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Agrobiodiversità e produzioni di qualità in Basilicata

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Academic year: 2021

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collana PUBBLICAZIONI REGIONALI. Quaderni

AGROBIODIVERSITÀ E PRODUZIONI

DI QUALITÀ IN BASILICATA

a cura di Maria Assunta D’oronzio e Milena Verrascina

À E PRODUZIONI DI QUALIT

À IN BASILIC

AT

A

Le attività delle Sedi Regionali dell’Istituto sono molteplici, dall’assistenza alle Regioni e agli altri enti locali, in particolare per l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche comunitarie (interventi strutturali, di mercato, sviluppo rurale, ecc.), per la produzione di fonti informative originali sul funzionamento delle imprese agricole (RICA) e sulle dinamiche di im-portanti fenomeni che investono il settore primario: irrigazione, foreste, immigrati, mercato fondiario, filiere agroalimentari, produzioni di qualità e biologiche, ecc. Ma una componente di rilievo è rappresentata anche dalle attività di ricerca che le sedi regionali assicurano per la realizzazione di indagini condotte dalla sede nazionale dell’Ente e dalle collaborazioni attivate in partnership con il mondo della ricerca nazionale e internazionale.

La produzione tecnica e scientifica delle Sedi Regionali spazia dai rapporti finalizzati alle esi-genze di supporto alle decisioni delle istituzioni locali ai quaderni divulgativi sul sistema della conoscenza in agricoltura e sulla evoluzione e gli scenari di sviluppo agricolo e rurale. Le com-petenze e le esperienze accumulate in molte sedi consentono anche di sviluppare autonome attività di studio e di ricerca mirate a fornire contributi metodologici e un avanzamento delle conoscenze.

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Agrobiodiversità e produzioni

di qualità in Basilicata

a cura di Maria Assunta D’Oronzio e Milena Verrascina

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Responsabile progetto: Maria Assunta D’Oronzio e Carmela De Vivo. La segreteria del progetto è stata curata da Anna Romaniello.

Per l’impostazione e la progettazione dello studio ha operato il seguente gruppo di lavoro: Maria Assunta D’Oronzio (INEA), Gerardo Delfino (INEA), Sabrina Giuca (INEA), Milena Ver-rascina (INEA), Mara Loperfido (collaboratore INEA)

La revisione del testo è stata curata da Maria Assunta D’Oronzio e Milena Verrascina. I contributi al testo sono di:

Lo scenario di riferimento: Maria Assunta D’Oronzio Capitolo I: Sabrina Giuca

Capitolo II: Milena Verrascina Capitolo III: Carmela De Vivo Capitolo IV: Mara Loperfido

Segreteria di redazione: Roberta Capretti Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto

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Prefazione

Prodotti di qualità: lo scenario di riferimento 5

capitolo 1

I prodotti agroalimentari tipici 13

1.1 La tipicità dei prodotti agroalimentari 13

1.2 I prodotti tipici certificati DOP e IGP 18

1.2.1 I Prodotti DOP/IGP in Basilicata 22

1.2.2 I vini di qualità e i vini a indicazione geografica tipica 24

1.3 I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) 25

1.4 I prodotti tipici a marchio collettivo 28

capitolo 2

Territorio, prodotti, qualità e agrobiodiversità 33

2.1 L’agrobiodiversità: patrimonio delle risorse genetiche

vegetali e animali di un territorio 33

2.2 La biodiversità agraria e la politica di Sviluppo rurale 35 2.3 Le tipicità lucane: conservazione dell’agrobiodiversità,

tradizione, valorizzazione del territorio 37

2.4 Tutela della biodiversità agraria e sviluppo produzioni

tipiche di qualità: alcuni esempi regionali 38

capitolo 3

Politiche e produzioni di qualità in Basilicata 43

3.1 Le politiche regionali di valorizzazione delle produzioni locali 43 3.2 Progetti territoriali per promuovere e valorizzare la tipicità 45

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4.1 Qualità e tipicità nel contesto lucano 51 4.2 I prodotti ortofrutticoli DOP/IGP della Regione Basilicata 54

4.3 Formaggi DOP/IGP della Regione Basilicata 104

4.4 “Pane di Matera” IGP

4.5 Olio extravergine di oliva "Vulture" DOP 156 4.6 I vini a Denominazione di Origine Controllata

della Regione Basilicata 169

Bibliografia 229

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I prodotti tipici e tradizionali della Basilicata rappresentano una vera ric-chezza storica e culturale regionale, con un’identità ben specifica che trae origine dalle caratterizzazione del “sistema locale” in termini di ambiente, tradizioni, co-noscenze e competenze. Spesso tali prodotti danno vita a piccole realtà artigianali locali che, attraverso lavorazioni e metodiche particolari, aggiungono alla biodiver-sità agraria un’ulteriore esaltazione del prodotto locale. La riscoperta di tali produ-zioni, accompagnata da politiche comunitarie, nazionali e regionali, ha consentito ai territori e alla collettività di recuperare e riappropriarsi della propria identità culturale e contemporaneamente di consolidare e, in alcuni casi, di creare un nuovo segmento di mercato, che richiede tali produzioni.

La normativa sulle denominazioni di origine ha consentito la diversificazione dei processi e dei prodotti in particolare per le produzioni agro-alimentari medi-terranee, caratterizzate da vocazionalità del territorio, tradizionalità dei saperi e artigianalità delle tecniche ed ha portato ad una presa di coscienza degli operatori ed una maggiore conoscenza da parte dei consumatori della qualità di un prodotto. Grazie a tale normativa i produttori possono beneficiare di una maggiore re-muneratività ed ai consumatori è assicurata una maggiore qualità nutrizionale che consenta di disporre effettivamente di un prodotto sano, salubre e genuino.

Oggi siamo di fronte ad un incremento del numero dei prodotti DOP/IGP e all’aumento del valore e delle quantità prodotte, nonché della domanda sia a livello nazionale, per il consumo domestico, sia a livello estero.

L’Italia si distingue a livello europeo per numero di prodotti DOP/IGP, con denominazioni di alta reputazione a livello internazionale, anche se la produzione complessiva dei prodotti certificati continua ad essere trainata da appena il 7% dei prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento comunitario. Il paniere lucano dei prodotti a denominazione di origine, sono otto: il Canestrato di Moliterno IGP, il Fagiolo di Sarconi IGP, la Melanzana Rossa di Rotonda DOP, il Pane di Matera IGP, il Pecorino di Filiano DOP, i Fagioli Bianchi di Rotonda DOP, il Peperone di Senise IGP, nonché il Caciocavallo Silano DOP, che incidono sul poco più del 3% del paniere nazionale. L’Olio extra-vergine di oliva Vulture DOP, che potenzialmente ha maggiori quantitativi, ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 510/06 resta in

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quasi triplicata rispetto al 2008 ed interessa oltre 166 ettari, ma ciò non ha com-portato un proporzionale incremento del fatturato e tra le possibili cause sicura-mente l’eccessiva frammentazione dell’offerta che inficia adeguati comportamenti di business. La filiera regionale di qualità DOP/IGP coinvolge 95 strutture produttive sia di produzione (74%) che di trasformazione (26%). Il fatturato alla produzione delle DOP e IGP lucane è stimato in 2,1 milioni di euro nel 2008 (ISMEA, 2010) dato sicuramente da non sottovalutare e sottostimare in considerazione che il paniere della Basilicata si compone di pochi prodotti e che si registra una resistenza dei produttori alla vendita delle proprie produzioni con il marchio aziendale o collettivo.

La situazione delle produzioni di qualità regionale è differenziata, a seconda del comparto, e se in alcuni casi la fama dei prodotti ha valicato il confine regionale e nazionale per altri il lavoro è ancora lungo. Una politica regionale che valorizza le produzioni di qualità, conservando le agro biodiversità, è necessaria per rendere le nostre aziende più competitive. In questo caso un ruolo centrale per lo sviluppo delle aziende, delle produzione e dei territori è rappresentato dai Consorzi di tutela e di valorizzazione in quanto costituiti da soggetti direttamente coinvolti nella filie-ra produttiva, con un’esperienza specifica ed una conoscenza approfondita delle caratteristiche del prodotto, che possono garantire e sostenere o sviluppo delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche.

Dr.ssa Vilma Mazzocco Assessore Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana

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L’Italia è il primo Paese europeo per numero di prodotti a Denominazione d’Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP) e Specialità Tradi-zionale Garantita (STG) che si confermano e si elevano a componente significativa della produzione agroalimentare nazionale e ad elemento di competitività e di iden-tità locale. Il riconoscimento dei prodotti tipici certificati DOP/IGP ha rappresentato uno nuovo modo per tutelare e valorizzare, all’interno del mercato unico europeo, le produzioni agricole e agro-alimentari mediterranee caratterizzate dalla vocazione del territorio, dalla tradizionalità dei saperi e dall’artigianalità delle tecniche. In tal modo, in un contesto internazionale caratterizzato da una produzione di massa dei beni alimentari, se ne è affiancata una differenziata, limitata e flessibile alle esigen-ze di mercato, che soddisfa nuovi modelli di consumo e forme di vendita. Nei prodotti DOP/IGP è il territorio che genera la qualità, le caratteristiche o anche la semplice rinomanza del prodotto (Albisinni et al., 2007).

