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Peculiarita' organizzative del passaggio generazionale nelle aziende familiari

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

Peculiarità organizzative del passaggio

generazionale nelle aziende familiari.

Relatore: Candidato:

Prof.ssa Maria Zifaro Ilaria Marchetti

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2

INDICE

CAPITOLO 1

LE AZIENDE FAMILIARI

1.1. Premessa

1.2. Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari 1.2.1 Punti di forza e di debolezza

1.3. Gli assetti istituzionali delle imprese familiari

CAPITOLO 2

LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI

2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare 2.2 I modelli di governance

2.3 Composizione della governance nelle aziende familiari

CAPITOLO 3

LA SUCCESSIONE FAMILIARE IN AZIENDA

3.1 I fattori che condizionano la successione

3.2 Modalità, tempi e strategie di ingresso del successore

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3 CAPITOLO 4

IL PROCESSO DI SUCCESSIONE

4.1 Le fasi del processo di successione

4.2 Il passaggio generazionale nell’azienda Alfacolor s.r.l. 4.2.1 La storia

4.2.2 Il profilo organizzativo e strategico 4.2.3 Analisi del processo di successione

Appendice A - Questionario

(4)

4 CAPITOLO 1

LE AZIENDE FAMILIARI

1.1 Premessa

Le aziende familiari costituiscono da sempre una componente essenziale della struttura economica italiana.

Tale fenomeno è riscontrabile, sia pure in misura diversa, in tutti i Paesi a economia di mercato tanto che non esiste un Paese né settore economico in cui le aziende familiari non siano presenti1.

In Italia, però, questo fenomeno assume un’intensità maggiore sia per motivi strutturali sia per ragioni legate al contesto normativo e culturale in cui queste aziende nascono ed operano.

La complessità delle relazioni affettive e il loro intreccio con il patrimonio aziendale influenza le scelte strategiche e genera, di volta in volta, vantaggi reciproci per i due istituti: quello della famiglia e quello dell’impresa.

Se alla nozione di imprenditore e di famiglia si associa anche il termine patrimonio, si identifica un concetto ancora più ampio: il concetto di family business.

Questo è inteso come l’insieme di legami, affettivi e patrimoniali, che si evolvono nel tempo e si vengono ad instaurare tra i componenti della famiglia e la famiglia stessa, nonché tra questa e l’impresa2.

Il family business si contraddistingue per una forte leadership3, per la concentrazione del potere aziendale nelle mani del fondatore e/o della sua famiglia, e per il fatto che proprietà e management coincidono.

1

A cura di Corbetta G.,“Capaci di crescere. L’impresa italiana e la sfida della dimensione.”, Egea (2005).

2

ivi

3

La parola leadership deriva dal verbo inglese ‘to lead’ che significa dirigere, pertanto questo termine fa riferimento alla capacità di un individuo di saper guidare un gruppo di persone. In ambito lavorativo è colui che conduce una squadra al raggiungimento di determinati obiettivi. Nel fare ciò combina l’abilità a comprendere quali siano gli obiettivi raggiungibili con la capacità di motivare gli altri. Negli anni 60 Likert ha individuato quattro stili di leadership: 1.l’autoritario minaccioso che prende tutte le decisioni autonomamente circa scopi, modalità d’attuazione e tempi, per poi comunicarle al gruppo; 2.l’autoritario-

(5)

5 Per questo motivo occupa un ruolo centrale la famiglia proprietaria ed il processo evolutivo appare condizionato dalle dinamiche che intercorrono tra la componente familiare e quella imprenditoriale4.

In Italia, più che in altri Paesi, queste tipologie d’impresa, indipendentemente dal settore di attività o dalla loro dimensione patrimoniale, coincidono con un nucleo familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della maggioranza, del capitale.

Pertanto, coloro che detengono il capitale generalmente si occupano anche dell’amministrazione e della gestione dell’azienda5

.

Questa peculiarità differenzia le imprese italiane da quelle di altri Paesi europei e dal modello americano.

Le imprese familiari, fino a poco tempo fa, erano considerate una forma organizzativa destinata ad estinguersi, sulla quale venivano espressi giudizi di diffidenza e perplessità in merito alla durabilità nel tempo6.

Le funzioni inerenti la proprietà, il controllo e la direzione sono tutte concentrate nelle mani dell’imprenditore o al massimo dei suoi familiari.

-benevolente che incoraggia il gruppo attraverso delle ricompense e lo coinvolge nel

processo decisionale, sebbene spetti a lui l’ultima parola; 3.il consultativo che aumenta la partecipazione del gruppo grazie ad una comunicazione bidirezionale; 4.il partecipativo che si avvale di una rete di comunicazione efficace basata sulla collaborazione e sulla presa democratica delle decisioni.

Sebbene non esista una figura ideale, ogni buon leader deve adattarsi alla realtà nella quale si trova ad operare, fissando una direzione strategica che sia chiara a tutti i membri del gruppo; incoraggiando le idee innovative e concordando tempi e modalità di lavoro con i dipendenti; deve essere in grado di sostenere e sviluppare le capacità dei dipendenti, costruire un team coeso che affronti gli eventuali conflitti senza lasciarsi travolgere da essi, delegare quanto possibile per creare un clima di fiducia e per responsabilizzare, elogiare i dipendenti per la qualità del loro operato e fornire reali opportunità di carriera.

4

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

5

ivi

6

a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

(6)

6 Man mano che il numero dei membri cresce, la proprietà rischia di frammentarsi, e la famiglia gioca un ruolo fondamentale nel nutrire i valori di fondo e nel dare alle nuove generazioni un senso di orgoglio e di appartenenza all'azienda come istituzione7.

Ciò che traspare è che, con il passare del tempo, le aziende familiari più longeve hanno avviato un processo di apertura, un allargamento della direzione, una progressiva separazione di funzioni tra i proprietari e quei soggetti che influenzano il destino dell’impresa, quali manager e amministratori esterni8.

L'obiettivo è quello di far crescere l'azienda pur mantenendo il controllo nelle mani della famiglia.

Le due categorie diventano una variabile critica per la continuità dell’impresa e vanno gestite attraverso la progettazione di adeguate strutture di governance atte a garantire una pacifica convivenza ed una continua unione tra dinamiche familiari, affettive e sociali.

Un buon sistema di corporate governance deve infatti garantire un equilibrio tra i tanti interessi coinvolti all’interno della famiglia e/o delle famiglie proprietarie9.

La longevità dell’impresa familiare si basa su due sfide: ottenere risultati in linea o superiori alla media del settore e mantenere la famiglia unita e volta al miglioramento dell’azienda.

Per quanto riguarda la prima sfida, si fa riferimento al Modello delle Cinque Forze di Porter (figura 1)10.

7a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

8

ivi

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Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

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7 Figura 1 – Modello delle cinque forze di Porter

Fonte: rielaborazione tratta da Robert M. Grant, L'analisi strategica per le decisioni aziendali, 4ª ed., Bologna, il Mulino, 2011.

E’ un sistema utilizzabile dalle imprese per valutare la propria posizione competitiva e di conseguenza la propria redditività.

Il modello si propone di individuare le forze che operano nell’ambiente economico e che, con la loro azione, erodono la redditività a lungo termine delle imprese.

