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Il Servizio Sociale nei percorsi ospedalieri: la situazione in Toscana

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

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Capitolo 1. Il Servizio Sociale Ospedaliero

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1.1 Riferimenti storici e legislativi 9 1.2 Lavorare nel contesto ospedaliero 12

1.2.1 L’ospedale e l’emergenza 14

1.2.2 Principi e valori della professione 16 1.3 La continuità assistenziale ospedale-territorio 16 1.4 Obiettivi del lavoro e attività svolte 18

1.4.1 Rafforzare la resilienza 19

1.4.2 Funzioni del Servizio Sociale Ospedaliero 20

Capitolo 2. Metodologia e strumenti professionali dell’Assistente

Sociale in ospedale

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2.1 La segnalazione dei casi 27

2.2 Il colloquio 29

2.3 La documentazione e il sistema informativo 33

2.4 Il lavoro di rete 36

2.5 Il lavoro con i gruppi 40

2.6 Il lavoro di équipe 42

2.7 La supervisione 45

Capitolo 3. Gli Assistenti Sociali negli ospedali della Toscana

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3.1 Il focus group come tecnica di ricerca 50

3.2 Nascita del laboratorio 52

3.3 Partecipanti e modalità di svolgimento 53 3.4 La collocazione del Servizio Sociale negli ospedali della Toscana 56 3.5 Discussione e riflessioni del gruppo 72

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3.5.1 Ipotesi di proposte organizzative a livello regionale 75

3.5.2 Prospettive per il futuro 77

3.6 Sviluppi recenti nella normativa regionale 78

Conclusioni

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Appendice

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Bibliografia

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Introduzione

Il Servizio Sociale in ospedale è una realtà esistente nel nostro Paese da molti decenni. La normativa nazionale non ha inciso in maniera significativa su questa collocazione, sebbene l’effettiva presenza degli Assistenti Sociali all’interno di alcune strutture ospedaliere dimostri la necessità di questa figura professionale per rispondere ai bisogni sociali che possono emergere durante il ricovero.

L’Ordine degli Assistenti Sociali non dispone di dati precisi sulla professione nei vari settori d’impiego e le pubblicazioni sul tema scarseggiano, per questi motivi il confronto con chi opera direttamente in tale settore è stato indispensabile per comprendere la mission del Servizio Sociale Ospedaliero e analizzarne le problematiche.

L’idea che attraversa l’intero elaborato è una visione unitaria della persona, infatti la metodologia d’intervento del Servizio Sociale Ospedaliero consente di valutare globalmente la situazione dell’utente e di cercare risposte alla complessità dei bisogni rilevati.

La struttura della tesi si articola in un primo capitolo di inquadramento generale del tema con cenni storici e legislativi, in cui si riflette sul significato del Servizio Sociale in ospedale, luogo specializzato nella cura dell’evento acuto, caratterizzato dall’urgenza, e che utilizza strumenti standardizzati e scientifici. In questo contesto vi possono essere difficoltà a collaborare con il personale sanitario e a far comprendere il ruolo e le funzioni dell’Assistente Sociale.

L’attuale configurazione degli ospedali, ha ridotto la durata dei ricoveri con l’obiettivo di contenere i costi del sistema sanitario, ma a questa politica di razionalizzazione della spesa in ospedale non è corrisposto un maggiore investimento nei servizi territoriali né nelle strutture intermedie, ciò fa sì che la dimissione rappresenti un momento critico, perché spesso alla dimissibilità clinica non corrisponde la dimissibilità sociale.

Nel secondo capitolo è stato affrontato il processo metodologico del Servizio Sociale prediligendo il modello sistemico-relazionale, che vede la persona inserita in diversi sistemi in relazione tra loro e riserva particolare attenzione al contesto. Inoltre sono stati presentati i principali strumenti professionali utilizzati

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dall’Assistente Sociale in ospedale, tra questi il lavoro di rete, volto a mettere in connessione le risorse presenti sul territorio, incluso il terzo settore.

Per chi lavora in ospedale il carico emotivo è particolarmente pesante, a causa della drammaticità delle storie umane con cui si viene a contatto quotidianamente, si è parlato infatti del colloquio professionale con i pazienti e i familiari, dell’attenzione ai processi comunicativi e dello sforzo degli operatori per tollerare la sofferenza dell’utente senza farsene travolgere.

Il terzo capitolo è dedicato al lavoro di ricerca che ho potuto svolgere partecipando al laboratorio “Il Servizio Sociale nei percorsi ospedalieri e di continuità ospedale territorio” organizzato dalla “Fondazione degli Assistenti Sociali della Regione Toscana per la formazione e la ricerca”, che mi ha permesso di raccogliere le testimonianze di 20 Assistenti Sociali che lavorano all’interno degli ospedali e nelle agenzie/servizi di continuità ospedale-territorio della Regione.

Il confronto tra operatori, con una metodologia di gruppo, mi ha permesso di ascoltare esperienze professionali provenienti da tutta la Toscana, i partecipanti hanno raccontato e condiviso le difficoltà e le soddisfazioni del loro lavoro.

Nella maggior parte dei casi presentati l’Assistente Sociale presente in ospedale lavora anche nel distretto socio-sanitario da cui dipende funzionalmente, questo ha evidenziato una differenza sostanziale tra chi lavora stabilmente dentro l’ospedale, poiché questo significa partecipare alle scelte aziendali, condividere progetti, sentirsi parte del personale ospedaliero, e chi invece è in bilico tra l’ospedale e il territorio, sperimentando una molteplicità di referenti e un senso di confusione riguardo la propria appartenenza.

L’obiettivo di questo lavoro è far emergere la valenza strategica del Servizio Sociale in ospedale, infatti questa collocazione dovrebbe essere considerata un indicatore di qualità degli standard della struttura ospedaliera.

L’impressione è che il Servizio Sociale a livello territoriale non sia sufficiente per cogliere le domande di aiuto che la società odierna presenta ma spesso non esprime. Ecco che in ospedale si inverte il classico schema in cui è l’utente che si attiva per chiedere aiuto, ma è il Servizio Sociale che in questa sede riesce a rilevare una fascia di popolazione portatrice di bisogni.

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Capitolo 1

Il Servizio Sociale Ospedaliero

La presenza del Servizio Sociale Professionale in ospedale è legata ad una concezione della salute che non considera la cura della malattia soltanto dal punto di vista biologico, ma anche come esperienza individuale e familiare. La malattia può essere vista come un tentativo di riorganizzazione a livello biologico, psicologico e sociale (Dotti, 2015).

La salute è stata definita nel 1948 nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”, tale definizione prende in considerazione aspetti come la condizione economica, abitativa e l’integrazione sociale della persona, elementi propri della valutazione dell’Assistente Sociale. La metodologia d’intervento del Servizio Sociale Professionale Ospedaliero consente di valutare globalmente la situazione dell’utente e di cercare risposte alla complessità dei bisogni rilevati.

Questi principi sono stati enunciati nella Carta di Ottawa1, presentata nel 1986 alla prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, questo documento dichiara che fattori politici, sociali, economici, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possono favorire o nuocere alla salute.

La Carta spiega come la promozione della salute non possa esaurirsi nella mera offerta di servizi clinici e curativi, tanto che i servizi sanitari devono adottare un mandato più ampio che sia sensibile e rispettoso dei bisogni culturali. Questo mandato dovrebbe sostenere i bisogni degli individui e delle comunità per una vita più sana e stabilire connessioni tra il settore sanitario e le più ampie componenti sociali, politiche, economiche e dell’ambiente fisico, con un intersecarsi di fattori come la legislazione, i provvedimenti fiscali e la modifica dei criteri organizzativi. I determinanti della salute sono quei fattori che influenzano lo stato di salute di un individuo e quindi di una comunità o di una popolazione, tra questi troviamo anche le politiche sanitarie e sociali di una nazione.

