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Analisi dei dispositivi di Elettrolisi come primo stadio di processi energetici più complessi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

SCUOLA DI INGEGNERIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA ENERGETICA

ANALISI DEI DISPOSITIVI DI ELETTROLISI COME PRIMO STADIO DI PROCESSI PIU’ COMPLESSI

Relatori Candidato

Prof. Romano Giglioli Giulio Maculan Ing. Eleonora Bargiacchi

Ing. Alessio Ciambellotti Ing. Gianluca Pasini

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Sommario

La costante crescita dei consumi globali di energia e la presa di coscienza sulle problematiche ambientali sta spingendo verso un sempre maggiore sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili. Già oggi la penetrazione delle energie rinnovabili aleatorie nel mercato elettrico ha raggiunto livelli tali da creare alcune problematiche per il dispacciamento e la stabilità della rete. Con le previsioni di installazione di nuova potenza nei prossimi anni questo fenomeno verrà probabilmente amplificato, pertanto si renderà necessario prevedere sistemi di accumulo dell’energia elettrica in modo da assorbire l’eventuale surplus di produzione e garantire un’adeguata flessibilità della rete.

In questo contesto la presente tesi si prefigge l’obbiettivo di studiare un sistema di elettrolisi per la produzione di idrogeno ed ossigeno, come uno dei possibili carichi controllati volti ad assorbire gli eventuali esuberi di energia elettrica dalla in rete. Tale sistema può costituire un’alternativa rinnovabile all’attuale produzione industriale di idrogeno da fonte fossile e ossigeno da ASU, oppure essere il primo stadio di un sistema più articolato mirato ad un accumulo energetico secondo la concezione del power to gas.

Nell’introduzione si accenna alla attuale situazione energetica mondiale con particolare riferimento al sistema elettrico, ed alle previsioni relative ai prossimi decenni. Si riassumono i principali metodi di produzione dell’idrogeno e gli attuali sistemi di accumulo energetico, con particolare attenzione agli accumuli chimici ed al Power to Gas, ambiti nei quali potrebbe inserirsi la produzione di idrogeno tramite elettrolisi.

Nel secondo capitolo si riportano i fondamenti termodinamici ed elettrochimici dell’elettrolisi dell’acqua. Si tratta lo stato dell’arte degli elettrolizzatori commerciali e sperimentali e si mettono a confronto tra loro le diverse tipologie di celle elettrolitiche. Infine si fa cenno all’elettrolisi dell’acqua marina, che sta attirando un crescente interesse.

Nel terzo capitolo si presenta il modello di elettrolizzatore studiato, che si compone di una prima sezione di trattamento dell’acqua di alimento per la produzione di acqua distillata a partire da una sorgente superficiale, una sezione di elettrolisi basata su di un elettrolizzatore alcalino commerciale ed una sezione di liquefazione dell’ossigeno prodotto, che ha lo scopo di ampliarne le possibilità di impiego e sfruttamento anche in contesti logisticamente distinti grazie ad una maggiore semplicità di trasporto. Tutti i componenti sono stati modellati usando Aspen Hysys ed ipotizzando un funzionamento in condizioni stazionarie; l’elettrolizzatore è stato sviluppato su Aspen Custom Modeler e successivamente riportato su Aspen Hysys. Il modello della cella elettrolitica è stato creato a partire dai dati geometrici dell’elettrolizzatore studiato da Milewski et al. [21] ed è stato validato mediante i dati sperimentali ottenuti da questi ultimi. Inoltre i dati ottenuti sono stati confrontati con altri relativi ad elettrolizzatori con caratteristiche analoghe disponibili in letteratura.

Nel quarto capitolo si riportano i risultati ottenuti effettuando simulazioni sul modello descritto in diverse condizioni operative, variando pressione, temperatura e densità di corrente di cella. Quindi si effettua un dimensionamento di massima dell’impianto e si riportano i relativi bilanci di massa e di energia di ciascuna sezione. L’unità di elettrolisi ha

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3 mostrato un’efficienza variabile tra il 65% ed il 87% rispetto al potere calorifico superiore dell’idrogeno, mentre per l’intero impianto l’efficienza diminuisce di circa il 5% a causa dei consumi aggiuntivi delle sezioni di trattamento acqua e liquefazione dell’ossigeno.

Per concludere si effettua un’analisi dei costi capitali ed operativi per l’impianto descritto e si propone un business plan, al fine di valutare il costo di produzione dell’idrogeno nel caso in cui l’ossigeno liquido sia venduto sul mercato ad un prezzo stabilito. In relazione al prezzo di vendita dell’ossigeno ed al prezzo di acquisto dell’energia elettrica, il costo dell’idrogeno ha mostrato un ampio margine di variabilità, andando da 0€/kg nelle condizioni più ottimistiche fino a 5,87€/kg in quelle valutate più pessimistiche.

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Indice

1 Introduzione………..………..7

1.1 Cenni alla situazione energetica globale……….………..7

1.2 Sistema elettrico……….……….8

1.3 Produzione dell’idrogeno……….…………..……….……….10

1.4 Sistemi di accumulo……….………..……….12

1.4.1 Power to Gas……….………..…….…18

1.4.1.1 Elettrolisi ……….………18

1.4.1.2 Stoccaggio di idrogeno e ossigeno………..…….………...…19

1.4.1.3. Metanazione………..………….……19

1.4.1.4 Sorgente di CO2 ……….……….………...………21

2 Elettrolisi dell’acqua……….………24

2.1 Termodinamica ..……….………24

2.1.1 Dipendenza da temperatura e pressione……….………..……25

2.1.2 Non idealità dei gas prodotti……….……….………26

2.1.3 Produzione di idrogeno in pressione: confronto fra diverse configurazioni…..…....

28

2.2. Elettrochimica……….……….………29 2.2.1. Perdite e sovratensioni……….………31 2.3 Efficienza……….………34 2.4 AEL……….………35 2.4.1 Elettroliti……….………..….……37 2.4.2 Elettrodi e catalizzatori……….……….…..…38 2.4.3 Diaframma……….………38 2.4.4 Altre configurazioni……….………39 2.4.4.1 Zero-gap……….……….…………39

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5 2.4.4.2 Membrane anioniche………….……….……….………39 2.5 PEMEL……….………….………….………….………….………39 2.6 SOEL……….……….………….………….………….………...……42 2.6.1 Performance……….…….………….………….……….…44 2.7 Confronto……….……….………….………….………….……….…………45

2.8 Elettrolisi dell’acqua marina……….……….……….…46

3 Modello……….……….………….………….………….……….……48

3.1 Trattamento acqua……….……….………….……….…48

3.2 Elettrolizzatore……….……….………….………….………52

3.2.1 Stima delle perdite……….……….………….………..…53

3.2.1.1. Potenziale reversibile……….………..……54

3.2.1.2 Perdite di attivazione……….……….………..…55

3.2.1.3 Perdite ohmiche……….…….……….………56

3.2.2 Curva di polarizzazione e validazione……….……….…58

3.3 Liquefazione dell’ossigeno……….……….……….…62

4 Analisi dei dati……….……….………….………….………64

4.1 Dipendenza dalla temperatura……….………….………64

4.2 Dipendenza dalla pressione……….……….………….……….…66

4.2.1 Due casi studio a confronto……….……….……….….…69

4.3 Bilanci ……….……….………..…70

4.3.1 Sezione trattamento acqua……….……….………..…70

4.3.2 Elettrolizzatore……….……….………….………….………72

4.3.3 Liquefazione ossigeno……….……….………….………73

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5 Analisi economica……….……….………….………….………75

5.1 Stima dei costi capitali……….……….………….………….……….……75

5.2 Stima dei costi operativi……….……….………….………75

5.3 Stima dei ricavi……….……….………….………….………76

5.4 VAN……….……….………….………….………….………..….……77

5.5 Costo di produzione dell’idrogeno……….…….………..………77

Conclusioni……….……….………….………….………79

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1 Introduzione

1.1 Cenni alla situazione energetica globale

I consumi globali di energia primaria sono cresciuti continuamente negli ultimi decenni, passando da 6101 Mtep nel 1973 a 13.761 Mtep nel 2016 [1], e la previsione per il fabbisogno del 2040 indica un ulteriore incremento di circa il 25% rispetto ai valori odierni [2], da un lato a causa della crescita della popolazione mondiale, dall’altro per i migliori standard di vita cui vanno incontro i Paesi in via di sviluppo.

L’aumento del fabbisogno energetico comporta un aggravio delle problematiche ambientali legate allo sfruttamento delle risorse fossili, per cui in futuro oltre ad una maggiore capacità produttiva sarà necessario diversificare le fonti, con una particolare attenzione alle tecnologie meno impattanti.

