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INDICE
1. Riassunto
32. Introduzione
62.1 Lo sviluppo da feto a neonato
2.2 Valutazione generale del neonato 10
2.2.1 Introduzione
2.2.2 Classificazione del neonato 12
2.2.3 Caratteristiche generali del neonato a termine 15 2.2.4 Esame obiettivo del neonato a termine 16
2.3 Il neonato piccolo per l’età gestazionale (SGA) 19
e la restrizione di crescita intrauterina (IUGR)
2.3.1 Caratteristiche generali
2.3.2 Rischio neurologico e rischio metabolico 24
2.4 Il neonato pretermine 26
2.4.1 Introduzione
2.4.2 Epidemiologia: mortalità e morbidità 27
2.4.3 Eziologia 30
2.4.4 Esame obiettivo del neonato pretermine 37 2.4.5 Le complicanze del neonato pretermine 38
2.5 La restrizione di crescita extrauterina (EUGR) 48
2.5.1 Introduzione
2
2.5.3 Fattori di rischio 53
2.5.4 Problematiche nutrizionali e strategie 57 nel neonato pretermine VLBW ed ELBW
2.5.5 EUGR e conseguenze a lungo termine 65 2.5.6 Conseguenze metaboliche della nutrizione 68 2.5.7 Conclusioni e problematiche aperte 70
3. Obiettivi dello studio
714. Pazienti e metodi
724.1 Popolazione di pazienti e valutazione clinica
4.2 Analisi statistica 79
5. Risultati
805.1 Incidenza della restrizione di crescita extrauterina
5.2 Principali fattori di rischio associati ad EUGR 91
5.3 Nutrizione e crescita 99
5.4 Correlazione tra gli esami ematochimici 101
e l’andamento della crescita
6. Discussione
1077. Conclusioni
1163
1. Riassunto
La restrizione di crescita extrauterina (EUGR) viene definita come il riscontro di
parametri auxologici (peso, lunghezza, circonferenza cranica) ≤10° percentile rispetto alla
crescita intrauterina attesa, considerando, come età alla dimissione, l’età postmestruale. Il progressivo miglioramento dell’assistenza neonatale porta alla crescente sopravvivenza
di neonati con età gestazionale e peso alla nascita sempre più bassi, e ciò rende frequente il
fenomeno della restrizione di crescita, che proprio in questi neonati ha la prevalenza
maggiore.
Gli obiettivi principali del nostro studio sono stati: la valutazione dell’incidenza dell’EUGR per peso, lunghezza e circonferenza cranica (rispettivamente EUGRw, EUGRl,
EUGRhc) in un gruppo di neonati pretermine di peso molto basso (VLBW); la determinazione dei principali fattori di rischio per l’EUGR in tale gruppo; la comprensione
dei possibili effetti positivi in termini di riduzione dell’incidenza della restrizione di crescita
tramite strategie nutrizionali; la valutazione dell’andamento di alcuni esami ematochimici nei soggetti in esame e l’eventuale correlazione con l’andamento della crescita.
Per realizzare tale studio abbiamo arruolato 41 pazienti, nati (o trasferiti subito dopo la
nascita) nella U.O. Neonatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana tra il 1°
Gennaio 2014 e il 31 Dicembre 2014, con età gestazionale ≤32 settimane e peso alla nascita ≤1500 grammi, ovvero neonati pretermine VLBW.
La valutazione dei parametri auxologici alla nascita e durante la degenza si è basata sulle
carte antropometriche di Bertino (Bertino et al., 2010), definendo come EUGR il riscontro di parametri auxologici ≤10° percentile al momento della dimissione, e come EUGR severo il
riscontro di valori <3° percentile degli stessi.
Nel nostro gruppo di studio abbiamo riscontrato incidenze del 70,7%, del 61% e del
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EUGRw e EUGRl severi, e del 12,2% per EUGRhc severo. Tale incidenza è stata
inversamente proporzionale al peso alla nascita, riscontrando in particolare le percentuali
maggiori in neonati con peso alla nascita <1200 grammi.
Fattori di rischio prenatali associati al fenomeno della restrizione di crescita sono risultati
il parto cesareo (per EUGRw ed EUGRl), la condizione di gemellarità e la nascita SGA
(entrambe per EUGRhc), mentre i fattori di rischio post-natali sono stati la ventilazione
meccanica non invasiva (per EUGRl) o invasiva (per EUGRhc) prolungate, e l’utilizzo di
farmaci steroidei (per EUGRhc); fattori nutrizionali associati ad EUGR sono risultati invece
una nutrizione di tipo parenterale prolungata (per EUGRhc) e un allattamento
prevalentemente costituito da latte materno o umano donato (di banca), e questo per tutti e tre
i parametri auxologici.
L’incidenza di EUGRw nel nostro gruppo è risultata significativamente inferiore (p<0,05)
paragonata ad un gruppo sovrapponibile di 34 soggetti nati nel 2013: 70,7% rispetto a 92,2%.
Tale riduzione è dipesa soprattutto dai miglioramenti negli apporti nutrizionali, in particolare l’introduzione di quantità maggiori di lipidi e proteine, pur essendo molto simile l’apporto
calorico.
Dall’analisi dell’andamento dei parametri ematochimici, fattori che presentano una
possibile correlazione con la restrizione di crescita sono risultati bassi livelli di fosforo (per
EUGRl), calcio e sodio (per EUGRhc) per quanto riguarda gli elettroliti plasmatici. Oltre a
questi bassi livelli di vitamina D (per EUGRl), proteine (per EUGRl ed EUGRhc), e livelli al
contrario aumentati di creatinina, AST, TSH (per EUGRhc) si sono riscontrati più
frequentemente nei soggetti con restrizione di crescita extrauterina.
Per ridurre il fenomeno della restrizione di crescita extrauterina occorre prima di tutto
ridurre il tasso di nascite pretermine e il basso peso alla nascita. Di fronte ad un neonato
pretermine, specie se VLBW ed ELBW (peso <1000 g), il periodo della degenza in terapia
5
alla stabilizzazione delle sue condizioni cliniche, cercando da una parte di ridurre l’incidenza
delle patologie neonatali che tali condizioni peggiorano, ma al tempo stesso tentando dove
possibile di diminuire la durata di alcuni interventi terapeutici, come una ventilazione
meccanica, specie se invasiva, prolungata, essendo tutti questi fattori che possono associarsi
ad un ridotto accrescimento.
La nutrizione parenterale è indispensabile nel neonato pretermine, ma altresì importante è
introdurre da subito, e progressivamente aumentare (se non compaiono segni di intolleranza
gastrointestinale), quella enterale. Posto che il latte materno sia l’alimento migliore per tutti i
neonati, inclusi quelli pretermine, nei neonati in condizioni cliniche critiche e che mostrano
un ridotto accrescimento potrebbe essere vantaggioso un maggiore utilizzo di formule per
pretermine, laddove il latte materno non sia disponibile.
Dall’analisi dell’andamento dei parametri biochimici, emerge nel nostro studio
l’importanza di garantire nel neonato adeguati livelli di calcio, fosforo e vitamina D
(quest’ultima migliorandone le supplementazioni fin dalla gravidanza) per ridurre
l’osteopenia del pretermine aumentando la mineralizzazione ossea, e per permettere un buon
accrescimento scheletrico. La funzionalità tiroidea neonatale è altresì importante, e particolare
attenzione va posta nel garantire adeguati intake di iodio nel neonato, e nel diagnosticare
tempestivamente ipofunzionalità per intervenire terapeuticamente laddove necessario.
Il monitoraggio frequente dei parametri auxologici mediante misure periodiche,
specialmente per quanto riguarda la lunghezza e la circonferenza cranica (dato che i neonati
vengono pesati quotidianamente) e la creazione di curve di crescita per ciascun neonato è un
obiettivo fondamentale da raggiungere, poiché questo ci consentirebbe di apportare laddove
possibile delle variazioni, ad esempio negli apporti nutrizionali, nelle supplementazioni o in
alcune terapie, in quei neonati nei quali notiamo una ridotta crescita, che verosimilmente si
6
2. Introduzione
2.1 Lo sviluppo da feto a neonato
La vita di ciascuno di noi può essere suddivisa in due fasi: la vita intrauterina e quella
extrauterina.
