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Studio del Microambiente Articolare e quadri di Imaging nell'Artropatia da Deposito di Pirofosfato di Calcio e nell'Osteoartrosi: valutazione delle principali differenze ed analogie.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Scuola di Specializzazione in Reumatologia

Studio del Microambiente Articolare e quadri di Imaging

nell'Artropatia da Deposito di Pirofosfato di Calcio e

nell'Osteoartrosi: valutazione delle principali differenze ed

analogie.

Relatore

Chiar.mo Prof. Bruno Frediani

Tesi di Specializzazione della Dott.ssa

Antonella Adinolfi

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1

Indice

La Malattia da CPPD

1.1 Percorso Storico Pag. 2

1.2 Epidemiologia Pag. 4

1.3 Eziopatogenesi Pag. 6

1.4 Caratteristiche cliniche Pag.15 1.5 Diagnosi

1.5.1 L’ecografia e la Malattia da CPPD

Pag. 20 Pag.25

1.6 Cenni di Terapia Pag.32

Lo Studio:

2.1 Background e Razionale dello Studio

2.1.1. CPPD ed OA: Quale Relazione?

2.1.2 Il Ruolo Dei Cristalli e Delle Loro Caratteristiche Fisiche Nello Sviluppo Della Flogosi Articolare

Pag.35 Pag.38 Pag.41

2.2 Materiali e Metodi Pag.43

2.3 Risultati Pag.48

2.4 Discussione Pag.55

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La malattia da CPPD

1.1 Percorso storico

La prima segnalazione della presenza di calcificazioni nei tessuti articolari risale a oltre un secolo fa. Nel 1927 Mandl [1] ha suggerito la distinzione tra condrocalcinosi (CC) primaria e secondaria del ginocchio basandosi sull’assenza o presenza rispettivamente di sintomatologia e di danno articolare; enfatizzando così, per la prima volta, il polimorfismo clinico della patologia. Werwath [2], nel 1928, propose che le calcificazioni localizzate a livello delle cartilagini, dei legamenti e della capsula fossero dovute ad anormalità metaboliche sottostanti, e che rappresentassero un fattore predisponente al danno articolare.

Nel 1957 Sitaj e Zintan [3] hanno utilizzato la presenza di condrocalcinosi come criterio di diagnosi per l’artrite in 5 famiglie ceche, introducendo il termine “chondrocalcinosis polyarticularis”. In alcuni casi la CC aveva preceduto il danno articolare, rendendo così ancora più verosimile il sospetto che tra CC e artrite vi fosse un chiaro rapporto.

Una tappa fondamentale nella storia della patologia è stata l’introduzione, da parte di McCarty e Hollander [4] nel 1961, della microscopia a luce polarizzata come tecnica per l’identificazione dei cristalli di urato monosodico in pazienti affetti da gotta. L’anno seguente, McCarty e i suoi colleghi scoprirono, nel liquido sinoviale di pazienti con artrite acuta del ginocchio, cristalli diversi dall’urato monosodico che successivamente sono stati identificati, tramite diffrazione a raggi X, come cristalli di pirofosfato di Calcio diidrato (CPPD - Ca2P2O72H2O).

A causa della marcata somiglianza del quadro clinico con quello della gotta, è stato utilizzato il termine “pseudogotta”[5].

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Nel corso degli anni sono state aggiunte altre forme cliniche associate alla presenza di depositi di calcio pirofosfato, la maggior parte delle quali mimava altri tipi di artrite, portando così alla comparsa di numerose “pseudo-sindromi”. [6]

Nel gennaio del 2011, dopo molti anni, una task force di esperti dell’European League Against Rheumatism [7] ha esaminato la letteratura riguardante la malattia da deposito di calcio pirofosfato, valutandone sfaccettature differenti.

Questo lavoro ha condotto alla pubblicazione di nuove raccomandazioni, che andrebbero ulteriormente confermate, suddivise in due parti: la prima incentrata sulla terminologia e la diagnosi, mentre la seconda esamina principalmente l’approccio terapeutico.

Queste recenti pubblicazioni hanno modificato la visione di questa patologia, attribuendole una nuova importanza.

Le seguenti definizioni, come raccomandate dalla task force, saranno utilizzate nel corso di questa trattazione:

• Cristalli di CPP: termine che semplifica la definizione “cristalli di calcio pirofosfato diidrato”.

• CPPD: riassume tutte le situazioni in cui si dimostra la presenza dei cristalli di CPP (è l’acronimo per “deposizione di calcio pirofosfato”)

• CC: identifica la presenza di calcificazioni della cartilagine, evidenziate attraverso la radiografia o l’analisi istologica (condrocalcinosi

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1.2 Epidemiologia

La prevalenza della malattia da CPPD è ancora incerta. La variabilità delle valutazioni epidemiologiche è strettamente connessa al mezzo diagnostico utilizzato che, in molti studi, è rappresentato dalla radiografia tradizionale[8]. Nelle situazioni in cui è stata impiegata l’analisi del liquido sinoviale per la ricerca di cristalli, i depositi di CPP hanno raggiunto valori elevati, sino al 25 – 43% dei pazienti che hanno subito un intervento di artroprotesi al ginocchio [9,10].

La prevalenza della condrocalcinosi, stimata utilizzando la radiografia tradizionale, può aumentare se sono valutate più sedi contemporaneamente, quali le ginocchia, le mani e la pelvi. [11]

Questa patologia presenta un’importante associazione con l’età, difatti la prevalenza varia dal 3.7% per i soggetti di età compresa fra i 55 – 59 anni, sino al 17.5% per la fascia d’età fra gli 80 – 84 anni[12].