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Lo specifico professionale dell’Assistente Sociale in ospedale si è modellato in relazione ai cambiamenti sociali e culturali, oggi sempre più spesso le patologie sono legate alle condizioni e allo stile di vita (AA.VV., 2010).

Le persone che si incontrano nei reparti, frequentemente presentano una problematica sanitaria accompagnata da ripercussioni sulla sfera sociale, pensiamo all’aumento della popolazione anziana, alle dipendenze da alcool o altre sostanze, o all’incidenza di patologie come la sieropositività, solo per fare alcuni esempi.

Le componenti più fragili della società, legate a fenomeni di esclusione sociale, come i cosiddetti “nuovi poveri”, o gli immigrati clandestini, si trovano in situazioni che per essere fronteggiate richiedono interventi che vedono la convergenza tra i principi del Servizio Sociale e gli obiettivi preventivi degli ospedali.

Affinché questi interventi professionali siano efficaci è necessario promuovere una cultura di integrazione tra i diversi professionisti in un’ottica di accoglienza globale della persona (Caprini, Marini, 2001).

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1.1 Riferimenti storici e legislativi

La comparsa dei primi Assistenti Sociali sulla scena ospedaliera italiana risale al 1945 presso l’ospedale Gaslini di Genova, per poi diffondersi progressivamente su tutto il territorio nazionale, in particolare in Toscana la prima Assistente Sociale venne assunta nel 1968 presso l’ospedale Santa Maria Nuova di Firenze.

La legge 132/19682 all’art. 39 legittima la presenza dell’Assistente Sociale in ospedale come personale sanitario ausiliario, mentre l’art. 43 del D.P.R. n.128 del 19693 definisce che “l’attività dell’Assistente Sociale è rivolta a trattare, in collaborazione con il personale sanitario, con il personale di assistenza diretta e con gli altri servizi ospedalieri, i problemi psico-sociali degli assistiti”. La concezione del ruolo del Servizio Sociale all’interno dell’ospedale che si evince da queste disposizioni normative, è quella di un servizio utilizzato come supporto all’attività del personale sanitario per il raggiungimento del suo scopo, che è il perseguimento della salute dei cittadini. Non vi sono indicazioni rispetto alle attività da svolgere e alle relazioni tra i diversi professionisti, e nella legislazione successiva non si fa più chiara menzione della presenza dell’Assistente Sociale in ambito ospedaliero (Caprini, Marini, 2001).

Nel 1978, nonostante la legge n.833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale", tale figura non viene ancora stabilmente prevista nell’organico. Dovranno passare altri dieci anni prima che si definisca come una presenza necessaria negli ospedali, pur sempre come personale tecnico-sanitario nei reparti ad alta specializzazione come le lungodegenze e le unità spinali, nelle quali come è indicato nel D.M. 13 settembre 19884: “dato il rilievo che la qualità della vita assume in questo particolare tipo di unità operativa, l’organico base dell’unità operativa strutturata va integrato con la presenza di almeno uno psicologo e un Assistente Sociale”; mentre nei reparti di “media assistenza” è lasciata alla

2 Legge 12 febbraio 1968, n. 132 “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera” (pubblicata nella

Gazzetta Ufficiale n.68 del 12 marzo 1968).

3 Decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1969, n. 128 “Ordinamento interno dei

servizi ospedalieri”.

4 Decreto del Ministero della Sanità n.255 del 13 settembre 1988 “Determinazione degli standard

del personale ospedaliero”, questo decreto definisce le dotazioni organiche minime degli ospedali, non più in base alla loro classificazione, bensì in base alle funzioni assistenziali proprie del presidio.

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discrezione della direzione la presenza di tale professionista, peraltro in reparti come la psichiatria, l’oncologia e la psichiatria in cui la richiesta di intervento sociale è sempre stata massiccia (Caprini, 2013).

Il D. lgs. 229/19995 dichiara la necessità che l’intervento sanitario e quello sociale si integrino, definendo all’art. 3-septies le prestazioni sociosanitarie “attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione”.

Con la trasformazione degli ospedali in aziende ospedaliere, nella maggioranza dei casi, il Servizio Sociale è stato riposizionato, mediante autonomi atti aziendali, all’interno di dipartimenti clinici o dipartimenti delle professioni sanitarie (quindi diretti o coordinati da figure sanitarie), e solo in forma minoritaria, all’interno della direzione sanitaria, dove si registra maggiore autonomia e riconoscimento di ruolo (ibidem).

Con le riforme degli anni Novanta, l’integrazione socio-sanitaria resta appannaggio soltanto dei distretti territoriali, inoltre con la fuoriuscita, almeno dal punto di vista amministrativo, degli ospedali universitari dalle Asl, attraverso la costituzione di Aziende Ospedaliere6, il passaggio da queste strutture ai servizi territoriali appare sempre più complesso.

In questo periodo si afferma la presenza delle associazioni di volontariato negli ospedali, caratterizzate da una maggiore flessibilità e capacità di adattarsi ai bisogni sociali, rispetto alla rigidità dell’organizzazione ospedaliera.

Il punto di forza del terzo settore è la capacità di rilevare un fabbisogno assistenziale e intervenire in modo celere e mirato, anche attraverso modalità innovative e sperimentali.

5 Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229 “Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario

nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419”

6 Come previsto dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in

materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, e dal Decreto Legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 “Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”.

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L’attività prestata da molti Assistenti Sociali all’interno di queste associazioni, sopperisce all’inesistenza di un Servizio Sociale Ospedaliero, o meglio, al mancato riconoscimento come servizio dell’ospedale, con le conseguenze che ciò comporta, come le difficoltà nel reperire fondi e nella ricerca di volontari.7

Il documento del 2010 del Ministero della Salute, intitolato “Funzioni del Servizio Sociale Professionale in sanità” ed elaborato da un tavolo tecnico, afferma che “il Servizio Sociale Professionale va istituito e posto in staff alla direzione di Azienda, Aziende sanitarie locali, Aziende ospedaliere, altre strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, nell’atto di autonomia aziendale, in rapporto alla tipologia dell’ente, attraverso la costituzione di strutture dirigenziali operative di Servizio Sociale Professionale, qualificate come unità organizzative, complesse o semplici […] diventa strategico prevedere la figura dirigenziale dell’Assistente Sociale nell’ambito del Servizio Sociale Professionale”.

Tuttavia, nessuna disposizione nazionale sembra aver inciso in maniera significativa sul ruolo degli Assistenti Sociali nel contesto ospedaliero, manca una definizione del numero di professionisti da impiegare nei presidi, e degli spazi di lavoro da destinare ad essi. Ne deriva un’incertezza circa l’opportunità della presenza dell’Assistente Sociale in questo contesto, che ha determinato una fragilità istituzionale del Servizio Sociale Ospedaliero, rilevata da chi lavora nel settore e portata alla luce dall’Ordine professionale che, recentemente, ha ripreso il dibattito su questo tema per offrire un contributo alla riflessione e qualificare l’intervento dell’Assistente Sociale nella tutela del diritto alla salute (Campanini, 2015).

La presenza di questi professionisti che lavorano negli ospedali è molto diversificata a livello nazionale ma anche all’interno della stessa Regione8, infatti

7 In proposito un esempio è quello dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana che ha esteso la

partecipazione ai protocolli d’intesa alle associazioni di volontariato, tutela e promozione sociale, l’accordo permette alle associazioni di accedere all'ospedale per svolgere le loro attività di volontariato e collaborare alla stesura della Carta dei Servizi. Le associazioni devono dimostrare una documentata esperienza in ambiti come l’informazione sui percorsi ambulatoriali e di ricovero, l’accoglienza e il sostegno relazionale durante la degenza ospedaliera, l’umanizzazione dell’assistenza sul piano della disponibilità a sostituire i familiari, il sostegno per persone disabili, attività ludiche, scolastiche e d’intrattenimento dei bambini ricoverati.

