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I meccanismi di integrazione differenziata "esterni" all'ordinamento giuridico dell'Unione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA(LMG)

I meccanismi di integrazione differenziata “esterni” all’ordinamento

giuridico dell’Unione europea

Relatore:

Prof. Simone Marinai

Candidato:

Alessandro Nucci

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I MECCANISMI DI INTEGRAZIONE DIFFERENZIATA”ESTERNI” ALL’ORDINAMENTO GIURIDICO DELL’UNIONE EUROPEA

PREFAZIONE 4

CAPITOLO I – Lo sviluppo dell’Unione europea mediante lo

strumento dell’integrazione differenziata

1.1 La progressiva cessione di sovranità a favore dell’ente internazionale 7 1.2 L’esigenza di introdurre meccanismi che permettano uno sviluppo differenziato dell’integrazione 10

1.3 Le diverse forme di integrazione differenziata 15

1.3.1 La cooperazione rafforzata 19

1.3.2 La differenziazione interna 30

1.3.3 La differenziazione esterna 41

CAPITOLO II -

La differenziazione esterna nell’ordinamento

dell’Unione

2.1 Il MES 50

2.1.1 Aspetti istituzionali 54

2.1.2 Lo status giuridico dei membri del MES 59

2.1.3 I punti di contatto fra il MES e l’Unione europea 61

2.1.4 La questione della legittimità e del rispetto dei Trattati Istitutivi da parte del MES 64 2.2 Il TUB

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2.2.1 La tutela brevettuale unitaria 69

2.2.2 Le basi giuridiche 73

2.2.3 Incidenza sulla giurisdizione civile dell’unione 75

CAPITOLO III - La differenziazione esterna occasionale

3.1 Il TSCG o Fiscal Compact 80

3.1.1 Il ruolo delle istituzioni europee in seno al TSCG 82

3.1.2 La governance del TSCG 84

3.1.3 Punti di contatto tra TSCG e Unione 87

3.1.4 Il ricorso per infrazione 89

3.2 Il Trattato di Prüm 91

3.2.1La natura giuridica del Trattato di Prüm 93

3.2.2 Lo scambio di informazioni previsto dal Trattato 94

3.2.3 La creazione e la conservazione delle banche dati 97

3.2.4 L’accesso alle banche dati 98

3.2.5 Le ipotesi particolari di trasmissione di informazioni 102

3.2.6 Diritto all’informazione e tutela della riservatezza 105

CONCLUSIONI

………109

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4 PREFAZIONE

Con il termine “integrazione differenziata” si suole indicare la facoltà concessa agli Stati membri dell’Unione europea di dare forma a collaborazioni finalizzate a una maggiore coesione e soprattutto al raggiungimento di obiettivi diversificati, in base a capacità e esigenze di tali Stati. Questo meccanismo è stato adoperato fin dagli anni sessanta del secolo scorso; in particolare, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e di quello di Amsterdam, si è avuto un forte sviluppo dell’integrazione differenziata grazie all’introduzione dello strumento della cooperazione rafforzata. Quest’ultimo rientra nella c.d. differenziazione interna, che si sostanzia in un’attività di collaborazione fra Stati membri promossa all’interno dell’ordinamento dell’Unione, che sarà oggetto di discussione del I capitolo, dove verrà fatta una disamina generale sul processo di cessione di sovranità compiuto dagli Stati membri dell’Unione a favore di quest’ultima e dove, attraverso la classificazione delle componenti dell’integrazione differenziata, verrà introdotto il concetto di “differenziazione esterna” all’ordinamento dell’Unione, il cui esame costituirà il corpo centrale della tesi.

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Nel secondo capitolo verranno presi in esame in maniera più approfondita, le modalità con cui la differenziazione esterna si compie, attraverso l’analisi del Trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità (MES) e della tutela brevettuale unica europea (TUB). Essi ci forniranno gli elementi fondamentali del processo di integrazione differenziata “esterno” ed i suoi rapporti con l’ordinamento dell’Unione europea; ci chiariranno in particolare, le modalità attraverso le quali questa integrazione viene raggiunta per mezzo dell’uso di accordi di tipo internazionale fra Stati membri dell’Unione.

Infine nel terzo capitolo verranno analizzati due ulteriori trattati indicati come occasionali in quanto non prefigurati nè tantomeno previsti dal diritto Ue, con il quale comunque restano sempre coordinati. Verrà analizzata quindi la loro compatibilità con i Trattati istitutivi in virtù dalla scelta di realizzare gli obiettivi dell’Unione “extra ordinem”1

, servendosi degli strumenti classici del diritto internazionale. In particolare in ambito di stabilità di bilanci pubblici e sul coordinamento delle politiche economiche, nonché sul governo delle stesse, verranno analizzati i tratti principali del TSCG e in ambito di cooperazione transfrontaliera,

1

E. PISTOIA, limiti all’integrazione differenziata dell’Unione europea, in Collana di studi sull’integrazione

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6

al fine della lotta al terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e all’immigrazione illegale, sarà preso in considerazione, nei suoi tratti essenziali, il Trattato di Prüm.

Conclude il lavoro una riflessione globale sulle problematiche riscontrate nell’analisi dei rapporti tra il diritto dell’Unione e i meccanismi di integrazione differenziata.

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7

CAPITOLO I - Lo sviluppo dell’Unione europea mediante lo strumento dell’integrazione differenziata

1.1 La progressiva cessione di sovranità a favore dell’organizzazione internazionale.

Lo studio dei processi integrativi dell’Unione Europea consiste in un’analisi delle modalità attraverso le quali, gli Stati membri, hanno voluto cedere parte della loro sovranità ad una istituzione sovranazionale. Ciò è avvenuto sin dalle origini, con l’istituzione della CECA mediante il Trattato di Parigi nel 1951, che ha comportato la gestione in comune di materie prime fondamentali per l’epoca, quali il carbone e l’acciaio. Ulteriori cessioni di porzioni di sovranità si sono poi verificate con i Trattati di Roma del 1957 istitutivi della CEE e dell’EUROTOM.

La cessione di sovranità è continuata nel tempo fino a definire in maniera sempre più puntuale le materie la cui competenza viene demandata all’Unione. Questi ambiti sono stati definiti dal susseguirsi di accordi e trattati che hanno portato alla costituzione dell’attuale Unione Europea nel 1992, con il trattato

di Maastricht, passando da quella che era una Comunità i cui obiettivi erano sostanzialmente economici ad un’Unione di Stati la

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cui competenza si è ampliata in maniera esponenziale. Tale evoluzione è avvenuta sotto l’influenza delle varie forze politiche che negli anni si sono succedute nel panorama europeo e che, per la loro stessa natura, hanno guidato l’Unione e hanno inteso modellarla con le proprie determinazioni sul punto basate sull’evolversi degli eventi e sul divergente assetto delle forze in gioco. Ciò ha prodotto in particolare i propri effetti sotto due punti di vista ravvisabili, da un lato, nel c.d. metodo intergovernativo, ossia tramite una cooperazione internazionale fra Stati esterna alla Comunità, ma ad essa strettamente collegata e, dall’altro, nel c.d. metodo comunitario, nell’ambito del quale gli Stati membri attribuiscono competenza e funzioni alle istituzione della Comunità impegnandosi a rispettare la volontà delle stesse e ad intervenire soltanto nelle forme e nelle modalità espressamente stabilite dai trattati2.

Questa cessione parziale della sovranità, come si denota da alcuni passi della stessa Corte di Giustizia, è sempre stata alla base delle competenze dell’Unione; infatti essa ha, a più riprese, affermato che questo fenomeno di integrazione regionale, allora ancora organizzato entro la sola Comunità economica europea, “va

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al di là di un accordo che si limita a creare obblighi reciproci fra gli stati contraenti”3

avendo invece costituito una “comunità di diritto”, “dotata di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale”4, che esercita “poteri

effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzione dagli stati”, i quali hanno così “rinunciato, in settori sempre più ampi, ai loro poteri sovrani”56

.

