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Matrici liofilizzate per la somministrazione oftalmica di principi attivi di natura proteica

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Farmacia

Tesi di laurea:

Matrici liofilizzate per la somministrazione

oftalmica di principi attivi di

natura proteica

Relatori: Candidato:

Dott.ssa Daniela Monti Francesco Gasperini

Prof.ssa Susi Burgalassi

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INDICE

PARTE INTRODUTTIVA...

1. ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’APPARATO VISIVO ... 5

1.1. Il bulbo oculare ... 5 1.2. La cornea ... 6 1.3. La sclera ... 7 1.4. L’uvea ... 7 1.5. Il cristallino ... 8 1.6. La retina ... 8 1.7. Umore acqueo ... 8 1.8. Il corpo vitreo ... 8 1.9. Le vie ottiche ... 10

1.10. L’apparato protettore del bulbo oculare ... 11

2.0. Patologie del segmento posteriore dell’occhio ... 12

2.1. Scelte terapeutiche ... 15

2.2. Ocular drug delivery systems per il segmento posteriore dell’occhio ... 19

3. Alterazioni della superficie oculare: Lesioni Corneali ... 25

3.1. Trattamenti per la riepitelizzazione corneale ... 28

Parte Sperimentale ... 34

1.0 Scopo della tesi ... 35

2.0. Materiali ... 37

3.0 METODI... 41

3.1. Matrici polimeriche contenenti FITC-DX: preparazione ... 41

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3.2.1. Studi di rilascio in vitro ...43

3.2.2. Resistenza alla compressione ...44

3.2.3 Tempo di Idratazione ...45

3.3. Metodo analitico del FITC-DX ... 45

3.4 Preparazione matrici contenenti Bevacizumab (Avastin™) ... 46

3.4.1 Analisi dimensionale ...46

4. Risultati ... 48

5.0 Preparazione del Lisato Piastrinico (LP) ... 51

5.1 Preparazione delle matrici contenenti LP ... 51

5.2 Test di migrazione e proliferazione cellulare ... 52

6. Risultati ... 54

Bibliografia ... 56

Tabelle e Figure ... 62

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1. ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’APPARATO VISIVO

L’apparato visivo è costituito da organi pari e simmetrici. E’ costituito principalmente da tre formazioni che sono:

Il bulbo oculare: organo pari e simmetrico situato all’interno della cavità orbitale,

deputato alla ricezione degli stimoli luminosi;

Le vie ottiche: insieme di fibre nervose che si dipartono dal bulbo oculare per

raggiungere la corteccia cerebrale;

Gli annessi oculari: composti da strutture accessorie di varia natura e funzione,

situate intorno al bulbo oculare.

1.1. Il bulbo oculare

l bulbo oculare è contenuto per cinque sesti all’interno della cavità orbitaria, formata da tessuto osseo. È un organo sferoidale, leggermente appiattito in senso verticale, la cui parete è formata da tre tonache concentriche:

Tonaca esterna o fibrosa, che protegge le strutture più interne e si differenzia in

sclera (posteriormente) ed in cornea (anteriormente);

Tonaca intermedia o vascolare, che prende il nome di uvea, rappresentata

posteriormente dalla coroide, medialmente dal corpo ciliare ed anteriormente dall’iride;

Tonaca interna o nervosa, formata interamente dalla retina.

Il globo oculare non è una sfera solida, ma contiene una grande cavità divisa in due parti, ovvero:

La cavità anteriore, costituita a sua volta da camera anteriore e camera posteriore,

si trova davanti alla lente. La camera posteriore è delimitata dall’iride e dal cristallino, mentre la camera anteriore è delimitata dall’iride e dalla cornea. L’umore acqueo, liquido trasparente ed acquoso, riempie entrambe le camere. Non è ancora noto il meccanismo secondo il quale si forma l’umore acqueo: esso deriva principalmente dal sangue che circola nei capillari dei corpi ciliari. Inoltre, l’umore acqueo può derivare anche dalla secrezione attiva da parte dei capillari, che lo secernono all’interno della camera posteriore, oppure dalla filtrazione passiva del sangue papillare.

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La cavità posteriore, è molto più grande di quella anteriore, poiché essa occupa tutto lo spazio che si trova dietro alla lente; contiene il corpo vitreo, sostanza di consistenza gelatinosa.

Fig. 1. Anatomia dell’occhio

1.2. La cornea

La cornea è una membrana trasparente, priva di vasi, ma ricchissima di fibre nervose. Ha

un’area superficiale di circa 1.3 cm2, in quanto occupa un sesto della parte anteriore della

tonaca fibrosa. Ha l’aspetto di calotta sferica, con raggio di curvatura inferiore a quello della sclera: la superficie anteriore è convessa ed è direttamente in rapporto con l’ambiente esterno, mentre la superficie posteriore è concava e delimita, in avanti, la camera anteriore dell’occhio.

La cornea è composta, dall’esterno verso l’interno, dai seguenti strati:

Epitelio pavimentoso: normalmente a contatto con l’aria; in condizioni di chiusura

delle palpebre, viene a trovarsi a contatto con la congiuntiva palpebrale, mediante la sola interposizione del film lacrimale. È costituito da cinque ad otto piani di cellule, ricche di tonofibrille ed unite da desmosoni;

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Stroma o sostanza propria: è lo stato fondamentale e prevalente. È formato da circa

cinquanta lamelle di sostanza amorfa glicoproteica, all’interno della quale si trovano fasci di fibre di collagene posti ortogonalmente tra loro, in modo da annullare la diffrazione della luce causata dai singoli piani. Negli spazi tra le lamelle si trovano le cellule corneali o cheratociti, di natura connettivale e di forma appiattita, provviste di prolungamenti lamellari;

Membrana di Descemet o lamina elastica posteriore: è prodotta dalle cellule

dell’endotelio corneale sottostante. Il suo spessore dipende dalla specie e dall’età dell’individuo.

Endotelio corneale: costituito da un singolo strato di cellule appiattite di forma

poligonale. Delimita anteriormente la camera anteriore.

La cornea è costituita principalmente da circa il 78% di acqua, da collageno (12-15%) e proteoglicani (1-3%). All’interno della cornea troviamo, in misura minore, proteine solubili, glicoproteine, lipidi, soluti a basso peso molecolare ed elettroliti. Il trasporto degli elettroliti (Na, Cl) a livello della cornea è fondamentale nel controllo dell’idratazione. Essendo la cornea un tessuto non vascolarizzato, i composti necessari per mantenerla vitale, quali

ossigeno e glucosio, sono forniti rispettivamente dal film lacrimale e dall’umore acqueo.

1.3. La sclera

La sclera è una membrana compatta, di colore biancastro, dotata di marcata consistenza ed elasticità: confina anteriormente con la cornea e posteriormente con il nervo ottico. In realtà, il colore della sclera cambia col trascorrere degli anni, infatti risulta leggermente azzurra in età infantile, biancastra nell’adulto ed infine tendente al giallo in età senile. La sclera ha funzione di contenimento, di mantenimento della pressione intraoculare, di protezione e di supporto per i muscoli extraoculari.

1.4. L’uvea

La tonaca vascolare dell’occhio, definita anche uvea, è situata tra la tonaca fibrosa e quella nervosa, ed è riccamente vascolarizzata. Ha la funzione di assicurare un adeguato apporto nutritivo alla retina, grazie alla presenza dell’arteria oftalmica. Si divide in tre parti, che da dietro in avanti, sono la coroide, il corpo ciliare e l’iride (parte colorata dell’occhio).

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1.5. Il cristallino

Il cristallino è una struttura trasparente, dalla consistenza elastica e solida, e dalla forma a lente biconvessa di circa 10 mm. Esso è l’unico organo del sistema diottrico dell’occhio in grado di adattare la propria capacità rifrattiva al variare della distanza dell’oggetto, modificando il proprio raggio di curvatura. Il cristallino è situato tra l’iride e il corpo vitreo.

1.6. La retina

La tonaca nervosa dell’occhio, definita anche retina, è la parte più interna della membrana dell’occhio ed è incompleta, in quanto non è presente nella parte anteriore. È una membrana molto sottile e trasparente in condizioni normali. Nel complesso, essa è composta da due strati:

• Lo strato esterno, formato da uno strato di cellule pigmentate e separato dalla coroide per mezzo della membrana di Bruch;

• Lo strato interno, a struttura molto complessa, è formato principalmente da catene di neuroni a conduzione centripeta, quali neuroni fotorecettori, neuroni bipolari, e neuroni ganglionari.

