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Identificazione di “waterborne pathogens” in acque minerali naturali e potabili nel territorio toscano: valutazione del rischio microbiologico da Legionella spp. ed Helicobacter pylori

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Biologia

Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

Identificazione di “waterborne pathogens” in acque

minerali naturali e potabili nel territorio toscano:

valutazione del rischio microbiologico da Legionella spp.

ed Helicobacter pylori

RELATORE

Angelo Baggiani

CANDIDATA

Federica Badalucco

Anno accademico 2019/2020

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INDICE

1. Introduzione 2 1.1 Acque 5 1.1.1 D. Lg.s 31/0 5 1.1.2 D. Lgs. 176/11 e D.M. 10/02/15 9 1.2 Biofilm 13

1.3 Valutazione del rischio idrico microbiologico 16

1.4 Legionella spp. 18

1.4.1 Caratteristiche microbiologiche 19

1.4.2 Ecologia e fattori di rischio 20

1.4.3 Relazione tra Legionella spp. e protozoi 22

1.4.4 Manifestazioni cliniche 23

1.4.5 Fattori di rischio per l’acquisizione 24

1.4.6 Ciclo vitale all’interno dei macrofagi umani e nelle amebe 26

1.4.7 L’uomo come ospite occasionale 28

1.4.8 Linee guida per prevenzione ed il controllo della legionellosi 29

1.4.9 Sistemi di sorveglianza 37 1.4.10 Epidemiologia 37 1.4.10.1 Europa 38 1.4.10.2 Italia 38 1.5 Helicobacter pylori 40 1.5.1 Morfologia 40

1.5.2 Fattori coinvolti nella colonizzazione, adesione e sopravvivenza 43

1.5.3 Patogenesi 44

1.5.4 Trasmissione 47

1.5.5 Biofilm e Helicobacter pylori 50

1.5.6 Helicobacter pylori e Acanthamoeba spp. 51

1.5.7 Epidemiologia 52

1.5.7.1 Livello mondiale 52

1.5.7.2 Europa 53

1.5.7.3 Popolazioni a rischio 54

1.5.7.4 Italia 54

2. Scopo della tesi 56

3. Materiali e metodi 59

3.1 Acqua destinate al consumo umano 59

3.1.1 Campionamento 59

3.1.2 Analisi eseguite 60

3.1.2.1 Carica microbica a 22/36 °C 60

3.1.2.2 Ricerca di coliformi totali ed E. coli 60

3.1.2.3 Ricerca di enterococchi intestinali e streptococchi fecali 61

3.1.2.4 Ricerca di P. aeruginosa 61

3.1.2.5 Ricerca di Legionella spp. 62

3.1.2.6 Analisi quantitativa molecolare real-time PCR Legionella spp 63

3.1.2.7 Ricerca Helicobacter pylori 67

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3.1.2.9 Rilevazione temperatura, pH e conducibilità 69

3.2 Acque minerali naturali 69

3.2.1 Campionamento 69

3.2.2 Analisi eseguite 70

3.2.2.1 Carica microbica a 22/36 °C 70

3.2.2.2 Ricerca di Coliformi totali ed E. coli 70

3.2.2.3 Ricerca di enterococchi intestinali e Streptococchi fecali 70

3.2.2.4 Ricerca di P. aeruginosa 70

3.2.2.5 Ricerca Staphylococcus aureus 70

3.2.2.6 Ricerca di spore solfito riduttori (clostridia) 71

3.2.2.7 Ricerca di Legionella spp. 72

3.2.2.8 Analisi quantitativa molecolare real-time PCR Legionella spp 72

3.2.2.9 Ricerca Helicobacter pylori 72

3.2.2.10 Analisi qualitativa molecolare real-time PCR H. pylori 72

3.2.2.11 Rilevazione temperatura, pH e conducibilità 72

3.2.3 Analisi dei dati 72

4. Risultati 74

4.1 Acque minerali naturali 74

4.1.1 Acque minerali naturali di sorgente 76

4.1.2 Acque minerali naturali in bottiglia 79

4.2 Acque potabili 81

4.2.1 Acque potabili calde 84

4.2.2 Acque potabili fredde 87

5. Discussione 90

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1.INTRODUZIONE

Nel mondo il 71% della superficie terrestre è coperta di acqua di cui 97,5% salata e del restante 2,5% solo l'1% è utilizzabile per le attività umane. Il fabbisogno minimo pro-capite per la sopravvivenza umana è di 5 litri, ma per poter parlare di condizioni accettabili di vita occorrono non meno di 50 litri al giorno per ogni essere umano.

L' Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) infatti afferma che al di sotto della soglia di 50 litri al giorno si può già parlare di sofferenza causata dalla sua mancanza, e che il 40% della popolazione vive in condizioni igieniche precarie proprio per carenza di acqua1,poichè è una delle risorse fondamentali per la vita umana in quanto costituisce circa il 70% del peso corporeo di un uomo.

L’acqua è essenziale anche in funzione degli innumerevoli ed indispensabili usi nella vita quotidiana: alimentari, bisogni primari (destinato al consumo umano, civile), produzione di beni (uso in agricoltura, nelle industrie, negli allevamenti, nella farmaceutica, per la produzione di energia) attività secondarie (piscine, bagni termali, attività sportive o ricreative).

In ambiente esterno essa partecipa a differenti cicli di tipo biogeochimico, costituendo il mezzo di trasporto di sostanze come i microrganismi o come matrice di trasformazione maggiormente utilizzata (ciclo dell’acqua). Molteplici possono essere le sorgenti e i fattori di contaminazione dell’acqua destinata al consumo umano, sia naturali che antropici, a partire dai punti di raccolta in superficie o nelle profondità sino alla conduzione e al trasporto all’utente finale2.

L'acqua rappresenta uno dei veicoli di trasmissione di malattie infettive dette a circuito oro-fecale, cioè malattie dovute all'ingestione di acqua venuta a contatto con deiezioni di animali a sangue caldo, tra questi l'uomo. Tra le malattie infettive conosciute molte sono determinate da organismi, parassiti che trovano nell'intestino la loro preferenziale localizzazione, tra gli organismi patogeni trasmessi per via idrica vi sono i batteri, virus e protozoi. Le epidemie causate da ingestione di acqua contaminata sono ancora una delle principali cause di morte, in particolare tra i bambini e soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In una recente indagine,

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è stato calcolato che annualmente si verificano circa cinquecento milioni di episodi diarroici tra i soggetti nella prima infanzia in Asia, Africa ed America latina, con un numero di decessi stimato tra i 5 e i 18 milioni di soggetti34.

Il rischio microbiologico associato all’acqua può essere diverso in vari paesi poiché l’epidemiologia delle patologie è determinata dall’interazione di vari fattori, come la presenza/assenza del microrganismo, l ‘eccessivo sfruttamento delle fonti di approvvigionamento, l’invecchiamento degli impianti di trattamento, i cambiamenti demografici, le condizioni climatiche che possono favorire la sopravvivenza e moltiplicazione, la capacità di resistenza ai trattamenti di potabilizzazione e agli antibiotici.

Nei Paesi in via di sviluppo la mortalità è legata prevalentemente all’utilizzo di acqua non rispondente a caratteristiche di buona qualità e igienicità (80% delle malattie); per contro nei Paesi industrializzati, negli ultimi decenni è stato registrato, un parziale declino delle patologie legate alla diffusione dei più tradizionali patogeni enterici, presumibilmente legato alla messa in opera di processi di trattamento e di disinfezione delle acque, alle attività di controllo della loro qualità igienico-sanitaria e alle campagne di vaccinazione. Inoltre, nelle acque è possibile rilevare una presenza costante di flora microbica, selezionata dopo il trattamento, in cui si ritrovano microrganismi caratterizzati da una maggiore capacità di sopravvivenza. Pertanto, se è pur vero che l’acqua potabilizzata è microbiologicamente diversa da quella grezza, e ragionevolmente esente da patogeni, essa tuttavia risulta veicolo di numerosi microrganismi (waterbone pathogens).

Alla fine dell’900, il mondo scientifico ha prestato attenzione al controllo delle sostanze chimiche potenzialmente pericolose presenti nelle acque destinate al consumo umano, inizialmente furono effettuate molte indagini riguardanti il rischio chimico mentre fu trascurato il rischio legato alla componente microbiologica, ma il riscontro di un aumento del numero di epidemie correlate al consumo di acqua ha portato negli ultimi anni, ad una maggiore attenzione verso le problematiche connesse alla presenza di microrganismi patogeni nelle risorse idriche, anche potabilizzate 5 ponendo le basi per il moderno concetto di protezione delle risorse idriche.