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in alcuni casi gli Assistenti Sociali sono dipendenti funzionalmente dall’azienda sanitaria o ospedaliera, in altri lo sono dell’ente locale in cui la struttura ospedaliera è ubicata, con differenti tipologie di contratto, che possono prevedere un impiego a tempo pieno in ospedale, o una suddivisione dell’orario di lavoro tra i Servizi Sociali territoriali e l’attività in ospedale. Inoltre i dati esistenti sul numero degli Assistenti Sociali presenti negli ospedali sembrano essere piuttosto approssimativi (Dotti, 2015).

1.2 Lavorare nel contesto ospedaliero

L’ospedale è un ambiente fortemente specializzato, regolato da procedure, protocolli e crescente fiducia nello sviluppo tecnologico e scientifico, dove gli operatori sanitari spesso non vogliono essere distratti dalla dimensione umana, emozionale, psicologica, sociale delle persone, perché ritengono che queste problematiche vadano al di là della propria mission. Solitamente, le persone che arrivano in ospedale hanno un problema di salute che deve essere risolto rapidamente, se a questo aspetto si associa una difficile condizione psicosociale, la situazione diventa più complessa e gli operatori chiamati a intervenire sono diversi, con specializzazioni differenti e ruoli distinti. La persona viene così frammentata per aree di competenza, a scapito di un’analisi complessiva e unitaria, invece è importante riuscire a impostare un progetto di intervento che riesca a integrare le diverse posizioni (AA. VV., 2010).

La conseguenza di un sistema così specializzato è lo sviluppo di un’organizzazione efficace nel fornire cure indifferenziate a un notevole numero di persone, ma poco adatta a cogliere le specificità individuali (Caprini, Marini, 2001). Il Servizio Sociale Ospedaliero cerca di creare una connessione tra la mission aziendale e i princìpi della professione, facendo leva sui valori della centralità della persona e dell’approccio globale al malato.

Negli anni si è evoluta la stessa definizione di salute, l’idea avanzata nella Conferenza Internazionale che si è tenuta nel 2009 all’Aia, in Olanda, suggerisce che la definizione di salute dell’OMS formulata nel 1948, che vede la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente assenza di malattia o infermità”, non è più adatta allo scopo, considerato il radicale

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cambiamento del quadro nosologico, caratterizzato dal dominio delle malattie croniche.

La proposta è quella di sostituire la storica definizione di salute con: “la capacità di adattarsi e autogestirsi”. Oggi invecchiare con le malattie croniche è diventato la norma, ed è quindi necessario potenziare la capacità umana di fronteggiare la condizione di malattia e sostenere le persone nella promozione delle attività funzionali presenti.

Per questo si richiede un cambio di mentalità nei sistemi sanitari, con il passaggio dall’idea della guarigione rapida centrata sull’evento acuto, a quella della continuità delle cure per tutta la vita. Per “continuità delle cure” si intende il coordinamento nel tempo delle azioni assistenziali di strutture, unità organizzative e professionisti per cui non si creino interruzioni ingiustificate nel processo assistenziale del paziente (Dotti, 2004).

In quest’ottica di “autogestione” si rendono utili investimenti nelle tecnologie dell’informazione, nella formazione e apprendimento da parte dei pazienti, nella gestione integrata delle strutture e dei servizi sociosanitari.

Le prestazioni ospedaliere sono classificate in base al sistema dei Diagnosis

Related Groups (DRG), adottato in Italia nel 1994, è un sistema che permette di

classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale in gruppi omogenei per utilizzo di risorse impegnate.

Questo permette di quantificare economicamente l’assorbimento di risorse e quindi di remunerare ciascun episodio di ricovero, una delle finalità del sistema è controllare e contenere la spesa sanitaria. Per ridurre la spesa ospedaliera che assorbe ingenti risorse economiche, le politiche sanitarie di razionalizzazione negli ultimi anni si sono centrate sulla deospedalizzazione, riducendo il numero dei posti letto.

Questa prospettiva di trasferimento delle funzioni al di fuori dell’ospedale richiede una stretta connessione con i centri sociosanitari territoriali, stabilendo percorsi per l’integrazione fra ospedale e territorio, attraverso processi organizzativi e procedure assistenziali.

Il risultato è una riconfigurazione corretta del ruolo dell’ospedale come luogo di cura deputato all’assistenza delle acuzie di media-alta complessità, con una

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valorizzazione dell’assistenza territoriale, che riguarda le attività dei distretti sociosanitari, definiti fin dalla legge 833/78 “strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento”. Quando si parla di servizi territoriali si include anche l’attività dei Servizi Sociali, realizzata dalle Aziende Sanitarie Locali e dai Comuni.

Il ricovero ospedaliero rappresenta pertanto un periodo sempre più breve in termini temporali e, allo stesso tempo, sempre più denso dal punto di vita dell’intensità assistenziale, concentrazione di tecnologie, impegno economico (Geddes da Filicaia, 2005).

1.2.1 L’ospedale e l’emergenza

Caratteristica del lavoro in ospedale è l’emergenza, che il Pronto Soccorso è preparato a gestire, ha dei parametri per definire le situazioni di emergenza, risponde con dei protocolli e la pronta attivazione del personale.

La metodologia del Servizio Sociale invece, richiede tempo per valutare un caso, il processo di aiuto consiste essenzialmente in una prestazione relazionale, gestita tra utente e professionista in un clima di collaborazione e riconoscimento reciproco.

Nella situazione sociale sempre più precaria in cui viviamo, che vede un impoverimento delle reti di parentela, l’aumento di persone sole e di fenomeni di emarginazione sociale, il Servizio Sociale Ospedaliero si ritrova ad avere sempre più un ruolo di pronto intervento e di sensore dell’evolversi dei bisogni sociali, essendo inserito all’interno di una struttura di riferimento per tutti i cittadini.

Inoltre, la legge 328 del 20009 all’art. 22 comma 4 elenca i principali

interventi da garantire su tutto il territorio nazionale come “livelli essenziali delle prestazioni sociali”, tra i quali è presente un “servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari”. Tuttavia, la concreta

9 Legge 8 Novembre 2000, n.328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di

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attuazione dei LIVEAS10 rimane ad oggi disattesa, e legata a una regionalizzazione degli assetti.

In ambito ospedaliero si è cercato di affrontare il problema della priorità dell’accesso tramite il sistema del triage11, una modalità organizzativa per

classificare le persone in relazione al problema presentato.

Il sistema di codifica in triage è rappresentato da quattro codici colori (rosso, giallo, verde, bianco) utilizzati nei pronto soccorso degli ospedali per classificare i soggetti in classi di priorità di trattamento.

Tra gli item contenuti nella scheda triage mancano informazioni di tipo sociale, ad esempio sulla presenza di disabilità, che possono essere importanti per la prognosi. Infatti talvolta è necessario che a una diagnosi clinica si accompagni una valutazione sociale.

Durante un corso di formazione per Assistenti Sociali Ospedalieri tenuto presso la Ausl di Bologna nel 2008, è stata sperimentata una scheda di “triage sociale” da condividere con i professionisti sanitari, per facilitare tempi e modi di attivazione dell’Assistente Sociale su richiesta di un infermiere o di un caposala dell’unità di pronto soccorso o di un’altra unità operativa.

L’obiettivo è stato quello di cercare di ridurre gli invii inappropriati e di evitare una sottovalutazione delle problematiche sociali. La scheda prevede 10 item che considerano: situazione sanitaria; ospedalizzazione ultimo anno; autonomia, personale, fisica, cognitiva; livello di cura personale; rete familiare/sociale; rapporti di convivenza; collocazione precedente all’ingresso in ospedale; situazione abitativa; situazione economica; cittadinanza.

A ogni item è assegnato un punteggio da 1 a 4, al punteggio complessivo è assegnato un codice colore, che indica il grado di urgenza e i tempi entro i quali l’Assistente Sociale dovrebbe intervenire.