A questo proposito 195 Paesi partecipanti alla conferenza sul clima di Parigi del 2015 (COP21) hanno annunciato i programmi da mettere in atto nei prossimi decenni per contrastare il riscaldamento globale. Le previsioni basate sulle nuove politiche presentate (New Policies Scenario, NPS) [3] indicano che nel 2040 le emissioni annuali di CO2 aumenteranno del 10% circa rispetto ai valori attuali, mentre secondo l’International Energy Agency (IEA) per raggiungere uno sviluppo sostenibile (Sustainable Development Scenario, SDS) sarebbe opportuno un ulteriore sforzo, portando le emissioni nette a dimezzarsi nel 2040 e ad annullarsi nel 2070.

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8 Questo obbiettivo dovrebbe essere raggiunto mettendo in atto una serie di interventi strutturali:

▪ un forte sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili e a basse emissioni, accompagnato nei paesi sviluppati da una riduzione nell’uso di petrolio e carbone; ▪ un miglioramento dell’efficienza nei consumi e una decisa elettrificazione dei settori

civile, industriale e dei trasporti

▪ l’impiego di tecniche di cattura, stoccaggio ed utilizzazione dell’anidride carbonica (Carbon Capture Utilization and Storage - CCUS)

Figura 2 Previsioni di variazione della potenza elettrica installata secondo il NPS [2]

1.2 Sistema elettrico

Per quanto riguarda il sistema elettrico si prevede che la domanda di elettricità crescerà nei prossimi anni ad una velocità doppia rispetto alla richiesta totale di energia primaria.

Attualmente il 40% circa delle emissioni di CO2 è computabile al settore di produzione dell’energia elettrica: questo infatti è ancora pesantemente legato alla presenza del carbone, responsabile del 38,4% dell’energia prodotta, seguito da gas naturale (23,2%), nucleare (10,4%) e olio combustibile (3,7%). L’energia idroelettrica soddisfa il 16,3% dei consumi, mentre le altre rinnovabili, tra cui l’energia geotermica, eolica, solare, da onde e maree, rifiuti e biocombustibili, coprono l’8% circa del fabbisogno elettrico.

Secondo il NPS nell’ambito della crescente domanda di energia elettrica, quella prodotta dalle sole fonti eoliche e fotovoltaiche dovrebbe passare dai circa 1300 TWh del 2016 agli oltre 8000 TWh annui nel 2040 (14000 TWh secondo il SDS).

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Figura 3 Suddivisione delle fonti energetiche presenti nel mix elettrico, confronto tra 1973 e 2016 [1]

Figura 4 Confronto tra gli obbiettivi del NPS e del SDS per il 2040 [3]

In questo scenario la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile dovrebbe passare dall’attuale 25% del mix a circa due terzi del totale, una parte sempre più rilevante del quale sarà ricoperta da eolico e fotovoltaico, i quali potrebbero veder aumentare la propria produttività dalle 6 alle 11 volte entro il 2040.

Un aumento considerevole delle fonti rinnovabili aleatorie comporta una serie di complicazioni per la gestione del sistema elettrico [4] soprattutto dal punto di vista della regolazione della frequenza, compito tipicamente affidato ai generatori termici. Le previsioni sui possibili scenari [5] indicano che accanto all’aumento della penetrazione delle rinnovabili si osserverà anche un forte incremento dei sistemi di accumulo, che potrebbero attenuare queste problematiche aggiungendo alla rete carichi controllati di elevata potenza, e in alcuni

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10 casi capaci anche di effettuare servizi di rete. Oltre all’andamento della potenza installata nei diversi scenari Cole et al. [5] hanno analizzato anche i trend dei prezzi di mercato dell’energia elettrica, osservando che in ogni scenario in cui si presenta un’elevata penetrazione di rinnovabili le ore con prezzi all’ingrosso nulli o negativi aumentano sensibilmente.

Il basso costo dell’energia può essere un incentivo alla diffusione di carichi controllati come i sistemi di elettrolisi dell’acqua, che siano intesi come sistemi di accumulo di energia o come alternativa ai processi industriali di produzione di idrogeno e ossigeno basati rispettivamente su idrocarburi e ASU.

1.3 Produzione dell’idrogeno

La produzione mondiale di idrogeno si attesta intorno alle 45-50 milioni di tonnellate annue [6], la maggior parte delle quali deriva da una fonte fossile (96%) e la restante parte viene prodotta a partire dall’elettrolisi dell’acqua (4%).

Figura 5 Stima della produzione mondiale di idrogeno (2008) in milioni di tonnellate [6]

Le tecnologie più utilizzate sono il reforming e cracking termico di metano e idrocarburi leggeri, l’ossidazione parziale e la gassificazione del carbone o delle componenti pesanti degli idrocarburi.

I processi di reforming sono ben consolidati e convenienti, e sono i più utilizzati dalle industrie chimiche e petrolchimiche. Lo steam reforming catalitico consiste in una reazione fortemente endotermica che avviene ad elevata temperatura e pressione tra vapore d’acqua ed un idrocarburo (metano, metanolo o altri idrocarburi leggeri) in presenza di un catalizzatore: l’efficienza si attesta generalmente tra il 65% ed il 70%, e le temperature vanno dai 600K ai 1500K (temperature più alte corrispondono al reforming di idrocarburi in cui sono presenti legami C-C). L’ossidazione parziale degli idrocarburi è una reazione esotermica che risulta da una combustione parziale (con una quantità substechiometrica di ossigeno) di un combustibile contenente idrogeno: non richiede la presenza di vapore ma solo di un flusso ossidante

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11 (solitamente aria), ma la produzione di monossido di carbonio rende questo processo meno conveniente quando sia necessario ottenere idrogeno con elevata purezza. Infine il reforming auto-termico (ATR) consiste in una combinazione dei due processi descritti, in cui il calore necessario per lo steam reforming viene fornito dall’ossidazione parziale: presenta numerosi vantaggi tra cui un migliore sfruttamento del calore, temperature operative più basse e una fase di avviamento più rapida.

La gassificazione del carbone e degli idrocarburi pesanti è concettualmente simile all’ossidazione parziale degli idrocarburi più leggeri: ad una prima ossidazione parziale con produzione di syngas a temperature di 1200K-1700K, segue la reazione di spostamento del gas d’acqua (water-gas shift reaction) nella quale il monossido di carbonio si combina col vapore per dare CO2 e H2. Il gas così prodotto può contenere anche acqua, metano e tracce di

HCN, HCl e H2S, e può essere utilizzato direttamente per la produzione di energia elettrica,

oppure può essere purificato per separare l’idrogeno da utilizzare ad esempio per l’idrocracking del petrolio o per la produzione di ammoniaca.

La produzione di idrogeno per mezzo dell’elettrolisi (trattata approfonditamente nel capitolo 2) non richiede la presenza diretta di un combustibile fossile ma necessita solo di acqua ed elettricità, e nel caso in cui questa provenga da una fonte di energia rinnovabile l’impatto ambientale del processo dal punto di vista delle emissioni di CO2 si abbassa notevolmente (si

veda la figura 6).

Il costo unitario per la produzione viene riportato nella tabella di figura 7, mentre il grafico di figura 6 riporta un confronto fra le diverse tecnologie in termini di costi unitari e di CO2

prodotta .

Figura 6 Costo ed emissioni di CO2 per kWh di H2 per la produzione di idrogeno da alcune sorgenti rinnovabili e non rinnovabili [6]

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Figura 7 Stima dei costi di produzione dell'idrogeno per diverse tecnologie [6]

1.4 Sistemi di accumulo

Come accennato l’elettrolisi dell’acqua può essere inserita all’interno di un sistema più ampio finalizzato ad un accumulo energetico. Con lo stesso scopo o con finalità di servizio alla rete sono disponibili numerosi altri sistemi di accumulo inseribili sulla rete elettrica [7] che possono essere suddivisi in base alla forma sotto la quale viene stoccata l’energia:

accumuli meccanici; accumuli termici; accumuli elettrici; accumuli elettrochimici; accumuli chimici.

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Figura 8 Classificazione dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica [4]

I più comuni sistemi di accumulo meccanico sono l’idroelettrico da pompaggio (Pumped Hydro Storage – PHS), aria compressa (Compressed Air Energy Storage – CAES) e organi rotanti (Flywheel Energy Storage – FES).

I sistemi PHS, utilizzati sin dal 1890, costituiscono la quasi totalità (il 99%) della capacità di accumulo a livello mondiale. Sono composti da un bacino inferiore, un bacino superiore, una condotta che li collega ed una pompa-turbina (può trattarsi di un’unica macchina reversibile o di due macchine distinte): durante la fase di accumulo l’acqua viene pompata dal bacino inferiore a quello superiore, accumulando energia potenziale, mentre in fase di produzione viene inviata alla turbina come in un comune impianto idroelettrico. Hanno una durata di scarica del bacino che tipicamente varia da qualche ora a pochi giorni, e rendimenti di ciclo compresi tra il 70% e l’85%. Tra i vantaggi vi sono la lunga durata di vita dell’impianto, la bassa manutenzione e la tecnologia consolidata, ma il principale svantaggio è la dipendenza da un luogo adatto per la realizzazione dei bacini, oltre che l’ampio impiego di suolo.