Nella determinazione della qualità delle acque un aspetto fondamentale è la valutazione dell'inquinamento microbiologico, che viene effettuato attraverso la ricerca di

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(Salmonella spp., enterovirus). Tali microrganismi se presenti nelle acque tendono ad essere distrutti dal potere autodepurativo dei corpi idrici. La capacità autodepurativa dipende da fattori fisici (adsorbimento, flocculazione, sedimentazione, dispersione, diluizione, radiazione solare), chimici (principalmente ossigeno disciolto) e biologici (legati essenzialmente alla concorrenza vitale con la flora ambientale).Questi fattori consentono, quindi, alle acque, la riduzione dell'inquinamento microbiologico con una velocità che dipende principalmente dal tempo, dalle caratteristiche delle acque e dalla resistenza dei microrganismi stesso6.

Il miglioramento della qualità dell'acqua potabile durante lo stoccaggio o nei sistemi di distribuzione rimane una delle maggiori difficoltà incontrate dai fornitori di acqua potabile. È risaputo che nel sistema di distribuzione si determina la qualità finale dell'acqua potabile, agenti microbiologici patogeni e tossigenici se presenti nell'acqua dei consumatori causano malattie gastroenteriche virali e batteriche fino alla morte7.

L'acqua nella rete di distribuzione può essere soggetta a condizioni che la influenzano negativamente, i motivi per cui i numeri batterici aumentano durante la distribuzione non sono ancora completamente compresi, ma due dei principali fattori sono stati attentamente studiati in dettaglio:

• Il primo fattore viene di solito indicato come guasto meccanico. I batteri possono essere introdotti nella rete di distribuzione da fonti esterne con una serie di mezzi come serbatoi aperti, rotture dovute alla costruzione di una nuova tubazione che possono disturbare il sistema di distribuzione esistente, interruzioni di rete (che potrebbero diventare problema crescente con l'invecchiamento del sistema di distribuzione) e riduzione della pressione del flusso d'acqua nel sistema con conseguente sifonaggio posteriore8.

• Il secondo fattore si riferisce alla situazione in cui l'aumento dei batteri è dovuto alla ricrescita interna o alla crescita successiva dei batteri e alla relativa formazione di bioflim. nelle tubature9.

Occorre quindi riflettere sulle eventuali cause che possono favorire l’insorgenza dei waterborne pathogens. Innanzitutto, alcuni microrganismi sono dotati di meccanismi di

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resistenza che permette loro di eludere i trattamenti della potabilizzazione. Esempi di questi microrganismi possono essere alcuni protozoi capaci di trasformarsi in cisti come forma di protezione (Acanthamoeba spp. e Giardia spp.); i virus enterici, dotati di particolare resistenza e persistenza nell’ambiente, e batteri capaci di trasformarsi, quando sottoposti a condizioni di stress, in spore o in altre forme di quiescenza note come viable but not

culturable cells (VBNC), stato dormiente ma vitale, metabolicamente attive, ma non in

grado di moltiplicarsi fintato che le condizioni ambientali risultano sfavorevoli; veicolate dall’acqua le VBNC possono riattivarsi in presenza di una ridotta concentrazione di disinfettante e aumentata quantità di nutrienti. Un ulteriore strategia è la formazione di un biofilm costituito da cellule microbiche, prodotti extracellulari, residui organici ed inorganici, che consente la crescita dei microrganismi proteggendoli nei confronti dei sistemi di disinfezione.

1.1 Acque

L’accesso all’acqua potabile è indispensabile per la salute individuale e collettiva. Da valore etico delle civiltà più antiche ha assunto oggi, insieme ai servizi igienici, il ruolo di diritto umano nei programmi dell’ONU, dell’OMS, dell’Unione Europea, sostenuto anche da iniziative popolari promosse da movimenti politici e di opinione, come principio fondamentale del benessere sociale ed economico di ogni comunità umana. Per questo è di estrema importanza monitorare e controllare lo stato chimico e microbiologico delle acque. A tal proposito, vengono stilate delle normative nazionali a tutela della salute umana, che hanno lo scopo di regolamentare la qualità dell’acqua sia per uso domestico, industriale, sia per le acque minerali naturali ponendo dei limiti consistenti sulla concentrazione di microorganismi e inquinanti organici ed inorganici presenti nell’acqua.

L’acqua potabile non è certamente un sistema sterile dal punto di vista microbiologico, quanto piuttosto un sistema vivo caratterizzato dalla presenza di microrganismi in grado di sopravvivere ai comuni trattamenti di potabilizzazione e alle scarse fonti di nutrimento presenti all’interno delle reti idriche e di colonizzare le tubazioni di distribuzione.

In questi ambienti la maggior parte dei batteri possiede una spiccata tendenza ad aderire alle diverse superfici e ad interagire con i principali materiali utilizzati per le tubazioni di distribuzione organizzandosi appunto in formazioni biotiche consistenti. La legislazione

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delle acque minerali e delle acque potabili è nettamente distinta. Ognuna delle due acque è disciplinata da una legislazione verticale nazionale di derivazione comunitaria. Le rispettive legislazioni traggono origine dalla necessità di governare le specificità delle due tipologie di acque, così come stabilito dalle direttive europee.

1.1.1 D. Lgs. 31/200110

La normativa attualmente in vigore in Italia per quanto riguarda la qualità dell’acqua potabile o, più precisamente, dell’acqua destinata al consumo umano, è rappresentata dal D. Lgs. 31/2001 e dalle successive modifiche ed integrazioni del medesimo. Poiché l’Italia è Stato Membro dell’Unione Europea, tale legge rappresenta il recepimento di una direttiva europea, nello specifico della direttiva 98/83/CE. Rispetto alla direttiva stessa, la legge italiana, come consentito dalle norme europee, fissa per alcuni parametri limiti più restrittivi (ad esempio: trialometani, torbidità) e ne contempla altri da essa non previsti (ad esempio: cloriti, disinfettante residuo). I limiti fissati sono indicati col temine “valore di parametro” (VP) e non devono essere superati, a meno che non vengano richieste deroghe, che possono comunque avere solo valore transitorio.

In Italia le acque destinate al consumo umano sono definite dal D. Lgs. 31/2001: “Le

acque, trattate o non trattate destinate ad uso potabile, alla preparazione di cibi e bevande, o ad altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori.” Il

decreto disciplina la qualità delle acque destinate al consumo umano al fine di proteggere la salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque

imponendo che esse siano salubri, pulite, non contaminate da microrganismi, parassiti e da sostanze in concentrazioni sufficientemente alte da rappresentare un pericolo per la salute. Lo scopo della gestione delle acque destinate al consumo umano è quello di agire in modo da rendere più bassa possibile la probabilità di contaminazione, attraverso interventi volti a ridurre il rischio chimico e biologico.

Secondo tale decreto l'acqua non deve contenere microrganismi patogeni né altre sostanze nocive, tutti i valori devono rispettare i limiti di legge.

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utilizzate per la fornitura di acqua potabile (sorgenti, pozzi artesiani), è condotta

dall'Agenzia provinciale per l’ambiente (laboratorio per le analisi dell'acqua e laboratorio biologico), che rilascia la valutazione di qualità per le acque testate.

La normativa vigente suddivide i parametri da sottoporre a controllo in: parametri

indicatori quali odore, colore, sapore, pH, durezza (allegato I, parte C); parametri chimici concernenti tra l’altro sostanze quali arsenico, piombo, antiparassitari, ecc. (allegato I, parte B); parametri microbiologici quali Escherichia coli ed enterococchi (allegato I, parte A); parametri concernenti la radioattività quali trizio e dose totale indicativa.

Il D. Lgs. 31/2001 fissa inoltre protocolli e frequenze di monitoraggio dell’acqua destinata al consumo umano, distribuita sia in rete, sia mediante cisterne, contenitori, bottiglie. Fanno eccezione le acque classificate come minerali, alle quali si applica una specifica normativa. I controlli di qualità dell’acqua distribuita vanno effettuati sia dal gestore, mediante laboratorio proprio o di altro gestore, sia dall’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. Si parla pertanto rispettivamente di controlli interni e di controlli esterni. Con il termine acque destinate al consumo umano intendiamo tutte quelle acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori. Le acque utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano; (vedasi art 11 comma 1 lettera e)

Il D.Lgs. 31/2001 non si applica alle acque minerali naturali e medicinali riconosciute e alle acque destinate esclusivamente a quegli usi per i quali la qualità delle stesse non ha ripercussioni, dirette o indirette, sulla salute dei consumatori interessati.

