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Control risk il rischio di disequilibrio e collegio dei revisori: il caso A.AM.P.S. s.p.a

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1 UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

Control risk il rischio di disequilibrio e collegio dei revisori:

il caso A.AM.P.S. s.p.a.

CANDIDATO: Paolo Buselli RELATORE: Dott. Gianpiero Renato Conti

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3 Indice :

Introduzione

PARTE PRIMA

1. Controlli interni negli enti pubblici in Italia : Excursus normativo

1.1. I controlli antecedenti la costituzione

1.2. I controlli dopo l’introduzione della costituzione 1.2.1. La Legge 142/1990 1.2.2. La Legge 241/1990 1.2.3. Il Decreto Legislativo 29/1993 1.2.4. La Legge 20/1994 1.2.5. Il Decreto Legislativo 77/1995 1.2.6. Il Decreto Legislativo 286/1999

1.2.7. Il Decreto Legislativo 267/2000 : introduzione del T.U.E.L. 1.2.8. La modifica del titolo V della Costituzione

1.2.9. Il Decreto Legislativo 174/2012 : i nuovi controlli interni 1.2.10. Il Decreto Legislativo 175/2016

2. L’organo di revisione negli Enti Locali

2.1. Nomina del collegio dei revisori o revisore unico 2.2. Cause di incompatibilità ed ineleggibilità

2.3. Durata e cessazione dell’incarico 2.4. Compenso ai revisori

3. Introduzione alle società partecipate e principi di revisione

3.1. Definizione ed evoluzione delle società partecipate 3.2. Il fallimento delle società a partecipazione pubblica 3.3. I principi di revisione riguardanti le società partecipate

4. Control risk : possibili strumenti per il controllo dei rischi delle partecipate

4.1. Analisi di bilancio 4.2. Reporting periodici

4.3. Controllo metodico, non episodico

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4 PARTE SECONDA

5. Presentazione del caso A.AM.P.S. spa

5.1. La storia di A.AM.P.S. spa 5.2. Organigramma della società 5.3. La crisi di A.AM.P.S. spa

5.3.1. La scelta del concordato preventivo

6. La crisi di A.AM.P.S. spa vista dai bilanci

6.1. Il costo del personale

6.1.1. Atto di indirizzo in materia di contenimento dei costi del personale 6.2. Fondo svalutazione crediti T.I.A.

6.3. Debiti

7. Relazioni ai bilancio del collegio sindacale A.AM.P.S. spa

8. Analisi di bilancio

8.1. Analisi di solidità 8.2. Analisi di liquidità 8.3. Analisi di redditività

8.4. Analisi del conto economico a valore aggiunto

9. Conclusioni Ringraziamenti

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5 Introduzione

In periodi come questi, caratterizzati dalla lotta agli sprechi e dalla ricerca di risorse da parte degli Enti Pubblici, risulta di vitale importanza focalizzare l'attenzione su uno dei rischi maggiori per gli equilibri economici-finanziari degli enti stessi: le società partecipate. Come evidenzia lo studio pubblicato dal Commissario Cottarelli nell'anno 2014, il numero delle società a partecipazione pubblica è aumentato notevolmente di recente e molto spesso comportano più costi rispetto ai benefici che procurano agli Enti che le costituiscono. Inoltre, la maggior parte delle volte, come evidenziano le varie tabelle prodotte nel documento, queste tipologie di aziende producono delle perdite rilevanti che influenzano gli equilibri dell'Ente Pubblico.

Questo lavoro, pertanto, ha lo scopo di osservare l'evoluzione del controllo sulle società a partecipazione pubblica, in particolare il controllo del rischio di default, delineando una visione allargata del controllo nell'ottica del control risk, attraverso lo studio pratico del caso A.AM.P.S. ( Azienda Autonoma Municipale Pubblici Servizi ), partecipata del Comune di Livorno.

La prima parte del lavoro è destinata alla presentazione di un quadro generale sull'attività del Revisore negli Enti pubblici in merito alle società partecipate, partendo dall'evoluzione dei Controlli Interni negli Enti pubblici, illustrando tutte le normative che si sono susseguite negli anni. Dopo di che viene definito l'organo di Revisione, la disciplina in merito alla composizione e al modo in cui attua la propria funzione e, infine, vengono illustrati alcuni strumenti concreti che dovrebbero essere utilizzati affinché vengano fronteggiati i rischi latenti delle partecipate.

La seconda parte è invece focalizzata sul Comune di Livorno, sulla presentazione delle società partecipate al Comune, A.AM.P.S. s.p.a. , sulle motivazioni che hanno portato alla crisi : confronto su come i revisori dell' Ente locale si sono comportati e ciò che avrebbero dovuto svolgere in base agli indirizzi delineati della Corte dei Conti e dai principi di revisione.

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6 PARTE PRIMA

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7 1. Controlli interni negli enti pubblici in Italia : Excursus normativo

1.1. Controlli antecedenti alla costituzione

Il primo riferimento ai Controlli Interni per lo Stato Italiano avviene con la Legge n. 5026 del 1869, circa otto anni dopo la nascita del Regno d'Italia, con l'istituzione della Ragioneria Generale dello Stato.

Detta riforma fu approvata dal Parlamento vista l'esigenza di una riforma amministrativa e contabile. L' Istituto di Ragioneria Generale dello Stato, rappresentato da un Direttore Generale, aveva la funzione di “alta direzione e vigilanza su tutte le operazioni contabili che

si eseguono in tutte le Amministrazioni dello Stato “ .

Successivamente, tramite la Legge n.2440 del 1923, si attribuisce al Tesoro il controllo di legittimità, il controllo contabile ed il controllo di “proficuità” della spesa.

Nel periodo antecedente all'entrata in vigore della Costituzione il controllo sugli enti locali era, pertanto, un controllo di tipo accentrato, e ciò talvolta determinava la coincidenza tra controllore e controllato.

1.2. I controlli dopo l’introduzione della costituzione

A seguito della approvazione della Costituzione furono introdotti diversi organi di controllo, fra cui ricordiamo i così detti CORECO.

I CORECO, comitato regionale di controllo, erano degli organi della Regione, previsti dalla legge 10 Febbraio 1953 n.62 , così detta legge Scelba, in attuazione dell'Art. 130 della Costituzione Italiana.

Era un organo collegiale costituito da :

 tre membri effettivi e due supplenti eletti dal consiglio regionale tra esperti in discipline amministrative iscritti nelle liste elettorali di un comune della regione;

 un membro effettivo e uno supplente nominati dal commissario del Governo;

 un membro effettivo e uno supplente designati dal presidente del tribunale amministrativo regionale tra i giudici del medesimo.

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8 Il comitato regionale di controllo , in base all'Art. 130 della Costituzione, “esercita, anche in

forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione. “

Per effetto della emanazione della Legge Costituzionale 18 Ottobre 2001, n. 3, che ha riformato il titolo V della Costituzione, è stato abrogato l'Art. 130 e, di conseguenza, le Regioni hanno deciso di sopprimere tali organi.

1.2.1. La Legge 142/1990

La Legge 8 Giugno 1990, n. 142, titolata “ Ordinamento delle autonomie locali “ ha sancito l'autonomia degli enti locali dal punto di vista statutario.