E’ stato previsto che per i minori e gli anziani, la valutazione effettuata dai sanitari dovesse essere particolarmente dettagliata e che le situazioni di abusi, sospetti abusi e maltrattamenti dovessero essere sempre segnalate con tempestività al Servizio Sociale Ospedaliero (Dotti, 2015).

10 “Livelli essenziali di assistenza sociale”, la loro introduzione è uno dei più importanti elementi di

innovazione istituzionale contenuti nella legge 328/2000.

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1.2.2 Principi e valori della professione

La finalità generale del Servizio Sociale Ospedaliero è quella di promuovere, mantenere, restituire al malato la sua dignità di persona, che spesso malattia e ricovero calpestano (Caprini, Marini, 2001).

E’ indispensabile una riflessione sui princìpi della professione, contenuti nel Codice deontologico. Il riferimento al valore, dignità e unicità di tutte le persone (art. 5), insieme al principio dell’autodeterminazione dell’utente (art. 11) e la promozione dell’autonomia sembrano scontrarsi con la natura stessa dell’ospedale, essendo un’organizzazione che già di per sé impone una limitazione o un controllo. La cura di una patologia può prevedere una limitazione nei movimenti e alcune regole sono necessarie per il buon funzionamento dei reparti in termini di orario e di organizzazione delle giornate.

La persona si trova pertanto in una situazione di “dipendenza obbligata” condizionata dalle decisioni dell’organizzazione e dei medici che determina una percezione di spersonalizzazione e una serie di richieste talvolta lesive della dignità (Dotti, 2015).

Il principio della consapevolezza dell’utente riguardo i suoi diritti, come il diritto di essere informato, appare sbilanciato a favore della parte medica, che possiede un bagaglio di conoscenze non condiviso dall’utente, infatti l’Assistente Sociale pur non avendo una formazione sanitaria, si trova spesso a tradurre il linguaggio medico per assicurarsi che l’utente abbia compreso ciò che gli è stato comunicato.

1.3 La continuità assistenziale ospedale-territorio

Il passaggio dall’ospedale al territorio può avvenire in diversi modi in base a protocolli operativi dell’ospedale, convenzioni con strutture cosiddette “intermedie”, scelte di carattere sia istituzionale sia organizzativo.

Le cure intermedie sono dei servizi integrati, sanitari e sociali, finalizzati a garantire la continuità assistenziale dopo la dimissione ospedaliera e a favorire il rapido recupero funzionale e l’autonomia dei pazienti.

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Questo tipo di prestazioni (domiciliari, residenziali e semi-residenziali) coprono un’area dei bisogni assistenziali che si trovano a metà strada tra l’intensità delle cure tipica dell’ospedalizzazione e la gestione della cronicità, inoltre il potenziamento di questa area assistenziale può favorire la prevenzione di ricoveri impropri (Comodo, Maciocco, 2004).

La loro presenza sul territorio nazionale e regionale è differenziata, così come le modalità di accesso e di compartecipazione alla spesa.

L’Assistente Sociale viene chiamato spesso in prossimità delle dimissioni di un paziente, quando il reparto si accorge che non può dimettere la persona e diventa urgente individuare risorse e servizi territoriali per tutelare il rientro a casa, è in questa fase che si rivela indispensabile il raccordo tra l’ospedale e l’assistenza sociosanitaria territoriale.

L’Assistente Sociale è chiamato a partecipare alla programmazione e gestione della dimissione, per pianificare il rientro a domicilio dei pazienti, coinvolgere il paziente e la famiglia nel percorso e favorire la condivisione delle informazioni tra professionisti.

Si parla di dimissioni “difficili” quando a seguito di un evento acuto, segue una situazione di disabilità permanente o temporanea che richiede una riorganizzazione delle risorse umane e materiali.

In questi casi la famiglia si trova impreparata di fronte ai nuovi bisogni assistenziali di un suo membro, ed è necessario coinvolgere e coordinare diversi professionisti e servizi per garantire la continuità assistenziale.

La tendenza degli ospedali a ridurre al minimo il periodo di degenza incentiva le cosiddette “dimissioni selvagge”, dimissioni che avvengono senza un’adeguata informazione del paziente e dei familiari, senza un raccordo con il medico curante e i servizi territoriali, rischiose soprattutto per i soggetti più fragili (Comodo, Maciocco, 2004).

L’aspetto delle dimissione è particolarmente delicato quando riguarda gli anziani soli, senza familiari o con familiari non disponibili ad assistere la persona, individui con un reddito molto basso, persone senza fissa dimora o con un’abitazione non adeguata (es. barriere architettoniche), in questi casi l’Assistente

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Sociale svolge una funzione di “ponte” tra l’ospedale e i servizi sociosanitari territoriali affinché la persona venga presa in carico.

E’ necessario che il reparto segnali il caso all’Assistente Sociale sin dai primi giorni del ricovero, in modo che l’operatore possa effettuare la valutazione sociale e sia possibile realizzare il percorso di integrazione tra sociale e sanitario durante la degenza, e non al momento delle dimissioni in una situazione di urgenza, per consentire che la dimissibilità clinica possa coincidere con la dimissibilità sociale (Campesato, Lo Monaco, Zampieri, 2004).

L’intervento dell’Assistente Sociale nelle dimissioni difficili contribuisce a limitare i ricoveri ripetuti e impropri, e la durata dei tempi di degenza, evitando lo spreco di risorse economiche.

1.4 Obiettivi del lavoro e attività svolte

Gli obiettivi del Servizio Sociale Professionale Ospedaliero sono il prevenire, affrontare e risolvere disagi e problemi psico-socio-assistenziali connessi al reinserimento della persona ricoverata nel suo ambiente di vita, attraverso l’uso di risorse personali e familiari, dei servizi territoriali, del volontariato e della comunità.

Ai primi Assistenti Sociali inseriti negli ospedali, vennero affidati, spesso, compiti generici di tipo amministrativo-burocratico, per colmare le carenze organizzative e supportare il lavoro dei medici (AA.VV., 1971).

Grazie anche alla crescita e all’evoluzione della professione negli anni, sia in ambito formativo che organizzativo professionale (con l’istituzione dell’Ordine professionale), gli Assistenti Sociali hanno ridefinito il proprio ruolo, abbandonando i compiti non professionali e dedicandosi alle funzioni rispondenti alla propria qualifica.

Purtroppo, ancora oggi esiste una mancanza di chiarezza, tra la popolazione in generale, circa il ruolo ricoperto dall’Assistente Sociale come professionista, questo costituisce una difficoltà rilevante nell’indirizzare richieste appropriate ai Servizi Sociali.

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Quando sono i professionisti con cui si collabora (medici, infermieri…) a non essere a conoscenza delle competenze e delle funzioni degli Assistenti Sociali, il rischio che le richieste rivolte al Servizio Sociale siano improprie è molto alto.

Quindi gli Assistenti Sociali in ospedale lavorano anche per far conoscere agli operatori sanitari la specificità del proprio ruolo, infatti per una buona collaborazione è indispensabile la conoscenza delle reciproche competenze, il rispetto dei diversi ruoli e l’accettazione dei limiti dei rispettivi apporti professionali. In questo modo i sanitari vengono sensibilizzati a riconoscere per tempo le situazioni sociali problematiche al fine di una segnalazione tempestiva all’Assistente Sociale.

La tipologia delle attività svolte dal Servizio Sociale può variare in base alle caratteristiche dell’ospedale (es. ospedale pediatrico) e alle eventuali specifiche prestazioni da esso offerte, ci riferiamo ad esempio ai servizi per l’interruzione volontaria della gravidanza o ai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. La domanda rivolta al Servizio Sociale Ospedaliero risente anche del livello socio-economico e culturale dell’ambiente in cui la struttura è collocata (Caprini, Marini, 2001).

1.4.1 Rafforzare la resilienza

In ospedale, più che in altri ambiti, è centrale il ruolo dell’Assistente Sociale nell’attivazione o potenziamento della capacità di resilienza nei pazienti e nei familiari, definita come capacità umana di affrontare, superare e uscire rinforzati da esperienze negative.