Anche i sistemi CAES venivano utilizzati in diverse applicazioni industriali già nel XIX secolo: l’aria viene compressa e stoccata in un serbatoio artificiale o naturale (caverne, acquiferi, miniere dismesse); all’occorrenza viene poi fatta espandere in una turbina od un espansore ad aria, oppure miscelata a gas naturale e inviata in una turbina a gas collegata ad un alternatore. Nel caso in cui il calore prodotto durante la compressione dell’aria sia dissipato si parla di stoccaggio diabatico e i rendimenti di ciclo sono dell’ordine del 54% (Budt et al. [8]), mentre recuperando il calore di scarto per operare un preriscaldamento dell’aria a monte dell’espansore (stoccaggio adiabatico) si arriva a rendimenti del 70%. Esiste poi la possibilità di effettuare delle compressioni-espansioni isoterme con rendimenti teorici fino all’80%, ma la taglia degli impianti di questo tipo è limitata dalla superficie di scambio necessaria a mantenere costante la temperatura. Nonostante la relativa semplicità della configurazione impiantistica, questi sistemi hanno come principale svantaggio quello di necessitare di serbatoi di grande volume e capaci di mantenere pressioni elevate, che per gli impianti di taglia elevata si traduce nella disponibilità di un sito geologico adeguato.

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Figura 9 Sistema CAES con serbatoio naturale [4]

I sistemi FES sono composti da un volano di massa elevata, posto generalmente sottovuoto, che viene messo in rotazione da un motore elettrico. L’energia è accumulata in forma cinetica, che può essere ceduta allo stesso motore elettrico in funzionamento di alternatore. Hanno il vantaggio di essere sistemi semplici, stabili, di lunga vita media, bassa manutenzione e con alta densità di potenza; tuttavia la bassa efficienza legata all’attrito ne rende l’impiego più adatto ai servizi di qualità di potenza che non all’accumulo di energia di lunga durata.

I sistemi di accumulo termico possono essere impiegati in una vasta gamma di applicazioni industriali o residenziali, nel riscaldamento o raffrescamento di ambienti, nella produzione di acqua calda e di elettricità. In quest’ultimo ambito i sistemi più rilevanti riguardano l’accumulo di calore sensibile in serbatoi di sali fusi ad alta temperatura per CSP (Concentrated Solar PLants) o ai CAES adiabatici, mentre sistemi ad accumulo di calore latente non hanno ancora raggiunto la commercializzazione.

I cosiddetti supercondensatori, o condensatori a doppio strato (Doubl-layer Capacitors, DLC) fanno parte dei sistemi di accumulo elettrici. I loro principali vantaggi risiedono nelle ottime caratteristiche in termini di efficienza, durata di vita, assenza di manutenzione, versatilità ed elevata densità di potenza. Di contro hanno una bassa densità energetica, tempi di auto-scarica abbastanza brevi e costi elevati, per cui si prestano ad applicazioni che richiedono frequenti cicli di carica/scarica, ma non sono adatti ad accumuli energetici di lunga durata. Tra i sistemi di accumulo elettrici i magneti superconduttori (Superconducting Magnetic Energy Storage, SMES) presentano efficienze dell’85-90%, tempi di risposta immediati, alti livelli di potenza erogabile per brevi periodi. Rispetto ai superconduttori hanno la possibilità di conservare l’energia accumulata virtualmente per lunghi periodi, ma la convenienza è legata al sistema di refrigerazione, poiché per mantenere le loro caratteristiche i materiali superconduttori devono essere mantenuti a temperature intorno ai 100K. Si trovano applicati

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15 in esperimenti di fisica delle alte energie e nel controllo della qualità di potenza in industrie di precisione come la produzione di microchip.

Figura 10 Sistema FES [4]

I sistemi di accumulo elettrochimici sono costituiti dalle cosiddette batterie secondarie e dalle batterie di flusso. Esistono diversi tipi di batterie secondarie (LA, NiCd/ NiMH, Li-ion, Me-air, NaS, NaNiCl) ciascuna delle quali ha determinate caratteristiche in termini di efficienza, tempi di carica/scarica, densità potenza e di energia. Tra quelle che recentemente hanno riscosso maggior interesse da parte degli studiosi, le batterie a ioni di Litio (Li-ion) presentano efficienze di ciclo del 95-98%, elevate tensioni nominali di cella e grande versatilità in termini di velocità di scarica (da secondi a settimane), caratteristiche favorevoli in caso di applicazioni di elevata potenza; il loro impiego è già largamente diffuso nell’ambito dei dispositivi elettronici di bassa potenza, mentre per applicazioni di potenza elevata questioni come il costo e la sicurezza richiedono ulteriori sviluppi. Le batterie a metallo-aria (Me-air) sono formate da un anodo metallico e un catodo connesso ad un erogatore d’aria, e si presentano molto promettenti sul piano della densità energetica e dei costi dei materiali: in particolare quelle a Nichel-aria, ancora in fase di sviluppo, potrebbero sviluppare 1,35 kWh/kg, quelle a Litio-aria ben 11,14 kWh/kg, ma anch’esse (come le batterie Li-ion) mostrano importanti problematiche di sicurezza. Le batterie NaS e NaNiCl sono del tipo a sali fusi ed hanno pertanto temperature operative elevate (rispettivamente 300-350°C e 270°C): le prime hanno tempi di risposta rapidi, durata dei cicli di scarica dell’ordine delle 6-7 ore ed efficienze intorno al 75%, dimostrandosi adatte al servizio di peak shaving e stabilizzazione della rete, le altre grazie ad un miglior comportamento nei confronti dei guasti (l’esclusione di una singola cella non compromette il funzionamento dell’intero pacco batterie) vengono impiegate nei veicoli elettrici, e ulteriori sviluppi puntano a maggiori densità di potenza per lo stoccaggio di energia rinnovabile e il servizio di load-levelling.

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Figura 11 Batterie NaS: schema di una singola cella e modulo da 50 kW [4]

Le batterie di flusso sono dei dispositivi nei quali, analogamente a quanto avviene nelle celle a combustibile, i reagenti vengono accumulati in serbatoi esterni e pompati all’interno di una cella elettrochimica. Una delle principali differenze risiede nel percorso di reagenti e prodotti: nelle celle a combustibile i reagenti vengono inviati nella cella e i prodotti scaricati nell’ambiente o in serbatoi diversi da quelli dei reagenti, mentre nelle batterie di flusso i reagenti si trovano in una soluzione elettrolita che da un serbatoio viene fatta circolare all’interno della cella fin quando, esaurita, viene scaricata e successivamente rigenerata. Questi sistemi sono attualmente in fase di sviluppo, anche se alcune applicazioni sono state realizzate con potenze dell’ordine dei 500 kW e 10 ore di autonomia.

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17 Il cosiddetto “Power to Gas” (PtG) è un sistema di accumulo di tipo chimico, in quanto l’energia elettrica viene immagazzinata in forma di energia potenziale chimica nelle molecole di gas quali l’idrogeno e il metano. L’idrogeno attualmente viene utilizzato principalmente nelle raffinerie per l’idrocracking del petrolio e nell’industria chimica per la produzione di ammoniaca e metanolo, ma nell’ottica di un accumulo energetico può essere stoccato in serbatoi in pressione ed essere impiegato nelle celle a combustibile in applicazioni stazionarie per la produzione di potenza, dunque chiudendo il ciclo AC/AC ed agendo come sistema di accumulo di energia elettrica, oppure nei FCEVs (Fuel Cell Electric Vehicle), contribuendo alla decarbonizzazione del settore dei trasporti. Accumuli di idrogeno di tipo stagionale possono risultare problematici in termini di volumi e pressioni necessarie, a causa della bassa densità del gas, per cui laddove si prevede la necessità di effettuare uno stoccaggio di elevate quantità di energia può essere conveniente considerare la trasformazione dell’idrogeno in gas naturale di sintesi (Synthetic Natural Gas, SNG) mediante metanazione. In questo modo si aumenta la densità di energia e si ottiene la possibilità di sfruttare la rete di infrastrutture già esistente per il gas naturale sia per quanto riguarda il trasporto via metanodotti e navi gasiere, che per lo stoccaggio in giacimenti esauriti o in forma di LNG, che per l’utilizzazione da parte dell’utente finale, sia che questo faccia capo al settore residenziale, industriale, ai trasporti o alla produzione di potenza.

Rispetto ad altri sistemi di accumulo, come PHS o Li-ion, quelli chimici hanno rendimenti AC/AC più bassi a causa delle irreversibilità termodinamiche dei processi che li caratterizzano, ma di contro offrono la possibilità di effettuare accumuli di lunga durata che altri sistemi di accumulo non arrivano a coprire, come mostra il grafico sottostante.