Il mercato nazionale dei prodotti DOP/IGP è, in continua crescita, anche per valore e quantità prodotte, orientato principalmente al mercato interno -al consumo domestico-, ma con un buon andamento della domanda estera. Il primato di im-magine dell’alimentare Made in Italy è un dato acquisito che regge anche l’impatto della globalizzazione e, il proliferare di prodotti “taroccati” che di italiano hanno solo il <sounding> ne è la più evidente conferma (Annamaria Capparelli, INEA 2010). La performance positiva del Made in Italy evidenzia Il ruolo ed il contributo delle pro-duzioni di qualità (agricole e del trasformato) alla formazione del saldo commer-ciale. Infatti, nel 2008, le esportazioni di prodotti a denominazione sono aumentate in maniera costante ed hanno raggiunto i 14,1 Milioni di Euro; (il Commercio con l’Estero dei prodotti agroalimentari. INEA 2008). In base ai dati ISTAT, nel 2009 i prodotti di qualità italiani a denominazione comunitaria sono diventati 194 e sono cresciuti rispetto all’anno precedente (19 in più). In Italia queste produzioni han-no assunto un’importanza crescente, in quanto da un lato una quota sempre più rilevante di consumatori ha dimostrato interesse verso produzioni alimentari non standardizzate e con caratteristiche di unicità e qualità superiore e, dall’altro, il si-stema produttivo ha visto l’affermarsi di sistemi locali centrati su prodotti legati a specifiche tradizioni e contraddistinte da caratteristiche di particolare pregio (tipi-cità). L’Unione europea, alla fine del 2008, attraverso il “Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli: norme di prodotto, requisiti di produzione e sistemi di qualità”

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iniziative sarebbero auspicabili. L’assunto di partenza del Libro verde è l’importanza del perseguimento della qualità che risulta l’arma più potente per gli agricoltori per vincere le sfide di un’economia di mercato ormai sempre più globalizzata. La qualità è un fattore di produzione che deve interessare ogni agricoltore europeo e ogni con-sumatore sia che si tratti di requisiti minimi a cui devono rispondere le derrate e sia che riguardi di prodotti di prima qualità. La tematica della sicurezza alimentare e la percezione della qualità oltre che la rintracciabilità dei prodotti agroalimentari sono considerati i prerequisiti necessari da assicurare al consumatore e che il produttore deve prseguire.

Nonostante la crisi generale che caratterizza la spesa alimentare delle fa-miglie, i consumi domestici si orientano ancora verso prodotti di qualità, segno che rappresentano una garanzia sia per i produttori che per i consumatori: la tipicità “paga” ed i consumatori sono disposti a spendere di più per un prodotto che la ga-rantisca1. Inoltre, come emerge da una recente indagine Censis/Coldiretti (2010) gli

italiani risultano attenti all’origine nazionale degli alimenti acquistati e alla qualità legata al territorio. Tuttavia, almeno nel breve periodo l’impiego del logo DOP/IGP non sempre è remunerativo: l’indagine condotta da Belletti nel 2005, riporta che su 45 imprese di differente tipologia e dimensione operanti con 4 diversi prodotti ad indicazione geografica della Toscana, oltre il 25% delle imprese ha dichiarato di non recuperare i costi mentre per un terzo i maggiori costi sono appena compensati dai maggiori ricavi; soltanto una delle 45 imprese intervistate ha ritenuto molto re-munerativo l’impiego della denominazione. (Belletti, Marescotti Agriregione, Marzo 2007 ).

Nel tempo la sensibilità dei consumatori rispetto alle caratteristiche quali-tative è fortemente cresciuta e non è trascurabile il peso che assume la “carica di nostalgia del passato” che ispira il consumatore che ricevendo dalle mani dell’agri-coltore il cestino della frutta raccolta nel suo campo riesce a (ri)scoprire i sapori naturali dei prodotti. Questi nuovi comportamenti del consumatore contribuiscono così ad accorciare la filiera, ad aumentare la redditività per il produttore e a ridurre

1 Una buona etichetta che dimostri qualità e legame con il territorio, secondo lo studio, può convince-re a pagaconvince-re fino al 30% in più, con un diverso approccio ai prodotti tra i consumatori italiani e quelli stranieri. I primi hanno maggiore consapevolezza delle caratteristiche di territorialità e tradizione dei prodotti tipici, i secondi riferiscono la tipicità alla Toscana, all’Italia o al Mediterraneo in gene-rale e si lasciano guidare dal prezzo e dal gusto. Università di Firenze e di Pisa.

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ritoriali che altrimenti andrebbero perse. Il cibo ottenuto attraverso metodi e culti-var tradizionali e il recupero di antiche ricette garantisce ai consumatori la possibi-lità di riappropriarsi e riavvicinarsi al territorio, recuperare stili di vita più sereni e in sintonia con l’ambiente.

I prodotti agricoli e agroalimentari tipici e di qualità rappresentano, dunque, un’opportunità per lo sviluppo delle aree rurali in quanto ne costituiscono la sintesi, il vantaggio competitivo e le potenzialità di crescita. Negli anni recenti non sono isolati i casi in cui attorno all’offerta di prodotti tipici è stato costruito un sistema economico territoriale, itinerari e percorsi alla scoperta di luoghi considerati margi-nali; in queste realtà i prodotti della terra hanno costituito il moltiplicatore di servizi connessi (agriturismo, turismo rurale, servizi innovativi, …), che hanno determinato lo sviluppo dell’area e il miglioramento della qualità della vita dei residenti.

Alcuni casi di percorsi di sviluppo socioeconomico legati ai prodotti tipici si ritrovano anche in Basilicata, dove, in particolare, i prodotti regionali hanno un’iden-tità specifica e molto marcata che trae origine dalla forte caratterizzazione del “si-stema locale” in termini di ambiente, tradizioni, conoscenze, che hanno originato e possono ancora favorire nicchie di mercato significative sia in termini produttivi che occupazionali.

Il sistema agroalimentare lucano è variegato e presenta numerose tipologie produttive caratterizzate da diversi gradi di concentrazione dell’offerta; in alcuni casi con un peso economico rilevante anche a livello nazionale ad esempio i comparti ortofrutticolo e vitivinicolo che negli ultimi anni sono entrati in contatto con i mercati nazionali ed internazionali grazie al progressivo inserimento di know how e inno-vazioni nonché al miglioramento dei modelli organizzativi. Altri comparti, quali ad esempio quello zootecnico, invece, difficilmente superano la barriera commerciale regionale, e per alcuni di essi alla crescita in termini di aziende e di capi, non è se-guito un corrispondente sviluppo del settore. La programmazione 2007/2013 dalla Regione Basilicata ha promosso i Progetti Integrati di Filiera (PIF), (presentati nel capitolo 3), con l’obiettivo di favorire l’aggregazione e la qualificazione dell’offerta ed aumentare il valore aggiunto del settore e la competitività delle imprese, puntando anche sulla tipicità delle produzioni e sul miglioramento dell’imprenditoria lucana. La fase di start up dei PIF è stata preceduta da un’attività di animazione rivolta agli operatori del sistema agricolo e agroalimentare lucano incentrata sulla rilevazione di informazioni sulla qualità delle produzioni locali, sullo stato del contesto

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produtti-ha favorito la definizione del quadro di esigenze e fabbisogni settoriali sulla scorta dei quali è stata disegnata la strategia di intervento regionale. I comparti scelti sono stati quelli maggiormente rappresentativi dell’economia agricola lucana: ortofrutta, cerealicoltura, zootecnia da latte e da carne, vitivinicolo, olivicoltura.

Elemento ricorrente dei Focus è stata la consapevolezza degli operatori dell’importanza e del valore che la qualità conferisce ai processi, ai sistemi pro-duttivi (o a parte di essi) che risulta riscontrabile, controllabile e certificabile. Data la qualità del prodotto (e del territorio di produzione) come elemento acquisito, si è rivelata fondamentale l’attività di informazione e di comunicazione, che implica l’adozione di un’ idonea strategia comunicativa capace cioè di raggiungere e influen-zare il mercato. La qualità dei prodotti agroalimentari si realizza attraverso un so-stanziale equilibrio tra attributi del prodotto, natura dell’ambiente in cui esso nasce e caratteristiche del processo produttivo. Da una parte la qualità del prodotto “porta con sé” le valenze positive dell’area di origine (naturali e storico-culturali); dall’altra le sue caratteristiche sono espressione di un equilibrio che con il tempo si è venuto a creare tra il saper fare dei produttori e le risorse produttive del luogo. Queste consi-derazioni sono in linea con le indicazioni emerse nei Focus organizzati sul territorio regionale che hanno evidenziato la presenza di un consumatore sempre più attento alla qualità degli alimenti associata al territorio di provenienza. Attraverso i Focus gli operatori della trasformazione hanno evidenziato che in Basilicata, - per raggiunge-re o manteneraggiunge-re adeguati livelli di qualità bisogna, talvolta, ricorraggiunge-reraggiunge-re a materia prima di provenienza extra regionale, rinunciando quindi alla specificità territoriale carat-teristica delle DOP. Questa esigenza, nel contesto locale, è strettamente collegata alla limitata produzione di materia prima, si recupera però lavorando la stessa con metodi spesso legati alle tradizioni locali ed al saper fare dell’imprenditoria lucana. La principale caratteristica della qualità del prodotto viene individuata dai partecipanti al Focus nelle caratteristiche del luogo di origine inteso come territorio nel quale coesistono caratteristiche naturali e tradizioni culturali. L’abilità del pro-duttore è quella di sapere tradurre questi valori territoriali (ambiente incontamina-to, salubrità, esperienza locale) in caratteristiche di qualità del prodotto che siano

2 I focus sono stati organizzati tutti a Potenza presso la sede del Dipartimento agricoltura e nelle seguenti date: ortofrutta (22 aprile 2009), cerealicoltura (20 maggio 2009) e zootecnia (25 maggio 2009 quello lattiero-caseario; 4 agosto 2009 quello da carne), vino (21 settembre 2009) e olio (25 settembre 2009).