Le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite. In particolar modo, non devono contenere microrganismi o parassiti, né altre sostante, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana.

Le acque destinate al consumo umano devono rispettare i requisiti microbiologici riportati in tabella numero.

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Questi parametri microbiologici devono essere rispettati nei seguenti punti:

- per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione, nel punto di consegna ovvero, ove sconsigliabile per difficoltà tecniche o pericolo di inquinamento del campione, in un punto prossimo della rete di distribuzione rappresentativo e nel punto in cui queste fuoriescono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano: - per le acque fornite da una cisterna, nel punto in cui fuoriescono dalla cisterna; - per le acque confezionate in bottiglie o contenitori, rese disponibili per il consumo

umano, nel punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei contenitori e nelle confezioni in fase di commercializzazione o comunque messa a disposizione per il consumo;

- per le acque utilizzate nelle imprese alimentari, nel punto in cui sono utilizzate nell’impresa.

I controlli svolti al fine di garantire che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti stabiliti dal D. Lgs. 31/2001, devono essere effettuati:

- ai punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee da destinare al consumo umano;

- agli impianti di adduzione, di accumulo e di potabilizzazione; - alle reti di distribuzione;

- agli impianti di confezionamento di acqua in bottiglia o in contenitori; - sulle acque confezionate;

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- sulle acque fornite mediante cisterna, fissa o mobile.

Il decreto stabilisce dei controlli interni ed esterni. I controlli interni sono quelli che il gestore è tenuto ad effettuare per la verifica della qualità dell’acqua, destinata al consumo umano. I punti di prelievo e la frequenza dei controlli interni possono essere concordati con l’azienda sanitaria locale. Per l’effettuazione dei controlli il gestore si avvale di laboratori di analisi interni, ovvero stipula un’apposita convenzione con altri gestori di servizi idrici. I risultati devono essere conservati per un periodo di almeno cinque anni per l’eventuale consultazione da parte dell’amministrazione che effettua i controlli esterni. I controlli esterni sono quelli svolti dall’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente, per verificare che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del presente decreto, sulla base di programmi elaborati secondo i criteri generali dettati dalle regioni. Inoltre, l’azienda unità sanitaria locale assicura una ricerca supplementare, caso per caso, delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono stati fissati dei parametri, qualora vi sia motivo di sospettare la presenza in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana. La ricerca dei parametri supplementari è effettuata con metodiche predisposte dall’Istituto superiore di sanità.

L’azienda sanitaria locale comunica i punti di prelievo fissati per il controllo, le frequenze dei campionamenti e gli eventuali aggiornamenti alla competente regione o provincia autonoma ed al Ministero della sanità secondo modalità proposte dal Ministero della salute. Nel caso in cui le acque destinate al consumo umano non corrispondano ai parametri fissati, l’azienda sanitaria locale interessata, comunica al gestore l’avvenuto superamento e, effettuate le valutazioni del caso, propone al sindaco l’adozione degli eventuali provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica, tenuto conto dell’entità del superamento e dei potenziali rischi per la salute umana nonché dei rischi che potrebbero derivare da un’interruzione dell’approvvigionamento o da una limitazione di uso delle acque erogate. Il gestore, quindi, individuate tempestivamente le cause di non conformità, attua i necessari provvedimenti per il rispristino della qualità delle acque.

1.1.2. D. Lgs. 176/11 e D.M. 10/02/15 11,12

Le acque minerali naturali sono acque che, avendo origine da una falda o da un giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e, eventualmente, proprietà favorevoli alla salute. Le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria e sua

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conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi o altri costituenti e, eventualmente, per taluni loro effetti.

Si differenziano dalle acque potabili per l’assenza di qualsiasi trattamento di disinfezione pertanto sono generalmente più gradevoli dal punto di vista organolettico e garantiscono l’assenza di prodotti secondari della disinfezione. Inoltre, la natura e la configurazione idrogeografica della fonte fanno sì che queste acque presentino sempre, in tutte le stagioni, le stesse caratteristiche chimico- fisiche e organolettiche, quindi le stesse proprietà.

Le distinguiamo dalle ordinarie acque potabili per la purezza, per il tasso di minerali, oligoelementi o altri costituenti e, eventualmente, per taluni loro effetti positivi sulla salute. Le caratteristiche vengono valutate sul piano geologico, idrogeologico, organolettico, fisico, fisico-chimico e chimico, microbiologico, e se necessario, farmacologico, clinico e fisiologico.

Dalla direttiva Europea 2009/54/CE si rifà il Decreto Legislativo n.176 2011, il decreto dichiara che le acque naturali minerali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria e sua conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi o altri contenuti, ed eventualmente per effetti positivi sulla salute. Un’acqua minerale naturale per poter essere definita tale deve essere riconosciuta dal Ministero attraverso un’apposita domanda volta a fornire una completa conoscenza dell’acqua minerale naturale. Le caratteristiche prese in esame sono da valutare sul piano:

a) Geologico ed idrogeologico;

b) Organolettico, fisico, fisico-chimico e chimico; c) Microbiologico,

d) Se necessario, farmacologico, clinico e fisiologico

La domanda per ottenere il riconoscimento di un'acqua minerale naturale deve essere indirizzata al Ministero della salute e deve essere corredata da una documentazione volta a fornire una completa conoscenza dell'acqua minerale naturale, che contenga, particolare, gli elementi di valutazione a), b) c) ed eventualmente d) sopra citati.

Il D. Lgs. 176/2001 inoltre riporta anche i parametri microbiologici da esaminare che prevedono:

• La determinazione della carica microbica totale dell'acqua alla sorgente deve essere effettuata a 20-22°C dopo 72 ore a 37°C dopo 24 ore, i valori non devono superare,

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rispettivamente, 20 per ml alla temperatura di 20-22°C in 72 ore e 5 per ml a 37°C in 24 ore. Dopo l'imbottigliamento, tale tenore non puo' superare il limite di 100 per millilitro, a 20-22°C, in 72 ore, e 20 per millilitro a 37°C in 24 ore.

• Alla sorgente e durante la commercializzazione, un'acqua minerale naturale deve essere esente da:

a) parassiti e microrganismi patogeni;

b) Escherichia coli o altri colibacilli e streptococchi fecali, su 250 ml del campione esaminato;

c) anaerobi sporigeni solfito-riduttori, su 50 ml del campione esaminato; d) Pseudomonas aeruginosa, su 250 ml del campione esaminato.

Il Decreto Ministeriale del 10/02/15 riporta i nuovi parametri micorbiologici che prevedono che, dalle analisi deve risultare l’assenza di coliformi e di Escherichia coli in 250 ml a 37 °C e a 44°C accertata su semina in due repliche da 250 ml, assenza di streptococchi fecali in 250 ml accertata su semina in due repliche da 250 ml, assenza di anaerobi sporigeni solfito-riduttori in 50 ml, su un'unica semina, assenza di Staphylococcus aureus in 250 ml accertata su unica replica. Inoltre, devono essere determinati i valori della carica microbica totale a 22 °C e 37 °C gradi dopo 72 e 24 ore, i valori non devono superare 20 CFU/ml alla temperatura di 20-22 in 72 ore e 5 CFU/ml a 37 °C in 24 ore.

Il Decreto, inoltre stabilisce che le domande per il riconoscimento di un’acqua minerali naturale devono essere allegate ai certificati di almeno quattro analisi microbiologiche eseguite sui campioni prelevati alla sorgente, o alle singole sorgenti se l’acqua proviene da sorgenti. Nella domanda deve essere inoltre specificata la denominazione della sorgente, la località ove essa sgorga, la denominazione attribuita all'acqua minerale.

