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Equazioni subellittiche omogenee su gruppi di Carnot

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Academic year: 2021

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Universit`

a degli Studi di Pisa

FACOLT `

A DI MATEMATICA

Corso di Laurea in Matematica

Tesi di laurea magistrale in matematica

Equazioni subellittiche omogenee su gruppi di Carnot

Candidato

Claudio Afeltra

Relatore

Chiar.mo Prof. Andrea Malchiodi

(2)
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Indice

1 Diseguaglianza di Sobolev ottimale 1

1.1 Riarrangiamento radiale . . . 2

1.2 Esistenza del minimo . . . 2

1.3 Calcolo delle funzioni ottimali . . . 7

2 Soluzioni positive e problema di Yamabe 9 2.1 Il problema di Yamabe nelle variet`a compatte . . . 10

2.2 Dimostrazione geometrica della diseguaglianza di Sobolev ottimale 13 2.3 Metodo delle moving spheres . . . 15

2.4 Soluzioni singolari in un punto . . . 20

3 Gruppi di Carnot 25 3.1 Gruppi omogenei e di Carnot . . . 25

3.2 Il gruppo di Heisenberg . . . 28

3.3 Sublaplaciano sui gruppi di Carnot . . . 29

3.4 Flusso del calore . . . 32

3.5 Potenze frazionarie del sublaplaciano . . . 37

3.6 Spazi di Sobolev . . . 41

3.7 Teoremi di immersione . . . 46

4 Relazioni tra indice di Morse ed integrabilit`a 49 4.1 Stime delle soluzioni . . . 51

4.2 Stime nel caso critico . . . 55

4.3 Limitazione dell’indice di Morse . . . 59

(4)
(5)

Introduzione

In questa tesi verranno studiate alcune equazioni alle derivate parziali su Rn e

su gruppi di Carnot; in particolare equazioni non lineari ed omogenee del tipo −∆u = |u|p−1u.

Nel primo capitolo vedremo che su Rn questa equazione, con l’esponente

cri-tico p = 2∗− 1, `e l’equazione di Eulero-Lagrange di un funzionale i cui minimi

sono le funzioni che verificano la diseguaglianza di Sobolev con costante otti-male. Questo ci porter`a a studiare il problema della ricerca del minimo del funzionale, il che ci permetter`a di trovare la costante ottimale della disegua-glianza di Sobolev, assieme ad una famiglia di minimizzatori, trovando cos`ı la famiglia di soluzioni λpn(n − 2) λ2+ |x − x 0|2 !n−22 .

L’idea principale della dimostrazione `e, dopo aver dimostrato che il problema ammette minimo, usare il riarrangiamento radiale, un tipo di simmetrizzazione per le funzioni, per mostrare che il minimo `e raggiunto tra le funzioni radiali, in modo da ricondursi ad un problema unidimensionale.

Nel secondo capitolo vedremo che su Rnl’equazione ha una grande

importan-za in geometria, in particolare al problema di Yamabe. Tale problema consiste, data una variet`a riemanniana, nel trovare una metrica conformemente equiva-lente ad essa e con curvatura scalare costante. Vedremo che tale problema `e equivalente a trovare le soluzioni regolari e positive dell’equazione. Inoltre in generale il problema `e equivalente a trovare le soluzioni regolari e positive di un’equazione simile,

−4n −1

n −2∆gu+ Su = Ku

n+2 n−2

dove S `e la curvatura scalare della variet`a e K `e la curvatura scalare (costante) della nuova metrica. All’inizio del capitolo verranno illustrate alcune delle idee principali della soluzione del problema di Yamabe, mostrando come essa sia collegata alla ricerca dei minimizzatori della diseguaglianza di Sobolev operata nel primo capitolo. Inoltre, usando queste idee, mostreremo come trovare in un modo alternativo i minimizzatori della diseguaglianza di Sobolev.

(6)

Nel resto del capitolo studieremo il problema di trovare le soluzioni positive dell’equazione, a priori senza caratterizzazione variazionale. Nel caso di Rn,

di-mostreremo che sono solo quelle trovate nel primo capitolo. Per farlo useremo il metodo delle moving spheres, che consiste, approssimativamente, nell’applicare un’inversione sferica alla soluzione e dimostrare che variando il raggio, si pu`o estendere una certa diseguaglianza con continuit`a.

In seguito studieremo il problema di trovare le soluzioni positive singolari in un punto. In questo caso dimostreremo che le soluzioni sono a simmetria radiale rispetto a quel punto, riconducendoci cos`ı a studiare un’equazione diffe-renziale ordinaria. La dimostrazione in questo caso user`a il metodo dei moving planes, che `e simile al metodo delle moving spheres, ma in cui anzich´e applicare un’inversione sferica alla soluzione, la si riflette lungo un piano.

Nel terzo capitolo verranno introdotti i gruppi di Carnot. Essi sono dei grup-pi di Lie semplicemente connessi e dotati di una stratificazione, ovvero una decomposizione in somma diretta della sua algebra di Lie

g=

m

M

i=1

Vi

tale che [V1, Vj] ⊆ Vj+1, [V1, Vm] = {0} e che V1 generi tutta g. I gruppi

di Carnot possono essere dotati anche di un’altra struttura, una famiglia di dilatazioni {δr}r>0 di automorfismi, che nel caso di Rn coincide con l’insieme

delle ordinarie dilatazioni, e che nel caso generale ha con esse molte analogie. Dopo l’introduzione dei gruppi di Carnot, definiremo il sublaplaciano, che `e l’analogo, per i gruppi di Carnot, del laplaciano. Dati dei campi invarianti a sinistra X1, . . . , Xk che nell’identit`a formano una base del primo strato della

stratificazione, V1, viene detto sublaplaciano l’operatore

∆ =

k

X

i=1

Xi2.

Dimostreremo che ∆ `e essenzialmente autoaggiunto, e dunque ammette una decomposizione spettrale

−∆ = Z ∞

0

λdE(λ).

Questo permette di definire le potenze frazionarie di −∆ su L2. Per poterle

definire anche su Lp, con 1 < p < ∞, dovremo passare attraverso il flusso del

calore generato da ∆ su L2. Dimostreremo che il suo nucleo `e il L1, e dunque

potremo estendere questo semigruppo ad Lp, ed attraverso di esso riusciremo a

definire le potenze frazionarie di −∆ su Lp e a dimostrarne le propriet`a grazie

a metodi di analisi armonica, analoghi a quanto si fa su Rn con i potenziali di

Riesz.

Grazie a ci`o potremo definire sui gruppi di Carnot gli analoghi degli spazi di Sobolev, e generalizzare a questo ambito i teoremi di immersione di Sobolev.

(7)

INDICE vii Infine nel quarto capitolo studieremo l’equazione come equazione di Eulero-Lagrange del funzionale

F(u) = 1 2 Z G |∇u|2 1 p+ 1 Z G |u|p+1,

e studieremo la stabilit`a e l’indice di Morse delle soluzioni rispetto a questo funzionale. In particolare dimostreremo che nel caso dell’esponente critico le soluzioni stabili al di fuori di un compatto (che `e una condizione pi`u debole della finitezza dell’indice di Morse) sono in Ln−22n e con gradiente in L2; viceversa le

(8)
(9)

Capitolo 1

Diseguaglianza di Sobolev

ottimale

Come punto di partenza della tesi, considereremo l’equazione

−∆u = |u|p−1u, (1.1)

in Rn. In tutto il capitolo assumeremo n ≥ 3. Tale problema ammette una

formulazione variazionale.

Teorema 1.1. Una funzione u ∈(H1∩ Lp+1)(Rn) \ {0} `e un punto stazionario

per il funzionale

F(u) = R |∇u|

2

R |u|p+1p+12

se e solo se verifica debolmente, per qualche λ, l’equazione −∆u = λ|u|p−1u.

Dimostrazione. Consiste in calcoli standard.

Notiamo che la costante λ pu`o essere eliminata con un riscalamento, ricon-ducendosi all’equazione 1.1.

Poniamo ora p = 2∗− 1 = n+2

n−2, ottenendo l’equazione con esponente critico

−∆u = |u|n+2n−2u. (1.2)

Allora la proposizione mostra che l’equazione `e collegata alla ricerca del minimo del funzionale F, ovvero della costante ottimale nella diseguaglianza di Sobolev. Di seguito noi troveremo il minimo del funzionale ed una classe di minimiz-zatori.

(10)

1.1

Riarrangiamento radiale

Per affrontare questo problema, faremo uso del riarrangiamento radiale di una funzione. Data u misurabile positiva, e con sopralivelli di misura finita, il riarrangiamento radiale di u `e definito come

u∗(x) = sup

t∈R

{|{u > t}| > ωn|x|n}.

Richiamiamo due risultati sul riarrangiamento radiale.

Proposizione 1.2. Per ogni p ∈[1, ∞] vale che kukLp= ku∗kLp.

Teorema 1.3 (Diseguaglianza di P´olya-Szeg˝o). Se u ∈ W1,pallora u∈ W1,p

e k∇(u∗)kLp≤ k∇ukLp.

Grazie a questi due risultati, `e sufficiente ricercare il minimo di F nella clas-se delle funzioni radiali. Ora effettuiamo un cambio di variabile conforme tra Rn\{0} ed il cilindro Sn−1×R: x 7→ (θ, t) =x |x|, n−2 2 log |x|  . Corrispondente-mente trasportiamo le funzioni nel modo seguente: u(x) 7→ v(t, θ) = |x|n−22 u(x).

`

E facile verificare che per funzioni regolari a supporto compatto Z Rn |∇u|2dx=Z Sn−1×R ( n −2 2 "  ∂v ∂t 2 + v2 # + 2 n −2|∇θv| 2 ) dθdt,

e per approssimazione questa formula si estende a tutto H1.

Per la diseguaglianza di P´olya-Szeg˝o l’estremo inferiore di F rimane invariato restringendosi alle funzioni radiali. Dunque grazie alla trasformazione introdotta ci si riconduce alla minimizzazione di un funzionale unidimensionale.

Dato che, se u `e radiale, chiamando (con abuso di notazione) v(x) = v(|x|), vale che

kukL2∗(Rn)= ωn

2n

n −2kvkL2∗(R)

allora il funzionale unidimensionale, definito su H1(R) \ {0}, `e

˜

F(v) = Cn

kvk2H1(R)

kvk2L2∗(R)

.

Sia ora S = inf ˜Fe sia vn una successione minimizzante. Per omogeneit`a di ˜Fsi

pu`o assumere che kvnkL2∗ = 1. Dunque vn `e limitata in H1, e perci`o, a meno

di sottosuccessioni, vn H1

* v.

1.2

Esistenza del minimo

Proposizione 1.4. Sia µk una successione di misure di probabilit`a su Rn.