La prima ha inizio con il concepimento, e tre settimane dopo questo evento si forma
quello che definiamo embrione, e comincia quindi il periodo embrionale, che termina alla decima settimana gestazionale, quando l’embrione è costituito da tre strati di cellule
(dall’esterno all’interno ectoderma, mesoderma e endoderma), dai quali tutti gli organi si
svilupperanno .
La fase successiva della vita intrauterina è quella fetale, che terminerà soltanto al
momento del parto, durante la quale gli organi si sviluppano e cominciano a funzionare.
Con il parto ha inizio la vita extrauterina, e con essa l’epoca neonatale, ovvero il
periodo che va dalla nascita a 28 giorni completi di vita (Arduini and Vendola, 2012).
In tale periodo si parla quindi di NEONATO, e occorre sottolineare quella che è la
principale differenza tra neonato e feto: l’indipendenza. Infatti il feto dipende dal circolo
placentare sia per quanto riguarda le funzioni respiratorie e nutritizie che per l’eliminazione
dei prodotti di scarto; focalizzandoci sulla funzione respiratoria, il primo cambiamento per un
neonato è il provvedere al proprio apporto di ossigeno tramite il respiro, e quindi i polmoni, e
non più sfruttando l’ossigeno del circolo placentare tramite il cordone ombelicale.
Per meglio comprendere i cambiamenti che si realizzano a livello cardiovascolare e
polmonare, al momento della nascita e nelle ore e giorni successivi, occorre spiegare
brevemente la natura della circolazione fetale: il sangue ossigenato dalla placenta si porta nei
villi coriali e da questi giunge al feto tramite la vena ombelicale, che entra attraverso l’anello
7
si divide: alcuni rami forniscono sangue alle vene epatiche, che irrorano principalmente il
lobo epatico sinistro; altri riforniscono la circolazione intraepatica; il ramo principale è
rappresentato dal dotto venoso di Aranzio, che bypassa il fegato per gettarsi direttamente
nella vena cava inferiore e da questa in atrio destro; qui si mescola con il sangue povero di
ossigeno proveniente dalla vena cava superiore. Nel feto esiste una comunicazione tra le due
camere atriali, ovvero il forame ovale, e la maggior parte del sangue si porta direttamente all’atrio sinistro attraverso tale comunicazione, passa nel ventricolo sinistro e viene pompato
tramite l’aorta ai vari organi. Giunto alle arterie iliache interne si porta nelle due arterie
ombelicali e torna alla placenta, dove rilascia anidride carbonica e gli altri prodotti di scarto
nella circolazione materna. Circa il 4% del sangue presente in atrio destro si porta nel
sottostante ventricolo e da qui nell’arteria polmonare; in essa una seconda comunicazione,
chiamata dotto arterioso di Botallo, veicola la maggior parte di questo sangue nell’aorta, e
solo una minima parte (5-10%) giunge ai polmoni, in quanto incontra alte resistenze
vascolari: il polmone fetale contiene al suo interno liquido e non aria, e le arteriole polmonari
sono vasocostrette. Questa piccola quota di ossigeno è comunque sufficiente a nutrire un
polmone in sviluppo (Arduini and Vendola, 2012).
Alla nascita si realizza quello che si chiama adattamento alla vita extrauterina: il
cordone ombelicale viene clampato e tagliato e il neonato emette il primo respiro; il principale
stimolo alla respirazione è di tipo chimico, dato dalla momentanea ipossia, ipercapnia e
acidosi respiratoria. Altri stimoli sono di tipo pressorio (aumento della pressione arteriosa
sistemica) e di tipo sensoriale (tattili, termici, dolorifici: il solo asciugare il neonato
rappresenta per esso un forte stimolo sensoriale).
Il neonato respira e il liquido che occupava gli alveoli viene sostituito dall’aria, grazie
in parte alla compressione meccanica sulla gabbia toracica nel passaggio nel canale del parto
che espelle liquido (motivo per cui i neonati estratti con parto cesareo possono avere un’espulsione rallentata), in parte al riassorbimento da parte del sistema linfatico, ma
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soprattutto tale riassorbimento è indotto dalle catecolamine, a loro volta rilasciate dal surrene
fetale per lo stress dovuto al parto.
Con i primi atti respiratori il polmone si espande e si ha vasodilatazione con caduta
nelle resistenze vascolari polmonari, così aumenta la superficie disponibile per gli scambi
gassosi.
Contemporaneamente la perdita del circolo placentare, che offriva basse resistenze al
circolo sistemico fetale, determina un aumento delle resistenze vascolari sistemiche, e questi
due cambiamenti portano ad una ridistribuzione del flusso ematico al letto vascolare polmonare, dal 4% al 100% dell’output cardiaco destro, con un incremento dell’apporto di
ossigeno. Il conseguente aumento del ritorno venoso polmonare aumenta la pressione atriale
sinistra rispetto alla destra e questo porta alla chiusura del forame ovale. La ridistribuzione del
flusso nel letto vascolare polmonare diminuisce nettamente quello nel dotto arterioso, e l’elevato contenuto di ossigeno nel sangue ne stimola la chiusura. Tra i 2 e i 5 giorni dopo la
nascita si obliterano anche la vena ombelicale e il dotto venoso, lasciando due legamenti: il
legamento rotondo e il legamento venoso del fegato, rispettivamente (Arduini and Vendola,
2012).
Fatta questa premessa possiamo già comprendere le problematiche che un neonato
pretermine, specie se di età gestazionale molto bassa, può incontrare nell’adattamento alla
vita extrauterina, sia per l’immaturità del polmone, che per la mancata chiusura del dotto
arterioso (per la definizione di neonato pretermine ed età gestazionale si veda dopo).
Infatti i presupposti per la regolazione di una corretta respirazione si determinano a partire
dalle 24-26 settimane gestazionali, con la regolazione nervosa del respiro, proseguono nello
sviluppo della rete vascolare e alveolare per gli scambi gassosi dalla 28a settimana, vedono alla 35a settimana un momento molto importante che è una produzione qualitativamente e quantitativamente adeguata di surfactante (surfactant è l’acronimo inglese di SURFace
9
tipo II e costituita da fosfolipidi e proteine (in particolare dipalmitoil fosfatidilcolina),
fondamentale per impedire il collasso degli alveoli durante l’espirazione; infine in tutti questi passaggi risulta fondamentale l’espressione di geni che sono responsabili del buon
funzionamento della respirazione.
Un neonato pretermine avrà un’immaturità di questo sistema tanto più grave quanto
più bassa è la sua età gestazionale, con carenza totale o quasi di surfactante (che ne richiede la
somministrazione endotracheale), con alveoli immaturi, più spessi e meno adatti agli scambi
di gas (chiamati sacculi), con problematiche immediate rappresentate dalla cosiddetta
sindrome da distress respiratorio del neonato, e rischio di sviluppare in seguito un importante
patologia respiratoria chiamata displasia broncopolmonare (patologia cronica del polmone
caratterizzata da O2 dipendenza) (Parmigiani et al., 2012).
La pervietà del dotto arterioso, quando il lume è ampio determina un’inversione dello
shunt fisiologico e prenatale destro-sinistro, in uno shunt sinistro-destro patologico, a causa
delle maggiori pressioni presenti ora nel circolo sistemico, con sovraccarico ematico a livello
polmonare e rischio di edema polmonare emorragico; tali problematiche saranno approfondite
10 2.2 Valutazione generale del neonato
2.2.1 Introduzione
Per valutazione auxologica si intende il monitoraggio dei processi di accrescimento
corporeo, e le variabili antropometriche che vengono utilizzate maggiormente come indicatori
della qualità e della quantità dell’accrescimento sono il peso (espresso in grammi o
chilogrammi), la lunghezza e la circonferenza cranica espresse in cm. Queste variabili devono
essere valutate utilizzando un sistema accurato e strumenti standardizzati.