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1.4.1 Power to Gas

Come accennato nei paragrafi precedenti la produzione di SNG secondo il concetto del PtG può svolgere diversi compiti all’interno del sistema energetico [9]: assorbire l’esubero di energia elettrica presente in rete, bilancianre le reti elettriche e del gas, costituire un sistema di accumulo di elevata energia e potenza, ed infine utilizzando CO2 da sistemi di CCU (Carbon Capture and Utilization) e fonti di energia rinnovabili contribuire alla decarbonizzazione del settore gas [10]. Del processo di produzione del SNG fanno parte infatti una catena di sotto processi che globalmente richiedono energia, acqua e anidride carbonica.

Figura 14 Esempio di catena di processo del Power to Gas [14]

1.4.1.1 Elettrolisi

Il primo di questi è l’elettrolisi: si tratta di un processo di scissione dell’acqua (che può trovarsi in forma liquida o di vapore) mediante il quale applicando una determinata differenza di potenziale ad una cella elettrolitica si ottengono come prodotti idrogeno e ossigeno gassosi, secondo la seguente reazione globale (eq. 1.1):

𝐻2𝑂 + 𝑒𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 ↔ 𝐻2+ 1

2𝑂2 (1.1)

I diversi tipi di celle elettrolitiche e le singole reazioni che avvengono al catodo e all’anodo verranno descritte nel dettaglio nel capitolo successivo. A prescindere dalle differenze tecnologiche, l’energia totale necessaria alla dissociazione dell’acqua (alla temperatura e pressione di interesse è data dalla relazione di Gibbs-Helmholtz (eq. 1.2) [11]

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19 Alle temperature e pressioni di interesse tecnologico è una reazione endoergonica, dunque deve essere fornita energia, di cui una parte (ΔG) in forma elettrica ed una parte (TΔS) in forma termica.

In questo modo vengono prodotti idrogeno e ossigeno gassosi: l’idrogeno viene utilizzato in una fase successiva della catena mentre l’ossigeno, che in questo caso costituisce un sottoprodotto, solitamente viene rilasciato in atmosfera. Esiste invece la possibilità di valorizzarlo dal punto di vista energetico implementandone l’utilizzo in processi di gassificazione della biomassa o di ossicombustione in impianti termoelettrici, oppure dal punto di vista economico avendo l’ossigeno un proprio mercato sia in settori industriali come la produzione del vetro e dell’acciaio, sia nel settore medico.

1.4.1.2 Stoccaggio di idrogeno e ossigeno

Una volta prodotti l’idrogeno e l’ossigeno devono essere stoccati per un uso successivo, che può avvenire in una cella a combustibile che chiuda il ciclo di accumulo producendo di nuovo energia elettrica, oppure in altre fasi della catena del PtG. Lo stoccaggio può avvenire in forma liquida od in pressione: l’ossigeno condensa a pressione ambiente a circa 90 K e può essere agevolmente trasportato mediante camion cisterne qualora non sia utilizzato in loco, l’idrogeno condensa ad una temperatura molto più bassa, intorno ai 22 K, il che ne rende più dispendioso energeticamente il mantenimento in forma liquida per lunghi periodi. Nel caso in cui lo stoccaggio serva solo da cuscinetto per una fase di trasformazione successiva oppure l’accumulo sia di taglia medio-piccola un’alternativa alla liquefazione è la conservazione in contenitori pressurizzati, per la quale esistono bombole in materiale composito in grado di sopportare fino a 700 bar [12].

1.4.1.3. Metanazione

Il passaggio successivo nella catena del PtG è costituito dalla metanazione, durante la quale mediante una reazione esotermica si producono acqua e metano partendo da idrogeno ed un ossido di carbonio. Si distinguono due tipi di metanazione a seconda che si parta da monossido o diossido di carbonio: nel primo caso in condizioni standard vengono liberati 206 kJ/mol di energia[13], secondo la seguente reazione globale:

𝐶𝑂 + 3𝐻2 ↔ 𝐶𝐻4+ 𝐻2𝑂 (𝑔) (1.3)

Durante la metanazione del CO2 avvengono contemporaneamente le reazioni indicate con l’eq 1.3 e la reazione inversa di spostamento del gas d’acqua, o reverse water-gas shift reaction (eq 1.4) che è una reazione endotermica, per cui la reazione globale riportata nell’eq. 1.5 libera in condizioni standard un’energia pari a 164 kJ/mol.

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20 𝐶𝑂2+ 𝐻2 ↔ 𝐶𝑂 + 𝐻2𝑂(𝑔) (1.4) 𝐶𝑂2+ 4𝐻2 ↔ 𝐶𝐻4+ 2𝐻2𝑂(𝑔) (1.5)

La metanazione può avvenire in reattori biologici oppure catalitici [14]. La metanazione biologica ha luogo negli impianti di produzione di biogas, promossa da microrganismi che ricavano energia dalla metabolizzazione anaerobica di H2 e CO2 prodotti dalla decomposizione della materia organica. I batteri responsabili di questi processi (mesofili e termofili) lavorano a pressione atmosferica e temperature comprese tra 20 e 70°C in reattori del tipo a miscelazione totale.

Di maggiore interesse per l’applicazione nel PtG è invece la metanazione catalitica: esistono numerosi esempi di impianti commerciali [13] composti da due o più reattori adiabatici a letto fisso con refrigerazioni intermedie, alcuni dei quali includono anche dei ricircoli di gas o iniezioni di vapore per migliorare il controllo della temperatura. La ricerca in questo settore è infatti incentrata principalmente sul miglioramento del controllo della temperatura, cruciale per il mantenimento dell’efficienza dei catalizzatori, sulla riduzione dei costi e sulla flessibilità del processo. Reattori che adottano soluzioni diverse per il controllo della temperatura sono stati sviluppati e condotti in esperimenti pilota, ma non hanno ancora avuto un’applicazione di scala commerciale. Tra questi è opportuno citare:

▪ reattori isotermi a letto fisso, costituiscono un’evoluzione di quelli adiabatici e contengono un complesso sistema di scambio di calore interno e ricircolo dei gas; ▪ reattori a letto fluido, grazie al più efficiente contatto tra gas e catalizzatore e al più

semplice controllo della temperatura consentono di utilizzare un solo reattore in luogo di più reattori in serie, ma gli elevati stress meccanici conducono ad una minore durata di vita del reattore e un consistente consumo del catalizzatore;

▪ reattori trifase: il catalizzatore è sospeso in un liquido inerte, la cui elevata capacità termica rende molto efficiente il controllo della temperatura anche nel caso di variazioni di carico, ma la presenza dell’interfaccia liquido-gas aggiunge una resistenza allo scambio di massa.

La temperatura a cui avviene il processo di metanazione può variare tra i 200°C e i 700°C: dal punto di vista termodinamico temperature basse favoriscono la conversione degli ossidi di carbonio ma penalizzano la reazione dal punto di vista della cinetica, vice versa temperature alte corrispondono a una maggiore velocità di reazione ma spostano l’equilibrio verso i reagenti. Anche la natura del catalizzatore influenza la scelta della temperatura di metanazione: tra i vari elementi disponibili (i metalli compresi tra i gruppi 8 e 10 della tavola periodica) il Nichel presenta una buona combinazione di caratteristiche in termini di costo, attività e selettività verso il metano. Temperature inferiori ai 250°C vengono solitamente evitate in quanto potrebbero portare alla formazione di nichel carbonile, con la conseguente disattivazione del catalizzatore; allo stesso modo temperature superiori ai 500-600°C vengono ugualmente evitate in quanto si osserva uno sporcamento della superficie a causa di depositi carboniosi e una tendenza alla sinterizzazione del catalizzatore con conseguente degradazione termica. Un altro fattore che può inficiare l’efficienza del catalizzatore è la presenza nei gas di

(22)

21 componenti capaci di avvelenare il catalizzatore, i più pericolosi dei quali sono ad esempio H2S, N2 e NH3.

Il processo di metanazione degli ossidi di carbonio è influenzato anche dalla pressione: dal momento che i prodotti presentano una contrazione in termini di moli (e dunque di volume) rispetto ai reagenti, ad un incremento di pressione corrisponde un aumento del tasso di conversione. Il grafico seguente mostra gli effetti di temperatura e pressione sulla concentrazione volumetrica dei gas [13].

Figura 15 Influenza di pressione e temperatura sulla concentrazione volumetrica dei gas prodotti nella metanazione [13]

1.4.1.4 Sorgente di CO2

Come esposto nei paragrafi precedenti il PtG ha bisogno di una fonte di carbonio in forma di CO o CO2. La CO2 può essere catturata da grandi emettitori come centrali termoelettriche, raffinerie, industrie per la produzione di cemento, ferro, acciaio ed ammoniaca, sorgenti di entità minori possono essere impianti di produzione di biogas, gassificazione di biomassa o l’atmosfera stessa (fig.).