(11)

1.2. ESISTENZA DEL MINIMO 3 I) esiste una successione xkj tale che per ogni ε esiste R tale che

µxkj(BR(xkh)) ≥ 1 − ε;

II) per ogni R

lim

kj→∞

sup

x∈Rn

µkj(BR(x)) = 0;

III) esiste un numero λ con0 < λ < 1 tale che per ogni ε > 0 esistono R > 0 ed una successione xj tali che per ogni R0> R esistono due successioni di

misure νj, ηj tali che

0 ≤ νj+ ηj ≤ µkj,supp(νj) ⊆ BR(xj), supp(ηj) ⊆ R n\ B R0(xj) e lim sup j→∞ (|λ − νj(Rn)| + |(1 − λ) − ηj(Rn)|) ≤ ε. Dimostrazione. Sia Qk(r) = sup x∈Rn µk(Br(x)).

Tutte le Qk sono funzioni debolmente crescenti su [0, ∞) tali che Qk(0) = 0 e

limr→∞Qk(r) = 1. Dunque esse sono a variazione limitata, e dette σk le loro

derivate distribuzionali, esse sono misure di probabilit`a. Dunque per il teorema di Banach-Alaoglu esiste una sottosuccessione, che per semplicit`a di notazioni contuinueremo a chiamare σk, tale che σk

* σ.

Sia Q(r) = σ([0, r)) e λ = limr→∞Q(r) = σ([0, ∞)) ∈ [0, 1]. Notiamo che

Q(r) ≤ lim inf→∞Qk(r).

Inoltre vale che quasi ovunque per la misura di Lebesgue Q(r) = lim→∞Qk(r).

Allora se λ = 0, vale la II.

Se λ = 1, vogliamo dimostrare che vale la I. sia r0 tale che Q(r0) > 12, e sia

xk tale che

µk(Br0(xk)) ≥ Qk(r0) −

1 k. Dato ε < 1

2, sia r tale che Q(r) > 1 − ε > 1

2, e sia yk tale che

µk(Br(yk)) ≥ Qk(r) − 1 k. Allora µk(Br0(xk)) + µk(Br(yk)) ≥ Qk(r0) + Qk(r) − 2 k >1 = µk(R n)

per k grande. Dunque definitivamente Br0(xk) ∩ Br(yk) 6= ∅. Perci`o Br(yk) ⊆

Br0+2r(xk), e dunque

(12)

Aumentando R = r0+ 2r affinch´e questo valga anche per il primi k, si ha la

tesi.

Infine, se 0 < λ < 1, si scelga R tale che Q(R) > λ − ε

2, e sia xk una

successione tale che definitivamente µk(BR(xk)) > λ − ε. Dato che Ln-quasi

ovunque Q(r) = lim→∞Qk(r), esiste una successione Rk → ∞, con Rk > Ri,

tale che definitivamente Qk(Rk) ≤ λ + ε.

Sia νk la restrizione di µk a BR(xk) e ηkla restrizione di µk a Rn\ BRk(xk).

Allora definitivamente

|λ − νk(Rn)|+|(1 − λ) − ηk(Rn)| = |λ − µk(BR(xk)))|+|µk(BRk(xk)) − λ| ≤ 2ε.

Lemma 1.5(Brezis-Lieb). Se vn∈ Lp,1 ≤ p < ∞, `e una successione limitata

in Lp tale che v n q.o. → v allora lim n→∞(kvnk p Lp− kvn− vk p Lp) = kvk p Lp.

Dimostrazione. Iniziamo notando che ∀ε > 0 esiste Cε tale che ∀a, b ∈ R vale

che ||a + b|p− |a|p| ≤ ε|a|p + C

ε|b|p. Questo si deduce elementarmente dal

fatto che limt→∞

|t±1|p−|t|p

|t|p = 0. Detta ψn = ||ψn|p− |ψ|p− |ψn− ψ|p|, basta

dimostrare cheR ψn → 0. Ma infatti si ha che

ψn ≤ ||vn|p− |vn− v|p| + |v|p≤ ε|vn− v|p+ (Cε+ 1)|v|p.

Perci`o (ψn− ε|vn− v|p)+ ≤ (Cε+ 1)|v|p. Ma allora, per il teorema di

conver-genza dominata,

Z

(ψn− ε|vn− v|p)+→ 0.

Allora, dato che 0 ≤ ψn ≤ (ψn− ε|vn− v|p)++ ε|vn− v|p si ha che

definitiva-menteR ψn≤ Cε. Proposizione 1.6. Se uk H1 * u e µk = |∇uk|2Ln ∗ * µ, νk = |uk|2 ∗ Ln * ν

nel senso delle misure, allora esiste un insieme al pi`u numerabile A di punti, e per ogni punto xi un numero ai tale che

ν = |u|2∗Ln+ X xi∈A aiδxi. Inoltre µ ≥ |∇u|2Ln+ X xi∈A biδxi

per un insieme di numeri bi>0 tali che

(ai)

n−2 n S ≤ bi

(13)

1.2. ESISTENZA DEL MINIMO 5

Dimostrazione. Per il teorema di Rellich-Kondrachov uk L2

−→ u. Dunque a meno del passaggio a sottosuccessioni si pu`o supporre che uk converga quasi ovunque

a u, e perci`o a cui si pu`o applicare il lemma di Brezis-Lieb 1.5 con p = 2∗;

allora vale per tutta la sottosuccessione che limn→∞

 kukk 2∗ L2∗ − kuk− uk 2∗ L2∗  = kuk2L∗2∗. Chiamando ωk= |uk|2 ∗

− |u|2∗Lne ω = ν − |u|2∗Ln, per quanto appena

visto ω ≥ 0, e si ha che ωk * ω. Inoltre, detta λk = |∇(uk− u)|2, per il teorema

di Banach-Alaoglu si pu`o supporre che λk ∗ * λ ≥0. Sia ϕ ∈Cc∞(Rn). Allora Z Rn |ϕ|2∗dω= lim k→∞ Z Rn |ϕ|2∗dωk = Z Rn |(uk− u)ϕ|2 ∗ dω ≤ ≤ S−n−2n lim inf k→∞ Z Rn |∇((uk− u)ϕ)|2dx n−2n = = S−n−2n lim inf k→∞ Z Rn (uk− u)2|∇ϕ|2+ +ϕ2|∇(u

k− u)|2+ 2(uk− u)ϕ∇(uk− u) · ∇ϕdx

n−2n = = S−n−2n lim inf k→∞ Z Rn ϕ2|∇(uk− u)|2dx n−2n = S−n−2n Z Rn ϕ2dλ n−2n

dove la penultima eguaglianza `e giustificata dal fatto che uk L2 → u. Dunque S Z Rn |ϕ|2∗ n−2n ≤ Z Rn ϕ2dλ. (1.3)

Sia ω = ω0+Pxi∈Aaiδxi con ω senza atomi. Scegliendo una successione di

funzioni ϕn che siano un’approssimazione della delta intorno a xied applicando

tale diseguaglianza si ottiene che λ({xi}) ≥ S (ai)

n−2

n . Applicando il lemma di

Brezis-Lieb in modo simile a quello gi`a fatto si verifica che µ ≥ λ, e dunque µ({xi}) ≥ S (ai)

n−2

n . D’altronde, dato che ∇u

k * L2∇u, allora µ ≥ |∇u|Ln.

Dunque si ottiene la seconda parte della tesi.

La formula (1.3) implica che ω, e dunque anche ω0, `e assolutamente continua

rispetto a λ, e dunque, per il teorema di Radon-Nikodym esiste f tale che ω= f λ. Se x /∈ A allora, approssimando la funzione caratteristica di Br(x) con

funzioni continue ed usando la diseguaglianza (1.3) si ottiene che f(x) = lim r→0 ωo(Br(x)) λ(Br(x)) ≤ 1 Sλ(Br(x)) n n−2 λ(Br(x)) = lim r→0 1 Sλ(Br(x)) 2 n−2 = 0

dunque ω0 = f λ = 0. Di conseguenza ν = |u|2

Ln + ω = |u|2∗Ln +

P

(14)

Lemma 1.7. Esiste u ∈ H1(Rn) tale che F(u) = inf(F).

Dimostrazione. Sia (uk)k∈N una successione minimizzante. Dato che F `e

inva-riante per traslazioni e dilatazioni ed omogeneo, si pu`o supporre che kukkL2∗ = 1

e che Qm(1) = sup x∈Rn Z B1(x) |uk| 2n n−2 = 1 2. (1.4)

Inoltre per il teorema di Banach-Alaoglu si pu`o supporre che uk H1

* u. Siano νk = |uk|2

Ln e µ

k = |∇uk|2Ln. Si pu`o supporre anche che νk ∗

* ν e che µk

* µ. Applichiamo il teorema 1.4 a tale successione. La possibilit`a II `e esclusa dalla condizione imposta.

Ipotizziamo che valga la condizione III. Con un procedimento diagonale si pu`o dimostrare che esistono Rk→ ∞, punti xk e misure ηk e ξk con supp(ηk) ⊆

BRk(xk) e supp(ξk) ⊆ (R n\ B 2Rk(xk)) tali che lim sup k→∞ (|λ − ηk(Rn)| + |(1 − λ) − ξ(Rn)|) = 0. (1.5) Sia ϕ ∈ C∞

c (B2(0)) tale che ϕ ≡ 1 su B1(0) e 0 ≤ ϕ ≤ 1, e sia ϕk(x) =

ϕx−xk Rk  . Allora Z Rn |∇uk|2= Z Rn |∇(ϕkuk)|2+ Z Rn |∇((1 − ϕk)uk)|2+ δk

con δk soddisfacente la stima (chiamando Ak= B2Rk(xk) \ BRk(xk))

|δk| ≤ C Z Ak u2k|∇ϕk|2+ Z Ak |∇uk|2+ Z Ak uk∇uk· ∇ϕ  ≤ ≤ C R−2k Z Ak u2k+ Z Ak |uk|2 ∗ 2 2∗! ≤ ≤ C R−2k Z Ak u2k∗ 2∗2 Ln(A k) 2 n+ Z Ak |uk|2 ∗ 2 2∗! ≤ C Z Ak |uk|2 ∗ 2 2∗ = = Cνk(Ak) 2 2∗ ≤ C(νk(Rn) − ηk(Rn) − ξk(Rn)) 2 2∗ → 0 per la formula (1.5).