Uno studio effettuato a Framingham, Massachusetts, da Felson et al.[13] nel 1989, ha esaminato un campione di 1425 soggetti scelti in modo casuale, ma con un’età superiore ai 63 anni evidenziando una prevalenza dell’8.1%.

Alcuni dati sulla prevalenza della condrocalcinosi nella popolazione europea sono riscontrabili in uno studio condotto nel 2002 da Neame et al.[12], in questo caso il valore ottenuto è del 7%; mentre lo studio di Sanmarti et al. ha mostrato una prevalenza maggiore, con valori intorno al 10% [14].

In Italia le informazioni a disposizione non sono molte; negli ultimi anni sono stati effettuati studi nel tentativo di definire sul piano epidemiologico sia le malattie reumatiche in generale sia, in modo specifico, la condrocalcinosi.

Lo studio MAPPING, pubblicato nel 2005 da Salaffi et al. [15], ha esaminato l’impatto epidemiologico delle patologie muscoloscheletriche in un campione raccolto nella popolazione delle Marche.

Le condizioni morbose sono state suddivise in quattro gruppi: le patologie reumatiche infiammatorie (ulteriormente suddivise in tre sottogruppi: le

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connettivopatie, le spondiloartriti sieronegative e le malattie da cristalli), le artriti sintomatiche periferiche, il mal di schiena e i disturbi a carico dei tessuti molli.

La prevalenza delle affezioni muscoloscheletriche è compresa fra il 9.8% e il 33.2%, con una grossa differenza tra le diverse fasce d’età che, in questo studio, variano dai 18 fino ad oltre i 75 anni. Data l’ampiezza di questo range, la prevalenza delle artropatie da cristalli si differenzia da quella calcolata in altri studi. Il valore per le malattie da cristalli è dello 0.88%, quello della gotta è dello 0.46%, mentre per la condrocalcinosi è intorno allo 0.42%.

Lo studio Pro.V.A., condotto da Ramonda et al.[16] nel 2009, ha invece definito la prevalenza della CC in un campione scelto tra la popolazione del nord – est Italia.

I soggetti scelti erano residenti nelle aree di Rovigo e Camposampiero e l’età doveva essere superiore ai 65 anni.

Sono state valutate varie articolazioni potenzialmente sede di condrocalcinosi quali il ginocchio, la sinfisi pubica e l’articolazione coxofemorale; tra queste quella maggiormente colpita è il ginocchio, dove la CC è presente nel 94.1% dei soggetti e con frequente interessamento bilaterale. E’ risultato maggiormente coinvolto il ginocchio destro rispetto al sinistro, con prevalente interessamento del comparto laterale. L’esame utilizzato per identificare gli eventuali depositi di CPP è stato la radiografia standard.

La prevalenza si modifica in base sia al sesso sia all’età, dimostrando la maggiore frequenza di questa patologia nel sesso femminile e negli anziani. I valori crescono dal 7.8%, riscontrato nella fascia fra i 65-74 anni, al 9.8% tra i pazienti di età compresa tra i 75 e gli 84 anni, sino a raggiungere il 21.1% nei soggetti con più di 85 anni.

Nel corso di questo studio è stata inoltre osservata una maggiore frequenza dell’artrosi nei soggetti con condrocalcinosi.

Uno studio di Zhang et al [17], del 2006 ha invece valutato la prevalenza della condrocalcinosi in un campione della popolazione cinese; la coorte dello

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studio è stata raccolta tra gli abitanti della città di Pechino. I partecipanti presentavano un’età almeno superiore ai sessanta anni.

La ricerca dei depositi cristallini è stata condotta mediante l’esecuzione di radiografie anteroposteriori del ginocchio e della mano.

La prevalenza nel campione esaminato ha valori ben inferiori rispetto a quelli della popolazione caucasica, in cui la CC del ginocchio appare circa tre volte più frequente; in particolare la differenza è significativa nel caso di condrocalcinosi bilaterale ma non nel caso di interessamento monolaterale, questo dato potrebbe indicare una predisposizione genetica a sviluppare depositi di CPP nei soggetti di razza bianca.

La differenza è ancor più netta per l’articolazione del polso, la cui compromissione è molto rara nei soggetti sottoposti allo studio.

Attraverso le analisi condotte è stata confermata la correlazione fra l’età e la condrocalcinosi, e la maggiore predisposizione del sesso femminile a sviluppare questa patologia.

1.3

Eziopatogenesi

I meccanismi eziopatogenetici alla base della malattia da CPP non sono definiti con chiarezza, tuttavia si sono individuati numerosi fattori di rischio.

Si possono distinguere forme sia di tipo familiare che sporadiche, insieme ai più rari casi di malattia secondaria ad alcune condizioni dismetaboliche, in particolare l’emocromatosi, l’iperparatiroidismo e l’ipomagnesemia.

Tra i fattori di rischio uno dei più conosciuti è l’invecchiamento; infatti, come dimostrato in diversi studi, la prevalenza di CPPD aumenta nelle fasce d’età più avanzate [12,13].

Il nesso patogenetico è legato, presumibilmente, alla degenerazione senile della cartilagine articolare, con effetto pro aggregante sulla formazione dei cristalli di pirofosfato.

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Un altro aspetto di estrema rilevanza è il legame con l’osteoartrosi (OA), nonostante ciò, non è chiaro se la formazione dei depositi di CPP sia favorita dalla degenerazione artrosica della cartilagine, o al contrario se sia la condrocalcinosi a indurre l’artrosi [8].