L’apporto di sangue alla retina viene svolto dai capillari coroidali e dall’arteria retinica centrale, diramazione dell’arteria oftalmica.

1.7. Umore acqueo

L’umore acqueo è un liquido trasparente incolore, contenuto all’interno della camera anteriore e in quella posteriore dell’occhio. Esso si estende dalla cornea, attraverso il foro pupillare, fino al cristallino. Ha pH 7.3 ed una pressione osmotica superiore a quella del sangue; contiene alcuni elettroliti in concentrazione maggiore rispetto a quella del sangue, mentre proteine e glucosio sono presenti in concentrazione inferiore.

Ha funzioni nutritive nei confronti del cristallino e della cornea, e presenta funzione diottrica.

1.8. Il corpo vitreo

Il corpo vitreo è un gel che occupa interamente la camera vitrea, ossia quello spazio compreso tra la faccia posteriore del cristallino e la retina. È una sostanza trasparente, di consistenza gelatinosa che pesa circa 4.0 g, ha una densità di 1,0053- 1,0089 g/cm³, un indice di rifrazione di 1,3345-1,3348 e un pH compreso tra 7,0 e 7,4 (Baino, 2011). La

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normale velocità di ricambio dell’umor vitreo è di 0,1 μl / min che seppur bassa può influenzare la distribuzione dei farmaci all'interno dell'occhio nel segmento posteriore. (Park et al., 2005). Di questa struttura sono state definite numerose regioni anatomiche tra cui il vitreo centrale, il vitreo basale, la corteccia vitreale, l'interfaccia vitreoretinale e le zonule.

Il vitreo centrale comprende la maggior parte del corpo vitreo. All'interno di esso le fibrille di collagene sono a bassa concentrazione e tendono a correre in una direzione anteriore-posteriore.

Il vitreo basale è caratterizzato da fasci densi di fibrille di collagene che sono aderenti alla retina e all'epitelio ciliare non pigmentato della pars plana. Questa adesione può essere dovuta alla fusione delle fibrille di collagene con la lamina limitante interna, una membrana basale sulla superficie interna della retina e sull'epitelio ciliare non pigmentato.

La corteccia vitreale è uno strato sottile (100–300 μm) di gel che circonda il vitreo centrale. Si distingue da quest’ultimo per l'orientamento delle fibrille di collagene e per la loro maggiore concentrazione.

Le zonule collegano la pars plana e la pars plicata alla membrana basale del cristallino, agendo così come un sistema sospensivo attraverso il quale il muscolo ciliare può alterare la curvatura del cristallino.

Il corpo vitreo può essere considerato acellulare poiché il 98% del suo peso è costituito da acqua. Fanno eccezione la corteccia vitrea e il vitreo basale poiché in entrambe le strutture è presente una bassa concentrazione di cellule mononucleari fagocitiche, chiamate ialociti.

Altri componenti del corpo vitreo, coinvolti nel suo mantenimento strutturale, sono:

• Glicosaminoglicani (GAG): polisaccaridi a matrice extracellulare che contengono unità disaccaridiche ripetute. Il GAG predominante nel vitreo è l’acido ialuronico che presenta una funzione lubrificante, forma reti di riempimento nello spazio della camera vitrea ed agisce da setaccio molecolare escludendo grandi molecole e cellule. La concentrazione complessiva di acido ialuronico nel vitreo umano adulto è stata stimata tra 65-400 μg/ml, con una distribuzione non uniforme. Si hanno concentrazioni più elevate nel vitreo posteriore e concentrazioni relativamente inferiori nel vitreo anteriore.

• Collagene: le principali fibrille del vitreo sono strutture simili a corde, con un’elevata resistenza alla trazione, composte da tre diversi tipi di collagene (II, V / XI e IX)

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definite, quindi, fibrille eterotipiche. Le fibrille eterotipiche di collagene del vitreo sono sottili, non ramificate, di diametro uniforme, tra 10-20 nm a seconda della specie. Il corpo vitreo contiene una bassa concentrazione di collagene che nell’uomo è stimata intorno ai 300 μg/ml. La concentrazione di collagene, inoltre, non è uniforme ma diminuisce verso la parte centrale e posteriore del vitreo ed aumenta nello strato corticale periferico del vitreo.

La viscosità intrinseca del corpo vitreo è di 4.2 cm3/g. La presenza di acido ialuronico e

collagene nell'architettura molecolare dell’umor vitreo è responsabile delle proprietà viscoelastiche, mostrando un comportamento sia solido che liquido. Inoltre, poiché la distribuzione della rete di fibre di collagene e della rete di acido ialuronico non è omogenea, il vitreo presenta differenti proprietà reologiche in relazione alla collocazione anatomica: maggiore nella porzione posteriore del vitreo per proteggere la retina e minore nella porzione anteriore (Swindele e Ravi, 2007; Silva et al., 2017).

Il corpo vitreo, grazie a queste componenti strutturali, esplica alcune funzioni fisiologiche: conservare una pressione intraoculare sufficiente a prevenire il collasso del globo oculare, proteggere l'occhio durante il trauma meccanico, consentire la circolazione di soluti e nutrienti nell'occhio ed escludere le macromolecole dalla cavità vitrea mantenendo la trasparenza per facilitare il passaggio di luce e la funzione diottrica (Bishop, 2000).

1.9. Le vie ottiche

Le vie ottiche sono quell’insieme di strutture, che partendo dalla retina, collegano il bulbo oculare al cervello nella sua porzione occipitale. Rappresentano strutture sensoriali e percettive che permettono la visione delle immagini grazie alla ricezione di un impulso luminoso: quest’impulso viene convertito in impulso elettrico in modo tale da formare la sensazione visiva, con conseguente interpretazione.

Le fibre ottiche retiniche, in corrispondenza della papilla ottica, si raccolgono in fasci per costituire il nervo ottico, fondamentale per la trasmissione delle informazioni visive dalla retina al cervello.

Il nervo ottico rappresenta il II paio di nervi cranici, ed ha un andamento non rettilineo, in quanto presenta un’incurvatura ad S che consente all’occhio di svolgere i propri movimenti di rotazione, impendendone così il suo stiramento.

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1.10. L’apparato protettore del bulbo oculare

L’apparato protettore del bulbo oculare è costituito da tutti gli annessi oculari dell’occhio tra cui la congiuntiva, gli organi dell’apparato lacrimale e le vie lacrimali.

La congiuntiva rappresenta una mucosa che riveste la porzione anteriore della sclera (congiuntiva bulbare) e, continuando posteriormente e ripiegandosi in avanti (fornice congiuntivale), riveste anche la superficie interna delle palpebre (congiuntiva palpebrale). L’apparato lacrimale è costituito dalle ghiandole lacrimali e dalle vie lacrimali, mediante le quali il secreto lacrimale viene drenato nel sacco congiuntivale e versato nelle fosse nasali. Esso ha il compito di facilitare lo scorrimento delle palpebre sul bulbo oculare e può presentare una debole azione antibatterica, dovuta alla presenza di lisozima al suo interno.

Il film lacrimale è una pellicola trasparente e sottile, che bagna continuamente l’epitelio corneale e la congiuntiva. Le sue principali funzioni sono quelle di mantenere una superficie regolare per permettere la rifrazione della luce, di lubrificare le palpebre, la congiuntiva e la cornea, di trasportare nutrienti e globuli bianchi alla cornea e alla congiuntiva, di rimuovere materiali estranei e funzione antibatterica (Maurice et al., 1984).

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2.0. Patologie del segmento posteriore dell’occhio

Circa il 55% delle patologie oculari maggiormente debilitanti colpisce il segmento oculare posteriore. Nei paesi industrializzati la principale causa di cecità 100 anni fa era costituita dalle patologie corneali, 50 anni fa dalla cataratta e adesso dalla DMLE e dall’RD.

Le principali cause di deficit visivi o cecità irreversibile sono, come già detto, le patologie del segmento oculare posteriore, tra cui la degenerazione maculare legata all’età (DMLE), la retinopatia diabetica (RD), l’edema maculare diabetico (EMD) o secondario ad occlusione della vena retinica, le retiniti da citomegalovirus, l’uveite posteriore, e la retinite pigmentosa.