(23)

22 La convenienza nella scelta di una sorgente piuttosto che di un’altra risiede nel costo specifico di cattura, nella quantità di CO2 emessa per unità di massa catturata, e nella qualità del gas ottenuto, infatti come accennato in precedenza la presenza di impurità nei gas in ingresso al metanatore può causare la disattivazione del catalizzatore.

Il costo specifico della cattura della CO2 dipende dalla tecnologia di separazione utilizzata (assorbimento, adsorbimento, separazione criogenica o per mezzo di membrane) e dalla composizione dei gas. Può essere espresso in €/t CO2 o in termini di penalizzazione dell’efficienza del processo produttivo.

Figura 17 Composizione percentuale ammessa per il flusso gas in ingresso alla metanazione [16]

Gli impianti di produzione di biogas sono sorgenti spesso prese in considerazione in quanto per la loro taglia si prestano a più soluzioni impiantistiche in combinazione al PtG. Infatti il biogas contiene metano per il 50-70% e CO2 per il restante 30-50%, pertanto può essere mandato direttamente nell’impianto di metanazione (dopo la rimozione delle impurità), oppure questo può utilizzare la CO2 risultante dall’upgrading del biogas [14]. Inoltre l’utilizzo del biogas può essere favorevole sia per il basso costo del trattamento di pulizia del gas, sia perché permette di utilizzare nel digestore il calore prodotto dalla metanazione [16].

Anche gli impianti di gassificazione della biomassa possono combinati con profitto al PtG consentendo un maggiore sfruttamento del carbonio ed un incremento generale dell’efficienza del processo, poiché l’O2 prodotto dall’elettrolisi potrebbe essere consumato in loco direttamente per la gassificazione della biomassa, ed inoltre l’utilizzo di una parte dell’H2 eviterebbe la reazione di spostamento del gas d’acqua [12,14].

Per l’estrazione della CO2 atmosferica, a causa della sua bassa concentrazione (circa 0,04% vol) l’assorbimento chimico risulta la tecnologia più adatta, tuttavia il costo specifico elevato (150-320 €/t) non lo rende competitivo rispetto alle altre sorgenti. Nella seguente tabella sono riportati i costi unitari per alcune di esse [16].

(24)

23

Figura 18 Costo di cattura della CO2 da alcuni processi industriali [16]

Come visto il PtG si presta a svariate configurazioni impiantistiche e a diverse soluzioni per lo sfruttamento dei flussi di massa ed energia, pertanto l’efficienza globale può avere ampi margini di variabilità. Una possibile configurazione analizzata da Gotz et al. [14] che prende in considerazione tecnologie attualmente disponibili (elettrolisi alcalina e metanazione catalitica) potrebbe avere un’efficienza globale intorno al 55% anche senza considerare i possibili recuperi di calore, ma studi più approfonditi sono necessari in questa direzione.

(25)

24

2 Elettrolisi dell’acqua

2.1 Termodinamica

L’elettrolisi dell’acqua è il processo mediante il quale l’acqua (in forma liquida o di vapore) viene dissociata in idrogeno ed ossigeno secondo la reazione (eq. 2.1):

𝐻2𝑂 ↔ 𝐻2+1

2𝑂2 (2.1)

Tale reazione avviene solitamente in condizioni isotermobariche, ovvero a pressione e temperatura costanti, in una cella elettrolitica nella quale viene applicata una differenza di potenziale tra due elettrodi, anodo e catodo, e fornita una parte di energia in forma di calore al fine di mantenere costante la temperatura. In corrispondenza dei due elettrodi avvengono delle semireazioni, dette rispettivamente HER e OER (Hydrogen evolution reaction e Oxygen evolution reaction) che possono differire a seconda del tipo di cella (si veda i paragrafi 2.4, 2.5 e 2.6)

In accordo col primo e secondo principio della termodinamica la minima quantità di energia necessaria alla dissociazione dell’acqua, che in condizioni reversibili equivale all’opposto dell’entalpia di formazione dell’acqua ad una data pressione e temperatura, è determinata dall’equazione di Gibbs-Helmoltz (eq. 2.2):

Δℎ(𝑇, 𝑝) = Δ𝑔(𝑇, 𝑝) + 𝑇 Δ𝑠(𝑇, 𝑝) (2.2)

In condizioni standard (T=298K, p=1bar) le variazioni di entalpia (eq 2.3), entropia (eq 2.4) ed energia libera di Gibbs (eq 2.5) per la reazione di dissociazione dell’acqua liquida sono le seguenti:

∆ℎ°(𝐻2𝑂 (𝑙)) = 285,84 𝑘𝐽/𝑚𝑜𝑙 (2.3) ∆𝑠°(𝐻2𝑂 (𝑙)) = 163,15 J/mol K (2.4) ∆g°(H2𝑂 (𝑙)) = ∆h°(H2𝑂 (𝑙)) − T ∆s°(H2𝑂 (𝑙)) = 237,22 𝑘𝐽/𝑚𝑜𝑙 (2.5)

oppure, nel caso in cui sia fornito vapore a 373K e 1bar:

(26)

25 ∆𝑠(𝐻2𝑂𝑣𝑎𝑝) = 44,10 J/mol K (2.7) ∆g(H2𝑂𝑣𝑎𝑝) = 228,66 𝑘𝐽/𝑚𝑜𝑙 (2.8)

La variazione di energia libera di Gibbs indica se la reazione avviene spontaneamente o meno: Δg negativi corrispondono a reazioni spontanee, Δg positivi a reazioni non spontanee. Nelle condizioni di interesse tecnologico l’elettrolisi dell’acqua è sempre endoergonica (Δg diventa negativo per temperature superiori ai 2700°C) ovvero necessita di una fonte di energia esterna affinché la reazione avvenga.

2.1.1 Dipendenza da temperatura e pressione

Nel grafico di figura 20 è riportato l’andamento di entalpia, entropia ed energia libera di Gibbs per una pressione di 1 bar e temperature in un range tra 0 e 1000°C. Come si nota l’entalpia di reazione, ovvero la quantità di energia totale che deve essere fornita, varia molto debolmente con la temperatura (l’unica discontinuità è in corrispondenza del punto di vaporizzazione dell’acqua) e può essere in prima approssimazione considerata costante. All’aumentare della temperatura aumenta la domanda di calore (T Δs) e diminuisce più o meno della stessa entità quella di energia elettrica, corrispondente alla variazione di energia libera di Gibbs. Poiché il kWth solitamente è meno costoso del kWel, l’elettrolisi ad alta

temperatura può essere considerata vantaggiosa dal punto di vista economico oppure dal punto di vista energetico, quando fosse disponibile un adeguato flusso di calore di scarto da altri processi. Tuttavia la tecnologia per effettuare l’elettrolisi in queste condizioni non è ancora matura (si veda il cap. 2.6).

(27)

26 Gli effetti di pressione e temperatura sulle funzioni di stato di interesse possono essere quantificati in prima approssimazione utilizzando le equazioni di stato dei gas perfetti ed ipotizzando che siano prodotti gas secchi ed ideali. In tal caso valgono le equazioni 2.9-2.11 [17]: ∆ℎ(𝑇, 𝑝) = ∑ 𝑥𝑖(∆ℎ𝑖(𝑇0) + ∫ 𝑐𝑝,𝑖(𝜏) 𝑑𝜏 𝑇 𝑇0 ) 𝑖 (2.9) ∆𝑠(𝑇, 𝑝) = ∑ 𝑥𝑖(∆𝑠𝑖(𝑇0) + ∫ 𝑐𝑝,𝑖(𝜏) 𝜏 𝑑𝜏 𝑇 𝑇0 − 𝑅 ln 𝑎𝑖) 𝑖 (2.10) ∆𝑔(𝑇, 𝑝) = ∆ℎ(𝑇, 𝑝) − 𝑇 ∆𝑠(𝑇, 𝑝) (2.11)

Dove si è indicato con a l’attività delle specie, e vale 𝑎𝑖 = 𝑝𝑖/𝑝0 per 𝑖 = 𝐻2, 𝑂2 e 𝑎𝐻2𝑂 = 1,

mentre h ed s sono l’entalpia e l’entropia specifica dei componenti in funzione di temperatura, pressione e frazione molare 𝑥𝑖. Considerando che per ogni mole di acqua consumata vengono

prodotte 1mol di H2 e 0,5mol di O2, riarrangiando le equazioni 2.9-2.11 si ottengono le

relazioni 2.12-2.13 per il lavoro reversibile ed il calore per unità di mole di H2 prodotta:

𝑤𝐻𝑟𝑒𝑣2 = ∆𝑔(𝑇, 𝑝) = ∆𝑔(𝑇, 𝑝0) + 𝑅𝑇 𝑙𝑛 [(𝑝𝐴 𝑝0) 0,5 (𝑝𝐶 𝑝0)] (2.12) 𝑞𝐻𝑟𝑒𝑣2 = 𝑇∆𝑠(𝑇, 𝑝) = 𝑇∆𝑠(𝑇, 𝑝0) − 𝑅𝑇 𝑙𝑛 [( 𝑝𝐴 𝑝0) 0,5 (𝑝𝐶 𝑝0)] (2.13)

in cui sono stati indicati con p0 la pressione atmosferica, pA la pressione anodica e pC la

pressione catodica, wH2rev e qH2rev sono da interpretarsi come il minimo lavoro e la minima

quantità di calore da fornire alla reazione in condizioni reversibili (ovvero con una densità di corrente tendente a zero). I due lati dell’elettrolizzatore possono essere mantenuti alla stessa pressione, nel qual caso si parla di elettrolisi simmetrica o bilanciata, oppure a pressioni diverse, e allora si parla di elettrolisi asimmetrica o non bilanciata. L’opportunità di operare con pressioni diverse può derivare dalla necessità di ottenere i gas a pressioni determinate per un loro successivo utilizzo o da questioni di carattere energetico (si veda il paragrafo 2.1.3).