L’Unione però non è solamente un ente internazionale di Stati, ma ad essa partecipano anche gli individui; ciò vuol dire che, al proprio interno, non vi è solo la partecipazione singola delle Nazioni come rappresentanza dei propri governi, ma anche una vera e propria rappresentanza dei popoli, in forma di partecipazione sociale. In ragione di questo si denota quindi che alla base dell’Ue vi è una necessaria manifestazione di volontà degli individui appartenenti agli Stati membri ed è proprio questa

volontà che, per esempio nel 2004, ha bloccato, attraverso i referendum di Francia e Olanda, il processo di ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Ciò ha quindi posto la

3

Sentenza della Corte di giustizia del 5 febbraio 1963, causa 26/62 Van Gend & Loos.

4

Sentenza della Corte di giustizia del 15 luglio 1964, causa 6/64 Costa vs Enel.

5 Parere della Corte di giustizia dl 14 dicembre 1991, cit. punto 20. 6

N.PARISI, Considerazioni sulla natura giuridica dell’Unione europea alla luce dei rapporti fra gli Stati membri e

fra questi e l’organizzazione, in U. DRAETTA E A. SANTINI, L’Unione europea in cerca di identità, Milano, 2008,

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10

questione della reale legittimazione degli organi dell’Unione da parte dei cittadini UE, andando a creare un bivio nel processo di integrazione europea, in particolare per la mancanza di affidabilità sia del metodo comunitario sia di quello intergovernativo, ma soprattutto a causa del limite che ormai la cessione di sovranità sembra aver raggiunto negli ultimi anni; limite oltre il quale gli Stati non vogliono andare, in particolare poiché la concezione che i governi degli Stati membri sembrano avere dell’evoluzione ulteriore dell’Unione non coincide con il suo metodo di attuazione, volto al raggiungimento di una visione federale dell’ente internazionale.

1.2 L’esigenza di introdurre meccanismi che consentano uno sviluppo differenziato dell’integrazione

Con il progressivo ampliamento dell’Unione europea si assiste alla nascita di un dibattito volto al raggiungimento di una velocizzazione dei processi di integrazione. Il crescente numero di Stati membri dell’Ue ha infatti inevitabilmente aumentato le

disomogeneità interne all’organizzazione internazionale. Si è quindi iniziato a discutere sull’opportunità di creare una Europa c.d. a “differenti velocità”, basata su un criterio di flessibilità nelle

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norme del diritto europeo e in particolare nella loro applicazione, che riconosceva quindi come “flessibili quelle disposizioni di diritto dell’Unione Europea che non si indirizzano alla totalità degli Stati membri, creando situazioni differenziate tra gli stessi”7

. In una certa misura l’Unione europea già conosce “diverse velocità”. Per esempio l’Euro, innanzitutto, è la valuta di 19 Stati membri su 28. Dunque già è prevista una diversa integrazione, monetaria in questo caso, nella Ue. In realtà, a norma dei trattati, l’Euro è obbligatorio per tutti gli Stati membri nel momento in cui raggiungono determinati parametri economici. Gli unici esenti da tale regola sono (erano) i britannici, che stanno per abbandonare l’Ue, e i danesi, in virtù di appositi opt-out8

, cioè possibilità di “chiamarsi fuori” da specifiche obbligazioni previste dai trattati. Dei restanti Stati che non hanno introdotto l’Euro, solo la Svezia ha raggiunto i parametri di Maastricht, ma ancora non ha adottato

la valuta unica.

Un ulteriore esempio può essere fatto anche in tema di circolazione della persone, in particolare con il trattato di

7

P. FOIS, Applicazione differenziata e flessibilità nel diritto dell’Unione Europea, in Studi sull’integrazione

europea, 2011 p.35.

8 Opt-out sono presenti non solo in materia monetaria(UEM), ma anche con riferimento ad altre materie di

competenza dell’Unione, in particolare con riguardo agli Accordi di Schengen, alla polita estera e di sicurezza comune (PESC), alla cittadinanza europea, alla giustizia e agli affari interni (GAI) e alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

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Schengen9 del 1985. Con esso si è venuta a creare una situazione alquanto particolare, in cui ricorrendo alla metafora delle velocità, all’accelerazione corrisponderà un rallentamento, anzi un arretramento10; questo poiché sono state introdotte procedure che miglioreranno sicuramente l’integrazione e quindi la circolazione dei cittadini degli Stati membri, ma, allo stesso tempo, sono stati previsti controlli che recheranno rallentamenti nella circolazione delle persone appartenenti agli Stati non membri dell’Unione.

Tale progetto di integrazione a “differenti velocità”, però è addirittura più ambizioso, rispetto a quanto appena visto, in quanto non si basa esclusivamente su delle deroghe (opt-out), ma dà la possibilità ad un gruppo di Stati di avvalersi di meccanismi di integrazione maggiormente evoluti rispetto agli altri, caratterizzati da una specificità nelle politiche, le quali devono essere esattamente individuate e che possono riguardare materie di competenza non esclusiva dell’Unione, senza la necessità dell’approvazione degli altri Stati membri. Esso quindi si fonda su una differenziazione su base soggettiva, cioè su un numero

9

Testo dell’accordo pubblicato in Journal Officiel de la Republique française, 5 agosto 1986

10

Cit. G. GAJA, Le due velocità in tema di circolazione delle persone, in Rivista di diritto internazionale, 1989, p639.

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ristretto di soggetti che decide di sviluppare una maggiore coesione e condivisione su determinati interessi comuni.

La flessibilità fin qui trattata però, non è esente da limiti, infatti sono ritenuti tali i c.d. principi fondamentali dell’Unione, i quali la stessa Corte di Giustizia, ricomprende in un nucleo centrale europeo che risulta imprescindibile per l’operato dell’Unione stessa, nucleo basato su principi e valori comuni costituenti le fondamenta dell’ordinamento comunitario. In questa cerchia va quindi ricompreso un nocciolo duro di disposizioni, che si sostanzia: nell’art 6 TUE, in materia di principio di libertà, democrazia, legalità e rispetto dei diritti umani; l’art 1 TUE e il 4 TFUE in materia di principi di leale collaborazione e solidarietà; l’art 18 TFUE in materia di non discriminazione; l’art 3 TUE e 25 TFUE in materia di libertà fondamentali costitutive del mercato interno; l’art 5 TFUE in materia di sussidiarietà e proporzionalità; l’art 1 e 3 TUE riguardanti il principio di coerenza del sistema; infine gli art da 2 a 6 del TFUE in materia di esclusività delle competenze europee in tema di unione doganale, concorrenza

intra-comunitaria e politica commerciale comune. Questo nucleo di norme risulta quindi dover essere rispettato e posto alla base del criterio di flessibilità affinché esso risulti applicato in modo

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corretto, anche mediante controlli, non solo da parte di istituzione europee, ma con la collaborazione dei giudici e dei parlamenti nazionali in veste di garanti di tali diritti fondamentali.

Come abbiamo visto la flessibilità è strettamente legata all’allargamento dell’Unione, in quanto una fa crescere l’altro e viceversa; in questa direzione si sono quindi mossi prima il trattato di Amsterdam del 199711 e poi quello di Lisbona del 200712, andando ad introdurre lo strumento principe dell’integrazione europea, cioè la cooperazione rafforzata, non come strumento di flessibilità volto alla perdita di identità, di valori e funzionalità, ma anzi come attenuante di questi timori. Infatti gli obiettivi, sia sul piano economico che su quello politico, della cooperazione rafforzata, possono essere portati avanti da un ristretto numero di Stati con sviluppi che non vanno a pregiudicare gli interessi degli stati candidati ad aderire all’Unione, non avendo motivo essi di sentirsi lasciati da parte, né tantomeno in un’ “Europa minore”, ma

in un Unione sempre più stretta e coesa.