Sia alla sorgente e durante la commercializzazione un’acqua minerale naturale deve essere esente parassiti e microrganismi patogeni, i controlli da effettuare sono con cadenza annuale sia per le analisi microbiologiche che analisi chimiche e chimico-fisico per la fonte, mentre per le acque imbottigliate i controlli hanno cadenza quadrimestrale per il prodotto all’uscita della catena di imbottigliamento e qualora i risultati fossero incerto o positivi prevede delle ulteriori analisi in altri punti dell’impianto. Inoltre, non è consentito sottoporre l’acqua minerale naturale ad operazioni di potabilizzazione quali aggiunta di sostanze battericide o batteriostatiche, trattamenti suscettibili di modificarne il microbismo.

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Le acque minerali naturali in base possono essere classificate sulla base della composizione ionica:

- Bicarbonata: > 600 mg/l di ione bicarbonato - Solfata: > 200 mg/l di ione solfato

- Clorurata: > 200 mg/l di ione cloruro - Calcica: > 150 mg/l di ione calcio - Magnesica: > 50 mg/l di ione magnesio - Fluorurata: > 1 mg/l di ione fluoro

- Ferruginosa: > 1 mg/l di ione ferro bivalente - Sodica: > 200 mg/l di ione sodio

- Indicata per diete povere di sodio: < 20 mg/l di ione Na

Con il termine residuo fisso si definisce il contenuto di solidi ottenuto come residuo dopo evaporazione dell’acqua ed essicamento a 180°C, definito come ‘’residuo fisso a 180” (rf) il cui limite massimo raccomandato dal D. Lgs. 31 è di 1500 mg/L, sulla base del residuo fisso è possibile classificare le acque in minimamente mineralizzate con rf < 50 mg/l, acque oligominerali rf tra 50 e 500 mg/l, acque medio minerali con rf tra 50 e 1500 mg/l e acque ricche di sali minerali con rf > 1500 mg/l.

È altresì importante che la captazione, le canalizzazioni ed i serbatoi siano realizzati con materiali adatti all'acqua minerale naturale, per evitare qualsiasi modifica chimica, fisico-chimica e batteriologica. Gli impianti di lavaggio, imbottigliamento ma in particolare i recipienti devono essere fabbricati e trattati in modo tale da non alterare le proprietà batteriologiche e chimiche.

Vengono inoltre consentite delle operazioni che non modifica il carattere di un’acqua minerale naturale come la captazione, canalizzazione, la separazione degli elementi instabili ferro e zolfo a patto che non comporti una modifica della composizione che conferiscono all’acqua le sue proprietà. L’eliminazione o la re-incorporazione dell’anidride carbonica. Le acque termali sono acque minerali naturali che, per le loro caratteristiche geologiche, chimiche, fisiche, sono dotate di attività farmacologiche e cliniche.

In base alla temperatura (T) si classificano in fredde con T<20°C, ipotermali con T compresa tra i 20°C e 30°C, omeotermali con T compresa tra i 30 °C e 40 °C ed ipertermali con T> ai 40°C, i criteri di valutazione sono stabiliti dal D.M. 10/02/2015.

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1.2 Biofilm

Il biofilm, noto anche con il termine di “melma” e “depositio biologico”13,14, è costituito da comunità microbiche complesse caratterizzate da cellule aderenti ad una superficie, come possono essere le tubature idriche, ed ancorate una alle altre da una matrice gelatinosa adesiva, altamente idratata e chimicamente complessa (EPS = extracellular polymeric substances)15 in equilibrio dinamico con la controparte dei batteri non adesi, liberi (free-floating o planktonic)16. La matrice EPS funge da collante che fissa le cellule al supporto e consente lo sviluppo di micro-consorzi stabili in cui diverse specie microbiche possono rimanere per un periodo di tempo prolungato. Il risultato è una disposizione molto eterogenea di cluster di diversi microrganismi caratterizzata da gradienti fisico-chimici e biochimici come il valore del pH, il potenziale redox, la concentrazione di ossigeno, substrati e prodotti, nonché di molecole di segnalazione.

All’interno di questi biofilm è generalmente possibile isolare virus, lieviti, muffe, alghe, protozoi e batteri nonché i sottoprodotti derivanti dai rispettivi processi metabolici. Le cellule microbiche cresciute nei biofilm sono meno sensibili agli agenti antimicrobici perché i batteri adesi alle superfici in un ambiente acquoso rilasciano i prodotti del loro metabolismo creando una barriera fisica contro la penetrazione degli agenti disinfettanti biocidi che sarebbero in gradi di uccidere o inibire le forme a vita libera; per questo motivo i batteri presenti nel biofilm sono più resistenti agli agenti ossidanti rispetto ai batteri che si trovano in forma libera nell’acqua in circolazione, il batterio nel biofilm trova sostentamento e quindi riparo (Fig.1).

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Fig.1: rappresentazione dell’architettura del biofilm: in giallo è evidenziato un agente antimicrobico che non penetra nella regione più profonda in cui i microrganismi sono protetti dall’azione del biocida

Ad esempio, un ceppo di Klebsiella pneumoniae con produzione di β-lattamasi difettosa cresciuta in biofilm supportato da membrana ha mostrato una concentrazione inibitoria minima più elevata e una permeazione inferiore di ampicillina e ciprofloxacina rispetto allo stesso ceppo coltivato in coltura sospesa. Inoltre, la sensibilità agli antibiotici può essere rapidamente ripristinata quando i batteri perdono la protezione del biofilm, suggerendo che la resistenza mediata da quest’ultimo è indipendente dalle mutazioni genetiche.

Di solito, i biofilm nei sistemi di acqua potabile sono sottili e irregolari, intrecciati con depositi inorganici e prodotti di corrosione e il termine "biofilm" si riferisce in molti casi a depositi colonizzati che possono essere molto porosi e contenere una considerevole biomassa.

Inizialmente il legame tra microbi e superfici vi è una fase di adesione che può essere reversibile dovuta a moti browniani, a sedimentazione, a moti convettivi all’interno di un liquido, oppure a movimenti attivi di batteri mobili, ad interazioni deboli e forze elettrostatiche (Fig.2).

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Fig. 2 Rappresentazione schematica delle fasi progressive della formazione del biofilm: 1: singole cellule colonizzazione la superficie, fase reversibile. 2: la produzione di EPS rende l’attacco irreversibile. 3-4: sviluppo dell’architettura del biofilm. 5: singole cellule sono rilasciate dal biofilm e il processo ricomincia

Dopo la prima fase di adesione reversibile, essa diviene irreversibile grazie alla produzione di EPS da parte dei batteri svolgendo la funzione di deposito di nutrienti in grado di intrappolare altri microrganismi planctonici così come materiale inerte, tipo minerali o prodotti di corrosione15. La produzione di tale matrice da parte delle cellule microbiche segue un meccanismo di trasduzione del segnale intracellulare innescato dall’attivazione di recettori di membrana che fungono da “sensori”, i quali inducono anche lo sviluppo di ponti intercellulari che ancorano le cellule tra di loro ed alla superficie16,17. Si stima che le cellule microbiche rappresentino solo una piccola frazione del volume del biofilm (5-25%), essendo la restante percentuale costituita da EPS. L’importanza dei ristagni d’acqua nel favorire la formazione del biofilm e la crescita microbica è notevole all’interno delle condutture idriche dei grandi edifici dove i materiali possono trovarsi in condizioni non idonei, altro luogo dove è possibile riscontrare la presenza di biofilm è l’interno di serbatoi di accumulo di acqua calda, specie se a prevalente sviluppo verticale, soprattutto se la temperatura dell’acqua rientra all’interno di quella del range di crescita dei batteri termofili. Benchè i processi di disinfezione delle acque siano efficaci questa può contenere basse concentrazioni di diversi microrganismi di origine idrica potenzialmente patogeni18. L’acqua che attraversa l’impianto idrico mantenendo un flusso continuo non permette la proliferazione microbica ma quando la pressione dell’impianto primario diminuisce per arrivare alla rete idrica domestica nasce il problema perché spesso le complessità strutturali delle reti di distribuzione, l’epoca di costruzione degli impianti e la tipologia delle tubature non sempre sono ottimali inoltre la mancata o insufficiente manutenzione e disinfezione potrebbero infatti facilitare la colonizzazione di contaminanti microbici.

(18)

1.3 Valutazione del rischio idrico microbiologico

Il trattamento dell'acqua potabile ha lo scopo di eliminare i contaminanti presenti nell'acqua, infatti sono diverse le tecnologie e le strategie di intervento messe in atto per la produzione di acqua potabile19.