Per la valutazione del peso si utilizzano le moderne bilance elettroniche. Si parla di
lunghezza alla nascita poiché, date le limitate capacità motorie del neonato, il rilievo di questo
parametro è assai più agevole rispetto alla statura. A tale scopo, fino all'età di due anni, si
utilizza uno strumento chiamato antropometro longitudinale o paidometro, costituito da un
piano fisso e da un piano mobile, che scorre lungo un centimetro; tale strumento richiede la
contemporanea presenza di due esaminatori. Il primo ha il compito di mantenere la testa del
bambino (posto in posizione supina) ben appoggiata contro il poggiatesta dello strumento,
l'orientamento del capo deve essere tale che il piano immaginario passante per il meato
acustico esterno, ed il margine inferiore dell'orbita (piano di Francoforte), sia perpendicolare
allo strumento; il secondo esaminatore, infine, ha il compito di estendere gli arti inferiori del
bambino, posizionare le piante dei piedi a 90° sulla gamba, e far scorrere il piano mobile dello
strumento fino al contatto con le piante dei piedi stesse. La circonferenza cranica viene
misurata con un metro da sarto anelastico prendendo i due punti più sporgenti anteriormente e
posteriormente: il tubercolo occipitale e la linea sopraccigliare (Bartolozzi, 2008a).
La validità di queste misure auxologiche è molto legata ad una corretta stima dell’età
gestazionale, o GA (Gestational Age). Vi è consenso unanime nel ritenere che il modo
migliore per stimare l’età gestazionale sia una combinazione tra il periodo dell’ultima
mestruazione e la valutazione ecografica precoce in gravidanza (American Academy of
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L’organizzazione mondiale della sanità (World Health Orgnization, WHO) definisce
come età gestazionale il tempo trascorso dal primo giorno dell’ultima mestruazione della
madre (WHO, 2006).
L’età gestazionale è espressa in settimane complete o giorni completi, o infine
aggiungendo il numero dei giorni da 1 a 6 se la settimana non è completa (es. 37 + 3 significa
12 2.2.2 Classificazione del neonato
1. Sulla base dell’età gestazionale (American Academy of Pediatrics, 2007).
Si riconoscono 3 gruppi di età gestazionale che permettono di classificare il neonato come
segue:
- Neonato pretermine (preterm newborn): di età gestazionale inferiore alle 37
settimane complete (meno di 259 giorni);
- Neonato a termine (term newborn): di età gestazionale compresa tra 37 settimane
complete a 41 settimane più 6 giorni (da 259 a 293 giorni);
- Neonato post termine (post-term newborn): di età gestazionale uguale o superiore
alle 42 settimane complete (294 giorni o più).
E’ l’esperienza che ha dimostrato che il feto, quando ha un’età gestazionale compresa
tra le 37 settimane complete, e le 41 settimane più 6 giorni, nel 90% dei casi viene espulso,
diventa neonato ed è maturo; questo rappresenta il cosiddetto soggetto fisiologico.
Se è intuibile pensare alle problematiche che un neonato pretermine, quindi immaturo possa avere nell’impatto con la vita extrauterina, occorre invece sottolineare come una
gravidanza protratta oltre il termine possa anch’essa andare incontro a problematiche causate
dalla cosiddetta senescenza placentare (il fisiologico “invecchiamento” della placenta che
porta alla sua perdita di funzione); se la placenta non è in grado di fornire adeguati apporti di ossigeno al feto questo potrà soffrirne (l’asfissia infatti è un problema cui può andare
incontro, anche se non solo lui, il neonato post-termine).
2. Sulla base delle curve antropometriche neonatali
Un'altra importante classificazione del neonato è basata sull’utilizzo delle carte o
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che la deviazione standard di una variabile antropometrica, rispetto ad una popolazione di
riferimento.
La deviazione standard (DS) per un insieme di valori, misura la dispersione di questi
intorno a un valore medio: fra -2 DS e + 2 DS è compreso il 95% dei valori rilevati.
l percentili vengono ottenuti allineando, dal più piccolo al più grande, i valori ritrovati nella
popolazione per età e sesso, e indicando la posizione di alcuni di essi: in genere il 3° o il 5°, il
10°, il 25°, il 50° (che corrisponde alla mediana), il 75°, il 90°, il 95° o il 97°. Il 3° e il 97°
percentile corrispondono, rispettivamente, a -2 e + 2 deviazioni standard (Bartolozzi, 2008a).
Uno studio del 2007 (Bertino et al., 2007) definisce i presupposti che dovrebbero
essere rispettati affinché una carta antropometrica neonatale possa essere usata a scopo sia
clinico che epidemiologico:
- Studio multicentrico ad hoc,
- Referenze descrittive,
- Popolazione appartenente ad un'unica etnia,
- Carte specifiche per genere,
- Carte specifiche per gravidanza singola o multipla,
- Carte specifiche per primogeniti e non primogeniti,
- Valutazione affidabile dell’età gestazionale,
- Utilizzo di tecniche strumenti di misurazione affidabili,
- Range di GA tra 42 e ≤ 24 settimane.
La carte antropometriche neonatali classificano i neonati di differenti età gestazionali, in
base al peso come segue:
- Piccolo per l’età gestazionale (small for gestational age, SGA): neonato con peso
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- Adeguato per l’età gestazionale (appropriate for gestational age, AGA): neonato con
peso compreso tra il 10° e il 90° percentile per età gestazionale;
- Grande per l’età gestazionale (large for gestational age, LGA): neonato con peso
superiore al 90° percentile per età gestazionale;
Ad esempio se un neonato è al di sotto del 10° percentile per il peso, significa che il 90%
dei neonati hanno un peso superiore al suo, e questo valore risulta clinicamente significativo.
Di solito quando parliamo di neonato piccolo per l’età gestazionale si fa riferimento al
peso, ma le stesse considerazioni possono esser fatte per quanto riguarda gli altri due
parametri auxologici, ovvero la lunghezza e la circonferenza cranica. Quindi un neonato può
essere SGA per il peso e/o per la lunghezza e/o per la circonferenza cranica.
Alcuni autori utilizzano invece un cut-off del 3° percentile e del 97° percentile, oppure
utilizzano come limiti di equivalenza ±2 deviazioni standard, in quanto tale cut-off identifica i
neonati che più probabilmente necessiteranno di successive valutazioni anche negli anni
successivi e in età adulta (Clayton et al., 2007).
Gli standard di riferimento italiani sono stati realizzati tramite uno studio prospettico,
svoltosi tra il 2005 e il 2007, che ha coinvolto 34 centri in tutta Italia con un reparto di terapia
intensiva neonatale (TIN), i cui dati sono stati pubblicati nel 2010 (Bertino et al., 2010).
15 2.2.3 Caratteristiche generali del neonato a termine
La valutazione iniziale di un neonato viene fatta utilizzando il punteggio di Apgar
(Apgar Score, dall’acronimo inglese Appearance, Pulse, Grimace, Activity, Respiration),
calcolato al primo e al quinto minuto di vita, e se necessario ripetuto successivamente ogni 5
minuti (tabella 1).
Fu descritto per la prima volta nel 1953 da Virginia Apgar, un’Anestesista pediatrica
nord americana che volle mettere a punto un modo semplice e rapido per valutare l’eventuale
necessità di manovre rianimatorie alla nascita (tabella 1) (Parmigiani et al., 2012).
Lo score di Apgar prende in considerazione 5 parametri, a ciascuno dei quali
attribuisce un punteggio da 0 a 2, dalla somma dei 5 punteggi otteniamo un risultato (da 0
a10) , che possiamo così semplificare: un Apgar Score ≥ 7 indica un neonato in buone
condizioni cliniche, che ben si è adattato alla vita extrauterina; tra 6 e 4 un certo grado di impegno nell’adattamento alla vita extrauterina; < 3 un neonato in gravi condizioni cliniche, a
rischio di danno da ipossia, insufficienza respiratoria e cardiaca.