Gli attori di tale modello sono:

- i concorrenti diretti: soggetti che offrono la stessa tipologia di prodotto sul mercato;

L’intensità della concorrenza e la loro rivalità incide sulla redditività dell’attività svolta dall’impresa: politiche dei prezzi, nuovi prodotti, servizi pre e post vendita, campagne pubblicitarie volte a ottenere il favore della clientela rispetto alla concorrenza riducono la redditività dell’impresa.

Le situazioni possono differenziarsi a seconda del numero dei concorrenti presenti sul mercato, delle quote di mercato possedute da ognuna, della diversità dei concorrenti, della differenziazione dei prodotti, di eventuali costi di passaggio, di eccesso di capacità produttiva, di barriere all’uscita (costi fissi per l’uscita, condizionamenti emotivi, ecc..);

(8)

8 - fornitori: coloro dai quali l’azienda acquista materie prime e semilavorati necessari per svolgere il processo produttivo e che potrebbero decidere di integrarsi a valle11;

- clienti: i destinatari dell’output prodotto dall’azienda che potrebbero decidere di integrarsi a monte12;

- potenziali entranti: soggetti che potrebbero entrare nel mercato in cui opera l’azienda, andando a sottrarle clienti, segmenti di mercato, profitti,ecc..; La minaccia rappresentata da potenziali concorrenti dipende soprattutto dalla presenza o meno di barriere all’entrata, quali: economie di scala, differenziazione prodotto (fedeltà del consumatore, identificazione con la marca), politiche governative (autorizzazioni, licenze), reazioni dei concorrenti (prezzi di dissuasione), costi di passaggio (costi di apprendimento), accesso ai canali di distribuzione (esempio: scaffali del supermercato, agenti e rappresentanti).

I nuovi concorrenti sono attratti soprattutto quando i margini di profitto sono elevati e le barriere sono basse.

- produttori di beni sostitutivi: soggetti che immettono sul mercato prodotti diversi da quelli dell’impresa di riferimento ma che soddisfano, in modo diverso, lo stesso bisogno del cliente.

Più favorevole è la propensione del consumatore a sostituire il prodotto e il rapporto tra prezzo e qualità dei prodotti sostitutivi, maggiore è la minaccia rappresentata dalla presenza di prodotti sostitutivi.

L’analisi delle cinque forze permette all’impresa di ottenere un quadro completo sulla sua posizione competitiva, di prendere decisioni strategiche e di stabilire i comportamenti e gli atteggiamenti da adottare per mantenere i suoi profitti e la sua redditività nel medio/lungo periodo.

11L’integrazione a valle consiste nel controllo da parte di un’azienda di un passaggio

successivo rispetto a quello che già ricopre; ad esempio, un’impresa assemblatrice di automobili che apre una propria concessionaria. (Grant M.R.,2011)

12L’integrazione a monte si ha quando un’azienda decide di assumere il controllo di una fase

antecedente a quella svolta; ad esempio quando un’impresa assemblatrice di automobili inizia a produrre volanti o altre parti. (Grant M.R.,2011)

(9)

9 La strategia perseguita dall’impresa deve cercare di creare e mantenere il vantaggio competitivo dell’azienda rispetto alla concorrenza.

Nell’analizzare la seconda sfida, invece, ci troviamo di fronte alla logica del cosiddetto miglioramento continuo13.

E' l'insieme delle azioni intraprese a vantaggio sia dell'intera organizzazione sia dei clienti.

Questo è un processo che si sviluppa a piccoli passi, con continuità e con effetti nel medio/lungo termine e che produce cambiamenti graduali e costanti.

L’obiettivo è promuovere un ambiente di lavoro dove si incoraggia l’inventiva e l’innovazione.

In un approccio di miglioramento continuo, la cultura di fondo è di tipo gestionale, basata sui valori, sulle risorse umane e sul coinvolgimento di tutti, che presuppone lo sviluppo di nuove capacità e competenze.

In questo senso, è fondamentale assestare la governance su un modello condiviso di ripartizione dei ruoli e del potere decisionale, tracciare le relazioni tra la proprietà e il management e definire le linee di supporto finanziario allo sviluppo dell’attività14.

In termini di governance, come vedremo nel secondo capitolo, le aziende che vivono più a lungo sono quelle in cui il potere di chi occupa posizioni di responsabilità è ottenuto sulla base di un approccio meritocratico.

13Luciano Attolico,”Innovazione Lean. Strategie per valorizzare persone, prodotti e

processi.”, Hoepli (2012).

14a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

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10 1.2 Caratteristiche e peculiarità delle aziende familiari

L’impresa familiare si configura come un sottoinsieme del più vasto insieme delle imprese e, pertanto, ne possiede tutti i requisiti essenziali15.

E’ caratterizzata dal forte legame con uno o più nuclei familiari che, apportando capitale di rischio, la formano.

In Italia, più che in ogni altro Paese sviluppato, le imprese familiari coincidono con un nucleo familiare che le gestisce ed è proprietario della totalità, o della maggioranza, del capitale16.

Le attività di queste imprese sono in prevalenza commerciali, artigianali, o di produzione di servizi, ma possono anche rientrarvi imprese industriali17.

La prevalenza dell’elemento familiare può comportare il verificarsi di una serie di difficoltà dovute alla tendenza a voler trasferire le norme e i comportamenti tipici di una famiglia all’interno dell’azienda; questi, infatti, potrebbero non essere in linea con gli elementi che caratterizzano la gestione aziendale.

Pertanto emergono una serie di punti di debolezza tipici di un’azienda familiare con cui l’organo al vertice si scontra e nei confronti dei quali è necessario adottare una strategia volta al compromesso.

Ciò che risalta nel nostro Paese è la particolare importanza che viene data alla differenza tra impresa di famiglia e impresa familiare18.

Nel primo caso la famiglia controlla la proprietà, si preoccupa di reperire i mezzi monetari necessari allo svolgimento dell’attività economica, incoraggia e sostiene eventuali idee innovative e, laddove le esigenze organizzative lo richiedano, affida l’attività decisionale a manager professionisti.

15

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

16

ivi

17a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità

Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

18

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11 L’impresa familiare, invece, si caratterizza per il fatto che proprietà e

management rimangono saldamente ancorate alla famiglia19.

Volendo, quindi, dare una prima semplice definizione di impresa familiare, possiamo dire che essa rappresenta quell’impresa nella quale i portatori di capitale di rischio, gli organi di governo e coloro che prestano la propria opera all’interno dell’impresa appartengono ad un’unica o a poche famiglie tra loro collegate da vincoli di parentela e/o affinità20.

L’art. 230 bis del Codice Civile definisce impresa familiare quella nella quale

collaborano in via continuativa il coniuge ed i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore21

.

La norma, inoltre, dispone che il familiare che svolge in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento, secondo la condizione patrimoniale della famiglia, e partecipa agli utili dell’impresa ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Il suddetto articolo è stato introdotto dalla legge n. 151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia, che ha trasformato l’intero impianto giuridico relativo ai rapporti familiari.

Tuttavia, l’art. 230 bis del Codice Civile ha dato vita ad una serie di problemi interpretativi.

Un esempio è il fatto che la norma non si pronuncia riguardo la relazione intercorrente tra le imprese familiari e quelle gestite da entrambi i coniugi.