Per la prima volta perciò è riconosciuta a Comuni e Province la facoltà di dotarsi di propri Statuti, spettando ad essi stabilire le norme fondamentali per l'organizzazione dell'ente, determinando, in particolare le attribuzioni degli organi, l'ordinamento degli uffici e dei servizi, le forme di decentramento e d'accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi.

In merito al sistema di controllo interno, l'emanazione di tale legge ha portato numerose modifiche, tra le quali vanno ricordate l’abrogazione dei controlli di merito, la riduzione della tipologia di atti sottoposti al controllo preventivo di legittimità e la previsione di una differente composizione dei CORECO. L'art. 42, denominato “ Composizione del Comitato”, recita:

“Il comitato regionale di controllo e ogni sua eventuale sezione sono composti:

a) da quattro esperti eletti dal consiglio regionale, di cui:

1) uno iscritto da almeno dieci anni nell'albo degli avvocati, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

2) uno iscritto da almeno dieci anni all'albo dei dottori commercialisti o dei ragionieri, scelto in una terna proposta dai rispettivi ordini professionali;

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3) uno scelto tra chi abbia ricoperto complessivamente per almeno cinque anni la carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere regionale o di parlamentare nazionale, ovvero tra i funzionari statali, regionali o degli enti locali in quiescenza, con qualifica non inferiore a dirigente od equiparata;

4) uno scelto tra i magistrati o gli avvocati dello Stato in quiescenza, o tra i professori di ruolo di università in materie giuridiche ed amministrative ovvero tra i segretari comunali o provinciali in quiescenza;

b) da un esperto designato dal commissario del Governo scelto fra funzionari dell'Amministrazione civile dell'interno in servizio nelle rispettive province.

2. Il consiglio regionale elegge non più di due componenti supplenti aventi i requisiti di cui alla lettera a) del comma 1; un terzo supplente, avente i requisiti di cui alla lettera b) del comma 1, e' designato dal commissario del Governo.

3. In caso di assenza od impedimento dei componenti effettivi, di cui rispettivamente alle lettere a) e b) del comma 1, intervengo no alle sedute i componenti supplenti, eletti o designati per la stessa categoria.

4. Il comitato ed ogni sua sezione eleggono nel proprio seno il presidente ed un vicepresidente scelti tra i componenti eletti dal consiglio regionale.

5. Funge da segretario un funzionario della regione.

6. Il comitato e le sezioni sono rinnovati integralmente a seguito di nuove elezioni del consiglio regionale, nonché quando si dimetta contemporaneamente la maggioranza dei rispettivi componenti.

7. Il presidente ed il vicepresidente del comitato, se dipendenti pubblici, sono collocati fuori ruolo; se dipendenti privati, sono collocati in aspettativa non retribuita.

8. Ai componenti del comitato si applicano le norme relative ai permessi ed alle aspettative previsti per gli amministratori locali.”

I principali limiti che ha portato tale riforma, in merito ai controlli interni, riguardano la difficile separazione e distinzione dei ruoli tra amministrazione e direzione politica, la totale eliminazione di qualsiasi forma di controllo di legittimità sugli atti degli organi

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10 comunali e l'inadeguatezza delle dimensioni degli attuali comuni rispetto alle funzioni già attribuite.

1.2.2. La Legge 241/1990

Nel 1990 viene emanata una ulteriore Legge, titolata “ Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi “, tramite la quale vennero introdotte importanti novità . Tra le più apprezzabili vi era la così detta trasparenza amministrativa, che disponeva il diritto di accesso ai documenti amministrativi, sancita espressamente dall'art. 23, che recita " Il diritto di accesso di cui

all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi ".

Questa norma ha profondamente rinnovato ed innovato il rapporto tra i cittadini e la pubblica amministrazione, trasformandolo da un rapporto di tipo autoritario ad uno di tipo paritario e collaborativo.

Un ulteriore innovazione introdotta dalla norma fu il responsabile di procedimento. L'art. 4 stabilisce che " le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di

procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale " .

1.2.3. Il Decreto Legislativo 29/1993

Tramite questo decreto, denominato " Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego" , specificatamente all'articolo 20, furono introdotte novità importanti, in merito al controllo interno negli enti pubblici, nei seguenti ambiti:

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11 - responsabilizzazione dei dirigenti per i risultati dell'attività svolta: Art. 20 comma 1 " I

dirigenti generali ed i dirigenti sono responsabili dell'attività svolta dagli uffici ai quali sono preposti, della realizzazione dei programmi e dei progetti loro affidati in relazione agli obiettivi dei rendimenti e dei risultati della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, incluse le decisioni organizzative e di gestione del personale " ;

- istituzione di nuclei di valutazione o servizi di controllo interno: Art. 20 comma 2 "

Nelle amministrazioni pubbliche, ove già non esistano, sono istituiti servizi di controllo interno, o nuclei di valutazione, con il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa " ;

- posizione di autonomia dei nuclei di valutazione che rispondono solo agli organi di indirizzo politico: Art. 20 comma 3 " Gli uffici di cui al comma 2 operano in posizione di

autonomia e rispondono esclusivamente agli organi di direzione politica " ;

- possibilità di composizione mista dei nuclei di valutazione : art. 20 comma 4 " I nuclei di

valutazione, ove istituiti, sono composti da dirigenti generali e da esperti anche esterni alle amministrazioni "

1.2.4. La Legge 20/1994

La legge 20 del 1994 è nota come la riforma dei controlli della Corte dei Conti: il primo effetto di tale legge fu il ridimensionamento del tradizionale controllo preventivo di legittimità, limitando tali controlli ad atti del Governo di particolare rilevanza, quali atti normativi o atti di programmazione che implicano spesa o ripartizione delle risorse finanziari.

A fronte di suddette limitazioni, furono attribuiti ampi poteri successivi e compiti di vigilanza sul funzionamento dei controlli interni.

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12 1.2.5. Il decreto Legislativo 77/1995

Nel 1995 fu emanato il decreto legislativo 77, denominato " Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali ", il quale ebbe una portata innovativa molto elevata. Per la prima volta, nell'insieme dei controlli interni agli enti locali, viene reso obbligatorio adottare il controllo di gestione.

L'ambito di applicazione e la definizione sono stabiliti all'articolo 39, comma 2 , il quale recita " Il controllo di gestione e' la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione

degli obiettivi programmati e, attraverso l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità' dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità nell'attività di realizzazione dei predetti obiettivi " . Tale norma, però, non si limita solo a definire il

controllo, ma stabilisce, all'articolo 40, anche la modalità di attuazione di tale processo: in particolare deve essere articolato in almeno tre fasi:

1. predisposizione di un piano dettagliato di obiettivi

2. rilevazione dei dati relativi ai costi e ai proventi nonchè rilevazione dei risultati raggiunti 3. Valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi al fine di verificare il loro stato di attuazione

Inoltre tale decreto fu molto importante in quanto fu introdotto il Piano Esecutivo di Gestione (PEG). L'articolo 11 recita " Sulla base del bilancio di previsione annuale deliberato

dal consiglio, l'organo esecutivo definisce, prima dell'inizio dell'esercizio, il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi di gestione ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi. "

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13 1.2.6. Il Decreto Legislativo 286/1999

Il D.lgs. 286/1999 rappresenta un ulteriore potenziamento dei controlli interni agli enti locali, a fronte di una riduzione progressiva dei controlli esterni.