L’Assistente Sociale sostiene la persona nella riorganizzazione del proprio percorso di vita, nella possibilità di trasformare l’evento doloroso e traumatico in un processo di apprendimento e di crescita.

La malattia può avere effetti destabilizzanti, con reazioni di paura e confusione nel paziente, che hanno un impatto sulla famiglia, ma anche sulla comunità e su coloro che si occuperanno della presa in carico, medici, psicologi, volontari, in una prospettiva sistemica (Malaguti, Cyrulnik, 2005).

L’Assistente Sociale facilita l’elaborazione dell’evento verso una ripresa evolutiva e un processo positivo che valorizza le risorse ancora disponibili.

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La resilienza a situazioni avverse sembra dipendere da una combinazione interattiva di fattori di rischio e protettivi, come le predisposizioni personali, le interazioni familiari e ambientali, i sistemi di supporto sociale.

La resilienza fa riferimento a un processo attivo che si sviluppa nella relazione dinamica tra la persona e i contesti sociale, relazionale, istituzionale (Dotti, 2015).

Questa modalità di riadattamento a una situazione difficile è stata analizzata in famiglie che si trovano ad affrontare malattie improvvise, croniche o invalidanti, ed è stato evidenziato come l’abilità di certi nuclei familiari di rafforzare le competenze necessarie per risolvere le sfide della vita, dipenda anche dall’interpretazione che i membri del nucleo danno agli eventi, perciò è importante attribuire un significato a ciò che accade, e rendere la situazione comprensibile e affrontabile, per quanto possibile (ibidem).

Individui, famiglie e gruppi resistono in situazioni di difficoltà attivando strategie di coping, costrutto che in psicologia indica le modalità con cui le persone cercano di affrontare lo stress.

Il coping è una risposta finalizzata a mantenere uno stato di equilibrio, con azioni rivolte a preservare condizioni individuali di benessere. Le strategie di coping (o “fronteggiamento”) si focalizzano sui compiti e sulle emozioni provate, e hanno due funzioni principali, ridurre il rischio delle conseguenze dannose e contenere le reazioni emozionali negative (Lazarus, 1966).

Benessere e coping si influenzano reciprocamente, inoltre il coping tradizionalmente ritenuto un tratto stabile della personalità, nella letteratura più recente è stato considerato una modalità flessibile di reagire a eventi stressanti, connessa con la situazione e il contesto.

1.4.2 Funzioni del Servizio Sociale Ospedaliero

Le funzioni sono legate al contesto istituzionale in cui si opera, di fatto l’attuale normativa del settore sanitario, basata su criteri di economicità e razionalizzazione delle spese, come già detto, fa sì che la gestione delle dimissioni sia una delle attività principali dell’Assistente Sociale in ospedale.

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Di seguito un elenco delle principali funzioni svolte:

 Chiarificazione e sostegno: durante la degenza il paziente si interfaccia con diversi professionisti, senza avere una figura unica, presente e disponibile, e allo stesso tempo investita di responsabilità istituzionale, che rappresenti un riferimento complessivo (Pezzoli, 2012). L’ospedale può essere considerato il luogo in cui il malessere sociale mostra il suo legame con la salute, il Servizio Sociale Ospedaliero intercetta le condizioni di maggiore fragilità e, attraverso l’ascolto, cerca di recuperare la centralità della persona, prestando attenzione al modo personale con cui ognuno attraversa la malattia, la sofferenza e la paura.

L’Assistente Sociale può supportare il medico nella comunicazione di una diagnosi infausta, poiché grazie alle proprie capacità relazionali riesce a gestire adeguatamente la comunicazione, con comprensione ed empatia in situazioni emotivamente complesse. Agendo come un “terzo12” tra il

paziente/famiglia e il medico, l’Assistente Sociale assume un ruolo di facilitatore nella comprensione delle modificazioni che una determinata patologia crea nella vita del paziente, dato che spesso la complessità del linguaggio medico non aiuta le persone a capire la malattia e i suoi esiti. Il sistema comunicativo adottato dalla medicina contribuisce a instaurare una distanza tra chi “detiene le informazioni” e chi si trova a vivere direttamente una patologia, per questo porre attenzione ai processi comunicativi e relazionali che si intrecciano tra i sanitari e i pazienti, permette di evitare un’adesione passiva della persona alla cura proposta (Dotti, 2015).

 Segretariato sociale: consiste nell’ascolto della domanda dell’utente, decodifica delle sue richieste ed esigenze specifiche, valutazione rispetto al suo stato di bisogno, elaborazione di una risposta informativa e di orientamento (Rossi, 2014). La circostanza che il segretariato sociale sia un’attività svolta all’interno dell’ospedale, nel momento in cui viene rilevato il bisogno, evita che la persona debba districarsi tra gli uffici dei

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servizi territoriali, soprattutto se questa è sola e impossibilitata, e quindi ha bisogno che un professionista risponda in modo idoneo e immediato. Infatti è l’ente che offre il servizio di segretariato sociale (solitamente il Comune) che definisce i turni settimanali di apertura del servizio e la collocazione logistica a livello territoriale, ricordiamo che il segretariato sociale è una di quelle misure qualificate come LIVEAS nella legge 328/2000.

L’Assistente Sociale dà informazioni alla persona e alla sua famiglia sull’invalidità che può derivare da una determinata patologia, sugli aspetti legati alla tutela assistenziale e l’eventuale aiuto previdenziale che una malattia può portare a dover richiedere. Queste situazioni mostrano un’elevata complessità, dovuta all’intreccio fra aspetti umani e legislativi. L’Assistente Sociale informa l’utenza sulle risorse esistenti e sulle modalità di accesso alle prestazioni sociosanitarie, e può inviare la persona ad un ente più competente, curando il passaggio per una presa in carico della persona da parte dei Servizi Sociali territoriali.

 Mediazione: il Servizio Sociale si occupa di interventi di sostegno e di mediazione culturale per i cittadini stranieri, in collaborazione con il servizio di mediazione linguistico-culturale dell'ospedale (ove presente), oppure con gli sportelli immigrazione dei comuni di residenza della persona. In una società sempre più multietnica, gli Assistenti Sociali devono essere consapevoli della diversità che i gruppi culturali possono avere sulle credenze sanitarie, sulla salute e sulla malattia. Influenze culturali e valoriali sono particolarmente forti in alcuni frangenti, come la nascita, la diagnosi di una malattia grave e il fine vita. Inoltre, bisogna tenere presente la difficoltà che le persone straniere possono avere nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari (Dotti, 2015).

 Tutela: dalla valutazione sociale può scaturire la necessità di mettere in atto interventi di tutela, nei confronti di varie tipologie di utenti. Gli Assistenti Sociali che lavorano in ospedale incontrano frequentemente casi di persone che hanno subìto violenza, e non sempre il personale sanitario è preparato a

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riconoscere e gestire queste situazioni. In particolare i pronto soccorso sono i luoghi di maggior accesso per le donne vittime di violenza domestica, più degli uffici di polizia, dei Servizi Sociali territoriali e delle associazioni di volontariato del settore.

Accade che arrivino in ospedale minori con una problematica sanitaria, e il Servizio Sociale ravvisi una situazione di non sufficiente protezione/tutela da parte dei genitori. E’ importante ricordare che è un dovere dell’operatore informare la magistratura se vi è il dubbio di una situazione di pericolo per il minore.

Nel contesto ospedaliero può capitare di dover attivare interventi di tutela nei confronti di persone anziane o con problematiche psichiche, quando queste non siano in grado di provvedere ai propri interessi, per evitare un danno a loro stesse o impedire che siano danneggiate da altri. In questi casi l’Assistente Sociale può attivare il procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno.