19

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

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Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

21

La legge precisa che i parenti entro il terzo grado sono i discendenti (il figlio, il figlio del figlio e il pronipote); gli ascendenti (il genitore, il nonno e il bisavolo); i collaterali (il fratello o la sorella, il nipote figlio di sorella o di fratello, lo zio). Mentre, gli affini entro il secondo grado sono: il figlio (solo del coniuge); il figlio del figlio; il genitore e il nonno, il fratello e la sorella; il coniuge del figlio (genero o nuora); il coniuge del figlio del figlio; il coniuge del genitore quando non sia anch’egli genitore; il coniuge e del fratello (cognato).

(12)

12 Il principale obiettivo dell’art. 230 bis del Codice Civile è quello di tutelare in modo adeguato il lavoro svolto nella famiglia e nell’impresa familiare, conferendogli un riferimento giuridico.

Un elemento che ha portato all’emanazione della norma è la graduale riduzione delle funzioni della famiglia in ambito sia economico che sociale dovuto allo sviluppo della società industriale che ha contribuito all’affermazione di un modello di famiglia formato dai genitori e dai figli, che ha sostituito, nel tempo, quello tradizionale di tipo esteso.

Ulteriore condizione, sufficiente per definire un’impresa familiare, è il possesso, da parte di una o più famiglie tra loro collegate, di una quota che consenta loro di esercitare il controllo sull’azienda.

Quello che emerge è il forte e reciproco legame che si crea tra azienda e famiglia.

L’impresa, infatti, rappresenta la principale fonte di reddito per la famiglia nonché il risultato del suo benessere, del suo prestigio e della sua collocazione sociale. La famiglia fornisce all’azienda capitale, e contribuisce in modo rilevante alla formazione di particolari tradizioni imprenditoriali.

Sia la letteratura nazionale che quella internazionale hanno cercato di classificare le imprese familiari prendendo in considerazione gli elementi che le caratterizzano, dando vita a differenti tipi di definizioni (tabella 1).

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13 Tabella 1 - Definizioni di impresa familiare

Autore Definizione

Bernard (1975) Un’impresa che è controllata dai membri di una singola famiglia.

Barnes, Hershon (1976)

Un’impresa nella quale un individuo o i membri di una singola famiglia detengono una partecipazione di controllo.

Davis (1983)

Sono familiari quelle imprese in cui gli aspetti strategici e gestionali sono soggetti all’influenza significativa di una o più famiglie. L’influenza è esercitata attraverso la proprietà.

Rosenblatt (1985)

Un’impresa in cui la maggioranza del capitale o il controllo è nelle mani di una singola famiglia e almeno due membri di questa sono stati direttamente coinvolti nella gestione.

Pratt, Davis (1986)

Un business nel quale due o più familiari ne influenzano la gestione attraverso l’esercizio dei legami familiari, dei ruoli manageriali e dei diritti di proprietà.

Stern (1986) Un business posseduto e gestito dai membri di una o due famiglie.

Babichy (1987)

E’ il tipo di piccola impresa avviata da una o poche persone che hanno un’idea imprenditoriale, che lavorano duramente per garantirne lo sviluppo e che, spesso con l’apporto di risorse limitate, riescono a garantirne la crescita mantenendo la maggioranza del capitale.

Lansberg (1988) Un business nel quale i membri di una famiglia hanno il controllo legale sulla proprietà.

Dreux (1990)

Sono imprese che sembrano essere controllate da una o più famiglie che hanno un livello di incidenza nella governance organizzativa sufficiente ad influenzare in maniera sostanziale le decisioni aziendali.

Donckels, Frohlich (1991)

Un’impresa in cui i membri della famiglia possiedono almeno il 60% del capitale.

(14)

14 Lyman (1991) Un’impresa in cui la proprietà deve essere detenuta

completamente dai membri di una famiglia. Holland, Oliver

(1992)

Qualsiasi business nel quale le decisioni inerenti la proprietà o la gestione sono influenzate da relazioni tra i membri di una o più famiglie.

Corbetta, Dematté (1993)

Si parla di imprese familiari quando una o poche famiglie collegate da vincoli di parentela, di affinità o di solide alleanze detengono quote di capitale di rischio sufficienti ad assicurare il controllo dell’impresa.

Carsrud (1994)

Un’impresa dove partecipano un numero limitato di soggetti e in cui la proprietà e il processo decisionale sono dominati da un gruppo di soggetti legati da rapporti affettivi e di parentela.

Litz (1995) E’ familiare quell’impresa in cui la proprietà e la gestione sono concentrate nelle mani di un’unica famiglia.

Sharman (1997)

Si definisce family business quell’attività di impresa che viene gestita con l’intenzione di formare, sviluppare e sostenere nel tempo una vision condivisa da una coalizione dominante, controllata da membri della stessa famiglia o da un ristretto gruppo di famiglie.

Astrachan, Shanker (2003)

E’ familiare quel business in cui la famiglia ha il controllo sulle attività strategiche e partecipa, a vario titolo e grado, al business (definizione ampia); il proprietario deve avere l’intenzione di tramandare l’impresa agli eredi e il fondatore o gli eredi devono essere coinvolti nella gestione (definizione media); più generazioni presenti nell’impresa e almeno un membro della famiglia controllante deve essere coinvolto nella gestione (definizione stretta).

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15 Villalona, Amit

(2006)

E’ familiare quel business in cui:

- uno o più familiari detengono almeno il 50% del capitale o sono amministratori o manager;

- è presente almeno un familiare come amministratore o come manager;

- la famiglia è il principale azionista votante;

- uno o più membri della famiglia delle generazioni successive alla prima detengono almeno il 5% del capitale o sono manager o amministratori;

- la famiglia è il principale azionista e ha almeno un familiare come manager e uno come amministratore; - la famiglia possiede almeno il 20% del capitale votante

ed è il principale azionista;

- uno o più familiari posseggono almeno il 5% del capitale o sono amministratori, ma non ci sono familiari tra i manager;

- la famiglia è il principale azionista, possiede almeno il 20% del capitale votante, almeno un familiare è amministratore e uno è manager, la famiglia è alla seconda o terza generazione.

Aidaf (2008)

Per aziende familiari si intendono le imprese in cui una o più famiglie collegate tra loro da legami di parentela, da solide alleanze, detengono il potere di nominare gli organi di governo.

Fonte: rielaborazione da Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

Nelle definizioni dei vari studiosi è possibile individuare alcuni elementi comuni:

- una quota importante del capitale di rischio è detenuta dal nucleo familiare; - l’imprenditore, ma anche i familiari, apportano capacità, competenze e lavoro.

Caratteristica comune ad ogni definizione è la stretta interdipendenza tra impresa e famiglia, sia sotto l’aspetto economico - patrimoniale, sia con riferimento alla sua natura sociale.

(16)

16 A conclusione di ciò, si può dire che un’impresa si definisce familiare quando

una quota del capitale di rischio è posseduta da una o più famiglie, e uno o più membri di queste prestano la propria opera all’interno di essa22.

La combinazione dei molteplici aspetti presenti nelle varie definizioni rivela una serie di elementi che danno luogo a diverse tipologie di classificazione delle imprese familiari.

La prima è quella che determina la familiarità o meno dell’impresa, sulla base di tre condizioni:

a) la struttura

b) il rapporto di interdipendenza tra famiglia e impresa c) il grado di coinvolgimento della famiglia in azienda.