Il punteggio di Apgar non è un buon indicatore del successivo outcome neonatale, in
quanto le condizioni cliniche di un neonato con punteggio inizialmente alto possono
peggiorare per successive difficoltà respiratorie, tuttavia rimane fondamentale per la
valutazione iniziale
16 2.2.4 Esame obiettivo del neonato a termine (Bartolozzi and Guglielmi, 2008)
Un neonato AGA a termine di sesso maschile ha un peso che varia tra 2500 g e 4600
g, con una mediana di 3400 g, una lunghezza che varia tra 46 e 54 cm, con una mediana di 50
cm, una circonferenza cranica che varia tra 32 e 37 cm, con una mediana di 35 cm. Un
neonato AGA a termine di sesso femminile ha un peso che varia tra 2500 g e 4200 g, con una
mediana di 3250 g, una lunghezza che varia tra 45 e 53 cm, con una mediana di 50 cm, una
circonferenza cranica che varia tra 31,5 e 37 cm, con una mediana di 35 cm.
Nella prima settimana di vita si realizza il cosiddetto calo fisiologico del neonato, una
perdita di peso che può raggiungere il 10% del peso alla nascita (oltre non è più fisiologico),
dovuta a una serie di motivazioni del tutto fisiologiche: la presenza di una quantità di acqua
extracellulare maggiore rispetto a quella intracellulare, con tendenza all’eliminazione;
funzioni escretorie (minzione e defecazione) inizialmente prevalenti rispetto alla nutrizione;
elevata perdita di liquidi tramite la perspiratio inensibilis, soprattutto a causa dell’elevata
frequenza respiratoria (vedi dopo); mummificazione e caduta del cordone ombelicale. Entro il
decimo giorno di vita il neonato recupera il peso alla nascita e da quel momento la sua
crescita è costante.
In passato si poneva grande attenzione a ricercare la presenza di vari tipi di riflessi
mediati dal tronco e dal midollo spinale, mentre oggi si cerca di osservare a lungo e con attenzione il neonato, per valutare i suoi movimenti, nell’intensità, nel ritmo e nella
simmetria: sono i cosiddetti general movements, movimenti grossolani ma fluenti,
coinvolgenti tutto il corpo, che variano fortemente come intensità da un momento all’altro;
sono presenti nei primi due mesi di vita e la loro mancanza oppure la presenza di movimenti
rapidi, a scatto o esagerati devono far pensare alla possibile presenza di una patologia del
sistema nervoso centrale. Tra i riflessi il più eseguito ancora oggi è il riflesso di Moro, che si
evoca ponendo una mano dietro la testa del neonato, flettendola dolcemente fino ad un angolo
17
orizzontale così che la testa torni alla sua posizione originale: il riflesso positivo consiste nell’estensione del tronco, e nella estensione e abduzione, seguite da flessione e adduzione,
degli arti; la simmetria è importante per escludere lesioni del plesso brachiale. Questo e gli
altri riflessi scompaiono dopo qualche settimana o mese, e la loro persistenza ha significato
non fisiologico e merita approfondimenti diagnostici.
La cute del neonato è in genere rosea, tendente al rosso, la presenza di acrocianosi è di
scarso interesse quando transitoria (il circolo periferico non è ancora del tutto efficiente),
mentre una cianosi persistente o un pallore indicano problematiche respiratorie o
cardiovascolari. La cute è inizialmente ricoperta da vernice caseosa, una sostanza giallastra
prodotta dalle ghiandole sebacee, la cui funzione durante la vita intrauterina è di proteggere l’epidermide dalla macerazione da parte del liquido amniotico.
Tutti i neonati hanno un aumento della bilirubina sierica, in circa la metà dei casi tale
aumento è al di sotto dei livelli di rilievo clinico (> 1,3-1,5 mg/dl, ma < 2-4 mg/dl); nell’altro
50% di casi (o poco più) si parla di ittero neonatale fisiologico: l’aumento della bilirubina
sierica è sufficientemente elevato da causare un ingiallimento, anche appena visibile, delle
sclere (bilirubinemia tra 2 e 4 mg/dl) ed eventualmente della cute (bilirubinemia > 4 mg/dl). L’ittero fisiologico compare al 2° o 3° giorno di vita, la bilirubina non va oltre i 13 mg/dl nel
neonato a termine (nel pretermine come vedremo, l’aumento è più marcato) e i suoi valori si
normalizzano entro il 10° giorno di vita.
Quando i valori superano i 15 mg/dl si prende in considerazione la fototerapia, e
occorre indagare se siamo di fronte ad un ittero patologico (a sua volta dovuto a numerose
cause). L’aumento della bilirubina sierica dipende da più fattori: la ridotta sopravvivenza dei
globuli rossi fetali (70-90 giorni anziché 120); la loro emolisi accentuata in quanto il feto
presenta poliglobulia (in risposta all’ambiente povero di ossigeno in cui vive); l’immaturità
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l’immaturità funzionale dell’enzima glicuronil-transferasi, che rende la bilirubina solubile in
acqua ed eliminabile attraverso la cute).
Le proporzioni corporee del neonato sono alquanto diverse da quelle del bambino e
dell'adulto, con maggior lunghezza del tronco rispetto agli arti e prevalenza dei diametri
trasversi del tronco su quelli antero-posteriori. Il capo è in proporzione più voluminoso, in
quanto corrisponde a 1/4 della statura corporea, mentre nell'adulto corrisponde a 1/8. Il cranio
si presenta con suture molli, costituite da tessuto fibroso (le cosiddette fontanelle), la cui
chiusura avverrà a 12-18 mesi di vita. Il volto è di forma rotondeggiante con guance paffute
(per la presenza di tessuto adiposo bruno in eccesso). Il torace ha sezione cilindrica, a botte,
essendo il diametro antero-posteriore pressoché uguale a quello trasverso e le coste hanno
direzione orizzontale. L’addome è globoso, con il fegato che deborda 1-2 cm al di sotto del
margine costale, mentre di rado si palpano milza e reni; la diastasi dei muscoli retti e la
presenza di ernia ombelicale sono elementi frequenti e in genere si autolimitano. Gli arti sono
flessi sul tronco con fisiologica ipertonia dei muscoli flessori, con atteggiamento simile a
quello della vita intrauterina.
La frequenza cardiaca del neonato è tra 100 e 150 battiti al minuto e spesso è presente un soffio all’auscultazione (patologico in meno del 10% dei casi). La frequenza respiratoria
varia tra 30 e 40 atti al minuto, ma dopo movimenti ripetuti o nel pianto può raggiungere e
superare i 60 atti al minuto.
Il neonato emette le prime urine (piuttosto concentrate e ricche di urati) in genere a breve distanza dalla nascita, ma l’emissione può ritardare di 24 ore; la prima emissione di
meconio (contenuto nell’intestino fetale) di colore nero-verdastro avviene in genere entro 12
19 2.3 Il Neonato piccolo per l’età gestazionale (SGA) e la restrizione di crescita
intrauterina (IUGR)
2.3.1 Caratteristiche generali
Questi due termini sono spesso, ed erroneamente, utilizzati come sinonimi.
SGA, come già visto, è una definizione statistica, basata su misurazioni auxologiche
(prenatali o neonatali), e denota un feto o un neonato le cui variabili antropometriche
(generalmente il peso) sono inferiori rispetto ad un valore soglia calcolato su un campione di
riferimento di neonati della stessa età gestazionale.
IUGR è l’acronimo di Intrauterine Growth Restriction, ovvero restrizione di crescita intrauterina, e si riferisce ad una condizione clinica e funzionale tale per cui il feto non
realizza il proprio potenziale di crescita in un dato momento della vita intrauterina, a causa di
fattori materni, uterini, placentari e fetali (Bertino et al., 2012); vi è quindi una differenza: per
definire un neonato SGA alla nascita è sufficiente misurarne il peso, per poter parlare di
IUGR sono necessarie almeno due misurazioni ecografiche successive durante la gravidanza,
che indicano che il feto cresce poco (Albertsson-Wikland and Karlberg, 1994).