Il danno tissutale oculare che porta a graduale perdita della vista è dovuto a processi infiammatori, angiogenici e fibrotici, lo studio approfondito dei quali ha portato all’identificazione del fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) come maggiore responsabile della progressione di tali patologie e conseguentemente allo sviluppo di principi attivi specifici di natura proteica, tra cui farmaci a base di anticorpi. Per quanto i nuovi farmaci a base di anticorpi anti-VEGF necessitino soltanto di una somministrazione mensile, le ricerche si orientano verso sistemi che richiedano regimi posologici meno frequenti per evitare le numerose complicanze relative alla somministrazione intravitreale e migliorare quindi la compliance del paziente.

La degenerazione maculare legata all'età o senile (Aged Releted Degeneration, AMD) è la principale causa di perdita della vista centrale bilaterale nelle persone di età pari o

superiore a 50 anni nei paesi sviluppati. L’AMD è un processo di invecchiamento

dell’occhio, durante il quale la zona centrale, posteriore della retina, la macula, si altera fino a perdere la sua funzione. La macula contiene la più alta concentrazione di fotorecettori all'interno della retina ed è responsabile dell'acuità visiva centrale ad alta risoluzione. Con l'età, un cambiamento che si verifica all'interno dell'occhio è la deposizione focale di detriti polimorfici acellulari tra l'epitelio pigmentato retinico e la membrana di Bruch, una barriera di scambio semipermeabile che separa l'epitelio del pigmento retinico dalla coroide, che fornisce sangue agli strati esterni della retina. Questi depositi focali, chiamati drusen, sono osservati durante l'esame funduscopico come lesioni pallide, giallastre, possono essere trovati sia nella macula che nella retina periferica e sono i principali responsabili della degenerazione maculare secca o non essudativa. Queste alterazioni rappresentano una situazione di rischio perché si sviluppino sotto la retina dei neovasi che sono alla base della degenerazione maculare essudativa. Infatti un

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progressivo danno alla membrana di Bruche insieme ad una up-regulation del VEGF (Vascular-Endothelial Growth Factor) promuove la crescita di vasi coroideali anormali al di sotto della RPE. Questi vasi patologici sono causa di essudazione sierosa ed emorragie che si raccolgono sotto l’epitelio pigmentato e sotto la retina. Il processo neo vascolare-essudativo interessa l’area centro maculare, è in genere rapidamente ingravescente fino alla formazione di una cicatrice disciforme in cui i fotorecettori maculari risultano distrutti. La funzione visiva centrale ne risulta gravemente compromessa. Vari fattori sono alla base dell’insorgenza della malattia quali età, etnia, familiarità e genetica, stile di vita, dieta e nutrizione.

Fig.2: Deposizione di detriti polimorfici acellulari tra l'epitelio pigmentato retinico e la membrana di Bruch

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Fig.3: Occhio affetto da degenerazione maculare

senile secca ed umida

La retinopatia diabetica è la causa più frequente di nuovi casi di cecità tra gli adulti di età compresa tra 20 e 74 anni anni. La retinopatia diabetica comprende una fase

vasoproliferativa e una fase precedente "di fondo" non proliferante. Quest’ultima si

manifesta con emorragie intraretiniche, microaneurismi, anomalie del calibro venoso, formazione di anomalie microvascolari intraretiniche, essudato di lipidi dai vasi danneggiati, alterazioni nella perfusione dei capillari con conseguente infarto neuronale e successiva neovascolarizzazione retinica. Una graduale mancata perfusione della circolazione retinica caratterizzata da perdita dell’integrità vascolare porta in definitiva alla occlusione e/o degenerazione dei capillari. La localizzazione dei capillari non perfusi porta alla creazione di aree ischemiche con deficit di ossigeno e danno metabolico retinico. La progressione della mancata perfusione capillare e la risultante ischemia generale portano alla progressione nella forma proliferante che si raggiunge a causa della prolungata condizione di ipossia e conseguente espressione di fattori di crescita proangiogenici (VEGF). Allo scopo di sostituire i vasi che non riescono più a trasportare la necessaria quantità di sangue, il VEGF stimola la formazione aberrante di nuovi vasi sanguigni che, dalla retina, protrudono negli spazi preretinici. La neovascolarizzazione retinica può portare a serie alterazioni visive quando comporta emorragie a livello del vitreo o trazione retinica con conseguente distacco.

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La retinopatia proliferativa, in cui nuovi vasi e tessuto connettivo crescono sulla superficie della retina o della testa del nervo ottico e nel vitreo, si verifica raramente fino a molti anni dopo la comparsa delle lesioni di fondo e si ritiene che sia una conseguenza del danno retinico durante la precedente fase di fondo.

Le modalità di trattamento intraoculare per i disordini oculari derivati dal diabete includono la fotocolagulazione laser, l’iniezione intravitreale di fattori anti-VEGF e steroidi e la chirurgia vitreoretinica. Gli attuali paradigmi terapeutici mirano, però, al trattamento solo di patologie in stadio avanzato come la RD proliferante o l’EMD.

Fig. 4: Occhio affetto da Retinopatia Diabetica

La somministrazione di farmaci a livello oculare è sempre stata, ed è tutt’oggi, una sfida

per i tecnologi farmaceutici a causa dell’elevata selettività ed efficacia di tutte le barriere innate presenti a protezione dell’occhio. Per cui negli ultimi tempi l’attenzione è stata

rivolta alle vie intravitreale e perioculare.

2.1. Scelte terapeutiche

La via topica è la via d’elezione per il trattamento dei disturbi oculari nonché la più

accettata ed è proprio per questo che circa il 90% delle forme di dosaggio oftalmiche

presenti in commercio si trova sotto forma di preparati topici, in particolare colliri. In questo

caso il sito di applicazione è costituito principalmente da cornea, congiuntiva e sclera.

Sebbene la via oculare topica sia la migliore in quando a semplicità di accesso al sito di somministrazione e compliance del paziente, essa può risultare spesso inefficace a causa delle innumerevoli barriere fisiche e biochimiche atte alla protezione dell’occhio. I meccanismi protettivi dell’occhio provocano una bassa biodisponibilità (< 5%) che si

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abbatte ancora di più (< 0.001%) se si considera la frazione di farmaco in grado non solo di penetrare a livello oftalmico ma anche di raggiungere effettivamente il segmento oculare posteriore. L’ingresso del farmaco nelle regioni più interne dell’occhio è limitato, da un lato, dai fattori di perdita della formulazione dall’area precorneale quali turnover lacrimale, drenaggio nasolacrimale, limitata capacità del fornice congiuntivale, riflesso di ammiccamento, lacrimazione indotta, dall’altro, da fenomeni di assorbimento non produttivo, da legami con le proteine e dalla ridotta permeabilità della cornea.

La somministrazione sistemica dei farmaci si attua a seguito di somministrazione orale o parenterale. Non consente di raggiungere concentrazioni terapeutiche nell’occhio a causa della presenza di un complesso di barriere, definito emato-oculare, composte da una barriera emato-retinica e da una barriera emato-acquosa, che impediscono la penetrazione di xenobiotici all’interno del corpo vitreo. Le due barriere manifestano una diversa selettività dipendente dalla liposolubilità dei farmaci: quelli con liposolubilità media o elevata attraversano entrambe le barriere, mentre i farmaci scarsamente liposolubili trovano un maggiore ostacolo alla permeazione nella barriera emato-retinica. È proprio per questo motivo che alcune classi di farmaci come ad esempio gli amminoglicosidi ed i beta-lattamici, farmaci idrofili impiegati per il trattamento delle endoftalmiti, non sono in grado di raggiungere concentrazioni terapeuticamente efficaci al livello del corpo vitreo se somministrati per via sistemica. Inoltre, anche il grado di legame con le proteine plasmatiche può influenzare il passaggio attraverso le barriere: quanto maggiore sarà questo legame, tanto minore sarà la concentrazione ematica di farmaco libero e, di conseguenza, tanto minore sarà la velocità di penetrazione nell’occhio. Altro fattore da tenere in considerazione è la velocità di metabolizzazione o di eliminazione del farmaco che, se è elevata, causa una rapida diminuzione della sua concentrazione congiuntivale e determina, quindi, un minore assorbimento di farmaco a livello oculare (Drago, 2006). Di conseguenza sarebbe necessario somministrare i farmaci a dosi elevate, ciò però aumenterebbe gli effetti collaterali sistemici (Lee et al., 2011).