Il legame con diverse malattie metaboliche è dovuto all’alterazione del metabolismo di pirofosfato (PPi) e Calcio (Ca), come avviene nell’iperparatiroidismo, nell’emocromatosi, nell’ipomagnesemia e nel morbo di Wilson.

I disturbi dell’omeostasi sono correlati al ridotto catabolismo del PPi da parte della fosfatasi alcalina, correlabile sia all’aumentata concentrazione di ioni inibenti quali il ferro e il rame, sia alla riduzione di ioni catalizzatori come il magnesio. Le alterazioni ossee e cartilaginee riscontrabili in queste patologie, hanno probabilmente un ruolo nel favorire la formazione dei depositi.

In generale si può affermare che la ricerca di queste patologie è da prendere in considerazione soprattutto negli individui di età inferiore ai 55 anni, considerando sia l’elevata frequenza di condrocalcinosi nei soggetti affetti da queste condizioni dismetaboliche sia la rarità della forma sporadica della CC in questa fascia d’età. Dopo i 55 anni andrebbe effettuato uno screening per l’iperparatiroidismo nei pazienti affetti da condrocalcinosi, dato che entrambe queste condizioni patologiche diventano più comuni dopo quest’età[18].

Diversi studi sono stati eseguiti con l’intento di identificare alterazioni genetiche implicate nella patogenesi e responsabili dell’insorgenza delle forme ereditarie.

Una forma geneticamente determinata è stata riconosciuta per la prima volta in famiglie di origine ceca e in seguito molti altri casi sono stati osservati in nuclei familiari di diverse etnie. La trasmissione è di tipo monogenico e

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Figura 1. Ruolo della proteina dell'anchilosi progressiva del topo e dell’ ANK umano nella formazione di cristalli patologici nelle articolazioni. La mutazione di ANKH nell'uomo determina un incremento dell’attività della proteina, con aumento dei livelli di pirofosfato. Al contrario la mutazione del gene ANK nel ratto comporta una riduzione dell’attività della proteina, con ridotti livelli di PPi (e riduzione della normale inibizione sulla formazione dei cristalli di calciofosfato basico) e la deposizione dei cristalli di idrossiapatite.

l’espressione fenotipica varia dalla malattia isolata fino a gravi forme di artropatia, con un possibile esordio in età precoce (tra i 30 e i 40 anni) e un florido interessamento poli articolare[8].

Gli studi molecolari hanno identificato due loci genici implicati nella patogenesi delle forme familiari: il CCLA1, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 8 ed associato ad un’artrosi severa e il CCLA2, localizzato sul braccio corto del cromosoma 5 e riscontrabile in famiglie del Regno Unito, della Francia e dell’Argentina. Il gene responsabile, mappato sul locus CCLA2, è l’ANKH che codifica la proteina trans membrana deputata al trasporto del pirofosfato inorganico nello spazio extracellulare[19].

La sua mutazione comporta un incremento dei livelli di pirofosfato nello spazio extracellulare, conducendo ad alcune conseguenze sul piano

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fisiopatologico quali l’inibizione della sintesi di apatite e la deposizione dei cristalli di CPP nei tessuti articolari [19][Fig.1].

Il ruolo della mutazione di ANKH nella condrocalcinosi sporadica non è stato ben stabilito. Piccoli studi condotti in Spagna hanno considerato i parenti di primo grado di pazienti con condrocalcinosi o artropatia da pirofosfati, evidenziando elevati valori di prevalenza [20].

Lo studio caso – controllo di Zhang W. et al. [17] del 2004 ha dato risultati differenti. La prevalenza è stata studiata su due gruppi: chi presentava un parente di primo grado affetto da condrocalcinosi (i casi) e soggetti con anamnesi familiare negativa.

Nonostante la prevalenza grezza fosse più elevata nei consanguinei rispetto alla popolazione generale, questa differenza si è rivelata statisticamente non significativa rivalutandola alla luce di importanti fattori confondenti, quali l’età, il sesso e la contemporanea presenza di artrosi nelle articolazioni esaminate.

Un più recente studio caso-controllo [21], condotto su un ampio campione appartenente a due diversi studi (Genetics of Osteoarthritis and Lifestyle [Studio GOAL] and Nottingham Osteoarthritis Case-Control [Studio NOAC]), ha dato risultati differenti in merito all’associazione tra CC sporadica, alcuni polimorfismi del gene ANKH ed altri fattori eziologici, quali l’età e l’osteoartrosi.

È stato evidenziato, infatti, che l’associazione tra la mutazione (transizione -4bpG > A) della regione non tradotta 5’ del gene ANKH e la presenza di CC è indipendente dall’età e dalla presenza di OA. Inoltre, è stato confermato che in vitro, in presenza di questa mutazione, i livelli intra cellulari di PPi sono più bassi, dato indiretto che confermerebbe il mal funzionamento della proteina ANK e, ipoteticamente, una maggiore concentrazione extracellulare di questo ione.

Considerando il meccanismo patogenetico alla base della formazione dei cristalli all’interno delle strutture articolari, non è attualmente noto ma,

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probabilmente, è correlato a numerosi fattori, tra cui l’aumentata concentrazione di PPi o calcio e le alterazioni della matrice cartilaginea extracellulare.

In uno studio del 1972 Bjelle [22] sostenne che alterazioni della matrice cartilaginea precedono e favoriscono la formazione di cristalli di CPP. In questo studio, condotto su pazienti svedesi con condrocalcinosi familiare, riscontrò una riduzione del contenuto di collagene, con frammentazione delle fibrille e un alterato profilo delle exosamine.