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attributo di qualità, costituisce un requisito implicito e indispensabile. Per i consu-matori ed i partecipanti ai focus la salubrità dei prodotti coincide sostanzialmente con il concetto di genuinità, che discende dalla natura dei processi produttivi im-piegati (basso impiego di composti chimici, sostanze esterne che pregiudicano la naturalezza). Il tema della certificazione della salubrità del prodotto si interseca con quello della certificazione della sua origine e il connubio salubrità delle produzioni e legame con il territorio deve essere chiaramente riconoscibile. Nel Focus dedicato al lattiero-caseario, questa relazione rappresenta una necessità per lo sviluppo dei prodotti. Infatti, la qualità della materia prima è necessaria per distinguere i pro-dotti caseari fatti con latte lucano da quelli ottenuti con materia prima di origine ignota, quindi – a parere degli operatori - è necessario adottare etichette chiare e trasparenti che ne garantiscano la rintracciabilità. Nella maggior parte dei prodotti lucani l’origine e le caratteristiche del prodotto sono oggi sottoposte a procedure di certificazione, vale a dire un complesso sistema di controlli, operati da una parte terza, attestanti che un prodotto è conforme alle norme contenute nel disciplinare di produzione.

Negli ultimi anni infatti sono nati diversi progetti che hanno avuto come obiet-tivo quello di valorizzare e caratterizzare le produzioni agroalimentari della Basili-cata3, legando la qualità e la riconoscibilità dei prodotti ai luoghi di appartenenza e

puntando sulla valorizzazione di tradizionalità e rintracciabilità.

Questo lavoro analizza e riassume il quadro normativo e regolamentare che fa da cornice alle politiche di tutela della qualità delle produzioni locali e ne delinea strumenti attuativi, azioni di sostegno, esperienze realizzate, a livello regionale, da soggetti diversi che operano spesso in ambito locale, con azioni di tutela, valoriz-zazione e promozione. Nell’analisi, la qualità delle materie prime e lo sviluppo di prodotti agroalimentari tipici viene letto anche in chiave di sostenibilità, nell’ottica della tutela e valorizzazione del patrimonio dell’agrobiodiversità. Produzioni tipiche e di qualità, nate dalla tradizione locale, contribuiscono, grazie al mantenimento e recupero della biodiversità agraria, garantita prevalentemente dai piccoli produttori locali che hanno conservato e continuato a produrre cultivar autoctone, a mante-nere sul territorio un elevato numero di specie, cultivar e a preservare il paesaggio agroforestale.

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e marchi di certificazione, ma non tutte le esperienze hanno raggiunto obiettivi di efficacia generando in alcuni casi anche confusione e sovrapposizioni ( capitolo 3). La ricerca INEA ha considerato le diverse azioni attivate sul territorio privilegiando i prodotti a denominazione comunitaria, presentando le caratteristiche e prendendo in esame i diversi soggetti pubblici e privati coinvolti nelle varie attività. Ha, inoltre registrato (capitolo 4 ) lo stato attuale delle produzioni certificate in Basilicata per verificare, nella situazione attuale e a livello potenziale, il ruolo socioeconomico di questi prodotti, il potere commerciale in ambito nazionale ed extra, le potenzialità di sviluppo. Per tale motivo è stata condotta un’indagine quali-quantitativa sui prodotti DOC, DOP e IGP che attraverso la raccolta di dati economici e strutturali nonché informazioni sulle prospettive di crescita e sulle criticità esistenti. I risultati ottenuti sono stati riportati in apposite schede e per ogni prodotto sono state delineate le li-nee strategiche di sviluppo finalizzate al rilancio e alla valorizzazione dei singoli pro-dotti e dei territori rurali di origine. Tra i principali risultati emerge che, in generale:

una scarsa partecipazione delle imprese ai sistemi collettivi di tutela e va-lorizzazione territoriali; questo richiede l’individuazione di strategie e azioni capaci di creare basi produttive larghe e stabili, motivare i produttori, incentivare politiche di adesione comprendendo anche forme di sostegno all’adesione ai marchi, creare modalità di fidelizzazione dei produttori ai sistemi collettivi geografici e di qualità.

una eccessiva frammentazione della base produttiva: la maggior parte delle imprese che operano all’interno dei sistemi legati alle produzioni tipiche sono di piccola-media dimensione, e spesso orientati alla commercializzazione su canali locali per i quali la presenza di una DOP-IGP non riveste una particolare valenza in-formativa e/o di garanzia in quanto altri meccanismi (fiducia, prossimità geografica e culturale) sono all’opera (Belletti, Marescotti in Agriregione Marzo 2007).

Infine, spesso si evidenzia nei prodotti segnalati una ridotta produzione di prodotti già con marchio o in fase di ottenimento. Questo dato necessita di una pro-fonda riflessione da parte dei policymakers locali che possono svolgere un ruolo importante nella conduzione di politiche di tutela e valorizzazione. Le politiche di valorizzazione delle produzioni locali hanno infatti anche il compito di frenare la mi-naccia di scomparsa di prodotti di qualità che, se troppo di nicchia rischiano di estin-guersi. Con le conseguenze anche in termini di patrimonio di agrobiodiversità locale e di cultura e tradizioni.

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CAPITOLO 1

I PRODOTTI AGROALIMENTARI TIPICI

1.1 La tipicità dei prodotti agroalimentari

Nonostante il marketing riesca a “comunicare”, per alcuni prodotti indu-striali indifferenziati di largo consumo, valori e aspetti comunque riconducibili alla tradizione e alla qualità attraverso strategie e slogan evocativi del tipo “Prodotti di una volta”, “Prodotti genuini”, Prodotti del contadino”, “Prodotti della nonna” e così via, il consumatore ne associa tuttavia significati differenti ma comunque ricondu-cibili alla presenza di un legame tra prodotto e territorio. Tale legame può trovarsi nell’origine geografica delle materie prime oppure nella localizzazione delle atti-vità di trasformazione, lavorazione, conservazione o stagionatura o, ancora, nelle metodiche di lavorazione consolidate nella tradizione e nella cultura dei territori di origine (Box 1).

Box 1 - Elementi che conferiscono tipicità a un prodotto agroalimentare

Localizzazione geografica - le condizioni ambientali dell’area di coltivazione o allevamento o trasformazione impri-mono al prodotto caratteristiche non riproducibili.

Metodiche di lavorazione - sono tradizionali e artigianali con l’utilizzo di materie prime spesso locali. Memoria storica - il prodotto è direttamente collegabile alla storia e alle tradizioni del luogo di produzione. Qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto - strettamente connesse ai criteri precedenti conferiscono gusto, genuinità e unicità al prodotto.

La tipicità, pertanto, non si presta a un’ univoca interpretazione e identifi-cazione ma, pur presentando un insieme di variabili (NOMISMA, 2001; Pencarelli, Forlani, 2006), si identifica nei prodotti agroartigianali che hanno un’identità ben specifica e molto marcata che trae origine dalla forte caratterizzazione del “siste-ma locale” in cui nascono, in termini di ambiente, tradizioni, conoscenze e compe-tenze (Prospetto 1).

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Prospetto 1 – Matrice delle variabili della tipicità di un prodotto agroalimentare

Localizzazione Input di produzione Tecniche di gestione

Materie prime agricole

comunale, provinciale, regionale, nazionale, estero

razza, varietà, cultivar, tipo di alimentazione

trattamenti, lavorazioni, operazioni colturali, modalità raccolta

Trasformazione comunale, provinciale, regionale, nazionale

salatura, tipo di caglio, ingredienti

parametri chimico-fisici di gestione, tecnica di cottura, tecniche di spremitura Stagionatura,

conservazione

comunale, provinciale, regionale, nazionale

tempi di stagionatura, modali-tà di conservazione

Fonte: NOMISMA.