L’altra opzione è rappresentata dalla somministrazione perioculare che include iniezioni subcongiuntivali, subtenoniali, retrobulbari e peribulbari. Nella pratica clinica oftalmica, sono molto impiegate le iniezioni subcongiuntivali, subtenoniane e perioculari mentre si ricorre meno frequentemente alle iniezioni retrobulbari in quanto esse sono associate a

possibili complicanze cerebrali. La somministrazione perioculare è particolarmente

indicata per il delivery di farmaci scarsamente idrosolubili, come i corticosteroidi, e offre una serie di vantaggi quali la possibilità di bypassare alcune importanti barriere oftalmiche

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come il film lacrimale, la cornea e la congiuntiva, nonché la possibilità di dar luogo ad un effetto depot che, in relazione alla profondità dell’iniezione, può comportare un efficace delivery al segmento oculare posteriore. Le barriere che possono opporsi all’assorbimento dei farmaci somministrati per questa via sono la vascolarizzazione episclerale, la sclera, la vascolarizzazione coroideale e la BRB. Dopo somministrazione il farmaco può raggiungere le regioni più interne dell’occhio attraverso la via transclerale che consente di bypassare sia la cornea che la congiuntiva ma è caratterizzata da barriere statiche, dinamiche (es. circolazione sanguigna e linfatica) e metaboliche che si oppongono ad delivery al segmento posteriore, la via ematica che comporta il passaggio attraverso la

coroide ed è sfavorita dalla BRB o attraverso la camera anteriore che contiene l’umor

acqueo.

Un importante fattore che limita l’efficacia delle somministrazioni perioculari è l’elevata vascolarizzazione dei tessuti implicati in questa tipologia di somministrazione.

Una metodica emergente e meno invasiva per la somministrazione perioculare sfrutta i cosiddetti microneedles (microaghi) e può garantire un efficiente trattamento per le patologie degenerative retiniche. Questa strategia riduce ulteriormente il rischio delle complicazioni associate alla via iniettiva consentendo nel contempo di superare la BRB e ottenere concentrazioni terapeutiche a livello di retina e coroide. I microaghi (microneedle) penetrano solo di alcuni micron nella sclera in modo da non danneggiare i tessuti oculari più in profondità, ma consentire la deposizione del farmaco o del sistema carrier nella sclera o nello spazio supracoroideale (Gaudana et al. 2010; Patel et al. 2013; Awwad et al. 2017)

Attualmente la metodica più in uso per la somministrazione di farmaci diretti alla retina e all’umor vitreo è rappresentata dalle iniezioni intravitreali. Nonostante sia una tecnica invasiva, aumenta notevolmente la biodisponibilità dei farmaci con l’ottenimento di quantità terapeuticamente attive nonché riproducibili nel sito di azione ed è una strategia sfruttabile per la somministrazione di molecole ad alto peso molecolare, come le proteine. Tuttavia le iniezioni intravitreali comportano bassa compliance del paziente poiché si tratta di procedure invasive e dolorose che richiedono l’ospedalizzazione. Inoltre, generalmente si ricorre a questa via di somministrazione per il trattamento di patologie dal carattere degenerativo cronico e per consentire un effetto terapeutico protratto sono necessarie iniezioni ripetuto con cadenza generalmente mensile. Questo comporta un piccolo ma rilevante rischio di serie complicazioni quali endoftalmiti, cataratta traumatica, infezioni oftalmiche, emorragie intraoculari, distacco retinico e cecità. Va inoltre considerato che a

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seguito di somministrazione intravitreale la distribuzione del farmaco al livello del corpo

vitreo non è purtroppo uniforme. In genere, solo molecole di piccole dimensioni possono

distrubuirvisi mentre per molecole grandi questo processo è limitato. La distribuzione del

farmaco nel vitreo è influenzata dalle condizioni fisiopatologiche, dal peso molecolare e

dalla carica superficiale. L’acido ialuronico e i glicosamminoglicani carichi negativamente presenti nell’umore vitreo agiscono infatti da barriera interagendo con molecole o

nanosistemi carichi positivamente. Il tempo di emivita nel vitreo è uno dei principali fattori

determinanti l’efficacia terapeutica. Generalmente, farmaci con PM inferiore a 500 Da tendono ad essere eliminati piuttosto rapidamente mostrando un tempo di emivita massimo di 3 giorni. Dopo somministrazione i farmaci possono essere eliminati attraverso la via del segmento anteriore o del segmento posteriore. La via anteriore di eliminazione comporta la diffusione dal vitreo all’umore acqueo attraverso gli spazi zonulari, seguita da eliminazione legata al turnover dell’umore acqueo ed al drenaggio ematico uveale. La via di eliminazione posteriore, invece, coinvolge la permeazione della BRB e la successiva eliminazione sistemica. Quest’ultima si può verificare solo se il coefficiente di diffusione

passiva del farmaco attraverso la BRB è molto alto o se il farmaco è in grado di sfruttare

un meccanismo di trasporto attivo. Ne consegue che fattori quali idrofilia ed elevato peso molecolare siano in grado di aumentare l’emivita intravitreale dei farmaci. Talvolta per prolungare l’azione di farmaci lipofili a basso peso molecole si ricorre alla

somministrazione di sospensioni del farmaco scarsamente idrosolubile (es.

corticosteroidi). In alternativa è possibile impiantare appositi device intravitreali,

biodegradabili o meno, senza incorrere in plateali eventi flogistici grazie allo sfruttamento del particolare stato immunitario delle porzioni più interne dell’occhio (Fung et al. 2006; Gaudana et al. 2010; Kitagawa et al. 2013; Sarao et al. 2014; Awwad et al. 2017).

I farmaci più comunemente usati per trattare queste patologie agiscono fondamentalmente sul fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), fattore di crescita pluripotente e uno specifico mitogeno con attività proangiogenica specifico per le cellule endoteliali ed anche un fattore di permeabilità vascolare, la cui produzione è incrementata dall’ipossia.

L’azione mitogena indotta sulle cellule endoteliali conduce alla proliferazione vascolare retinica negli stadi avanzati della retinopatia diabetica e nella forma umida della degenerazione maculare senile. Tra i farmaci anti-VEGF più utilizzati ricordiamo oltre al

Pegaptanib (Macugen®), piccolo RNA oligonucleotidico (28 nucleotidi), aptamero in

grado di legarsi selettivamente all’isoforma VEGF-165 inibendola e riducendo, così, l’angiogenesi patologica, e Ranibizumab (Lucentis ®), frammento Fab di un anticorpo

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monoclonare ricombinante umano con alta affinità sia per le isoforme solubili che per quelle tissutali di VEGF A, abbiamo il Bevacizumab (Avastin ®), un anticorpo monoclonale ricombinante umanizzato, approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento del cancro del colon-retto. È una molecola di grandi dimensioni (peso molecolare: 148kDa) che ha il doppio dell’emivita rispetto al ranibizumab (Cicinelli et al.,2018). È attivo contro tutte le isoforme VEGF-A ma, attualmente, non ha un’approvazione per l’uso intraoculare. Viene ampiamente utilizzato come off-label nel trattamento dei neovasi coroideali associati a degenerazione maculare senile o all’edema maculare associato alle occlusioni venose (Bandello et al., 2011). Il dosaggio previsto per

ogni somministrazione è di 1 – 1.25 mg o 0.05 mL (Gudla et al., 2018). Tuttavia,

somministrato per via sistemica comporta aumento dei rischi di eventi cardiovascolari, ictus e sanguinamento gastrico (Stefanadis et al. 2012). Ha emivita intravitreale di 5-6 giorni.

Infine Aflibercept (Eylea®), detto anche VEGF Trap-Eye, è una proteina ricombinante di

115kDa nata dalla fusione del recettore del VEGF con la regione costante delle IgG1 umane. La molecola è dotata di un’emivita più lunga rispetto agli altri anti-VEGF ed è in grado di legare anche agli altri membri della famiglia del VEGF (Cicinelli et al., 2018). I biofarmaci, come gli anti-VEGF, hanno mostrato grandi promesse come nuove terapie nel trattamento delle patologie oculari.

I limiti dei farmaci sopra menzionati sono legati all’elevato il costo ed alla modalità di somministrazione (iniezioni intravitreali con cadenza mensile). Entrambi questi grossi limiti sono legati alla natura chimica di questi farmaci. Le caratteristiche chimico-fisiche, quali la natura proteica, elevato peso molecolare e la sequenza oligonucleotidica, costringono all’uso della via intravitreale. La messa a punto di nuovi drug delivery per il rilascio prolungato nel tempo di questi prodotti nel segmento posteriore dell’occhio è il punto focale della ricerca (Cao et al., 2019).