I cristalli di CPP si formano nelle regioni di anormalità della matrice pericellulare; questi si osservano comunemente nelle aree con diminuito contenuto totale di collagene e con corrispondente aumento delle catene di collagene α1, spesso danneggiate [23]. Altri riscontri comuni sono l’incremento delle proteine matriciali leganti il calcio e dei proteoglicani a basso peso molecolare, mentre si riducono le molecole a peso elevato [24]–[26].

Una classe di enzimi, le transglutamminasi, è stata implicata nel meccanismo responsabile delle alterazioni cartilaginee; questi enzimi, infatti, hanno la capacità di creare ponti fra le proteine della matrice e di modificarne la struttura extracellulare portando alla formazione di un microambiente favorevole alla produzione di cristalli [27].

Un altro aspetto fondamentale della patogenesi è la composizione inorganica della matrice cartilaginea, in quanto essa può influenzare la formazione dei cristalli di CPP.

Il PPi è prodotto da diverse reazioni biosintetiche intracellulari in tutti i tessuti del corpo. La principale fonte è l’idrolisi dei nucleosidi trifosfato, nonostante il pirofosfato venga rilasciato nel corso di numerose reazioni biosintetiche. Negli adulti la quantità totale di pirofosfato è stimata nell’ordine dei Kilogrammi/giorno, e la maggior parte di essa è catabolizzata dalla pirofosfatasi in ortofosfato [28].

Nei tessuti dell’apparato locomotore il PPi gioca un ruolo centrale nella modulazione della mineralizzazione, infatti, determinate concentrazioni di PPi

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sono indispensabili per la nucleazione dell’apatite e la sua successiva crescita mentre livelli più alti di PPi inibiscono tali processi.

Sono state ipotizzate due vie biosintetiche per la sintesi del pirofosfato; una a livello intracellulare e l’altra localizzata nello spazio extracellulare.

La teoria della sintesi intracellulare si basa sulla possibilità che il PPi venga prodotto durante la metabolizzazione delle proteine cellulari e degli acidi nucleici e sia trasportato successivamente all’esterno delle cellule. Dato che questa molecola è polarizzata, non può attraversare passivamente la membrana cellulare ma è trasportata attraverso la proteina transmembrana ANK[23].

La sintesi extracellulare è data dall’enzima PC-1, localizzato a livello della membrana condrocitaria e dotato di attività pirofosfoidrolasica (scinde i nucleosidi trifosfato in nucleosidi e pirofosfato)[23].

Il catabolismo del PPi è delegato alla fosfatasi alcalina, la principale pirofosfatasi extracellulare nel tessuto osseo. Teoricamente il suo effetto sui livelli del PPi sarebbe sufficiente per controllare i processi di mineralizzazione ossea[23] [Fig.2].

Figura 2. Immagine riassuntiva del metabolismo del PPi. La formazione del pirofosfato si verifica sia attraverso la pirofosfoidrolisi dei nucleosidi trifosfato da parte della PC-1, rilasciando un nucleotide e PPi, sia attraverso il trasporto del pirofosfato, mediato dalla proteina ANK, dall'interno all'esterno della cellula. La pirofosfatasi idrolizza il pirofosfato in presenza di Mg2+, rilasciando ortofosfato.

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Un ruolo decisivo nella formazione dei cristalli di CPP è svolto dalle vescicole condrocitarie articolari (articular chondrocyte vesicles, ACVs), prodotte dai condrociti che, normalmente, fungono da centro regolatore della crescita cartilaginea[29].

Queste vescicole legano il calcio con elevata affinità, possedendo un pattern enzimatico che comprende sia la pirofosfoidrolasi nucleotidica sia la fosfatasi alcalina; inoltre sono in grado di produrre sia cristalli di CPP sia di calciofosfato basico [30-32].

La sintesi di PPi da parte della pirofosfoidrolasi ha, tra i suoi fattori determinanti, la presenza di ATP il quale è normalmente rilasciato dai condrociti, e la sua concentrazione aumenta in situazioni di stress e carico meccanico[30].

La concentrazione extracellulare di PPi è regolata da numerosi fattori di crescita e citochine, quali l’insulin growth factor (IGF-1), l’interleuchina 1 (IL-1) e il transforming growth factor-β (TGF-β).

Il TGF-β promuove l’espressione della glicoproteina-1 plasmatica, di ANKH, della proteina dello strato intermedio della cartilagine, l’attività delle transglutaminasi e regola negativamente la fosfatasi alcalina, incrementando quindi la concentrazione extracellulare di PPi. Al contrario, l’IGF-1 e l’IL 1β hanno un’azione contraria al TGF-β, riducendo i livelli extracellulari di PPi [28].

È stato osservato, inoltre, che la concentrazione di PPi è più elevata nel liquido sinoviale di pazienti affetti da CPPD ± OA, iperparatiroidismo, ipomagnesemia ed emocratosi, rispetto ai valori riscontrati nel liquido sinoviale di controlli sani. Quest’incremento è un’anormalità locale, poiché i corrispondenti valori ematici e urinari si mantengono nella norma, suggerendo un meccanismo di formazione locale dei CPP[28].

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Figura 3. Fattori che potrebbero influenzare la formazione dei cristalli di CPP.

I cristalli di CPP sono prodotti soprattutto all’interno delle fibrocartilagini e delle cartilagini ialine delle articolazioni (raramente all’interno di strutture tendinee e capsulo-legamentose). Solo due delle dodici forme cristallografiche conosciute sono prodotte all’interno del corpo umano: i dimorfi t-CPP (triclinic CPP) e m-CPP (monoclinic-CPP) [31] [Fig.3].