Strettamente connesso al concetto di tipicità è il concetto di qualità, che as-sume diverso significato a seconda della fase della filiera a cui fa riferimento (Mac-cioni, 2009). Il produttore agricolo, infatti, individua essenzialmente la qualità nelle caratteristiche intrinseche del prodotto, mentre il trasformatore punta a garantire l’uniformità dei prodotti che soddisfino requisiti minimi, accettati a livello interna-zionale; diversamente, il consumatore percepisce la qualità come soddisfacente i requisiti minimi ex lege (requisiti di natura igienico-sanitaria) e i requisiti di natu-ra merceologico-mercantile che canatu-ratterizzano la cosiddetta qualità commerciale del prodotto - identità, composizione, aspetto, packaging - comprensiva del servizio complessivo incorporato.

Poiché la produzione agricola (comunitaria e nazionale) è sempre più chia-mata a rispondere in termini di tipicità, trasparenza e rintracciabilità1, i requisiti di

natura igienico-sanitaria e i requisiti di natura merceologico-mercantile dei prodotti agroalimentare sono diventati imprescindibili per il consumatore, tanto da essere percepiti come prerequisiti; il consumatore, però, si mostra sempre più esigente e attento ai prodotti che mangia, alla loro provenienza, ai metodi di coltivazione, ai processi di produzione, alle proprietà nutrizionali, ma anche alla loro valenza eco-logica, agli aspetti culturali, al contenuto etico e sociale delle produzioni. Pertanto, ogni elemento aggiuntivo che possa essere percepito dal consumatore come un plus

1 Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea possono contare su un sistema disciplinare unitario, organizzato per principi e finalità, e su strumenti innovativi condivisi, in grado di garantire al consu-matore europeo livelli di protezione elevati e prodotti alimentari sicuri lungo l’intero percorso “dai campi alla tavola”. Gli elementi caratterizzanti il sistema, in cui l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) svolge un ruolo fondamentale, sono: il controllo di filiera; la responsabilizzazione del produttore; la rintracciabilità dei percorsi di alimenti, mangimi e loro ingredienti; i sistemi di allarme rapido sui rischi alimentari; l’informazione al consumatore (INEA, 2009).

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viene da questi incluso nel concetto stesso di qualità, al punto che alcuni elementi sono stati elevati a requisiti minimi che il prodotto deve soddisfare per legge (Pro-spetto 2). Tutti questi requisiti, dunque, accrescono il valore aggiunto dei prodotti agroalimentare in termini di esigenze implicitamente soddisfatte e ne determinano il posizionamento nella mente del consumatore e nella sua scala dei bisogni. Prospetto 2 - Requisiti di qualità dei prodotti agroalimentari

Pre-requisiti imprescindibili per il consumatore

Requisiti merceologici-mercantili: caratteristiche commerciali, aspetto esteriore,

caratteristiche del confezionamento del prodotto (freschezza, gusto, aroma, colore).

Requisiti igienico-sanitari: oltre al condizionamento e all’imballaggio, devono

garan-tire, ad esempio, l’assenza di residui e la risoluzione di problemi di carattere fitosanitario, nell’ottica più ampia della sicurezza alimentare e delle norme cogenti sull’etichettatura e la rintracciabilità di alimenti, mangimi e loro ingredienti.

Requisiti percepiti come plus dal consuma-tore

Zona geografica d’origine del prodotto: richiama elementi quali la tipicità e la

tradizione.

Contenuti nutrizionali e salutistici: ingredienti, specificità intrinseche dei prodotti

anche di natura sensoriale, assenza di organismi geneticamente modificati (OGM).

Fattori ambientali: produzione eco-compatibile, Km 0, imballaggi riciclabili,

biodegrada-bilità delle confezioni.

Fattori culturali, etici e sociali: benessere degli animali, condizione dei lavoratori,

commercio equo.

Marchio: industriale, commerciale, private label e servizi incorporati (conservabilità,

facilità d’uso, confezionamento/packaging).

Qualità certificata da terzi: dei sistemi, prodotti e processi (rintracciabilità di filiera).

Requisiti minimi ex lege (per tutti gli alimenti)

Igiene, sicurezza alimentare, merceologico-mercantili, tutela ambientale, salute degli ani-mali e delle piante, benessere degli aniani-mali.

Nel settore agroalimentare nazionale, in particolare, è possibile individuare le seguenti tipologie di prodotti tipici:

1) i prodotti tipici certificati (DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, IGT) regolamentati da norme comunitarie e nazionali, in cui è il territorio che genera la qualità, le caratteristiche o anche la semplice rinomanza del prodotto (Albisinni et al., 2007). (disciplinare)

2) i prodotti agroalimentare tradizionali (PAT), riconosciuti per legge, le cui me-todiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono inscindibilmente legate agli usi e alle tradizioni del territorio da almeno 25 anni. (disciplinare)

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3) i prodotti di origine locale a marchio collettivo, in cui elementi quali la tipici-tà e la tradizionalitipici-tà delle produzioni assumono una connotazione di fattore competitivo2.

4) i prodotti delle micro-filiere aziendali o a filiera corta, ottenuti e commercializ-zati: a) all’interno della medesima fattoria o agriturismo; b) in punti organizzati da uno o più operatori, nelle fiere o nelle città; c) presso negozi, ristoranti e scuole. In particolare questi prodotti rappresentano una realtà che sta cre-scendo sotto l’impulso dell’agriturismo e della preferenza della popolazione che abita realtà urbane verso i prodotti genuini della campagna, i cosiddetti prodotti contadini “di una volta”. Inoltre, questi prodotti beneficiano, indiret-tamente, di un quadro nazionale di orientamento per garantire agli agricoltori spazi pubblici per la loro vendita diretta, i cosiddetti mercati contadini o far-mer’s markets (d.m. 20/11/2007); Regioni e Comuni possono disporre il so-stegno dei mercati contadini tramite campagne di comunicazione e contributi economici per la loro istituzione o assegnare contributi per i Comuni che uti-lizzano i prodotti dei farmer’s market per le mense scolastiche.

La maggior parte dei prodotti tipici italiani, fatta eccezione per i prodotti DOP/ IGP “storici” (Prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano, Grana Padano, ecc.), ha aree di produzione e di mercato ristretti e originano da imprese di piccole e medie dimensioni. L’intero sistema produttivo italiano dei prodotti agroalimentare tipici presenta incisive criticità strutturali dettate dalla frammentazione verticale e oriz-zontale delle filiere s che si traducono nei costi di distribuzione del prodotto elevati, specie su mercati delocalizzati, e nei difficili rapporti con il sistema distributivo e in particolare con la grande distribuzione, alla quale occorre garantire la fornitura costante di grandi volumi di qualità elevata e standardizzata. A ciò si aggiungono il basso ricorso all’innovazione tecnologica e alla meccanizzazione, la difficoltà di in-dividuare tecniche e politiche di vendita coerenti con le caratteristiche del processo e del prodotto e la mancanza di un’adeguata politica di comunicazione a sostegno del prodotto (Giuca, 2001).

2 Tuttavia, quando il marchio utilizza un toponimo (c.d. marchio collettivo geografico) a indicare l’ori-gine o la provenienza di un prodotto, il nesso diretto di causalità fra l’area di produzione e le carat-teristiche distintive del prodotto (nesso che è esclusivo per le DOP/IGP e come tale regolamentato esclusivamente dal reg. 510/06) non deve essere evidenziato, (Albisinni et al., 2007); occorre, inoltre, sottolineare che l’origine geografica può essere comunicata solo attraverso un marchio collettivo non appartenente ad enti pubblici territoriali, non essendo ammesse misure pubbliche (aiuti di Stato) che possano ostacolare gli scambi intracomunitari (art. 28, Trattato CE), come nel caso che accordino ai prodotti nazionali una preferenza in modo da escludere in tutto o in parte lo smercio di prodotti importati equivalenti (Germanò, 2006).

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Sulla base delle descrizioni precedenti, che annoverano le diverse e possibili forme di valorizzazione e tutela delle produzioni tipiche, possono essere ricondotti a questa ampia categoria:

a) prodotti con caratteristiche e dimensioni di mercato simili a quelli di largo consumo indifferenziati, con una reputazione consolidata, soprattutto i tra-sformati a denominazione di origine, come formaggi (un caso per tutti è rap-presentato dal Parmigiano Reggiano DOP), salumi (ad esempio il Prosciutto di Parma DOP), olio extravergine di oliva e vini, esportati in tutto il mondo. b) prodotti che rappresentano eccellenze di nicchia con una forte

specializza-zione tanto delle materie prime quanto della localizzaspecializza-zione della trasfor-mazione (alcuni prodotti DOP/IGP, i prodotti agroalimentare tradizionali, i prodotti locali a marchio collettivo). Alcuni di questi prodotti sono a “filie-ra chiusa”, ovvero consumati nell’ambito della ristretta area di produzione3

oppure sono conosciuti e consumati da una fascia “elitaria” di estimatori nazionali e persino internazionali. Si tratta di prodotti che vengono lavora-ti, spesso, solo a livello artigianale in condizioni organizzative non consone alle richieste del mercato (etichettatura, rintracciabilità) e, pertanto, sono di difficile collocazione nei canali commerciali significativi o addirittura hanno mercati di domanda potenziale superiore all’offerta e impossibili da soddi-sfare.

c) prodotti a rischio di estinzione4 in quanto caratterizzati da quantità ridotte e/o

carenza di materie prime di qualità; necessitano di adeguamento alle norme igienico-sanitarie (divisione dei locali, utilizzo di appositi contenitori, ecc.), spesso in contrasto con i metodi e le tecniche tradizionali di conservazione e stagionatura; hanno scarsa redditività; presentano limiti merceologici alla commercializzazione e sono privi di quei disciplinari di produzione che co-stituiscono il presupposto per la valorizzazione; necessitano di investimenti nella ristrutturazione degli impianti di produzione; risentono della mancanza di reputazione presso i consumatori e il loro destino è strettamente legato alla scomparsa di saperi connessi al processo produttivo.