Un neonato SGA secondo le curve antropometriche neonatali non è necessariamente
un caso di IUGR, viceversa un neonato per il quale identifichiamo una restrizione di crescita
intrauterina sulla base di carte di crescita intrauterine, non necessariamente alla nascita sarà
SGA (figura 1). Attualmente il gold standard nella valutazione auxologica neonatale si basa
su informazioni ottenute sia dalle carte antropometriche neonatali che dalle carte di crescita
20 Figura 1: il neonato SGA e la restrizione di crescita intrauterina (IUGR)
In aggiunta, per la definizione di IUGR è molto utile anche l’utilizzo della
velocimetria doppler, che dimostra alterazioni di flusso nella circolazione utero-placentare e
feto-placentare (Vrachnis et al., 2006).
I neonati con IUGR possono inoltre essere suddivisi in:
- Neonati con IUGR simmetrico, proporzionati: simmetrica riduzione di peso e
lunghezza già nel primo trimestre di gravidanza, causata in genere da disordini e
sindromi genetiche, ed infezioni congenite. Questi neonati in genere non presentano la
cosiddetta crescita di recupero o catch-up growth (descritta successivamente);
- Neonati con IUGR asimmetrico, sproporzionati: riduzione maggiore del peso rispetto
a lunghezza e circonferenza cranica nel terzo trimestre di gravidanza, causata ad
esempio da insufficienza utero-placentare o malnutrizione materna. Questi neonati
generalmente presentano la crescita di recupero o catch-up growth (Saenger et al.,
21
Il primo gruppo presenta un indice ponderale (PI) normale, mentre il secondo ha un indice ponderale ridotto; l’indice ponderale si ottiene dal seguente calcolo: peso (gr) x100 /
lunghezza (cm) 3 , con valori normali per un neonato a termine AGA tra 2,2 e 3 (tra il 3° e il 97° percentile). Il PI verrà sostituito nel bambino e nell’adulto dal body mass index (BMI), ed
è una misura indiretta dell’accumulo di grasso.
Da un punto di vista epidemiologico, l’incidenza dello IUGR è del 3-4% nei paesi
industrializzati, sale al 20-30% nei paesi del Terzo Mondo in associazione alla grave
malnutrizione materna. I neonati SGA, sia pretermine che a termine hanno una mortalità
perinatale aumentata da 5 a 20 volte rispetto ai neonati AGA, con disordini neurologici da 5 a
10 volte più frequenti (Papageorgiou, 2005).
Le cause di IUGR possono essere classificate come segue (Bernstein and Divon, 1997): - Cause fetali: anomalie cromosomiche, malattie genetiche, anomalie congenite;
- Cause materne: ipertensione arteriosa, vasculopatie, diabete mellito, malattie renali,
infezioni, malnutrizione, fumo di sigaretta, sostanze di abuso farmaci;
- Cause placentari/uterine: grossolani difetti della struttura placentare, insufficiente
perfusione utero placentare, sito di impianto sub-ottimale;
- Cause demografiche: età materna (troppo giovane o troppo anziana), peso materno,
razza materna e paterna, parità (primiparità);
- Cause ambientali: altitudine;
- Altro: gravidanze multiple;
Le complicanze perinatali cui possono andare incontro sono numerose e includono (Bertino et
al., 2012) :
- Asfissia perinatale;
- Infezioni;
22
- Disordini della termoregolazione;
- Ipoglicemia;
- Policitemia;
- Sindrome da distress respiratorio o RDS (Respiratory Distress Syndrome) e Displasia
Broncopolmonare o BPD (Bronchopulmonary Dysplasia); - Retinopatia del pretermine o ROP (Retinopaty of Prematurity);
- Enterocolite necrotizzante o NEC (Necrotizing Enterocolitis).
Un concetto importante quando parliamo di neonati SGA/IUGR, è quello della
crescita di recupero postnatale (catch-up growth): è definita come un periodo di alta velocità
di crescita, sopra i limiti normali per età, per almeno un anno dopo un periodo di inibizione
della crescita (Wit and Boersma, 2002); un processo fisiologico che si verifica nell’85-90% di
questi bambini nei primi 4 anni di vita, anche se nella maggior parte dei casi si realizza nei
primi 6-12 mesi ed è completo intorno ai due anni. Il catch up-growth porta quindi il 90% di
questi neonati a raggiungere un altezza normale da adulti, > di -2DS (Clayton et al., 2007). E’ interessante notare che i neonati pretermine SGA, impiegano generalmente 4 anni o
più per raggiungere un’altezza nel range di normalità, come dimostrato da uno studio
Canadese del 2004 (Bardin et al., 2004) .
Tale studio ha paragonato i neonati AGA e SGA all’interno di un gruppo di età gestazionale
inferiore alle 28 settimane, evidenziando che i neonati SGA avevano: - ridotto catch-up growth nei primi due anni di vita;
- riduzione di peso, lunghezza e circonferenza cranica a 5 anni (microcefalia 38% SGA
e 16% AGA);
- aumentato rischio di deficit di sviluppo neurologico e ROP severa, soprattutto
23
Un altro studio del 1995 effettuato in Danimarca considera come fattore predittivo di
una scarsa o assente crescita di recupero, un basso valore di lunghezza alla nascita, e di nuovo
questo è risultato particolarmente vero nei prematuri (figura 2) (Hokken-Koelega et al.,
1995).
24 2.3.2 Rischio neurologico e rischio metabolico
Vi è una evidenza sempre maggiore che la nascita SGA/IUGR si associa a deficit di
apprendimento da minimi a moderati, durante l’infanzia e l’adolescenza, a performance
psicologiche e intellettuali peggiori durante l’età giovane adulta, a disturbi della sfera
comportamentale e delle competenze sociali, paragonata ad una nascita AGA avvenuta alla
stessa età gestazionale (Lundgren and Tuvemo, 2008).
I fattori predittivi più importanti per un peggiore outcome neurologico sono l’assenza
di catch-up growth per quanto riguarda la lunghezza e la circonferenza cranica (Clayton et al.,
2007) (Rosenberg, 2008), e questo ha un senso: considerando la lunghezza perché la
restrizione di crescita in lunghezza è associata a uno IUGR simmetrico, e quindi più spesso a
sindromi congenite con deficit neurologico; considerando la circonferenza cranica perché tale
restrizione è associata a microcefalia.
Fin dagli anni ’80, studi epidemiologici hanno messo in relazione lo IUGR e lo
sviluppo di sindrome metabolica (MetS), o di una delle sue componenti (insulino-resistenza,
iperinsulinemia, alterata tolleranza ai carboidrati o franco diabete mellito di tipo 2,
dislipidemia, ipertensione arteriosa e obesità).
Molti sono i meccanismi proposti e uno dei principali riguarda una sorta di
riprogrammazione dello stato endocrino-metabolico cui va incontro il feto quando esposto ad
un ambiente intrauterino sfavorevole. In particolare si ha un aumento della insulino-resistenza
ed una diminuzione della secrezione insulinica, un conseguente aumento dei livelli ematici di
glucosio e, di fatto, un effetto neuroprotettivo (Barker et al., 2005). Tale protezione nella vita
intrauterina si traduce però in una predisposizione alla sindrome metabolica dopo la nascita,
quando i nutrienti a disposizione sono sufficienti (Saenger et al., 2007). Inoltre è dimostrato
che le alterazioni endocrino-metaboliche si manifestano in particolare in quei neonati SGA
con una rapida crescita di recupero, che rapidamente aumentano di peso (Maiorana et al.,
25
Le conclusioni di una recente Systematic Review sono che sia il basso peso alla
nascita che la crescita di recupero post-natale (specie se rapida), sono correlate con lo
sviluppo tardivo di MetS.(Nobili et al., 2008).
Come già detto però la ridotta crescita postnatale è associata con un peggiore out come
neurocognitivo: siamo di fronte ad un dilemma dove da una parte si trovano gli effetti dannosi
sullo sviluppo neurologico della nascita SGA e della ridotta crescita di recupero, dall’altra il rischio metabolico e cardiovascolare, con incremento dell’adiposità viscerale, associati
anch’essi alla nascita SGA e ad una crescita di recupero troppo rapida. Poiché
l’iperinsulinemia secondaria all’insulino-resistenza sembra giocare un ruolo centrale nello
sviluppo di tale rischio, servono strategie nutrizionali ottimizzate, che consentano un adeguato neurosviluppo minimizzando l’iperinsulinemia e portando quindi ad una normale
composizione corporea. (Yeung, 2006).