Nel chiarire i principi generali del controllo interno, vengono suddivisi quattro tipologie di controllo differenti:

- Controllo di regolarità amministrativa e contabile, volto a garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza della azione amministrativa. Tale controllo è definito all'articolo 2 del D.lgs. Nei seguenti commi del medesimo articolo vengono delineate le seguenti precisazioni :

a. Le verifiche di regolarità amministrativa e contabile devono rispettare, in quanto

applicabili alla pubblica amministrazione, i principi generali della revisione aziendale asseverati dagli ordini e collegi professionali operanti nel settore;

b. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile non comprende verifiche da effettuarsi in via preventiva se non nei casi espressamente previsti dalla legge e fatto salvo, in ogni caso, il principio secondo cui le definitive determinazioni in ordine all'efficacia dell'atto sono adottate dall'organo amministrativo responsabile; c. I membri dei collegi di revisione degli enti pubblici sono in proporzione almeno maggioritaria nominati tra gli iscritti all'albo dei revisori contabili. Le amministrazioni pubbliche, ove occorra, ricorrono a soggetti esterni specializzati nella certificazione

dei bilanci. - La valutazione del personale con incarico dirigenziale, volto a valutare le prestazione

del personale con qualifica dirigenziale;

- Il controllo di gestione finalizzato all’adozione di modelli di programmazione e controllo orientati alla conoscenza, per il miglioramento, dei profili di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa ;

- La valutazione e il controllo strategico, questi costituiscono l’elemento di maggiore novità e criticità .

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14 1.2.7. Il Decreto Legislativo 267/2000 : introduzione del T.U.E.L.

Con il D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il “Testo Unico sull’’ordinamento degli enti locali” (TUEL), il Governo ha dato attuazione al disposto contenuto nell’’art. 31 della Legge 3 agosto 1999, n. 265 .Con detta norma, il Legislatore ha emanato un corpus normativo omogeneo ove viene raccolta , in modo coordinato, tutte le disposizioni vigenti in materia di autonomie territoriali.

Il TUEL ha fortemente semplificato l’articolazione del sistema normativo vigente mediante l’abrogazione espressa di molteplici leggi, riorganizzando in maniera definitiva l’intera produzione legislativa in materia istituzionale, finanziaria e contabile.

Il Testo Unico è composto da 275 articoli ed è suddiviso in quattro parti : i. Ordinamento istituzionale

ii. Ordinamento finanziario e contabile iii. Associazioni degli enti locali

iv. Disposizioni transitorie ed obbligazioni

Come è possibile notare, la portata di tale Decreto è molto vasta, poiché il campo di applicazione è riguardante il sistema delle autonomie territoriali nel suo insieme .

La parte II , al titolo VII , comprensivi degli articoli 234-241, viene disciplinata la materia della revisione economico-finanziaria : tali argomenti verranno trattati ed approfonditi nel prossimo capitolo.

1.2.8. La modifica del titolo V della Costituzione

Con l’approvazione della Legge Costituzionale 3 del 2001, attraverso la quale vene riformato il titolo V della Costituzione, i controlli interni alle autonomie locali subirono un’ enorme trasformazione: in particolare con l’abrogazione del comma I dell’art. 125 della Costituzione, non vi è più non vi è più il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione e, a seguito dell’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione, non vi è più il

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15 controllo di legittimità sulle leggi delle Regioni, nonché il controllo delle Regioni sugli atti degli enti locali.

Inoltre furono abrogati i vari articoli delle Leggi 142/1990 e 127/1997.

Tuttavia occorre precisare che la scomparsa di tali forme di controlli non deve essere recepita come eliminazione delle forme di garanzia poste alla salvaguardia dei conti pubblici, poiché l’intento dell’Organo esecutivo era quello di separare le regioni degli altri organi territoriali, in quanto completamente autonome a livello gestionale ed organizzativo.

1.2.9. Il Decreto Legislativo 174/2012 : i nuovi controlli interni

Con l’emanazione del Decreto Legge 174/2012, denominato “ Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali “ , l’orizzonte dei controlli interni subì una profonda modifica.

Il fulcro principale di tale normativa risiedeva nella disposizione di adozione obbligatoria e sanzionata di sei forme di controllo interno :

1. Controllo di regolarità amministrativa contabile : individuazione di strumenti e metodologie da parte degli enti locali per garantire, attraverso tale controllo, la legittimità, la regolarità, la correttezza dell’azione amministrativa ;

2. Controllo di gestione : l’obiettivo di tale controllo è verificare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi correttivi, il rapporto tra obiettivi e azioni realizzate, nonché tra risorse impiegate e risultati ;

3. Controllo sugli equilibri finanziari : attività di coordinamento e di vigilanza da parte del responsabile del servizio finanziario, nonché l'attività di controllo da parte dei responsabili dei servizi, al fine di garantire gli equilibri finanziari, anche in ottica dei limiti imposti dal patto di stabilità interno ;

4. Controllo strategico : verifica della congruenza tra gli obiettivi strategici prefissati e i risultati ottenuti, mediante le scelte compiute in sede di attuazione dei piani ;

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16 5. Controllo sugli organismi partecipati : verifica della redazione del bilancio consolidato,

l'efficacia, l'efficienza e l'economicità degli organismi gestionali esterni dell'ente ;

6. Controllo sulla qualità dei servizi : misurare la soddisfazione degli utenti finali rispetto ai servizi offerti dall’ente, sia direttamente che indirettamente.

Le prime tre forme di controllo interno devono essere applicate immediatamente, a partire dal 2013, in tutti i Comuni, mentre per le altre tre vi sono vincoli legati al numero di abitanti facenti parte dell’ente osservato:

- Applicazione immediata, come gli altri controlli, a partire dall’ anno 2013, per gli enti con popolazione superiore a 100.000 abitanti ;

- Applicazione posticipata all’ anno 2014 per gli enti con popolazione superiore ai 50.000 abitanti ;

- Applicazione dall’anno 2015 per gli enti con popolazione superiore ai 15.000 abitanti ; - Non applicazione per gli enti con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti .

Gli enti locali sono pertanto obbligati ad adottare tali tipi di controlli, però resta libera la facoltà per essi di stabilire gli strumenti e le modalità tramite regolamento adottato dal Consiglio .

L’obiettivo di questa Legge, cui la norma stessa fa riferimento, non risiede tanto nell’applicazione di questi nuovi modelli di controllo, al fine di ampliare lo spettro di vigilanza su tutte le attività dell’ente, ma nell’introduzione della logica di sistema. Il compito degli organi interni agli enti locali non dovrà pertanto essere soltanto quello di eseguire un controllo sui vari aspetti di gestione, ma sarà necessario coordinare tutte queste attività al fine di adottare un approccio logico e causale.

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17 Il controllo di regolarità amministrativa contabile

Il controllo di regolarità amministrativa e contabile può essere definito come l’insieme di procedure coordinate adottate al fine di garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa.

