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La valutazione del rischio di riciclaggio in banca

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

La valutazione del rischio di riciclaggio in banca

Candidato

Relatore

Denise Labita

Prof.ssa Paola Ferretti

(2)

“Numera ciò che è numerabile, misura ciò che è misurabile, e ciò che non è misurabile, rendilo misurabile”

(3)

Introduzione……….………1

CAPITOLO 1 L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA ANTIRICICLAGGIO IN AMBITO BANCARIO 1.1 Il fenomeno del riciclaggio: origini, definizione e fasi………7

1.2 Genesi e sviluppi della normativa antiriciclaggio………9

1.2.1 Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI)………..14

1.2.2 Le Direttive Antiriciclaggio dell’Unione Europea………..16

1.2.2.1 La Direttiva 1991/308/CEE……….18

1.2.2.2 La Direttiva 2001/97/CE………...19

1.2.2.3 La Direttiva 2005/60/CE………..21

1.3 La Direttiva 2015/849/CE………..25

1.4 La disciplina antiriciclaggio nazionale……….…..31

CAPITOLO 2 LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI RICICLAGGIO IN CHIAVE QUARTA DIRETTIVA 2.1 Il risk-based approach: dall’adeguata verifica alla visione olistica………43

2.2 La valutazione sovranazionale dei rischi………52

2.2.1 La Joint Opinion delle AEV sul settore finanziario e bancario………..53

2.2.2 Il Supranational Risk Assessment della Commissione Europea……….58

2.2.2.1 La metodologia………58

2.2.2.2 Gli esiti della valutazione sul settore bancario………63

2.3 La valutazione nazionale dei rischi………69

2.3.1 Il National Risk Assessment: metodologia ed esiti relativi alle banche Italiane………...…..70

2.3.1.1 La valutazione del rischio inerente del sistema………...72

2.3.1.2 L’analisi delle vulnerabilità……….79

(4)

CAPITOLO 3

L’ADEGUATA VERIFICA COME TRAIT-D’UNION TRA IL RISK-BASED

APPROACH E IL PROCESSO DI AUTOVALUTAZIONE BANCARIO

3.1 Premessa……….96

3.2 La nuova ratio dell’adeguata verifica……….97

3.3 Gli obblighi dell’adeguata verifica……….98

3.3.1 Le diverse tipologie di obblighi: misure semplificate e rafforzate…….104

3.4 Il concetto di titolare effettivo………..108

3.5 Gli adempimenti operativi per la valutazione della clientela………109

CAPITOLO 4 IL PROCESSO DI AUTOVALUTAZIONE BANCARIO 4.1 L’importanza della valutazione del rischio nel contesto bancario……….112

4.2 Il processo di autovalutazione: il ritardo normativo dell’Italia………115

4.2.1 La metodologia………...121

4.2.1.1 Identificazione del rischio inerente………121

4.2.1.2 Valutazione delle vulnerabilità………..127

4.2.1.3 Determinazione del rischio residuo………130

4.3 La relazione annuale della funzione antiriciclaggio……….131

4.4 Il rapporto tra l’autovalutazione e il Risk Appetite Framework………133

4.5 Le implicazioni organizzative dell’autovalutazione……….137

Conclusioni……….……..142

Bibliografia………..….145

(5)

Introduzione

La disciplina antiriciclaggio è stata caratterizzata, nel corso degli anni, da uno sviluppo articolato e complesso causato dal crescente grado di globalizzazione e dall’introduzione di nuovi strumenti e tecniche di riciclaggio da parte dei criminali. I primi soggetti ad essere strumentalizzati per il compimento di operazioni illecite e quindi i primi soggetti per i quali la disciplina antiriciclaggio è stata creata, sono stati gli istituti bancari, i quali però sono rimasti “soli” per poco tempo, poiché il legislatore comunitario, data la rapida espansione delle nuove minacce di riciclaggio, ha riscontrato la necessità di inserire all’interno della normativa attualmente in vigore una platea sempre più vasta di destinatari.

Tali soggetti, coadiuvati da un adeguato framework regolamentare in materia di antiriciclaggio, hanno il compito e il potere di prevenire e di mitigare, qualora si manifesti, il rischio derivante dal compimento di attività illecite da parte dei criminali. In linea generale, affinché i soggetti destinatari possano effettuare una corretta gestione dei rischi a valle, è necessario che presentino a monte un preciso e adeguato processo di valutazione volto ad identificare i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo a cui il soggetto è sottoposto durante lo svolgimento della propria attività, in modo tale da determinare le misure di contrasto più adeguate a ciascuna situazione.

Il processo di valutazione dei rischi, come verrà chiarito nel corso dell’esposto, risulterà ancora più efficiente attraverso l’applicazione del c.d. approccio basato sul rischio, introdotto dal legislatore comunitario con la Direttiva 2005/60/CE e nel nostro ordinamento con il D.lgs. 231/2007. Con l’evoluzione della disciplina antiriciclaggio e con il recepimento della Direttiva 2015/849/CE e del D.lgs. 90/2017 in particolare, si è evoluto anche tale approccio, prevedendo l’introduzione di una visione “olistica” del rischio, volta al compimento di una valutazione sempre più precisa e puntuale, facendo sì che il risk-based approach divenisse lo strumento di base per l’applicazione della disciplina antiriciclaggio in un’ottica di valutazione e gestione del rischio.

Sulla base di quanto appena esposto infatti, il presente elaborato ha lo scopo di mettere in luce l’impatto che ha avuto il recepimento della Quarta Direttiva sulla valutazione del rischio di riciclaggio, sottolineando l’importanza che essa assume nel settore bancario, al fine di una corretta gestione e mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

(6)

Alla luce di ciò il primo capitolo, al fine di giungere ad un’adeguata comprensione della disciplina attualmente in vigore, illustra l’evoluzione dell’intero quadro regolamentare antiriciclaggio in ambito bancario, dagli albori fino ad oggi, sia a livello comunitario che nazionale, evidenziando le differenze e le novità introdotte dal legislatore, e mettendo in luce l’importante ruolo svolto a livello internazionale del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale.

Il secondo capitolo invece, descrive il risk-based approach, evidenziandone l’importanza che assume nella valutazione del rischio, la sua stretta relazione con le regole di vigilanza prudenziale, nonché la sua evoluzione nel tempo fino al raggiungimento della visione “olistica” introdotta dalla Direttiva 2015/849/CE. Essa infatti prevede una nuova struttura gerarchica di valutazione basata su tre livelli: sovranazionale, nazionale, e a livello di singolo intermediario. Per il primo livello verranno analizzate la metodologia e gli esiti della valutazione che è stata condotta a livello comunitario dalla Commissione Europea; anche per il secondo livello, ovvero quello nazionale, verranno analizzate metodologia ed esiti della valutazione, in questo caso condotta dal Comitato di Sicurezza Finanziaria, considerando inoltre, il parere relativo all’Effectiveness e alla Technical Compliance fornito dal GAFI e dal FMI all’interno della Mutual Evaluation.

Il terzo capitolo poi, introduce il concetto di adeguata verifica, illustrando le caratteristiche di tale obbligo all’interno del contesto bancario, evidenziandone specificità e implicazioni operative, nonché mettendo in luce l’importante ruolo che riveste, come elemento di raccordo tra l’approccio basato sul rischio e il processo di autovalutazione bancario dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Infine il terzo ed ultimo capitolo, analizzerà il processo di autovalutazione del rischio che deve essere effettuato annualmente da ciascuna banca, al fine di comprendere i rischi che essi affrontano nello svolgimento delle rispettive attività. Dato l’interesse riscontrato sul tema, si è deciso di approfondire l’argomento al fine di comprendere quali siano stati gli interventi organizzativi messi in atto da ciascun intermediario, alla luce della recente introduzione dell’obbligo di autovalutazione. In particolare, si è ritenuta utile la consultazione di esperti del settore, al fine di poter delineare la metodologia utilizzata, in modo specifico nel settore retail, affinché si potesse dimostrare l’importanza che la valutazione del rischio di riciclaggio ha assunto anche a livello bancario.

