti bingeing e purging (Fisher, 2003).

3.4 MULTI-IMPULSIVITÀ NEI DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE

Molti studi riportano un’alta percentuale di comportamenti auto lesivi tra i pazienti con DCA e soprattutto in quelli con BN (Favazza, DeRosear, & Conterio, 1989); (Mitchell et al., 2002). Questi comportamenti sono: tentativi di suicidio, self-injourious e uso di sostanze. Garner e coll. (Garner, et al., 1982) hanno riscontrato nella BN un’aumentata frequenza di comportamenti impulsivi incluso rubare, tentativi di suicidio, abuso di droghe o alcol.

Altri Autori(McElroy, Hudson, Pope, Keck, & Aizley, 1992), pongono l’attenzione sulla somiglianza della Bulimia e dei comportamenti auto lesivi con altri Disturbi del controllo degli impulsi e con il Disturbo ossessivo - compulsivo.

L’Impulsività sembrerebbe essere un fattore comune alla base di un sottotipo di DCA, che presenta comorbidità con l’abuso di sostanze e comportamenti di self-injurious (Wonderlich, Connolly, & Stice, 2004). Questo potrebbe essere spiegato in termini psicobiologici con la presenza di una disfunzione serotoninergica (Steiger, 2004). Questo gruppo diagnostico è stato chiamato Bulimia multi - impulsiva o Disturbo di personalità multi - impulsivo ed è definito dalla presenza, a seconda dello studio, di almeno tre dei seguenti comportamenti: abuso di alcool o sostanze, tentativi di suicidio, gesti auto lesivi, promiscuità sessuale o cleptomania (Fichter, Quadflieg, & Brandl, 1993).

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Un problema da risolvere è capire se l’Impulsività dei pazienti con un DCA sia dovuta ad un sottostante disturbo, come per esempio un Disturbo di personalità multi - impulsivo, sia la conseguenza di condotte alimentari sbagliate o di altri processi intrinseci alla sindrome bulimica. La stessa sintomatologia bulimica potrebbe essere l’espressione di una psicopatologia primaria (pre-esistente) (Johnson, Connors, & Tobin, 1987). Rimane comunque non chiara la cronologia della co-presenza del disturbo alimentare e dei comportamenti impulsivi. Studi recenti sono in accordo con quello di Fichter e coll. (Fichter, 1993) nell’asserire che la multi- impulsività non si associa ad una maggior gravità del DCA e che nell’80% dei casi questa precede l’insorgenza del DCA indicando che non sia una conseguenza delle alterazioni nutrizionali.

3.5 DISTURBO BIPOLARE (DB) ED IMPULSIVITÀ

Il Disturbo Bipolare (BD) appartiene alla classe dei Disturbi Dell’Umore, quei disturbi nei quali le fluttuazioni dell’umore divengono ampie, prolungate, indipendenti o sproporzionate rispetto agli stimoli esterni e che hanno rilevanza a livello clinico(Cassano, 2006).

I Disturbi Bipolari implicano la presenza di Episodi Maniacali, o episodi Misti o Ipomaniacali, solitamente accompagnati dalla presenza di Episodi Depressivi Maggiori.

Nel DSM-V il disturbo bipolare ed i disturbi correlati sono stati separati dai disturbi depressivi e sono stati posti tra i capitoli dello spettro schizofrenico ed altri disturbi psicotici, riconoscendo la loro posizione come un ponte tra le due classi diagnostiche in termini di sintomatologia, storia familiare e genetica. Le diagnosi comprese nel capitolo del DSM-V del DB sono: disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo ciclotimico, disturbo bipolare e disturbi indotti dall’uso di sostanze, disturbo bipolare

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correlato ad un'altra condizione medica, disturbo bipolare con altra specificazione e disturbo bipolare senza specificazione.

L’impulsività è una componente frequente nel decorso e nella presentazione del disturbo bipolare, sembra che rappresenti una caratteristica della malattia, che persiste attraverso i diversi stati affettivi, indipendente dalla severità dei sintomi. (Strakowski et al., 2010). Nei pazienti con disturbo bipolare l’impulsività sembra minare la stabilità dell’umore, aggravare i problemi comportamentali associati alla labilità dell’umore e porta a compiere gesti avventati senza pensare (McElroy et al., 1996).

Nei pazienti bipolari l’impulsività risulta essere particolarmente elevata durante gli episodi maniacali, tuttavia è presente anche nelle fasi di eutimia o depressione (Swann, et al., 2002), non a caso i risultati della BIS 11 sono sempre più alti nei soggetti con disturbo bipolare rispetto ai controlli non affetti da questo disturbo, anche durante le fasi di eutimia (Swann, 2010).

Considerando l’impulsività durante la mania si deve tenere presente che non tutti i problemi comportamentali sono dovuti all’impulsività, alcuni sono pianificati ma totalmente inappropriati perché basati sull’idea di grandiosità o su distorsioni cognitive; inoltre l’impulsività è sempre alta nei pazienti disturbo bipolare tuttavia i suoi livelli tendono a variare in base alla fase della malattia ed ai fattori che la influenzano nel tempo (Swann, Lijffijt, Lane, Steinberg, & Moeller, 2009).