La novità ottenuta tramite l’applicazione di questa Legge non risiede nell’oggetto del controllo, in quanto quel campo di verifica è stato introdotto molti anni prima, ma nella modalità di attuazione, ovvero nel metodo.

Il controllo avviene in due fasi distinte, ma tra loro coordinate, e prevede tre diversi soggetti:

- Controllo preventivo : in questa fase il responsabile del servizio considerato svolge il proprio compito tramite il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa e il responsabile del servizio finanziario, al contempo, rilascia il parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria

- Controllo successivo : il Segretario generale verifica ex-post i seguenti documenti : - Le determine di impegno di spesa ;

- Gli atti di accertamento di entrata ; - Gli atti di liquidazione della spesa ; - I contratti ;

- Gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento, tra i quali possiamo ricordare le concessioni e le indizioni di gare.

Il controllo, affinché risulti affidabile e funzionale, deve essere pianificato: in particolare dovrebbero essere stabilite due o più sessioni da svolgere durante l’anno, a seconda del livello di criticità riscontrato; inoltre , tramite la tecnica del campionamento, dovrebbero essere svolte delle verifiche distribuite equamente su tutti i servizi dell’ente.

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18 Il ruolo del revisore, all’interno di questo tipo di controllo, è molto importante e potrebbe influenzare in modo molto positivo la verifica della correttezza e regolarità dell’azione amministrativa.

L’organo dell’ente deputato al controllo dovrebbe stilare un report riguardanti l’azione di vigilanza svolta e trasmetterli all’organo di revisione il quale, una volta notificato tale documento, tramite scambio di informazioni utili, deve essere in grado di orientare le verifiche di regolarità amministrativa e contabile svolta dall’ente stesso.

Purtroppo però, nella maggior parte dei casi, ciò non avviene: il 90% dei provvedimenti presi ad esame risulta regolare.

Il controllo di gestione

Il controllo di gestione è tipicamente uno strumento riservato al settore privato dalle aziende che ricercano efficienza ed efficacia nella propria conduzione.

A seguito della riscontrata inefficienza, dalle poche risorse disponibili e dal processo conseguente di spending review che ha pervaso il settore pubblico, tale procedimento risulta indispensabile.

Il controllo di gestione può essere definito come strumento a supporto dell’attività decisionale, il quale permette di misurare il consumo di risorse, i risultati raggiunti e i servizi erogati. L’obiettivo ultimo è quello di ottenere efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, mediante la verifica costante del rapporto tra obiettivi prefissati e risultati raggiunti.

La funzione di controllo di gestione deve essere svolta dai dirigenti posti al vertice dell’unità organizzativa interessata, così come chiarito dal D.lgs. 267/2000.

Il ciclo del controllo di gestione, come per le aziende private, può essere suddiviso in 5 fasi: 1. Pianificazione

2. Monitoraggio 3. Controllo

4. Analisi degli scostamenti 5. Eventuali azioni correttive

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19 A differenza del settore privato, dove lo strumento principale attraverso la quale le aziende pianificano, ovvero il budget, gli enti locali hanno l’obbligo di redigere degli atti di programmazione di tipo strategico ed operativo: l’azione di monitoraggio e controllo dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati deve essere effettuato sulla base dei dati iscritti principalmente del Piano Esecutivo di Gestione.

Purtroppo, come spesso accade, a fronte di una certa diffusione, ancorché obbligatoria, tra gli enti locali, non vi è un efficiente utilizzo di tale strumento ; contrariamente a come dovrebbe essere adottato, al fine di rendere efficiente, efficace ed economica l’azione amministrativa, il controllo di gestione è operato come un obbligo formale da svolgere, senza riuscire pertanto a raccogliere i frutti di suddetto sforzo.

Il controllo sugli equilibri finanziari

Il controllo degli equilibri finanziari rappresenta una delle più importanti verifiche poste in essere dall’ente locale, in quanto abbraccia tutte le unità organizzative. Inoltre l’equilibrio finanziario è la condizione principale di sopravvivenza e continuazione dell’Ente locale. Tale tipo di controllo, definito dall’ art. 147 quinques, comma 2, si sviluppa facendo riferimento alle disposizioni dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, e delle norme che regolano il concorso degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, nonché delle norme di attuazione dell'articolo 81.

Come prima anticipato, tale controllo non è relativo ad una unica unità organizzativa, ma implica, come disposto dal comma 3 dello stesso articolo, anche la valutazione degli effetti che si determinano per il bilancio finanziario dell'ente in relazione all'andamento economico-finanziario degli organismi gestionali esterni .

Proprio a causa della notevole rilevanza che compete a questo controllo, l’art. 147 quinques comma 1, prevede che sia svolto sotto la direzione e il coordinamento del responsabile del servizio finanziario e mediante la vigilanza dell'organo di revisione,

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20 prevedendo il coinvolgimento attivo degli organi di governo, del direttore generale, ove previsto, del segretario e dei responsabili dei servizi, secondo le rispettive responsabilità.

Il controllo strategico

Il controllo interno di tipo strategico è disciplinato dall’art. 147 ter, che lo definisce come una metodologia che deve essere utilizzata al fine di verificare lo stato di attuazione dei programmi secondo le linee approvate dal Consiglio, valutando pertanto l’adeguatezza delle scelte programmatiche che si rinvengono nei piani di sviluppo in termini di coerenza. L’oggetto di valutazione riguarda i risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, gli aspetti economico-finanziari connessi ai risultati ottenuti, i tempi di realizzazione rispetto alle previsioni, le procedure operative attuate confrontate con i progetti elaborati, la qualità dei servizi erogati e del grado di soddisfazione della domanda espressa e gli aspetti socio –economici .

Il responsabile del controllo strategico è il direttore generale o, in mancanza, il segretario generale, il quale dirige una unità organizzativa : tale organo è tenuto ad elaborare rapporti periodici, da sottoporre all'organo esecutivo e al consiglio per la successiva predisposizione di deliberazioni consiliari di ricognizione dei programmi.

Ciò che è stato purtroppo riconosciuto per il controllo di gestione può essere connesso anche a quello di tipo strategico: questo strumento non risulta essere diffuso a sufficienza tra gli enti locali ed inoltre viene utilizzato troppo spesso solo a livello formale.

Il controllo delle partecipate

L’articolo 147 quater definisce il controllo sulle società partecipate non quotate, stabilendo innanzitutto che l'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, il sistema stesso. Non viene precisato il soggetto deputato all’esecuzione delle verifiche, ma

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21 che questi sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono responsabili. La figura più indicata a svolgere tale compito è, comunque, il responsabile del servizio finanziario.

La norma prevede che le partecipate soggette a tale tipo di controllo siano organismi societari, anche diversi dalle società di capitali, come consorzi o fondazioni ; difatti le uniche società su cui non vige questo obbligo sono le società di capitali quotate.