All’interno dell’impianto idrico la composizione e la funzione della comunità microbica possono essere potenzialmente influenzate dai cambiamenti delle condizioni ambientali20,21: infatti le comunità microbiche di acqua potabile sono sensibili ai cambiamenti fisiochimici e microbiologici dati della qualità dell'acqua come l’utilizzo di disinfettanti o una variazione nella concentrazione e composizione dei nutrienti ed elementi inorganici che potrebbero indurre una pressione di selezione sulla popolazione microbica e favorire la diversificazione della comunità22,23.

Lo sviluppo recente dei metodi analitici in microbiologia, con particolare riferimento ai metodi

molecolari, offre una maggiore sensibilità e specificità analitica, consente l’identificazione di microrganismi non rilevabili con i metodi tradizionali, permette di individuare nuovi ceppi patogeni e di ricostruire le dinamiche di trasmissione in caso di epidemia.

Dalle raccomandazioni dell’OMS sulle modalità di valutazione e gestione del rischio idrico si evincono alcuni elementi indispensabili da considerare.

a) La conoscenza del problema

Innanzitutto, una volta riconosciuti i pericoli prioritari verso i quali si voglia impostare una strategia di controllo del rischio, bisogna conoscerne profondamente ogni caratteristica affinché tale strategia possa essere davvero efficace. Questo per quanto riguarda i patogeni veicolati tramite l’acqua significa essere a conoscenza di molteplici punti chiave, tra cui:

(19)

• le condizioni che favoriscono la colonizzazione della rete idrica e la crescita batterica, come la temperatura ottimale dell’acqua, il pH o i nutrienti di cui i batteri hanno bisogno

• le modalità di trasmissione del germe, che sono diverse a seconda del patogeno considerato

• le dosi minime infettanti di tali patogeni, superate le quali il rischio per gli esposti diviene sostanziale

• il profilo di sensibilità nei confronti dei vari disinfettanti

• le manifestazioni cliniche della patologia ed il trattamento antibiotico più appropriato b) La conoscenza delle caratteristiche della popolazione esposta

Il rischio di contrarre un’infezione dipende dall’ interazione tra il germe e l’ospite18, di cui i fattori interessati sono: l’intensità dell’esposizione (considerando sia il tempo di esposizione sia la carica microbica), le caratteristiche del germe e lo stato immunitario dell’ospite. In modo teorico, il rischio di contrarre una simile infezione è stato così semplificato24:

Questa formula fornisce un’indicazione teorica sulle relazioni che intercorrono tra il rischio e gli altri fattori, sussistendo una proporzionalità diretta tra esso e i fattori di aggressività del patogeno ed una proporzionalità inversa rispetto alla efficienza della funzione immunitaria dell’ospite.

Per descrivere un fenomeno e prevederne l’evoluzione si fa spesso ricorso a modelli matematici che permettono sia di analizzare i possibili scenari che si possono presentare sia di valutare con tempestività la validità delle contromisure del caso. In relazione al rischio microbiologico i modelli in uso per la valutazione di altri tipi di rischio risultano incompleti, data la molteplicità dei parametri in gioco. Attualmente è stato definito per alcuni microrganismi, un livello numerico di rischio accettabile: 10-4 per persona per anno.

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Caratterizzare un rischio significa: identificare il pericolo, valutare la relazione dose-risposta e valutare l’esposizione. In particolare, per quanto riguarda il rischio microbiologico i parametri che intervengono sono molteplici e questo rende più complesso il modello. Bisogna considerare infatti: i dati relativi al microrganismo patogeno e caratterizzarlo (virulenza, patogenicità ecc.); le relazioni dose-risposta; definire le interazioni organismo-ospite; valutare l’esposizione (presenza e distribuzione del microrganismo); e considerare i relativi dati epidemiologici. Nella valutazione del rischio di esposizione ad agenti microbici, la relazione dose-risposta permette di procedere alla stima del rischio sulla base della probabilità che si sia verificata un’infezione; tuttavia il processo di evoluzione di una infezione, dal momento della colonizzazione alla manifestazione della malattia conclamata, rimane, per molti aspetti, ancora da chiarire. La relazione dose-risposta è il punto cruciale della valutazione del rischio microbico e il suo calcolo è basato sulla ragionevole assunzione che la risposta sia il risultato dell’ingestione/contatto con il patogeno e che l’entità della risposta sia correlata proporzionalmente alla dose. La maggiore limitazione ai modelli di valutazione del rischio microbiologico in relazione al calcolo della relazione dose-risposta è legata alla elaborazione di curve calibrate su adulti sani, curve difficilmente estrapolabili per una fascia di popolazione suscettibile, quali gli immunodepressi, i bambini e gli anziani. Al momento, non esistono curve dose-risposta per gran parte dei patogeni presenti nelle acque; in particolare sono necessari studi per quanto riguarda gli opportunisti patogeni, alcuni dei quali appartengono alla microflora naturale delle acque e sono presenti in essa indipendentemente da qualsiasi fonte di contaminazione. La valutazione del rischio risulta anche complicata da una serie di parametri, primo fra tutti l’effettiva impossibilità di caratterizzare su base genotipica o fenotipica, quantificare in modo adeguato ed identificare tutti i microrganismi presenti nelle acque e che possono essere agenti potenziali di malattia.

1.4 Legionella spp.

Il problema dello sviluppo biologico all’interno delle reti idriche di distribuzione interessa sempre più gli enti preposti al fine di attuare iniziative volte ad affrontare il monitoraggio della qualità dell’acqua. Dal momento che Legionella spp. è forse il più ubiquitario tra i patogeni veicolati tramite l’acqua ed è tra i più resistenti a procedure di bonifica ambientale si può affermare che il controllo del rischio idrico legato a infezioni sostenute da batteri

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appartenenti al genere Legionella sia assumibile come paradigma della gestione generale del rischio idrico in ambiente sanitario correlato a patogeni idrodiffusi.

Le legionelle (Fig.3) sono dei sottili bacilli Gram-negativi aerobi, non capsulati di dimensioni variabili tra i 0,3-0,9 μm di larghezza e i 2-20 μm di lunghezza, spesso provvisti di uno o più flagelli.

Fig. 3: Legionella pneumophila

Furono scoperte nel 1976 25,26, dopo un’epidemia diffusa tra i partecipanti al raduno della Legione Americana al Bellevue Stratford Hotel di Philadelphia. In quell’occasione, 221 persone contrassero questa forma di polmonite precedentemente non conosciuta, e 34 morirono. La fonte di contaminazione batterica fu identificata nel sistema di aria condizionata dell’albergo. Da allora le Legionelle sono state motivo di preoccupazione per la salute pubblica.

1.4.1 Caratteristiche microbiologiche

Le Legionelle spp. sono aerobi obbligati e producono diversi enzimi e potenziali tossine che si possono trovare nel sovranatante di colture o in lisati batterici, tra cui: emolisine, proteasi, esterasi, fosfolipasi, amino peptidasi ed endonucleasi. hanno particolari esigenze nutritive e non crescono nei comuni terreni per batteriologia ma su un terreno con carbone ed estratto di lievito, tamponato a pH 6,9. L-cisteina è un aminoacido critico per la crescita, mentre i ketoacidi e lo ione ferrico stimolano la crescita. Il carbone attivo assorbe e detossifica gli acidi grassi. Non fermentano carboidrati ed utilizzano aminoacidi come fonte di energia.

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Serbatoio naturale di Legionella spp è l’ambiente acquatico, dove può trovarsi in forma planctonica o all’interno di amebe; ambienti umidi e tiepidi, come ad esempio i sistemi di conduttura delle acque, i condizionatori dell’aria e le torri di raffreddamento dei sistemi industriali, rappresentano la nicchia ideale per la riproduzione del batterio.

Attualmente, ci sono 62 specie e 70 sierogruppi inclusi nel genere Legionella. Di questi, L.

pneumophila è la causa del 90% di tutti i casi di legionellosi riportati negli Stati Uniti. Il

79% di tutti i casi confermati colturalmente o attraverso la ricerca dell’antigene urinario sono risultati appartenenti a L. pneumophila sierogruppo 1. L. pneumophila si moltiplica a una temperatura tra 25 e 42 °C, con una crescita ottimale a 35 °C27.

1.4.2 Ecologia e fattori di rischio

La presenza di Legionella pneumophila può essere riscontrata all’interno di circuiti di torri evaporative e di sistemi di raffreddamento e da qui nebulizzata in ambiente sotto forma di aerosol.