Tutti i prodotti tipici, però, si caratterizzano come “arte del particolare” ed anche quando presentano caratteristiche di commodity (pasta, pane, conserve di pomodoro), essendo legati a territori di eccellenza ambientale, paesaggistica,

cul-3 In alcuni casi questi prodotti si avvalgono di specifiche forme di vendita diretta, come la vendita per corrispondenza, l’e-commerce, la consegna a domicilio a singoli o a gruppi organizzati di consuma-tori (Carbone, 2006).

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turale in grado di esprimere valori materiali e immateriali riconoscibili dal consu-matore, possono contribuire allo sviluppo di determinate aree rurali nel rispetto della biodiversità locale5 specie se valorizzati nelle aree di produzione, ad esempio

attraverso i circuiti dell’agriturismo e del turismo rurale o attraverso i canali della vendita diretta e della ristorazione.

La tutela delle peculiarità ambientali, culturali ed enogastronomiche da cui derivano le eccellenze agroalimentare, infatti, possono rappresentare un vantaggio competitivo per tutti i soggetti interessati a valorizzarne le tipicità ed un volano per l’economia locale, rappresentando l’opportunità di ancorare, accrescere e salva-guardare il valore aggiunto della propria comunità, specialmente nelle zone rurali montane e isolate (AA.VV, 2009). Naturalmente, la diffusione delle conoscenze e dei luoghi legati alle produzioni deve associarsi all’adozione di politiche coerenti con uno sviluppo socio-economico sostenibile in grado di promuovere sinergie tra tutti gli enti che a diverso titolo operano sul territorio - nel settore agroalimentare, ambientale, culturale, turistico e del commercio - e di coniugarle, da un lato, al coinvolgimento diretto degli attori locali e, dall’altro, ad una corretta informazione al consumatore sulla produzione, trasformazione e fruizione dei prodotti tipici. Il capitolo 3 presenta le politiche sulla qualità adottate della Regione Basilicata evi-denziando anche le azioni di valorizzazione e promozione delle produzioni agroali-mentari locali.

1.2 I prodotti tipici certificati DOP e IGP

All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, il riconoscimento comunitario dell’identità delle produzioni tradizionali attraverso la disciplina delle denomina-zioni di origine DOP/IGP6 ha rappresentato, all’interno del mercato unico europeo,

uno strumento innovativo per la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole e agroalimentare. Tale strumento, infatti, si è inserito in un contesto internazionale in cui alla produzione di massa dei beni alimentari è subentrata una produzione differenziata, limitata e flessibile alle esigenze di mercato, che ha trovato spazio nei nuovi format commerciali (ipermercati, centri commerciali) e che ha soddisfatto

5 Cfr. Capitolo 2.

6 Reg. CEE n. 2081/92 (abrogato dal reg. CE n. 510/06) relativo alla protezione delle indicazioni geo-grafiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (DOP/IGP) e reg. CEE n. 2082/92 (abrogato dal reg. CE n. 509/06) relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli e alimentari (STG), ovvero Specialità Tradizionale Garantita.

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nuovi modelli di consumo e nuove modalità di vendita, frutto del processo di mo-dernizzazione e diversificazione del sistema distributivo (Giuca, 2001).

Dopo aver imposto, nel corso degli anni, specifiche norme commerciali e igienisanitarie per tutti gli alimenti che circolano all’interno del mercato co-munitario, indipendentemente dal fatto che siano di origine comunitaria oppure di importazione (in questo secondo caso stante il principio di “equivalenza” e del-la piena “conformità aldel-la norma europea”), all’alba deldel-la globalizzazione l’Unione europea ha riconosciuto nella denominazione di origine l’elemento qualitativo di differenziazione delle produzioni comunitarie: una “qualità” garantita dalla stessa Commissione europea attraverso il riconoscimento DOP/IGP, legata alla tipicità e al territorio di origine, e in grado di assegnare al prodotto un valore aggiunto im-mediatamente riconoscibile, distintivo e univoco per comunicare - e preservare - l’identità socio-economica della collettività geografica che lo produce (Giuca, 2006). Box 2 – I prodotti tipici certificati regolamentati da norme comunitarie e nazionali

Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP)

Un prodotto agricolo o alimentare originario di una Regione, di un luogo determi-nato o, in casi eccezionali, di un paese può ottenere, ai sensi del Regolamento (CE) n. 510/2006:

la DOP quando “le caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produ-zione, trasformazione ed elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata”; la IGP quando “una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche pos-sono essere attribuiti all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nell’area geografica determinata”;

L’art. 85 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), prevede una particolare tutela dei prodotti tipici dei territori montani che hanno ottenuto la DOP o l’IGP, autorizzandoli a fregiarsi della menzione aggiuntiva “Prodotto di montagna”, seguita dall’indicazione geografica del territorio interessato.

Con l’entrata in vigore, il 1° agosto 2009, della riforma del settore vitivinicolo - reg. (CE) n. 479/08, reg. (CE) n. 491/09 - i vini DOC, DOCG e IGT transitano automaticamente nel nuovo registro comunitario delle DOP e IGP ai sensi del reg. (CE) 607/09 e del reg. (CE) 401/2010. La disciplina sulla tutela delle denominazioni di origine dei vini in Italia è dettata dal decreto legislativo 8 aprile 2010 n. 61.

Specialità tradizionale garantita (STG)

Un prodotto agricolo o alimentare tradizionale può ottenere la STG ai sensi del Regola-mento CE n. 509/2006 quando la composizione tradizionale del prodotto o il metodo di produzione tradizionale sono consolidati nel tempo (almeno 25 anni) e la cui specificità è “l’elemento o l’insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria.

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La normativa sulle denominazioni di origine, tra vantaggi e criticità (Box 3), ha rappresentato uno strumento per ottenere la diversificazione dei processi e dei prodotti verso la qualità delle produzioni agroalimentare mediterranee, caratte-rizzate da vocazionalità del territorio, tradizionalità dei saperi e artigianalità delle tecniche.

Il mercato nazionale dei prodotti DOP/IGP è in continua crescita, sia come numero di denominazioni e di prodotti in attesa di riconoscimento, sia per valore e quantità prodotte, con un maggiore orientamento verso il mercato interno, in particolare per il consumo domestico, e un buon andamento della domanda estera.

Nel 2009 il fatturato alla produzione ha toccato i 5,2 miliardi di euro e il fattu-rato al consumo ha totalizzato 9,9 miliardi di euro, il 27% circa realizzato sui mer-cati esteri, per un totale di 1,8 milioni di tonnellate di produzione e 129.000 aziende certificate7 coinvolte, il 94,5% rappresentato da aziende agricole e allevamenti e il

5,5% da strutture di trasformazione artigianali e industriali (Osservatorio Qualivita, 2010). I prodotti ortofrutticoli continuano ad essere il comparto che certifica i mag-giori volumi di produzione (62,8% del totale delle produzioni DOP/IGP), seguito da formaggi (25,2%), prodotti a base di carne (11,1%) e olio extravergine di oliva (0,5%). L’Italia si distingue a livello europeo per numero di prodotti DOP/IGP8, con

denominazioni di alta reputazione a livello internazionale. La produzione comples-siva dei prodotti certificati, però, continua ad essere trainata da appena il 7% dei prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento comunitario; se si guarda ai primi 15 prodotti di qualità certificata per produzione e fatturato nel 2009, questi rappresen-tano, complessivamente, oltre il 90% della produzione totale DOP/IGP e realizzano circa il 90% del fatturato al consumo totale. Si tratta, però, di certificazioni che sto-ricamente rappresentano le grandi produzioni tipiche italiane (formaggi, salumi e olio) e che, complessivamente, realizzano l’80% del fatturato alla produzione totale di DOP/IGP, e di 2 prodotti ortofrutticoli con un forte peso sul mercato dei prodotti a marchio collettivo che solo da qualche anno hanno ottenuto il riconoscimento co-munitario: la “Mela Alto Adige” IGP (dal 2005) e la “Mela Val di Non” DOP (dal 2003). A seguire, tra le oltre 200 denominazioni che rappresentano, insieme, meno del 10% della produzione totale DOP/IGP, e meno del 12% del fatturato alla produzione

7 Aziende che ricevono la registrazione finale DOP/IGP e quindi si trovano nella fase finale della filiera, ad esempio le aziende che effettuano l’imbottigliamento per gli oli extravergine di oliva (Osservatorio Qualivita, 2010).