Tali evidenze, come vedremo, sono di analoga importanza per quanto riguarda il
26 2.4 Il neonato pretermine
2.4.1 Introduzione
La maturità di un feto e di un neonato è determinata dalla durata della gravidanza, e la
severità dei problemi correlati alla nascita pretermine dipende proprio dalla lunghezza di
questo periodo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito come pretermine quel neonato
con età gestazionale inferiore alle 37 settimane complete. Inoltre possiamo suddividerlo in:
- extremely preterm: GA inferiore a 28 settimane complete;
- very preterm: GA tra 28 settimane complete e 31 settimane complete + 6 giorni;
- moderate preterm: GA tra 32 settimane complete e 33 settimane complete + 6 giorni;
- late preterm: GA compresa tra 34 settimane complete e 36 settimane complete + 6
giorni.
Un neonato con GA inferiore alle 32 settimane può anche essere chiamato pretermine
di alto grado o early preterm.
E’ molto importante considerare il peso di questi neonati, e tale considerazione
permette di suddividerli in:
- Neonato di basso peso (low birth weight, LBW): il cui peso alla nascita compreso tra
1501 e 2500 grammi;
- Neonato di peso molto basso (very low birth weight, VLBW): il cui peso alla nascita è
compreso tra 1001 e 1500 grammi;
- Neonato di peso estremamente basso (extremely low birth weight, ELBW): il cui peso
alla nascita è ≤ 1000 grammi.
Si parla inoltre di neonato di peso incredibilmente basso (incredibly low birth weight), per sottolineare l’alto tasso di mortalità di un neonato con peso inferiore a 750 grammi
27 2.4.2 Epidemiologia: mortalità e morbidità
Dati del 2008 riportano una frequenza delle nascite pretermine del 12-13% in USA e
di circa il 5-9% in Europa e molti altri paesi industrializzati, tale differenza può dipendere dal
fatto che in alcuni paesi cambia la GA alla quale un neonato è considerato pretermine, oppure
al fatto che si distinguono, o meno, gli aborti spontanei dai parti pretermine; nonostante la
migliore conoscenza dei fattori di rischio e dei meccanismi del parto pretermine, e molti
interventi di salute pubblica, il tasso di tali nascite ha visto negli ultimi anni un incremento in
molti paesi (negli USA è passato da un 9,5% nel 1981 a un 12,7% nel 2005), e in gran parte
questo è dovuto all’aumento delle gravidanze multiple derivanti dalla fecondazione artificiale.
(Goldenberg et al., 2008).
La prematurità (GA <37 settimane complete) e il basso peso alla nascita (< 2500
grammi) sono le cause maggiori di mortalità neonatale e infantile tra i neonati dei paesi
industrializzati (WHO, 2008).
Negli ultimi anni la sopravvivenza a 6 mesi dei neonati prematuri e di basso peso è
aumentata: tra i 1500 e i 2500 g (o GA tra 31 e 35 settimane) ha superato il 95%; fra i 1000 e i
1500 g (o GA fra 27 e 30 settimane) è intorno all’85%, alla 25a settimana è dell’80%, alla 24a dell’56%, alla 23a del 16%. Per i nati tra 250 g e 499 g ( GA ≤ 22 settimane) la sopravvivenza è tra 0 e 9% (Bartolozzi, 2008b).
E’ interessante notare come il contributo del basso peso e della prematurità alla totalità
della mortalità neonatale sia maggiore quando il tasso di mortalità scende, e questo è
particolarmente vero per i neonati VLBW ed ELBW, che contribuiscono per più della metà
della mortalità neonatale e infantile in paesi a basso tasso di mortalità (Mathews and
MacDorman, 2008).
Per tale motivo i Neonatologi hanno concentrato la loro attenzione proprio sui neonati VLBW e ELBW. La prevalenza dei neonati VLBW è di circa l’1-2% tra tutti i nati vivi, ma
28
tra i vari tassi di mortalità dipendono anche dalla diversa gestione dei neonati nelle varie unità
di terapia intensiva neonatale (neonatal intensive care unit, NICU).
Grazie ad un miglioramento dell’assistenza al feto e al neonato pretermine, alla
regionalizzazione di tale assistenza con un aumento dei bambini nati negli ospedali di terzo
livello con NICU, il tasso di mortalità dei LBW è nettamente diminuito nelle ultime decadi; il
problema non riguarda però soltanto la mortalità di questi neonati, ma anche le disabilità
neonatali e infantili: la prematurità e LBW contribuiscono per più della metà alla totalità delle
disabilità neurologiche, cognitive, sensoriali, e di tutte le altre disabilità nell’infanzia e nell’adolescenza, e rappresentano i principali fattori di rischio. Il cervello fino alla 22a settimana di gestazione non presenta circonvoluzioni, è un organo in rapida evoluzione, con
notevole differenziazione nelle settimane e nei mesi successivi, la cui protezione nel neonato
pretermine (specie se di alto grado), rappresenta un punto cardine dell’assistenza. E’ quindi
comprensibile come il dispiegamento di forze umane e tecnologiche sia massivo, e come
questi bambini andranno seguiti nel tempo fino all’età scolare.
Il follow-up iniziale li osserverà soprattutto da un punto di vista motorio (ad esempio
con la valutazione dei General Movements), poi verrà valutato il profilo cognitivo ed infine
quello comportamentale: ad esempio sappiamo che un neonato pretermine di alto grado ha un
rischio maggiore di sviluppare in età scolare disturbi del comportamento e difficoltà nel controllo dell’attenzione (la cosiddetta sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività,
ADHD) (Bohm et al., 2004) e altri disturbi neuropsicologici riguardanti la memoria e le
funzioni esecutive (Bayless and Stevenson, 2007 ).
Le disabilità possono essere suddivise in (Arduini and Vendola, 2012):
- Severe: come la paralisi cerebrale senza deambulazione, la sordità completa o la
cecità;
- Moderate: come la paralisi cerebrale con deambulazione, la riduzione dell’udito o
29
- Lievi: segni neurologici vari con sequenze funzionali minime.
Vi è molta preoccupazione riguardo al fatto che l’aumentata sopravvivenza dei neonati
ad alto rischio possa risultare, di fatto, in un aumento dei bambini con disabilità severe a
lungo termine: questo almeno è stato il trend fino al 1990; recentemente sembra essersi
invertito e molti studi dimostrano che l’aumento della sopravvivenza sia al contrario associato
ad una diminuzione di frequenza della paralisi cerebrale infantile e di altre condizioni
disabilitanti (Platt et al., 2007), grazie ad un’assistenza neonatale migliore.
Secondo dati epidemiologici pubblicati dal Vermont Oxford Network (VON, una rete
internazionale formata dalle Unità di terapia intensiva di oltre 25 paesi del mondo), ottenuti
con il follow-up di bambini nati pretermine, la prevalenza dei disturbi neuroevolutivi minori
(come un ritardo nell’acquisizione delle abilità motorie) è stata del 25-30%, superiore a
quella dei disturbi maggiori (Paralisi Cerebrale Infantile, grave deficit sensoriale,
30 2.4.3 Eziologia
Possiamo distinguere tre categorie di parti pretermine (Goldenberg et al., 2008) (figura 3):
a) Travagli spontanei con membrane intatte (40-45%), detti anche parti pretermine idiopatici;
b) Rottura prematura delle membrane (PROM) (25-30%);
c) Travagli indotti o parti cesarei per indicazioni materne o fetali (30-35%).
Figura 3: categorie di parto pretermine
Per quest’ultima categoria indicazioni frequenti sono la preeclampsia e lo IUGR,
mentre i parti pretermine idiopatici e la PROM, che possiamo considerare entrambi parti
pretermine spontanei, si manifestano come una sindrome, dovuta a molteplici cause, che
includono infezione, infiammazione, malattie vascolari e sovradistensione uterina, fattori
multipli riassumibili in un’infiammazione sistemica, che comportano una transizione dalla
fase uterina di quiescenza al parto pretermine, e che potrebbero portare a rottura prematura
31
I due fattori predittivi più importanti per il parto pretermine spontaneo sono una scarsa
lunghezza del collo uterino e livelli elevati di fibronectina fetale cervico-vaginale.