Combinando tra loro queste dimensioni, si ottengono tre tipologie di imprese23: 1) imprese a familiarità crescente, dove proprietà e gestione appartengono ad un

unico individuo;

2) imprese a familiarità calante, dove si tende a diminuire il grado di interdipendenza dell’azienda dalla famiglia;

3) imprese potenzialmente stabili, nelle quali proprietà e management sono concentrate nelle mani della famiglia.

Assumendo, invece, come parametro di riferimento il tipo di relazione che la famiglia intrattiene con l’impresa, possiamo classificare le imprese familiari in24

: a) imprese familiari di lavoro, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e si

preoccupa di promuovere e creare le condizioni organizzative affinché coloro che lo desiderano possano lavorarvi;

22

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

23Litz R.A., “The family business: toward definitional clarity”, Family Business Review, vol.

VIII, n.2, (1995).

(17)

17 b) imprese familiari di direzione, dove la famiglia lavora all’interno dell’impresa e concede l’ingresso in azienda solo ai componenti del nucleo familiare meritevoli e dotati di particolari competenze professionali;

c) imprese familiari di investimento, dove la famiglia si interessa soprattutto dell’attuazione e del controllo degli investimenti in essere senza avere un coinvolgimento diretto nell’azienda;

d) impresa familiare congiunturale, dove la famiglia gestisce l’impresa per motivi di carattere storico piuttosto che per volontà del singolo componente.

Ulteriore classificazione è quella che utilizza come criterio la dimensione dell’impresa e il livello di concentrazione della proprietà e del controllo nelle mani della famiglia, classificando le imprese a prescindere dal grado di parentela dei componenti. Sulla base di questo, si suddividono le imprese in25:

1) imprese familiari domestiche (o a proprietà chiusa e concentrata): sono imprese giovani, di piccole dimensioni, dove lavorano poche persone e dove gli organi di governo sono costituiti da soli familiari; proprietà e controllo sono concentrati nelle mani di pochi soggetti, è molto forte il senso di appartenenza all’azienda e la gestione avviene attraverso metodi e procedure informali; l’imprenditore non è disposto all’apertura esterna ed è ostile ad ogni forma di cambiamento;

2) imprese familiari allargate: le dimensioni dell’impresa sono medie o grandi; si assiste a processi di apertura del capitale a persone diverse dai familiari, ma il controllo rimane nelle mani della famiglia;

3) imprese familiari aperte: le dimensioni dell’azienda sono medie o grandi ed il capitale è concentrato nelle mani di soggetti diversi dal fondatore; proprietà e controllo sono dispersi tra più soggetti, non necessariamente appartenenti allo stesso nucleo familiare.

25Corbetta, Dematté, “I processi di transazione delle imprese familiari”, Mediocredito

(18)

18 Si può, quindi, affermare che per classificare un’impresa come familiare è fondamentale che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni:

- un singolo individuo o più individui, legati da vincoli di parentela, controllino l’impresa;

- i componenti del nucleo familiare prestino la propria opera all’interno dell’impresa, o quanto meno abbiano una rappresentanza tra gli organi di governo;

- la famiglia manifesti la volontà o quanto meno l’intenzione di voler trasferire l’impresa alle generazioni successive.

Un primo approccio alla definizione di family business è quello che approfondisce il concetto di azienda familiare facendo riferimento all'assetto proprietario26.

In questa categoria rientrano quei contributi basati su un approccio di tipo mono variabile, ossia basato su un'unica dimensione di analisi.

L'attenzione è focalizzata sul coinvolgimento di una o più famiglie nella proprietà dell'azienda.

Condividendo tale definizione, il campo di indagine si restringe a quelle imprese in cui i portatori di capitale di rischio e i prestatori di lavoro appartengono ad un'unica famiglia.

Sempre in questa categoria, rientrano quelle definizioni che, sulla base di una pluralità di parametri, tentano di misurare il grado di influenza e di coinvolgimento della famiglia in azienda, quali il controllo che la famiglia ha sulle decisioni strategiche e la volontà di mantenere l'impresa all'interno della famiglia stessa.

26Corbetta G., “Le Imprese Familiari. Caratteri originali, varietà e condizioni di sviluppo”,

(19)

19 In conformità a questo secondo ordine di definizioni, è stato teorizzato l'indice F-PEC (Family - Power, Experience, Culture), uno strumento di quantificazione del grado di coinvolgimento della famiglia, delineato lungo tre dimensioni27:

1) il potere: esprime il grado di coinvolgimento dei familiari nella proprietà e nella gestione;

2) l’esperienza: esprime il grado di coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nella gestione;

3) la cultura: esprime il grado di sovrapposizione tra valori aziendali e familiari e il perseguimento di interrelazioni reciproche tra la famiglia, l'organizzazione e l'ambiente.

Un secondo approccio alla definizione di family business è quello che volge l'interesse verso la volontà o l'intenzione di trasferire l'azienda agli eredi (come vedremo nel terzo capitolo).

Questa definizione unisce ai connotati in precedenza enunciati il coinvolgimento di più generazioni nella proprietà e nel controllo28.

Un terzo e ultimo approccio è quello che raccoglie in sé le cosiddette definizioni “miste”, le quali si rifanno a molteplici condizioni: a elementi tipicamente oggettivi, quali le condizioni legate alla proprietà e al management, sono combinati elementi soggettivi, quali l'identificazione e il senso di appartenenza alla famiglia (ossia tutti quegli elementi facenti riferimento alla sfera emotiva e comportamentale)29.

Alla luce di ciò, emerge che l'aggettivo familiare, attribuito all'impresa, non può corrispondere a una quantificazione assoluta, ma è soggetto a variazioni30.

27Astrachan J.H., Klein S.B., Smyrnios K.X., “The F-PEC scale of family influence: a

proposal for solving the family business definition problem”, Family Business Review, (2002).

28Boldizzoni D., “L’impresa Familiare: caratteristiche distintive e modelli di evoluzione”, Il

Sole 24 Ore, (1998).

29Montanari S., “I Percorsi Evolutivi delle Definizioni del Family Business: dalle concezioni

teoriche alle proposte operative”, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, (2008).

30

a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

(20)

20 L’impresa familiare è un sistema complesso nell’ambito del quale si intersecano tre distinti sottosistemi: la famiglia, la proprietà e l’impresa (figura 2)31.

Ciascun sottosistema risponde a logiche ed esigenze diverse:

- la famiglia ruota attorno ai valori della coesione e dell’armonia; concepisce l'impresa come fonte di benessere finanziario e come uno strumento di identità familiare da trasmettere nel tempo; ciascun membro è coinvolto in azienda indipendentemente dal fatto di essere coinvolto nella proprietà o nel

management;

- la proprietà è incentrata sull’interesse e sul ritorno dell’investimento; rappresenta l'insieme dei soggetti che considera l'azienda come un investimento dal quale si attende una remunerazione soddisfacente;

- l’impresa esprime esigenze di efficienza operativa in termini di economicità; rappresenta lo strumento per realizzare la propria crescita professionale ed economica. Questo sottosistema è costituito da quei soggetti portatori di interessi orientati a prospettive di carriera e di sviluppo dell'azienda.