8 L’Italia, con 227 prodotti certificati (142 DOP, 83 IGP e 2 STG), pari al 22,2% del totale dei prodotti cer-tificati Ue (1.022), è leader europeo, davanti a Francia (183) e Spagna (148). (dati Qualivita, aggiornati al 30 aprile 2011).

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totale, vi sono prodotti di grande potenzialità come, ad esempio, l’Arancia Rossa di Sicilia IGP che, da sola, costituisce il 50% della produzione nazionale di arance. E’ pur vero che non tutti i prodotti sono vocati per la produzione e distribuzione di lar-go raggio e la gran parte dei 200 prodotti certificati italiani che rappresentano quasi il 12% della produzione totale DOP/IGP sono tipicità locali, prodotti ortofrutticoli con areali di produzione molto limitati, salumi e formaggi con processi di lavorazio-ne e trasformaziolavorazio-ne che mal si adattano grandi quantitativi di produziolavorazio-ne.

Box 3 - Punti di forza e punti di debolezza della politica comunitaria per la qualità

Punti di forza

• Tutela giuridica delle produzioni certificate contro imitazioni e abusi.

• Qualità garantita e istituzionalizzata attraverso i regolamenti che dispongono: a) il rispetto di disciplinari di produzione dei prodotti a marchio che identificano i diversi attori della filiera e i flussi dei materiali dalla materia prima al prodotto finito; b) i controlli effettuati da organismi accreditati UNI EN ISO 45011, soggetti a vigilanza dell’Autorità pubblica, a tutti i livelli della filiera.

• Differenziazione dell’offerta, attraverso diverse tipologie di prodotto da immettere sul mercato. • Incremento della capacità competitiva del sistema agroalimentare attraverso il legame con il territorio. • Difesa del reddito dell’agricoltore che attraverso i prodotti di qualità può spuntare prezzi più alti.

• Contributo allo sviluppo economico e occupazionale delle zone rurali (possibilità di impiego nella trasformazione dei prodotti agricoli, nella preparazione gastronomica, nell’agriturismo).

• Concessione di finanziamenti per le campagne pubblicitarie nazionali di prodotti tipici che hanno ottenuto il riconoscimento DOP/IGP.

PUNTI DI DEBOLEZZA

• Mancanza di un coordinamento stretto tra politiche classiche di sostegno al mercato e interventi indirizzati a migliorare e valorizzare la qualità certificata.

• Scarsa informazione al consumatore dei prodotti tipici che hanno ottenuto il riconoscimento DOP/IGP. • Insufficienti politiche di promozione e commercializzazione dei prodotti tipici (la UE considera i regolamenti come un punto di partenza e non di arrivo e confonde spesso la qualità dei prodotti con la sicurezza alimentare). • Elevati costi di certificazione.

D’altra parte, non si è avuto l’atteso sviluppo di nuove denominazioni tra quei prodotti che hanno elevate potenzialità commerciali e rilevanza economica per l’agri-coltura nazionale, come l’olio e le carni fresche; così come non si è avuta una cre-scita significativa, in termini numerici e di fatturato, per le cosiddette denominazioni “minori”, la cui notorietà continua ad avere una dimensione di nicchia di mercato, soprattutto locale.

A livello istituzionale la volontà di realizzare una politica di valorizzazione delle produzioni di qualità italiane DOP/IGP si evince dai principali documenti di

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program-mazione economica degli ultimi anni, con le Regioni che hanno svolto - e svolgono - attività di individuazione e promozione dei prodotti tipici suscettibili di registrazione comunitaria, finanziando anche studi e ricerche per il miglioramento qualitativo dei prodotti e dei processi. Tuttavia, l’intero sistema nazionale delle certificazioni di ori-gine risente della mancanza di coordinamento delle azioni degli operatori pubblici e privati coinvolti nei processi di riconoscimento delle denominazioni, che avrebbe do-vuto incidere, come prevede la normativa comunitaria, sugli aspetti tecnico-organiz-zativi delle imprese, sulla gestione collettiva del prodotto, sulla commercializzazione e promozione delle denominazioni sul mercato interno e internazionale.

L’utilizzo della denominazione, in linea generale, comporta una serie di costi suppletivi per l’impresa, oltre a quelli di certificazione, che vanno dal rispetto del di-sciplinare di produzione, alla gestione interna del piano di autocontrollo per garantire la tracciabilità, all’adesione al Consorzio di tutela, ai controlli prescritti dalla norma-tiva; le strategie di comunicazione, necessarie al lancio e al sostegno del prodotto sul mercato, devono essere sostenute da tutti gli operatori commerciali, che non sempre si avvantaggiano di campagne di tipo istituzionale9, mentre alcuni Consorzi di tutela

mostrano una scarsa operatività, a causa della ridotta rappresentatività di produttori e operatori commerciali e delle scarse risorse finanziarie (Belletti, Marescotti, 2007). Le imprese private e le cooperative della zona interessata dalla DOP o dall’IGP, spesso preferiscono utilizzare i marchi commerciali collettivi; addirittura, in alcuni casi, la reputazione del marchio aziendale/collettivo è talmente consolidata che ri-sulta superiore a quella della DOP e l’utilizzo della denominazione rischierebbe di “appiattire” la percezione che il consumatore ha del livello qualitativo del prodotto commercializzato.

1.2.1 Prodotti DOP/IGP in Basilicata

I prodotti a denominazione di origine lucani, che hanno ottenuto il riconosci-mento comunitario sono otto: il Caciocavallo Silano DOP, il Canestrato di Moliterno IGP, il Fagiolo di Sarconi IGP, la Melanzana Rossa di Rotonda DOP, il Pane di Ma-tera IGP, il Pecorino di Filiano DOP, i Fagioli Bianchi di Rotonda DOP e il Peperone di Senise IGP, poco più del 3% del paniere nazionale. Al momento, solamente l’Olio extra-vergine di oliva Vulture DOP resta in protezione transitoria ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 510/06 in attesa della iscrizione nel registro ufficiale

euro-9 Non tutte le Regioni si sono attivate in questo senso, mentre a livello di Amministrazione centrale non sempre le campagne di comunicazione e promozione hanno interessato il settore delle DOP/IGP.

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peo delle DOP/IGP in seguito alla pubblicazione della domanda di riconoscimento come DOP sulla GU europea del 4 maggio 201110.

Nel 2009, oltre il 25% della superficie nazionale destinata alle produzioni DOP e IGP si trova nelle regioni del Sud (ISTAT, 2010); in Basilicata, la superficie agricola è quasi triplicata rispetto al 2008 e interessa oltre 166 ettari, meno dell’1% del totale delle regioni meridionali; il dato, tuttavia va letto in termini proporzionali, se rapportato all’incidenza della superficie regionale su quella nazionale, pari ad appena il 3%, e all’incidenza della SAU lucana su quella nazionale, pari a poco più del 4%. La filiera regionale di qualità DOP/IGP coinvolge 95 strutture produttive (Tab. 1.1), il 48% delle quali sono aziende agricole, seguite dagli allevamenti (26%) e dai trasformatori (26%).

Tabella 1.1 - Prodotti DOP e IGP: superficie e strutture produttive

Basilicata Mezzogiorno Italia

Superficie (ha) 166 35.344 138.900

Aziende agricole 46 22.120 77.427

Allevamenti 25 17.194 47.291

Trasformatori 24 1.554 6.065

Fonte: Istat 2010

Il fatturato alla produzione delle DOP e IGP lucane è stimato in 2,1 milioni di euro nel 2008 (ISMEA, 2010), meno del 9% del fatturato complessivo realizzato nelle Regioni del Sud e Isole; anche questo dato va letto in termini proporzionali, conside-rato che il paniere della Basilicata si compone di pochi prodotti e che, storicamente, sono piuttosto limitate le quote in termini di fatturato del Centro-Sud e delle Isole, pari, complessivamente, al 12% del fatturato dall’intero paniere nazionale DOP/IGP.

La Basilicata ha visto ridursi il fatturato alla produzione, nel 2008, in tenden-za con la maggior parte delle Regioni del Sud ma, quasi fanalino di coda delle Re-gioni italiane, sconta addirittura un dimezzamento in valore; tra le possibili cause imputabili, l’eccessiva frammentazione dell’offerta che inficia adeguati comporta-menti di business, la distorsione competitiva indotta dai comportacomporta-menti di acquisto e selling out della GDO e il mercato di sbocco, piatto e stabilizzato, soprattutto nel comparto dei formaggi, con conseguenti remunerazioni ridotte del sell in e uscita dal mercato delle piccole e piccolissime imprese.

10 Per 2 prodotti è stata avviata l’istruttoria nazionale per il riconoscimento della DOP o IGP: farina di carosella del Pollino e olio extravergine di oliva majatica. (Alsia, http:/old.alsia.it).