 Coordinamento del volontariato: l’Assistente Sociale svolge attività di coordinamento e collaborazione con le associazioni di volontariato presenti in ospedale e all’esterno, che operano per migliorare l’assistenza e garantire un sostegno alle persone affette da particolari patologie e alle loro famiglie. E’ con la legge 833/1978 che per la prima vota viene riconosciuto al volontariato la possibilità di concorrere ai fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale, quando ancora non si parlava di “terzo settore”. Lo scopo di queste associazioni è l’umanizzazione delle cure, nella consapevolezza dell’importanza degli aspetti relazionali e psicologici legati all’assistenza. Queste forze si rivelano valide e utili se inserite in un programma di attività rispondente ai bisogni dei malati e svolto con continuità, con una preparazione e un’assistenza da parte di personale qualificato, come quello di Servizio Sociale.

 Formazione, studio e ricerca: organizzazione di incontri formativi al fine di sensibilizzare il personale sanitario su varie problematiche di carattere

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sociale, e sull’utilizzo di strumenti di valutazione multidimensionale condivisi con altri professionisti. Eventi di questo tipo servono anche a promuovere e far conoscere il ruolo degli Assistenti Sociali negli ospedali, e a fare in modo che le loro funzioni e responsabilità siano chiare ai professionisti con cui collaborano. Il tema della formazione riguarda anche l’acquisizione di competenze sanitarie, che gli Assistenti Sociali hanno studiato autonomamente e appreso sul campo.

Una parte del lavoro riguarda l’attività di studio e ricerca sulle problematiche affrontate, la raccolta dei dati e la costruzione e sperimentazione di strumenti per la rilevazione e segnalazione dei casi che richiedono l’intervento del Servizio Sociale.

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Capitolo 2

Metodologia del Servizio Sociale Ospedaliero e strumenti

professionali

L’Assistente Sociale necessita di un modello teorico di riferimento come guida all’azione pratica, che permetta di osservare le situazioni a più livelli di analisi (psicosociale, sanitario, giuridico, ecc…), all’interno di équipe professionali per progettare, gestire, verificare l’efficacia degli interventi (Lerma, 1992).

L’operatività professionale è volta a comprendere il senso della situazione attraverso un metodo processuale, induttivo, che cerca in modo condiviso con i diversi interlocutori, di ricostruire la realtà su cui produrre cambiamenti (Dal Pra Ponticelli, 2013).

É indispensabile una riflessione sulla realtà e non l’applicazione in senso deduttivo di un modello teorico, privilegiando l’esplorazione delle interpretazioni fornite dagli interlocutori, e la ricostruzione delle situazioni nel contesto (ibidem).

La metodologia del Servizio Sociale è il processo di analisi e gestione di situazioni problematiche che si realizza attraverso una sequenza di fasi: analizzare/conoscere, valutare/ipotizzare, progettare/attuare, verificare/validare, possono differire i presupposti teorici che orientano l’azione, gli strumenti e le tecniche utilizzate in base all’oggetto da analizzare e al contesto (ibidem).

Il processo metodologico del Servizio Sociale è quindi unitario, attivabile anche in ambito ospedaliero, ciò che può variare è l’obiettivo dell’intervento e la

mission dell’istituzione.

L’approccio sistemico relazionale, con la sua spiccata attenzione al contesto, appare il più idoneo per affrontare il lavoro in ospedale, proprio perché parole e azioni all’interno del “contesto-ospedale” assumono un significato particolare, ed è indispensabile considerare l’interdipendenza tra i diversi sistemi in relazione (sistema-ospedale, sistema-famiglia, sistema-malattia ecc…).

Inoltre nel modello sistemico-relazionale trovano conferma elementi da sempre presenti nella pratica del Servizio Sociale, come l’interesse alla rete familiare e sociale in cui l’individuo è inserito, l’analisi della comunità come

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elemento che può contribuire sia a determinare il problema che a fornire risorse per risolverlo, l’attenzione al ruolo dell’ente nel processo di aiuto (Campanini, 2013).

Le basi teoriche del modello sistemico relazionale si ritrovano nella teoria generale dei sistemi e nella sua applicazione alla comunicazione umana, le successive elaborazioni si sono concentrate sulla lettura della storia e delle dinamiche familiari, mentre l’interesse verso l’ambiente sociale e gli aspetti relazionali, insieme alle teorie ecologiche, ha offerto spunti per il lavoro di rete.

L’attenzione alla conoscenza del contesto rimanda agli aspetti organizzativi dell’ente in cui il Servizio Sociale è collocato, per analizzare le relazioni, le modalità di comunicazione, le regole che governano le interazioni dei diversi sistemi anche al fine di evitare situazioni disfunzionali, in cui il servizio contribuisce a cronicizzare quegli stessi problemi che dovrebbe risolvere (ibidem). L’ottica sistemica considera i problemi come situazioni complesse a carattere multidimensionale, per i quali si richiede un intervento multifocale, come quello che viene progettato dalle équipe multiprofessionali che, attraverso una metodologia di gruppo, prevedono una stretta collaborazione tra operatori afferenti ad aree di studio diverse (medicina, psicologia, servizio sociale, scienze infermieristiche).

L’intervento del Servizio Sociale in ospedale si configura nelle azioni individuate da Cristina Odiard nel 1997:

 Richiesta d’aiuto: proviene dal reparto, dalla persona stessa o dai familiari;  Presa in carico: avviene se l’assistente sociale rileva una situazione di

bisogno sociale;

 Valutazione del caso: tramite colloqui con i sanitari, l’utente, la famiglia;  Attuazione del progetto d’aiuto: che vede il coinvolgimento di altre

strutture, servizi territoriali, volontariato;

 Trasmissione del caso: passaggio del caso dall’Assistente Sociale ospedaliera al servizio competente sul territorio;

 Documentazione: diario giornaliero, scheda riassuntiva del caso, compilazione cartella sociale, relazioni, raccolta dati;

 Inserimento del Servizio Sociale Ospedaliero in gruppi interdisciplinari per: progetti e studi in settori rilevanti (es. dimissioni difficili), ricerche volte al

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miglioramento del servizio, progetti di integrazione socio-sanitaria per una risposta globale al bisogno della persona, predisposizione di piani di collaborazione fra ospedale e enti territoriali.

2.1 La segnalazione dei casi

Come già riferito precedentemente, non esiste a livello nazionale una definizione delle procedure utilizzate dal Servizio Sociale Professionale in ambito ospedaliero, e neanche un modello organizzativo uniforme a livello regionale, pertanto in questo paragrafo si farà riferimento principalmente alle procedure e modalità operative adottate dall’Agenzia per la Continuità Assistenziale Ospedale-Territorio (ACOT) della Asl n.6 di Livorno, che con il regolamento di funzionamento approvato nel 2011 ha recepito le indicazioni contenute nell’allegato B della Delibera della Giunta Regionale della Toscana n° 1010 del 200813.

L’ACOT di Livorno è un organismo tecnico-operativo stabile ma con caratteristiche di flessibilità, costituito da un’équipe integrata di figure multiprofessionali ospedaliere e territoriali, composta da medici, infermieri e Assistenti Sociali, che lavorano secondo una metodologia di gruppo.

L’Agenzia riceve le segnalazioni da parte dei reparti ospedalieri, valuta la situazione clinica e sociale della persona ricoverata e, se necessario, pianifica gli interventi successivi alla dimissione.

Dal momento in cui un reparto contatta l’Assistente Sociale, inizia un processo di valutazione necessario per verificare la pertinenza della richiesta e per decidere i successivi passaggi: dall’analisi della valutazione, all’elaborazione di un progetto d’intervento, fino alla valutazione dei risultati (Dotti, 2015).

Spesso in ambito ospedaliero gli assistenti sociali condividono con altri professionisti degli strumenti di valutazione multidimensionale, soprattutto in riferimento al tema delle “dimissioni difficili”, che riguardano prevalentemente le

13 DGRT n° 1010/2008 “Interventi ed iniziative per il miglioramento della efficacia ed efficienza

nelle attività dei Pronto Soccorso delle Aziende Sanitarie toscane secondo i modelli della Discharge

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persone anziane. Ai pazienti vengono somministrate delle scale di valutazione, ampiamente validate in letteratura, che gli assistenti sociali utilizzano per le parti di competenza (ibidem).