2.2. Ocular drug delivery systems per il segmento posteriore

dell’occhio

Un approccio innovativo nell’ambito dell’ocular drug delivery consiste nell’applicazione di inserti oftalmici in grado di produrre un rilascio controllato e protratto di farmaco nel segmento posteriore dell’occhio. Questi permetterebbero di ridurre gli effetti collaterali

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farmacocinetiche e immunologiche inalterate ed evitando una rapida eliminazione. Impianti e i sistemi intraoculari capaci di liberare il farmaco in modo graduale e prolungato sono attualmente in commercio o in fase di sperimentazione. Questi sistemi richiedono sempre un piccolo intervento chirurgico, vengono infatti posizionati a livelli intravitreale, presso il pars plana dell’occhio.

In base alle loro caratteristiche gli inserti oftalmici possono essere, quindi, classificati come insolubili (non biodegradabili) o solubili (biodegradabili).

Tra i prodotti non-biodegradabili, progettati in modo da ottenere una specifica cinetica predefinita e controllata di rilascio del farmaco, ma che tuttavia, una volta esausti, devono essere rimossi ricordiamo:

Retisert: Nell'aprile 2005, il fluocinolone acetonide (Retisert, Bausch & Lomb,

Rochester, New York) è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA). Retisert è un impianto intravitreale non biodegradabile che eroga fluocinolone acetonide. È stato approvato per il trattamento dell'uveite cronica non infettiva che colpisce il segmento posteriore dell'occhio, ogni impianto è costituito da un elastomero siliconico contenente fluocinolone acetonide 0,59 mg. Le dimensioni di tale impianto sono di circa 3 mm x 2 mm x 5 mm. Fornisce un farmaco a una velocità iniziale di 0,6 ltg / die oltre il primo mese, diminuendo a una velocità di 0,3-0,4 ltg / die per circa 30 mesi. La velocità di erogazione del farmaco dipende da diversi fattori tra cui solubilità del farmaco, area superficiale, permeabilità dei polimeri, concentrazione proteica attorno al mezzo acquoso. L’applicazione di Retisert richiede un’incisione chirurgica attraverso pars plana per posizionarlo nella regione sclerale.

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• Iluvien: Il trattamento con corticosteroidi ha dimostrato di essere un'opzione terapeutica efficace poiché i corticosteroidi possono non solo inibire la via anti-VEGF, ma possono anche inibire le chemochine e le citochine infiammatorie. Il miglior metodo per il trattamento della DMO usando corticosteroidi è l’introduzione di un impianto a rilascio prolungato a bassa dose nell’umor vitreo dell’occhio vicino alla retina. Fluocinolone acetonide è un corticosteroide somministrabile come impianto intravirtreale. E’ piccolo 3,5 mm x 0,37 mm, non biodegradabile e progettato perché venga inserito tramite un ago da 25 G tramite la pars plana nella cavità vitreale. L’impianto contiene 0.19 mg di FA che inizialmente è rilasciato a 0,25 µg/day fino a 36 mesi. Iluvien è stato approvato dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE) nel 2013 come opzione terapeutica per la DMO cronica in pazienti che non rispondevano alle terapie standard. Il Fluocinolone Acetonide ha mostrato nei trial clinici l’efficacia di Iluvien nei 36 mesi contro l’edema maculare diabetico.

Fig.6 : Iluvien™

Vitrasert: Vitrasert (Bausch & Lomb) è stato il primo dispositivo per la

somministrazione di farmaci a rilascio prolungato non biodegradabile approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1996 per il trattamento della retinite da citomegalovirus (CMV) nei pazienti con AIDS. Questo impianto viene utilizzato in quei pazienti in cui non è possibile continuare la terapia sistemica con ganciclovir o la malattia continua a progredire nonostante il trattamento intravenoso

convenzionale. E’ un inserto intraoculare a rilascio prolungato che contiene 4,5 mg

di ganciclovir in una compressa di 1 mm di spessore x 2,5 mm di diametro. La compressa di ganciclovir è rivestita con polimeri di alcol polivinilico (PVA) e etilene

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– vinil acetato (EVA), che controllano il rilascio del farmaco. L'impianto viene solitamente inserito con un'incisione nella pars plana da 5 a 6 mm di spessore. Il farmaco viene rilasciato per un periodo di 7–8 mesi a una velocità di 1,4 mg / h (intervallo 0,5–2,88 mg / h). Agisce inibendo il DNA virale. Alcune delle complicanze ossrvate sono state infiammazione aumento della PIO e perdita di acuità visiva. (Pooja Bansal et al., 2015)

Fig. 7: Vitrasert™

I-vation: è un impianto intravitreale a rilascio prolungato contenente 0,925 µg di

triamcinolone acetonide. L’inserto rilascia il farmaco fino a 2 anni e misura 0.4 mm x 0.2 mm. E’ inserito nell’occhio tramite l’utilizzo di un ago da 25 G che si fissa alla sclera. L’impianto possiede un particolare design elicoidale, progettato in titanio ricoperto da una miscela polimerica di PVA-EVA. La forma elicoidale permette un aumento della dell’area superficiale per il rivestimento col farmaco e permette un ancoraggio dell’impianto sulla sclera senza sutura. Il dispositivo, però, può anche causare potenziali complicanze come un aumento della PIO e la formazione di cataratta. (Bansal et al., 2015).

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Tra i prodotti biodegradabili, completamente solubilizzati nel sito di somministrazione, disponibili in commercio possono essere ricordati:

Ozurdex: è un sistema di rilascio di farmaci a rilascio prolungato di desametasone

per il segmento posteriore dell’occhio (Allergan, Inc.). È composto da copolimero biodegradabile contenente 700 µg desametasone micronizzato in un sistema di erogazione costituito da polimero biodegradabile PLGA (acido polilattico-glicolico). Il complesso farmaco-copolimero rilascia gradualmente la dose totale di desametasone per un periodo di 3-6 mesi dopo l'inserimento nel vitreo. È stato approvato dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti per il trattamento dell'edema maculare negli RVO, nell'uveite posteriore non infettiva e recentemente nel DME. Sopprime l'infiammazione inibendo le citochine infiammatorie, con conseguente riduzione dell'edema, deposizione di fibrina, perdita capillare e migrazione delle cellule infiammatorie. Viene iniettato tramite un applicatore

precaricato calibro 22G attraverso il pars plana. Non rimane traccia dell’impianto

all’interno della cavità intra-vitreale. Anche in questo caso gli effetti collaterali sono rappresentati da formazione di cataratta, aumento della PIO, infiammazione e gonfiore della congiuntiva dolore e mal di testa. (Bansal et al., 2015; Nagaray et al., 2019)

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3. Alterazioni della superficie oculare: Lesioni Corneali

Le lesioni della superficie oculare, cioè della cornea, sono molto frequenti e possono

avere molteplici cause. Uno sfregamento superficiale dell’epitelio corneale, il contatto con

corpi estranei, come particelle metalliche, di vetro o di plastica, sostanze chimiche, acide o basiche, calore o radiazioni ultraviolette sono tutti traumi che possono condurre ad alterazioni del tessuto corneale come abrasioni, lacerazioni o perforazioni.

Le alterazioni possono essere suddivise in base alla causa che le ha generate, quindi di natura flogistica, degenerativa-distrofica e traumatica. Le prime possono essere dovute all’azione di microrganismi, funghi o virus, o legate ad un alterato trofismo della membrana.

Le cheratiti non infettive sono dovute ad alterato trofismo della membrana e si suddividono in: cheratite neutrofica, cheratite da logoftalmo, cheratocongiuntivite secca e cheratite filamentosa.

Le alterazioni di natura degenerativa-distrofica derivano da un processo di deterioramento del tessuto dovuta a patologie eterogenee come la cornea guttata che determina accumulo di collagene e la cheratopatia a bandelletta con accumulo di sali di calcio. Nelle forme di distrofia corneale si ha opacizzazione progressiva della cornea con perdita della sua caratteristica trasparenza e di conseguenza alterazione della capacità visiva. Nelle distrofie infatti siamo di fronte ad un’alterazione morfo-funzionale conseguente a modificazioni del normale trofismo.

Lacrimazione, dolore, fotofobia e blefarospasmo sono solo alcune delle conseguenze dovute a lesioni che interessano la cornea a causa di un trauma.