La mania è associata ad un aumento nel turnover della dopamina e della noradrenalina(NA); l’aumento della NA correla con la severità della malattia e l’attività adrenergica maggiore, inibendo la corteccia prefrontale, può portare ad impulsività, favorita anche dal fatto che durante la mania c’è una notevole deprivazione di sonno che deprime a sua volta la risposta inibitoria. La funzione dopaminergica è anch’essa aumentata nei pazienti con disturbo bipolare e questo può aumentare l’impulsività

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come risultato del ruolo della dopamina nel dare il via alle azioni e motivarle (Swann, Steinberg, Lijffijt, & Moeller, 2009).

Per dimostrare tutto questo, un recente studio ha analizzato post-mortem i cervelli dei soggetti disturbo bipolare e non deceduti in seguito a suicidio; ebbene, è risultato che nei cervelli dei soggetti con DB l’immunoattività degli enzimi che sintetizzano serotonina e noradrenalina nel locus coeruleus era più bassa rispetto a quella dei soggetti non DB. Questi risultati confermano quindi il quadro di anormalità nei livelli di serotonina e noradrenalina nei soggetti con disturbo bipolare e spiegano in parte l’elevata impulsività (Wiste, Arango, Ellis, Mann, & Underwood, 2008).

In conclusione l’impulsività è una componente centrale della mania ed è associata ad un aumentato rilascio di catecolamine che a loro volta favoriscono gli episodi maniacali; inoltre, maggiore è il numero di fasi maniacali maggiore tende a diventare il livello di impulsività, anche durante le fasi di eutimia e questo sembra favorire l’insorgenza di ulteriori episodi di mania. Infine è confermato che i livelli particolarmente alti di impulsività nella mania sono associati ad elevati livelli di noradrenalina (Alan C. Swann, 2009).

L’impulsività nel disturbo bipolare però non si riscontra solo nella fase manicale ma è presente anche nella fase di eutimia e nella fase depressiva. I soggetti con DB sono infatti secondo una recente rewiew, i soggetti con la maggiore prevalenza di tentato suicidio, maggiore anche rispetto ai soggetti affetti da depressione maggiore (Rhimer, Rhimer, & Isacsson, 2005). Di conseguenza molti studi hanno cercato un collegamento tra l’impulsività e il suicidio ma solo pochi hanno cercato dei nessi tra queste due componenti nel DB; in particolare, Swann nel 2005 ha trovato delle associazioni tra pazienti affetti da DB con episodi di tentato suicidio ed impulsività come condizione caratteristica (Swann et al., 2005). Investigando i casi di tentato suicidio sia nei pazienti con DB che in quelli con disturbo depressivo maggiore, nello studio di Oquendo del

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2005 è risultato che i pazienti DB avessero una maggiore impulsività rispetto agli altri ma soprattutto, nel confronto dei livelli di impulsività tra soggetti DB che avevano tentato il suicidio e soggetti DB senza precedenti tentativi, è risultato che quelli con precedenti tentativi avessero livelli molto più alti rispetto all’altro gruppo(Baca-Garcia et al., 2005).

Un’altra caratteristica molto importante che si presenta spesso nel disturbo bipolare e che pare essere associata all’impulsività è l’aggressività, che frequentemente questi pazienti hanno nei confronti delle altre persone. È un tipo di aggressività che si sviluppa in maniera non pianificata e si svolge prima che il soggetto abbia il tempo di valutare le conseguenze delle sue azioni adeguatamente. Subito dopo l’atto nella maggior parte dei casi il soggetto prova sensi di colpa. È una forma di aggressività molto diversa da quella che possiamo definire “premeditata” perché questa non si associa a particolari sentimenti di colpa o emozioni negative dopo l’atto mentre quella tipica del DB spesso si scatena in seguito a particolari emozioni o gesti e soprattutto l’atto in sé provoca dei sentimenti di colpa in colui che lo compie (E. S. Barratt, Stanford, Dowdy, Liebman, & Kent, 1999).

Diversi studi riportano correlazioni positive tra aggressività ed impulsività ed alcuni concettualizzano l’aggressività come una difficoltà nel tradurre in parole dei comportamenti o gesti impulsivi (Najt et al., 2007).

In conclusione è stato ormai dimostrato come l’impulsività sia maggiore nei soggetti con disturbo bipolare rispetto ai controlli sani (Peluso et al., 2007), come questa sia presente sempre nelle varie fasi della malattia con sole differenze nei livelli e come questa si associ ad una serie di comportamenti pericolosi, tra cui riconosciamo il tentativo di suicidio e l’aggressività. Infine si è confermato che l’impulsività è associata ad alterazioni riguardanti il sistema noradrenergico e serotoninergico che sono rispettivamente troppo bassi e troppo elevati (Najt, et al., 2007).