Perci`o, detto S = inf(F), Z Rn |∇uk|2= Z Rn |∇(ϕkuk)|2+ Z Rn |∇((1 − ϕk)uk)|2+ δk≥ ≥ S Z Rn (ϕkuk)2 ∗ n−2 n + Z Rn ((1 − ϕk)uk)2 ∗ n−2 n ! + δk≥ ≥ Sνk(BRk(xk)) n−2 n + ν k(Rn\ B2Rk(xk)) n−2 n  + δk ≥

(15)

1.3. CALCOLO DELLE FUNZIONI OTTIMALI 7 ≥ Sηk(Rn) n−2 n + ξk(Rn) n−2 n  + δk ≥ S(λ n−2 n + (1 − λ) n−2 n ) − o(1) e dato che λn−2n + (1 − λ) n−2 n >1 si ha un assurdo.

Dunque vale l’ipotesi I. Sia ε <1

2, e sia Rεtale che

νk(BRε(xk)) ≥ 1 − ε;

Per la condizione posta all’inizio, B1(0) ∩ BRε(xk) 6= ∅, e dunque, a meno di

sostituire R(ε) con 2R(ε) + 1 si pu`o supporre che xk = 0. Dunque per ogni ε

esiste Rεtale che νk(BRε(0)) ≥ 1 − ε, e questo implica che ν(BRε(0)) ≥ 1 − ε,

e perci`o ν(Rn) = 1.

Ora applichiamo la proposizione 1.6. Si ha che S+ o(1) = Z |∇uk|2= µk(Rn) ≥ µ(Rn) + o(1) ≥ Z |∇u|2+ X xi∈A bi+ o(1) ≥ ≥ S Z |u|n−22n n−2n + S X xi∈A (ai) n−2 n + o(1).

Ora, usando la nota diseguaglianza (P∞

i=1|ai|

p)1p P∞

i=1|ai|, valida per p ≥ 1,

con l’uguaglianza che vale se e solo se al pi`u uno degli ai `e nullo, con p = n−2n ,

si trova che S+ o(1) ≥ S Z |u|n−22n + X xi∈A ai !n−2n

+ o(1) = Sν(Rn) + o(1) = S + o(1).

Quindi deve valere l’uguaglianza, e dato che per la formula (1.4) e per semicon-tinuit`a si ha che ai ≤ 12, vale che ai = 0 eR |u|

2n

n−2 = 1.Inoltre per la

disegua-glianza di SobolevR |∇uk|2≥ S, e per semicontinuit`a inferioreR |∇uk|2≤ S, e

alloraR |∇uk|2= S.

1.3

Calcolo delle funzioni ottimali

Ora che abbiamo dimostrato che il minimo esiste, e che esiste un minimizzatore radiale, ci basta risolvere il problema variazionale unidimensionale per ˜F. Per omogeneit`a questo `e equivalente a trovare il minimo di kvk2H1 con il vincolo

kvk2L2∗ = 1. Applicando il metodo dei moltiplicatori di Lagrange ci si riconduce

a trovare i punti stazionarˆı del funzionale kvk2H1− λ kvk

2

L2∗, che ha come

equa-zione di Eulero-Lagrange −v00+ v = λv2∗−1. Moltiplicando per v0 si ottiene che

h0(t) = 0 con h(t) = 1 2(v 0)2 1 2v 2+ λ 2∗v2 ∗

. Dato che le funzioni in H1(0, ∞)

sono infinitesime all’infinito, limt→∞v0(t)2 = 2h(0), e dato che kv0kL2 < ∞,

h(0) = 0. Dato che v `e stata ottenuta dalla simmetrizzazione, `e pari, e dunque v0(0) = 0. Quindi la condizione h(0) = 0 determina v(0). Perci`o la soluzione dell’equazione `e unica, e si pu`o verificare che essa `e

v(t) = 2 ∗ 2λ 2∗ −21 cosh 2 ∗− 2 2 t −2∗ −22 .

(16)

Ora, sostituendo, possiamo trovare la seguente famiglia u di soluzione dell’equa-zione (1.1), e dunque anche la costante di Sobolev ottimale:

λpn(n − 2) λ2+ |x|2

!n−22

.

Data l’invarianza per traslazioni, esiste la seguente famiglia pi`u grande di solu-zioni: λpn(n − 2) λ2+ |x − x 0|2 !n−22 . (1.6)

(17)

Capitolo 2

Soluzioni positive e

problema di Yamabe

Una delle motivazioni che porta allo studio dell’equazione (1.1) `e il problema di Yamabe, ovvero il problema di trovare, data una variet`a riemanniana (M, g), una metrica conformemente equivalente a g a curvatura scalare costante.

Anche in questo capitolo assumeremo n ≥ 3.

Proposizione 2.1. Se ˜g= un−24 g `e una metrica conforme a g allora la

curva-tura scalare dig `˜e ˜ S = u−n+2n−2  −4n −1 n −2∆gu+ Su  . Dimostrazione. Il calcolo si pu`o trovare, ad esempio, in [1].

Perci`o la soluzione del problema di Yamabe `e equivalente alla soluzione dell’equazione

−4n −1

n −2∆gu+ Su = ˜Su

n+2

n−2 (2.1)

per`o con il vincolo che u > 0. Quindi, nel caso in cui M sia Rn con la metrica

euclidea, ci si riconduce alla ricerca delle soluzioni positive dell’equazione −∆u = ˜Sn −2

n −1u

n+2 n−2.

Con un riscalamento ci si riconduce all’equazione (1.1) con p critico.

Le soluzioni positive dell’equazione (1.1) sono completamente classificate. Teorema 2.2. Le soluzioni positive dell’equazione (1.1) sono tutte della forma (1.6).

Dal punto di vista geometrico le metriche rappresentate da tali soluzioni sono isometriche alla metrica sferica su di una sfera (di raggio opportuno) privata di

(18)

un punto. Infatti se si esegue il pull-back della metrica sferica sulla sfera unitaria rispetto all’inverso della proiezione stereografica, si ottiene la metrica su Rndata

da

g= 4

(1 + |x|2)2geucl

dove geucl `e la metrica euclidea. Dunque g `e conformemente equivalente alla

metrica euclidea, con

u=  4 (1 + |x|2)2 n−24 = 4n−24 1 (1 + |x|2)n−22 .

2.1

Il problema di Yamabe nelle variet`

a

com-patte

Il problema di Yamabe nelle variet`a compatte ha sempre soluzione. Questo ri-sultato ha richiesto sforzi molto intensi e protratti per non meno di un quarto di secolo. Un’esposizione completa della dimostrazione sarebbe troppo lunga, tut-tavia vogliamo accennare a qualcuna delle idee. Per una dimostrazione completa rimandiamo all’articolo [9].

L’idea principale della dimostrazione `e osservare che le soluzioni dell’equa-zione (2.1) sono i punti stazionarˆı del funzionale

Yg(u) = R Ma|∇gu| 2+ Su2dV g R M|u| 2n n−2dVg n−2n dove a = 4n−1

n−2, ovvero, equivalentemente, che le metriche ˜gsoluzioni del

proble-ma di Yaproble-mabe sono estreproble-mali del funzionale, definito sullo spazio delle metriche conformi a g, Y (˜g) = R MSdV˜ ˜g R MdV˜g n−2n .

Il problema di Yamabe fu risolto dimostrando che tale funzionale ammette mi-nimo, per`o tale dimostrazione si rivel`o molto complicata. Il metodo adottato `e consistito nell’approssimare il funzionaleYg con la famiglia di funzionaliYgs,

per s ∈h2, 2n n−2  , definita da Ys g(u) = R Ma|∇gu| 2+ Su2dV g R M|u|sdVg 2s .

Usando il fatto che per 1 ≤ s < 2n

n−2 l’immersione di H

1(M ) in Ls(M ) `e

com-patta, si dimostra dimostra che il funzionaleYs

g ha minimo usper s ∈

h 2, 2n

n−2

(19)

2.1. IL PROBLEMA DI YAMABE NELLE VARIET `A COMPATTE 11 tra le funzioni positive. Per passare al limite per s → 2n

n−2 sono tuttavia

neces-sarie delle limitazioni sulle funzioni us. Innanzitutto per aver speranza di avere

un limite bisogna imporre, usando l’omogeneit`a, che kuskLs= 1. Definiamo

λ(M, g) = inf {Y (˜g) | ˜g `e conforme a g} = inf {Yg(u) | u ∈C∞(M ), u > 0}

e

λs(M, g) = infYgs(u)

u ∈C∞(M ), u > 0 ; allora per i minimi diYs

g vale l’equazione

−a∆gus+ Sus= λsus−1s . (2.2)

Definiamo inoltre λ = λ(Sn, g

Sn), dove gSn`e l’usuale metrica sulla sfera. Allora

si ha il risultato seguente.

Teorema 2.3(Aubin). Per ogni variet`a vale che λ(M, g) ≤ λ, e se λ(M, g) < λ allora le funzioni us sono tali che per s →2∗ c’`e una successione che converge

uniformemente ad una funzione u >0 che minimizza Yg, e dunque che risolve

il problema di Yamabe.

La prima osservazione fondamentale per dimostrare questo teorema `e il seguente teorema.

Teorema 2.4. Se σn `e la costante di Sobolev ottimale su Rn allora data una

variet`a riemanniana compatta M , per ogni ε >0 esiste una costante Cε tale

che per ogni u ∈ H1(M ) valga che

kuk2L2∗ ≤ (1 + ε)σn Z M |∇u|2dVg+ Cε Z M u2dVg.

Tale teorema si dimostra con una partizione dell’unit`a, passando localmente in coordinate normali ed applicando la diseguaglianza di Sobolev su Rn.

Il passo successivo `e trovare λ(Sn).

Teorema 2.5. λ(Sn) = a σn.

Idea di dimostrazione. Si dimostra facilmente che l’estremo inferiore che defi-nisce λ(Sn) pu`o essere preso anche in H1(Sn). `E standard dimostrare che, se

n ≥ 2, dato x ∈ Sn si ha che C

c (Sn\ {x}) `e denso in H1(Sn). Applicando

la proiezione stereografica rispetto ad x, ed usando il fatto che le proiezioni stereografiche sono conformi e che λ(M, g) `e invariante per i cambi conformi di metrica, si dimostra che

λ(Sn) = inf u∈H1(Rn) u6=0 R Rna|∇u|2 R Rnu 2n n−2 n−2n = a σn .

(20)

Proposizione 2.6. Se λ(M, g) < λ allora esistono s0 <2∗, p >2∗ e C >0

tali che se se s0≤ s < 2∗ allora kuskLp≤ C.

Dimostrazione. Si pu`o assumere che M abbia volume 1. Moltiplicando l’equa-zione (2.2) per u1+2δ

s ed integrando per parti si ottiene che

Z M a(1 + 2δ)u2δ s |∇gu|2+ Su2(1+δ)s dVg= λs Z M us+2δs dVg.