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Figura 1.1 – Ripartizione dei canali di vendita in Italia per 4 prodotti lucani DOP/IGP, 2009

Fonte: elaborazioni INEA su dati Osservatorio Qualivita, 2010.

I prodotti lucani certificati sono destinati principalmente al mercato dome-stico (Fig. 2), con un’incidenza maggiore della vendita diretta sia per i prodotti com-modity sia per i formaggi (mentre i formaggi DOP storici, a livello nazionale, transi-tano per oltre il 50% nella GDO). Un’analisi approfondita della struttura produttiva e del mercato per i prodotti DOP/IGP lucani è riportata, nel dettaglio, nelle schede contenute nella seconda parte del presente lavoro.

1.2.2 I vini di qualità e i vini a indicazione geografica tipica

Nel 2007 la Regione Basilicata, con oltre 4.500 ettari di superficie vitata (ri-partita per il 66% nella provincia di Potenza e per il 34% in quella di Matera), quasi 4.900 aziende censite e 144.000 ettolitri di vino e mosto prodotti, pari allo 0,3% della produzione di vino italiana, contribuisce in maniera significativa alla produzione lorda vendibile agricola regionale.

La produzione complessiva di vino in Basilicata supera i 6,6 milioni di botti-glie/anno (di cui 3,8 milioni di bottibotti-glie/anno di Aglianico del Vulture), con oltre 378 vini e circa 90 aziende di imbottigliamento (Repertorio vini – ALSIA, 2010). Il sensi-bile calo della produzione nel triennio 2007-2009 (ISTAT, 2008, 2009) è coinciso con

0% 20% 40% 60% 80% 100% Caciocavallo

Silano DOP Filiano DOP Pecorino di Sarconi IGP Fagiolo di Matera IGP Pane di

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un miglioramento del livello di produzione, testimoniato dalla propensione verso le produzioni di qualità (Tab.2), tanto che il Grottino di Roccanova è stato elevato a DOC nel 2009 e l’Aglianico del Vulture Superiore, riconosciuto dai grandi enologi tra i cento migliori vini del mondo per le sue peculiarità organolettiche, è stato ricono-sciuto DOCG nel 2010. I vini a denominazione della Basilicata, pertanto, sono saliti a 6: Aglianico del Vulture Superiore DOCG, Aglianico del Vulture DOC, Grottino di Roccanova DOC, Matera DOC, Terre dell’Alta Val d’Agri DOC, Basilicata IGT.

Tabella 1.2 - Vini DOCG, DOC e IGT, 2010

Basilicata Sud e Isole Italia

IGT 1 60 118

DOC 4 109 330

DOCG 1 7 56

Fonte: elaborazioni INEA su dati MIPAAF.

1.3 I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT)

I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) sono prodotti di nicchia, risultato di attività svolte in aree meno favorite esterne ai poli dell’agroindustria intensiva e spesso a rischio di estinzione, che necessitano di metodi e tecniche tradizionali di conservazione e stagionatura riconosciute in deroga alla normativa comunitaria (Cfr. box 4). La particolare tutela di cui godono questi prodotti, a salvaguardia del patrimonio gastronomico e culturale italiano, deriva dal fatto che gli investimenti nella ristrutturazione dei luoghi di produzione e l’adeguamento alle norme igieni-co-sanitarie, previsti dal complesso e articolato quadro giuridico sulla sicurezza alimentare, non solo sarebbero stati insostenibili per i piccoli produttori che vi si dedicano ma soprattutto in contrasto con i metodi e le tecniche tradizionali di con-servazione e stagionatura, spesso uniche e non riproducibili altrove: si pensi, ad esempio, alla stagionatura dei formaggi in grotte, fosse o particolari recipienti. Box 4 – I prodotti agroalimentari tradizionali (PAT)

• Sono individuati dalle Regioni, ai sensi del decreto legislativo n.173/98 e del d.m. 350/99.

• Sono iscritti nel registro nazionale istituito presso il MIPAAF con decreto ministeriale del 18 luglio 2000 e ag-giornato con decreti annuali.

• Sono stati riconosciuti “espressione del patrimonio culturale” dell’Italia con decreto ministeriale del 19 aprile 2008.

• Con decreto Mipaaf del 16 giugno 2010, relativo alla decima revisione dell’elenco nazionale dei PAT, sono stati riconosciuti 4.512 prodotti.

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Spesso i PAT non hanno potenzialità tali da poter ambire al riconoscimento comunitario DOP o IGP - produzioni limitate in termini quantitativi e localizzate in aree territoriali molto ristrette, scarsa redditività, limiti merceologici alla commer-cializzazione, ecc. - ed incontrano molte riserve in sede di Unione Europea sulla possibilità di essere registrati come marchi collettivi pubblici quando contengono nomi geografici; l’origine geografica, come accennato, è prerogativa delle DOP/IGP o può essere comunicata con un marchio collettivo solo se privato.

L’elenco dei PAT relativo alla Basilicata conta 73 prodotti (Tab. 3), soprattutto trasformati, pari all’1,6% dell’intero paniere italiano (4.512)11e al 5,4% del paniere

delle regioni del Sud e delle Isole (1.340 prodotti).

Tabella 1.3 - I prodotti agroalimentari tradizionali della Basilicata

Bevande analcoliche, distillati e

li-quori liquore al sambuco di Chiaromonte

Carni (e frattaglie) fresche e loro pre-parazione

Agnello delle dolomiti lucane, capocollo, carne podalica lucana, ge-latina di maiale, involtini di cotenna, lardo, ncandarata, pancetta, pezzente, prosciutto crudo, salsiccia, salsiccia a catena, soppressata, ungrattnoat

Formaggi

caciocavallo, cacioricotta, caprino, casieddo o casieddu, falagone, manteca, mozzarella, padraccio, pecorino, pecorino misto, scamorza, toma, treccia dura

Prodotti ortofrutticoli (vegetali allo stato naturale o trasformati)

Fagiolo di Muro Lucano, fagiolo di San Gaudioso, fagiolo zeminelle, farina di germana “iermana”, farina di granone “quarantino”, farina di mischiglio, farina di carosella, lampascioni, lenticchia di Potenza, lupino del Pollino, ndussa, oliva da forno di Ferrandina, olive nere secche, patata rossa di Terranova del Pollino, peperoni cruschi, pomo-doro secco “cietta ‘icale di Tolve”, pomodori sott’olio, rafano, risciola

Paste fresche e prodotti della panet-teria, della biscotpanet-teria, della pastic-ceria e della confetteria

Biscotto a otto di Latronico, biscotti glassati, calzoni di ceci, carchio-la, cicerata, gelatina dolce di maiale, gugliaccio di San Costantino Albanese, la strazzata, migliaccio, mostaccioli, pane di germana “ger-mana”, picciddat castelluccese, pizza con i cingoli di maiale, pizza rustica (cazzola, scarcedda, cuzzola), polenta di Nemoli, raskaiell di legumi di fardella, ravioli, rosacatarra, sanguinaccio, shtridhla, tim-pallo rustico del Pollino, ù zuzumagliu

Prodotti di origine animale (miele, prodotti lattiero-caseari di vario tipo escluso burro)

miele lucano (r’miel), ricotta, ricotta forte, ricotta salata

Fonte: Elenco nazionale dei prodotti agroalimentare tradizionali, MIPAAF, decima revisione, 2010.

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Le specialità che presentano un peso maggiore nel paniere lucano (Fig. 2) sono i prodotti della panetteria e della pasticceria (31%), seguiti da prodotti orto-frutticoli (26%), carni e salumi (19%) e formaggi (18%).

Figura 1.2 - Prodotti agroalimentari tradizionali della Basilicata per categoria

Fonte: elaborazioni INEA sull’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentare tradizionali del MIPAAF, decima revisione, 2010.

Per alcuni di questi prodotti, ragioni soprattutto economiche (bassa red-ditività, carenza di materie prime di qualità, delocalizzazione, mancanza di no-torietà presso i consumatori, scomparsa di artisti - artigiani conoscitori unici di ricette) stanno incidendo sulla loro stessa esistenza; altri, invece, pur avendo una caratterizzazione territoriale legata ad aree piccolissime riescono a so-pravvivere posizionandosi in nicchie di mercato caratterizzate da estimatori. Altri prodotti, come soppressata, ricotta, miele, presentano potenzialità quali-quantitative tali da poter ambire al riconoscimento comunitario ma risentono in modo particolare della polverizzazione aziendale - criticità mutuata dall’intero settore agricolo italiano - e la massa critica è inficiata dalla scarsa

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rappre-sentatività dell’associazionismo agricolo, dalla scarsa adesione delle aziende ai principi dell’autoregolamentazione delle norme di qualità e dalle inadeguatezze della contrattazione interprofessionale. Il riconoscimento comunitario, poi, rap-presenta una condizione necessaria ma non sufficiente, se non è adeguatamen-te supportata da una politica di promozione del prodotto sadeguatamen-tesso.