(7)

Capitolo I – L’evoluzione della disciplina antiriciclaggio in

ambito bancario

1.1 Il fenomeno del riciclaggio: origini, definizione e fasi

Il riciclaggio di denaro è un fenomeno che caratterizza i mercati globali fin dai primi anni del ‘900; infatti, il termine “riciclaggio di denaro sporco” corrisponde all’inglese “money laundering”, termine che risale agli anni ’20, quando veniva utilizzato dalla polizia americana per descrivere le operazioni messe in atto dalla criminalità organizzata per immettere nell’economia i proventi del narcotraffico. In particolare, la mafia americana faceva proprio uso di “laundrettes”, ovvero lavanderie a gettoni, nelle quali venivano fatti confluire i proventi delle loro attività illecite al fine di dargli un’apparente origine legittima.

Non si può però, procedere all’analisi delle misure di prevenzione e contrasto del riciclaggio senza averne compreso la natura e che cosa si intenda con il termine “riciclaggio”. Si tratta, in particolare, di un processo tramite il quale proventi di natura illecita (denaro, valori o beni) vengono occultati, ripuliti e successivamente reinvestiti nell’economia legale.

A partire dall’ultimo decennio, il riciclaggio di denaro sporco ha iniziato a rappresentare uno dei problemi più allarmanti per la vita dei paesi economicamente avanzati, compreso il nostro. Tra le cause complici del fenomeno, rivestono particolare importanza:

 La maggiore sofisticazione dei servizi di investimento;

 I progressi della tecnologia, come le nuove comunicazioni tramite internet e altri sistemi on line che consentono di velocizzare il trasferimento di capitali;

 La globalizzazione dei mercati, e quindi l’integrazione anche con paesi caratterizzati da “economie emergenti”;

 Nel contesto europeo, l’adozione della moneta unica1.

Purtroppo, però, in molti casi non si è riusciti a comprendere la gravità di questo fenomeno, a causa dell’assenza di strumenti utili per la sua individuazione. Ecco perché il legislatore ha deciso di classificare il riciclaggio come reato e di introdurre una

1 R. RAZZANTE, Il riciclaggio come fenomeno transnazionale: normative a confronto, Giuffrè Editore,

(8)

disciplina sia preventiva che repressiva, affinché si potesse risolvere questa difficoltà e per evitare che i soggetti economici venissero strumentalizzati per ripulire i proventi derivanti da attività criminose.

Ad ogni modo, nello studiare il fenomeno del riciclaggio sono stati individuati e proposti vari modelli, ripartiti in tre tipologie principali: modelli a ciclo, modelli a scopo e modelli a fasi2.

Secondo il primo modello si ha un processo continuo in cui i proventi illeciti vengono introdotti in parte nell’economia legale e in parte in quella illegale; nel primo caso vengono in parte destinati al consumo e in parte utilizzati per produrre ulteriori ricchezze, le quali a loro volta possono rimanere nel circuito legale o essere spostate in quello criminale; nel secondo caso invece, vengono impiegate direttamente o indirettamente, per la produzione di ricchezza illecita, e in ogni caso il ciclo si ripete. Il secondo modello fa riferimento alla finalità immediata dell’operazione di riciclaggio, che può essere di finanziamento di attività criminali, investimento nell’economia legale, di consumo, ecc.

Il terzo modello invece, è quello più diffuso, e può essere composto da due o tre fasi. I modelli bifasici individuano solitamente una fase di ripulitura, costituita per lo più da operazioni a breve termine volte a dare un’apparenza lecita al denaro, seguita da una fase di riutilizzo, costituita da operazioni a medio-lungo termine di reimmissione del denaro nell’economia legale.

Il modello trifasico invece distingue tra:

1) Fase di collocamento (o placement): consiste nello sbarazzarsi dei proventi del reato, sotto forma di beni o denaro contante, collocandoli presso intermediari od operatori finanziari mediante una serie di operazioni (deposito, cambio valuta, trasferimento, acquisto, ecc.) per poi utilizzarli per il successivo compimento di operazioni.

2) Fase di stratificazione (o layering): è la fase di "lavaggio" del denaro sporco tramite l'effettuazione di un susseguirsi di operazioni finanziarie (che quindi si “stratificano” l’una sull’altra) al fine di ostacolare la ricostruzione investigativa dei flussi finanziari;

3) Fase di integrazione (o integration): è l’ultima fase, cioè quella in cui, una volta ripulito il denaro, esso viene immesso e impiegato (quindi “integrato”)

2 F. S

CAPELLATO, Il Fenomeno del Riciclaggio e la normativa di contrasto, Giappichelli Editore, Torino, 2013

(9)

nell’economia legale. Anche in questa fase ci si può servire di intermediari, operatori finanziari o professionisti per ostacolare la possibilità di svolgere indagini incisive che permettano di accertare la reale titolarità della ricchezza.

1.2 Genesi e sviluppi della normativa antiriciclaggio

Per comprendere pienamente il fenomeno del riciclaggio di denaro sporco e, di conseguenza, affrontare i problemi che incontrano le relative politiche per la prevenzione e il contrasto, è necessario analizzare il contesto in una prospettiva internazionale.

In particolare, questo fenomeno nasce e si consolida per la presenza di due elementi strettamente correlati: da un lato, la crescente globalizzazione dei flussi di riciclaggio; dall’altro, il persistere di forti segmentazioni e disomogeneità che caratterizzano le legislazioni adottate dai vari Paesi3.

È per questo motivo che è nata la necessità di contrastare questo fenomeno attraverso una normativa internazionale sempre più armonizzata, in modo tale da ridurre al minimo le varie discrepanze regolamentari a livello dei singoli ordinamenti.

L’assenza di uno specifico framework regolamentare e la presa di coscienza, da parte dei vari Stati, delle strette connessioni che si erano create con la criminalità organizzata e delle conseguenti ripercussioni che avrebbero caratterizzato l’organizzazione del mercato e l’intero sviluppo dell’economia, sono stati i fattori che hanno fatto nascere nei legislatori dei vari Stati, l’esigenza di arginare le lacune presenti nei vari ordinamenti riguardo al problema del riciclaggio e del reimpiego di denaro derivante da attività illecite.

Tali conseguenze hanno destato forti preoccupazioni in capo alle autorità governative, nazionali ed estere, le quali hanno deciso di intervenire, attraverso l’emanazione di provvedimenti legislativi ad hoc per colmare queste lacune. Questa attività di regolamentazione nacque inizialmente con l’obiettivo di evitare che le risorse finanziarie appartenenti alla criminalità venissero introdotte all’interno dell’economia legale, attraverso i canali dell’intermediazione finanziaria. Proprio per questo motivo,

(10)

originariamente, la disciplina antiriciclaggio era rivolta esclusivamente al sistema finanziario e bancario e solo successivamente, è stata estesa anche ad altre categorie di soggetti diversi da banche e intermediari finanziari.

Inoltre, in ambito antiriciclaggio ritenere efficace una regolamentazione statica è impensabile; la normativa infatti, deve evolversi in continuazione seguendo i continui cambiamenti delle strutture della criminalità organizzata, delle innovazioni finanziarie e dei mutamenti delle modalità con cui agiscono i criminali nei settori economici. Soltanto attraverso un costante monitoraggio del fenomeno nel tempo, è possibile realizzare un’azione veramente efficace di contrasto al riciclaggio di proventi di origine illecita. Gli organismi internazionali e nazionali, di conseguenza, hanno collaborato e collaborano tuttora dedicando il loro perenne impegno alle azioni di contrasto al reimpiego, nell’economia legale, di denaro e beni di provenienza illecita, attraverso un affinamento delle tecniche di prevenzione e repressione, nonché adeguamenti e miglioramenti dei sistemi normativi e di controllo di tale fenomeno.