Ponendo v = u1+δ questa uguaglianza diventa

a 1 + 2δ (1 + δ)2 Z M |∇v|2dV g= Z M λsv2us−2s − Sv 2dV g.

Ora usando i teoremi 2.4 e 2.5 si ottiene che kvk2L2∗ ≤ (1 + ε)σn Z M |∇v|2dV g+ Cε Z M v2dVg≤ ≤ (1 + ε)λs(M ) λ(Sn) (1 + δ)2 1 + 2δ Z M λsv2us−2s dVg+ Cε0 Z M v2dVg ≤ ≤ (1 + ε)λs(M ) λ(Sn) (1 + δ)2 1 + 2δ kvk 2 L2∗kusks−2L(s−2)n/2+ Cε0 Z M v2dVg ≤ ≤ (1 + ε)λs(M ) λ(Sn) (1 + δ)2 1 + 2δ kvk 2 L2∗+ Cε0 Z M v2dVg

perch´e nell’intervallo dato (s−2)n2 < s, e perch´e Vol(M ) = 1. Non `e difficile dimostrare che se λ(M ) ≥ 0 allora λs(M ) `e una funzione di s debolmente

decrescente e continua a sinistra (fino a λ2∗(M ) = λ(M )). Dunque esiste s0<2∗

tale che λs(M )

λ(Sn)

λs0(M )

λ(Sn) <1 per s0 ≤ s < 2∗, e di conseguenza esistono ε e δ

indipendenti da s tali che (1 + ε)λs(M )

λ(Sn)

(1+δ)2

1+2δ <1; perci`o si ottiene che

kvkL2∗ ≤ C kvkL2,

ovvero (eventualmente scegliendo un δ pi`u piccolo) che kusk1+δL2∗ (1+δ) = u1+δs L2∗ = kvkL2∗ ≤ C kvkL2 = = C kusk 1+δ L2(1+δ) ≤ C kusk 1+δ Ls = C,

e quindi si ha la tesi con p = 2∗(1 + δ).

Dimostrazione del teorema 2.3. Il fatto che λ(M, g) ≤ λ si dimostra valutando Y nella funzione  1 1 + |x|2 n−22 ,

che per quanto visto su Rn `e tale che Y (u) = λ, in coordinate normali e

(21)

2.2. DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DELLA DISEGUAGLIANZA DI SOBOLEV OTTIMALE13 Per la proposizione 2.6 si ha che per s0≤ s < 2∗ vale che

∆us= S aus− λs a u s−1 s ∈ L p s−1 ⊆ L p s0−1, con k∆usk L p

s0−1 ≤ C con C indipendente da s. Il teorema di

immersio-ne di Sobolev implica che, a meno di scegliere p pi`u piccolo, us ∈ Lp1 con

p1 = ns np

0−n−2p ≥ p



1 + p−2n∗. Quindi, ripetendo il ragionamento un numero sufficiente di volte, si dimostra che us ∈ W2,q(M ) con q > n2; dunque per il

teorema di immersione di Sobolev us∈C0,α(M ) per qualche 0 < α < 1. Allora

anche us−1

s ∈C0,α(M ), e dunque, per le stime di Schauder, us∈ C2,α(M ), e

seguendo tutti i passaggi della dimostrazione si pu`o verificare che kuskC2,α ≤ C

con C indipendente da s. Di conseguenza, per il teorema di Ascoli-Arzel`a, una sottosuccessione converge in C2 ad una funzione u, ed `e facile verificare che

questa verifica la tesi.

Il teorema 2.3 d`a un modo di dimostrare che il problema di Yamabe ha so-luzione su una variet`a trovando una funzione u tale che Y (u) < λ(Sn), ed il

fatto che λ(M, g) ≤ λ(Sn) fece congetturare che la disuguaglianza stretta vale

in tutte le variet`a non conformemente equivalenti alla sfera. Questa congettura si rivel`o vera. Aubin dimostr`o che essa `e vera per tutte le variet`a non localmente conformemente piatte e di dimensione n ≥ 6 usando una funzione del tipo di quella usata nella dimostrazione del teorema 2.3, dopo un opportuno cambio conforme di metrica. In dimensione pi`u bassa e nel caso localmente conforme-mente piatto, il problema `e stato risolto da Schoen e Yau con un metodo assai pi`u complicato.

2.2

Dimostrazione geometrica della

diseguaglian-za di Sobolev ottimale

Le idee della sezione precedente possono essere adoperate anche per trovare in modo alternativo rispetto a quello del primo capitolo gli ottimizzatori della diseguaglianza di Sobolev.

Richiamiamo alcune definizioni di geometria riemanniana. In questa tesi il tensore di Riemann `e definito con la convenzione R(X, Y, Z, W ) =

g(R(X, Y )Z, W ) con R(X, Y )Z = ∇X∇YZ − ∇Y∇XZ − ∇[X,Y ]Z, e quello di

Ricci `e definito come Rij = gklRiklj. Sia W il tensore di Weyl, definito, in

coordinate, dalla formula Wijkl= Rijkl+

1

n −2(Rikgjl− Rilgjk+ Rjlgik− Rjkgil) +

+ S

(22)

Detto B = Ric −S

ng il tensore di Ricci a traccia nulla, vale la seguente

decom-posizione del tensore di Riemann: Rijkl= Wijkl+

1

n −2(Bilgjk− Bikgjl+ Bjkgil− Bjlgik)+

+ S

n(n − 1)(gilgjk− gikgjl). (2.3) Il tensore di Weyl (con un indice alzato) `e invariante per cambi conformi di metrica, ovvero seeg = e2fg, allora fW

ijkl = Wijkl. Invece il tensore di Ricci si

trasforma nel modo seguente: e

Rij= Rij− (n − 2)f;ij+ (n − 2)f;if;j+ (|∇f − |∇f |2)gij. (2.4)

Vale il seguente teorema, dovuto ad Obata.

Teorema 2.7. Seeg `e una metrica su Sn conformemente equivalente alla

me-trica standard g e con curvatura scalare costante, allora essa `e il push-forward di quest’ultima metrica rispetto ad un diffeomorfismo conforme, moltiplicato per una costante.

Dimostrazione. Sia eg = e2fg. Si ponga e2f = ϕ2. Allora la formula (2.4)

diventa Rij = eRij+ (n − 2) g ϕ;ij ϕ − (n − 1) |∇ e gϕ|2 ϕ2 egij− ∆egϕ ϕ egij

dove con ϕg;ij intendiamo che le derivate covarianti sono fatte rispetto alla metrica eg. Moltiplicando per eg

ij e sommando sugli indici ripetuti si ottiene

che ϕ−2S= eS − n(n − 1)|∇egϕ| 2 ϕ2 − 2 ∆egϕ ϕ ; moltiplicando per 1

neglk e sommando si ottiene che S nglk = e S neglk− (n − 1) |∇ e gϕ|2 ϕ2 eglk− 2 n ∆egϕ ϕ eglk e dunque Bij= eBij+ (n − 2) g ϕ;ij ϕ − n −2 n ∆egϕ ϕ egij. Ricordiamo la seconda identit`a di Bianchi:

e

Rijkl;m+ eRijlm;k+ eRijmk;l= 0.

Moltiplicando per eg ik e gjl si ottiene che 2eg ij e

Rim;j = ∂mSe= 0, e dunque anche e gij e Bim;j= 0. Perci`o Z Sn ϕ| eB|2dV e g = Z Sn ϕ eBijBeijdVeg= −(n − 2) Z Sn e Bij  g ϕ;ij− 1 n∆egϕegij  =

(23)

2.3. METODO DELLE MOVING SPHERES 15 = −(n − 2) Z Sn e Bijϕg;ij= (n − 2) Z Sn e Bij;jϕf;i= 0

e dunque eB ≡ 0. Dato che la metrica eg `e conforme a g, che `e localmente conformemente piatta, vale che fW = 0. Allora la formula 2.3 diventa

e Rijkl=

e S

n(n − 1)(geilgejk−egikgejl),

il che implica cheegha curvatura sezionale costante, e dunque esiste un’isometria da (Sn, g) a (Sn,

e

g/K) che `e un diffeomorfismo conforme.

Teorema 2.8. Il funzionaleY su Sn `e minimizzato dalla metrica sferica e dai

push-forward di questa rispetto a diffeomorfismi conformi, moltiplicati per una costante.

Dimostrazione. Facendo un ragionamento simile a quello della dimostrazione del teorema 2.5 ed applicando il lemma 1.7 si dimostra che Yg ha minimo non

negativo u in H1. Si pu`o dimostrare che tale minimo `e liscio e strettamente

positivo, e dunque definisce una metricaeg= u

4

n−2ga curvatura scalare costante.

La tesi allora discende dal teorema precedente e dall’invarianza conforme di Y .

Grazie a questo teorema, ripercorrendo all’indietro i ragionamenti svolti nel-la dimostrazione del teorema 2.5, si pu`o dimostrare in modo alternativo che i minimizzatori della diseguaglianza di Sobolev sono quelli trovati nel primo capitolo.

2.3

Metodo delle moving spheres

In questa sezione dimostreremo il teorema 2.2 usando il metodo delle moving spheres. Esso `e simile al metodo dei moving planes, ma basato sulle inversioni sferiche invece che sulle riflessioni. L’idea `e dovuta a Li e Zhang [11].

Definizione 2.9. Dati x ∈ Rn e u : Rn → r, definiamo la trasformazione di

Kelvin di u rispetto ad x di raggio r la funzione ux,r: Rn\ {x} → r data da

ux,r(y) =  r |y − x| n−2 u  x+ r2 y − x |y − x|2  . Definiamo R(x) = sup R>0

{∀0 < r ≤ R vale che |y − x| ≥ r =⇒ ux,r(y) ≤ u(y)}. (2.5)

La dimostrazione del teorema consiste in un certo numero di lemmi. Lemma 2.10. L’insieme nella formula (2.5) non `e vuoto, e dunque R(x) `e ben definito e positivo.

(24)

Dimostrazione. Per semplicit`a prendiamo x = 0, e sia ur= u0,r.

Dato θ ∈ Sn−1, vale che

d dr  rn−22 u(r, θ)  = n −2 2 r n−4 2 u(r, θ) + r n−2 2 ∂u ∂r(r, θ),

che per r abbastanza piccolo `e positivo, dato che u `eC1e positiva. Se `e positivo

per r < r0 allora, per r < |y| < r0vale che

 r2 |y| n−22 u  r2 y |y|2  < |y|n−22 u(y),

il che implica che ur(y) < u(y).