11

Ex art. 11 TCE

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1.3 Le diverse forme di integrazione differenziata

Come abbiamo visto, l’uso di forme di flessibilità nel diritto dell’Unione Europea è per certi versi presente fin dagli albori del processo di integrazione .

L’art 17 del trattato CEE prevedeva la possibilità di mantenere in vita, a certe condizioni, un dazio doganale quando la Commissione avesse constatato che la sua sostituzione avrebbe comportato gravi difficoltà per lo Stato membro di riferimento, ciò, nonostante che l’obiettivo dell’unione doganale e della libertà di circolazione, imponesse la sua eliminazione. Seppur temporaneo, si prevedeva quindi, già allora, un regime “differenziato” per alcuni Stati Membri; il fenomeno assunse poi ancor più consistenza con il trattato di Maastricht laddove concesse la possibilità a Danimarca e Regno Unito di non partecipare alla terza fase dell’unione monetaria ed economica, istituendo così una distinzione tra Stati membri partecipanti, Stati con deroga e Stati con statuto speciale13.

È in questo ambito che si inserisce l’integrazione differenziata, essa si qualifica come uno strumento che consente

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agli Stati membri di partecipare in gradi diversi al processo di integrazione europea pur restandone parte a pieno ed uguale titolo14. Inoltre viene definita come il grado diverso di integrazione di cui possono beneficiare gli Stati membri nel contesto del processo avviato con l’istituzione della CECA e idealmente tendente al modello federale15. Tale diverso grado di integrazione deriva dal fatto che non tutte le norme che la disciplinano, come ampliamente visto nei paragrafi precedenti, si applicano a tutti gli Stati membri e consiste in un differente ruolo delle istituzioni dell’Unione europea nei diversi Stati membri16

. Questa definizione non coincide però con quelli che sono i presupposti del metodo comunitario e in particolare con le caratteristiche del “mercato comune”, quale prodotto dell’unificazione giuridica. Infatti tale fenomeno sembra presentare delle incoerenze con la concezione attuale dell’Unione che si deducono anche dai riferimenti testuali che appaiono nei trattati. Basti pensare, anzitutto, all’“unione

sempre più stretta fra i popoli” dell’Europa, o europei, di cui al preambolo, rispettivamente, del TUE e del TFUE (nonché all’art.

14

Cit. E. PISTOIA, Limiti all’integrazione differenziata dell’Unione europea, in Collana di studi sull’integrazione

europea, pag. 7 15

Vedi A. STUBB, A Categorization of differentiated integration, in Journal of Common Market Studies, 1996, p.283.

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1, comma 2°, TUE), come pure all’ ”azione comune”17

attraverso la quale assicurare il progresso economico e sociale degli Stati membri. Di ciò è indice anche la fonte dell’ordinamento “direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”18

, cioè il regolamento, che è espressione della unitarietà del sistema. Si pensi, inoltre anche alla Corte di giustizia, che ha elaborato una serie di principi generali, che in realtà poi così comuni non sono, ma sui quali si è fondata un’opera di creazione di diritto primario uniforme, realizzata partendo da valori eteronomi, divergenti o, comunque, non sovrapponibili, la cui diversità è stata, di volta in volta, sostanzialmente svalutata, ridotta, per trasformarli in principi comuni del sistema. O ancora al monopolio della stessa

Corte sulla funzione di controllo di validità degli atti dell’Unione, che preclude ai giudizi nazionali ogni tipo di sindacato, sia che si tratti di invalidità che di disapplicazione, sugli atti delle istituzioni europee, prima che sia intervenuta una declaratoria di invalidità della Corte stessa. Nonostante il fatto che

questi elementi sembrino indicare una contrarietà del diritto dell’Unione alla integrazione differenziata, ve ne sono tuttavia

17

Cfr. preambolo del TFUE.

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altri che sembrano far ritenere possibili vari modelli di essa. Ad esempio il rispetto dell’ “identità nazionale”19

degli Stati membri, oppure lo stesso motto dell’Unione “unita nella diversità”20

. Significativa è pure la direttiva, quale fonte del diritto europeo, volta all’armonizzazione, ben distinta dall’unificazione dettata dai regolamenti. Oppure si può, infine richiamare sempre l’attività della Corte, in questo caso, non più come attività unificatrice ma come sostegno alla differenziazione; in particolare nell’ambito della garanzia all’uniformità interpretativa, essa detta la regola di principio, ma allo stesso tempo, la consegna al giudice nazionale, concedendogli una discrezionalità nell’applicazione influenzata sicuramente dal sistema nazionale di appartenenza.

L’integrazione differenziata esplica le sue funzioni, sia attraverso l’applicazione di norme interne dell’ordinamento dell’Unione a un gruppo ristretto di Stati, c.d. differenziazione interna, nella quale uno degli strumenti maggiormente usati è

quello della cooperazione rafforzata, sia attraverso la stipulazione di convenzioni internazionali tra gruppi di Stati membri che riguardano temi di integrazione, c.d. differenziazione esterna.

19

Cfr. art. 4, par. 2, TUE,

20

Per una ricostruzione delle origini e del significato di tale locuzione, cfr. C. CURTI GIALDINO, Unita nella

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19 1.3.1 La cooperazione rafforzata

La cooperazione rafforzata è una species del genus dell’integrazione differenziata e del criterio di flessibilità e rappresenta una delle più importanti novità apportate al sistema dell’Unione, introdotta dal Trattato di Amsterdam nel 1997.

Essa riconosce agli Stati Membri il diritto di attuare azioni comuni anche in assenza di volontà concorde di tutti gli Stati Membri della UE, così da permettere loro di perseguire gli obiettivi che non potrebbero essere raggiunti, in tempi ragionevoli, da “tutti” gli Stati Membri. Il fine di tale procedura è quello di superare la paralisi che si verifica quando una proposta è bloccata da un singolo paese o da un piccolo gruppo di paesi che non vogliono far parte dell’iniziativa.

Le iniziali disposizioni in materia, sono state oggetto di modifica da parte di trattati successivi; esse, infatti, erano fondate su un’impostazione più rigida della attuale sia in relazione alle

condizioni in cui la cooperazione poteva operare, sia relativamente alle procedure da seguire per instaurarla. L’art 43 TUE, l’ex art 11 Trattato CE e l’ex art 40 TUE, ponevano una serie molto ampia di condizioni cui era subordinata l’attuazione della cooperazione;

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inoltre era assolutamente esclusa la possibilità di attuare la cooperazione in materia di politica estera e di sicurezza comune, circostanza peraltro difficilmente spiegabile, dal momento che si trattava invece dell’ambito di applicazione naturale della cooperazione rafforzata21.

Per quanto attiene la procedura, in materia, era in sostanza il Consiglio che decideva a maggioranza qualificata essendo sminuiti i ruoli e della Commissione e del Parlamento; la maggioranza qualificata rispetto all’unanimità, costituiva un incentivo all’utilizzo dello strumento, ma l’ex art 11 Trattato CE, prevedeva la possibilità per qualsiasi Stato membro che lo volesse, di bloccare la procedura, opponendosi ad un’autorizzazione a maggioranza qualificata; a quel punto il Consiglio poteva chiedere che la decisione fosse presa all’unanimità. Le numerose condizioni e la presenza della possibilità di questo “freno di emergenza”, hanno portato negli anni al fallimento di vari tentativi di instaurazione di cooperazione rafforzata22.