Il parto pretermine nella sua totalità (a, b, c) è una condizione dovuta a molteplici fattori di
rischio, che possiamo così classificare (Goldenberg et al., 2008):
- Fattori preconcezionali;
- Problematiche materne;
- Fattori esterni;
- Fattori associati alla gravidanza;
- Marker biochimici e genetici.
Fattori preconcezionali
Sono rappresentati dalle caratteristiche materne, per quanto riguarda la razza, la razza
nera ha un rischio tre volte maggiore di parto pretermine sotto le 32 settimane di GA; una
bassa condizione socio-economica, l’essere nubile e sola aumentano il rischio, così come l’età
materna, sia essa troppo giovane o troppo avanzata. Se una donna ha già avuto un parto
pretermine, il suo rischio è aumentato dal 15 al 50%, in relazione al numero di gravidanze
precedenti esitate in un parto pretermine o PTD (preterm delivery), e all’età gestazionale (più è bassa maggiore è il rischio). E’ importante anche l’intervallo tra due gravidanze (inferiore a
6 mesi aumenta il rischio), probabilmente per il minor tempo a disposizione per l’utero per
tornare alla condizione normale pregravidica, e soprattutto lo stato nutrizionale materno: la
malnutrizione espressa con un basso BMI è associata a rischio aumentato di parto pretermine
spontaneo, così come la carenza di ferro, folati e zinco. In questo caso, fattori potenzialmente
implicati potrebbero essere il ridotto volume ematico e il ridotto flusso ematico renale dovute
alla magrezza materna. D’altra parte l’obesità si associa ad un aumento del rischio da una parte di anomalie congenite, dall’altra di pre-eclampsia, fattori entrambi che aumentano il
32
Problematiche materne
Malattie sistemiche come la patologia tiroidea, l’asma, il diabete e l’ipertensione
aumentano il rischio, così come patologie locali uterine che hanno richiesto interventi
chirurgici. Importanti sono anche le malattie infettive, locali o sistemiche: aumentano il
rischio le pielonefriti, le polmoniti le appendiciti e la batteriuria asintomatica, a causa della
successiva disseminazione ematogena e del raggiungimento della cavità amniotica con lo
sviluppo di corioamnioite (infezione delle membrane fetali e del liquido amniotico) e
curiosamente anche le periodontiti, che sembrano essere fattore di rischio indipendente da una
colonizzazione intrauterina, senza peraltro che spiegazioni soddisfacenti siano state date per
questa relazione.
Fattori esterni
Lo stress materno aumenta il rischio di parto pretermine, e questo a sua volta si lega a
condizioni viste prima quali il basso livello socio-economico o il fatto che la madre sia sola.
Naturalmente anche le cattive abitudini materne sono importanti: il fumo ha un potente effetto
vasocostrittore tramite la nicotina e il CO, causa danno placentare e porta ad un ridotto afflusso di sangue utero placentare, conducendo da una parte a PTD e dall’altra a IUGR.
Inoltre sostanze d’abuso come la cocaina, gli oppiacei, l’alcool e alcuni farmaci come il
Diazepam portano ad un aumento del rischio.
Fattori associati alla gravidanza
Le gravidanze multiple causano il 15-20% di tutte le nascite pretermine e circa il 60%
dei gemelli sono pretermine. La gravidanza gemellare causa sovradistensione uterina e questa
a sua volta conduce a PROM e quindi a parto pretermine spontaneo, ma le gravidanze
multiple aumentano anche il rischio di preeclampsia e altre problematiche materne o fetali,
33
Le infezioni intrauterine sono causa frequente e importante di parto pretermine, studi
microbiologici suggeriscono infatti che possano causare dal 25 al 40% di tali parti, e tale dato
appare anche sottostimato poiché le metodiche diagnostiche (coltura del liquido amniotico)
spesso risultano inadeguate. Il meccanismo tramite il quale le infezioni intrauterine conducono al parto pretermine è legato ad un’attivazione del sistema immunitario innato:
citochine proinfiammatorie ed endotossine batteriche stimolano la produzione di
prostaglandine ed enzimi degradanti le membrane, e questo porta da una parte alla contrazione uterina (stimolata dalle prostaglandine) e dall’altra alla PROM (a causa della
degradazione della matrice extracellulare). E’ dimostrato che più bassa è l’età gestazionale
alla quale avviene il parto pretermine, maggiore è la frequenza di infezione intrauterina (la
quasi totalità di parti pretermine tra 21-24 settimane è dovuta a corioamnioiti da infezioni
intrauterine). Il microorganismo più frequentemente coinvolto è il Mycoplasma.
Altri fattori sono i sanguinamenti vaginali, sia associati a placenta previa o a distacco
placentare, che come fattore indipendente. Infine una scarsa lunghezza del collo uterino (< 2,5
cm), dimostrata ecograficamente e alla palpazione digitale è un importante fattore di rischio, e
il rischio aumenta al diminuire della lunghezza cervicale.
Markers biochimici e genetici
Il più utile fattore predittivo di PTD è la fibronectina fetale (glicoproteina il cui
ritrovamento nelle secrezioni vaginali è indicatore di distacco placentare); il 3-4% delle donne
sottoposte a screening tra la 24a e la 26a settimana sono positive per la presenza di fibronectina e quindi a rischio di distacco di placenta. I fattori genetici coinvolti sono
numerosi, e notevole importanza viene data all’elevata espressione di geni che codificano per mediatori dello stress dell’asse ipotalamo-ipofisario materno e fetale, come il cortisolo e le
34
Preeclampsia e parto pretermine indotto
La preeclampsia (PE) viene definita come ipertensione arteriosa, edema e proteinuria,
diagnosticati per la prima volta dopo la ventesima settimana di gestazione.
I criteri minimi per la diagnosi sono la proteinuria (≥ 300 mg nelle 24 ore) e
l’ipertensione (pressione arteriosa > 140/90) (Sibai et al., 2005).
Il 5-7% delle donne in gravidanza è affetta da preeclampsia, ed è un’importante causa
di morbidità e mortalità materna e fetale; l’outcome fetale dipende sia dall’insufficienza
utero-placentare (che causa quindi IUGR) che dal parto pretermine iatrogeno: l’unica terapia
conosciuta per la preeclampsia è la cessazione della gravidanza, quindi il parto indotto
tempestivamente; misure che cerchino di allungare il tempo di gravidanza (come il trattamento di una ipertensione moderata, l’espansione del volume plasmatico o l’utilizzo di
corticosteroidi), non hanno dimostrato benefici.
Le complicanze neonatali associate alla preeclampsia sono rappresentate dal parto
pretermine indotto (15-67%), da IUGR (10-25%) e dal danno neurologico ipossico (<1%), legati all’insufficienza del circolo placentare, da un aumento della morbidità cardiovascolare a
lungo termine a sua volta associata a IUGR e al basso peso alla nascita; infine la mortalità
perinatale (intesa come morte avvenuta tra la 28a settimana di gestazione e la prima settimana di vita extrauterina) è dell’1-2%.
Il modello patogenetico attuale della preeclampsia spiega come si realizzi, a causa di
un meccanismo immunomediato, una placentazione inadeguata, con carenza di fattori di
crescita e formazione di detriti placentari nella circolazione materna, causa a loro volta di
risposta infiammatoria materna. Il fenotipo finale è comunque modulato da un assetto
metabolico e cardiovascolare materno preesistente (Sibai et al., 2005).
E’ molto importante identificare precocemente i fattori di rischio epidemiologici e
clinici per la preeclampsia, allo scopo di prevenirla, diagnosticarla precocemente e gestirla nel
35
I fattori di rischio si dividono in (Dekker and Sibai, 2001):
- Preconcezionali (storia familiare, nulliparità, preeclampsia in una precedente
gravidanza);
- Problematiche materne (ipertensione arteriosa cronica e insufficienza renale cronica,
obesità, insulino-resistenza e diabete gestazionale, disordini della coagulazione con
trombofilia, come il fattore V Leiden o la resistenza alla proteina C attivata); - Fattori esterni (stress);
- Fattori di rischio associati alla gravidanza (gravidanze multiple e anomalie congenite);
- Marker biofisici (ecodoppler dell’arteria uterina che mostra ischemia placentare e
ridotto flusso ematico utero placentare);
- Marcker biochimici (ad esempio elevati livelli dei fattori angiogenetici PIGF e
VEGF).