2.1.2 Non idealità dei gas prodotti

Nella realtà i gas fuoriescono dalla cella elettrolitica saturi di vapore, quindi l’ipotesi della produzione di gas ideali e secchi non può essere accettata e le equazioni 2.12-2.13 devono essere modificate rispettivamente nelle 2.14-2.15 per tener conto della presenza del vapore:

(28)

27 𝑤𝐻𝑟𝑒𝑣2 = ∆𝑔(𝑇, 𝑝0) + 𝑅𝑇 𝑙𝑛 [(𝑝 𝐴−𝑝 𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 (𝑇) 𝑝0 ) 0,5 (𝑝 𝐶−𝑝 𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 𝑝0 )] (2.14) 𝑞𝐻𝑟𝑒𝑣2 = 𝑇∆𝑠(𝑇, 𝑝0) − 𝑅𝑇 𝑙𝑛 [( 𝑝𝐴− 𝑝𝐻𝑠𝑎𝑡2𝑂(𝑇) 𝑝0 ) 0,5 (𝑝 𝐶− 𝑝 𝐻2𝑂 𝑠𝑎𝑡 𝑝0 )] + (1 2 𝑝𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 (𝑇) 𝑝𝐴 1−𝑝𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 (𝑇) 𝑝𝐴 + 𝑝𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 (𝑇) 𝑝𝐶 1−𝑝𝐻2𝑂𝑠𝑎𝑡 (𝑇) 𝑝𝐶 ) (ℎ𝐻𝑉2𝑂(𝑇) − ℎ𝐻2𝑂 𝐿 (𝑇)) (2.15)

ovvero bisogna considerare la pressione parziale di O2 e H2 in luogo della pressione totale che

vige ai due elettrodi ed aggiungere al calore richiesto dalla reazione quello di vaporizzazione dell’acqua. I grafici di figura 21 e 22 riportano l’andamento del lavoro reversibile e del calore reversibile nel caso ideale e reale.

(29)

28

Figura 22 Calore specifico reversibile di dissociazione dell'acqua (60°C, p) in caso di gas ideali e reali [11]

Come si nota all’aumentare della pressione le curve relative ai gas ideali secchi ed umidi tendono a combaciare, poiché diviene sempre più trascurabile l’effetto della pressione di saturazione dell’acqua sulla pressione totale; invece, come è lecito aspettarsi, aumentano le differenze tra gas umidi ideali e gas reali: ipotizzando un comportamento ideale a 100 bar e 60°C la domanda di energia elettrica viene sottostimata dell’1,3% e quella di calore sovrastimata del 9,7%.

2.1.3 Produzione di idrogeno in pressione: confronto fra diverse configurazioni

Come si evince dal grafico di figura 21 il lavoro elettrico aumenta all’aumentare della pressione operativa. Dunque operare l’elettrolisi a una pressione superiore a quella atmosferica può essere conveniente solo quando sia prevista l’utilizzazione in forma compressa dei gas prodotti, come ad esempio avviene per lo stoccaggio degli stessi in serbatoi pressurizzati, l’immissione in gasdotti, la liquefazione oppure la metanazione ad alta pressione. A questo proposito Bensmann et al. [18] hanno analizzato tre diverse configurazioni per confrontarne i consumi di energia elettrica nel caso in cui dovesse essere fornito idrogeno alla pressione di 30bar, utilizzando un elettrolizzatore di tipo PEM operato ad una densità di corrente di 1A/cm2

e alla temperatura di 60°C. Le tre diverse configurazioni riguardano:

1. Elettrolisi effettuata a pressione atmosferica e successiva compressione dell’idrogeno fino alla pressione di mandata;

2. Elettrolisi bilanciata in cui l’acqua di alimento viene pompata alla pressione di mandata dei gas;

(30)

29 3. Elettrolisi non bilanciata, in cui l’acqua viene immessa all’anodo a pressione atmosferica e la parte relativa al catodo viene mantenuta alla pressione di mandata dell’idrogeno.

I dati ottenuti dagli autori sono riportati nella tabella di figura 23 in cui emerge che la migliore configurazione in termini di spesa energetica è quella asimmetrica, seguita dall’elettrolisi a pressione atmosferica e da quella bilanciata che è risultata essere quella più svantaggiosa, pur essendo le differenze poco marcate.

Figura 23 Confronto fra tre diverse configurazioni impiantistiche per fornire idrogeno a 30bar e 333K [18]

In uno studio analogo Todd et al. [19] analizzando l’andamento del lavoro elettrico e dell’energia totale da 298 a 1000K e da 1 a 1000 bar hanno ottenuto risultati opposti, osservando consumi inferiori anche in modo significativo operando l’elettrolisi ad elevata pressione.

Dunque la convenienza nell’utilizzare pressioni elevate non è scontata e dipende molto dalla configurazione impiantistica utilizzata, dalle pressioni in gioco e dalla necessità di ottenere solo idrogeno compresso, come nel caso analizzato da Bensmann et al. [18], oppure di dover comprimere anche l’ossigeno come avveniva nello studio di Todd et al. [19], per cui ogni caso studio deve essere analizzato tenendo conto di diversi fattori.

2.2. Elettrochimica

Il potenziale di riduzione da applicare ad una cella elettrolitica per poter dissociare l’acqua può essere messo in relazione all’energia libera di Gibbs di reazione secondo l’eq 2.16:

(31)

30 in cui

▪ n=2 mole/molH2O è il numero di moli di elettroni coinvolti nella reazione (2.1) per

ciascuna mole di acqua dissociata;

▪ F=96.485 C/mol è la costante di Faraday, ovvero la quantità di carica contenuta in una mole di elettroni

▪ Erev è il cosiddetto potenziale reversibile di cella.

Manipolando la (2.16) si ottiene:

𝐸𝑟𝑒𝑣(𝑇, 𝑝) = ∆𝐺(𝑇, 𝑝) 𝑛𝐹⁄ (2.17)

Applicando alla cella elettrolitica un potenziale E<Erev non è possibile ottenere la dissociazione

dell’acqua; in condizioni reversibili quando E=Erev l’elettrolisi può essere effettuata fornendo

parallelamente la quantità di calore definita dalla (2.15) per mantenere l’isotermia della reazione.

E’ poi possibile definire un altro potenziale di interesse pratico e molto utilizzato in letteratura, denominato potenziale di cella termoneutrale, in corrispondenza del quale tutta l’energia viene fornita in forma elettrica e non è quindi necessaria una sorgente di calore esterna. Tale potenziale, indicato da Etn, può essere ricavato dalla eq. 2.18:

𝐸𝑡𝑛(𝑇, 𝑝) = ∆𝐻(𝑇, 𝑝)/𝑛𝐹 (2.18)

Applicando potenziali Erev <E < Etn sarà ancora necessario fornire una parte di calore

dall’esterno, per E= Etn la produzione di calore interna alla cella eguaglia quella richiesta dalla

reazione, infine per E> Etn bisognerà asportare calore dalla cella elettrolitica.

In condizioni di pressione e temperatura standard, facendo seguito ai valori riportati rispettivamente nelle eq. 2.5 ed eq. 2.3 il potenziale reversibile e quello termoneutrale valgono:

𝐸°𝑟𝑒𝑣 = ∆𝐺°/𝑛𝐹 = 1,229 𝑉 (2.19)

𝐸°𝑡𝑛 = ∆𝐻°/𝑛𝐹 = 1,481 𝑉 (2.20)

Per quanto riguarda la dipendenza del potenziale da temperatura e pressione vale ovviamente quanto detto per l’energia libera di Gibbs e per l’entalpia di reazione al paragrafo 2.1.1: temperature crescenti causano una diminuzione del potenziale di cella reversibile, pressioni crescenti invece ne causano un aumento, come emerge dai grafici di figura 24 e 25.