21

E. PHILIPPART and G. EDWARDS, The Provisions on closer co-operation in the treaty of Amsterdam: the

politics of flexibility in the European Union, cit. p 99

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Il Trattato di Nizza intervenne su tali disposizioni, non apportando grandi cambiamenti; rese le disposizioni più chiare e leggibili23 e consentì che la cooperazione potesse essere richiesta anche in materie attinenti alla politica estera e alla sicurezza comune. Per quanto attiene le procedure, restava comunque la possibilità da parte di un Stato Membro di opporsi alla decisione del Consiglio a maggioranza qualificata e, nel caso, il Consiglio poteva chiedere che essa fosse decisa all’unanimità.

Con il Trattato di Lisbona tale possibilità viene esclusa. Tale istituto è oggi disciplinato dall’art 20 NTUE e la disciplina è poi completata dagli art 326-334 del TFUE e integrata da norme ad hoc per alcuni settori specifici. L’art 20 NTUE ne definisce l’oggetto: “Gli Stati Membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro delle competenze non esclusive dell’Unione, possono fare ricorso alle sue istituzioni ed

esercitare tali competenze applicando le pertinenti disposizioni dei trattati, nei limiti e con le modalità previste nel presente articolo e negli articoli da 326 a 334 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”. L’art 326 TFUE prevede che le cooperazioni rafforzate non possono recare pregiudizio né al

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mercato interno né alla coesione economica, sociale e territoriale. Non possono costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati Membri , né possono provocare distorsioni della concorrenza tra questi ultimi; debbono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati Membri che non vi partecipano, con obbligo da parte di questi ultimi di non ostacolare a loro volta l’attuazione della cooperazione. È ovvio che ogni forma di flessibilità , in quanto coinvolge solo alcuni degli Stati, comporta un certo grado di discriminazione; ecco che questa “condizione” deve essere interpretata non mettendo a confronto gli effetti della cooperazione con quelli che si sarebbero prodotti in casi adozione della misura da parte di tutti gli Stati Membri, bensì comparando la situazione creatasi a seguito dell’adozione della cooperazione rispetto a quella precedente, in modo tale da verificare se gli Stati Membri, che non hanno partecipato alla cooperazione, siano o meno posti da questa in una situazione di svantaggio. Da sottolineare inoltre che le cooperazioni rafforzate vincolano solo gli Stati partecipanti.

L’art 20 par 2 TUE dispone oggi “che la decisione che adotta una cooperazione rafforzata è adottata dal Consiglio in ultima istanza qualora esso stabilisca che gli obiettivi ricercati da detta

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cooperazione non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo insieme”. In tal modo si vuole evitare che ogni negoziato infruttuoso possa condurre ad una cooperazione rafforzata. E’ però vero che tale formulazione non comporta la necessità di giungere fino in fondo al processo legislativo, onde verificare la concreta impossibilità di raggiungere un accordo, ma è il Consiglio che, a qualsiasi livello del processo legislativo, può constatare l’esistenza di un “blocco” che dimostri l’impossibilità di giungere ad un compromesso24

. Il Consiglio ha quindi una certa discrezionalità nella valutazione della impossibilità di raggiungere un accordo.

Per attuare la cooperazione rafforzata, gli Stati partecipanti, devono essere almeno nove: il Trattato di Amsterdam richiedeva

che la cooperazione rafforzata riguardasse almeno la maggioranza degli Stati Membri , otto su quindici; il numero è stato innalzato a nove, ma non corrisponde più alla maggioranza degli Stati Membri. In merito alla procedura, laddove l’oggetto di cooperazione rafforzata non debba riguardare materie di esclusiva competenza Ue, né di politica estera né di sicurezza comune, gli Stati partecipanti trasmettono una richiesta alla Commissione.

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Essa può, o presentare al Consiglio una proposta al riguardo oppure informare gli Stati dei motivi della decisione di non presentare tale proposta. L’autorizzazione a procedere è quindi concessa dal Consiglio, su proposta della Commissione e previa autorizzazione del parlamento Europeo. Laddove la cooperazione riguardi il settore della politica estera e della sicurezza comune, la richiesta è presentata al Consiglio, trasmessa sia all’Alto Rappresentante per l’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che esprime un parere sulla coerenza della cooperazione richiesta con la politica estera e di sicurezza, sia alla Commissione che esprime un parere sulla coerenze con le altre politiche dell’Unione. E’ trasmessa, infine , per conoscenza, al Parlamento Europeo. In questo caso il Consiglio delibera all’unanimità dei voti degli stati Membri partecipanti ( e non di tutti) alla cooperazione.

Per quanto riguarda gli Stati membri non promotori si ha una particolare procedura per la partecipazione alle cooperazioni rafforzate già autorizzate. Laddove tale cooperazione non riguardi la materia della politica estera e della sicurezza, lo Stato Membro che vuol farne parte, deve notificare tale intenzione al Consiglio ed alla Commissione, quest’ultima, entro quattro mesi dalla

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ricezione della notifica, conferma o meno la possibilità della partecipazione. Ove ritenga che non siano soddisfatte le condizioni di partecipazione, indica le disposizione per la loro soddisfazione e fissa un termine per il riesame. In caso esso dia di nuovo un esito negativo, lo Stato membro può sottoporre la questione al Consiglio, che si pronuncia in merito. Differentemente laddove la cooperazione riguardi la materia della politica estera e della sicurezza comune, l‘intenzione di aderire deve essere notificata al Consiglio, all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ed alla Commissione; in questo caso l’istruttoria e la valutazione vengono svolte dal Consiglio, anziché dalla Commissione, il quale valuterà la soddisfazione delle condizioni di partecipazione e potrà, su proposta dell’Alto Rappresentante, adottare misure transitorie per l’applicazione degli atti già adottati. Invece se ritiene che non siano soddisfatte le condizioni per la partecipazione, può indicare le disposizioni da adottare per soddisfarle, fissando un termine per il riesame.

Infine dobbiamo ricordare che nell’ambito dello spazio di sicurezza, giustizia e libertà sono previste forme di cooperazione rafforzata semplificate così come nel campo della cooperazione

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giudiziaria in materia penale e della cooperazione di polizia e di criminalità particolarmente grave.

Dopo che per anni le disposizioni in materia di cooperazione rafforzata sono rimaste lettera morta, nel 2010 è stato adottato il regolamento relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione: regolamento 1259/201025. Il regolamento, frutto della prima applicazione rafforzata nel settore della giustizia civile, individua norme uniformi sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, attribuendo ampio spazio alla volontà delle

parti. Tale regolamento si applica agli Stati Membri che vi hanno aderito (Belgio, Bulgaria, Germania, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Portogallo Romania e Slovenia).

Nel 2012 sono stati adottati il regolamento dell’UE 1257/2012 relativo alla cooperazione rafforzata nel settore della istituzione di una tutela brevettuale unitaria e il regolamento UE 1269/2012 relativo alla cooperazione rafforzata nel medesimo settore con riferimento al regime di traduzione applicabile .Tale nuova

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GUE L. 343 del 29 dicembre 2010 su cui I. OTTAVIANO, La prima cooperazione rafforzata dell’Unione

Europea: una disciplina comune in materia di legge applicabile a separazioni e divori transnazionali , in Il diritto dell’Unione Europea 2011, p113ss

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disciplina è di fatto applicata a tutti gli Stati Membri, eccezione fatta per Spagna e Italia che l’hanno rifiutata, criticando non tanto la disciplina in sé , ma le modalità di realizzazione ed in particolare l’utilizzo di tre lingue ( inglese , francese e tedesco) , invece di un sistema o penta linguistico (inglese, francese, tedesco, spagnolo, italiano) o mono linguistico (inglese) in modo da non pregiudicare l’attività delle loro imprese nazionali nel mercato interno rispetto a quelle francesi, inglese e tedesche. Tali Paesi hanno richiesto alla Corte di giustizia l’annullamento della decisione del Consiglio in merito; richieste respinte e riproposte.