I cristalli di CPP, al contrario dei cristalli di urato monosodico (UMS), hanno bisogno di un preciso microambiente chimico – fisico per la propria sintesi; infatti, non esistono modelli animali adatti alla produzione dei cristalli di CPP e le conoscenze che vi sono sulla loro formazione provengono dall’utilizzo di soluzioni gelatinose come substrato.

Tra i fattori che ne influenzano la crescita vi sono:

Oltre al prodotto Ca*PPi, le alte concentrazioni locali di magnesio, ortofosfato e condroitin solfato inibiscono, in maniera importante, la formazione e la crescita dei cristalli;

• Al contrario, gli ioni ferro (sia il Fe2+ sia il Fe3+)e i cristalli di urato

monosodico hanno proprietà stimolanti.

Inoltre, l’apatite lega il PPi portando a una più stabile crescita dei depositi di CPP;

• La formazione dei cristalli di m-CPP e t-CPP si realizza attraverso diversi prodotti intermedi, i quali hanno come risultato comune il t-CPP, che ne rappresenta la forma più stabile.

In conclusione, appare necessaria la coesistenza di numerosi fattori, sia tissutali (carenza di collagene e proteoglicani) che inorganici (concentrazione

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di PPi e di magnesio), per la promozione o l’inibizione della formazione dei cristalli di CPP.

Il meccanismo più probabile alla base dei fenomeni infiammatori cristallo-indotti è il “crystal shedding”, ossia la diffusione dei CPP dalla cartilagine all’interno dello spazio articolare[32].

I cristalli sono protetti dai mediatori infiammatori quando rimangono all'interno della struttura cartilaginea, mentre sono capaci di indurre una reazione infiammatoria quando sono liberati nello spazio intrarticolare[33].

Queste particelle attivano le cellule sinoviali attraverso due meccanismi: la fagocitosi e l’interazione diretta con la membrana cellulare. I cristalli di CPP generano infiammazione mediante l’attivazione dell’inflammosoma NALP-3 e la conseguente produzione di IL-1β che, a sua volta, determina il rilascio di altre citochine infiammatorie, come il TNF-α (tumor necrosis factor).

I cristalli di CPP, inoltre, presentano un doppio effetto sui granulociti neutrofili, uno proreattivo (favorito dalla produzione di IL-8) e l’altro antiapoptotico, che potrebbe spiegare la prolungata attivazione neutrofila nell’artrite acuta da C. Le cellule che fagocitano i cristalli di CPP rispondono con un incremento dell’attività metabolica e il rilascio delle mielo perossidasi, di citochine pro infiammatorie (IL-1β, Il-8 e IL-6) e delle “neutrophil extracellular traps” (NETs).

Il potenziale infiammatorio delle particelle di CPP è determinato da numerosi fattori quali le piccole dimensioni (che le rendono maggiormente suscettibili alla fagocitosi), l’isoforma monociclica (in quanto vi è un’ampia superficie di interazione con i mediatori dell’infiammazione), la quantità dei cristalli presenti, l’attacco alle immunoglobuline e fattori del complemento (che i cristalli possono attivare sfruttando sia la via classica, sia la via alternativa), e l’elevata carica negativa[34].

Il fenomeno del “crystal shedding” si può verificare per vari motivi: la riduzione delle dimensioni del cristallo per lesioni della cartilagine o per alterazioni della sua composizione, tutti questi elementi condurrebbero ad una

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più facile “evasione” dei cristalli [35]. A sostegno di questa teoria vi sono diverse evidenze che mostrano come un attacco di pseudogotta possa essere indotto da varie cause[36]:

• Il lavaggio articolare con sostanze solubilizzanti; • Un trauma (in seguito a fissurazione della cartilagine);

Condizioni di sepsi (per fenomeni di “enzymatic strip mining” cioè “coltivazione enzimatica” dei cristalli);

• La terapia con tiroxina (alterazioni della matrice cartilaginea).

Le fasi di autospegnimento della flogosi acuta, invece, sono spiegate dal rivestimento dei cristalli da parte di proteine inibitorie tuttora non ben identificate.

Allo stesso modo, i fattori patogenetici alla base dei meccanismi flogistici e di danno tissutale che caratterizzano le forme di artrite cronica da CPP non sono stati definiti, ma è stato ipotizzato un ruolo di diversi fattori che favoriscono il rimodellamento tissutale: l’attivazione delle metalloproteinasi, il rilascio di prostaglandina E ed ossido nitrico, l’alterazione del metabolismo cellulare e l’attivazione dell’attività osteoblastica [28].

1.4 Caratteristiche cliniche

La formazione dei depositi di calcio pirofosfato si verifica quasi esclusivamente nei tessuti articolari, più comunemente a livello delle fibrocartilagini e delle cartilagini ialine. Le manifestazioni cliniche associate alla presenza di questi depositi sono estremamente varie e l’utilizzo di terminologie e classificazioni differenti ha condotto a un’estrema difficoltà nella descrizione fenotipica della malattia da CPPD.

Inizialmente è stato introdotto, in analogia alla gotta, il termine di “pseudogotta” per la descrizione degli attacchi acuti. In seguito sono state

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riconosciute numerose presentazioni cliniche che mimavano forme diverse di artrite, incoraggiando la proliferazione di una serie di “pseudo” sindromi. Sulla base di queste osservazioni venne proposta una classificazione costituita da sei quadri clinici[37]:

• Tipo A o pseudogotta;

• Tipo B o forma pseudo reumatoide;

• Tipo C o forma pseudoartrosica (associata a manifestazioni infiammatorie);

• Tipo D o forma pseudoartrosica (non associata a manifestazioni infiammatorie);

• Tipo E o forma asintomatica; • Tipo F o neuropatica.