(32)

31

Figura 24 Andamento della tensione di cella in funzione della pressione per una cella PEM [6]

Figura 25 Andamento della tensione di cella in funzione della temperatura per una cella PEM [20]

2.2.1. Perdite e sovratensioni

Quanto detto è valido in condizioni ideali e reversibili, che corrispondono ad una densità di corrente infinitamente piccola. Nella pratica non è possibile operare una cella elettrolitica in queste condizioni in quanto per avere una produzione di idrogeno significativa occorrerebbero grandi superfici e quindi costi capitali insostenibili. Infatti la produzione dell’idrogeno è legata alla corrente (o alla densità di corrente) dalla legge di Faraday (eq. 2.21):

(33)

32 𝑛̇𝐻2 = 𝜂𝐹𝑎𝑟𝐼/ 2𝐹 (2.21)

dove 𝑛̇𝐻2 è il flusso molare di idrogeno prodotto, 𝐼 la corrente (prodotto della densità di

corrente i per la superficie della cella 𝐼 = 𝑖 𝐴), 𝜂𝐹𝑎𝑟 l’efficienza di Faraday, la quale corrisponde

al rapporto tra la produzione effettiva di idrogeno e quella teorica, e può essere determinata tramite l’equazione 2.22:

𝜂𝐹𝑎𝑟 = 𝑖2

𝑓1+𝑖2 𝑓2 (2.22)

dove f1 ed f2 sono due costanti. L’efficienza di Faraday è detta anche “efficienza di corrente”, dato che le principali cause di inefficienza da questo punto di vista sono le correnti parassite (la cui influenza diminuisce all’aumentare della densità di corrente [23]), e in misura minore la presenza di reazioni parassite e la ricombinazione tra idrogeno ed ossigeno, dovuta ad una non perfetta impermeabilità della membrana che separa gli elettrodi.

In condizioni di funzionamento reale (𝑖 ≠ 0) sono presenti delle irreversibilità [9] che comportano sovratensioni rispetto al potenziale reversibile calcolato con l’eq. 2.17. I principali effetti sono dovuti a:

▪ sovratensione di attivazione anodica e catodica. ▪ perdite ohmiche;

▪ sovratensione di diffusione.

La sovratensione di attivazione è dovuta alla cinetica elettrochimica delle semireazioni [22] che avvengono sulla superficie degli elettrodi ed ha a che fare con la resistenza al passaggio di carica tra ioni ed elettrodi. L’entità della barriera energetica che deve essere superata affinché avvenga il passaggio di elettroni dipende fortemente dalle capacità catalitiche degli elettrodi, ma è anche funzione della densità di corrente di scambio (ovvero la densità di corrente che scorre all’equilibrio tra i due elettrodi) e della temperatura. Può essere espressa dall’equazione di Butler-Volmer (eq. 2.23) valida per reazioni di ossido-riduzione in celle elettrochimiche [21]: 𝑖 = 𝑖0[𝑒𝑥𝑝 (𝛼𝑎 𝑅𝑇𝑛𝐹𝐸𝑎𝑐𝑡 𝑎 ) − 𝑒𝑥𝑝 (−𝛼𝑐 𝑅𝑇𝑛𝐹𝐸𝑎𝑐𝑡 𝑐 )] (2.23)

dove con 𝑖0 si è indicata la densità di corrente di scambio, 𝛼𝑎/𝑐 sono i coefficienti di

(34)

33 corrente di scambio dipende molto dalla natura degli elettrodi (materiale, forma, finitura superficiale) per questo solitamente viene considerato come parametro di fitting. Per densità di correnti sufficientemente elevate l’eq. 2.23 può essere approssimata dalla legge di Tafael (eq. 2.24):

𝐸𝑎𝑐𝑡𝑎/𝑐 = 𝑅𝑇

𝑛𝐹𝛼𝑎/𝑐ln (

𝑖

𝑖0) (2.24)

Le perdite ohmiche sono causate dalle resistenze elettriche dei componenti interni alla cella, ovvero elettrodi, elettrolita e membrana. Dipendono in modo circa lineare dalla densità di corrente e possono essere calcolate per mezzo della legge di ohm (eq. 2.25):

𝐸𝑜ℎ𝑚 = 𝑟 𝑖 (2.25)

in cui r è la sommatoria delle resistenze per unità di area che entrano in gioco. Possono essere ridotte diminuendo la distanza tra gli elettrodi, lo spessore della membrana o aumentando la conducibilità dell’elettrolita.

La sovratensione di diffusione è legata alla differenza di concentrazione di reagenti tra i pressi degli elettrodi (dove avvengono le reazioni) e il corpo dell’elettrolita. Solitamente quando il flusso dei reagenti è forzato l’effetto di queste sovratensioni sono trascurabili rispetto a quelle ohmiche e di attivazione.

Pertanto la tensione totale di cella sarà data in buona approssimazione dall’eq. 2.26:

𝐸 = 𝐸𝑟𝑒𝑣+ 𝐸𝑎𝑐𝑡(𝑖) + 𝐸𝑜ℎ𝑚(𝑖) (2.26)

(35)

34 In figura 26 è riportato l’andamento della curva tensione-corrente, utilizzata per la caratterizzazione delle celle, per un tipico elettrolizzatore alcalino [22].

2.3 Efficienza

L’efficienza del processo di elettrolisi viene valutata calcolando l’energia disponibile nell’idrogeno prodotto rispetto a quella consumata per la produzione dello stesso. In letteratura vengono date diverse definizioni a seconda che si faccia riferimento al potere calorifico superiore o inferiore, e che questi siano calcolati in condizioni standard oppure alla temperatura e pressione a cui avviene l’elettrolisi.

Una prima definizione [24] prende in considerazione il potere calorifico superiore standard (High Heating Value at Standard Temperature and Pressure – HHVSTP) e corrisponde al

rapporto tra il potenziale termoneutrale standard ed il potenziale di cella effettivo:

𝜂𝐻𝐻𝑉𝑆𝑇𝑃 = 𝐻𝐻𝑉𝑆𝑇𝑃 𝑛𝐹 𝐸 = 𝐸°𝑡𝑛 𝐸 = 1,481 𝑉 𝐸 (2.27) 𝜂𝐻𝐻𝑉 = 𝐻𝐻𝑉𝑇,𝑝 𝑛𝐹 𝐸 = 𝐸𝑡𝑛,𝑇 𝐸 (2.28)

Queste definizioni possono restituire valori di efficienza superiori al 100% nel caso di elettrolisi ad alta temperatura in cui parte dell’energia sia fornita in forma di calore, per cui alcuni autori preferiscono prendere come riferimento il potere calorifico inferiore, che corrisponde al potenziale reversibile di cella:

𝜂𝐿𝐻𝑉𝑆𝑇𝑃 = 𝐿𝐻𝑉𝑆𝑇𝑃 𝑛𝐹 𝐸 = 𝐸°𝑟𝑒𝑣 𝐸 = 1,229 𝑉 𝐸 (2.29) 𝜂𝐿𝐻𝑉 = 𝐿𝐻𝑉𝑇,𝑝 𝑛𝐹 𝐸 = 𝐸𝑟𝑒𝑣 (𝑇,𝑝) 𝐸 (2.30)

Quanto detto vale anche per l’efficienza di pila (stack) nel caso in cui più celle siano disposte in serie, poiché la potenza reversibile e quella reale sono banalmente ottenute dalla seguente relazione:

𝜂𝑠𝑡𝑎𝑐𝑘 =

𝑛𝑐𝑒𝑙𝑙 𝐸𝑟𝑒𝑣 𝐼

(36)

35 in cui ncell è il numero di celle disposte in serie, da cui ci si riconduce alle espressioni fornite in

precedenza.

Un’ulteriore definizione è quella di efficienza di sistema [6], in cui rispetto all’efficienza di cella e di pila si prendono in considerazione anche le perdite per correnti parassite, ricombinazione tra H2 e O2, il consumo di energia per gli ausiliari, e per la purificazione ed essiccamento dei

gas prodotti. L’andamento di un tipico rendimento di sistema rispetto a quello di cella è riportato nella seguente figura

Figura 27 Confronto tra il consumo specifico di un pacco di celle (in rosso) e del sistema (in bu) [6]

Un altro parametro molto utilizzato in letteratura per confrontare l’efficienza del processo di elettrolisi è il consumo specifico di energia, espresso per unità di massa o di volume di H2

prodotto:

𝐶𝑠 = 𝐸 𝐼

1000 𝑛̇𝐻2 (2.32)

dove il potenziale è espresso in V, la corrente in A e la portata di idrogeno prodotto in Nm3/h

o in kg/h a seconda che si desideri ottenere il consumo specifico in kWh/Nm3

H2 o in kWh/kgH2.