Al fine di adempiere all’obbligo di effettuare tale controllo, l'amministrazione definisce preventivamente, in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. Sulla base di queste informazioni, l’ente monitora l’andamento della società partecipata, effettuando anche analisi sugli scostamenti tra gli obiettivi programmati e i risultati ottenuti, e pone in essere le conseguenti azioni correttive, anche in riferimento ai possibili disequilibri finanziari che possono crearsi a seguito del risultato ottenuto dalla società. Come sottolineato nelle parte introduttiva del capitolo, l’obiettivo della norma è costituire un sistema di controllo avente una logica di sistema : risulta chiaro, per quanto appurato, che per l’ente il controllo sulle società partecipate non quotate non può prescindere da un controllo degli equilibri finanziari, e viceversa .

Il controllo sulla qualità dei servizi

Il controllo sulla qualità dei servizi è uno strumento che, da un lato è reso obbligatorio come gli altri alle condizioni sopra riportate, ma che in realtà non ha riconosciuto una vera e propria diffusione.

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22 L’ente locale ha la facoltà di gestire e progettare a proprio modo, senza alcun riferimento, il sistema da adottare : la mancanza di uno standard di riferimento, in questi casi, può essere un vero problema poiché non essendoci delle regole da rispettare, è molto più complicato riscontrare rilievi su eventuali manchevolezze.

Un esempio di strumenti da utilizzare possono essere il ricorso ad interviste e riscontri individuali dei singoli utenti, questionari, incontri collettivi di verifica e riscontro con gli utenti.

1.2.10. Il Decreto Legislativo 175/2016

L’ultimo intervento, in ordine di data, effettuato dal legislatore, in materia di controllo sulle partecipate, è molto recente. Infatti con il Decreto Legislativo 175/2016, iscritto in Gazzetta Ufficiale al n. 210 del 08/09/2016, vengono riviste una serie di norme che regolavano il vasto cosmo degli Enti Pubblici.

In primo luogo, va considerato l’art. 6 nel quale viene elencata una lista di possibili strumenti da utilizzare dalle società a controllo pubblico.

Il comma 3 stabilisce che ” fatte salve le funzioni degli organi di controllo previsti a norma

di legge e di statuto, le società a controllo pubblico valutano l'opportunità di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell'attività svolta, gli strumenti di governo societario con i seguenti:

a) regolamenti interni volti a garantire la conformità dell'attività della società alle norme di tutela della concorrenza, comprese quelle in materia di concorrenza sleale, nonché' alle norme di tutela della proprietà' industriale o intellettuale;

b) un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell'impresa sociale, che collabora con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmette

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23

periodicamente all'organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione;

c) codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività della società;

d) programmi di responsabilità sociale d'impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell'Unione europea.”

Come dispone la norma stessa, tali strumenti non devono essere istituiti obbligatoriamente dalla società partecipata, ma è un intervento discrezionale del soggetto economico della stessa, in base a dimensioni e delle caratteristiche organizzative.

Nel caso in cui la società partecipata decidesse di utilizzare uno o più strumenti sopra elencati, in accordo con il comma 4, ne deve fare comunicazione nella relazione del governo societario che la società stessa redige annualmente, in concomitanza con la presentazione del bilancio d’esercizio.

Allo stesso modo, nel caso in cui non venissero inseriti tali strumenti nell’organizzazione societaria, devono essere descritte le motivazioni di tale scelta nella relazione del governo societario.

L’intervento del Legislatore deve essere interpretato chiaramente come la volontà di rafforzare ulteriormente gli strumenti di controllo nei confronti delle società a partecipazione pubblica, in quanto spesso artefici di enormi buchi finanziari all’interno degli Enti Locali .

L’art. 7 invece indica le nuove regole che devono essere seguite per la costituzione di nuove società partecipate. Prima di tutto la deliberazione della scelta di costituzione della società deve essere adottata con :

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24 - decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con i ministri competenti per materia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in caso di partecipazioni statali;

- provvedimento del competente organo della regione, in caso di partecipazioni regionali;

- deliberazione del consiglio comunale, in caso di partecipazioni comunali;

- delibera dell'organo amministrativo dell'ente, in tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche.

L’atto deliberativo, nel processo di costituzione della nuova società partecipata, è fondamentale : infatti senza tale documento o nel caso esso sia dichiarato nullo o annullato, le partecipazioni sono liquidate secondo quanto disposto dall’art. 24, comma 5, del presente decreto. Se la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo riguarda una partecipazione essenziale ai fini del conseguimento dell'oggetto sociale, si applicano le disposizioni di cui all'art. 2332 del codice civile, ovvero nullità della società .

L’atto deliberativo deve essere pubblicato sui siti istituzionali dell’amministrazione pubblica partecipante.

Nel caso in cui sia prevista la partecipazione all'atto costitutivo di soci privati, la scelta di questi ultimi avviene con procedure di evidenza pubblica.

L’articolo più innovativo di tutto il decreto è, senza ombra di dubbio, rappresentato dall’ art. 14 . In tale punto viene espressamente e definitivamente stabilito che le società a controllo pubblico sono soggette alle procedure concorsuali : infatti il testo recita al comma 1 “ Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul

fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi “ . Nel paragrafo

successivo verrà analizzata in maniera più approfondita tale innovazione, in quanto in passato vi erano opinioni discordanti tra loro.

Al comma 2, per il solito principio che sotto intendeva l’introduzione di appositi strumenti di controllo di cui all’ art. 6 , viene introdotta una norma molto importante, la quale, se

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25 adottata con criterio e responsabilità, potrà risultare molto utile alla corretta gestione da parte degli Enti Locali dei propri enti partecipati. Il testo stabilisce che “Qualora emergano,

nell'ambito dei programmi di valutazione del rischio di cui all'articolo 6, comma 3, uno o più indicatori di crisi aziendale, l'organo amministrativo della società a controllo pubblico adotta senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire I'aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento.” .

In altre parole, nel caso in cui l’organo di amministrazione della società partecipata ravveda uno o più sintomi di crisi, debbono essere posti in essere dei rimedi. Nel caso in cui tali azioni di risanamento non siano poste in essere, e questo rappresenta la vera novità , ”

la mancata adozione di provvedimenti adeguati, da parte dell'organo amministrativo, costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile ” .

Pertanto, è l’organo amministrativo a dover riconoscere tale situazione di difficoltà, ed è sempre lo stesso ad essere deputato alla soluzione della stessa crisi.

Non costituisce provvedimento adeguato, ai sensi dei commi 1 e 2, la previsione di un ripianamento delle perdite da parte dell'amministrazione o delle amministrazioni pubbliche socie, anche se attuato in concomitanza a un aumento di capitale o ad un trasferimento straordinario di partecipazioni o al rilascio di garanzie o in qualsiasi altra forma giuridica, a meno che tale intervento sia accompagnato da un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività svolte, approvato ai sensi del comma 4, anche in deroga al comma 5.

Infine, oltre a ribadire concetti di analisi dei costi, in particolare quelli riguardanti il personale, fissare dei limiti quantitativi e contrarre ogni altra voce che è compresa negli emolumenti di amministratori o dirigenti della società partecipata, come le indennità, il Legislatore ha riproposto, in maniera importante, il concetto di razionalizzazione.

l’ultimo articolo da commentare di questa riforma, è pertanto il numero 20 . Il predetto articolo, denominato “ Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche “ , è stato

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26 introdotto con l’intento di procedere, come voluto da precedenti riforme, alla dismissione di società partecipate non utili ai fini sociali, le quali potrebbero o possono essere fonte di rischio per le casse dell’ Ente Locale.