L’ultima modifica alla classificazione delle manifestazioni cliniche associate alla CPPD è stata apportata dalla task force dell’EULAR [7], che ha proposto la seguente suddivisione:

• CPPD asintomatica: CPPD senza conseguenze cliniche apparenti; • Artrite acuta associata ai cristalli di CPP;

• Artrite infiammatoria cronica da cristalli di CPP; • CPPD associata ad OA

Di seguito sono riportati i principali quadri clinici [6,28,38]: • Artrite acuta da cristalli di CPP:

Questa è la causa più frequente di monoartrite acuta nei soggetti anziani. Gli attacchi possono essere la manifestazione di una condizione, fino a quel momento, asintomatica oppure presentarsi in corso di un’artropatia cronica da pirofosfati.

Tutte le articolazioni potrebbero essere colpite, ma la sedi più frequentemente colpite sono il ginocchio e il polso. Meno frequenti sono gli attacchi contemporanei in più articolazioni (meno del 10% dei casi), mentre sono assolutamente rari gli attacchi poliarticolari.

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L’attacco tipico si sviluppa velocemente nell’arco di 6 - 24 ore. Analogamente a quanto accade nella gotta, il paziente può descrivere il dolore come estremamente intenso e difficilmente sostenibile.

All’esame obiettivo l’articolazione coinvolta appare calda, tumefatta, dolente, dolorabile e con ridotto arco di movimento. La comparsa di febbre è frequente ma raramente raggiunge valori elevati.

Gli attacchi sono autolimitanti e in genere si risolvono in 1 – 3 settimane, in alcuni casi possono presentarsi con un quadro clinico più lieve caratterizzato da versamento, rigidità e“calor” della sede colpita, ma in assenza di dolore.

Numerosi fattori predisponenti sono stati riconosciuti, tra questi il più comune è l’associazione con eventi stressanti, in particolare stati morbosi o interventi chirurgici, incluso il lavaggio intrarticolare.

Da alcuni studi è stata confermata l’associazione tra tali eventi flogistici acuti ed alcuni fattori di rischio già noti, come l’OA e l’iperparatiroidismo. Al contrario, non è stata evidenziata alcuna associazione con l’abuso di alcool, il diabete, pregressi eventi cardiovascolari, il BMI e l’artrite reumatoide[11].

• Artrite cronica da cristalli di CPP:

Le manifestazioni cliniche associate all’artrite cronica da cristalli di CPP sono piuttosto eterogenee. Questa variante, infatti, usualmente si presenta sul piano clinico sotto forma di poli- o oligoartrite (sedi più frequentemente coinvolte: le ginocchia, i polsi e, in minor misura, le spalle, le anche e le piccole articolazioni delle mani), con un decorso variabile tra: manifestazioni infiammatorie modeste ma persistenti, il sovrapporsi di eventi flogistici acuti e la presenza di segni e sintomi secondari alla degenerazione articolare.

Considerando tale eterogeneità, obiettivamente le articolazioni affette possono presentare spesso segni riconducibili ad osteoartrosi (crepitii,

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riduzione dell’arco di movimento), variabilmente associati a segni infiammatori, quali il “calor”, il dolore e la tumefazione articolare. Presentazioni cliniche meno comuni della artrite cronica da CPP sono secondarie alla localizzazione assiale dei depositi di cristalli di CPP che può interessare i dischi intervertebrali, i legamenti longitudinali posteriori, il legamento giallo e le faccette articolari.

Un’entità clinica riconosciuta è la cosiddetta “crowned dens syndrome” (così chiamata per l’aspetto dei depositi alla TC), secondaria alla presenza dei cristalli di pirofosfato di calcio a livello dell’articolazione atlo-epistrofea, il cui riscontro è spesso occasionale. Sul piano clinico, questa sindrome è caratterizza da attacchi acuti di dolore e rigidità cervicale, febbre ed elevazione degli indici di flogosi (entra spesso in diagnosi differenziale con la Polimialgia Reumatica).

Meno frequentemente, l’artrite cronica da CPP si manifesta come un’artropatia rapidamente progressiva, in particolare a carico delle ginocchia e delle spalle (destructive pyrophosphate arthropathy o pseudoneuropathic joint).

Questo quadro sembra limitato alle donne oltre gli ottanta anni di età e spesso si associa a emartro intermittente.

Rara è la presenza di depositi di CPP extrarticolari o di calcificazioni sclerocorioidee e la loro comparsa è associata, di solito, a forme di CPPD determinate da malattie metaboliche come la sindrome di Gitelman o l’iperparatiroidismo.

• Condrocalcinosi Asintomatica:

Questa è la variante della CPPD caratterizzata dall’assenza di manifestazioni cliniche apparenti. Si può manifestare come la presenza di calcificazioni cartilaginee isolate o come OA associata a CC senza segni/sintomi di malattia.

Il riscontro di CC non è sempre dovuta alla presenza di cristalli di pirofosfato ed è spesso un riscontro occasionale in radiografie effettuate

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per altri motivi. La prevalenza di CC nella popolazione generale varia tra il 10 e il 15% nella fascia d’età compresa tra i 65 e i 75 anni, e aumenta fino al 40% in soggetti di età superiore agli 80 anni.

