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Definizione ed evoluzione delle società partecipate

Le società partecipate possono essere definite come società di diritto privato, esterne pertanto agli enti locali, il cui capitale, in tutto o in parte, è di proprietà di una pubblica amministrazione.

L'aspetto importante di tale operazione risiede nella possibilità da parte dell' Ente Pubblico di erogare e gestire una parte importante dei servizi inderogabili rivolti verso la comunità, come, ad esempio, lo smaltimento rifiuti o il trasporto pubblico.

L'esternalizzazione dei servizi ebbe inizio a partire dagli anni ottanta, quando quote sempre maggiori di ricchezza derivante dalle Regioni vennero gestite tramite le società “controllate”, ovvero organismi le cui quote societarie sono detenute in maggioranza assoluta dall'ente.

La rilevanza economica delle attività gestite da tali società e il ridotto numero di controlli, almeno iniziale, fecero sì che tale fenomeno fu utilizzato per forzare le regole della concorrenza e per eludere i vincoli di finanza pubblica imposta agli enti locali: il risultato fu che il ricorso agli organismi partecipati crebbe in maniera esponenziale ed incontrollata. Per far fronte al proliferare, molte volte speculativo, di queste società, furono introdotte delle norme specifiche. Le più importanti sono :

Legge 244/2007 : l'art. 3, comma 27, stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni non

possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

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Al comma 28, segue : L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27

Questa norma rappresenta il primo mattone del legislatore all'utilizzo improprio delle società partecipate: è fissato il limite alla costituzione di nuove organismi partecipati aventi ad oggetto produzione di beni e servizi lontani dalla finalità istituzionale. Inoltre, nel caso questo presupposto fosse soddisfatto, vi era l'obbligo da parte dell'organo consiliare dell'Ente di motivare con delibera tale decisione. Tale disciplina era limitata esclusivamente per le società non quotate in mercati regolamentati.

 Decreto Legge 78/2010 : Tre anni dopo, il Legislatore intervenne nuovamente per limitare il proliferarsi delle partecipate, stabilendo limiti ben precisi per la detenzione di tali partecipazioni. In particolare :

1. Ai comuni con meno di 30.000 abitanti è fatto divieto di costituire società. Essi sono tenuti, entro il 31 dicembre 2012, a mettere in liquidazione le società già costituite al 31 maggio 2012 cedendone le partecipazioni , spetta al prefetto il controllo dell’ adempimento degli Enti locali a questo obbligo. L’ obbligo di liquidazione non si applica se le società già costituite abbiano al 31 dicembre 2012 il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzione di capitale conseguenti a perdite di bilancio e non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio alle quali il comune ha l’ obbligo di procedere al ripiano delle perdite;

2. I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere le partecipazioni di una sola società e devono mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011, tutte le altre.

- Legge 190/2014 : la Legge di stabilità 2015, a seguito dell'esigenza riscontrate di ridurre la spesa pubblica, prevede delle norme specifiche sulle società partecipate. Le norme di questa legge, in materia di partecipate, deriva dallo studio svolto da un gruppo di lavoro, guidato dal Commissario Carlo Cottarelli (da qui il nome Piano

35 Cottarelli ), a seguito del mandato ricevuto tramite Legge 89 del 23 Giugno 2014. Il programma di razionalizzazione delle partecipate locali propone una strategia di

riordino con l’obiettivo di ridurre il numero delle partecipate “da 8.000 a 1.000” nel giro di un triennio, di favorirne l’aggregazione e lo sfruttamento di economie di scala e, anche per questa via, di migliorarne l’efficienza, con benefici per la finanza pubblica (i possibili risparmi a regime sono stimati in almeno 2-3 miliardi) e per la qualità dei servizi offerti.

La strategia proposta, al fine quindi di ridurre la spesa pubblica delle partecipate tramite una loro drastica riduzione, può essere suddivisa in 4 cardini :

1) Circoscrivere il campo di azione delle partecipate entro lo stretto perimetro dei compiti istituzionali dell’ente partecipante, rafforzando quanto previsto in proposito dalla legge finanziaria del 2008

2) Introdurre vincoli diretti su varie forme di partecipazioni;

3) Fare ampio ricorso alla trasparenza e alla pressione dell’opinione pubblica adeguatamente informata come strumento di controllo;

4) Promuovere l’efficienza delle partecipate che rimarranno operative, incluso attraverso l’uso diffuso dei costi standard, e l’aggregazione tra partecipate che offrono servizi simili per sfruttare al meglio le economie di scala.

Al fine di promuovere la dismissione delle partecipazioni locali, il piano prevedeva l'introduzione di incentivi sotto forma di :

- gli incentivi fiscali per le operazioni di scioglimento o alienazione; - le procedure di mobilità del personale per le società che si sciolgono;

- l’esclusione dal Patto di stabilità dei proventi derivanti dalle dismissioni o di quotazione di aziende di servizi pubblici locali, a condizione che le entrate vengano utilizzate per gli investimenti.