Nel caso di piccole produzioni con una vendita locale, è indispensabi-le cogliere indispensabi-le potenzialità del territorio e valorizzare la multifunzionalità delindispensabi-le aziende agricole attraverso iniziative utili anche a conoscere e visitare lo stesso e sviluppare offerte commerciali complementari con altri prodotti.

In ogni caso, occorrono interventi istituzionali volti a favorire, da un lato, il miglioramento strutturale, l’acquisizione di competenze e professionalità e lo sviluppo dell’associazionismo per favorire le sinergie potenziali tra gli ope-ratori delle filiere produttive, sviluppare progetti finalizzati e contenere i costi di produzione e, dall’altro, interventi volti a migliorare i rapporti con il mercato, quali l’attività informativa, la promozione, la tutela e l’attività di negoziazione e vendita.

La Regione Basilicata,l’azione dell’Alsia e dei Gal nell’ambito dell’attua-zione del Programma Leader negli ultimi anni, ha portato avanti diversi pro-getti con l’obiettivo di caratterizzare e valorizzare le produzioni agroalimentare lucane, puntando sui valori della naturalità, genuinità e tradizionalità e sullo strumento della rintracciabilità dei prodotti. In questo modo la Regione ha vo-luto rafforzare e comunicare il legame della qualità e della riconoscibilità dei prodotti con le aree di origine.

1.4 I prodotti tipici a marchio collettivo

Nella moderna distribuzione si registra, da alcuni anni, la crescita dei prodotti a marchio commerciale e a marchio collettivo, soprattutto prodotti or-tofrutticoli12 - specificatamente nei centri urbani di grandi dimensioni del

Cen-tro Nord - con la creazione di linee di private label (marchio di insegna del distributore) e l’espansione di prodotti biologici e integrati. I produttori a mar-chio si concentrano nel Nord Italia, dove sono diffuse forme di associazionismo,

12 Nel comparto ortofrutticolo, in generale, vi è la mancanza di una politica di marca che sia realmente percepita e che possa ridurre la percezione di insicurezza che attualmente il consumatore associa all’ortofrutta. Ma, in generale, la vera marca per i prodotti privi di brand è la scelta qualitativa della catena distributiva, perché il consumatore identifica il prodotto con la catena stessa e quindi asse-gna al prodotto il marchio del retailer, che è una garanzia per favorire l’acquisto.

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mentre al Sud l’offerta appare poco strutturata, ad esclusione di poche realtà, dove spiccano, in particolare, alcune cooperative biologiche in Basilicata13.

Box 5 – Il marchio collettivo

Si caratterizza per la separazione tra uso e titolarità del marchio e può essere:

1) marchio collettivo geografico (di natura privatistica) - può prevedere l’uso di toponimi (nazione, regione, provin-cia, città, monte, lago, fiume, podere); è assoggettato alle norme del Codice Civile e del codice della proprie-tà industriale (d. lgs. 30/05), in attuazione della Direttiva 89/104/CEE art. 15 punto 2 e del Regolamento (CE) n. 40/94 art. 64; è attribuito a soggetti rispettosi di un disciplinare; svolge funzione di garanzia di origine, natura e qualità; costituisce patrimonio comune di tutti i produttori di un determinato luogo, i quali hanno diritto a usarlo. Può essere:

marchio dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici - è un marchio collettivo affidato in gestione, in seguito a legge nazionale, a Consorzi di tutela privati costituiti ai sensi dell’art. 2602 del c.c: i Consorzi svolgono funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni geografiche (DOP e IGP);

marchio d’area - marchio di Consorzio d’area promosso da soggetti privati (Associazioni di produttori, Consorzi di imprese, Unioni volontarie), localizzato in una zona delimitata per svolgere attività esterne di promozione e vendita dei prodotti delle imprese consorziate tramite un ufficio comune (art. 2612 c.c.);

marchio collettivo geografico (di natura pubblica) - esclude l’uso di toponimi; può essere istituito per legge; è attribuito a soggetti rispettosi di un disciplinare; svolge funzione di garanzia o di certificazione, attestando i caratteri qualitativi (igiene, sicurezza, elevati standard di qualità mercantile, rintracciabilità della materia prima) dei prodotti che se ne fregiano ma non l’origine territoriale della materia prima o la provenienza delle aziende di produzione, trasformazione e commercializzazione, dovendo essere aperto a tutte le imprese comunitarie ed extracomunitarie in regime di equivalenza. Può essere:

marchio regionale istituito con legge regionale anche per più categorie merceologiche di prodotto per valorizzare le produzioni agricole locali, in genere ottenute dai programmi di agricoltura integrata che utilizzano metodi e mezzi produttivi che riducono al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi e razionalizzano la fertiliz-zazione, nel rispetto dei principi ecologici, economici e tossicologici;

marchio istituito con provvedimenti delle Amministrazioni locali e di cui sono titolari le Camere di Commercio per valorizzare le produzioni agricole tipiche dei territori di Province, Comunità montane, Comuni, Enti parco e altri Enti locali;

marchio d’area - marchio di Consorzio d’area promosso da soggetti pubblico-privati.

Il marchio collettivo tende a unire il concetto di qualità insito nell’origine e nella natura del prodotto a quello di qualità indotta, ovvero legata alla marca (Box 5). Il marchio collettivo, infatti, è un marchio commerciale che funge da ombrello sotto il

13 La Basilicata è la prima regione in Italia per percentuale di superficie destinata alle colture biolo-giche, con il 20,7% della SAU (Superficie agricola utilizzata), pari a 112.289 ettari su 542.256 ettari totali, mentre, per estensione, si colloca alle spalle di Sicilia (206.546 ettari) e Puglia (140.176 ettari). Il numero delle aziende iscritte all’Albo regionale dei Produttori e Preparatori Biologici è di 3.352 unità (dati Sinab, 2011).

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quale si raccolgono numerosi produttori di piccole dimensioni, spesso promosso da associazioni di produttori (consorzi, cooperative) e unioni volontarie che garantisco-no la corrispondenza tra il marchio (concesso agli associati) e le caratteristiche del prodotto, assicurando il mantenimento di standard rispondenti a un disciplinare di produzione appositamente predisposto.

Diverso è il caso del marchio collettivo pubblico; questo può essere istituito, ad esempio, con legge regionale, anche per più categorie merceologiche di prodotto, e attribuito a enti o associazioni (pubblici o privati) per identificare produzioni agricole locali. Il marchio regionale viene concesso in uso ai produttori locali, i quali aderisco-no agli obblighi e alle condizioni previste dalla stessa legge istitutiva e alle caratteri-stiche qualitative codificate nei disciplinari di produzione, appositamente predisposti. Il marchio regionale, in particolare, è volto a consolidare l’immagine della Re-gione quale garante della qualità intrinseca del prodotto dovuta a determinati metodi produttivi o metodiche di lavorazione tradizionali dell’area, in modo da mantenere e incrementare i livelli di notorietà e di penetrazione sul mercato, acquisiti nelle zone di maggior interesse commerciale. La Regione, pertanto, non si limita all’attività le-gislativa ma si occupa del finanziamento totale o parziale dell’attività legata all’uso del marchio e interviene anche sugli aspetti organizzativi e gestionali con azioni di marketing collettivo. L’utilizzo del marchio regionale, inoltre, ha l’obiettivo di miglio-rare la remunerazione del prodotto a seguito di un’accresciuta notorietà nell’ambito dei consumatori a reddito medio-alto.

A livello locale risulta diffusa la De.C.O (Denominazione Comunale di Origine) ce attesta l’origine del prodotto e la sua composizione, rilasciata dai Comuni nell’am-bito dei principi sul decentramento amministrativo (legge 142/90) che conferisce loro la possibilità di disciplinare la valorizzazione delle attività agroalimentare tradizionali presenti sul loro territorio. Pur configurandosi come un marchio collettivo pubblico di cui viene concesso il diritto d’uso ai produttori che rispettano determinate regole, in realtà la De.C.O. rappresenta un semplice certificato di origine rilasciato dal Consi-glio comunale e non un marchio di qualità.

Negli ultimi anni, l’utilizzo dei marchi collettivi per la valorizzazione dei pro-dotti agricoli e alimentari ottenuti con tecniche di produzione integrata e dei marchi collettivi per la valorizzazione dei prodotti tipici, hanno segnato le strategie di valoriz-zazione dei prodotti di associazioni o cooperative di produttori e dei prodotti agricoli regionali.

La maggior parte delle Regioni ha emanato norme in cui si specifica che la Re-gione stessa è autorizzata a richiedere il brevetto all’Ufficio italiano brevetti e marchi per l’istituzione di marchi collettivi. Tuttavia, non sono molte le Regioni che hanno

Figura

Tabella	1.1	-	Prodotti	DOP	e	IGP:	superficie	e	strutture	produttive
Figura	1.1	–	Ripartizione	dei	canali	di	vendita	in	Italia	per	4	prodotti	lucani	DOP/IGP,	2009
Tabella	1.2	-	Vini	DOCG,	DOC	e	IGT,	2010
Figura	1.2	-	Prodotti	agroalimentari	tradizionali	della	Basilicata	per	categoria
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