Una efficace legislazione antiriciclaggio, infatti, non ha come unico obiettivo il contrasto del fenomeno, ma cerca anche di creare una fitta rete di protezione del sistema economico mediante strategie di prevenzione.

In quest’ottica, i primi passi della lotta al riciclaggio risalgono agli anni ’80 quando la comunità internazionale prese coscienza della rilevanza di questo fenomeno, così da dare il via a provvedimenti volti a tutelare il sistema economico.

Il primo documento in materia è stato la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 80 (10) del 27 giugno 1980 intitolata: “Misure contro il trasferimento e l’occultamento dei capitali di origine criminale4”, la quale invitava i legislatori ad intervenire sui sistemi bancari, introducendo misure idonee a prevenire l’ingresso di capitali illeciti all’interno delle istituzioni finanziarie e creditizie, sottolineando il fatto che il sistema bancario, mediante un’idonea collaborazione degli istituti di credito, volta ad agevolare il lavoro delle autorità giudiziarie e di polizia, potesse risultare di ausilio alla prevenzione del riciclaggio in modo estremamente efficace.

In sintesi si richiedeva alle banche di:

 Controllare l’identità dei propri clienti, sulla base di documenti ufficiali, all’atto di instaurazione del rapporto o nel caso di operazioni in contanti di importo superiore a una certa entità;

4 C

ONSIGLIO D’EUROPA, Raccomandazione n. R (80) 10 sulle Misure contro il trasferimento e la custodia

(11)

 Sviluppare la cooperazione in tema di scambio di informazioni, a livello nazionale e sovranazionale, con le autorità giudiziarie e investigative;

 Adottare misure cautelari ed istituire meccanismi di controllo casuali o sistematici per verificare la provenienza del denaro5.

Il cardine di tutto il successivo sviluppo della normativa internazionale riguardante la lotta al riciclaggio è rappresentato dalla “Dichiarazione dei principi sulla prevenzione dell’utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita” meglio nota come Dichiarazione del Comitato di Basilea del 12 dicembre 19886. Questo documento, come il precedente, indica il raggiungimento di un certo grado di consapevolezza riguardo al coinvolgimento del sistema bancario in operazioni criminali, e quindi lo scopo della Dichiarazione è quello di delineare alcuni criteri fondamentali che le banche dovrebbero applicare allo scopo di contribuire alla repressione del riciclaggio di fondi di provenienza illecita attraverso il sistema bancario nazionale e internazionale. La Dichiarazione si propone pertanto di rafforzare la prassi seguita a questo riguardo nell’ambito bancario, e in particolar modo di incoraggiare la vigilanza contro l’uso criminoso del sistema dei pagamenti, l’attuazione da parte delle banche di misure preventive di salvaguardia e la collaborazione con le autorità giudiziarie e di polizia7.

La Dichiarazione si articola in cinque punti, che rappresentano gli obiettivi comuni ai quali gli istituti di credito di tutti i Paesi aderenti devono adeguarsi. Questi obiettivi tuttavia, non hanno alcuna forza vincolante, bensì sono delle best practicies a cui l’attività bancaria si deve ispirare, e alle quali si sono ispirati molti Stati, nonostante la natura informale8.

Tra i principi enunciati, tre meritano particolare attenzione: il primo è costituito dall’obbligo di identificazione della clientela, già previsto dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa, ma limitato ai soli soggetti che richiedono i servizi all’intermediario, e non anche ai titolari effettivi dell’operazione, come in questo caso;

5 R.R

AZZANTE, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli Editore, Torino, 2011, pag.29.

6 “Dichiarazione dei principi sulla prevenzione dell’utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita”, adottata a Basilea il 12 dicembre 1988 dal Comitato Cooke

della Banca dei Regolamenti Internazionali. Tale comitato era composto dai rappresentanti delle Banche Centrali e delle Autorità di Vigilanza Bancaria dei paesi che costituiscono il “Gruppo dei dieci” (Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Olanda, Regno Unito, Svezia, Svizzera e Stati Uniti).

7 BASEL COMMITTEE OF BANKING SUPERVISION Prevenzione dell’utilizzo del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita, 1988.

8 M.C

ONDEMI.,F.DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto

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il secondo riguarda l’impegno delle banche ad evitare il proprio coinvolgimento in operazioni sospette, rinunciando al compimento dell’operazione stessa, qualora abbiano buone ragioni di ritenere che sia collegata all’attività di riciclaggio; il terzo principio, strettamente collegato a quello precedente, riguarda la piena collaborazione delle banche con l’autorità giudiziaria e gli organi di polizia.

Ma il primo atto importante a livello internazionale, che segna il punto di svolta nell’evoluzione delle normative antiriciclaggio è rappresentato dalla “Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope9”, tenutasi a Vienna il 19 dicembre 1988. L’importanza attribuita a questa dichiarazione è rappresentata dal fatto che per la prima volta un organismo internazionale, quale l’ONU, ha deciso di adottare un provvedimento con il chiaro intento di contrastare il riciclaggio di denaro sporco, e questo lascia trasparire la presa di coscienza da parte di tale organismo, della necessità di non lasciare impunito tale reato.

Questa Convenzione, inoltre, ha fornito per la prima volta una definizione della fattispecie di riciclaggio, seppur limitata ai proventi derivanti da traffici illeciti di stupefacenti e sostanze psicotrope.

Tale Convenzione rappresenta anche il primo atto normativo vincolante con valenza internazionale, e in particolare, inizia ad assumere rilievo il fatto che ciascuno Stato, nel proprio ordinamento giuridico, debba adottare tutti i provvedimenti necessari per attribuire il carattere di reato a una serie di condotte, quali: la conversione, il trasferimento, la dissimulazione o la contraffazione dell’origine di beni o di proventi derivanti dal traffico di stupefacenti o di sostanze psicotrope. In questa prospettiva, la Convenzione di Vienna rappresenta il primo vero atto che criminalizza il riciclaggio, anche se tale criminalizzazione, per il momento, risulta limitata ai reati sopra indicati. Un altro atto rilevante del Consiglio d’Europa è stato quello della Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre 1990 sul “Riciclaggio, identificazione, sequestro e confisca dei proventi di reato10”, che rappresenta uno dei primi passi verso l’adozione di una politica antiriciclaggio comune poiché gli Stati firmatari si impegnano ad adottare metodi finalizzati al raggiungimento di una maggiore omogeneità nella lotta al riciclaggio. Questa Convenzione rileva per due importanti aspetti: il primo riguarda

9 ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE, Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope, Vienna, 19 dicembre 1988.

10 C

ONSIGLIO D’EUROPA, Riciclaggio, identificazione, sequestro e confisca dei proventi di reato, Strasburgo, 8 novembre 1990.

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la creazione di efficaci normative nazionali sulla repressione del riciclaggio e sulla confisca di beni di provenienza illecita; il secondo è quello di aver fornito la base normativa internazionale necessaria affinché gli stati potessero godere della collaborazione reciproca, nei casi in cui l’attività di riciclaggio avesse assunto carattere transnazionale11.

Questo documento risulta essere molto importante a livello internazionale anche per un altro aspetto, ovvero quello di aver ampliato il novero delle fattispecie di riciclaggio introdotte dalla Convenzione di Vienna due anni prima.