La cooperazione rafforzata laddove abbia riguardato questioni di carattere non economico, non ha destato problemi, manifestatisi invece quando l’oggetto delle cooperazioni riguardava più strettamente settori collegati al funzionamento del mercato interno26. Anche rispetto all’instaurazione della cooperazione rafforzata nella materia della imposizione degli strumenti finanziari volta ad armonizzare le legislazione in materia di imposizione indiretta delle transazioni finanziare e garantire un contributo congruo degli enti finanziari alla copertura dei costi della crisi, nonché a disincentivare transazioni che non

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contribuiscano all’efficienza dei mercati finanziari , si prospettano resistenze che sembrano compromettere la positiva conclusione del procedimento . A seguito della proposta della Commissione europea di una direttiva in tale materia (Tobin Tax) che prevede la cooperazione tra undici Stati membri (Austria , Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna) , il Regno Unito e il Lussemburgo hanno proposto un ricorso per l’annullamento della decisione del Consiglio che ha autorizzato la detta cooperazione, lamentando che essa avrebbe

effetti extraterritoriali e sarebbe contraria al divieto di discriminazione nonché violerebbe il dovuto rispetto delle competenze , diritti ed obblighi degli Stati membri che non vi partecipano: gli Stati che hanno deciso di non partecipare alla cooperazione rafforzata, vedrebbero comunque gli effetti della cooperazione prodursi sul loro mercato finanziario.

Da tali esperienze si può dedurre che questo strumento, laddove non correttamente applicato , può sortire in concreto un effetto opposto a quello che si propone, ossia un inasprimento del divario esistente tra le due velocità di azione derivanti dall’integrazione differenziata, avviata in seno all’Unione, tanto da poter giungere a paralizzare ogni sforzo di ricomposizione

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dell’unità giuridica o imporre un quadro unitario anche ai paesi non partecipanti: se la cooperazione rafforzata consente una diversificazione degli Stati membri, permettendo loro di progredire secondo ritmi e obiettivi diversi, non può sicuramente imporre un obbligo di adesione agli Stati che non vi partecipano , nel rispetto dell’art 327 TFUE27

. Nel senso della tutela dell’uniformità delle posizioni giuridiche di fronte al diritto dell’Unione, è anche da interpretare la possibilità di partecipazione in un secondo momento da parte degli Stati inizialmente non coinvolti. Il Consiglio, la Commissione ed il Parlamento dovranno quindi valutare gli effetti della cooperazione rafforzata e ponderare i diversi interessi in gioco. Il Consiglio deve anche valutare la necessità di autorizzazione alla cooperazione adottando il criterio della cosiddetta ultima istanza e cioè decidere per la adottabilità della cooperazione quando lo stesso ritenga che gli obiettivi ricercati dalla stessa, non possono essere conseguiti entro un termine ragionevole dall’Unione nel suo complesso; il fatto è che i termini di “ultima istanza” nonché di “tempo ragionevole” sono assolutamente indeterminati e lasciano un’amplissima discrezionalità al Consiglio. E’ quindi ben

27

O.FERACI, L’attuazione della cooperazione rafforzata all’Unione Europea: un primo bilancio critico, in Rivista di diritto internazionale, 2013, p.955 e ss

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possibile un uso distorto dello strumento, potendo quindi il ricorso alla cooperazione rafforzata comportare una lesione dei principi di lealtà e solidarietà, fondamentali in ogni forma di collaborazione fra Unione e Stati Membri. Spetta a questi ultimi, ma soprattutto alla istituzioni europee coinvolte nel procedimento di autorizzazione dello strumento della cooperazione, vigilare affinché l’istituto non sia snaturato e si trasformi, da meccanismo di flessibilità e collaborazione più stretta, a meccanismo di rigidità e collaborazione forzata.

1.3.2 La differenziazione interna

La differenziazione interna ha luogo quando a indirizzarsi a un gruppo circoscritto di Stati membri sono norme del diritto dell’Unione28. Con tale strumento si realizza un’esclusione di uno

o più Stati dagli effetti dei Trattati istitutivi o dalle norme di atti di diritto secondario29, con risultati simili a quelli derivanti dalle riserve sui Trattati. Sotto il profilo della applicazione normativa dell’Unione, la differenziazione interna riguarda ora tutti gli obiettivi di cui all’art 3 TUE. Se a qualcuno degli Stati non si

28 Op. cit. EMANUELA PISTOIA, Limiti all’integrazione differenziata dell’Unione europea. 29

Sui Protocolli, M. CONDINANZI, l’integrazione differenziata nell’ambito dell’Unione europea, p. 433, in M VELLANO, Il futuro delle organizzazioni internazionali, prospettive giuridiche, Napoli, 2015 e L.S. ROSSI, Articolo

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applicano certe disposizioni, non significa automaticamente che tali Stati siano dissociati dall’obiettivo comune .

Le sottrazioni suddette, dall’efficacia delle norme comuni, sono avvenute attraverso l’apposizione di appositi Protocolli ai Trattati, quali per esempio: il Protocollo n. 20 sull’applicazione di alcuni aspetti dell’art 26 TFUE al Regno Unito e all’Irlanda, il

Protocollo n. 21 riguardo la posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà sicurezza e giustizia e il protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca e infine il protocollo n.30 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea alla Polonia e al Regno Unito, riguardo al quale il Consiglio europeo ha deliberato la sua applicazione anche alla Repubblica Ceca (conclusioni 29-30 ottobre 2009), anche se ad essa è mancata la conseguente adozione nella stipulazione del Trattato di adesione della Croazia30.

Il Protocollo n.20, prevede — in deroga al mercato interno di cui all’art. 26 TFUE e alle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione di cui all’art. 77 TFUE — disposizioni particolari sui controlli alle frontiere da parte di Regno Unito e Irlanda sulle persone provenienti da altri Stati

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membri (art. 1 e 2 Protocollo n. 20) e la facoltà degli altri Stati membri di esercitare controlli ana-loghi sulle persone provenienti da Regno Unito e Irlanda (art. 3 Protocollo n. 20).

Il regime di applicazione differenziata avente carattere derogatorio previsto nel Protocollo n. 21, presenta una struttura

più articolata: si tratta di un regime in deroga alle disposizioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia contenute negli art.67-87 costituenti il titolo V della parte terza del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (oltre alle già dette politiche relative ai controlli alle frontiere, asilo e immigrazione, cooperazione giudiziaria in materia civile, cooperazione giudiziaria in materia penale e cooperazione di polizia). Il Regno Unito e l’Irlanda non partecipano all’adozione delle misure relative a tali disposizioni(art. 1 Protocollo n. 21) con la conseguente esclusione dell’obbligatorietà per detti Stati e dell’applicabilità al loro interno delle disposizioni indicate, di misure adottate in base ad esse, di eventuali convenzioni internazionali concluse dall’Unione europea relative a quelle disposizioni nonché di eventuali decisioni interpretative della Corte di giustizia concernenti le predette disposi-zioni o misure (art. 2 prima proposizione Protocollo n. 21). Tuttavia detti Stati

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godono della facoltà di partecipare a ogni singola misura sia al momento della sua adozione, che successivamente; è inoltre prevista solo per essi la facoltà di approvare o meno ogni eventuale modifica di una misura già adottata (art. 3 § 1 comma 1,

art. 4e 4bis Protocollo n. 21). La possibilità dell’opting in del Regno Unito e dell’Irlanda per singole misure, come è noto, è stata ampiamente utilizzata nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, laddove rispetto alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale è prevista per il solo Regno Unito una particolare disciplina (art. 10 § 4 del Protocollo n. 36). La possibilità di una cessazione dell’efficacia dell’intero Protocollo è stata stabilita solo per l’Irlanda mediante una semplice comunicazione scritta al Consiglio (art. 8 Protocollo n. 21), laddove una tale evenienza per il Regno Unito richiederà necessariamente il ricorso alla procedura di revisione dei Trattati.