Figura 2 – Modello del family business

Fonte: Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in Family Business Review, vol.IX, n.2 (1996).

31Davis J.A, Tangiuri R., “Bivalent attributes of the family firm”, (1982) – ristampa in Family

Business Review, vol.IX, n.2 (1996).

Proprietà P. I. P. F. P. F. I. F. I. Impresa Famiglia

(21)

21 Nell’area in cui i tre sottosistemi si sovrappongono (P. F. I.), il fondatore o l’imprenditore proprietario è membro della famiglia e allo stesso tempo è il principale responsabile di tutte le attività di gestione dell’impresa.

L’area di sovrapposizione famiglia – impresa (F. I.) individua quei soggetti, membri della famiglia, che, pur essendo esclusi dalla proprietà dell’azienda, partecipano direttamente all’attività di gestione e direzione, apportando risorse critiche in termini di imprenditorialità, competenze tecniche e manageriali.

Nell’area di sovrapposizione proprietà – famiglia (P. F.) si trovano i membri della famiglia che non prestano la propria opera all’interno dell’organizzazione, ma apportano mezzi monetari sotto forma di capitale proprio, in qualità di soci.

Si tratta, quindi, di soggetti interessati ad ottenere un ritorno dall'investimento effettuato, ma che, allo stesso tempo, promuovono la crescita e l'espansione del business di famiglia.

Infine, nell’area di sovrapposizione proprietà – impresa (P. I.) sono presenti attori non facenti parte della famiglia, ma coinvolti sia nella proprietà che nell’attività di gestione.

All’esterno di queste aree si trovano attori indipendenti dalle relazioni che caratterizzano l’azienda, ossia membri della famiglia non coinvolti nella compagine proprietaria, né interessati all’attività aziendale, dirigenti o lavoratori assunti al di fuori del nucleo familiare ed estranei all’ambito proprietario32

.

I tre sistemi si condizionano reciprocamente e tale condizionamento è tanto più forte quanto più è estesa la presenza del nucleo familiare nella proprietà e/o gestione aziendale.

Il sistema proposto da Davis e Tangiuri permette di illustrare il motivo per cui la struttura dell’azienda familiare può essere fonte di conflitti tra i soggetti operanti in azienda.

Poiché ciascun attore coinvolto ha il suo punto di vista e nutre bisogni ed esigenze differenti, è inevitabile che sorgano conflitti interaziendali.

32Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e Innovazione” edizioni Il Borghetto,

(22)

22 I possibili conflitti tra i tre sottosistemi sono accentuati dal fatto che spesso, all’interno dell’azienda, i vari ruoli si sovrappongono e alcuni soggetti si trovano a gestire differenti punti di vista riguardo agli obiettivi aziendali e personali.

Questo modello permette di individuare i vari interessi che si trovano all’interno dell’azienda, nonché i relativi punti di intersezione e di divergenza, mostrando come le differenti categorie di soggetti dipendano dalla posizione che assumono nell’ambito dei tre cerchi.

La sovrapposizione tra regole del sistema familiare e regole del sistema aziendale può incidere in maniera determinante sulle scelte di gestione; il rischio più frequente è che le decisioni in azienda siano ispirate non dal criterio della razionalità economica, bensì dalle logiche di tipo familiare.

Pertanto, è evidente che le scelte di gestione debbano essere orientate a risolvere questo possibile conflitto tra realtà familiare e aziendale.

A tal proposito, entra in gioco il sistema di corporate governance, che può costituire un’importante leva di azione per lo sviluppo e la continuità aziendale, ossia quell’insieme di strutture e di processi attraverso i quali vengono prese le decisioni aziendali33.

33

a cura di Del Bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende Familiari e Longevità Economica. Modalità di Analisi e Strumenti operativi”, IPSOA (2012).

(23)

23 1.2.1 Punti di forza e di debolezza delle imprese familiari

Nelle imprese familiari, il legame tra famiglia e impresa è molto forte.

Questo è da considerarsi come l’elemento distintivo dal quale conseguono fattori di successo e di insuccesso nella messa in opera della funzione imprenditoriale.

Ulteriore elemento di rilievo è il fatto che queste attività imprenditoriali sono caratterizzate dalla sostanziale coincidenza tra proprietà e controllo, nel senso che una medesima famiglia è al contempo coinvolta direttamente e in maniera significativa nella gestione, e detentrice di una rilevante quota di proprietà.

Tra i punti di forza delle imprese familiari troviamo34:

- maggiore indipendenza e autonomia decisionale, dovuta alla scarsa apertura al capitale di terzi ed alla tendenza all’autofinanziamento;

- la presenza di un clima aziendale caratterizzato da una forza lavoro con un elevato senso di appartenenza e di lealtà nei confronti dell’imprenditore; questo implica l’adozione da parte dei membri della famiglia di un atteggiamento cooperativo, volto ad anteporre gli interessi dell’impresa agli interessi individuali;

- ampiezza delle mansioni: collaboratori multitasking e ricchezza dei ruoli e compiti da svolgere;

- rapporti diretti con i collaboratori;

- velocità di comunicazione all’interno della struttura;

- elevata importanza della cultura condivisa, grazie anche alla presenza di molti membri della famiglia;

- gestione diretta del cliente: molti hanno infatti contatti diretti con l’imprenditore;

34Kets de Vries, “The dynamics of the family business controller firms: the good news and the

bad news.”, (1993) - adattamento da Bonti M., “La Piccola e Media Impresa tra Famiglia e Innovazione”, edizioni Il Borghetto, (2014).

(24)

24 - elevata produttività del lavoro e spirito di sacrificio presente in tutti o parte dei

membri della famiglia;

- flessibilità e adattabilità: elevata capacità di reazione e di adattamento ai mutamenti dell’ambiente circostante;

- possibilità di maggiore successo, benefici finanziari;

- una precoce formazione a favore dei membri della famiglia e in particolare degli eredi che entrano in azienda a ricoprire ruoli già in giovane età e dalla quale consegue una maggiore capacità di acquisire uno spirito imprenditoriale; - rapidità decisionale: decisioni assunte da un numero ristretto di persone.

Al contrario, tra i punti di debolezza troviamo:

- l’esistenza di nodi conflittuali tra gli interessi della famiglia e quelli dell’impresa;

- la presenza di favoritismi nei confronti dei familiari; non è raro, infatti, che, durante le fasi di successione, vengano esclusi potenziali talenti a favore di soggetti selezionati sulla base del diritto di nascita e quindi non necessariamente dotati di capacità e di competenze utili alla gestione dell’attività (fenomeno del cosiddetto nepotismo);

- l’esistenza di tensioni e disaccordi che si sviluppano in ambito familiare e si estendono sul funzionamento dell’impresa;

- un minore accesso al mercato dei capitali;

- la presenza di un’organizzazione confusa dovuta al fatto che non esiste una struttura organizzativa ben definita e non c’è una chiara divisione dei compiti e delle mansioni;

- resistenza al cambiamento, dovuta alle regole paternalistiche ed autocratiche imposte dal fondatore;

- la presenza di tensioni finanziarie dovute al fatto che alcuni membri della famiglia sfruttano l’impresa per soddisfare i propri interessi;

- problemi nelle successioni generazionali;

- scarsa programmazione: difficoltà a stabilire delle priorità; - scarsa apertura all’esterno della famiglia;

(25)

25 - difficoltà di gestione del personale: confusione tra sfera professionale e

personale;

- assenza di meccanismi formali e strutturati di confronto tra persone; - processi decisionali poco formalizzati e in prevalenza istintivi.