La Convenzione purtroppo però, non è riuscita a perseguire il suo scopo di armonizzazione delle legislazioni nazionali, in quanto risulta impossibile prevedere fattispecie di reato identiche, per paesi con ordinamenti giuridici differenti. Nonostante ciò, è riuscita a creare le fondamenta della disciplina antiriciclaggio nazionale in ciascun paese membro, attraverso la definizione di principi guida cui adeguarsi. Degna di nota infine, è stata anche la Convenzione di Palermo del 15 dicembre 200012, anch’essa promotrice della cooperazione internazionale finalizzata ad un efficace prevenzione e repressione del crimine organizzato a livello transnazionale. Il contributo di tale Convenzione è stato quello di “ribattezzare” il reato di riciclaggio come crimine internazionale, chiedendo agli Stati di classificarlo nelle loro legislazioni come reato grave, qualora non fosse stato ancora catalogato in tal senso13.

E va segnalato inoltre, che tra le varie disposizioni in tema di riciclaggio disposte dalla Convenzione di Palermo, viene indicata l’opportunità di costituire Financial Intelligence Units per ogni Stato, incaricate della raccolta, analisi e trasmissione delle informazioni attinenti ai possibili casi di riciclaggio14.

11 R.RAZZANTE, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Op. Cit., pag 34 12 O

RGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE, Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità

organizzata transnazionale, Palermo, 15 dicembre 2000. 13 R.R

AZZANTE, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Op. Cit., pag 35

14 E.F

ISICARO, Antiriciclaggio e Terza Direttiva UE - Obblighi a carico dei professionisti intermediari

(14)

1.2.1. Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI)

Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale – GAFI15 (noto anche come Financial Action Task Force – FATF) nasce nel 1989 come organizzazione intergovernativa, creata sulla base di un mandato conferito dai Governi dei Paesi maggiormente industrializzati, con lo scopo di ideare e promuovere strategie di contrasto del riciclaggio a livello nazionale e internazionale. La sua azione viene posta in essere tramite l’emanazione di “Raccomandazioni”, che devono essere recepite dagli ordinamenti dei singoli Stati.

Inizialmente il mandato affidato al GAFI era quello di effettuare un monitoraggio a livello internazionale del fenomeno del riciclaggio, che è sfociato poi nella redazione della prima versione delle attuali 40 Raccomandazioni, nel febbraio del 1990. Così, col passare del tempo, quella che doveva sembrare una task force temporanea è divenuta un organismo politico permanente, le cui raccomandazioni vengono riconosciute come standard internazionali per la lotta contro il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Data la natura di questo organismo, le raccomandazioni pur non avendo la forza di vere e proprie norme giuridicamente vincolanti, hanno avuto e hanno attualmente fondamentale rilievo sulla strategia complessiva dei controlli ai fini della prevenzione del riciclaggio16.

In particolare, le funzioni del GAFI sono le seguenti:

 monitorare l'avanzamento degli Stati membri nell'attuazione delle misure necessarie per prevenire l’utilizzo del sistema bancario e finanziario a scopo di riciclaggio;

 analizzare le tecniche di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo e le misure per contrastarle;

15 Il GAFI nasce nel vertice del G7 tenutosi a Parigi nel 1989, durante il quale fu assunta la decisione di

creare un gruppo di esperti con il compito di valutare i risultati ottenuti dalla collaborazione internazionale, al fine di prevenire l’utilizzazione per scopi di riciclaggio del sistema bancario e finanziario e di elaborare ulteriori misure in tale campo. Furono inizialmente invitati a prendere parte ai lavori del Gruppo, oltre ai partecipanti del vertice del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti), la Commissione delle Comunità Europee e altri otto stati caratterizzati dalla rilevanza dei loro sistemi finanziari e delle loro esperienze nel campo della lotta al riciclaggio (Australia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera).

16 M.C

ONDEMI.,F.DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto

(15)

 mantenere un programma di relazioni esterne fra i paesi aderenti al GAFI e quelli non aderenti, per favorire la massima diffusione possibile delle misure di contrasto al riciclaggio.

Originariamente elaborate nel 1990 al fine di contrastare l’uso improprio dei sistemi finanziari per riciclare i proventi del narcotraffico, le Quaranta Raccomandazioni GAFI sono state revisionate per la prima volta nel 1996, al fine di riflettere l’evoluzione delle tendenze e delle tecniche del riciclaggio ed estendere il proprio raggio d’azione al di là del contrasto del riciclaggio dei proventi del narcotraffico. Nell’ottobre 2001 il GAFI ha esteso il proprio mandato alla lotta al finanziamento del terrorismo, e ha introdotto le Otto (successivamente divenute Nove) Raccomandazioni Speciali sul Finanziamento del Terrorismo, di cui però non mi occuperò nel corso della trattazione. Nuovamente revisionate nel 2003, le Raccomandazioni GAFI sono state approvate, unitamente alle Raccomandazioni Speciali, da oltre 180 Paesi e sono universalmente riconosciute quali standard internazionali in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo.

Le attuali 40 Raccomandazioni recanti gli “International strandards on combating money laundering and the financing of terrorism & proliferation17”, aggiornate nel 2012, cui hanno fatto seguito le 9 Raccomandazioni speciali in materia di finanziamento del terrorismo, forniscono delle misure volte a combattere il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo e rappresentano gli standard internazionali che ciascun paese deve recepire nel proprio sistema giuridico al fine di:

 Identificare i rischi e sviluppare politiche coerenti a livello nazionale;

 Contrastare il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo e il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa;

 Applicare misure preventive destinate al settore finanziario e ad altri settori designati;

 Dotare le autorità competenti (autorità investigative, forze dell’ordine e autorità di vigilanza) di poteri e responsabilità necessari ed attuare altre misure istituzionali;

 Accrescere la trasparenza e la disponibilità di informazioni sul titolare effettivo di persone giuridiche ed accordi legali;

17 F

ATF -GAFI, International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism

(16)

 Facilitare la cooperazione internazionale.

Le modifiche apportate in quest’ultimo aggiornamento rispondono alle nuove minacce emergenti e chiariscono e consolidano molti degli obblighi già esistenti, pur preservando la stabilità ed il rigore originari.

I paesi devono innanzitutto individuare, valutare e comprendere i rischi a cui sono esposti in materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, per poi procedere all’adozione di misure adeguate volte a mitigare tali rischi in proporzione alla loro entità. Nell’ambito degli adempimenti GAFI, l’approccio basato sul rischio consente ai paesi, di adottare misure più flessibili volte a concentrare le proprie risorse in maniera più efficace ed applicare misure preventive proporzionali alla natura dei rischi a cui si è esposti.

Ovviamente, il GAFI riconosce che le varie Nazioni abbiano sistemi legali e finanziari diversi e che quindi non tutte possano adottare le stesse misure per raggiungere un obiettivo comune. Per questo motivo le Raccomandazioni stabiliscono degli standard minimi di azione in modo tale che ciascuna nazione possa adeguare queste misure alle caratteristiche del proprio contesto regolamentare18.

Le misure contenute negli standard previsti dal GAFI, devono essere recepite da tutti gli Stati Membri, e lo stadio di avanzamento del loro recepimento è analizzato attraverso processi di Mutual Evaluations e valutazioni condotte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, sulla base della comune metodologia di valutazione del GAFI19.

1.2.2. Le Direttive antiriciclaggio dell’Unione Europea

Nell’analizzare il contesto internazionale, non bisogna trascurare il fatto che anche l’Unione Europea ha adottato specifiche misure al fine di tutelare l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi illeciti20.

18 F

ATF -GAFI, International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism

and Proliferation, Op. Cit.

19 Cfr. FATF-GAFI, Methodology for Assessing Compliance with the FATF Recommendations and the Effectiveness of AML/CFT Systems, Paris, 2013, updated November 2017

(17)

Le regole comunitarie relative alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio, hanno recepito, nel tempo, l’evoluzione dei principi internazionali, con l’obiettivo di realizzare un ambiente normativo armonizzato tra gli Stati Membri.