Il comma 2 stabilisce i casi in cui l’adozione del Piano di razionalizzazione risulta obbligatoria, ovvero qualora le pubbliche amministrazioni rilevino :

- partecipazioni societarie che non rientrino in aIcuna delle categorie di cui all'articolo 4; - società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori

superiore a quello dei dipendenti;

- partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;

- partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;

- partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;

- necessità di contenimento dei costi di funzionamento;

- necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all'articolo 4.

Come è possibile osservare, i criteri per cui debbono essere attivati tali piani non sono soltanto riguardanti l’attività svolta ma, essendo a conoscenza dei rischi che le società partecipate comportano in termini monetari alle pubbliche amministrazioni, anche di natura economica.

L’obiettivo finale sarà pertanto quello di risolvere a valle i problemi che possono esser creati agli equilibri economici-finanziari degli enti.

Ogni amministrazione pubblica, entro il 31 Dicembre di ogni anno, effettuano con proprio provvedimento un’analisi dell’assetto complessivo delle società di cui detengono partecipazioni e predispongono, se necessario, il piano di razionalizzazione.

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27 Nel caso in cui si presenti una delle fattispecie sopra descritta, l’amministrazione pubblica è tenuta a predisporre il piano di razionalizzazione ed a redigere una apposita relazione tecnica, con specifica indicazione di modalità e tempi di attuazione ; entrambi i documenti verranno trasmessi alla Corte dei conti di riferimento.

La mancata adozione degli atti di cui ai commi da 1 a 4 comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.00 .

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28 2. L’organo di revisione negli enti locali

La figura del revisore degli enti locali è riconosciuta da prima degli anni ‘ 90 , quando vennero emanate numerose disposizioni in materia di Pubblica Amministrazione. Prima dell’emanazione di tali leggi di riforma, a partire dal 1990, il revisore dei conti aveva il compito di principale di controllare il conto consuntivo, ma al soggetto in carica non veniva richiesta nessuna qualifica professionale per ricoprire l’incarico. Inoltre i revisori in carica non costituivano un Organo permanete poiché venivano nominati in autunno quando cominciava il controllo sui conti e terminavano il mandato in primavera con il controllo dei conti a consuntivo.

A seguito del riconoscimento di una marcata inefficienza e non economicità nella gestione della pubblica amministrazione, il Legislatore, a partire dalla Legge 142/90, ha posto le basi al processo di “aziendalizzazione” degli enti locali : l’obiettivo della teoria era quello di considerare e trattare gli enti locali come azienda, applicando nei sistemi di gestione, di organizzazione, di contabilità, di programmazione e dei controlli dei primi i principi teorici scientifici e le tecniche applicati nelle seconde.

Per questo motivo il ruolo del revisore iniziò a coprire un ruolo centrale, divenendo primario il compito di vigilanza negli Enti Locali.

La disciplina dell’ Organo di revisione negli enti locali è contenuta nel Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.), precisamente dall’ articolo 234 al 241. Tale disciplina riprende gli interventi normativi succeduti dal 1990 in poi, in particolare la predetta L. 142/90 e il più recente D.Lgs. 77/95 , il quale definisce in modo preciso le modalità di nomina dei revisori, la composizione del Collegio dei revisori, la durata dell’incarico, le cause di incompatibilità e ineleggibilità, le funzioni e i limiti dell’incarico, la responsabilità che grava sui revisori e il loro compenso.

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29 2.1. Nomina del collegio dei revisori o revisore unico

Secondo l’attuale disciplina la nomina dei revisori dei conti degli Enti locali deve avvenire tramite estrazione da un elenco composto dagli iscritti al Registro dei revisori legali e/o all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili che ne facciano richiesta. L’iscrizione all’elenco avviene su base regionale, in base al comune di residenza anagrafica del professionista.

Sono state definite tre fasce di enti sulla base della popolazione residente: a) fascia 1: comuni fino a 4.999 abitanti;

b) fascia 2: comuni con popolazione da 5.000 a 14.999 abitanti, unioni di comuni e comunità montane;

c) fascia 3: comuni con popolazione pari o superiore a 15.000 abitanti, nonché Province. I revisori potranno fare domanda per accedere ad una o più fasce, a seconda di anzianità, esperienza e formazione.

Infatti esistono delle limitazioni crescenti, relative a queste tre caratteristiche, per svolgere l’attività negli enti locali. In particolare:

 Fascia 1: soggetti con due anni d’iscrizione al Registro dei revisori legali o all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e dieci crediti formativi conseguiti nell’anno precedente alla nomina

 Fascia 2: soggetti con cinque anni di iscrizione, tre anni di esperienza maturati come revisore dei conti in un Ente locale e dieci crediti formativi maturati l’anno precedente  Fascia 3: soggetti con dieci anni d’iscrizione, due incarichi di revisione già svolti e dieci

crediti formativi conseguiti nell’anno precedente

Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nelle unioni dei comuni e nelle comunità montane la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore eletto

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30 dal consiglio comunale o dal consiglio dell'unione di comuni o dall'assemblea della comunità montana a maggioranza assoluta dei membri.

Nel caso in cui venga nominato un Collegio, la presidenza spetta al professionista che abbia ricoperto il maggior numero di incarichi di revisione presso gli Enti Locali.

Non è prevista dalla normativa l’ accettazione espressa della carica: tuttavia l’incarico è ritenuto accettato a seguito di un comportamento concludente qualunque, come ad esempio il deposito delle dichiarazioni d’inesistenza di cause ostative.

2.2. Cause di incompatibilità o ineleggibilità

L’affidamento e l’accettazione dell’incarico di revisore negli enti locali è condizionato dal rispetto dell’art. 236 del T.U.E.L. , ovvero dall’insussistenza di cause di incompatibilità e ineleggibilità.

Il primo comma dell’articolo 236 elenca le cause d’ineleggibilità, richiamando le ipotesi previste dell’articolo 2399, comma 1 del Codice Civile, che sono:

 Interdizione;

 Inabilitazione civile;  Fallimento;

 Condanna a pene che comportano l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità a esercitare uffici direttivi ;

 Rapporto di parentela e di affinità, fino al quarto grado, con componenti dell’organo esecutivo;

 Esistenza di un rapporto continuativo di prestazione d’opera retribuita con l’ente nominante o società da questo controllate.

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31 I commi 2 e 3, invece, elencano le cause di incompatibilità, ovvero :

 I componenti in carica degli organi dell’ente;

 Coloro che nel biennio precedente alla nomina a revisore hanno fatto parte degli organi dell’ente;

 Il segretario e i dipendenti dell’ente presso il quale deve essere fatta la nomina;

 I dipendenti della Regione, della Provincia, della città metropolitana, delle comunità montane e delle Unioni di Comuni compresi nella circoscrizione territoriale di competenza.