Ora consideriamo la funzione ψ(y) = u(y) −  min ∂Br0u  rn−20 |y|2−n su Rn\ B

r0. Essa `e superarmonica, e dunque, per il principio del massimo,

sull’anello Ar0,r = ¯Br\ Br0 vale che

ψ(y) ≥ min  min ∂Br0ψ,min∂Br ψ  ≥ min  0, min ∂Br ψ  . Prendendo il limite inferiore per r → ∞ si trova che

ψ(y) ≥ min  0, lim inf r→∞ min∂Br ψ  ≥ ≥ min  0, lim inf r→∞ min∂Br  u −  min ∂Br0u  rn−20 |y|2−n  ≥ ≥ min  0, lim inf r→∞  min ∂Br u −  min ∂Br0u  max ∂Br rn−20 |y|2−n  ≥ ≥ min  0, lim inf r→∞  −  min ∂Br0u  r0n−2r2−n  = 0. Dunque u(y) >  min ∂Br0u  rn−20 |y|2−n

per |y| ≥ r0. Sia

r1= min∂Br0u maxB¯ r0u !n−21 r0.

Allora se r < r0e |y| ≥ r0vale che

ur(y) =  r |y| n−2 u  r2 y |y|2  ≤ r1 |y| n−2 max ¯ Br0 u ≤ r0 |y| n−2 min ∂Br0u ≤ u(y). Quindi r1∈ R(0).

(25)

2.3. METODO DELLE MOVING SPHERES 17 Lemma 2.11. Se R(x) < ∞, allora ux,R(x)≡ u.

Dimostrazione. Facciamo le stesse semplificazioni della dimostrazione prece-dente. Essendo la trasformazione di Kelvin involutiva, basta dimostrare che uR(0) ≡ u su Rn \ BR(0). Per definizione sappiamo gi`a che su tale insieme

uR(0)≤ u. Con calcoli che omettiamo si mostra che

∆ur(y) =  r |y| n+2 ∆u r 2y |y|2 

e quindi, vista l’equazione risolta da u, vale che −∆ur(y) =  r |y| n+2 u r 2y |y|2 n+2n−2 = ur(y) n+2 n−2. (2.6) Perci`o −∆(u − uR(0)) = u n+2 n−2 − u n+2 n−2 R(0)

che `e maggiore o uguale a zero su Rn\ B

R(0). Per il lemma di Hopf, e per la

compattezza di ∂BR(0), vale che

d

dr(u − uR(0)) ≥ b > 0

su ∂BR(0). Dato che u `eC1, esiste un R > R(0) tale che, se R(0) ≤ r ≤ |y| ≤ R

allora

d

dr(u − uR(0)) ≥ b 2.

Dato che u ≡ ursu ∂Br, da questo si deduce che se R(0) ≤ r < |y| ≤ R allora

u(y) > ur(y).

Detto c = min∂BR(0)(u−ur), come nella dimostrazione del lemma precedente

si dimostra che se |y| ≥ R

u(y) − uR(0)(y) ≥ c  R |y| n−2 . Quindi u(y) − ur(y) ≥ c  R |y| n−2 − (ur(y) − uR(0)(y)).

Per l’uniforme continuit`a di u su BR esiste un ε ∈ (0, R − R(0)) tale che se

R(0) ≤ r ≤ R(0) + ε e |y| ≥ R allora |y|n−2(ur(y) − uR(0)(y)) =

rn−2u r 2y |y|2  − R(0)n−2u R(0) 2y |y|2  <cR n−2 2 , e perci`o u(y) − ur(y) > 0

(26)

Lemma 2.12. Se per qualche x si ha che R(x) = ∞ allora R `e infinito su tutto Rn.

Dimostrazione. L’ipotesi equivale a dire che per ogni r se |y − x| ≥ r allora u(y) ≥ ur,x(y), e dunque

|y − x|n−2u(y) ≥ rn−2u  x+ r2 y − x |y − x|2  . Prendendo il limite inferiore per |y| → ∞ si ottiene che

lim inf

|y|→∞(|y − x| n−2u

(y)) ≥ rn−2u(x), e per arbitrariet`a di r si ottiene che

lim |y|→∞(|y| n−2u (y)) = lim |y|→∞(|y − x| n−2u (y)) = ∞.

Se per qualche z ∈ Rnvalesse che R(x) < ∞, allora per il lemma 2.11 si avrebbe

che lim |y|→∞(|y| n−2u(y)) = lim |y|→∞(|y| n−2u x,R(z)(y)) = R(z)n−2u(z)

e questa sarebbe una contraddizione. Lemma 2.13. R(x) < ∞ per ogni x ∈ Rn.

Dimostrazione. Se cos`ı non fosse per il lemma precedente R(x) sarebbe ovunque infinito, e dunque per ogni r se |y − x| ≥ r allora u(y) ≥ ur,x(y). Si ponga

gx,r(z) = u(x + z) −  r |z| n−2 u  x+r 2z |z|2  .

Allora vale che gx,|z|(z) = 0, e per ipotesi se t ≥ 1 allora gx,|z|(tz) ≥ 0. Dunque

d dtgx,|z|(tz) t=1≥ 0 ovvero 0 ≤ d dt h u(x + tz) − t2−nux+z t i t=1 = 2∇u(x + z) · z + (n − 2)u(x + z). Sostituendo y = x + z si trova che

2∇u(y) · (y − x) + (n − 2)u(y) ≥ 0.

Dividendo per |x| e facendo tendere x all’infinito si trova che ∇u(y) · n ≤ 0 per ogni versore n. Perci`o ∇u ≡ 0, e dunque u `e costante, e questo `e assurdo.

(27)

2.3. METODO DELLE MOVING SPHERES 19 Dimostrazione del teorema 2.2. Per i lemmi dimostrati ogni R(x) `e finito. Pren-dendo l’equazione u(y) =  R (x) |y − x| n−2 u  x+ R(x)2 y − x |y − x|2  , (2.7)

moltiplicando per |y|n−2 e facendo tendere |y| ad infinito si trova che

A= lim

|y|→∞|y| n−2u

(y) = R(x)n−2u(x). (2.8)

A meno di un riscalamento si pu`o supporre che A = 1. Prendendo l’espansione di Taylor della formula (2.7) al prim’ordine in 1

|y|, ed usando la formula (2.8),

si trova che u(y) =  R(x) |y − x| n−2 u(x) + ∇u(x) · R(x)2 y − x |y − x|2 + o  1 |y|  = = u(x)−1 1 |y|n−2  1 + (n − 2)x · y |y|2 + o  1 |y|  · · 

u(x) + ∇u(x) · u(x)−n−22

 y |y|2 + o  1 |y|  + o 1 |y|  = = 1 |y|n−2  1 + u(x)−1−n−22 ∇u(x) · y |y|2 + (n − 2) x · y |y|2 + o  1 |y|  . Valutando per x = 0 si ottiene che

u(y) = 1 |y|n−2  1 + u(0)−1−n−22 ∇u(0) · y |y|2 + o  1 |y|  . Quindi, eguagliando le due espressioni per u(y), si ottiene che



u(x)−1−n−22 ∇u(x) + (n − 2)x − u(0)−1− 2 n−2∇u(0)  · y |y|2 = o  1 |y|  e dunque che

u(x)−1−n−22 ∇u(x) + (n − 2)x = u(0)−1− 2 n−2∇u(0), ovvero che ∇  −n −2 2 u(x) − 2 n−2 +n −2 2 |x| 2  = C ossia, per un vettore x0 opportuno,

∇−u(x)−n−22 + |x|2− 2x0· x

 = 0. Dunque

(28)

e quindi, ricondando che si era imposto che A = 1 attraverso un riscalamento, si ha che u(x) =  b |x − x0|2+ a n−22 .

Imponendo che valga l’equazione, si ottiene che u dev’essere della forma (1.6).

2.4

Soluzioni singolari in un punto

Per le soluzioni singolari in un punto vale il risultato seguente, dovuto a Caf-farelli, Gidas e Spruck [2], che verr`a dimostrato con il metodo dei moving planes.

Teorema 2.14(Caffarelli, Gidas, Spruck). Sia u una soluzione positiva dell’e-quazione (1.2) su Rn\ {0}. Allora se 0 `e una singolarit`a ineliminabile per u, u

`

e a simmetria radiale.

Per dimostrare questo teorema si pu`o supporre che la singolarit`a sia nell’o-rigine. Fissato x 6= 0, sia v(x) = uz,1(x + z). v ha due singolarit`a, una in 0 ed

una in − z

|z|2. Vogliamo dimostrare che v `e invariante rispetto ad ogni riflessione

ρcon asse ortogonale a z usando il metodo dei moving planes. Si pu`o supporre che ρ sia la riflessione rispetto all’asse en, ovvero che ρ(x0, xn) = (x0, −xn).- Sia

ρλ(x0, xn) = (x0,2λ − xn).

Il seguente lemma `e di dimostrazione elementare. Lemma 2.15. Valgono i seguenti sviluppi asintotici:

v(x) = 1 |x|n−2  u(z) + ∇u(z) · x |x|2  + O  1 |x|n  , (2.9) ∇v(z) = −(n − 2)u(z) x |x|n + O  1 |x|n  . (2.10)

Ora dimostriamo che il metodo dei moving plane pu`o avere inizio. Lemma 2.16. EsisteΛ tale che se λ > Λ e xn < λ allora v(x) > v(ρλ(x)).

Dimostrazione. Innanzitutto dimostriamo che esistono Λ ed R tale che se λ > Λ allora v(x) > v(ρλ(x)) per xn < λe |x| > R. Usando l’espansione (2.9) si ricava

che v(x) − v(ρ(x)) = f (z)  1 |x|n−2− 1 |ρλ(x)|n−2  + + n X i=1 ∂iu(z)xi  1 |x|n − 1 |ρλ(x)|n  + O  1 |x|n  . Se |ρλ(x)| ≥ 2|x| allora v(x) − v(ρ(x)) ≥ f (z) 1 2|x|n−2 + o  1 |x|n−1  >0

(29)

2.4. SOLUZIONI SINGOLARI IN UN PUNTO 21 per |x| abbastanza grande. Invece se |ρλ(x)| < 2|x| allora

1 |x|n−2− 1 |ρλ(x)|n−2 ≥|ρλ(x)| − |x| 2|x|n−1 e n X i=1 ∂iu(z)xi  1 |x|n − 1 |ρλ(x)|n  ≤ C|x| 1 |x|n−1  1 |x|− 1 |ρλ(x)|  = = C 1 |x|n−2  1 |x|− 1 |ρλ(x)|  . Quindi per |x| grande

v(x) − v(ρ(x)) ≥ C1 |ρλ(x)| − |x| |x|n−1 − C2 |x|n. Se |ρλ(x)| − |x| > CC2 1|x|, allora v(x) − v(ρ(x)) > 0. Invece se |ρλ(x)| − |x| ≤ C2 C1|x|

sviluppando l’espressione si trova che essa `e equivalente a λ(λ − xn) ≤ C2 2C1 + C 2 2 4C2 1|x|2

che `e minore o uguale ad una certa costante C per |x| grande, ovvero solo se xn≥ λ −

C λ.