L’impegno dell’Unione Europea in ambito preventivo in particolare, è stato caratterizzato a partire dagli anni ’90, dall’emanazione di quattro direttive:

 Direttiva 1991/308/CEE del 10 giugno 1991;

 Direttiva 2001/97/CE del 4 dicembre 2001;

 Direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005;

 Direttiva 2015/849/CE del 20 maggio 2015;

tese a definire, in linea con i principi internazionali, un framework di riferimento composto da regole generali che gli Stati membri sono tenuti a recepire nelle rispettive legislazioni nazionali.

Il motivo per cui l’Unione Europea ha preferito utilizzare lo strumento giuridico della Direttiva, anziché del Regolamento, può esplicarsi nel fatto che, poiché si interveniva in una materia che per i destinatari non aveva precedenti basi, e poiché i contenuti sostanziali della normativa si rivolgevano soprattutto a soggetti operanti nell’ambito di attività sensibili, quali il settore finanziario e bancario, era necessario utilizzare uno strumento giuridico che concedesse ai destinatari il tempo necessario per uniformarsi a tali disposizioni, al fine di poter dare concreta attuazione alle previsioni normative di derivazione comunitaria. La Direttiva è, infatti, un atto vincolante, che impone ai suoi destinatari, il raggiungimento di un obiettivo prefissato, pur lasciando agli stessi piena autonomia sulle modalità di azione. La Direttiva in particolare, individua un obiettivo comune per tutti gli Stati membri, concedendo autonomia nella scelta delle modalità attraverso le quali raggiungerlo, nel pieno rispetto delle caratteristiche di ogni singolo ordinamento giuridico. Lo scopo finale è, in sostanza, quello di assicurare un minimo comune denominatore di tutela, valido per tutti gli Stati membri. Se invece, le stesse disposizioni fossero state previste da un Regolamento, anch’esso rientrante nella categoria degli atti vincolanti, queste sarebbero state di immediata attuazione e integralmente vincolanti per i destinatari, e quindi, banche, intermediari finanziari e tutti gli altri soggetti, non avrebbero avuto il tempo necessario per uniformarsi a tale stringente regolamentazione.

Inoltre, l’intervento dell’Unione Europea mediante le Direttive Antiriciclaggio si fondava su una duplice necessità: da un lato quella di prevenire e di tutelare il sistema finanziario e gli intermediari che vi operano dal rischio derivante da una loro illecita

(18)

strumentalizzazione ai fini del riciclaggio di denaro sporco, minacciando così il sistema economico nel suo complesso; dall’altro, quella di contrastare il riciclaggio ed evitare che ciascuno Stato adottasse provvedimenti in materia, in contrasto con l’obiettivo di armonizzazione minima. La preoccupazione della stabilità del mercato unico europeo ha portato così l’Unione Europea a predisporre una legislazione di base in materia di antiriciclaggio, comune a tutti gli Stati membri.

1.2.2.1 La Direttiva 1991/308/CEE

La normativa vigente trae origine dalla Direttiva 1991/308/CEE (c.d. Prima Direttiva Antiriciclaggio), emanata il 10 giugno 1991 e relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, con la quale si è inteso affidare al sistema finanziario, in particolar modo alle banche e agli intermediari finanziari, un ruolo di prevenzione del crimine attraverso l’analisi delle transazioni finanziarie21.

Tale Direttiva, si è chiaramente ispirata sia alla Dichiarazione del Comitato di Basilea del 1988, sia agli orientamenti del Consiglio di Europa, che a quelli delle Nazioni Unite, definendo il reato di riciclaggio in relazione a quelli connessi con il traffico di stupefacenti, imponendo obblighi solo al settore finanziario22. Nonostante questi “limiti contenutistici”, la Direttiva ha svolto un ruolo fondamentale nella lotta all’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, dato che è stata il trampolino di lancio per il coordinamento dei legislatori degli Stati Membri, intenzionati a colmare la lacuna che esisteva in ambito regolamentare riguardo alla disciplina di contrasto del fenomeno del money laundering.

Per quanto riguarda i contenuti della Direttiva, di particolare rilevanza appaiono:

 la previsione di una definizione di “riciclaggio” sufficientemente ampia;

 l’obbligo per gli Stati membri, di prevedere nel proprio codice penale, il riciclaggio come reato;

 l’obbligo di indentificare i clienti che compiono operazioni di importo pari o superiore a 15.000 euro, anche se effettuate in maniera frazionata;

21 R.R

AZZANTE, Il riciclaggio come fenomeno transnazionale: normative a confronto, Giuffrè Editore, Milano, 2014, pag.194-195.

(19)

 l’obbligo di conservazione della documentazione relativa alle operazioni effettuate per mezzo di intermediari finanziari, per almeno cinque anni;

la prescrizione di una piena collaborazione attiva degli intermediari con le Autorità, fornendo a quest’ultime, tutte le informazioni necessarie in caso di operazioni sospette;

 l’obbligo per gli enti creditizi e finanziari di astenersi dall’eseguire operazioni che hanno ragionevolezza di essere ritenute sospette;

 l’esortazione agli Stati membri affinché gli enti interessati adottino idonee procedure di controllo interno e di formazione del personale, che consentano ai dipendenti di individuare con maggiore efficacia le operazioni sospette. Gli obiettivi perseguiti attraverso questa Direttiva consentivano di incrementare la trasparenza del mercato e dei suoi flussi e favorivano l’individuazione delle operazioni “sospette di riciclaggio”.

In conclusione, al fine di colmare le lacune regolamentari, lo scopo di tale Direttiva è stato quello di prevedere una serie dettagliata di misure, da rendersi obbligatorie negli Stati Membri mediante l’adozione di adeguati provvedimenti legislativi nazionali di recepimento, che costituissero una disciplina minima uniforme, al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario per la trasformazione di proventi di attività criminali in ricchezze di origine apparentemente lecita23.

1.2.2.2 La Direttiva 2001/97/CE

Nonostante la Prima Direttiva Antiriciclaggio sia stata uno dei principali strumenti internazionali per la lotta contro il riciclaggio di denaro sporco, essa, dopo circa dieci anni è stata oggetto di modifica e di integrazione mediante la Direttiva 2001/97/CE del 4 dicembre 2001.

La cosiddetta Seconda Direttiva Antiriciclaggio nasce dalla convinzione che fosse giunto il momento di adeguare la precedente Direttiva ai nuovi sviluppi assunti dal fenomeno del riciclaggio, alla luce dell’evoluzione degli strumenti di pagamento disponibili nei mercati finanziari e dall’esigenza di estendere questa disciplina anche a settori non finanziari ritenuti particolarmente esposti al rischio di riciclaggio.

(20)

Infatti, il legislatore comunitario incentra la sua azione su due punti cardinali: la previsione di una nuova definizione di riciclaggio24 e una più compiuta e rivisitata individuazione di soggetti sottoposti agli obblighi.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la Seconda Direttiva accresce il sistema di protezione del settore finanziario introducendo nuove attività suscettibili di essere interessate da attività criminose; ovvero, viene stabilito un ampliamento delle fattispecie criminose considerate base o presupposto delle attività di riciclaggio, nonché si estende la normativa ad attività non finanziarie suscettibili di essere utilizzate a scopo di riciclaggio25.

Per quanto riguarda il secondo aspetto la Direttiva estende il campo di applicazione delle misure antiriciclaggio oltre il mondo dell’intermediazione finanziaria, prevedendo obblighi particolari anche per le persone giuridiche e fisiche, quando agiscono nell’esercizio della loro attività professionale, quali: revisori, contabili esterni, consulenti tributari, agenti immobiliari, notai, avvocati, commercianti di oggetti di elevato valore ecc., quando il pagamento sia effettuato in contanti e per un importo pari o superiore a 15.000 euro26. Gli obblighi cui questi ultimi vengono sottoposti sono gli stessi che erano previsti dalla Prima Direttiva antiriciclaggio e consistono nell’identificazione della clientela, nella registrazione delle operazioni, nella conservazione della relativa documentazione per almeno cinque anni e nella segnalazione di operazioni sospette alle autorità responsabili del contrasto del riciclaggio27.