Per individuare i pazienti a rischio, il personale infermieristico effettua sin dall’ingresso in reparto una prima valutazione delle condizioni socio-sanitarie del paziente, attraverso strumenti oggettivi e validati. E’ utile ricorrere a questi indici condivisi, per evitare che la decisione di segnalare il caso sia influenzata dall’esperienza e dalla sensibilità del singolo operatore sanitario.

L’indice di BRASS (Blaylock Risk Assessment Screening Score) è una scala utile per pianificare la dimissione per pazienti difficili e di età superiore ai 65 anni, permette di classificare i pazienti in tre classi di rischio: basso (0-10), medio (11-19), alto (20-40). E’ uno strumento di facile compilazione che prende in considerazione 10 dimensioni: età, situazione di vita, supporto sociale, stato funzionale, stato cognitivo, modello comportamentale, deficit sensoriali, ricoveri pregressi/accessi al Pronto Soccorso, problemi clinici attivi, numero di farmaci assunti.

La segnalazione all’ACOT di Livorno avviene da parte del Coordinatore Infermieristico del reparto ospedaliero per tutti i pazienti con indice superiore a 11, quindi medio e alto.

L’Agenzia verifica se la persona è già in carico ai servizi territoriali ed inserito in percorsi assistenziali, in quel caso attua un percorso semplificato con équipe ridotta, o con contatti telefonici agli operatori che seguono già il caso.

L’infermiere e l’Assistente Sociale dell’ACOT effettuano in reparto una prima valutazione dei bisogni socio-sanitari della persona e contattano il caregiver e il Medico di Medicina Generale del paziente. Nel caso di situazioni complesse viene attivato il “gruppo di progetto” per la valutazione congiunta, gruppo composto dal Medico di Medicina Generale, infermiere, Assistente Sociale, un operatore della struttura prevista per la presa in carico e eventuali altre figure necessarie in base al caso specifico.

Oltre alle problematiche legate agli anziani, la casistica segnalata all’Assistente Sociale in ospedale riguarda spesso donne o minori che hanno subìto violenza, visto che molte vittime si recano in ospedale a causa delle conseguenze

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fisiche dell’aggressione. “Il maltrattamento subìto durante la gravidanza risulta essere la principale causa di anomalie prenatali e di mortalità infantile” (Dotti, 2015).

Il questionario SARA (Spousal Assault Risk Assessment) è uno strumento utile per valutare il rischio di recidiva di maltrattamento, anche utilizzando la versione di screening di questo strumento, l’Assistente Sociale può rilevare se è presente un rischio di recidiva o di escalation della violenza, e quindi individuare l’intervento di protezione più opportuno da attivare (ibidem).

Al Servizio Sociale Ospedaliero giungono anche segnalazioni di minori le cui condizioni possono far pensare a situazioni di incuria o trascuratezza, perciò si richiede all'Assistente Sociale di intervenire rapidamente con un intervento di protezione o iniziare una valutazione delle capacità genitoriali già durante la degenza.

Si decide di approfondire la situazione in presenza di alcuni indicatori fisici osservabili nel bambino come un abbigliamento inadeguato, scarsa igiene, condizioni di denutrizione o ipernutrizione, ricorrenti problemi oculistici, odontoiatrici e otoiatrici non riconosciuti e non curati dai genitori, o evidenti indicatori comportamentali, ad esempio un ritardo psicomotorio o del linguaggio per cui non siano mai stati attivati percorsi diagnostici o di sostegno (ibidem).

L’Assistente Sociale ha il dovere di segnalare all’autorità giudiziaria che vi è una situazione di pericolo per il minore, sarà poi la Procura a fare una propria valutazione.

2.2 Il colloquio

Il colloquio è uno strumento professionale fondamentale per l’Assistente Sociale, è definito da Milena Lerma (1992) come uno “scambio comunicativo tra persone nel contesto di un servizio sollecitato da una domanda di aiuto o volto a promuoverla per un preciso scopo, con determinate regole”.

Il colloquio professionale non è solo una relazione a due, ma una situazione comunicativa in cui interagiscono l’operatore, l’utenza, l’ente, poiché si svolge all’interno di un contesto istituzionale che legittima l’operatore a prendere in carico professionalmente l’utente (Bartolomei, Passera, 2005)

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Il colloquio ha caratteristiche particolari quando riguarda persone che si trovano temporaneamente all’interno dell’ospedale, soprattutto in riferimento al luogo in cui viene effettuato e alle modalità con cui viene richiesto.

In ospedale spesso l’Assistente Sociale viene messo in contatto con il paziente grazie alla segnalazione del reparto, quindi non in base a una richiesta della persona, invertendo il classico schema per cui l’Assistente Sociale attende le persone che si recano nel suo ufficio per portare un bisogno. In queste situazioni la domanda di aiuto è espressa dai familiari o dall’ente, e questo può produrre sentimenti di ostilità all’inizio della relazione, perché l’utente percepisce l’operatore come intrusivo. In questi casi, dal punto di vista operativo, l’Assistente Sociale dovrà valutare attentamente se e quando intervenire (Allegri, Palmieri, Zucca, 2014).

Uno degli aspetti più critici dei colloqui svolti all’interno dell’ospedale è quello dello spazio fisico, il setting, che dovrebbe rispettare la privacy dell’utente e il suo diritto a fruire positivamente e costruttivamente del colloquio stesso.

Se l’Assistente Sociale non ha un ufficio dentro l’ospedale, bisogna cercare per quanto possibile di individuare uno spazio riservato, considerando anche le eventuali limitazione della persona negli spostamenti.

I colloqui effettuati nella stanza di degenza, è evidente che non possano garantire la riservatezza della persona, la presenza di altri pazienti può condizionare ciò che l’utente esprime, e limitare l’efficacia del colloquio, inoltre i rumori, le interruzioni, l’arredamento, sono tutti elementi che caratterizzano il contesto fisico dell’interazione con l’utente.

Il colloquio professionale è motivato e finalizzato, e richiede una definizione dei ruoli dei comunicanti, in quanto l’operatore ha la responsabilità di condurre il colloquio, approfondire alcune aree, aiutare l’utente a esprimere fatti e sentimenti, e l’utente ha un’aspettativa di aiuto, ha diritto di essere ascoltato, informato e orientato (Lerma, 1992).

Non è raro che in ospedale vengano condotti dei colloqui congiuntamente dal medico e dall’Assistente Sociale, per verificare il livello di consapevolezza dell’utente e della famiglia riguardo la malattia e il suo evolversi. In questi casi è utile per gli operatori concordare prima del colloquio i temi da affrontare, in modo

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da far emergere una lettura condivisa del caso ed evitare che i diversi interventi istituzionali risultino contraddittori e frammentati agli occhi dell’utente.

Interventi discordanti producono soltanto l’amplificazione dei problemi del paziente, ottenendo l’effetto opposto di quello auspicato (AA.VV., 2010).

Il colloquio è uno strumento molto simile alle conversazioni del quotidiano ma allo stesso tempo dotato di un suo rigore metodologico, è importante che l’utente riconosca la qualità dell’interazione, influenzata dal contesto di intervento sociale (Allegri, Palmieri, Zucca, 2014).

Durante il colloquio le competenze professionali dell’Assistente Sociale sono completate dalle capacità relazionali, infatti il professionista dovrebbe avere una buona consapevolezza di sé, del proprio mondo interno, dei propri limiti e conflitti non risolti, per riuscire a tollerare la sofferenza dell’utente senza farsene travolgere (ibidem).