Inoltre, a fianco di cause di natura “qualitativa”, sussistono dei limiti di natura “quantitativa”, legate al numero di incarichi svolti, descritti nell’art. 238, in particolare :  Quattro in Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti ;

 Tre in Comuni con popolazione compresa tra 5 mila e 99.999 abitanti ;  Uno in Comuni con popolazione pari o superiore a 100 mila abitanti .

2.3. Durata e cessazione dell’incarico

Il Collegio resta in carica per un triennio e può essere rinnovato una sola volta.

Le cause di cessazione sono stabilite al comma 3 dell’articolo 235 del TUEL, il quale dispone che il revisore cessa dall’incarico:

 Per scadenza del mandato;

 Per dimissioni volontarie o per impossibilità derivante da qualsiasi causa a svolgere l’incarico per un periodo di tempo stabilito dal regolamento di contabilità;

 Per revoca, decadenza, e per la morte del revisore.  Per la cancellazione dall’albo professionale.

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32 2.4. Compenso ai revisori

Come stabilito dall’ art. 241 del T.U.E.L. , con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro del tesoro del bilancio e della programmazione economica vengono fissati i limiti massimi del compenso base spettante ai revisori, da aggiornarsi triennalmente . Il compenso base è determinato in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell'ente locale .

Il compenso dovrà essere stabilito all’atto di nomina, tramite delibera assembleare, dall’ Ente Locale, nei rispetti dei limiti imposti.

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33 3. Introduzione alle società partecipate e principi di revisione

3.1. Definizione ed evoluzione delle società partecipate

Le società partecipate possono essere definite come società di diritto privato, esterne pertanto agli enti locali, il cui capitale, in tutto o in parte, è di proprietà di una pubblica amministrazione.

L'aspetto importante di tale operazione risiede nella possibilità da parte dell' Ente Pubblico di erogare e gestire una parte importante dei servizi inderogabili rivolti verso la comunità, come, ad esempio, lo smaltimento rifiuti o il trasporto pubblico.

L'esternalizzazione dei servizi ebbe inizio a partire dagli anni ottanta, quando quote sempre maggiori di ricchezza derivante dalle Regioni vennero gestite tramite le società “controllate”, ovvero organismi le cui quote societarie sono detenute in maggioranza assoluta dall'ente.

La rilevanza economica delle attività gestite da tali società e il ridotto numero di controlli, almeno iniziale, fecero sì che tale fenomeno fu utilizzato per forzare le regole della concorrenza e per eludere i vincoli di finanza pubblica imposta agli enti locali: il risultato fu che il ricorso agli organismi partecipati crebbe in maniera esponenziale ed incontrollata. Per far fronte al proliferare, molte volte speculativo, di queste società, furono introdotte delle norme specifiche. Le più importanti sono :

Legge 244/2007 : l'art. 3, comma 27, stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni non

possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

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Al comma 28, segue : L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27

Questa norma rappresenta il primo mattone del legislatore all'utilizzo improprio delle società partecipate: è fissato il limite alla costituzione di nuove organismi partecipati aventi ad oggetto produzione di beni e servizi lontani dalla finalità istituzionale. Inoltre, nel caso questo presupposto fosse soddisfatto, vi era l'obbligo da parte dell'organo consiliare dell'Ente di motivare con delibera tale decisione. Tale disciplina era limitata esclusivamente per le società non quotate in mercati regolamentati.

 Decreto Legge 78/2010 : Tre anni dopo, il Legislatore intervenne nuovamente per limitare il proliferarsi delle partecipate, stabilendo limiti ben precisi per la detenzione di tali partecipazioni. In particolare :

1. Ai comuni con meno di 30.000 abitanti è fatto divieto di costituire società. Essi sono tenuti, entro il 31 dicembre 2012, a mettere in liquidazione le società già costituite al 31 maggio 2012 cedendone le partecipazioni , spetta al prefetto il controllo dell’ adempimento degli Enti locali a questo obbligo. L’ obbligo di liquidazione non si applica se le società già costituite abbiano al 31 dicembre 2012 il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzione di capitale conseguenti a perdite di bilancio e non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio alle quali il comune ha l’ obbligo di procedere al ripiano delle perdite;

2. I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere le partecipazioni di una sola società e devono mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011, tutte le altre.

- Legge 190/2014 : la Legge di stabilità 2015, a seguito dell'esigenza riscontrate di ridurre la spesa pubblica, prevede delle norme specifiche sulle società partecipate. Le norme di questa legge, in materia di partecipate, deriva dallo studio svolto da un gruppo di lavoro, guidato dal Commissario Carlo Cottarelli (da qui il nome Piano

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35 Cottarelli ), a seguito del mandato ricevuto tramite Legge 89 del 23 Giugno 2014. Il programma di razionalizzazione delle partecipate locali propone una strategia di

riordino con l’obiettivo di ridurre il numero delle partecipate “da 8.000 a 1.000” nel giro di un triennio, di favorirne l’aggregazione e lo sfruttamento di economie di scala e, anche per questa via, di migliorarne l’efficienza, con benefici per la finanza pubblica (i possibili risparmi a regime sono stimati in almeno 2-3 miliardi) e per la qualità dei servizi offerti.

La strategia proposta, al fine quindi di ridurre la spesa pubblica delle partecipate tramite una loro drastica riduzione, può essere suddivisa in 4 cardini :

1) Circoscrivere il campo di azione delle partecipate entro lo stretto perimetro dei compiti istituzionali dell’ente partecipante, rafforzando quanto previsto in proposito dalla legge finanziaria del 2008

2) Introdurre vincoli diretti su varie forme di partecipazioni;

3) Fare ampio ricorso alla trasparenza e alla pressione dell’opinione pubblica adeguatamente informata come strumento di controllo;

4) Promuovere l’efficienza delle partecipate che rimarranno operative, incluso attraverso l’uso diffuso dei costi standard, e l’aggregazione tra partecipate che offrono servizi simili per sfruttare al meglio le economie di scala.

Al fine di promuovere la dismissione delle partecipazioni locali, il piano prevedeva l'introduzione di incentivi sotto forma di :

- gli incentivi fiscali per le operazioni di scioglimento o alienazione; - le procedure di mobilità del personale per le società che si sciolgono;

- l’esclusione dal Patto di stabilità dei proventi derivanti dalle dismissioni o di quotazione di aziende di servizi pubblici locali, a condizione che le entrate vengano utilizzate per gli investimenti.

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36 3.2. Il fallimento delle società a partecipazione pubblica

L’aumento esponenziale della presenza e della costituzione di nuove società a partecipazione pubblica nel territorio nazionale ha posto un quesito in merito alla possibilità di una esposizione al fallimento di queste ultime. Infatti queste, pur detenendo la gestione dei servizi pubblici sociali, agiscono nell’ordinamento anche come soggetti economici.

Inoltre, la non sempre corretta gestione delle proprie risorse finanziarie ha dato il via all’inizio del dibattito sulla fallibilità di tali società tra i vari operatori del diritto.

Nel corso degli ultimi anni, non soltanto a livello “didattico” vi sono state delle posizioni contrastanti, ma vi sono diverse testimonianze di pareri opposti in varie sentenze di Tribunale, talune che si ritenevano favorevoli alle procedure di fallimento, altre che escludevano tali realtà dall’assoggettamento a tale disciplina.