Il pericolo di una possibile contaminazione batterica è anche per impianti di condizionamento le cui prese dell’aria esterne sono posizionate nelle immediate vicinanze di emissioni provenienti da torri evaporative. Le goccioline si possono formare sia spruzzando l’acqua che facendo gorgogliare aria in essa, o per impatto su superfici solide. La pericolosità di queste particelle di acqua è inversamente proporzionale alla loro dimensione. Gocce di diametro inferiore a 5µ arrivano più facilmente alle basse vie respiratorie. Sono stati inoltre segnalati in letteratura casi di legionellosi acquisita attraverso ferita28-30. Non è mai stata dimostrata la trasmissione interumana della malattia.

Gli impianti più a rischio sono quelli di produzione e distribuzione dell’acqua calda sanitaria anche in virtù del fatto che le concentrazioni residue di disinfettante presenti all’interno delle reti di distribuzione acquedottistiche, risultano generalmente insufficienti a garantire l’assenza del batterio dalle reti idriche. Le Legionelle sono ampiamente diffuse in natura, si trovano principalmente associate alla presenza di acqua: superfici lacustri e fluviali, sorgenti termali, falde idriche ed ambienti umidi in genere.

Le Legionelle prediligono gli habitat acquatici caldi: si riproducono tra 25 e 42°C, ma sono in grado di sopravvivere in un range di temperatura molto più ampio, tra 5,7 e 63°C; questi

(23)

batteri presentano anche una buona sopravvivenza in ambienti acidi e alcalini, sopportando valori di pH compresi tra 5,5 e 8,1. Legionella spp. diventa pericolosa per l’uomo quando le condizioni ambientali diventano favorevoli per la replicazione e diffusione del batterio, temperatura compresa tra 25°C e 45°C poiché sotto i 20°C è inibita la replicazione mentre sopra i 60°C si ha morte del batterio.

Le fonti di infezione sono rappresentate da tutte quelle componenti terminali delle condotte idriche che possono generare, sotto pressione, un aerosol acquoso che frammenta le gocce d’acqua in dimensioni tali da poter essere aspirate e raggiungere gli alveoli polmonari (diffusori o “soffioni” delle docce, rubinetti con frangiflusso, idromassaggi, fontane, sistemi di umidificazione, ecc).

La diffusione della Legionella pneumophila ha luogo soprattutto laddove l’acqua calda viene distribuita con sistemi in ricircolo; il problema risulta pertanto accentuato in strutture pubbliche e private quali ospedali, case di cura, grandi alberghi e carceri dove è pressoché indispensabile l’adozione di tali sistemi per poter mantenere la temperatura dell’acqua entro i 45°C a tutte le utenze.

Formazioni calcaree nei tubi o nei filtri, biofilm, tubature a fondo cieco, giunti con rugosità rappresentano zone in cui il flusso laminare dell’acqua semplifica la formazione di zone di stasi dell’acqua, in cui la Legionella spp. non è raggiunta da fattori inibitori alla crescita (disinfettanti, componente termica dell’acqua, sostanze chimiche ad azione antimetabolica, ecc..) e prolifera. Inoltre, è tra i più resistenti ai metodi di bonifica ambientale.

Nei serbatoi e condotti dell’acqua può formarsi un biofilm costituito da microrganismi che aderiscono alla superficie, spesso irregolare delle tubature per la presenza di depositi. Ad esempio, Legionella pneumophila tende ad aderire maggiormente ai seguenti materiali, in ordine decrescente: • lattice • etilen-propilene • pvc • polipropilene • acciaio • polietilene

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• vetro

Questo è possibile grazie alle diverse interazioni che hanno alcuni nutrienti con le superfici dove aderire incoraggiando quindi lo sviluppo del biofilm da parte di specie batteriche che necessitano proprio di quei nutrienti31.

Queste peculiarità possono essere utili da considerare per esempio nella selezione dei materiali nella progettazione delle reti idriche. È però possibile eliminarlo attraverso procedure di bonifica che prevedono l’utilizzo di ipoclorito di sodio o il dosaggio sanificante a base di perossido di idrogeno e ioni argento, il prodotto è in grado di demolire il biofilm eliminando Legionella spp. presente all’interno della rete di distribuzione32

La facilità con cui Legionella spp. si riproduce nell’ambiente naturale, in contrasto con la difficoltà a crescere sui terreni di coltura artificiali, è in buona parte dovuta alla capacità di questo batterio di moltiplicarsi all’interno di protozoi ciliati (Tetrahymena ad esempio) ed amebe (Acanthamoeba, Naegleria, Hartmannella, ecc.), che costituiscono una fonte di nutrimento e di protezione dalle condizioni ambientali sfavorevoli (temperatura ed acidità elevate, presenza di biocidi, ecc.), grazie anche alla capacità delle amebe di produrre forme di resistenza come le cisti.

I protozoi contribuiscono al verificarsi delle infezioni da batteri idrodiffusi poiché instaurano con essi relazioni simbiotiche. La simbiosi è infatti un modo di proteggere i batteri intracellulari da eventuali misure di controllo della colonizzazione batterica quali l’uso di un disinfettante o lo shock termico. È il caso per esempio di Legionella spp., identificata come paradigma della gestione generale del rischio idrico per diversi motivi tra i patogeni veicolati dall’acqua, il più resistente a procedure di bonifica ambientale efficaci su altri microrganismi, anche per la sua capacità di persistere all’interno dei protozoi acquatici33.

1.4.3 Relazioni tra Legionella spp. e protozoi

Protozoi appartenenti al genere Acanthamoeba sono onnipresenti, occupano habitat diversi, tra cui terreni umidi e ambienti d’acqua dolce In questi habitat naturali essi predano i batteri, controllano la popolazione batterica, e riciclano sostanze nutritive nell'ecosistema34. In

(25)

letteratura scientifica è ormai appurato che il genere Acanthamoeba ha un trofismo attivo nei confronti dei batteri, a causa di numerose glicoproteine mannosio-vincolante disposte sulla membrana, che interagiscono specificamente con i residui di mannosio esclusivi della membrana batterica. Acanthamoeba aderisce sulle superfici interessate da biofilm aumentandone la carica batterica. Specie di Acanthamoeba possono sopportare condizioni ambientali ostili come clorazione e temperature elevate, manifestano anche la resistenza a numerosi disinfettanti e possono esistere in forma di cisti, fornendo ai batteri meno tolleranti agli stress ambientali un ambiente attraente per vivere35.

L’analisi della coesistenza di Legionelle spp. e protozoi negli ambienti naturali è stato oggetto di studio di molti autori, infatti i protozoi offrono dimora al microrganismo in modo da favorire la possibilità di replicazione evitando cosi la morte in condizioni estreme di crescita: fisiche (temperature o pH dell’acqua con valori estremi per la persistenza di legionelle), chimiche (uso di specifici disinfettanti per l’acqua potabile o presenza di composti o ioni che inibiscono la crescita di legionelle). L’endosimbiosi permette la sopravvivenza quando si vengono a creare condizioni estreme per la replicazione delle legionelle, quindi la coesistenza di legionelle e protozoi in acqua rappresenta un vantaggio, le legionelle sfruttano le proprietà fisiologiche dei protozoi, internalizzandosi all’interno di essi in alcuni casi riescono a sfuggire anche al trattamento con specifici disinfettanti favorendo lo sviluppo di forme quiescenti vitali non coltivabili (VBNC)36,37.

La presenza dell’associazione fra Acanthamoeba e Legionella spp. è stata rilevata anche in ambienti ricreativo-sportivi, come impianti termali, piscine e vasche per idromassaggi, bagni turchi e aree adibite a sauna, nonché di tipo sanitario, quali piscine per riabilitazione motoria. La presenza dei biofilm batterici risulta essere, dunque, un fattore di rischio anche per la contaminazione ambientale da Acanthamoeba e a sua volta per la veicolazione da parte di questo protozoo di batteri presenti nel biofilm, come si verifica nel caso delle infezioni di legionellosi.

1.4.4 Manifestazioni cliniche

"Legionellosi" è la definizione di tutte le forme morbose causate da batteri Gram-negativi aerobi del genere Legionella. Essa si può manifestare sia in forma di polmonite con tasso di

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mortalità variabile tra 10-15%, sia in forma febbrile extra polmonare o in forma subclinica. La specie più frequentemente coinvolta in casi umani è L. pneumophila anche se altre specie sono state isolate da pazienti con polmonite, la prevalenza delle contaminazioni da

Legionella spp. fino ad oggi si concentrano principalmente sui sistemi di acqua calda negli

ospedali e negli edifici pubblici come gli hotel38-42.