2.4 AEL

Gli elettrolizzatori di tipo alcalino (Alkaline Electrolysers - AEL) sono quelli di più antica concezione, risalendo le prime osservazioni dell’”aria infiammabile” alla fine del XVIII secolo, ed essendo stati sviluppati nel corso del XIX secolo. Il loro principale vantaggio consiste nell’abbondanza e nell’economicità dei materiali che li compongono: gli elettrodi sono

(37)

36 solitamente in nichel (anodo) e in ferro o acciaio nichelato (catodo) e vengono immersi in una soluzione concentrata di idrossido di potassio (KOH) o idrossido di sodio (NaOH). Un diaframma poroso semipermeabile ed elettricamente isolante ha il compito di separare fisicamente idrogeno ed ossigeno, nei confronti dei quali dimostra una permeabilità molto bassa, per evitare che si ricombinino abbassando l’efficienza del processo o che si creino miscele pericolose, consentendo dall’altro lato il passaggio degli ioni idrossile (OH-), prodotti

al catodo e consumati all’anodo. Le semireazioni che avvengono in corrispondenza dei due elettrodi sono l’ossidazione dell’acqua all’anodo (eq. 2.33) e la sua riduzione al catodo (2.34):

𝑎𝑛𝑜𝑑𝑜: 2𝑂𝐻− →1

2𝑂

2+ 𝐻

2𝑂 + 2𝑒− (2.33)

𝑐𝑎𝑡𝑜𝑑𝑜: 2𝐻2𝑂 + 2𝑒− → 𝐻2+ 2𝑂𝐻− (2.34)

Sono possibili due diverse configurazioni, celle unipolari dette “tank cells” e celle bipolari dette “filter-press cells” (figura 28): queste ultime hanno una maggiore compattezza e presentano minori perdite ohmiche rispetto alle prime a parità di idrogeno ed ossigeno prodotti, ma di contro hanno una maggiore complessità costruttiva e richiedono la circolazione forzata ed un separatore gas-elettrolita.

La diffusione di idrogeno ed ossigeno attraverso il diaframma di separazione, che non è perfettamente impermeabile, è proporzionale al gradiente di attività chimica, ovvero alla pressione e concentrazione dei gas disciolti, secondo la legge di Fick. Questo implica che le quantità assolute di idrogeno che diffonde verso l’anodo e di ossigeno che passa al catodo siano circa costanti una volta assegnate pressione e temperatura. A basse densità di corrente vengono prodotte piccole quantità di idrogeno ed ossigeno, ma rimane costante la quantità di prodotti che attraversa il diaframma, per cui al diminuire di i aumenta la percentuale di ossigeno nell’idrogeno e viceversa: i limiti di esplosività dell’idrogeno nell’ossigeno sono molto ampi (4-95%) per cui gli elettrolizzatori alcalini non possono funzionare continuativamente al di sotto di una densità di corrente minima, corrispondente ad una potenza del 10-20% di quella nominale.

Un’altra limitazione che affligge le celle alcaline compare con delle rapide variazioni di corrente: nel caso in cui la corrente aumenti velocemente si osserverebbe un rapido aumento nella produzione di gas che potrebbe spingere fuori dalla cella parte della soluzione elettrolita, con conseguente diminuzione di prestazioni e potenziali danni al sistema. Per questo motivo le celle alcaline non sono adatte ad un accoppiamento diretto con sorgenti di potenza transitorie, ma richiedono la presenza di un buffer che ne stabilizzi le condizioni operative.

(38)

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Figura 28 Celle alcaline in configurazione unipolare (sinistra) e bipolare (destra) [6]

2.4.1 Elettroliti

Come detto nelle celle alcaline vengono per lo più utilizzate soluzioni acquose di KOH e NaOH. Queste presentano buone caratteristiche in termini di conducibilità elettrica, variabili in funzione della temperatura e della concentrazione. I risultati migliori sono stati ottenuti con soluzioni di KOH intorno al 30% in peso, soluzioni che attualmente vengono utilizzate nella grande maggioranza degli elettrolizzatori alcalini commerciali.

Le perdite ohmiche dipendono dalla conducibilità e dalla distanza tra gli elettrodi, ovvero dalla quantità di elettrolita compreso tra di essi: elettrodi più vicini racchiudono una minor quantità di elettrolita e garantiscono perdite più basse, ma con un volume di elettrolita ridotto aumenta la velocità di variazione della concentrazione dei reagenti, condizione non desiderabile.

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38 La soluzione deve essere continuamente reintegrata sia per il consumo di acqua che per la perdita di elettrolita per trascinamento da parte dei gas prodotti (tipicamente 1mg/Nm3 di H

2)

e con l’evaporazione.

2.4.2 Elettrodi e catalizzatori

Gli elettrodi devono avere buone caratteristiche di resistenza alla corrosione, alta conducibilità elettrica ed elevata attività catalitica nei confronti delle reazioni di interesse. Per l’anodo si utilizzavano inizialmente acciaio inossidabile ed ossidi di piombo, materiali economici e con basse sovratensioni, ma che mostravano insufficiente stabilità in corrispondenza di alte concentrazioni di elettrolita ed elevate densità di corrente. Oggi il nichel è considerato una delle migliori soluzioni per la OER, avendo buone capacità di resistenza alla corrosione in soluzioni alcaline, una buona attività elettrochimica ed un costo ragionevole (se paragonato al platino, diretto concorrente in termini di caratteristiche). Per incrementare la superficie attiva e diminuire la sovratensione di attivazione vengono creati elettrodi di nichel o acciaio ricoperti da uno strato poroso di nichel o di una lega di nichel-ferro. Altri elementi come Cr, Al, Ga e Ca sono stati studiati in aggiunta alla lega di Ni-Fe ed hanno dimostrato buone caratteristiche catalitiche.

Al catodo vengono comunemente usati elettrodi in acciaio dolce, ma anche quelli in Ni e Ni-Fe sono piuttosto frequenti.

2.4.3 Diaframma

Il diaframma di separazione della cella è solitamente composto da un materiale poroso ed elettricamente isolante, che sia il più possibile stabile nelle condizioni standard di funzionamento della cella, che consiste in un ambiente alcalino fortemente ossidante sul lato anodico e riducente sul lato catodico. Il suo scopo principale è quello di separare i due ambienti in cui avvengono le semireazioni di evoluzione di idrogeno ed ossigeno mantenendo un’elevata purezza nei flussi di gas prodotti, evitando una ricombinazione degli stessi ed evitando altresì eventuali cortocircuiti tra i due elettrodi. Inoltre deve avere un’elevata conduttività ionica nei confronti del gruppo idrossile, in modo da consentire un agevole passaggio degli ioni dal catodo all’anodo.

I primi diaframmi commerciali erano composti da microfibre di amianto (Mg3(Si2O5)(OH)4), ma

questo materiale oltre ad essere riconosciuto come cancerogeno non risultava molto resistente alla corrosione in ambiente alcalino ad elevate temperature. Per questo motivo a partire dagli anni ’70 sono stati studiati diaframmi organici ed inorganici per sostituire l’amianto: materiali ossido-ceramici supportati su reti metalliche (YSZ, NiTiO3/NiO,

BaTiO3/ZrO2/K2TiO3) risultavano costosi, materiali organici (PSU, PPS, PEEK, PTFE) non

mostravano proprietà sufficientemente idrofile, mentre una combinazione dei due si è rivelata vantaggiosa. Membrane semipermeabili di PTFE, K2TiO3 e PSU-ZrO2 (noto col nome

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39 ad avere uno spessore significativamente minore dei diaframmi in amianto (poche centinaia di micron contro diversi millimetri), e sono attualmente molto utilizzate.

2.4.4 Altre configurazioni 2.4.4.1 Zero-gap

Le celle che utilizzano una configurazione zero-gap vengono assemblate con gli elettrodi applicati direttamente sul diaframma di separazione. Questo comporta una maggiore complessità costruttiva degli elettrodi, che devono essere magliati o porosi per permettere il passaggio degli ioni attraverso la membrana. Il vantaggio che si ottiene con questo tipo di celle è una riduzione delle perdite ohmiche in virtù della minore distanza tra gli elettrodi, senza il limite volumetrico della quantità di elettrolita compreso tra gli elettrodi delle celle con gap.

Figura 30 Schema di una cella elettrolitica con configurazione "zero-gap" [6]

2.4.4.2 Membrane anioniche

Con lo scopo di ridurre ulteriormente le resistenze interne degli elettrolizzatori è stata studiata la possibilità di utilizzare membrane non porose con un’elevata conducibilità anionica: strati di catalizzatori sono depositati su ciascun lato della membrana per formare un assemblaggio membrana-elettrodi (Membrane-Electrode Assembly - MEA) concettualmente simile a quella utilizzata negli elettrolizzatori di tipo PEM. Esistono pochi esempi di membrane anioniche giunte al livello commerciale mentre la maggior parte è ancora allo stadio di ricerca e sviluppo, in quanto la mobilità degli ioni idrossile è inferiore rispetto a quella dei protoni e le prestazioni non sono ancora comparabili a quelle delle PEM.

2.5 PEMEL

Gli elettrolizzatori di tipo PEM (Proton Exchange Membrane o Polymer Electrolyte Membrane Electrolysers) sono stati introdotti a partire dagli anni ’50 in seguito allo sviluppo delle celle a

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