Le lesioni superficiali dell’epitelio, grazie ai processi di riepitelizzazione, si rigenerano in poche ore. Oltre all’epitelio interessano la membrana di Bowman e lo stroma e possono manifestarsi senza o con perdita di sostanza.

Le lesioni corneali profonde possono essere di tipo non perforante e perforante e producono sempre un’apertura totale del tessuto oculare con perdita di continuità anche nell’endotelio. I traumi possono essere di natura meccanica (graffio di gatto, foglie e rami di piante, oggetti di lavoro o per hobbistica, schegge) con abrasioni profonde e perforanti, di natura chimica (causticazioni da acidi e basi e, in misura minore, lesioni dovute a metalli, tensioattivi e sostanze inorganiche.), o lesioni tossiche dovute a sostanze chimiche

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e alcuni farmaci assorbiti a livello sistemico che danno luogo a tossicità oculare di diversa gravità, come cheratocongiuntiviti oltre che a disturbi a carico di altri apparati.

A prescindere dall’eziologia, i sintomi più frequenti che si riscontrano in caso di lesione corneale sono la sensazione di corpo estraneo, arrossamento oculare, fotofobia, lacrimazione abbondante e riduzione della qualità visiva. In ogni caso, tutte le alterazioni della cornea che provocano una distruzione tissutale o una perdita di sostanza, vengono velocemente riparate dai meccanismi fiosiologici che, a causa dell’esigua vascolarizzazione, è diversa da quelli degli altri tessuti. I principali processi fisiopatologici che si verificano in caso di lesioni della cornea sono:

Edema: è un’alterazione dei processi fisiologici che regolano il ricambio idrico e

assicurano il giusto grado di idratazione, che permette di conservare la trasparenza corneale; questo provoca imbibizione parziale o totale del tessuto con ispessimento della cornea e perdita transitoria o permanente della trasparenza. A seconda dell’estensione e della localizzazione dell’edema, la diminuzione della trasparenza corneale comporta un’alterazione della visione che va dall’appannamento fino alla perdita di acuità visiva. L’epitelio e l’endotelio, hanno un ruolo fondamentale nel mantenimento della normale idratazione e per questo è evidente che l’edema corneale sia il risultato di patologie che modificano le caratteristiche anatomo-funzionali di queste strutture. Le capacità riparative dell’endotelio però sono sufficienti a riparare lesioni di piccola entità, ma non un’area di rarefazione o di minus troppo vasta poiché le discontinuità del citomosaico endoteliale vengono riparate tramite un fenomeno di slittamento delle cellule circostanti e non da una

loro riproduzione. A seconda dell’estensione e della zona coinvolta possiamo avere

edema epiteliale, caratterizzato da una perdita della specularità della cornea la cui superficie appare troppo opaca, edema stromale con ampie lacune negli spazi interlamellari contraddistinto da un riflesso bianco-grigiastro ed edema endoteliale che

rende l’endotelio ondulato per la presenza di numerose zone di rigonfiamento e di

vescicole, causate da un edema interstiziale e intracellulare.

I sintomi dell’edema corneale sono rappresentati dalla diminuzione del visus, dolore e possiedono una variabilità legata alla gravità del danno.

Neovascolarizzazione: La formazione di neovasi a livello della cornea rappresenta una

forma di difesa ad eventi patologici di varia natura. Successivamente all’edema i vasi si sviluppano nell’area colpita e possono quindi estendersi sia in superficie che in profondità. I neovasi superficiali originano dal plesso limbare superficiale, sono caratterizzati da tortuosità in quanto si dividono dicotomicamente e hanno solitamente decorso

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sottoepiteliale. La neovascolarizzazione profonda deriva invece dalle arterie ciliari anteriori che formano il plesso limbare profondo e talora dai vasi iridei. La totalità del processo può essere riassunto in tre fasi: lesione della cornea, flogosi ed edema del tessuto, neoformazione vasale.

Cicatrizzazione: Gli epiteli della superficie oculare sono tessuti autorigeneranti, caratterizzati dalla presenza di cellule staminali, localizzate nel fornice congiuntivale e probabilmente su tutta la superficie congiuntivale (epitelio congiuntivale) e nel limbus (epitelio corneale).

Il processo cicatriziale ha inizio a livello epiteliale non solo per danni superficiali, ma anche nel caso di interessamento del parenchima. Il processo di cicatrizzazione dell’epitelio corneale può essere schematizzato in tre fasi: migrazione, proliferazione e adesione

cellulare. Il contributo di ogni singola fase è in relazione alla grandezza e alla profondità

della lesione ed alla natura della causa. In seguito ad una lesione si assiste ad una pausa del normale processo di esfoliazione cellulare, la ferita diventa più larga per perdita delle cellule necrotiche e per la definizione dei margini della ferita, le cellule vicine non si dividono per almeno un giorno. Le cellule più periferiche e integre invece aumentano la loro percentuale di divisione, si appiattiscono e migrano verso la lesione. Il processo di

proliferazione è complementare alla migrazione cellulare durante la riepitelizzazione.

Questo processo continua fino a quando la ferita è cicatrizzata ed il normale spessore

dell’epitelio è riformato. Quando il difetto è completamente guarito avviene l’ancoraggio permanente delle cellule con il substrato. Nel caso di semplici abrasioni corneali questi processi fisiologici sono sufficienti a garantire una completa guarigione ed il ripristino delle normali caratteristiche strutturali. Le lesioni dello stroma, invece, sono seguite dalla sintesi di nuovo collagene e sostanza fondamentale da parte di fibroblasti. A differenza della Bowman, che non si riforma, le rotture della membrana di Descemet vengono integrate da una neomembrana ialina formata dalle cellule endoteliali. Qualora siano stati coinvolti gli strati sottostanti l’epitelio, possono permanere cicatrici come faccette corneali (zone di incompleto riempimento dell’area lesa), nubecole (opacità sub epiteliali) o leucomi (cicatrici biancastre molto dense che interessano più strati) (Miglior, et al.;1999).

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3.1. Trattamenti per la riepitelizzazione corneale

Per evitare il rischio di complicanze infettive, infiammazione e progressione della lesione verso quadri più gravi a carico di un tessuto particolarmente delicato come la cornea, la veloce riparazione dell’epitelio corneale è fondamentale. Di norma la rigenerazione fisiologica di aree disepitelizzate richiede 48-72 ore ma in alcune condizioni patologiche come il diabete mellito, il processo può richiedere tempi più lunghi. Prodotti come amminoacidi, fattori di crescita, lisato piastrinico e la membrana amniotica possono essere utilizzati per accelerare il processo di guarigione delle ferite corneali.

L’utilizzo clinico degli aminoacidi in pazienti con lesioni cutanee o corneali ha dato spesso risultati soddisfacenti con miglioramento della riparazione apprezzabile clinicamente. Questa terapia consiste nell’implementazione dietetica o topica oculare con aminoacidi. Tutti i processi rigenerativi richiedono una nuova sintesi proteica per la replicazione cellulare e la produzione di nuova matrice extracellulare (ECM). Dopo traumi meccanici o chirurgici, la guarigione delle ferite sarà più efficiente quando tutti i componenti necessari saranno prontamente disponibili (MacKay e Miller, 2003). In oftalmologia, gli aminoacidi sono utilizzati principalmente nella chirurgia corneale e nei disturbi della superficie. La cheratectomia fotorefrattiva (PRK) e la cheratomilosi laser in situ (LASIK) sono procedure chirurgiche che perturbano l'omeostasi della superficie oculare (Wilson, et al.; 2001) e possono provocare la sindrome dell'occhio secco (De Paiva et al., 2006; Huang et al., 2012 ). Nejima e collaboratori hanno scoperto che in effetti entrambe le procedure hanno ridotto la funzione di barriera epiteliale e la secrezione lacrimale e deteriorato la stabilità del film lacrimale (Nejima et al., 2005). L'efficacia degli integratori orali di cisteina è stata valutata nella guarigione della ferita corneale dopo PRK: tutti gli occhi dei pazienti trattati con integratori orali di cisteina hanno mostrato tempi più brevi di riepitelizzazione. (Meduri et al., 2009).