Allora, per la formula (2.10), se λ `e abbastanza grande, ∂v

∂xn <0 sul segmento

che collega x a ρλ(x), il che implica la tesi.

Ora, dato che v e v◦ρλsono superarmoniche, che v◦ρλ`e regolare in {xn≤ λ}

per λ > 0 e che v `e positiva e con delle singolarit`a, si pu`o usare il principio del massimo per dimostrare che in realt`a se λ > Λ e xn< λallora v(x) > v(ρλ(x))

sempre.

Ora possiamo usare il metodo dei moving planes per dimostrare che il piano di riflessione pu`o essere spostato fino all’origine.

Lemma 2.17. Sia

Ξ = {λ ∈ [0, ∞)|v(x) ≥ v(ρλ(x)) se xn< λ} .

Allora

Ξ = [0, +∞).

Dimostrazione. Per quanto visto Ξ contiene un intorno di +∞, e dunque non `e vuoto. Inoltre esso `e chiuso per continuit`a. Dimostriamo che `e anche aperto.

Dato che v ha una singolarit`a non removibile mentre v ◦ ρλ `e regolare, esse

non coincidono. Se Ξ non `e aperto, esiste un λ ∈ Ξ ed una successione λi → λ

tale che esistono dei punti xicon xi

n < λe v(xi) < v(ρλi(x

(30)

la successione degli xi`e limitata. Infatti sia w(x) = v(−x+λ)−v(ρ

λ(−x+λ)) su

{xn≥ 0}. Per la formula (2.6), w `e superarmonica. Sia R abbastanza grande in

modo che per |x| ≥ R w non abbia singolarit`a. Sia C tale che su {xn >0}∩∂BR

valga che

w(x) > C xn |x|n

(si pu`o richiedere la diseguaglianza stretta perch´e, come conseguenza del lemma di Hopf, w `e strettamente positiva su {xn>0}). Dato che la funzione al membro

destro `e armonica, come gi`a visto tale diseguaglianza si pu`o estendere a tutto Rn\ B R. Dunque, se |x| ≥ R, si ha che −2 ∂v ∂xn (x0, λ) = ∂w ∂xn (x0,0) > k |x0|n. (2.11)

Dato che, come si pu`o facilmente calcolare, vale che ∂2v ∂x2 n (x) = O  1 |x|n  , allora si ha che, per |x| grande e per |h| piccolo,

∂v ∂xn (x0, λ+ h) ≤ ∂v ∂xn (x0, λ) + C |h| |x|n ≤ − k 2|x0|n + C |h| |x|n < − k 4|x|n. (2.12)

Per la formula (2.10) se |h| `e abbastanza piccolo si ha che v(x0,2λ − xn) − v(x0,2λ + 2h − xn) ≥ −C

h

|x|n(λ − xn+ C).

Perci`o, per |x| grande, xn < λed |h| piccolo, vale che

v(x) − v(ρλ+h(x)) = v(x) − v(ρλ(x)) + v(ρλ(x)) − v(ρλ+h(x)) = = v(x) − v(x0,2λ − xn) + v(x0,2λ − xn) − v(x0,2λ + 2h − xn) = ≥ Cλ − xn |x|n − C h |x|n(λ − xn+ C) = C(λ − h)(λ − xn) − C2h |x|n >0

se |h| `e abbastanza piccolo e λ − xn non `e troppo piccolo. Questo per`o vale

anche se λ − xn `e piccolo, per la formula (2.12).

Dunque la successione degli xi `e limitata, e a meno di sottosuccessioni si

pu`o supporre che converga a ¯x, con ¯xn ≤ λ. Passando al limite nella

dise-guaglianza v(xi) < v(ρ λi(x

i)), si ottiene che v(¯x) ≤ v(ρ

λ(¯x)), ma per ipotesi

v(¯x) ≤ v(ρλ(¯x)), e dunque v(¯x) = v(ρλ(¯x)).

Se ¯xn< λla funzione w(x) = v(x)−v(ρλ(x)) `e superarmonica, non negativa,

nulla in ¯xma non identicamente nulla, e questo viola il principio del massimo forte.

Invece se ¯xn< λ, passando al limite la diseguaglianza

v(ρλi(xi))−v(xi)

2λ−2xi

n >0 si

ottiene che ∂v

(31)

2.4. SOLUZIONI SINGOLARI IN UN PUNTO 23 Dimostrazione del teorema 2.14. Per il lemma 2.17 0 ∈ Ξ, e dunque v `e a sim-metria assiale. Perci`o anche u lo `e. Dato che questo ragionamento si pu`o fare per ogni asse, u `e invariante per rotazioni.

Questo teorema permette di descrivere completamente le soluzioni positive singolari nell’origine. Infatti, usando il fatto che esse sono a simmetria radiale, l’equazione diventa, con le sostituzioni del capitolo precedente,

v00− v +

 2

n −2 2

vn+2n−2 = 0.

Si ponga w = v0. Allora si ottiene il seguente sistema:

   v0= w w0 = v − 2 n−2 2 vn+2n−2.

Questo `e un sistema hamiltoniano, con hamiltoniana H(v, w) = 1 2w 21 2v 2+ 2 n(n − 2)v 2n n−2.

Il sistema ha due punti fissi, (v, w) = (0, 0) e (v, w) = (v0,0) dove v0 =

n(n−2)

4

n−24

.

Analizzando la funzione potenziale v 7→ −1 2v

2+ 2 n(n−2)v

2n

n−2 si vede che le

orbite per cui v resta positiva formano una famiglia ad un parametro di orbite periodiche, aventi al centro l’orbita ferma (v0,0), e racchiuse in una regione del

piano racchiusa da un’orbita omoclina che per t → ±∞ tende al punto fisso (0, 0). L’orbita omoclinica corrisponde alla famiglia di soluzioni globali (1.6), che geometricamente corrisponde alla metrica sferica portata su Rn attraverso

la proiezione stereografica, mentre l’orbita fissa corrisponde alla metrica del cilindro, ed invece le altre corrispondono ad una famiglia di metriche periodiche sul cilindro dette metriche di Delaunay.

(32)
(33)

Capitolo 3

Gruppi di Carnot

In questo capitolo verr`a introdotta la classe di gruppi di Lie che sar`a oggetto del resto della tesi, i gruppi di Carnot.

3.1

Gruppi omogenei e di Carnot

Definizione 3.1. Un’algebra di Lie g si dice nilpotente se la successione di algebre di Lie data da g1 = g, gk+1 = [gk, g] (detta serie centrale inferiore)

ad un certo punto diventa nulla. Un gruppo di Lie si dice nilpotente se la sua algebra di Lie `e nilpotente.

Teorema 3.2. In ogni gruppo di Lie semplicemente connesso la mappa espo-nenziale `e un diffeomorfismo con l’algebra di Lie. Inoltre il push forward rispetto alla mappa esponenziale di ogni misura di Lebesgue su g `e una misura di Haar biinvariante.

Cenno di dimostrazione. Se un gruppo di Lie `e nilpotente, nella formula di Baker-Campbell-Hausdorff c’`e solo un numero finito di termini, e dunque esi-ste una combinazione lineare di commutatori iterati H(X, Y ) tale che per ogni X, Y ∈ g valga che exp(X) exp(Y ) = exp(H(X, Y )). Allora H `e una legge di gruppo su g. Infatti 0 `e evidentemente l’elemento neutro; la legge `e associativa perch´e

exp(H(X, H(Y, Z))) = exp(X) exp(H(Y, Z)) = exp(X) exp(Y ) exp(Z) = = exp(H(X, Y )) exp(Z) = exp(H(H(X, Y ), Z));

infine, dato che [X, −X] = 0, H(X, −X) = 0 1, e dunque −X `e l’inverso

di X. Una verifica non difficile ma un po’ pi`u lunga permette di dimostrare che l’algebra di Lie di g con questa legge di gruppo `e isomorfa a G, e che il differenziale della mappa esponenziale nell’origine `e un isomorfismo di algebre

1perch´e H(X, Y ) = X + Y + commutatori di ordine positivo

(34)

di Lie, e questo implica la tesi per dei noti risultati della teoria di Lie. Per una dimostrazione completa rimandiamo alla sezione 1.4 di [12].

La seconda parte della tesi si dimostra scrivendo la moltiplicazione per un elemento in un’opportuna base e verificando che lo jacobiano ha determinante uno. Per la dimostrazione rimandiamo alla sezione 2.6 di [12].

Definizione 3.3. Un’algebra di Lie g si dice stratificata se ammette una de-composizione g= m M i=1 Vi

tale che [V1, Vj] ⊆ Vj+1, [V1, Vm] = {0} e che V1 generi tutta g. Un gruppo

di Lie si dice stratificato se la sua algebra di Lie `e stratificata. Un gruppo di Carnot `e un gruppo stratificato semplicemente connesso.

Definizione 3.4. Una famiglia di dilatazioni {δr}r>0 su uno spazio vettoriale

V `e una famiglia di automorfismi tali che esiste una decomposizione V =

m

M

i=1

Vi

e dei λi tali che λ1 < . . . < λm e δr|Vi = r

λiid. Equivalentemente una

fami-glia di dilatazioni `e una famifami-glia di automorfismi per cui esiste un operatore diagonalizzabile A tale che δr(x) = eA log rx.

Una famiglia di dilatazioni su un’algebra di Lie g `e una famiglia di dilatazioni di g come spazio vettoriale che siano anche degli automorfismi di algebra di Lie. Un’algebra di Lie dotata di una famiglia di dilatazioni si dice omogenea.

Un gruppo di Lie omogeneo `e un gruppo di Lie semplicemente connesso la cui algebra di Lie sia omogenea.

Quindi in un gruppo omogeneo le dilatazioni inducono una famiglia di auto-morfismi del gruppo. Con un lieve abuso di notazione chiameremo anche questi dilatazioni, e li indicheremo con lo stesso simbolo.

Proposizione 3.5. Le algebre di Lie omogenee sono nilpotenti (e dunque la stessa cosa vale anche per i gruppi di Lie).

Dimostrazione. Se X ∈ Vi e Y ∈ Vj vale che δr([X, Y ]) = [δr(X), δr(Y )] =

rλi+λj[X, Y ]. Quindi o [V

i, Vi] = 0 o anche λi+ λj`e un autovalore di A. Quindi

gk `e contenuta nel sottospazio generato dagli autospazi di A con autovalore maggiore o uguale a kλ1, e dunque prima o poi si annulla.

Le algebre di Lie stratificate hanno una struttura omogenea naturale: infatti basta definire δr|Vi= r

iid.