La legionellosi può manifestarsi in due forme distinte: la Malattia del Legionario vera e propria, che frequentemente include una forma più acuta di polmonite e la febbre Pontiac, una forma molto meno grave.

La Malattia del Legionario, ha un periodo di incubazione variabile da 2 a 10 giorni (in media 5-6 giorni), a volte possono essere presenti sintomi gastrointestinali, neurologici e cardiaci; alterazioni dello stato mentale sono comuni, generalmente non associati a meningismo. Si manifesta come una polmonite infettiva, con o senza manifestazioni extra polmonari, la sindrome pneumonitica non ha caratteri di specificità né clinici né radiologici. I quadri radiologici non sono patognomonici potendosi riscontrare focoloai polmonari, singoli o multipli, monolaterali o disseminati con o senza evoluzione escavativa, come quadri inizialmente a impegno interstiziale.

Invece la febbre di Pontiac si manifesta in forma acuta simil-influenzale senza interessamento polmonare, e si risolve in 2-5 giorni, dopo un periodo di incubazione di 24-48 ore. I sintomi sono: malessere generale, mialgie e cefalea, seguiti rapidamente da febbre, a volte con tosse e gola arrossata. Possono essere presenti diarrea, nausea e lievi sintomi neurologici quali vertigini o fotofobia.

Il trattamento della legionellosi, essendo una malattia di origine batterica, passa soprattutto attraverso terapie antibiotiche. La febbre di Pontiac ha un’evoluzione benigna anche in assenza di uno specifico trattamento chemioterapico. Tutte le altre malattie sostenute da

Legionella spp, dalle più comuni polmoniti, alle meno frequenti infezioni extra polmonari,

viceversa, richiedono un trattamento specifico.

1.4.5 Fattori di rischio per l’acquisizione

Il rischio di acquisizione della malattia dipende dalle caratteristiche del batterio, dalla suscettibilità individuale e dalle condizioni ambientali. Per il microrganismo la patogenicità

(27)

è legata alla concentrazione del batterio, anche se nel caso di Legionella spp. non è nota la dose minima infettante, alla virulenza del ceppo e alla sua capacità di sopravvivere in diversi ambienti e moltiplicarsi all’interno dei macrofagi. Sebbene modelli animali abbiano dimostrato una correlazione tra la concentrazione del batterio e il rischio di infezione, non è ancora stata definita la dose minima infettante per l’uomo sulla base del numero di unità formanti colonie (CFU) presenti nei campioni di acqua contaminata. Sono considerati più a rischio i soggetti di sesso maschile, di età avanzata, fumatori, consumatori di alcool, affetti da malattie croniche (diabete, broncopneumopatie ostruttive, malattie cardiovascolari e renali, ecc.) e con immunodeficienza acquisita in seguito ad interventi terapeutici (trapianti d’organo, terapia con steroidi e antitumorali, ecc.) o infezione da HIV. Circa la vulnerabilità dell’ospite, i pazienti a maggior rischio di contrarre la legionellosi sono gli immunodepressi o immunosoppressi gravi, i trapiantati e i pazienti oncoematologici ed in misura minore soggetti affetti da patologie polmonari croniche nonché anziani. Per tali categorie di pazienti anche l’esposizione a cariche inferiori a 100 CFU/L comporta un rischio43.

In un soggetto affetto i sintomi e segni che si possono manifestare sono: bradicardia relativa, lieve aumento delle transaminasi, ipofosfatemia, diarrea e dolore addominale. Sono purtroppo possibili anche delle complicanze come ascesso polmonare, empiema, insufficienza respiratoria, shock, coagulazione intravasale disseminata, porpora trombocitopenica e insufficienza renale. Tra i fattori di rischio ambientali sono di particolare rilevanza la modalità, l’intensità ed il tempo di esposizione. Giocano altresì un ruolo importante le caratteristiche dell'acqua come temperatura compresa tra 25 e 45°C, la presenza di alghe ed amebe che forniscono nutrimento e protezione, anche in condizioni di temperatura elevata ed in presenza di biocidi presenza di sostanze biodegradabili che favoriscono la formazione del biofilm, concentrazione di alcuni elementi in traccia (ferro, rame, zinco, ecc.), alcune caratteristiche dell’impianto idrico fenomeni di ristagno/ostruzione che favoriscono la formazione del biofilm, formazione di incrostazioni e depositi calcarei che offrono riparo dai disinfettanti, impianto di riscaldamento di tipo centralizzato dotato di estese reti di condutture, punti di giunzione e rami morti, presenza di un serbatoio di accumulo dell’acqua e di un sistema di ricircolo, fenomeni di usura e corrosione.

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Atre variabili che influenzano l’acquisizione della infezione sono: la carica del patogeno e la sua virulenza, il tempo di esposizione al patogeno, la distanza dalla sorgente, il grado di nebulizzazione dell’acqua contenente l’agente, la vulnerabilità propria dell’ospite.

Attraverso il “pneumonia severity index” 44 i casi vengono classificati in gravi ed in questo caso la sindrome può insorgere bruscamente con febbre, dolore toracico, dispnea, cianosi, tosse produttiva associati alla obiettività fisica semeiologica del consolidamento polmonare. Nei casi classificabili come di gravità lieve ma che se non trattati in maniera adeguata possono evolvere in polmonite grave, l’esordio può essere insidioso con febbre, malessere, artralgie, tosse lieve, non produttiva. Nel polmone la Legionella spp. è fagocitata dai macrofagi, particolari cellule del sistema immunitario che intervengono fin dalla prima fase dell’infezione. All’interno dei macrofagi, nei vacuoli formatisi dopo la fagocitosi,

Legionella spp. si replica, inibendo i processi enzimatici intracellulari con cui i macrofagi

“digeriscono” ciò che fagocitano. Non solo, Legionella spp. è in grado anche di impedire la morte della cellula ospite che interromperebbe la replicazione batterica. La replicazione intracellulare di Legionella spp. provoca ad un certo punto, quando le riserve di nutrimento si sono esaurite, la lisi del macrofago e la dispersione del batterio nel tessuto circostante che attraverso il sangue o le vie linfatiche raggiunge altri organi. Le citochine rilasciate dai macrofagi infettati inducono una intensa risposta infiammatoria45.

La polmonite da L. pneumophila non ha quindi caratteristiche cliniche che permettano di distinguerla da altre forme atipiche o batteriche di polmonite comunitaria, né ha stigmate specifiche che consentano di sospettarla tra le eziologie di polmonite nosocomiale e/o dell’ospite immunocompromesso (linee guida per il controllo e la prevenzione della legionellosi).

1.4.6 Ciclo vitale all’interno dei macrofagi umani e nelle amebe

Sia all’interno delle amebe, macrofagi e monociti alveolari L. pneumophila è in grado di replicare (Fig.4), essa si può trovare in diverse forme sia una replicativa sia in forma di trasmissione/replicativa, oltre a queste sono state descritte altre forme: una matura

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intracellulare, caratterizzata da batteri altamente infettivi e mobili, una forma cyst-like e una vitale ma non coltivabile (VBNC).

Le situazioni di stress ambientale e carenza di nutrienti inducono alla transizione da forma replicante e metabolicamente attiva alla forma di resistenza.

Fig. 4 Ciclo vitale di Legionella pneumophila

I protozoi sono dei fagociti primordiali e questo nell’ambiente rende possibile a L.

pneumophila di stabilire relazioni parassitarie con protozoi che permette e garantisce al

microrganismo: sopravvivenza, replicazione, disseminazione e protezione dalle condizioni ambientali meno favorevoli.

Nel caso di Legionella spp. gli esseri umani sono ospiti accidentali mentre vengono classificati ospiti naturali amebe e ciliati.