L’evidenza radiologica della CC può essere fattore di confusione nell’inquadramento del paziente, e sono necessari un’attenta anamnesi ed un accurato esame obiettivo per determinare la sua importanza nel quadro clinico complessivo.

• CPPD associata a OA:

Questa variante clinica rappresenta attualmente quella più dibattuta, anche perché spesso sovrapposta ad altri sottotipi, quali l’artrite cronica da CPPD o la CC asintomatica.

Nelle raccomandazioni EULAR, gli esperti affermano che l’OA associata a CPPD è caratterizzata da più frequenti e/o intensi segni e sintomi di infiammazione e da una distribuzione delle alterazioni degenerative diverse da quelle dell’OA isolata (maggiore coinvolgimento delle articolazioni radio- e mediocarpica, della gleno-omerale e delle articolazioni del meso- e retropiede).

Tuttavia, se sia l’OA a favorire l’insorgenza della CPPD o piuttosto il contrario, non è tuttora noto.

Diversi studi [12-14] hanno confermato l’associazione tra la CC e l’OA a livello del ginocchio, confermata anche in un recente studio caso-controllo, condotto su un’ampia popolazione, in cui è stata evidenziata un’associazione anche per l’articolazione del polso (ma non per l’anca) [39]. Tale associazione appare indipendente dall’età, dal sesso e dal BMI. Inoltre, per quanto riguarda il ginocchio, non è stata osservata una distribuzione caratteristica delle alterazioni osteoartrosiche nei soggetti con CC+OA, rispetto a chi presentava esclusivamente gonartrosi.

Nello stesso studio, inoltre, è stato evidenziato che l’OA a livello del ginocchio/polso (ma non per l’anca) correla con la presenza di CC a livello di articolazioni distanti.

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Nel 2016, Abhishek e colleghi [40] hanno valutato, a livello del ginocchio e dell’anca, se la CC associata ad OA presentasse un pattern di alterazioni differenziabile rispetto all’OA singola. A questo scopo, hanno considerato il grado di osteofitosi, la riduzione dello spazio articolare e, per il ginocchio, la presenza di “bone attrition”, definita come riduzione di struttura ossea associata al collasso dell’osso subcondrale.

Dalle analisi effettuate, gli autori affermano che, a livello del ginocchio, la presenza di CC non si associa ad un maggior grado di osteofitosi o ad una maggiore riduzione dello spazio articolare, mentre sono statisticamente più frequenti le aree di “bone attrition” a carico delle ginocchia con CC+OA. Tale risultato mette in evidenzia che, l’associazione tra le due patologie potrebbe determinare una forma maggiormente “destruente” di OA, contrariamente a quanto concluso in passato da altri studi, che avevano osservato una maggior grado di proliferazione ossea nei pz con CC+OA rispetto all’OA singola.

1.5 Diagnosi

La diagnosi della malattia da deposito di pirofosfato di calcio si basa su criteri diagnostici che includono analisi istologiche, microscopiche e radiologiche, individuati diversi anni fa da McCarty. I principali criteri per la diagnosi sono storicamente rappresentati dalla rilevazione dei cristalli di pirofosfato all’analisi del liquido sinoviale e dal riscontro delle tipiche calcificazioni alle radiografie [41].

Secondo questi criteri la diagnosi di artropatia da CPPD è certa quando i cristalli sono evidenziati in tessuti articolari o nel liquido sinoviale con tecniche definitive (ad esempio la diffrazione a raggi X), oppure quando le calcificazioni caratteristiche sono rilevate ai raggi X e i cristalli birifrangenti, compatibili con quelli di CPP, sono riscontrati all’analisi del liquido sinoviale con microscopio

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21

a luce polarizzata. Se fosse soddisfatta solo una di queste condizioni, la diagnosi sarebbe ritenuta soltanto probabile.

Le tecniche che offrono un’identificazione sicura dei cristalli di CPP (come la diffrazione a raggi X o il microscopio elettronico) sono scarsamente reperibili, hanno tempi di esecuzione piuttosto lunghi, costi di gestione elevati e richiedono cariche cristalline alte nel campione esaminato. Nella pratica clinica quindi, è più indicato l’uso del microscopio ottico a luce polarizzata per l’identificazione dei cristalli, anche se passibile di falsi negativi e falsi positivi.

Le caratteristiche del liquido sinoviale, osservabili al microscopio ottico, si modificano secondo il quadro patologico di fondo. Durante un attacco di artrite acuta da CPP; il liquido sinoviale appare spesso torbido con viscosità diminuita e conta cellulare elevata. Nell’artropatia cronica da CPPD, invece, l’aspetto macroscopico, la viscosità e la conta cellulare sono incostanti e possono assumere anche caratteristiche di un liquido sinoviale non infiammatorio [Fig.4].

Figura 4. A sinistra il liquido sinoviale di un paziente con pseudogotta. A destra il liquido sinoviale di un soggetto con artropatia cronica da CPPD. Nel primo caso sono stati riscontrati numerosi cristalli e cellule della serie bianca.

All’interno del liquido sinoviale, analizzato al microscopio con luce polarizzata compensata, si evidenziano i cristalli di CPP.

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22

Questo tipo di deposito cristallino può essere ritrovato sia nello spazio intra che extracellulare, presenta forma romboidale e debole birifrangenza positiva.

I cristalli di CPP nel liquido sinoviale possono essere meno numerosi rispetto ai cristalli di urato monosodico, sfuggendo quindi all’osservazione. Bisogna porre particolare attenzione nei campi ove sono presenti cellule e fibrina. Inoltre è importante analizzare il liquido velocemente dopo l’aspirazione per evitare la dissoluzione dei cristalli [Fig.5].