Il fattore di crescita epidermico (EGF), un piccolo polipeptide mitogeno composto da 53 aminoacidi, agisce legandosi con alta affinità ad uno specifico recettore di membrana (EGFR). Il legame del polipeptide alla porzione extracellulare del recettore attiva il dominio intracellulare tirosino-chinasico scatenando numerosi eventi che alla fine portano alla sintesi di acido desossiribonucleico (DNA) e alla proliferazione cellulare, migrazione, deposizione di matrice e rimodellamento dei tessuti nella pelle, cornea e cellule epiteliali. Partendo da queste considerazioni alcuni ricercatori hanno prospettato l’uso dell’EGF per

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favorire la riepitelizzazione corneale. Holland et al. nel 2012 hanno saggiato lenti medicate con hrEGF ottenendo buoni risultati negli studi preliminari.

La membrana amniotica (MA), o amnios, costituisce lo strato più interno della porzione fetale della placenta che si sviluppa dal 7° giorno di gestazione dall’ectoderma.

Essa è dotata di almeno 5 proprietà fondamentali. La prima, riepitelizzante, sia in vivo che in vitro, è ascrivibile all’aumento dell’espressione di fattori di crescita (tra cui EGF, TGFα, TGFβ 1-2-3) e di alcuni dei loro recettori. La seconda, antifibrotica, è dovuta sia all’inibizione della differenziazione di cheratociti in fibroblasti che alla riduzione dell’attivazione di fibroblasti indotta dalla riduzione dell’espressione del TGF-RII. La terza,

antiangiogenetica, è riconducibile all’aumento dell’espressione di TIMPS 1-2-3-4, TSP-1,

IL-10 e PF-4, endostatina e PEDF, HC-HA. La quarta, antinfiammatoria, è ascrivibile

all’aumento dell’apoptosi delle cellule flogistiche chemotatticamente attratte ed attivate in situ, alla riduzione dell’espressione di 1α e 1β ed all’aumento di espressione di IL-1RA e IL-10, alla riduzione dell’espressione di MMPs ed all’aumento di espressione di TIMPs 1-2-3-4 e alla modulazione dell’espressione di activina. La quinta, antimicrobica, prevede un’attività sia antivirale, riconducibile all’aumento di espressione di cistatina E; che antibatterica, riconducibile a fattori non meglio identificati.

Le sue applicazioni possono essere sia extra- che intra-oculari. Le seconde prevedono l’impiego come graft, con l’epitelio rivolto verso l’alto, in modo tale che, tramite il fenomeno di integrazione, l’epitelio sia ricoperto da cellule corneali e/o congiuntivali dell’ospite; patch, con l’epitelio rivolto verso il basso, in modo tale che, mediante il fenomeno di assorbimento, lo stroma da un lato intrappoli le cellule flogistiche dell’ospite e dall’altro rilasci alcune delle sostanze responsabili delle sue peculiari proprietà.

Il graft può essere impiegato con 2 finalità: la ricostruzione della superficie corneale e la ricostruzione della superficie congiuntivale. La parte della membrana amniotica che viene utilizzata è la parte più interna, prelevata in condizioni, sterili a seguito di un taglio cesareo. (Ceccuzzi et al.,2016).

Il lisato piastrinico è un emocomponente ad uso non trasfusionale ad alto contenuto di

piastrine. Le piastrine immagazzinano e rilasciano, se attivate, numerosi fattori di crescita capaci di stimolare la replicazione delle cellule mesenchimali come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali, esercitando peraltro azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati.

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L'uso clinico del lisato piastrinico è ben noto per la prevenzione e il trattamento del sanguinamento. Negli ultimi decenni le piastrine hanno anche dimostrato chiaramente di essere utili nel campo della medicina rigenerativa. Fattori solubili immagazzinati in piastrine, come fattori di crescita e chemochine, possono essere facilmente ottenuti, ad esempio grazie a ripetuti cicli di congelamento-scongelamento per ottenere lisato piastrinico (PL). Stanno emergendo dati clinici che dimostrano l'efficacia dei fattori di crescita derivati dalle piastrine nel trattamento di una varietà di condizioni, tra cui ferite croniche, ustioni, osteoartrosi, nonché lesioni a tendini e nervi. Tuttavia, i preparati di PL sono scarsamente standardizzati. Nel 2016 Felix Sellberg e Erik Berglund hanno messo a punto una stima approssimativa delle tipologie di fattori di crescita e della loro quantità all’interno di un campione di lisato. Nello studio la composizione dei fattori di crescita e delle citochine in PL (Platelet Lysate) sono state analizzate usando i Multiplex Bead Assay (MBA) o immunosorbenti enzimatici (ELISA). I PL sono stati analizzati per i seguenti fattori di crescita e citochine utilizzando la tecnologia MBA Luminex MAP (Merck Millipore, Darmstadt, Germania) su uno strumento MAGPIX (Luminex Corporation, Austin, Stati Uniti):

• Fattore di crescita epidermica (EGF) con azione stimolante sulle cellule epiteliali e

mesenchimali;

• Fattore di crescita fibroblasto 2 (FGF-2) e fattore di crescita endoteliale vascolare

(VEGF), potenti fattori angiogenici, con azione stimolante sulle cellule endoteliali;

Fattore di crescita insulino-simile 1 (IGF-1), con azione sugli osteoblasti;

Fattore di crescita derivato dalle piastrine-AB / BB (PDGF-AB / BB), i

• Trasforming Growth Factor -ß isoforma 1 (TGF-ß1) con azione chemotattica, di

stimolazione dei fibroblasti e degli osteoblasti e inibente sugli osteoblasti

Interleuchina (IL) -1ß, IL-2, IL-6, IL-10, IL-12p70, 1L-17A, f

• Fattore di necrosi tumorale-α (TNF- α) e interferone-γ (IFN-γ).

A livello temporale, la riepitelizzazione è il primo processo che avviene grazie alla stimolazione della proliferazione, migrazione e differenziazione del tessuto circostante. Concentrando le piastrine o il lisato leuco-piastrinico e applicandolo in sede di lesione si ottiene la liberazione in loco di una grande quantità dei fattori di crescita sopra elencati e altri mediatori chimici. In analogia con quanto avviene per gli altri tessuti dell’organismo, i meccanismi di riparazione della superficie oculare coinvolgono le diverse componenti cellulari mediante il rilascio di citochine e fattori di crescita, così come il rilascio di

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collagenasi, metallo proteinasi ed altri enzimi. A livello dell’occhio questo processo viene iniziato e controllato mediante fattori solubili rilasciati dallo stesso epitelio, dai cheratociti e dalla ghiandola lacrimale, quali il Tumor necrosis factor-β, il peptide correlato al gene della colecistochinina, il fattore di crescita piastrinico (PDGF), l’interleuchina 6, fibronectina, il fattore di crescita tumorale (con attività inibente). L’equilibrio tra fattori inibenti e stimolanti risulta fondamentale per una corretta riepitelizzazione. L’uso topico di elementi cellulari adiuvanti e potenzianti i normali processi riparativi tissutali permette una più rapida ed efficace guarigione del tessuto corneale e congiuntivale. Acquisizioni in termini di fisiopatologia, hanno portato a considerare l’impiego del siero ricco di fattori di crescita piastrinici, in forma liquida di gocce oculari o di gel, per il trattamento delle lesioni sulla superficie oculare, quali quelle derivanti da cheratocongiuntivite secca in pazienti refrattari alla terapia tradizionale (Vecchio et al., 2006; Sangiovanni et al. 2012). Sandri et al. nel 2011 hanno studiato con successo gocce oculari contenenti lisato piastrinico nel trattamento dell’ulcera corneale. Nello stesso laboratorio sono state preparate formulazioni con lisato piastrinico veicolato con polimeri mucoadesivi quali acido poliacrilico e chitosano (Sandri et al., 2011). Studi recenti (Fea et al.,2016) hanno supportato l'ipotesi che i colliri di lisato piastrinico autologo siano efficaci sia sui sintomi soggettivi che oggettivi, nel trattamento dell'occhio secco, in pazienti con sindrome di Sjögren primaria. Le immagini IVCM (In Vivo Confocal Microscopy) hanno dato conferma alla teoria che l'APL potrebbe essere efficace nel ripristinare il danno corneale promuovendo la rigenerazione epiteliale e nervosa e riducendo le cellule di Langerhans.