36 3.2. Il fallimento delle società a partecipazione pubblica

L’aumento esponenziale della presenza e della costituzione di nuove società a partecipazione pubblica nel territorio nazionale ha posto un quesito in merito alla possibilità di una esposizione al fallimento di queste ultime. Infatti queste, pur detenendo la gestione dei servizi pubblici sociali, agiscono nell’ordinamento anche come soggetti economici.

Inoltre, la non sempre corretta gestione delle proprie risorse finanziarie ha dato il via all’inizio del dibattito sulla fallibilità di tali società tra i vari operatori del diritto.

Nel corso degli ultimi anni, non soltanto a livello “didattico” vi sono state delle posizioni contrastanti, ma vi sono diverse testimonianze di pareri opposti in varie sentenze di Tribunale, talune che si ritenevano favorevoli alle procedure di fallimento, altre che escludevano tali realtà dall’assoggettamento a tale disciplina.

Uno dei casi in cui due gradi di giudizio hanno ritenuto la società a partecipazione pubblica soggetta a fallimento riguarda la sentenza del 27 Settembre 2013, n. 22209 . La parte dichiarata fallita era rappresentata da una società partecipata dal Comune di Avellino per una percentuale del 51 % , e dopo aver ricevute due sentenze negative, prima dal tribunale di Avellino e poi dalla Corte d’ Appello di Napoli, ha ricevuto un rigetto anche dalla Corte di Cassazione.

La motivazione di tale scelta, come si può leggere dalla sentenza, risiedono nella scelta del

legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che

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impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità.

In questo caso pertanto, la discriminante della scelta è stato il privilegiare il principio di uguaglianza , ovvero la parità di trattamento, tra società partecipate e soggetti con i quali questa entra in contatto.

Di diverso avviso, invece, è stata la sentenza n. 2338 del 26 Marzo 2010 del Tribunale di Catania. La disputa riguardava una società partecipata, esercente la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi ed urbani, per la quale era stato richiesta la dichiarazione di fallimento da parte di una società creditrice, per la ingente posizione creditoria che questa ultima vantava.

Il tribunale, in calce alla sentenza, motiva il rigetto delle richiesta della società creditrice in questo modo : posto che il carattere della “necessità” è da individuarsi nel senso che la

esistenza delle società in questione è considerata “necessaria” dall’ente territoriale, in quanto inerente allo svolgimento di servizi pubblici essenziali destinati al soddisfacimento di bisogni collettivi, deve concludersi nel senso della esclusione della applicabilità della disciplina privatistica delle procedure concorsuali. In conclusione risulta carente il presupposto di cui all’art. 1 legge fallimentare.

Un secondo esempio di non assoggettabilità a fallimento per le società a partecipazione pubblica è dato dalla sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 09 Gennaio 2009 .

In questo caso la motivazione del rigetto risiedeva, come è possibile evincere dal testo, in “

consistenti limitazioni all’autonomia degli organi societari che derivano dall’ introduzione di previsioni statutarie che ancorano l’operatività della disciplina societaria alla previa adozione di atti di normazione secondaria, il dato della esclusiva titolarità pubblica del capitale sociale, l’ingerenza nella nomina degli amministratori da organi promananti direttamente dallo Stato nonché l’ erogazione da parte dello Stato di risorse finanziarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla raccolta differenziata, conducono al riconoscimento della natura pubblica del soggetto resistente “ .

38 Entrambe le motivazioni riguardano la natura dell’attività svolta della società e, nel secondo caso, riguarda inoltre la composizione del capitale sociale e dell’organo amministrativo.

La nuova norma chiarisce tutti i possibili equivoci e stabilisce che tutte le società a partecipazione pubblica sono soggette alle procedure di fallimento.

A mio avviso, l’introduzione di tale legge era necessaria in quanto, prima di tutto, si sono creati negli anni dei precedenti da ambedue le soluzioni, e ciò è portatore di disparità di trattamento tra due realtà.

In secondo luogo, prendendo spunto dal concetto precedente di parità di trattamento, è corretto assoggettare alle solite norme e alle solite procedure diversi soggetti, ovvero società private e partecipate, le quali entrano in contatto tra loro.

Infine, come richiamato in precedenza, le società a partecipazione pubblica sono un universo in continua espansione, sia economica che numerica, e pertanto, sempre a mio parere, è corretto porre dei limiti oltre i quali tali società non possono spingersi: una società partecipata, la quale risulta debitrice per un ammontare ingente di denaro, può essere considerata come una forma di paralisi dell’economia locale.

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