A dire il vero, il legislatore comunitario ha ridefinito anche alcuni obblighi antiriciclaggio, in particolare quello di identificazione della clientela e di collaborazione con le autorità competenti28. In particolare, è stato evidenziato come l’evoluzione degli strumenti tecnologici e dei sistemi di pagamento online, sviluppatosi nel corso degli anni, rendessero possibile aggirare i sistemi di controllo progettati con la prima Direttiva comunitaria. Al riguardo, la Direttiva stabilisce l’obbligo di assicurare l’identificazione delle cosiddette non face-to-face-transactions, relative all’impiego di strumenti tecnologici innovativi che consentono, attraverso il

24 Cfr. Direttiva 2001/97/CE, art. 1

25 E.FISICARO, Antiriciclaggio e Terza Direttiva UE - Obblighi a carico dei professionisti intermediari finanziari e operatori non finanziari alla luce del D. Lgs. 231/2007, Op. Cit., pag.20.

26 Cfr. Direttiva 2001/97/CE, art.2 27 B. Q

UATTROCIOCCHI, Norme regole e prassi nell’economia dell’antiriciclaggio internazionale, Giappichelli Editore, Torino 2017, pag.21

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compimento di operazioni a distanza, l’anonimato e il venir meno del rapporto fisico tra intermediario finanziario o bancario e cliente, che rende così più complesso il procedimento di identificazione e di ricostruzione del percorso dell’operazione finanziaria.

Per ultimo, ma non per importanza, la nuova Direttiva stabilisce l’obbligo di collaborazione con le autorità responsabili per la lotta al riciclaggio, sia comunicando ogni fatto che possa costituire un indizio di riciclaggio, sia fornendo tutte le informazioni necessarie in conformità delle procedure stabilite dalla legislazione comunitaria29.

1.2.2.3 La Direttiva 2005/60/CE

La Direttiva 2005/60/CE o “Terza Direttiva Antiriciclaggio” relativa alla prevenzione e all’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo è stata adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 26 ottobre 2005.

Questo provvedimento ha rinnovato completamente l’intera disciplina antiriciclaggio, abrogando le due precedenti Direttive (la Direttiva 91/308/CEE era già stata modificata dalla Direttiva 2001/97/CE) ed ampliandone la portata all’intero sistema economico, così da realizzare una normativa più completa e armonica, capace di tener conto dell’evoluzione di tale fenomeno criminale e delle indicazioni fornite dai trattati internazionali per la lotta al money laundering.

Il provvedimento, più ampio e articolato dei precedenti, accanto a puntualizzazioni e integrazioni delle disposizioni già previste, presenta aspetti profondamente innovativi che hanno costretto il legislatore nazionale, entro il 15 dicembre 2007, ad una profonda revisione della legislazione vigente al fine di adeguarla al nuovo quadro30.

La Terza Direttiva Antiriciclaggio, considera il fatto che gli ingenti flussi di denaro provenienti da attività criminose possano danneggiare la stabilità e la reputazione del settore finanziario e minacciare il mercato unico europeo, pertanto essa si presenta

29 E.FISICARO, Antiriciclaggio e Terza Direttiva UE - Obblighi a carico dei professionisti intermediari finanziari e operatori non finanziari alla luce del D. Lgs. 231/2007, Op. Cit., pag.20.

30 M. L

EMBO,A.SCIALOJA, Antiriciclaggio. Guida normativa e adempimenti obbligatori, Maggioli Editore, Rimini, 2014, pag. 64

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come uno strumento rivisitato, per contrastare le basi economiche della criminalità e del terrorismo internazionale.

La Direttiva infatti, muovendo dalla presenza di soggetti che utilizzano il sistema bancario e finanziario e altre attività economiche per occultare l’origine dei proventi di attività criminose, introduce misure comuni al fine di garantire la “solidità, l’integrità e la stabilità degli enti creditizi e finanziari” e la “fiducia nel sistema finanziario nel suo complesso”31.

Analizzando il testo della terza Direttiva antiriciclaggio si evince che essa considera il riciclaggio come fenomeno internazionale; perciò adottare misure esclusivamente a livello nazionale o comunitario, senza coordinamento né cooperazione internazionale, avrebbe effetti molto limitati.

Per questo motivo, le nuove misure adottate, tengono conto delle 40 Raccomandazioni del GAFI in materia di riciclaggio revisionate nel 2003, procedendo in questo modo a rendere coerenti le proprie disposizioni con le iniziative adottate in sede internazionale32.

La Direttiva 2005/60/CE ha introdotto delle novità significative in materia di antiriciclaggio; non si è limitata soltanto a ribadire e a precisare quanto previsto dai precedenti provvedimenti comunitari, bensì è intervenuta chiarendo alcuni punti essenziali della normativa e ne ha ampliato i contenuti.

Per quanto riguarda la definizione di “riciclaggio”, la presente Direttiva non ha apportato grandi modifiche rispetto alla previgente disciplina, la quale continua a prevedere le stesse condotte previste dall’ormai abrogata Direttiva 91/308/CEE. Tuttavia, il legislatore comunitario ha voluto ribadire che, nonostante in origine la nozione di riciclaggio fosse legata esclusivamente ad alcune fattispecie di reato, nel corso degli anni è stato necessario modificare tale impostazione per ottenere una visione totalitaria del fenomeno. E inoltre, l’elemento che ha permesso di ampliare la categoria dei reati presupposto del riciclaggio, e quindi di definire la maggiore portata

31 Cit. Direttiva 2005/60/CE, considerando n.2.

32 Direttiva 2005/60/CE, Considerando n.5: “Il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo avvengono sovente a livello internazionale. Misure adottate esclusivamente a livello nazionale o anche comunitario, senza coordinamento né cooperazione internazionali, avrebbero effetti molto limitati. Di conseguenza, le misure adottate in materia dalla Comunità dovrebbero essere coerenti con le altre iniziative intraprese in altre sedi internazionali. In particolare, la Comunità dovrebbe continuare a tenere conto delle raccomandazioni del gruppo d'azione finanziaria internazionale (in seguito denominato «GAFI»), che è il principale organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo. Dato che le raccomandazioni del GAFI sono state notevolmente riviste e ampliate nel 2003, occorrerebbe allineare la presente direttiva a tali nuovi standard internazionali”.

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del nuovo provvedimento, è contenuto nell’elencazione delle condotte rientranti nei reati gravi che risulta essere molto più ampia rispetto alla precedente33.

Al di là della definizione di riciclaggio, il punto focale di questa Terza Direttiva, sta nella necessità di creare un sistema di presidi volti a garantire il soddisfacimento dell’obiettivo principale della normativa, ovvero quello di solidità, integrità e stabilità degli enti creditizi e finanziari, tramite l’introduzione disposizioni più specifiche e dettagliate. In tal senso, infatti, il legislatore comunitario ha deciso di approfondire un aspetto già introdotto dalla Direttiva 2001/97/CE, ovvero quello del know your costumer, attuato attraverso un maggior approfondimento degli obblighi di due diligence nel rapporto con la clientela34. A tal fine sono stati introdotti i cosiddetti obblighi di adeguata verifica della clientela, ovvero una serie di attività che vanno al di là della semplice identificazione del cliente, presupponendo verifiche più approfondite, e controlli sia formali che sostanziali che si protraggono nel tempo, per tutta la durata del rapporto35.