Il Protocollo n. 22, sulla posizione della Danimarca reca una disciplina in deroga in ordine alle disposizioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia contenute negli art. 67-87dianzi indicate con le medesime conseguenze già descritte per Irlanda e Regno Unito. Questa disciplina va considerata in continuità con l’estraneità di tale Stato membro alle materie rese “comunitarie”

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con il Trattato di Amsterdam mediante l’allora titolo IV del Trattato CE (visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la circo-lazione delle persone). La deroga della Danimarca riguarda anche la mancata partecipazione all’elaborazione e all’attuazione di decisioni e azioni dell’Unione aventi implicazioni di difesa, con connessa esclusione dal contributo al finanziamento di spese operative e dalla messa a disposizione dell’Unione di capacità militari (art. 5 Protocollo n. 22). La Danimarca può procedere a una rinuncia totale o parziale al regime di deroga mediante informazione agli Stati membri(art. 7 Protocollo n. 22), oppure procedere a una sua modifica consistente sostanzialmente nell’adozione del modello utilizzato da Irlanda e Regno Unito di opting in per ogni singola misura adottata in materia di spazio di libertà, sicurezza e giustizia (art. 8 § 1 Protocollo n. 22, che fa riferimento ad un apposito allegato presente nel Protocollo). La mancata partecipazione della Danimarca alle misure adottate per la cooperazione giudiziaria in materia civile non ha impedito alla medesima di stipulare apposite convenzioni internazionali parallele ai reg. CE del Consiglio 22 dicembre2000, n. 44/2001 (cosiddetto “Bruxelles I”) e 29maggio 2000, n. 1348/2000,

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relativo alla notificazione alla comunicazione di atti giudiziari ed extragiudiziari negli Stati membri.

Il Protocollo n. 30 rappresenta un fenomeno piuttosto vistoso di applicazione differenziata avente carattere derogatorio, in quanto afferma che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE non implica la competenza degli organi giurisdizionali di Polonia e Regno Unito ad affermare l’incompatibilità di essa con leggi, regolamenti, disposizioni pratiche o azione amministrativa e che rispetto sempre a detti Stati membri, l’azionabilità dei diritti sociali del titolo IV della Carta, dinanzi ai rispettivi organi giurisdizionali è subordinata alla previsione di tali diritti nel proprio ordinamento giuridico31.

Il meccanismo dei Protocolli si basa su un consenso esplicito e contestuale degli altri Stati membri riguardo la sottrazione di uno o più Stati dagli effetti di alcune disposizioni dei Trattati evitando quindi le incertezze tipiche degli effetti delle riserve e sull’entrata in vigore dei Trattati. Questo suo fondamento consensuale fa sì che l’ammissibilità della differenziazione interna attraverso Protocolli non possa essere messa in discussione, in quanto rimane

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distinta dalla valutazione politica sul suo effettivo contributo all’integrazione europea.

Dagli esempi precedenti si deduce che è necessario quindi valutare quando tale flessibilità nella partecipazione diventa dissociazione da un obiettivo e analizzare se e quali rimedi si possono adottare in questi casi a tutela dell’unità dell’ordinamento.

Per esempio, per il Regno Unito e Danimarca sembra di poter parlare di dissociazione dall’obiettivo visto che esse godono di esenzioni stabilite dal diritto primario in assenza dei presupposti oggettivi che ciò giustifichino. Esse non hanno l’obbligo di adottare le disposizioni di tali Trattati. Differentemente altri Stati membri che presentano esenzioni particolari, le hanno perché non raggiungono le condizioni oggettive ritenute necessarie per gli obiettivi fissati dai Trattati. In questi casi, si può quindi parlare di dissociazione (totale o parziale ) da un obiettivo dato che gli Stati interessati sono del tutto esclusi dalle politiche che più concorrono a realizzare tali obiettivi. Una differenziazione così decisa è coerente con il regime delle riserve ai trattati internazionali che possono avere oggetto e scopo ritagliati in modo da adattarsi a singole parti contraenti.

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Simili dissociazioni proprio in coerenza con il regime delle riserve, possono essere risolte senza alcuna modifica di TUE e TFUE, con la sola dichiarazione unilaterale dello Stato che decida di non avvalersi più della riserva e applicare pienamente tutte le misure in vigore in quel momento. Lo stesso però vale anche per Danimarca e Regno Unito, che in qualsiasi momento possono decidere di rinunciare alle loro esenzioni. Proprio questa possibilità, cioè quella di partecipare alle parti dei trattati dalle quali si sono volontariamente sottratti, costituisce il presidio all’unità dell’ordinamento dell’unione quando la differenziazione si incarna in una vera e propria dissociazione. Ogni Stato membro ha diritto a partecipare agli effetti del diritto dell’Unione e quindi è prevista la possibilità di rinunciare all’esclusione da parte dello Stato che inizialmente vi aveva aderito. Il riassorbimento della differenziazione e il ristabilimento, riguardo ad un certo Stato, della applicazione uniforme del diritto dell’Unione avviene in tre modi diversi a seconda del grado di difficoltà.

La prima si ha con una semplice notifica da parte dello Stato interessato della propria volontà di eliminare la posizione differenziata.

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Nel caso particolare del ripristino della partecipazione di uno Stato che si era avvalso della astensione costruttiva in merito a una decisione riguardante la PESC, si ritiene addirittura che non sia necessaria neanche tale notifica, ma solo un comportamento concludente.

La seconda modalità è quella per cui alla manifestazione di volontà di eliminare la differenziazione, segua un accertamento dei presupposti necessari32 da parte della Commissione, che entro quattro mesi dalla notifica deve dare conferma o meno dell’avvenuta eliminazione; in mancanza di risposta lo Stato può rivolgersi al Consiglio per una decisione sul punto. Sia il Consiglio che la Commissione, seppur con una certa discrezionalità33, non fanno valutazioni politiche in merito, dovendo invece accertare le condizioni di partecipazione previste dai Trattati e considerare l’eventuale adozione di misure transitorie necessarie per la corretta attuazione degli atti già adottati in regime di differenziazione.

L’ultima modalità è quella prevista dall’art 140 par 2 TFUE,

32

Modalità tipica prevista dalla disciplina della cooperazione rafforzata ex art 20 TUE e 326 334TFUE.

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sull’abolizione della deroga o dell’esenzione per gli Stati che non abbaino adottato l’Euro. In questo caso i Trattai prescrivono una serie di condizioni molto stringenti che devono essere soddisfatte ai fini della richiesta di adozione della moneta unica; in particolare gli stati con deroga, dovuta a difficoltà oggettive riguardanti il rispetto delle condizioni previste, hanno diritto a vederla abolita in cambio del soddisfacimento di tali condizioni, per le quali hanno peraltro l’obbligo di attivarsi. Anche per quegli Stati, che hanno usufruito della esenzione, come accaduto per Regno Unito e Danimarca, in caso mutino il loro orientamento, vi è la possibilità e anzi il diritto di adottare l’euro, però sempre previo soddisfacimento delle condizioni richieste dai Trattati. La verifica del rispetto di tali condizioni, che comporta anche un giudizio politico e non solo tecnico, è condotta dalla Commissione e dal Consiglio a maggioranza qualificata di tutti gli Stati membri la cui moneta è l’euro.