Sui gruppi di Lie omogenei conviene introdurre una variante del concetto di norma, detta norma omogenea.

Definizione 3.6. Una norma omogenea `e una funzione |·| : G → [0, ∞) continua e tale che:

(35)

3.1. GRUPPI OMOGENEI E DI CARNOT 27 • |x| = 0 se e solo se x = 0;

• |x−1| = |x|;

• |δrx|= r|x|.

Su ogni gruppo di Lie omogeneo esiste una norma omogenea: infatti, iden-tificandolo con la sua algebra di Lie grazie al teorema 3.2, basta definire, detta xi la componente di x lungo Vi, |x| = m X i=1 kxik 1/λi i (3.1)

dove k·ki `e una norma su Vi. Raffinando un po’ di pi`u la costruzione, si pu`o

ottenere il seguente risultato.

Proposizione 3.7. Su ogni gruppo di Lie omogeneo esiste una norma omogenea liscia al di fuori dell’identit`a.

Le norme omogenee verificano le seguenti propriet`a.

Proposizione 3.8. I) Le palle rispetto ad una norma omogenea formano una base della topologia di G.

II) Tutte le norme omogenee su di un gruppo sono equivalenti, nel senso che per ogni coppia di norme omogenee | · |, | · |0 esistono due costanti A e B tali che per ogni x si abbia che A|x|0≤ |x| ≤ B|x|0.

III) Esiste una costante C tale che |xy| ≤ C(|x| + |y|).

Cenno di dimostrazione. Per dimostrare il punto II basta dimostrare che ogni seminorma `e equivalente a quella della formula (3.1). Rispetto a tale seminorma la sfera unitaria `e compatta, e dunque su di essa ogni altra seminorma |·| assume minimo A e massimo B, e per omogeneit`a vale la tesi.

Il punto III si dimostra osservando che grazie al punto precedente la palla unitaria chiusa B rispetto ad ogni seminorma `e compatta, e dunque la funzione (x, y) 7→ x · y assume massimo su B × B.

Il punto I si dimostra notando che dato che tutte le seminorme sono equiva-lenti, generano tutte la stessa topologia, e dimostrando la teso per la seminorma nella formula (3.1).

Ora studiamo come si comporta la misura di Haar µ rispetto alle dilatazioni. `

E evidente che

(δr)#µ= rQµ

dove Q = trA =Pm

i=1λidimVi. Come vedremo questa propriet`a fa s`ı che tale

numero assuma il ruolo di quella che negli spazi euclidei `e la dimensione di spazio vettoriale in molte questioni di analisi. Esso `e detto dimensione omogenea.

ChiamiamoH la distribuzione su T G invariante a sinistra e che nell’identit`a coincide con V1. Essa `e totalmente non integrabile. Di conseguenza, se si mette

(36)

una metrica invariante a sinistra su di essa2, si ottiene una variet`a

subrieman-niana. Ricordiamo che in una variet`a subriemanniana (M,H , g) il gradiente orizzontale di una funzione u `e (se esiste) l’unico campo vettoriale orizzontale ∇Hutale che per ogni campo vettoriale orizzontale X valga che

g(∇Hu, X) = X(u). Nel nostro caso `e facile verificare che

Hu= k X i=1 Xi(u)Xi. Lemma 3.9. Data ϕ ∈C1(G), Xi(f ◦ δr) = rXif ◦ δr.

Dimostrazione. Per la formula (3.2) Xi(f ◦ δr)(x) = d dt(f (δr(x exp(tXi))) t=0= d dt(f (δrx ·exp(tδrXi)) t=0= = d dt(f (δrx ·exp(trXi)) t=0= r d ds(f (δrx ·exp(sXi)) s=0= rXif(δrx).

3.2

Il gruppo di Heisenberg

Il pi`u famoso esempio non banale di gruppo stratificato `e il gruppo di Heisenberg. Esso `e definito come Hn= Rn× Rn× R con il prodotto

(x, y, t) · (x0, y0, t0) =  x+ x0, y+ y0, t+ t0+1 2(x · y 0− x0· y) 

ovvero, in notazione complessa, vedendo Hn come Cn× R,

(z, t) · (z0, t0) =  z+ z0, t+ t0+1 2Im(z ∗· z0)  .

La sua algebra di Lie hn, detta algebra di Heisenberg, `e generata dai campi

vet-toriali invarianti a sinistra X1,. . ., Xn, Y1,. . ., Yn, T che nell’identit`a coincidono

con ∂ ∂x1,. . ., ∂ ∂xn, ∂ ∂y1,. . ., ∂ ∂yn, ∂

∂t, che come si verifica sono dati dalle formule

     Xi= ∂x∂i− 1 2yi ∂ ∂t Yi =∂y∂i+ 1 2xi ∂ ∂t T = ∂ ∂t

2ovvero, pi`u correttamente, una sezione del fibrato delle forme bilineari sulle fibre diH

(37)

3.3. SUBLAPLACIANO SUI GRUPPI DI CARNOT 29 e verificano le relazioni di commutazione

[Xi, Yj] = δij, [Xi, Xj] = [Yi, Yj] = [Xi, T] = [Yi, T] = 0.

L’algebra di Heisenberg ammette la stratificazione

V1= Span(X1, . . . , Xn, Y1, . . . , Yn), V2= Span(T ).

Il gruppo di Heisenberg compare in molte parti della matematica ed anche in fisica.

L’importanza assunta in fisica deriva dal fatto che in meccanica quantistica gli operatori x1, . . . , xn, p1, . . . , pn, i~I verificano le relazioni di commutazione

dell’algebra di Heisenberg, dove xi e pi sono rispettivamente gli operatori di

posizione e di momento rispetto all’i-esima coordinata cartesiana.

In matematica il gruppo di Heisenberg compare in teoria delle rappresenta-zioni, in analisi armonica, in analisi complessa ed in geometria differenziale.

3.3

Sublaplaciano sui gruppi di Carnot

Nel resto del capitolo per semplicit`a assumeremo che Q ≥ 3, condizione che (a meno di isomorfismi) esclude solo R e R2.

Siano X1, . . . , Xk dei campi vettoriali invarianti a sinistra che, nell’identit`a,

formano una base di V1. Allora definiamo il sublaplaciano come

∆u =

k

X

i=1

Xi2u.

Ovviamente il sublaplaciano dipende dai campi scelti, per`o vale il seguente risultato.

Proposizione 3.10. Se `e fissata una metrica subriemanniana invariante a sinistra su G, per ogni insieme di campi ortonormali rispetto ad essa viene lo stesso sublaplaciano.

Dimostrazione. Se X1, . . . , Xk e Y1, . . . , Yk sono due insiemi siffatti, allora Yi=

Pk j=1aijXj conP k i=1aijail= δjl, e dunque k X i=1 Yi2u= k X i=1 aijXj(ailXlu) = k X i=1 aijailXj(Xlu) = k X i=1 Xi2u

Sebbene i sublaplaciani siano operatori ellittici degeneri, il fatto che l’algebra di Lie generata dagli Xi sia una base dello spazio tangente in ogni punto (la

cosiddetta condizione di H¨ormander) fa s`ı che essi controllino anche le

direzioni trasverse adH , e questo permette di generalizzare ad essi molte delle propriet`a degli operatori ellittici.

(38)

Per mostrare ci`o ci servir`a il seguente teorema di H¨ormander, la cui dimo-strazione `e piuttosto difficile e che daremo per noto. Dato un insieme di campi vettoriali su una variet`a, diremo che essi verificano la condizione di H¨ormander se l’algebra di Lie da essi generata in ogni punto forma l’intero spazio tangente. Definizione 3.11. Un operatore differenziale lineare con coefficienti lisci su di un aperto U di Rn si dice ipoellittico se per ogni aperto V ⊆ U vale che per

ogni distribuzione u per cui Lu ∈C∞(V ) si ha che u ∈C(V ).

Teorema 3.12 (H¨ormander). Se X1, . . . , Xk sono dei campi vettoriali su di

un aperto di Rn soddisfacenti la condizione di H¨ormander, allora gli operatori Pk i=1X 2 i e X1+P k i=2X 2 i sono ipoellittici.

Per una dimostrazione del teorema rimandiamo a [12]. Il seguente lemma ci servir`a ad integrare per parti.

Lemma 3.13. Se X `e un campo vettoriale invariante a sinistra, allora per ogni funzione f ∈C1(G) a supporto compatto vale che

Z

G

X(f )dµ = 0. Dimostrazione. Basta derivate in t = 0 la formula

Z G f(x exp(tXe))dµ(x) = Z G f(x)dµ(x)

(che `e conseguenza dell’invarianza destra della misura di Haar), ricordando la ben nota formula

d dtf(x exp(tX)) t=0 = X(f ). (3.2) Teorema 3.14. Il sublaplaciano ∆ : C∞ c (G) → L 2(G) `e un operatore essen-zialmente autoaggiunto su L2(G).

Dimostrazione. Grazie al lemma 3.13 `e immediato verificare che ∆ `e un opera-tore simmetrico. Calcoliamo il dominio dell’aggiunto. Esso `e

D=  ψ ∈ L2 ∃ϕ ∈ L2tale che Z ∆u∗ψ= Z u∗ϕper ogni u ∈Cc∞  . Questo vuol dire che ∆ψ = ϕ nel senso delle distribuzioni. Dunque il dominio `e formato dalle funzioni ψ in L2per cui ∆ψ `e in L2. Quindi dobbiamo dimostrare

che questo `e anche il dominio della chiusura dell’operatore.

Innanzitutto notiamo che se u ∈ (D ∩C∞)(G) allora se ϕ `e una funzione

C∞ c si ha che Z G ϕ2u∆u = − k X i=1 Z G Xi(ϕ2u)Xiu= − k X i=1 Z G 2ϕXi(ϕ)uXiu+ (ϕXiu)2 . (3.3)

(39)

3.3. SUBLAPLACIANO SUI GRUPPI DI CARNOT 31 Sia ρ `e una funzioneCc∞tale che 0 ≤ ρ ≤ 1 e ρ ≡ 1 in un intorno dell’identit`a,

e definiamo ρε= ρ ◦ δε. Allora vale la stima

|Xi(ρε)(x)| = ε|(Xi(ρ)(δεx)| ≤ Cε.

Sostituendo nella formula (3.3) si ottiene che

k X i=1 Z G (ρεXiu)2≤ Z G u∆u + Cε k X i=1 Z G uXiu ≤ ≤ kukL2 k∆ukL2+ Cε k X i=1 kXiukL2 ! . Facendo tendere ε a zero, si ottiene che

k X i=1 Z G (Xiu)2≤ kukL2k∆ukL2.