Nelle aziende familiari emerge spesso una difficoltà: quella che l’imprenditore incontra nel separare l’azienda da se stesso e dalla propria famiglia.

Questa difficoltà si manifesta sia nella riluttanza a perdere porzioni di controllo, sia nella scarsa propensione a valorizzare i dipendenti.

L’accentramento delle funzioni di direzione e controllo in una stessa persona, l’imprenditore - fondatore, o in un ridotto numero di persone (i familiari del fondatore) comporta quasi inevitabilmente una forte deresponsabilizzazione delle altre figure presenti in azienda, in primo luogo di quelle dirigenziali: il dirigente esterno alla famiglia tende tipicamente a diventare più un esecutore della volontà del proprietario (o dei suoi eredi) che un soggetto dotato di propria autonomia e responsabilità35.

Si genera così un circolo vizioso in cui, da un lato, l’impresa non riesce a cogliere le opportunità di crescita per insufficienza di competenze, professionalità e motivazioni e, dall’altro, non crescendo, comprime sempre più le professionalità che sono presenti, demotivando i più intraprendenti36.

Per la piccola impresa familiare è dunque assolutamente vitale riuscire a dare vita ad una figura (di imprenditore, di dirigente, di quadro, etc.) che abbia le capacità e le competenze adeguate alle nuove sfide lanciate dalle recenti dinamiche di globalizzazione, caratterizzate dalla rapidità del cambiamento tecnologico unita a una intensa pressione competitiva su mercati internazionali sempre più allargati.

35Marseguerra G., “Lo sviluppo dell’impresa familiare: le sfide della sussidiarietà.” 36

(26)

26 In questo contesto, sorge un crescente fabbisogno di capitale umano, e le piccole imprese familiari richiedono risorse umane sempre più qualificate e formate.

Se, infatti, è importante un elevato livello complessivo di conoscenze e competenze, è però fondamentale che queste siano in grado di evolversi adattandosi alle continue trasformazioni in atto.

Assume allora rilievo la formazione continua dei lavoratori: idealmente, l’istruzione e la formazione professionale non dovrebbero presentare soluzioni di continuità, così da permettere di soddisfare in modo integrato le richieste del sistema economico e della società in generale.

Nel momento in cui le risorse naturali e il capitale fisico, un tempo solidi e decisivi vantaggi competitivi, perdono importanza rispetto alla conoscenza, all’informazione e al know-how tecnologico, la capacità competitiva di un’impresa, così come la sua capacità di crescere ed espandersi, è determinata in maniera sempre più decisiva dal suo investimento in capitale umano, che svolge un ruolo determinante nell’alimentare il cambiamento tecnologico e la sua diffusione.

L’essere componenti di una famiglia conferisce al business un’identità ed uno scopo ben definiti e un attaccamento e un coinvolgimento elevato da parte dei membri della famiglia che riduce il rischio di comportamenti opportunistici, promuovendo l’allineamento degli interessi.

Ed è proprio quest’ultimo che fa sorgere la volontà della generazione in essere di trasferirne la proprietà alle generazioni successive.

Ciò conduce l’imprenditore ad operare in un’ottica di lungo periodo, che si protrae oltre la durata della vita stessa.

L’azienda costituisce per l’imprenditore non soltanto una fonte di benessere economico e di prestigio sociale, ma diventa un vero e proprio strumento di autorealizzazione.

(27)

27 1.3 Gli assetti istituzionali delle imprese familiari

La scelta dell’assetto istituzionale e con esso la definizione degli organi rappresentativi dell’impresa e dei loro compiti è necessaria per identificare i soggetti primari e le regole del gioco competitivo dell’azienda di famiglia.

Nella letteratura sono presenti alcune teorie che consentono di capire quali sono i soggetti primari e le loro interrelazioni con l’azienda, suddivise in due gruppi di livello superiore37:

a) le teorie gerarchiche b) le teorie pluraliste

Nelle teorie gerarchiche rientrano le teorie manageriali, la teoria dell’agenzia e la teoria dei costi di transazione, accomunate dall’idea che l’impresa di famiglia è governata nell’interesse di una ben definita categoria di soggetti.

Nelle teorie manageriali sono raccolti una pluralità di contributi teorici (Baumol, Williamson, Marris) che focalizzano l'attenzione sul fenomeno della separazione tra proprietà e controllo dell'impresa38.

La proprietà delle grandi imprese moderne è, infatti, spesso distribuita tra una vasta pluralità di azionisti e questi, in quanto semplici investitori, tendono a disinteressarsi della gestione diretta dell'impresa, affidata a manager professionisti.

Le funzioni imprenditoriali di gestione e di assunzione del rischio d'impresa sono, in questo caso, svolte da distinti agenti economici con interessi diversi e contrapposti.

I proprietari sono interessati al valore di mercato dell'impresa, alla redditività e sicurezza dei loro investimenti e, quindi, alla massimizzazione dei profitti.

37Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

38

(28)

28 I manager sono invece più interessati alla posizione sociale, al prestigio, al potere e alla sicurezza del posto di lavoro.

Questa differenza nelle “funzioni obiettivo” è causa di inefficienze perché gli azionisti non dispongono delle informazioni e delle capacità tecniche necessarie per controllare il comportamento dei manager che tendono, quindi, a perseguire i propri interessi in modo discrezionale.

Le teorie manageriali prendono in esplicita considerazione il problema del controllo da parte degli azionisti, dell'operato dei manager e mettono in discussione l'assunzione, propria della teoria neoclassica, dell'obiettivo di massimizzazione del

profitto.

I diversi contributi teorici si distinguono tra loro per le diverse ipotesi circa la “funzione obiettivo” che viene massimizzata dai manager nel perseguimento dei loro interessi.

Per Baumol, i manager hanno interesse ad accrescere il più possibile la dimensione dell'organizzazione al fine di consolidare la loro posizione e il loro prestigio39.

Williamson suppone che i manager siano interessati ad accrescere il loro potere attraverso l'accumulazione di fondi utilizzabili in modo discrezionale, mentre secondo Marris viene massimizzato il tasso di crescita bilanciato della dimensione di impresa e del capitale produttivo.

In tutti questi modelli, l'ottenimento di un livello minimo di profitto non viene considerato dai manager come obiettivo ma come vincolo che deve essere rispettato per potere garantire una remunerazione sufficiente ai proprietari.

I manager rischiano, infatti, di essere sostituiti dagli azionisti se non garantiscono una remunerazione soddisfacente del capitale investito nelle azioni della società.

39Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

(29)

29 Dividendi troppo bassi (dovuti alla mancata massimizzazione dei profitti) peggiorano, poi, la valutazione delle azioni ed espongono l'impresa al rischio di scalate azionarie (take over) che, con il cambiamento della struttura proprietaria, portano in genere alla sostituzione del gruppo dirigenziale40.