A tal proposito, il legislatore comunitario, introduce per la prima volta l’obbligo di identificazione, mediante validi documenti di riconoscimento, del “titolare effettivo36”, l’obbligo di ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto d’affari e l’obbligo di svolgere un controllo su base costante.

Infine, è stato introdotto uno degli strumenti più importanti della disciplina antiriciclaggio, protagonista dei prossimi capitoli; ovvero è stato disposto che gli obblighi di adeguata verifica venissero graduati in base a quanto previsto dal risk based approach, l’approccio secondo il quale, il rischio di riciclaggio deve essere valutato sulla base di parametri sia soggettivi, e quindi sulla base della tipologia del cliente che effettua una determinata operazione; sia oggettivi, ossia sulla base della tipologia del rapporto d’affari, prodotto e transazione che il cliente richiede.

In base a questo approccio gli obblighi di adeguata verifica possono essere suddivisi in tre tipologie:

obblighi ordinari di adeguata verifica della clientela;

33 B.Q

UATTROCIOCCHI, Norme regole e prassi nell’economia dell’antiriciclaggio internazionale, Op.

Cit., pag. 22.

34 Cfr. Direttiva 2005/60/CE, Capo II, Sezione 1, articolo 7.

35 M.LEMBO,A.SCIALOJA, Antiriciclaggio. Guida normativa e adempimenti obbligatori, Op. Cit., pag.66. 36 Direttiva 2005/60/CE, Art. 3, comma 6: “la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano il cliente e/o la persona fisica per conto delle quali viene realizzata un'operazione o un'attività.”

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 obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, concernenti situazioni considerate a maggior rischio di riciclaggio, come ad esempio il caso in cui si debba identificare un cliente che non è fisicamente presente oppure una “persona politicamente esposta37”;

 obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela, quando le ipotesi di rischio di riciclaggio sono minori.

Da sottolineare è anche il fatto che, diversamente dall’obbligo di identificazione configurato nella disciplina precedente, l’obbligo di adeguata verifica della clientela non si consuma in un momento preciso, ma permane per tutta la durata del rapporto, accompagnandone l’intero svolgimento, aggiornando le informazioni acquisite e completando il profilo del cliente attraverso la costante valutazione dell’attività svolta38.

Accanto agli obblighi di adeguata verifica della clientela, si pone poi, quello di collaborazione attiva, ovvero di segnalazione delle operazioni ritenute sospette alle Unità di Informazione Finanziaria (UIF)39; un’unità nazionale che ciascun Stato membro ha l’obbligo di creare ai sensi del provvedimento in esame. L’UIF è incaricata di ricevere, analizzare e comunicare alle autorità competenti le informazioni riguardanti possibili casi di riciclaggio.

I soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio, inoltre, sono costretti ad astenersi dal compiere le operazioni per le quali maturino il sospetto che vi sia un legame con attività di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo; qualora l’astensione non sia possibile, essi dovranno compiere ugualmente l’operazione e comunicare i loro sospetti all’UIF immediatamente dopo aver eseguito la transazione anomala.

È stato, per di più, disposto il divieto di comunicare al cliente dell’avvenuta segnalazione all’UIF, ovvero che è in corso un’indagine in materia di riciclaggio o finanziamento del terrorismo nei suoi confronti40.

Infine, è stato richiesto ai soggetti destinatari della Direttiva di impiegare personale sufficientemente informato ed istruito, mediante la partecipazione a specifici corsi di

37 Direttiva 2005/60/CE, Art. 3, comma 8: Sono considerate persone politicamente esposte (PEPS): “le persone fisiche che occupano o hanno occupato importanti cariche pubbliche come pure i loro familiari diretti o coloro con i quali tali persone intrattengono notoriamente stretti legami”.

38 M.CONDEMI.,F.DE PASQULineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto del riciclaggio e finanziamento del terrorismo, Op. Cit., pag. 207.

39 Cfr. Direttiva 2005/60/CE, Capo V, Sezione 1, Art. 34, comma 1.

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aggiornamento e formazione affinché possano riconoscere le attività che potrebbero essere connesse al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo41.

In conclusione quindi, l’intento del legislatore comunitario è stato quello di spronare gli ordinamenti nazionali ad allargare il campo di applicazione della normativa, rinnovando la politica finora adottata per il contrasto del riciclaggio. La terza Direttiva ha imposto una nuova visione strategica della lotta a tale fenomeno, ispirata ai principi cardini del know your customer, risk based approach, e della collaborazione attiva. Tale normativa è divenuta così una tappa storica di grande rilievo nel percorso di contrasto alla criminalità organizzata.

1.3 La Direttiva 2015/849/CE

A distanza di circa dieci anni dall’ultima revisione delle norme europee relative alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, il riciclaggio continua a rappresentare un tema presente in ambito europeo, in quanto, i flussi di denaro illecito compromettono la stabilità e l’integrità del settore finanziario e rappresentano una concreta minaccia sia per il mercato interno dell’Unione Europea, sia per lo sviluppo internazionale.

La motivazione che sta alla base dell’elaborazione di una nuova Direttiva si rinviene nella sempre maggiore esigenza di adattare l’attuale sistema preventivo all’evoluzione tecnologica delle tecniche di rimpiego di denaro sporco utilizzate dalla criminalità. A seguito dell’ultima rivisitazione delle Raccomandazioni del GAFI del 2012 ed avvalendosi delle risultanze di una revisione condotta sulla Terza Direttiva antiriciclaggio, la Commissione Europea ha avviato un lungo iter di consultazione, dal quale sono emerse una serie di criticità operative che hanno evidenziato la necessità di dare maggiore chiarezza e consistenza alle regole di contrasto del riciclaggio. Questo ha spinto la Commissione Europea ad elaborare, il 5 febbraio 2013, una proposta di Quarta Direttiva, che teneva conto dell’ultimo aggiornamento delle Raccomandazioni del GAFI, ormai considerate un punto di riferimento universale per il contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, arrivando in alcuni casi, ad ampliarne la portata. In sintesi, gli obiettivi della proposta erano i seguenti:

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1) migliorare la chiarezza e l’uniformità delle norme in tutti gli Stati Membri:

 prevedendo un meccanismo chiaro per l’individuazione dei beneficiari effettivi;

 accrescendo la chiarezza e la trasparenza delle norme sull’obbligo di verifica della clientela, al fine di disporre di una migliore conoscenza del cliente e di una migliore comprensione della natura delle loro attività;

 estendendo le disposizioni in materia di persone politicamente esposte alle PEPS “nazionali” (ossia residenti negli Stati membri dell’UE), in aggiunta alle persone “straniere” e alle persone con funzioni politiche all’interno di organizzazioni internazionali;

2) estendere il suo ambito di applicazione per far fronte a nuove minacce e vulnerabilità:

 inserendo il settore del gioco d’azzardo nell’ambito di applicazione;

 includendo un esplicito riferimento ai reati fiscali;

3) promuovere standard elevati di lotta contro il riciclaggio del denaro:

 spingendosi oltre le disposizioni del GAFI in materia e ampliando il suo ambito di applicazione a tutte le persone che offrono merci o prestano servizi contro pagamento in contanti di importo pari o superiore a 10.000 euro;

4) rafforzare la cooperazione tra le differenti Unità di Informazione Finanziaria. Il lungo iter di consultazione si è concluso il 20 maggio del 2015 con l’emanazione della Direttiva 2015/849/CE (o “Quarta Direttiva Antiriciclaggio”) del Parlamento Europeo e del Consiglio, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 5 giugno del 2015, che abroga definitivamente la Direttiva 2005/60/CE.

Entrando nel merito, la IV Direttiva, come le precedenti, ribadisce come il rischio di riciclaggio non sia sempre lo stesso, per questo motivo dovrebbe essere applicato un approccio “olistico” basato sul rischio, ovvero un approccio che implichi processi decisionali basati sull’evidenza fattuale, e che adotti presidi proporzionali alla natura e alle dimensioni del soggetto obbligato.