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4. TEMPERAMENTO E CARATTERE

4.1 TEORIE DEL TEMPERAMENTO E DELLA PERSONALITÀ

Il temperamento si riferisce alla predisposizione emotiva congenita e può essere definito come l’apprendimento di abitudini associative basate sulla percezione (…) e rappresenta una struttura universale a cui riferire le peculiarità personologiche di individui

appartenenti a tutte le culture e gruppi etnici. (C. R. Cloninger, 1994b)

Il concetto di temperamento trova una notevole varietà di definizioni, ognuna delle quali riflette l’orientamento teorico del ricercatore che lo studia; la maggior parte dei ricercatori si trovano in accordo sulle seguenti funzioni relative al concetto di temperamento (Goldsmith et al., 1987):

• È un costrutto ipotetico di organizzazione usato per identificare una serie di processi che si riferiscono al modo in cui il comportamento è espresso, indipendentemente dal contenuto e dalle motivazioni del comportamento.

• I comportamenti che lo definiscono fanno la loro comparsa molto presto nella vita di un individuo, entro due mesi dopo la nascita.

• Ha una base biologica, ma ciò non significa che il temperamento sia necessariamente ereditato.

• È piuttosto stabile nel tempo e la sua espressione può essere influenzata da fattori biologici, maturazionali e da fattori contestuali.

Strelau (1983) è stato uno degli autori che ha effettuato una distinzione tra temperamento e personalità definendo il temperamento come il risultato

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dell’evoluzione biologica dell’individuo, che si sviluppa su basi fisiologiche ma può essere modificato dalle influenze ambientali, mentre la personalità è, secondo l’autore, il prodotto delle condizioni storiche e sociali, dell’apprendimento e della socializzazione e rappresenta i desideri e le aspettative personali di un individuo.

Thomas e Chess (Chess & Thomas, 1977b) definiscono invece il temperamento come uno “stile comportamentale” e gli attribuiscono la funzione di mediatore tra individuo e ambiente.

Altri autori come Goldsmith e Campos (1982) ritengono che il temperamento rifletta le tendenze comportamentali innate guidate dall’emozione e determinate dal livello di attivazione dell’organismo ed escludono dalla definizione gli aspetti cognitivi della personalità; infine Rothbart e Derryberry (Derryberry & Rothbart, 1988) comprendono nel concetto di temperamento ogni tipo di reazione e non soltanto quella di natura emotiva.

Teplov e Nebylitsyn (Teplov & Nebylitsyn, 1963) sono stati tra i primi autori ad avere l’intuizione di scindere il temperamento nell’attività generale (suddivisa in attività mentale, motoria e sociale) e nella emozionalità (suddivisa in sensibilità emozionale, impulsività e labilità emotiva), ed hanno indicato il sistema corticoreticolare come sistema deputato alla regolazione delle attività e quello limbico deputato alla regolazione delle emozioni.

Strelau ha successivamente elaborato la “teoria regolativa del temperamento” (RTT) secondo la quale il temperamento coincide con una serie di caratteristiche relativamente stabili dell’organismo ed è determinato biologicamente. Secondo questo autore temperamento e personalità si differenziano, in quanto il temperamento è il risultato dell’evoluzione biologica, invece la personalità è il frutto di condizioni sociali e storiche e si costruisce sulla base delle relazioni che il bambino stabilisce con

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l’ambiente che lo circonda. Gli aspetti che Strelau presenta come discriminanti tra la personalità e il temperamento sono:

• Il temperamento è determinato biologicamente, la personalità è il prodotto dell’interazione sociale.

• Le caratteristiche temperamentali possono essere individuate già dalla prima infanzia, la personalità viene plasmata nelle fasi di sviluppo successive.

• Le differenze individuali nei tratti temperamentali, come ansia, estroversione ecc. sono state riscontrate anche negli animali, mentre la personalità è prerogativa dell’uomo.

In questa teoria il temperamento quindi corrisponde a caratteristiche stabili determinate biologicamente, in particolare da meccanismi neurologici ed endocrini presenti fin dalla nascita e soggetti a piccoli cambiamenti dovuti alla maturazione e all’influenza dell’ambiente. Gli aspetti individuali in cui si rilevano le differenze temperamentali sono il livello di energia e le caratteristiche temporali delle reazioni.

Le differenti modulazioni energetiche nell’organismo si esprimono secondo due dimensioni o caratteristiche: la reattività e l’attività; per spiegare queste due caratteristiche Strelau ricorre al concetto di livello ottimale di attivazione.

Il livello individuale di reattività determina sia la quantità di stimolazione necessaria all’organismo, sia l’intensità delle risposte individuali agli stimoli. La reattività può influenzare la regolazione delle reazioni individuali in due modi:

a) mediante la determinazione della sensibilità (livello di soglia sensoriale) e della resistenza (intesa come capacità di lavoro delle cellule nervose in presenza di stimolazioni forti e prolungate); tra queste due componenti dovrebbe esistere una relazione inversamente proporzionale.

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