La teoria dell’agenzia, invece, si preoccupa di allineare gli obiettivi divergenti tra i vari soggetti coinvolti, con riguardo sia alle relazioni tra proprietà e management, sia agli altri rapporti con gli stakeholder, attraverso strumenti di sorveglianza e sistemi di incentivi volti a limitare l’effetto di comportamenti opportunistici degli agenti.

La relazione tra agente - principale è definita da Jensen e Meckling come "un

contratto in base al quale una o più persone (principale) obbliga un'altra persona (agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di potere all'agente"41.

Tale definizione è molto generale, e comprende qualsiasi relazione tra due individui, in cui uno dei due delega parte del proprio potere all'altro.

Il contratto di agenzia, però, presenta alcuni rischi, dovuti al comportamento opportunistico delle parti, che tendono a massimizzare la propria utilità (tale comportamento opportunistico non è eliminabile, può essere tuttavia limitato).

In particolare vi possono essere due tipi di opportunismo42:

a) selezione avversa (opportunismo ex ante): l'agente fornirà al principale informazioni erronee o incomplete sulle proprie capacità e competenze per farsi assumere;

40Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

41Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency

costs and Ownership structure”, in Journal of Financial Economis vol.3 pp.305-360 (1976).

42

(30)

30 b) azzardo morale (opportunismo ex post): costituito dal comportamento scorretto che l'agente mette in atto in presenza di asimmetrie informative e per via dell'incompletezza del contratto (specie nel caso in cui non sia verificabile se le parti hanno effettivamente adempiuto in modo corretto agli obblighi del contratto).

Sono inoltre presenti delle asimmetrie informative a favore dell'agente, in quanto esso è sicuramente a conoscenza di un maggior numero di informazioni rispetto al principale sul ruolo da svolgere, e può sfruttare queste asimmetrie tenendo comportamenti opportunistici.

La teoria dell'agenzia suppone che i comportamenti opportunistici dell'agente non siano eliminabili, e che è praticamente impossibile che esso operi nell'interesse del principale; questo genera dei costi, detti "costi di agenzia"43,classificabili in:

- costi di sorveglianza ed incentivazione volti a monitorare il comportamento dell'agente;

- costi di obbligazione che l'agente deve sostenere per assicurare al principale che non adotterà comportamenti opportunistici che lo possano danneggiare, ed eventualmente indennizzarlo;

- costi residuali derivanti da altri conflitti di interesse che le attività di controllo e di obbligazione non sono in grado di gestire; si tratta del costo opportunità misurato dalla differenza tra il comportamento effettivo dell’agente e quello che teoricamente avrebbe portato alla massimizzazione dell’utilità per il principale. Infine, nella teoria dei costi di transazione (Williamson) si pone l’accento sul fatto che l’impresa familiare occupa una posizione privilegiata poiché l’esercizio della proprietà effettuato da un’unica persona, riduce i costi di coordinamento.

Ogni organizzazione economica nasce dal tentativo di minimizzare i costi di transazione in contesti caratterizzati da contratti incompleti, investimenti specifici, razionalità limitata e opportunismo.

43Michael Jensen, William H. Meckling, “Theory of the firm: Managerial behavior, Agency

(31)

31 Sono incompleti i contratti i cui termini siano osservabili dalle parti contrattuali ma non verificabili ed eseguibili, con certezza e in via forzosa, da terze parti nel caso in cui sorgano controversie tra i contraenti (tipicamente l'autorità giudiziaria).

Più precisamente si può affermare che le cause di incompletezza risiedono nell'impossibilità da parte dei contraenti di prevedere ogni possibile contingenza futura che dovesse verificarsi nel corso della relazione così come negli elevati costi di contrattazione sostenuti dalle parti per accordarsi su ogni singola circostanza e nel costo di ricorrere al sistema legale per ottenere l'adempimento del contratto.

Williamson sottolinea in particolare che se le parti inizialmente pattuiscono una determinata cosa, e solo successivamente si rendono conto che quanto pattuito non rispecchia le loro reali intenzioni, allora qualunque adattamento che avverrà dopo sarà necessariamente incompleto.

Questa è una diretta conseguenza della razionalità limitata, proprio perché gli individui non sono in grado di descrivere in maniera del tutto razionale gli eventi che si verificano nel mondo che li circonda.

Quando i contratti sono incompleti, ogni promessa è esposta al rischio di rinegoziazione, specie nei casi in cui le transazioni richiedono investimenti specifici o irreversibili che mantengono un valore elevato solo all'interno di una data transazione.

Ciò comporta che transazioni incomplete sostenute da investimenti specifici saranno realizzate solo quando le parti sosterranno elevati costi volti a ridurre il rischio di rinegoziazioni contrattuali44.

Infine, le teorie pluraliste pongono particolare attenzione alla continuità aziendale. Rientrano in questa categoria la teoria degli stakeholder e la teoria dei diritti di proprietà45.

44Williamson O.E., “L’economia dell’organizzazione. Il modello dei costi di transazione”, in

Nicamulli, Rugiadini “Organizzazione e mercato”, il Mulino (1987)

45Montemerlo D., “Il governo delle imprese familiari”, Egea, 2000 – rielaborazione tratta da

Cristiano E., Sicoli G. - “Evoluzione e Dinamiche di Sviluppo delle Imprese Familiari. Un Approccio Economico Aziendale.”, Franco Angeli editore, (2012).

(32)

32 La teoria degli stakeholder sostiene che spetta all’alta direzione comprendere gli interessi degli stakeholder attuali e potenziali e tenere sotto controllo l’evoluzione delle loro relazioni; permette di individuare verso chi, in concreto, le imprese devono essere responsabili.

Il maggiore esponente di questa teoria è Freeman46 il quale sostiene che “gli

stakeholder primari sono tutti quegli individui e gruppi ben identificabili da cui l'impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e agenzie governative chiave.”

In senso più ampio, tuttavia, stakeholder è ogni individuo ben identificabile che può influenzare o essere influenzato dall'attività dell'organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi lavorativi.

In questo più ampio significato, gruppi di interesse pubblico, movimenti di protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali, concorrenti, sindacati e la stampa, sono tutti da considerarsi stakeholder.

La teoria dei diritti di proprietà (Coase), invece, è formulata sulla base del fatto che controllo e proprietà dell’azienda coincidono47.

Secondo questa teoria, l'esistenza di diritti di proprietà, e una loro perfetta definizione, costituiscono fattori in grado di apportare maggiore efficienza nello svolgimento delle diverse attività economiche che in tal modo possono essere realizzate attraverso il meccanismo di mercato.

In questa teoria la proprietà, intesa nel senso comune, cede il posto a un concetto più evoluto, rappresentato appunto dai diritti di proprietà, a sottolineare che l'elemento su cui ruotano le transazioni di mercato non è tanto il bene genericamente inteso quanto un vero e proprio sistema di diritti di proprietà che concerne non solo la proprietà del bene medesimo, ma tutte quelle norme comportamentali volte a regolarne la disponibilità e l'eventuale trasferibilità48.

46Freeman R.E., “Strategic Management. A Stakeholder Approach.”, (1984) 47Coase Ronald H, “The problem of social cost.”, J. Law & Econ. 3 (1960) 48

(33)

33 CAPITOLO 2

LA GOVERNANCE NELLE AZIENDE FAMILIARI

2.1 L’importanza della governance nelle imprese a conduzione familiare

Il presupposto da cui partono la gran parte degli studi sulla corporate

governance, ovvero la necessità di disciplinare i rapporti fra gli azionisti ed il management che perseguono interessi differenti, non trova ragion d’essere per le

imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione istituzionale tra proprietà e governo è un elemento essenziale.