IUGR e parto pretermine indotto
Uno studio pubblicato da Lancet nel 2004, aveva come scopo quello di identificare il
feto compromesso con IUGR tra le 24 e le 36 settimane di gestazione, e di rispondere alla
questione se fosse meglio indurre immediatamente il parto oppure cercare di posticiparlo il
più possibile, fino a quando non ci fosse più alcun dubbio clinico della necessità del parto. In
questo studio la mortalità infantile (intesa come morte entro il primo anno di vita) dei neonati
con età gestazionale maggiore di 32 settimane era bassa, causata da infezioni, enterocolite
necrotizzante e asfissia, molto rara era la RDS; al contrario sotto le 32 settimane e in
particolare sotto le 28 (extreme prematurity) era elevata, così come le morbidità espresse
come disabilità di vario tipo (Thornton et al., 2004).
L’età gestazionale condiziona l’esito del parto, come dimostrato dall’EPICure study, in cui il
44% dei bambini nati a 25 settimane di gestazione è sopravvissuto, mentre i parti avvenuti a
36
Scegliere di far nascere un neonato sotto le 33 settimane (very e moderate preterm)
con restrizione di crescita aumenta il rischio di complicazioni neonatali legate alla prematurità
(emorragia intraventricolare, retinopatia del pretermine o sepsi), d’altro canto ritardare il parto significa prolungare la sua esposizione all’ipossia e alla malnutrizione dovute ad un ambiente
intrauterino ostile, e quindi ad esempio al rischio di insulto ischemico cerebrale e asfissia
nonché aumentare il rischio di morte intrauterina.
Negli ultimi anni l’utilizzo della velocimetria doppler ci ha guidato nello stabilire il
momento migliore per il parto: la registrazione di un doppler venoso anomalo deve farci pensare ad un deterioramento delle condizioni fetali e il’induzione del parto deve essere
considerata.
In conclusione, l’obiettivo nella gestione di un feto pretermine è cercare di indurre il
parto quando il feto è il più maturo possibile, ovvero tra le 32 e le 34 settimane di GA nelle
37 2.4.4 Esame obiettivo del neonato pretermine (Bona and Grazia, 2001)
Il neonato pretermine si presenta con parametri auxologici inferiori ai valori normali, la cui diminuzione è maggiore al diminuire dell’età gestazionale.
Il calo ponderale è più accentuato di quello fisiologico (che è del 7-10%) potendo raggiungere
il 15-20% ed è prolungato fino al 10°-15° giorno, poiché la sovrabbondanza di liquido
extracellulare rispetto a quello intracellulare è ancora più evidente, con tendenza maggiore
alle perdite.
Presenta una prevalente ipotonia muscolare ed è immobile, e questo lo differenzia dal
neonato a termine che presenta ipertonia e atteggiamento degli arti in flessione.
I general movements e i riflessi sono difficilmente evocabili per immaturità del
sistema nervoso.
La cute è ricoperta da quantità maggiori di vernice caseosa; è molto sottile e
traslucida, spesso di colorito decisamente eritrosico (che nel neonato a termine può essere
indice di policitemia).
L’ittero è più frequente, a causa della maggiore immaturità enzimatica epatica: al
diminuire dell’età gestazionale esso aumenta di frequenza e intensità, ed è costante in neonati
pretermine di alto grado, dove quasi sempre necessità di fototerapia.
La frequenza cardiaca è più elevata rispetto a quella del neonato a termine, fra i 140 e i
160 battiti al minuto; a causa dell’immaturità dei centri bulbari del respiro, questo può essere
irregolare o periodico (respiro di cheyene-stokes); il respiro periodico è caratterizzato da
apnee che però non vanno oltre i 15 secondi e non sono accompagnate da bradicardia o
cianosi (le vere apnee del pretermine verranno descritte in seguito). Se è presente un respiro
38 2.4.5 Le complicanze del neonato pretermine
Descrivendo i primi atti fisiologici del neonato abbiamo illustrato il cosiddetto
adattamento alla vita extrauterina: nel neonato pretermine è difficoltoso, a causa dell’immaturità del neonato in toto e di quella dei singoli organi, il neonato ha a che fare con
il mondo esterno in un momento in cui dovrebbe ancora trovarsi in utero, e questo rende la
parte finale del suo sviluppo difficoltoso, e gravato da complicanze.
Le complicanze legate alla prematurità sono la causa fondamentale del maggiore tasso
di mortalità e morbidità in tali neonati rispetto a quello dei neonati a termine, e il rischio di tali complicanze aumenta al diminuire dell’età gestazionale e del peso alla nascita.
Possiamo suddividere le complicanze del neonato pretermine in complicanze a breve
termine (ad esempio quelle respiratorie e cardiovascolari), e complicanze a lungo termine
(come le disabilità neurologiche), queste ultime sono descritte nei pazienti che sopravvivono e
vengono dimessi dalla terapia intensiva neonatale. La presenza di complicanze a breve
termine aumenta il rischio di sequele a lungo termine.
In un report pubblicato dall’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health
and Human Development (NICHD), vennero evidenziate le seguenti complicazioni,
specificando la loro frequenza, in 8515 neonati VLBW (Stoll et al., 2010):
- Sindrome da distress respiratorio (RDS, 93%);
- Retinopatia del pretermine (ROP, 59%);
- Pervietà del dotto arterioso (PDA, 46%);
- Displasia broncopolmonare (BPD, 42%);
- Sepsi ad insorgenza tardiva (LOS, 36%);
- Enterocolite necrotizzante (NEC, 11%);
- Emorragia intraventricolare di grado III e IV (IVH, 7 e 9%);
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Come già detto, la frequenza (e la severità) delle problematiche del neonato
pretermine è inversamente proporzionale a GA e peso alla nascita; considerando in particolare
i VLBW e ELBW, è opportuno ricordare i principali rischi, e le necessità assistenziali, di
questi neonati.
A causa del difficoltoso adattamento alla vita extrauterina, la stabilizzazione iniziale in
sala parto è fondamentale: una corretta gestione del neonato nei primi minuti di vita può
ridurre il rischio di complicanze a breve termine; ad esempio la somministrazione precoce di
surfactante o l’applicazione di CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) nei VPI (very
preterm infants) può ridurre l’insorgenza di sindrome da distress respiratorio.
Spesso un neonato VLBW necessita di rianimazione alla nascita; tra i bambini nati nel
NICHHD tra il 1995 e il 1996, il 60% richiese intubazione endotracheale, e il 7% ricevette
manovre rianimatorie; i neonati più piccoli sono più a rischio di depressione respiratoria, con un Apgar Score ≤ 3 al quinto minuto nel 27% dei neonati ELBW, rispetto al 3% dei neonati di
VLBW.
Per tali motivi, laddove prevedibile, la nascita di un neonato pretermine dovrebbe
avvenire in centri di assistenza di terzo livello, dotati di NICU, e la rianimazione dovrebbe
seguire linee guida prestabilite (Niermeyer et al., 2000).
Un rischio importante dei neonati pretermine (in particolare se Extremely Preterm) è rappresentato dall’ipotermia: si sviluppano rapide perdite di calore tramite conduzione,
convezione, evaporazione e irraggiamento, non controbilanciate da un adeguata produzione di
calore, con tendenza alla termodispersione; i motivi sono molti: la scarsa quantità di tessuto
adiposo bruno, principale fonte di calore in un neonato; i movimenti molto limitati e l’incapacità di produrre calore tramite il brivido; l’ampia superficie corporea rispetto alla
massa e al volume; la sottigliezza cutanea. L’ipotermia (definita come temperatura corporea <
36,5° C secondo la classificazione WHO dell’ipotermia) pone a rischio di vita il neonato, contribuendo all’insorgenza di disordini metabolici quali acidosi respiratoria (l’ipotermia