La differenziazione interna non è esente da limiti come si è già visto. Essa non può vertere su materie di competenza esclusiva dell’Unione; deve essere preordinata alla protezione degli interessi dell’Unione e al rafforzamento del processo di integrazione; deve rispettare i Trattati e il diritto dell’Unione ivi

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compreso il diritto derivato e gli accordi stipulati dall’Unione , nonché rispettare le competenze i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano. Poi ci sono dei limiti più specifici, si tratta del divieto di recare pregiudizio al mercato interno, alla coesione economica sociale e territoriale, nonché di costituire un ostacolo o una discriminazione per gli scambi tra Stati membri e il divieto di provocare distorsioni della concorrenza fra questi ultimi. Tali limiti però non sempre sembrano a pieno rispettati e su di essi si è espressa la Corte di giustizia europea in tema di brevetto unitario europeo, dopo il ricorso di Spagna e Italia34, individuando in tal caso il mercato interno dell’Unione non coincidente con tutto il mercato europeo, ma solo con quello che era interessato dalla cooperazione rafforzata in materia brevettuale, abolendo così il limite previsto.

Un ulteriore limite viene da molti individuato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche se tale posizione viene discussa a causa delle esenzioni viste precedentemente per Regno Unito e Polonia all’interno del Protocollo n. 30.

34

Corte di Giustizia, Sentenza del 16 aprile 2013 Spagna e Italia c. Consiglio dell’Unione europea, causa C-274/11

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L’interpretazione che viene data dalla Corte a questo particolare caso35 è quella di non esonerare dall’obbligo di rispetto della Carta Regno Unito e Polonia, ne di impedire ai giudici nazionali di tali Stati di vigilare sull’osservanza di tali disposizioni; anche se in maniera particolarmente ambigua36 quindi la Corte tende a interpretare in maniera restrittiva e favorevole alla Carta tale Protocollo, valorizzandola come sostrato costituzionale comune non sottoponibile a differenziazione.

Infine un ultimo limite può essere individuato nella c.d. ultima istanza, cioè nella indispensabilità che non ci siano altri mezzi idonei a raggiungere un determinato obiettivo in tempi ragionevoli. La definizione di tali termini temporali è però molto vaga e ciò permette un elevato grado di discrezionalità da parte del Consiglio37.

1.3.3 La differenziazione esterna

La differenziazione esterna ha luogo quando alcuni Stati membri stipulano fra loro convenzioni internazionali su temi legati

35

Vedi Corte di Giustizia, Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e M.E. e A. contro Secretary of State of the

Home Department, cause unite C-411/10 e C-493/10.

36 L. DANIELE, La protezione dei diritti fondamentali nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: un quadro d’insieme, in Il Diritto dell’Unione europea, 2009, p645 e ss.

37

Si veda le conclusioni dell’Avv. generale YVES BOT nella causa Spagna Italia c. Consiglio, presentate al punto 109 l’11 dicembre 2012.

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all’integrazione europea, al fine di sviluppare il processo di integrazione europea al di fuori del quadro istituzionale dell’Unione europea. Si è avuta in materia di circolazione con gli accordi di Schengen, mediante l’opposizione del Regno Unito. Un’ulteriore esempio riguarda la Convenzione sulla cooperazione transfrontaliera specialmente in materia di lotta al terrorismo, al crimine transnazionale e all’immigrazione illegale.38

In tempi più recenti, durante la crisi economica del 2008 si è avuto l’adozione da parte dell’Unione di misure particolari, riconducibili all’integrazione differenziata, che sono andate a creare un quadro di una certa complessità. Si tratta dell’istituzione da parte degli Stati membri di un meccanismo permanente di stabilità, il MES, creato in seno al Consiglio con la decisione del 25 marzo 2011, n. 2011/199/Ue, insieme con il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance, aggiungendo un terzo comma all’art 136 TFUE.

Il Trattato MES è stato firmato dai diciassette Stati membri della zona euro ed è entrato in vigore il 27 settembre 2012 (31); è

previsto che i nuovi ingressi di Stati membri nella zona euro debbano essere seguiti da un’adesione a questa nuova istituzione

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finanziaria (art. 2 e 44 Trattato MES). Si tratta di un’istituzione finanziaria di diritto internazionale modellata sul Fondo monetario internazionale destinata ad operare nei casi in cui, gravi minacce per la stabilità finanziaria di uno Stato membro, possano mettere in pericolo la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso39. Alcune istituzioni dell’Unione europea sono state espressamente autorizzate a svolgere determinati compiti previsti nel Trattato MES: Commissione e Banca centrale europea ad esempio, in ordine alla valutazione della richiesta di assistenza finanziaria da parte di uno Stato membro della zona euro ex art. 13 Trattato MES; Corte di giustizia dell’ Unione europea in materia di impugnazione di decisioni del Consiglio dei governatori relative alla soluzione di controversie connesse con l’interpreta-zione e l’applical’interpreta-zione del Trattato sorte tra uno Stato contraente e il MES o tra più Stati contraenti: art. 37 paragrafo 3Trattato MES. Il Trattato MES è concepito in stretta connessione con il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria in modo da prevedere che l’assistenza finanziaria ad uno Stato membro partecipante al Trattato MES sia subordinata, a partire dal 1° marzo 2013, alla ratifica del Trattato

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sulla stabilità e all’adozione entro il termine ivi previsto della disciplina relativa al pareggio di bilancio. Il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria è stato firmato da venticinque Stati membri, di cui diciassette partecipanti alla zona euro, mentre dei restanti Stati membri sono rimasti esclusi il Regno Unito e Repubblica Ceca. Il TSCG è entrato in vigore il 1°gennaio 2013 a seguito della ratifica di dodici Stati membri della zona euro. La compatibilità del suddetto Trattato con il diritto dell’Unione è assicurata mediante l’art. 2, che nel paragrafo 2 ne sancisce l’applicabilità in quanto compatibile con i Trattati relativi all’Unione europea e con l’intero diritto dell’Unione. Inoltre nel paragrafo 1 contiene l’obbligo degli Stati contraenti di applicare e interpretare il Trattato sulla stabilità in conformità ai Trattati dell’Unione europea, con particolare riferimento al principio di leale cooperazione di cui all’art. 4 paragrafo 3 Trattato UE e in conformità al diritto dell’Unione, incluso « il diritto procedurale ogni qualvolta sia richiesta l’adozione di atti di diritto derivato». Gli Stati membri contraenti non facenti parte della zona euro (otto si è detto, con l’esclusione di Regno Unito e Repubblica Ceca) sono vincolati solo dalle disposizioni relative al Patto di bilancio (titolo III, art. 3-8) e al

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coordinamento delle politiche economiche e di convergenza (titolo IV, art.9-11), dalle quali dichiarino di essere vincolati in sede di deposito di ratifica o in data successiva in modo da permettere una partecipazione “selettiva” per detti Stati. La connessione di tale accordo internazionale con l’Unione europea è attestata anche dalla previsione di un obbligo di condotta per gli Stati membri della zona euro rispetto alle proposte o raccomandazioni della Commissione presentate nel corso di una procedura per i disavanzi eccessivi (art. 7 TSCG).

È da ritenere che, trattandosi di competenza esclusiva dell’Unione ed essendo comunemente ammesso che gli Stati membri siano i fautori dei Trattati, l’unico strumento utilizzabile per realizzare una modificazione in ordine agli Stati membri già partecipanti alla zona euro è costituito da una modificazione dei Trattati mediante il procedimento di revisione.