Se u ∈ D ma non `e regolare, approssimando per convoluzione si riesce ad estendere questa diseguaglianza.

Sia ora u ∈ D. Dobbiamo dimostrare che (u, ∆u) appartiene alla chiusura del grafico di ∆, ovvero che esistono un∈Cc∞tali che un

L2

→ u e ∆u→ ∆u. SiaL2 η ∈C∞ c (G) tale che R Gη= 1 e sia ηε(x) = ε −Qη ε−1x).

Allora definiamo uε= ρε· (u ∗ ηε). Si ha che

kuε− ukL2 = kρε· (u ∗ ηε) − ukL2 = kρε· (u ∗ ηε) − ρεu+ ρεu − ukL2 ≤

≤ kρε(u ∗ ηε− u)kL2+ k(ρε− 1)ukL2≤ ku ∗ ηε− ukL2+ k(ρε− 1)ukL2

ε→0

→ 0 per un noto risultato sulla convoluzione e per il teorema di convergenza domi-nata. Invece ∆uε= ∆ρε· (u ∗ ηε) + ρε· (∆u ∗ ηε) + 2 k X i=1 Xi(ρε) · (u ∗ Xi(ηε)).

Dato che valgono le stime

k∆ρεkL∞≤ Cε2 e kXi(ρε)kL∞ ≤ Cε si ha che k∆uε− ∆ukL2 = = ∆ρε· (u ∗ ηε) + ρε· (∆u ∗ ηε) + 2 k X i=1 Xi(ρε) · (Xiu ∗(ηε)) − ∆u L2 ≤ ≤ kρε· (∆u ∗ ηε− ∆u)kL2+ k(ρε− 1)∆ukL2+ k∆ρε· (u ∗ ηε)kL2+

(40)

+2 k X i=1 kXi(ρε) · (Xiu ∗ ηε)kL2≤ k∆u ∗ ηε− ∆ukL2+ + k(ρε− 1)∆ukL2+ Cε2kukL2+ 2kCε k X i=1 kXiukL2 ε→0 → 0.

Quindi si pu`o applicare il teorema spettrale a ∆. Dato che esso `e un operatore negativo, si pu`o scrivere

−∆ = Z ∞

0

λdE(λ).

3.4

Flusso del calore

Grazie ai risultati della sezione precedente, possiamo definire il flusso del

ca-lore generato dal sublaplaciano, ovvero il semigruppo ad un parametro di

operatori

et∆u= Z ∞

0

e−tλdE(λ).

Gli et∆ sono operatori limitati, perch´e la funzione e−x `e limitata su [0, ∞).

Lemma 3.15. Gli operatori et∆ sono invarianti a sinistra.

Dimostrazione. Detto Ug : L2(G) → L2(G) l’operatore Ugf = f ◦ `g, dove

`g(h) = gh, bisogna dimostrare che per ogni g l’operatore et∆ commuta con Ug.

Se f ∈ C∞

c allora L(f ◦ `g) = (Lf ) ◦ `g. Dunque il grafico di L|C

c `e chiuso

per la trasformazione continua (f, h) 7→ (f ◦ `g, h ◦ `g) di L2× L2. Dato che il

grafico di ∆ `e chiuso, esso `e invariante per tale trasformazione, e dunque D `e invariante per Ug.

Dato che Ug∆Ug−1f = ∆f suCc∞, gli operatori Ug∆Ug−1 e ∆ coincidono, e

dunque hanno la stessa misura spettrale. Ma la misura spettrale di Ug∆Ug−1 `e

UgEUg−1, e dunque

Uget∆Ug−1=

Z ∞

0

e−tλdE(λ) = et∆.

Ora ci servir`a il seguente teorema sugli operatori invarianti a sinistra (che `e il corollario 3.2.1 in [5]).

Teorema 3.16 (del nucleo di Schwartz). Sia G un gruppo di Lie e sia T : D(G) → D0(G) un operatore lineare, continuo e invariante a sinistra. Allora

(41)

3.4. FLUSSO DEL CALORE 33 Dunque, applicando il teorema alla composizione

D(G) −→ L2

(G)−→ Let∆ 2(G) −→D0(G)

si trova che esiste una distribuzione httale che et∆u= ht∗ u per ogni u ∈D(G).

Lemma 3.17. Vale l’eguaglianza

hht, u ◦ δri = hhr2t, ui .

Dimostrazione. `E immediato verificare che ∆(u ◦ δr) = r2(∆u) ◦ δr. Con un

ragionamento simile a quello del lemma 3.15, da questo si deduce che, detto Sru= u ◦ δr, et∆Sr= Srer 2t∆ , e dunque che et∆Sru= et∆(u ◦ δr) = (u ◦ δr) ∗ ht `e uguale a Srer 2t∆ u= (er2t∆ u) ◦ δr= (u ∗ ht) ◦ δr.

Valutando le convoluzioni nell’identit`a si ha la tesi. Lemma 3.18. L’immagine di et∆ `e contenuta in D, e

d dte t∆f, g L2=∆e t∆f, g L2.

Dimostrazione. Sia µf,g la misura su R definita da µf,g(Ω) =

R

GE(Ω)f · g =

hE(Ω)f, giL2. Allora, usando note propriet`a delle misure a valori in proiezioni

si ha che d dte t∆f, g L2 = d dt Z ∞ 0 e−tλdE(λ)f, g  L2 = d dt Z ∞ 0 e−tλdµf,g(λ) = = − Z ∞ 0 λe−tλdµf,g(λ) = Z ∞ 0 −λe−tλdE(λ)f, g  L2 =∆et∆f, g L2. Lemma 3.19. Se ϕ ∈D(G × (0, ∞)) allora d dthht, ϕti t=t 0 = * ht0,  ∂ϕ ∂t  t0 + + hht0,∆ϕt0i (dove ϕt(x) = ϕ(x, t)).

Dimostrazione. Per il lemma precedente d

dthf ∗ ht, giL2 = hf ∗ ∆ht, giL2.

Usan-do come f un’approssimazione dell’identit`a si dimostra facilmente che, se g ∈ D(G) allora

d

(42)

e dunque d dthht, ϕti t=t 0 = d dthht0, ϕti t=t 0 + d dthht, ϕt0i t=t 0 = = * ht0,  ∂ϕ ∂t  t0 + + hht0,∆ϕt0i .

Proposizione 3.20. Il funzionale, definito su D(G × (0, ∞)) hh, ϕi =

Z ∞

0

hht, ϕti dt (3.4)

(dove ϕt(x) = ϕ(x, t)) `e una distribuzione verificante l’equazione ∂t∂ − ∆ h =

0. Dunque, per il teorema di H¨ormander, h `e una funzione C∞. Inoltre vale che ht(x) = h(x, t). Inoltre h(δrx, r2t) = 1 rQh(x, t). Dimostrazione. Z ∞ 0 hht, ϕti dt = Z ∞ 0 hh1, ϕt◦ δt1/2i dt = hh1, gi dove g(x) = Z ∞ 0 ϕt(x) ◦ δt1/2dt

`e ben definito perch´e ϕ ∈ D(G × (0, ∞)). `E facile verificare che l’operatore ϕ 7→ g`e continuo da D(G × (0, ∞)) a D(G), e dunque h `e una distribuzione.

Si ha che  ∂ ∂t− ∆  h, ϕ  = −  h, ∂ ∂t+ ∆  ϕ  = Z ∞ 0  ht,  ∂ ∂t + ∆  ϕ  t  dt. Ma allora per il lemma 3.19

 ∂ ∂t− ∆  h, ϕ  = − Z ∞ 0 d dthht, ϕti dt = − Z ∞ 0 d dthh1, ϕt◦ δt1/2i dt = 0. La seconda parte della tesi si dimostra prendendo ψn∈C∞((0, ∞)) che tendano

a δt0 e scrivendo hht0, ϕi= limn→∞ Z ∞ 0 ψn(t) hht, ϕi dt= lim n→∞ Z ∞ 0 hht, ϕψn(t)i dt = = lim n→∞hh, ϕψn(t)i = limn→∞ Z G h(x, t)ϕ(x)ψn(t)dµ(x)dt = Z G h(x, t0)ϕ(x)dµ(x).

(43)

3.4. FLUSSO DEL CALORE 35 Per andare avanti ci servir`a un teorema sui semigruppi di convoluzione con misure, dovuto a Hunt. Sia

C2 0(G) =



u ∈C0(G) per tutti i campi X, Y invarianti a sinistra

Xu ∈C0(G), XY u ∈C0(G).



che, con la norma ovvia, `e uno spazio di Banach. Teorema 3.21(Hunt). Sia L :C2

0(G) →C0(G) un operatore differenziale della

forma Lu= n X i,j=1 aijXiXju+ n X i=1 biXiu

con aij, bicostanti e aij semidefinita positiva. Allora L `e la restrizione aC02(G)

del generatore di un semigruppo fortemente continuo At suC0(G) della forma

Atu = u ∗ µt, dove (µt)t≥0 `e una famiglia di misure di probabilit`a tali che

µ0= δe, µs+t= µs∗ µt e µt t→0

* µ0.

Dimostrazione. `E un caso particolare del teorema 4.2.5 in [8].

Proposizione 3.22. Per t > 0 si ha che ht ≥ 0 e che R ht = 1. Inoltre per

ogni u ∈C0(G) vale che limt→0R htu= u(0) e che u ∗ ht L∞

→ u, mentre per ogni u ∈ Lp(G) vale che u ∗ h

t Lp

→ u.

Dimostrazione. Discende immediatamente dal teorema di Hunt, con dimostra-zioni analoghe a quelle per le identit`a approssimate su Rn.

Proposizione 3.23. La formula (3.4) definisce una distribuzione su tutto G × R tale che ∂t∂ − ∆ h = δe. Essa `e C∞ al di fuori di (e, 0), coincide con

la distribuzione definita nella proposizione 3.20 su G ×(0, ∞) ed `e nulla su G ×(−∞, 0).

Dimostrazione. Per la proposizione 3.20 hh, ϕi = Z ∞ 0 Z G ht(x)ϕt(x)dµ(x)dt

dove l’integrale `e ben definito perch´e Z

G

|ht(x)ϕt(x)| dµ(x) ≤ khtkL1· kϕtkL∞ = kϕtkL∞,

che `e continua e a supporto compatto. L’equazione vale perch´e, facendo passaggi simili a quelli del teorema 3.20,

 ∂ ∂t− ∆  h, ϕ  = −  h, ∂ ∂t + ∆  ϕ  = − Z ∞ 0 d dthht, ϕti dt = = − Z ∞ 0 d dt Z G ht(x)ϕt(x)dµ(x)dt = − lim ε→0 Z ∞ ε d dt Z G ht(x)ϕt(x)dµ(x)dt =

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