L'uso di colliri derivati dal sangue per il trattamento dei disturbi della superficie oculare è diventato sempre più popolare negli ultimi anni. Il meccanismo d'azione è la stimolazione della proliferazione e della migrazione cellulare fornendo una miscela attiva di fattori di crescita, imitando così la funzione delle lacrime naturali mancanti. Gocce oculari derivate dal sangue sono state utilizzate per il trattamento di una varietà di malattie della superficie oculare, tra cui principalmente patologie dell'occhio secco, difetto epiteliale corneale persistente, ulcera corneale, ustione della superficie oculare, erosione corneale ricorrente e carenza di cellule staminali limbali. Tra i colliri derivati dal sangue, esistono sia prodotti autologhi (dai pazienti stessi) sia omologhi (dai donatori), con diversi vantaggi e svantaggi La teoria secondo la quale le fonti omologhe sembrano essere i prodotti più promettenti sono stati ulteriormente confermate (Giannaccare et al. 2017). Le fonti omologhe infatti, incluso il siero allogenico ottenuto da donatori sani e il siero del sangue del cordone

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ombelicale raccolto al momento del parto, sono alternative efficaci, specialmente quando la terapia con siero autologo è controindicata o non appropriata.

Lo stesso studio suggerisce che i colliri derivati dal sangue ricchi di fattori di crescita naturali potrebbero essere applicati localmente sulla superficie oculare in combinazione con colliri di agenti rigeneranti (RGTA), che consistono in polimeri ingegnerizzati chimicamente adattati per proteggere dalla degradazione proteolitica. La spiegazione per questo uso sinergico deriva dall'ipotesi che i colliri RGTA potrebbero sostituire l’eparansolfato naturale nella cornea ferita, fornendo un substrato di migrazione ottimale alla crescita cellulare, mentre i colliri derivati dal sangue potrebbero fornire la presenza continua di una miscela di fattori di crescita e citochine, promuovendo così la crescita cellulare sulla matrice rigenerata.

La ricerca di Sandri et al. (2016) ha inoltre proposto come alternativa alle gocce oculari il caricamento del lisato piastrinico nelle lenti a contatto per migliorare la permanenza precorneale dei fattori di crescita del lisato piastrinico sulla superficie oculare per migliorare il trattamento delle lesioni corneali.

A tal fine, il solfato di condroitina, un glicosaminoglicano solfato, che è normalmente presente nella matrice extracellulare, è stato associato al lisato piastrinico. Infatti, il condroitin solfato è in grado di interagire elettrostaticamente con fattori di crescita caricati positivamente, in particolare con bFGF, IGF, VEGF, PDGF e TGF-b, con conseguente stabilizzazione e riduzione della degradazione in soluzione. Nello studio in questione, vari tipi di lenti a contatto, disponibili in commercio, sono stati caricati con condroitin solfato da solo o in associazione con lisato piastrinico per ottenere un rilascio di fattori di crescita direttamente sulle lesioni della superficie corneale. Un tipo di lenti a contatto (PureVision1) ha mostrato buone proprietà di proliferazione in vitro verso le cellule corneali. Lo studio ha quindi dimostrato come l’associazione tra condroitin solfato e lisato piastrinico sia biocompatibile e stimoli la proliferazione di tre tipi di cellule presenti nella cornea: RCEC (cellule epiteliali corneali), NHDF (fibroblasti) e HUVEC (cellule endoteliali). Ciò probabilmente è dovuto alla capacità del condroitin solfato di prolungare l’attività biologica dei fattori di crescita di base (Sandri et al. 2016).

A causa della domanda in rapida crescita di PL a livello clinico, in un recente studio più centri sono stati interpellati nel dichiarare il loro punto di vista in merito alla produzione interna, al controllo di qualità, alla definizione dei criteri di rilascio e un futuro approccio alla standardizzazione del PL. Alcuni centri raccomandano un confronto tra prodotti di PL fabbricati in modo diverso e valutati con saggi paralleli tramite vari tipi di cellule. Ciò può

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consentire all'utente di selezionare la migliore preparazione di PL per un prodotto cellulare specifico, considerando non solo la proliferazione cellulare ma anche la funzionalità e la

potenza cellulare. Infatti una delle problematiche relative all’utilizzo di lisato piastrinico e

della sua produzione è la difficile standardizzazione e la sua variabilità che può influenzare

la qualità del prodotto finale. Ciò rende difficoltoso definire le specifiche del prodotto e i

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1.0 Scopo della tesi

La presente tesi ha riguardato la selezione di forme farmaceutiche solide ottimali per la veicolazione di farmaci di natura proteica: bevacizumab (BVZ) per la terapia della maculopatia degenerativa della retina da inserire nel umore vitreo e lisato piastrinico (LP) per la cura delle lesioni corneali associate alla patologia dell’occhio secco da applicare nell’area precorneale dell’occhio. In entrambi i casi, è stata scelta la tecnica di liofilizzazione per la preparazione di matrici solide in grado di mantenere l’integrità del materiale di natura proteica (bevacizumab e lisato piastrinico), notoriamente soggetto a degradazione chimica e biologica, di migliorare l’applicabilità oftalmica e di prolungare la permanenza della formulazione nel sito di applicazione aumentandone la biodisponibilità. La riduzione del numero di somministrazioni può ridurre notevolmente gli effetti collaterali incrementando anche la compliance del paziente.

Le ricerche riguardanti il bevacizumab si sono articolate nelle seguenti fasi:

1. Preparazione di matrici solide ottenute per liofilizzazione a partire da dispersioni polimeriche a base di idrossipropilmetilcellulosa (HPMC), polivinilpirrolidone (PVP) e alcool polivinilico (PVA), usati singolarmente o in miscela PVA/PVP (rapporto 5:1) e HPMC/PVP (rapporto 2:1) contenenti fluoresceina isotiocianato destrano (FITC-DX). FITC-DX è stato usato come molecola modello con caratteristiche simili al bevacizumab dal punto di vista del PM;

2. Determinazione del tempo di idratazione delle matrici liofilizzate; 3. Misura della resistenza alla compressione delle matrici preparate; 4. Studi di rilascio in vitro di FITC-DX attraverso una membrana sintetica;

5. Determinazione quantitativa del prodotto fluorescente FITC-DX mediante una appropriata metodica analitica utilizzando un fluorimetro

6. Preparazione delle matrici liofilizzate contenenti bevacizumab

7. Valutazione della stabilità del BZ nella matrice liofilizzata mediante analisi dimensionale utilizzando il dynamic light scattering

La parte del lavoro riguardante il lisato piastrinico si è svolta attraverso le seguenti fasi: 1. preparazione del lisato piastrinico da plasma arricchito

2. Veicolazione del LP in matrici solide ottenute per liofilizzazione costituite da PVA al 5% o da una miscela PVA/PVP (5:1).

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3. Valutazione dell’efficacia della formulazione solida ottenuta per liofilizzazione contenente LP sulla proliferazione e migrazione cellulare su coltura di cellule epiteliali corneali.

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2.0. Materiali

• Polivinil alcool (PVA) (Emprove® 4-88, Merck, Germania) • Polivinil pyrrolidone (PVP) (Kollidon® 90F, Basf, Germania)

• Idrossipropilmetilcellulosa (HPMC) (Methocel® K4M Premium EP, Colorcon, Italia) • Trealosio (SG, Hayashibara Co. Giappone)

• Fluoresceina isotiocianato destrano 150 kDa (FITC-DX) (Sigma-Aldrich, Svezia) • Linea Cellulare di cellule epiteliali corneali di Coniglio (RCE, n°95081046 European

Collection of Authenticated Cells Cultures, ECACC) • Bevacizumab (Avastin®)

• Acqua MilliQ

L’alcool polivinilico (PVA) (Fig.1) è un composto chimico ottenuto per idrolisi, di solito alcalina degli esteri polivinilici. E’ utilizzato sia in campo industriale che medico per le sue proprietà di biocompatibilità e idrofilia.

Il PVA è completamente degradabile, presenta spiccate proprietà emulsionanti, filmogene e adesive, elevata resistenza e plasticità ed una buona capacità viscosizzante ma soprattutto idratante. Queste caratteristiche sono fondamentali per l’uso oftalmico poiché possono conferire proprietà filmogene alle soluzioni oftalmiche con stabilizzazione del film lacrimale e dipendono dal quantitativo di acqua contenuta nel polimero, poiché questa funge da plastificante.

Fig.1 Struttura chimica dell’alcool polivinilico

Il polivinilpirrolidone (PVP) è un polimero sintetico, lo si produce tramite la polimerizzazione radicalica vinilica del monomero vinilpirrolidone (Fig.2)

Riferimenti

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