Nel contesto ospedaliero è bene valutare da chi è stato richiesto il colloquio e quale domanda porta l’utente, ma anche cercare di capire quale sia l’aspettativa della persona riguardo il ruolo dell’Assistente Sociale in ospedale, poiché l’utente si porta dietro le proprie rappresentazioni e schemi mentali, influenzati dall’istituzione che il professionista rappresenta e dall’immagine pubblica di quella professione, a volte attaccata da pregiudizi.

Nella pratica è opportuno che l’Assistente Sociale, utilizzando un linguaggio chiaro e comprensibile da pazienti appartenenti a diverse estrazioni culturali e sociali, si presenti sinteticamente per far capire quali funzioni è chiamato a svolgere all’interno di quell’ente, ad esempio: “Sono il dottor…… e lavoro come Assistente Sociale occupandomi delle dimissioni” (ibidem).

Il colloquio professionale non è soltanto uno scambio di parole, ma è anche ascolto, osservazione e silenzio, cioè una relazione empatica. L’ascolto per essere efficace deve essere attento a cogliere il significato di ciò che l’utente dice e orientato alla restituzione di ciò che si è compreso rispetto al problema. Il silenzio è inteso come capacità costruttiva di porsi in sintonia con l’altro, nel rispetto dei suoi tempi espressivi e di elaborazione, e di lasciare spazio all’emotività e alla riflessione (Bartolomei, Passera, 2005).

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L’Assistente Sociale deve considerare attentamente la portata simbolica delle parole, spesso gli utenti utilizzano metafore e modi di dire per raccontare la malattia. Il colloquio professionale in ospedale è caratterizzato da una sospensione dello schema tipico della consulenza medica (bisogno-risposta), è uno spazio per interrogarsi riflessivamente sulla domanda, “per farsi sorprendere dalle parole dell’utente, ma anche dalle proprie reazioni emotive” (Allegri, Palmieri, Zucca, 2014).

Il professionista deve sviluppare una capacità di lettura della comunicazione non verbale, osservando la postura, la gestualità, i movimenti, i contatti corporei, ovviamente in ospedale questi aspetti dipendono anche dalle condizioni fisiche dell’utente, se non può alzarsi dal letto i suoi movimenti saranno limitati ma è possibile comunque osservare le espressioni del volto e la frequenza e la direzione dello sguardo.

La modalità di gestione del proprio spazio sociale (studiata dalla prossemica) dipende infatti da vari elementi come il tipo di relazione in atto, l’età, la professione, la cultura e le circostanze (ibidem).

Il pianto è una manifestazione di comunicazione non verbale ricca di significati, non è mai casuale ed è importante chiedersi in che fase della relazione d’aiuto avviene (ibidem).

Il modello teorico sistemico-relazionale suggerisce di coinvolgere nei colloqui i componenti della famiglia per comprendere il problema e formulare ipotesi. Tale prospettiva presta attenzione ai diversi sistemi di riferimento della persona, quindi non solo al contesto familiare, ma anche alle reti amicali e alla situazione lavorativa, permettendo di raccogliere elementi utili per proporre soluzioni in vista delle dimissioni.

Il colloquio con la famiglia è complesso, richiede all’operatore allenamento e autoriflessione, è però tra i più efficaci per raccogliere informazioni sulle relazioni tra i componenti (ibidem).

L’Assistente Sociale che si trova ad effettuare colloqui con i minori deve osservare alcuni accorgimenti tecnici specifici, a partire dalla gestione dello spazio, ad esempio la scrivania può rappresentare un ostacolo alla comunicazione. Nei reparti pediatrici degli ospedali solitamente si utilizzano dei giochi per facilitare

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l’interazione con il bambino, l’operatore dovrà modificare il proprio stile di conduzione e formulare le domande in modo semplice e chiaro. Il disegno è uno strumento attraverso il quale il bambino esprime le proprie paure, come la paura dell’intervento o l’idea che si è fatto della malattia, anche attraverso metafore. Commentare insieme al bambino ciò che sta disegnando (non con una valenza diagnostica in senso psicologico), grazie ad una forma di narrazione adatta all’età del bambino, può servire a facilitare la comunicazione (ibidem).

L’Assistente Sociale che ha una funzione di mediazione culturale deve considerare il diverso significato che viene assegnato nelle varie culture alla povertà, al modo di prendersi cura dei figli, alla malattia, al dolore, alla morte. Durante il colloquio con persone straniere l’operatore deve cercare di facilitare la comprensione reciproca, ascoltare come l’utente descrive il problema, tenendo presente che possono essere concepite in modo diverso le fasi del ciclo vitale o i possibili contesti di vita (ibidem).

Spesso quello condotto in ospedale è un primo colloquio di orientamento, volto ad indirizzare l’utente verso il Servizio Sociale territoriale dopo le dimissioni. É un colloquio di sostegno emotivo, a partire da dati reali sulla storia dell’utente, il quale esprime i propri desideri, l’Assistente Sociale offre informazioni sulle possibilità concrete, cioè servizi, strutture, contributi economici, è un colloquio comunque rivolto al futuro, all’attuazione di un progetto condiviso.

2.3 La documentazione e il sistema informativo

L’attività del documentare ha un ruolo essenziale nel lavoro dell’Assistente Sociale, comporta un processo di selezione e organizzazione delle informazioni ritenute rilevanti rispetto a un obiettivo. Alla base vi è una riflessione sulle azioni professionali, mediata dal tempo di elaborazione e dai supporti (cartacei o informatici) (Bartolomei, Passera, 2005).

La documentazione professionale è legata operativamente agli strumenti utilizzati nella prassi, attinenti al processo di aiuto, pensiamo alla registrazione del colloquio, alla verbalizzazione del lavoro di équipe, alla redazione del contratto scritto (ibidem).

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La documentazione ha funzioni di garanzia circa l’attendibilità della propria azione professionale nei confronti degli utenti, degli altri servizi, dei tribunali, ed è quindi connessa alla responsabilità dell’Assistente Sociale nei confronti dell’utente, dei colleghi e dell’organizzazione.

L’utilizzo della cartella sociale informatizzata permette di quantificare e qualificare le prestazioni ed è un valido supporto per la programmazione, gestione e valutazione dei servizi.

Il contenuto e lo stile della documentazione variano sulla base delle finalità specifiche per cui è prodotta e dei destinatari a cui è rivolta. Si richiede, in ogni caso, l’utilizzo di una terminologia appropriata, puntuale e chiara, la capacità di argomentare correttamente le proprie considerazioni, l’osservanza di norme legislative o che la comunità professionale si è data (Capra, 2013).

Un supporto digitale permette di semplificare la gestione degli archivi, ridurre i tempi per il reperimento dei dati, e agevolare la comunicazione intra- e inter-istituzionale, purtroppo però sembra che l’utilizzo delle nuove tecnologie, in alcune aree dei servizi, abbia conosciuto un livello di diffusione lento e problematico (ibidem).

Come evidenziato nel Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale 2012-2015 della Toscana “mentre il sistema informativo in ambito sanitario ha avuto un notevole impulso negli ultimi anni, altrettanto non è avvenuto per l’ambito socio-sanitario e sociale”, infatti notevoli passi avanti sono stati fatti con l’introduzione del sistema informativo della non autosufficienza, ma permangono difficoltà nell’utilizzo degli strumenti gestionali, e vi sono ancora zone rurali non coperte.

L’articolo 21 della legge 328/2000 prevede l’istituzione del “sistema informativo dei Servizi Sociali”, anche “...per la promozione e l’attivazione di progetti europei, per il coordinamento con le strutture sanitarie, formative, con le politiche del lavoro e dell’occupazione”.

Il sistema informativo dei servizi sociali, come delineato nella legge 328/2000, è un sistema integrato costruito secondo un modello organizzativo che renda consultabili le informazioni sull’intero territorio nazionale. Questo sistema dovrebbe prevedere forme di collegamento con il sistema informativo sanitario nazionale e locale, nonché europeo (Andrenacci, Sprovieri, 2004).

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