Rientrano nell’ambito della differenziazione esterna anche il Trattato di Prüm e il TUB, il primo in ambito di cooperazione transfrontaliera in materia di lotta al terrorismo, al crimine transnazionale e all’immigrazione illegale e il secondo in materia di brevetto unitario.

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Il Trattato di Prüm si propone di giungere ad un raccordo con le disposizioni dell’Unione europea al massimo entro tre anni dalla sua sottoscrizione ed entrata in vigore e di intervenire, pur nel rispetto dei Trattati europei e delle Carte e Convenzioni per i diritti fondamentali, in una serie di settori specifici di indagine. Nelle premesse si afferma come nell’area di libera circolazione delle persone sia importante per gli Stati membri dell’UE intensificare la loro cooperazione al fine di combattere il terrorismo, il crimine internazionale e l’immigrazione illegale con maggior efficacia sforzandosi, senza pregiudizio per le considerazioni del Trattato UE e per quello istitutivo della CE oltre che per lo sviluppo ulteriore della cooperazione europea, di giocare un ruolo pionieristico nel fissare lo standard più alto possibile di cooperazione, specie per mezzo di uno intensificato scambio di informazioni. Si conferma la volontà di lasciare la partecipazione in una simile cooperazione aperta a tutti gli Stati membri, operando al tempo stesso in modo che le disposizioni vengano fatte rientrare appunto in una decisione legale dell’UE in base ad una valutazione di prova della sua implementazione (art.1, n. 4). Questo passaggio potrebbe incrementare lo scambio di informazioni entro la UE e stabilire le condizioni legali e tecniche

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necessarie a tale scopo in osservanza dei diritti fondamentali derivanti dalla Carta dei diritti fondamentali della UE, dal Trattato europea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati coinvolti, con piena consapevolezza circa il fatto che il fornire dati personali ad un altro Stato contraente richiede uno standard ragionevole di protezione da parte dello Stato ricevente. Al momento dell’adesione, gli Stati aderenti si trovano vincolati anche da tutti gli accordi fino a quel momento conclusi ai sensi dell’art. 41 e da quelli connessi con il Trattato stesso. Al momento del deposito dell’adesione la Parte Contraente può presentare anche una dichiarazione riguardante la copertura territoriale. L’articolato disciplina i settori e i modi di intensificazione della cooperazione transfrontaliera escogitando iniziative per promuovere la cooperazione nei settori individuati come determinanti (art. 1) ovvero: la raccolta dati attraverso il DNA (cap. 2), la raccolta delle impronte (cap. 2), il registro delle targhe automobilistiche (cap. 2), le misure contro il terrorismo (cap. 3), il trasporto di armi e munizioni (cap. 3 e 6), l’immigrazione illegale (cap. 4).

Costituiscono elementi comuni nelle diverse procedure di raccolta, trasmissione e richiesta dati l’individuazione di punti

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nazionali di contatto e il rimando alla legislazione nazionale del/i Paesi Contraenti coinvolti nei casi specifici.

Il TUB è un accordo che prevede l’Istituzione di un Tribunale unificato dei brevetti; esso è stato sottoscritto da 25 Stati membri dell’Unione, ad esclusione di Spagna, Polonia e Croazia, il 19 febbraio 201340. Tale accordo è strettamente connesso con il Regolamento n. 1257/201241 che prevede la creazione di un meccanismo unico europeo per il rilascio dei brevetti, in modo da rendere meno complessa e soprattutto più economica la procedura per le imprese degli Stati aderenti al Trattato. La procedura prevede che ad unico organo europeo giungano tutte le richieste di rilascio del brevetto, il quale ha il compito di valutarle e decidere se esso verrà o meno rilasciato; nel caso di rilascio la sua validità sarà automaticamente estesa a tutti gli Stati europei aderenti, pagando un’unica tassa, agevolando quindi, come preannunciato, anche dal punto di vista economico le aziende e i privati. Il Tribunale, vista l’impraticabilità della classificazione di

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L’accordo, pubblicato in GU C 175 del 20 giugno 2013, 1, al 31 luglio 2016 è stato ratificato da dieci Stati membri. Il protocollo sull’applicazione provvisoria dell’accordo, aperto alla firma il 1°ottobre 2015, ne condiziona l’entrata in vigore all’avvenuta ratifica da parte di tredici Stati membri, con le recenti ratifiche di ulteriori Stati membri, dovrebbe entrare in vigore nel 2019.

41 v. G. CAGGIANO, Il pacchetto normativo sul “brevetto europeo unitario” tra esigenze di un nuovo sistema di tutela, profili di illegittimità delle proposte in discussione e impasse istituzionale, in DUE, 2012, 683 ss., spec.

684; G. GUGLIELMETTI, Natura e contenuto del brevetto europeo con effetto unitario, in Luci e ombre del nuovo

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“internazionale” è stato dichiarato un tribunale comune esclusivamente agli Stati membri che hanno sottoscritto l’accordo.42

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CAPITOLO II – La differenziazione esterna nell’ordinamento dell’Unione.

2.1 Il MES

Il MES è un’istituzione finanziaria internazionale che svolge il compito di attribuire un’assistenza economica agli Stati membri dell’Eurozona che si trovano in difficoltà finanziaria. La sua attività può consistere in una molteplicità di operazioni stabilite agli art.14-18 TMES, ma il suo obiettivo rimane comunque quello del sostegno della stabilità finanziaria sia nell’Eurozona che negli Stati membri, così come stabilito all’articolo 3 del TMES. Tale meccanismo di stabilità è stato istituito il 2 febbraio 2012, mediante apposito Trattato sottoscritto dagli Stati parte della zona euro, ed è entrato in vigore il successivo 27 settembre; esso è valido per tutti quegli Stati che adottano l’euro come moneta. Inoltre al proprio articolo 2 è sancita la possibilità per gli Stati che, in un futuro, decidano di adottare l’euro come moneta, di aderire automaticamente a tale trattato. Il MES è stato pensato come meccanismo di stabilità volto alla sostituzione di due precedenti fondi presenti all’interno dell’ordinamento europeo, quali il

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MESF43 e il FESF44. L’adozione di tale sistema è stata possibile grazie ad una modifica dell’articolo 136 TFUE “Gli Stati membri la cui moneta è l'euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria sarà soggetta ad una rigorosa condizionalità”. Da questi presupposti è quindi nata una istituzione finanziaria internazionale, ad hoc, denominata “meccanismo europeo di stabilità”.

In particolare, le vicende che hanno portato alla sua istituzione, devono essere analizzate in modo da comprendere quali siano i meccanismi all’interno e all’esterno dell’Unione Europea che hanno portato all’instaurazione del MES e alla sua adozione tra la le misure anticrisi realizzate45. La creazione del meccanismo di stabilità trae la propria origine già nel maggio del 2010, quando una riunione del Consiglio Europeo, decise di procedere alla creazione del MESF, attraverso un apposito

43 Meccanismo Europeo di stabilizzazione finanziaria, istituito con regolamento 407/2010che aveva il compito

di fornire aiuto finanziario da parte della Commissione agli Stati gravati da una crisi finanziaria dovuta a cause che esulavano il loro controllo.

44 Tale trattato prevedeva l'istituzione della European Financial Stability Facility, società di diritto

lussemburghese dotata di personalità giuridica e abilitata ad emettere titoli di debito, per finanziare linee di prestito a favore di Paesi dell'Area euro. Esso è istituito mediante relativo accordo intergovernativo del 7 giugno 2010.

45

Per un quadro generale dell’azione del trattato istitutivo del MES Cfr. A. DE GREGORIO MERINO, Legal

developments in the Economic and Monetary Union during the debt crisis: The mechanisms of financial assistance, in CMLR, 5 – 2012, pp. 1613 – 1646.

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