Dinanzi a tali considerazioni, alcuni studiosi si sono chiesti che senso avesse studiare la governance nelle imprese familiari e in gran parte delle aziende di piccole e medie dimensioni, laddove non si fosse in presenza della separazione tra proprietà e governo49.

Questi contributi hanno sottolineato la necessità di definire meccanismi di

governance efficaci anche per le imprese familiari, nelle quali la sovrapposizione tra

azionisti e manager può generare non pochi problemi.

A osservare la tassonomia tradizionalmente utilizzata per illustrare le forme di

governance diffuse nelle nazioni occidentali, si può notare come accanto alla public company anglosassone e all’impresa consociativa tipica di Germania e Giappone, sia

stata da sempre riconosciuta anche l’impresa a conduzione familiare, modello notevolmente diffuso nell’Europa continentale50.

Quando si analizza la governance delle imprese familiari, ci si rende conto che non esiste un unico modello di governo per il family business, ma il problema si presenta particolarmente complesso e articolato.

49

Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari italiane”;(2016)

50

(34)

34 La corporate governance rappresenta un valido strumento per il perseguimento degli obiettivi strategici e per la protezione del valore investito in azienda.

Essa esprime le modalità attraverso le quali sono regolati i rapporti tra i diversi soggetti che partecipano all’attività d’impresa, quali azionisti, amministratori, dirigenti, finanziatori, ecc..51.

La sua finalità è quella di assicurare che nelle relazioni di impresa non vengano adottati comportamenti opportunistici ed ha l’obiettivo di riallineare gli interessi tra proprietà e management, per evitare o ridurre il rischio di performance inefficienti.

Accanto alla funzione protettiva, la governance può contribuire a promuovere lo sviluppo e la creazione di valore delle imprese: i membri del consiglio di amministrazione possono essere selezionati per dotare l’impresa di esperienze, competenze professionali e relazioni personali utili al perseguimento delle strategie.

La corporate governance può, quindi, essere utilizzata per modificare la dotazione di risorse e competenze dell’impresa, rendendola coerente con gli obiettivi e le esigenze strategiche.

Nelle imprese familiari, come per le altre tipologie di impresa, non esiste un modello di governance valido in senso assoluto in ogni contesto.

La governance, infatti, può divenire più complessa a causa dell’intreccio tra proprietà, management e famiglia.

Il coinvolgimento della famiglia nella proprietà influenza la scelta degli obiettivi, l’orizzonte temporale delle decisioni e lo sviluppo di capacità organizzative.

Pertanto, le aspirazioni e i valori dei membri della famiglia, indirizzando le scelte strategiche dell’azienda, rendono necessaria una configurazione della

governance che consideri, contemporaneamente, le esigenze e le criticità rilevanti sia

per l’una sia per l’altra.

51a cura di Del bene L., Lattanzi N., Liberatore G., “Aziende familiari e longevità

(35)

35 La crisi, prima finanziaria, poi economica, che ha investito l’Europa e gli USA nel corso degli ultimi anni ha dimostrato che un’economia basata soltanto sulla crescita dei mercati finanziari rimane estremamente fragile se non è accompagnata anche da una crescita dell’economia reale52

.

Questo nuovo contesto economico favorisce indubbiamente le società quotate che possono raccogliere agevolmente denaro sui mercati azionari, effettuare acquisizioni scambiando azioni anziché versando denaro e attirare manager qualificati motivandoli con le stock option53.

Risulta invece penalizzata l’impresa familiare che deve basare la propria crescita sull’autofinanziamento e sul finanziamento bancario, e che inoltre non può agevolmente ricorrere allo strumento azionario per motivare il proprio management (ovviamente quello esterno alla famiglia proprietaria)54.

Ipotizzando che la crescita di un’azienda familiare non quotata e di una società quotata fosse stata analoga, sino alla metà degli anni ’80 entrambe potevano gareggiare alla pari, mentre, successivamente, allorché la crescita del valore di borsa prende il sopravvento sulla crescita degli utili, la società quotata distacca inesorabilmente l’azienda familiare.

Questa competizione tra azienda familiare non quotata e società quotata non è soltanto economica, ma tocca anche i valori che stanno alla base del business.

Sino a poco tempo fa, l’obiettivo dichiarato di una public company era quello di incrementare lo shareholder value55.

52D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 53

Le stock option sono uno strumento retributivo e di fidelizzazione dei dipendenti ritenuti strategicamente importanti per l’azienda. Attraverso l’assegnazione di stock option, la società offre al dipendente il diritto a sottoscrivere o acquistare un pacchetto azionario della stessa, o di altra società facente parte dello stesso gruppo, in un arco temporale futuro prestabilito e a un prezzo predeterminato.

54D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”;

55Shareholder value indica, letteralmente, il valore per l’azionista, ovvero il valore fornito ai

soci dovuto alla capacità del management di aumentare le vendite e gli utili nel corso del tempo. Questo dipende dalle scelte strategiche fatte, tra cui la capacità di fare investimenti saggi e generare un ritorno sul capitale investito.

(36)

36 In un’azienda familiare l’obiettivo è sostanzialmente quello di durare e prosperare nel tempo.

Ovviamente questi valori non sono tipici di tutte le aziende possedute da una famiglia, ma sono esplicitamente o implicitamente riconosciuti nell’ambito di quelle che appartengono esclusivamente alla stessa famiglia (o a famiglie discendenti dal fondatore) da almeno tre o quattro generazioni56.

È peraltro molto difficile che un’azienda rimanga controllata dalla stessa famiglia per circa un secolo senza che i suoi membri siano stati in grado di creare una

governance equilibrata che regoli sia i rapporti economici tra i familiari che i rapporti

tra la famiglia e l’azienda.

La prima osservazione è che non esiste una governance adatta indistintamente a tutte le famiglie che controllano un business.

Le regole di governance, infatti, dovrebbero essere definite caso per caso tenendo in considerazione una serie di fattori, come ad esempio le caratteristiche della famiglia e i valori che la contraddistinguono, la dimensione e la situazione finanziaria della società controllata e il suo business, l’esistenza di risorse economiche significative nell’ambito della famiglia, oltre alle particolari esigenze della famiglia e del suo leader.

A nostro avviso il primo fattore da analizzare è quello dei valori, e in particolare il valore che l’azienda ha per la famiglia.

Solitamente si distingue tra due scelte opposte: quella che considera l’azienda familiare come un bene dal valore esclusivamente patrimoniale alla stregua di altri, e quella che la considera come un’entità completamente separata dal resto del patrimonio familiare, che ha un valore soprattutto morale e che sotto il profilo economico deve continuare a prosperare nel tempo57.

Nel primo caso i principali beneficiari sono i singoli shareholder ed è improbabile che il loro interesse possa coincidere con l’obiettivo di mantenere l’azienda nell’ambito del controllo familiare.

56D’Alò G., Marchettini P.,”Governance delle imprese familiari e capitale tangibile”; 57

Pugliese A.,”Assetti proprietari e meccanismi di governance nelle imprese familiari italiane”;(2016)

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