L’interazione dei ceppi virulenti con le cellule ospiti (macrofagi e protozoi) è suddivisa in 5 stadi:

1. legame dei microrganismi ai recettori presenti sulla superficie della cellula ospite; 2. ingresso nei fagociti;

3. elusione delle difese dell’ospite: inibizione della fusione di fagosomi e lisosomi; 4. formazione di un vacuolo replicativo;

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1.4.7 L’uomo come ospite occasionale

L’uomo viene definito un ospite occasionale, si infetta respirando aerosol contenete legionelle:

• per aspirazione di acqua contaminata;

• per inalazione di particelle di polvere generate da terriccio umido

Penetra nell’ospite attraverso le mucose delle prime vie respiratorie e raggiungono i polmoni dove vengono fagocitati dai macrofagi alveolari sia per ceppi virulenti che non-virulenti, presenti entrambi intatti all’interno dei fagociti, ma solo i ceppi virulenti possono moltiplicarsi all’interno dei fagociti e inibire la fusione di fagosomi con i lisosomi. Segue la morte dei macrofagi che rilasciano un elevato numero di legionelle capaci di infettare altri macrofagi, aumentando cosi la concentrazione nei polmoni.

Nel dettaglio dopo l’ingestione da parte della cellula ospite il batterio perde il flagello nel citoplasma e penetra le cellule per endocitosi (si lega al recettore CR3) e forma il vacuolo contenente Legionella spp. (LCV) che elude il trasporto alla rete lisosomiale. Pochi minuti dopo la cattura, appaiono delle vescicole, che derivano dal reticolo endoplasmatico (ER), in prossimità alla superficie del LCV(Fig.5).

Fig. 5. Ciclo infezione Legionella spp. nei macrofagi

Le vescicole che circondano la LCV diventano tempestate da ribosomi e si trasforma in un comparto con reticolo-simil-endoplasmatico. All'interno del LCV, il batterio replica all’interno dei macrofagi e dei monociti e producendo delle proteasi, fosfatasi, lipasi,

(31)

nucleasi che alla fine uccidono la cellula ospite quando il vacuolo viene lisato liberando batteri ciliati ed attivamente mobili.

La patogenesi di L. pneumophila è stata chiarita grazie all’identificazione dei geni che permettono al batterio di by-passare i meccanismi di endocitosi sia in protozoi che nelle cellule umane. Durante la fagocitosi Legionella spp. attiva un complesso di reazioni a cascata, che comprendono:

• inibizione dei processi ossidativi; • riduzione dell’acidità del fagosoma;

• interruzione della maturazione del fagosoma; • diminuzione di movimento a carico degli organelli.

In questo modo Legionella spp. previene l’attività batterica dei fagociti e trasforma il fagosoma in una sorta di nicchia dove potersi replicare46.

L. pneumophila è in grado di inibire l’attivazione dei fagociti grazie a:

• una (cito)tossina che blocca il metabolismo ossidativo dei neutrofili;

• una fosfata si che blocca la produzione di anione superossido da parte dei neutrofili; Una forte risposta infiammatoria è in dotta da citochine e chemochine prodotte dai macrofagi infettati.

Le citochine prodotte riescono ad attivare i macrofagi (fondamentale IFN-gamma).

Dopo l’ingresso di L. pneumophila nelle cellule, si verificala risposta immune a che minaccia di interrompere la replicazione intracellulare provocando la morte della cellula ospite.

L. pneumophila attiva il fattore di trascrizione, fattorenucleare kB (NF-kB), per promuovere

l'espressione di geni anti-apoptotici per ritardare la morte della cellula ospite. Nelle fasi successive di infezione, inibisce direttamente una via apoptotica.

1.4.8. Linee guida per prevenzione ed il controllo della legionellosi

Le “Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi”47, pubblicate nel 2000, sono state il primo documento nazionale finalizzato a fornire agli operatori sanitari informazioni aggiornate sulla legionellosi, sulle diverse fonti di infezione, sui metodi diagnostici e di indagine epidemiologica ed ambientale.

(32)

Le linee guida stabiliscono la diagnosi di laboratorio per la ricerca di Legionella spp. in campioni di provenienza umana. In particola modo, stabiliscono che i test diagnostici dovrebbero essere idealmente eseguiti nei seguenti casi di polmonite: in pazienti con malattia severa che richieda il ricovero in un reparto di terapia intensiva, in pazienti con fattori di rischio, in pazienti che siano stati esposti a Legionella spp. durante un’epidemia, in pazienti in cui nessuna altra eziologia è probabile.

I metodi diagnostici per l’infezione di Legionella spp. sono: l’isolamento del batterio attraverso coltura (Fig. 6), la rilevazione di anticorpi su sieri nella fase acuta e convalescente della malattia, la rilevazione dell’antigene urinario, la rilevazione del batterio nei tessuti o nei fluidi corporei mediante test di immunofluorescenza, la rilevazione del DNA batterico mediante PCR.

Fig. 6: Legionella cresciuta su piastra di BCYE

(http://www.biomerieux-culturemedia.com/product/95-legionella-agar-with-l-cysteine--bcye--and-without-l-cysteine--bcy-)

La rilevazione del DNA batterico mediante PCR non è un metodo validato ma è un’analisi rapida da eseguire, i cui risultati positivi saranno saggiati con il metodo colturale. Nessun metodo di diagnosi di legionellosi è sensibile e specifico al 100%, è ormai opinione condivisa a livello internazionale, che maggiore è il numero di metodi diagnostici utilizzati, più corretta sarà la diagnosi di legionellosi. Infatti, la negatività di uno o di tutti i test diagnostici utilizzati e validati non esclude che ci si possa trovare di fronte ad un caso di legionellosi.

L’isolamento mediante coltura è considerato il metodo diagnostico di elezione per la diagnosi di legionellosi. I campioni dovrebbero essere prelevati prima del trattamento

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antibiotico, sebbene Legionella spp. sia stata isolata da secrezioni del tratto respiratorio e dal sangue anche dopo alcuni giorni di trattamento antibiotico. I campioni del tratto respiratorio (BAL, tracheoaspirato, liquido pleurico) e il parenchima polmonare, dovrebbero essere tempestivamente coltivati. Inoltre, un’emocoltura negativa, seminata successivamente su terreno specifico per Legionella spp., può dar luogo all’isolamento del microrganismo. In alcuni casi Legionella spp. è stata trovata in campioni provenienti da siti extra polmonari, specialmente in campioni autoptici (es. fegato, milza, fluido pericardico, reni, ascessi cutanei). L’isolamento del batterio richiede terreni di coltura specifici poiché Legionella spp. non cresce sui terreni di uso comune, ed ha tempi di crescita relativamente lunghi (4-10 giorni). L’analisi dei campioni clinici mediante coltura è estremamente importante, perché è il criterio diagnostico più specifico, permette l’isolamento di tutte le specie e sierogruppi e consente lo studio comparativo con ceppi di Legionella isolati dall’ambiente, presumibilmente associati all’infezione, al fine di individuare la fonte dell’infezione stessa. L’uso di colorazioni batteriologiche può essere solo parzialmente utile. Tuttavia, è necessario prendere in considerazione una diagnosi di legionellosi se si osservano batteri Gram-negativi nelle secrezioni delle basse vie respiratorie di un paziente immunocompromesso, con una coltura negativa dopo 24 ore sui terreni di uso corrente. La coltura è particolarmente importante per la diagnosi in alcuni casi: pazienti in cui la polmonite è severa e causa insufficienza respiratoria, pazienti immunocompromessi, infezioni nosocomiali, casi in cui si sospetta che la causa sia Legionella spp. appartenente a specie differenti da L. pneumophila sierogruppo 1.

La presenza dell’antigene solubile di Legionella nelle urine (antigenuria) si rileva nella maggior parte dei pazienti da uno a tre giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, con un picco a 5-10 giorni; può persistere per alcune settimane o mesi, soprattutto in pazienti immunocompromessi, dove può persistere per quasi un anno. Inoltre, essendo la sensibilità al test spesso associata alla gravità della malattia per evitare una mancata diagnosi, nei casi di polmonite meno grave, si dovrebbe fare ricorso ad altri test diagnostici. La sua presenza, tuttavia, può essere a volte intermittente, ma si rileva anche in corso di terapia antibiotica. Questo test è attualmente validato esclusivamente per L. pneumophila sierogruppo 1, anche se, in una certa percentuale di casi, è stata riscontrata positività a seguito di infezioni causate da altri sierogruppi di Legionella. Pertanto, la positività del test non implica necessariamente che l’agente eziologico sia L. pneumophila sierogruppo1, anche se questa è la situazione più frequente. La conferma può essere ottenuta solo con l’utilizzo di altri metodi diagnostici

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