Uno dei casi in cui due gradi di giudizio hanno ritenuto la società a partecipazione pubblica soggetta a fallimento riguarda la sentenza del 27 Settembre 2013, n. 22209 . La parte dichiarata fallita era rappresentata da una società partecipata dal Comune di Avellino per una percentuale del 51 % , e dopo aver ricevute due sentenze negative, prima dal tribunale di Avellino e poi dalla Corte d’ Appello di Napoli, ha ricevuto un rigetto anche dalla Corte di Cassazione.

La motivazione di tale scelta, come si può leggere dalla sentenza, risiedono nella scelta del

legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che

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37

impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità.

In questo caso pertanto, la discriminante della scelta è stato il privilegiare il principio di uguaglianza , ovvero la parità di trattamento, tra società partecipate e soggetti con i quali questa entra in contatto.

Di diverso avviso, invece, è stata la sentenza n. 2338 del 26 Marzo 2010 del Tribunale di Catania. La disputa riguardava una società partecipata, esercente la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi ed urbani, per la quale era stato richiesta la dichiarazione di fallimento da parte di una società creditrice, per la ingente posizione creditoria che questa ultima vantava.

Il tribunale, in calce alla sentenza, motiva il rigetto delle richiesta della società creditrice in questo modo : posto che il carattere della “necessità” è da individuarsi nel senso che la

esistenza delle società in questione è considerata “necessaria” dall’ente territoriale, in quanto inerente allo svolgimento di servizi pubblici essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi, deve concludersi nel senso della esclusione della applicabilità della disciplina privatistica delle procedure concorsuali. In conclusione risulta carente il presupposto di cui all’art. 1 legge fallimentare.

Un secondo esempio di non assoggettabilità a fallimento per le società a partecipazione pubblica è dato dalla sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 09 Gennaio 2009 .

In questo caso la motivazione del rigetto risiedeva, come è possibile evincere dal testo, in “

consistenti limitazioni all’autonomia degli organi societari che derivano dall’ introduzione di previsioni statutarie che ancorano l’operatività della disciplina societaria alla previa adozione di atti di normazione secondaria, il dato della esclusiva titolarità pubblica del capitale sociale, l’ingerenza nella nomina degli amministratori da organi promananti direttamente dallo Stato nonché l’ erogazione da parte dello Stato di risorse finanziarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla raccolta differenziata, conducono al riconoscimento della natura pubblica del soggetto resistente “ .

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38 Entrambe le motivazioni riguardano la natura dell’attività svolta della società e, nel secondo caso, riguarda inoltre la composizione del capitale sociale e dell’organo amministrativo.

La nuova norma chiarisce tutti i possibili equivoci e stabilisce che tutte le società a partecipazione pubblica sono soggette alle procedure di fallimento.

A mio avviso, l’introduzione di tale legge era necessaria in quanto, prima di tutto, si sono creati negli anni dei precedenti da ambedue le soluzioni, e ciò è portatore di disparità di trattamento tra due realtà.

In secondo luogo, prendendo spunto dal concetto precedente di parità di trattamento, è corretto assoggettare alle solite norme e alle solite procedure diversi soggetti, ovvero società private e partecipate, le quali entrano in contatto tra loro.

Infine, come richiamato in precedenza, le società a partecipazione pubblica sono un universo in continua espansione, sia economica che numerica, e pertanto, sempre a mio parere, è corretto porre dei limiti oltre i quali tali società non possono spingersi: una società partecipata, la quale risulta debitrice per un ammontare ingente di denaro, può essere considerata come una forma di paralisi dell’economia locale.

3.3. I principi di revisione riguardanti le società partecipate

Il documento 14 denominato “Principi di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti locali “ , elaborato dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti e degli Esperti Contabili, illustra i controlli effettuati dall'organo di revisione di un Ente pubblico sugli organismi partecipati dello stesso, le finalità e le direttive cui il revisore deve attenersi.

E’ possibile affermare che gli oggetti di controllo sotto proposti, rappresentano i rischi che le società partecipate apportano agli Enti pubblici che ne detengono le partecipazioni.

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39 Secondo tale documento, il controllo dell’Organo di revisione deve essere finalizzato in particolare:

• al rispetto dei vincoli normativi sulla costituzione, organizzazione e gestione degli organismi partecipati e del loro mantenimento;

• al rispetto del contratto di servizio e degli obiettivi fissati a motivazione dell’esternalizzazione;

• al rispetto delle regole contabili nei rapporti fra Ente ed organismi partecipati;

• al riflesso delle gestioni indirette sugli equilibri finanziari anche prospettici dell’Ente; • al rispetto delle regole fiscali;

• alla circostanza che le operazioni con gli organismi partecipati non siano elusive del patto di stabilità.

Controllo su costituzione, organizzazione e gestione, e mantenimento delle partecipazioni

Il ruolo cui l'organo di revisione è chiamato a svolgere rispetto a questo tema è molto delicato e deriva principalmente dalle norme richiamate nei precedenti paragrafi. Possiamo dire che, con l'affidamento di tale controllo, i revisori possono essere definiti come i “vigilanti” del processo di razionalizzazione degli organismi partecipati.

In merito al processo di costituzione delle azienda partecipate, i revisori devono vigilare sul corretto procedimento di tale azione: infatti, secondo l'art. 3 , comma 27, Legge 24 Dicembre 2007, L’Organo consiliare deve autorizzare l’Organo esecutivo mediante delibera che deve specificare le motivazioni e indicazioni degli interessi pubblici perseguiti alla costituzione della società e a compiere tutte le relative operazioni. La delibera deve inoltre contenere:

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40  l’atto costitutivo e lo statuto della costituenda società;

 il piano industriale (o business plan almeno triennale) della costituenda società in modo da permettere all’Organo consiliare di effettuare un’analisi della convenienza economica della costituzione stessa.

Inoltre, sempre nel rispetto della Legge finanziaria 2008, si ricorda che non possono essere

costituite società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali .

L'organo revisore deve inoltre verificare che siano rispettati i vincoli dettati dal sopra richiamato Decreto Legge 78/2010 in merito al numero di partecipazioni che un Ente può detenere in rapporto al numero di abitanti.

Infine, gli altri adempimenti a carico dell'organo revisore dell' Ente locale sono la verifica:  che la forma societaria, l’entità della partecipazione ed i servizi affidati siano

compatibili con le norme statutarie dell’Ente;

 se la stessa attività è già esercitata direttamente o indirettamente da altri organismi partecipati dall’Ente;

 che per la costituzione sono state rispettate le procedure previste dai regolamenti dell’Ente; ⋅

 che le previsioni di business plan siano conciliabili con le previsioni annuali e pluriennali dell’Ente;

 che per gli affidamenti “in house”, la società ha l’effettiva possibilità di svolgere con proprie risorse il servizio o, comunque una parte significativa dello stesso;

 che sono previsti nel bilancio annuale e pluriennale dell’Ente gli oneri ed i proventi derivanti dal contratto di servizio o dalla convenzione; ⋅

 che le spese di costituzione siano state inizialmente impegnate dall’Ente, anche se s’intende porle successivamente a carico della società; ⋅ il rispetto del contratto di

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