In relazione a questo approccio, una novità introdotta dalla Direttiva prevede che si effettuino valutazioni su tre livelli: sovranazionale, nazionale e a livello del singolo

(27)

destinatario della normativa, come vedremo successivamente nel corso della trattazione.

Per quanto riguarda la dimensione sovranazionale si prevede che la Commissione Europea effettui una valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo sia relativa al mercato interno che alle attività transfrontaliere. A tal fine, infatti, la Commissione il 26 giungo 2017 ha elaborato una relazione in cui sono stati identificati, analizzati e valutati i rischi dell’Unione Europea. Tale relazione dovrà essere aggiornata dalla Commissione ogni due anni, o qualora si ritenga necessario, più frequentemente42.

A sostegno di valutazione inoltre, il 20 febbraio 2017 il Comitato congiunto delle Autorità Europee di Vigilanza (AEV) 43 ha emanato un parere congiunto sui rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che gravano sul settore finanziario dell’Unione44.

Con riferimento invece all’approccio nazionale, la Direttiva prevede che ciascuno Stato membro adotti opportune misure per individuare, valutare comprendere e mitigare i rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che lo riguardano. Tale valutazione può essere di ausilio per comprendere quale sia il livello di rischio che caratterizza ciascuno Stato membro, in particolar modo per capire quali siano i settori maggiormente esposti al rischio ai quali applicare una disciplina rafforzata e affinché si possa predisporre una normativa adeguata per ogni settore o area in funzione del corrispondente rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Infine, per quanto riguarda i soggetti destinatari degli obblighi, come banche e intermediari finanziari, devono anch’essi adottare misure volte a individuare e valutare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo tenendo conto di alcuni fattori di rischio, come quelli relativi al tipo di cliente, paese o area geografica, prodotto, servizio, operazione o canale di distribuzione. Gli stessi destinatari devono anche porre in essere politiche, procedure e controlli interni per mitigare e gestire in maniera efficace tali rischi45.

42 Cfr. Direttiva 2015/849/CE, Capo I, Sezione 2, Art. 6.

43 Il Comitato congiunto dalle Autorità Europee di Vigilanza è composto dalle seguenti autorità: Autorità

Bancaria Europea (EBA), Autorità Europea degli Strumenti finanziari e dei Mercati (ESMA), Autorità Europea delle Assicurazioni e delle Pensioni aziendali e professionali (EIOPA).

44 J

OINT COMMITTEE OF THE EUROPEAN SUPERVISORY AUTHORITIES, Joint Opinion on the risk of money

laundering and terrorist financing affecting the Union’s financial sector, 20 February 2017. 45 Cfr. Direttiva 2015/849/CE, Capo I, Sezione 2, Art. 7,8.

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Sempre con riguardo alla metodologia dell’approccio basato sul rischio, il legislatore europeo già nella Direttiva 2005/60/CE, richiedeva una maggiore attenzione all’espletamento dell’adeguata verifica, sottolineando come gli intermediari finanziari dovessero rafforzare i controlli in situazioni di alto rischio, e svolgere una verifica semplificata nelle situazioni di basso rischio. La Commissione Europea ha ritenuto però, che le disposizioni in materia di verifica semplificata, previste dalla Terza Direttiva, fossero troppo permissive. Per questo motivo, la Direttiva in questione, non individua situazioni nelle quali sia consentito esentare o applicare misure semplificate di verifica; ma al contrario, la decisione su quando e come intraprendere tali misure, deve essere giustificata dalla valutazione del rischio che deve essere svolta tenendo conto di fattori identificativi di situazioni potenzialmente a basso rischio, previsti dall’allegato II della Quarta Direttiva.

La Direttiva 2015/849/CE prevede inoltre, che gli Stati Membri richiedano ai destinatari della normativa di effettuare la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo, prima che si instauri il rapporto o che sia svolta la transazione; oppure, la verifica può essere effettuata nel corso del rapporto, qualora ciò sia necessario per non compromettere il normale svolgimento dell’operazione, e sempre che il rischio di riciclaggio sia minimo. In situazioni del genere, le procedure di verifica dovranno essere portate a termine il prima possibile rispetto al contatto iniziale con il cliente46. L’individuazione e l’identificazione del beneficiario effettivo (o titolare effettivo) di un’operazione occasionale o di un rapporto continuativo, costituisce uno degli aspetti più problematici della normativa antiriciclaggio, per questo motivo la IV Direttiva presta particolare attenzione a questa figura, in modo particolare, nelle compagini societarie.

È sorta quindi, la necessità di identificare non solo le persone fisiche che sono titolari o che esercitano il controllo su soggetti giuridici, ma anche di ottenere informazioni accurate e aggiornate sul c.d. “beneficial owner”, al fine di rintracciare criminali che potrebbero occultare la propria identità dietro una struttura societaria.

Mentre la definizione di titolare effettivo ricalca quella contenuta nella Direttiva previgente, nella Quarta Direttiva è stata introdotta la sezione riguardante il “Beneficial Ownership Information”, nella quale si richiede che gli Stati Membri assicurino che le società con sede nel loro territorio detengano adeguate, accurate e aggiornate

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informazioni sul loro titolare effettivo e che queste informazioni siano accessibili facilmente dalle autorità e dai destinatari della normativa47.

Un’ulteriore novità della Direttiva in tale ambito, considerata anche un grande punto di forza, è la creazione di un “registro di informazioni centralizzato” contenente la proprietà effettiva delle società. Pertanto gli Stati Membri devono assicurare che i soggetti giuridici costituiti nel loro territorio in conformità del diritto nazionale, oltre alle informazioni di base sulle società, ottengano e conservino informazioni adeguate e attuali sulla loro titolarità effettiva.

Con l’obiettivo di promuovere la trasparenza e di contrastare l’abuso dei soggetti giuridici, gli Stati membri dovranno assicurare che le informazioni sulla titolarità effettiva siano archiviate in un registro centrale situato all’esterno della società. A tal fine, questi possono utilizzare una banca dati centrale che raccolga le informazioni sulla titolarità effettiva. Inoltre la nuova normativa prevede che gli stessi Stati membri provvedano affinché tali informazioni siano accessibili in qualsiasi momento alle autorità competenti e alle FIU senza alcuna restrizione; ai soggetti obbligati, nel quadro dell’adeguata verifica della clientela; e a qualunque persona o organizzazione che possa dimostrare un legittimo interesse.

Sebbene però, il libero accesso alle titolarità effettive da parte degli operatori del settore, rappresenti un evidente vantaggio ai fini dell’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica, la Direttiva chiarisce che tale patrimonio informativo non deve comunque essere considerato sufficiente.

Per quanto riguarda poi, la disciplina inerente gli obblighi di segnalazione, non è stata prevista alcuna modifica rispetto alla normativa previgente. La nuova Direttiva, infatti, dispone che gli Stati membri prescrivano un obbligo di piena collaborazione per i soggetti obbligati, provvedendo tempestivamente a: a) informare la UIF di propria iniziativa, anche tramite segnalazione, quando il soggetto obbligato sa, sospetta o ha motivo ragionevole di sospettare che i fondi, indipendentemente dalla loro entità provengono da attività criminose, e rispondendo tempestivamente, in tali casi, alle richieste di informazioni ulteriori da parte delle UIF; b) fornire alle UIF, direttamente o indirettamente, su sua richiesta, tutte le informazioni necessarie, secondo le procedure previste dalla legislazione vigente48.

47 Cfr. Direttiva 2015/849/CE, Capo III, Art. 30, comma 1. 48 Cfr. Direttiva 2015/849/CE, Capo IV, Sezione 1, Art. 32.

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