Figura 5. Aspetto dei cristalli di CPP al microscopio a luce polarizzata.

L’EULAR ha rivalutato l’utilizzo dell’analisi del liquido sinoviale come principale mezzo per il raggiungimento di una diagnosi certa della malattia da CPP.

La sua validità e affidabilità sono state sistematicamente rivalutate

[

42

]

ed è stato evidenziato che, attraverso l’addestramento degli esaminatori all’identificazione dei cristalli, la sensibilità e la specificità raggiungono livelli elevati. Non è stato raccomandato nessun cut – off della quantità di cristalli da trovare per il raggiungimento della diagnosi, anche il riscontro di un singolo cristallo è ritenuto clinicamente significativo.

Secondo i criteri diagnostici di McCarty l’altro esame fondamentale per il raggiungimento della diagnosi è la radiografia standard [41].

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Gli aspetti radiologici peculiari della condrocalcinosi sono rappresentati dalle calcificazioni e dalla presenza di alterazioni strutturali delle articolazioni interessate. Le calcificazioni si possono riscontrare in diversi tessuti articolari; le sedi più comuni e più precoci sono le cartilagini ialine (soprattutto ginocchio, spalla e anca) e le fibrocartilagini (menischi, fibrocartilagine triangolare del carpo e sinfisi pubica)

[6]

[Fig.6].

Figura 6. Calcificazioni a livello di polso (A) e ginocchio (B) in caso di Condrocalcinosi.

Le calcificazioni nella capsula, nella sinovia o nei tendini in genere compaiono tardivamente. La CC occasionalmente può colpire una sola articolazione (di solito il ginocchio), ma nella maggior parte dei casi ha una distribuzione poliarticolare. L’assenza di lesioni a livello del ginocchio, del polso o della sinfisi pubica rende poco probabile che queste possano essere riscontrate in altre sedi. Altra caratteristica importante è la dinamicità delle calcificazioni, le quali possono modificare le proprie dimensioni in rapporto alla fase della patologia[6]. Un esempio caratteristico è l’attacco di artrite acuta da CPP, durante il quale si può osservare una riduzione dei depositi intracartilaginei evidenziabili radiologicamente.

La task force dell’EULAR ha rivalutato l’effettiva validità della radiografia per il raggiungimento di una diagnosi certa, affermando che

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24

l’assenza delle calcificazioni all’Rx non dovrebbe escludere la diagnosi di malattia da CPPD.

Accade di frequente che ci sia discordanza fra il riscontro di cristalli a livello del liquido sinoviale e il referto radiografico, infatti il riscontro di CC in casi di confermata artrite da cristalli varia dal 29% al 93% secondo la popolazione e l’articolazione esaminata [43-45].

Un piccolo studio caso controllo[44] (su 18 pazienti) ha evidenziato che l’Rx al polso non è sensibile né specifica per il riscontro di CC, riscontrata soltanto nel 3% dei pazienti che presentavano cristalli di CPP all’analisi del liquido sinoviale. I risultati di questo piccolo studio non sono generalizzabili ma andrebbero confermati da ulteriori studi.

L’EULAR ha esaminato, inoltre, l’utilità dell’ecografia nell’iter diagnostico della malattia da CPPD, soprattutto per identificare le calcificazioni a livello di spalla, polso e ginocchio[46,47].

L’esame ecografico del ginocchio ha dimostrato elevati valori sia di sensibilità sia di specificità per il riscontro dei depositi di cristalli; la positività dell’ecografia suggerisce, infatti, con migliore accuratezza la diagnosi di CPPD.

Le possibilità diagnostiche dell’ecografia per la diagnosi di questa patologia saranno estesamente descritte nel paragrafo successivo.

Tabella 1. Differenze tra i criteri diagnostici definiti da McCarty e le nuove raccomandazioni dell'EULAR

McCarty

EULAR

LS POSITIVO DIAGNOSI PROBABILE DIAGNOSI CERTA RX POSITIVO DIAGNOSI PROBABILE NON SUFFICIENTE

LS e RX POSITIVO DIAGNOSI CERTA DIAGNOSI CERTA

ECOGRAFIA NON

CONSIDERATA

OTTIMI LIVELLI DI SENSIBILITA’ E SPECIFICITA’

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1.5.1 L’ecografia e la malattia da CPPD

L’ecografia è una metodica che ha dimostrato, in numerosi studi, una notevole sensibilità nell’evidenziare le calcificazioni dei tessuti articolari e peri articolari.

Le possibilità di questa metodica sono state confrontate con altri tipi di esami diagnostici, come la radiologia tradizionale e la risonanza magnetica nucleare (RMN) che, a causa delle proprie caratteristiche intrinseche, spesso non riescono a discriminare le calcificazioni dai tessuti circostanti se non raggiungano dimensioni elevate. In uno studio condotto su cadaveri che presentavano CC delle ginocchia, sono stati confrontati i rilievi istologici con i quadri radiologici e della risonanza magnetica, permettendo agli studiosi di concludere che la RMN non è sensibile nel rilevare la presenza di depositi di CPP nel ginocchio anche quando questi appaiono diffusi [48].

Le segnalazioni sull’utilizzo dell’ecografia nella diagnosi della malattia da deposito di pirofosfato di calcio sono, progressivamente, aumentate nel tempo.

Gli studi condotti sono principalmente mirati a descrivere le caratteristiche ecografiche dei depositi di pirofosfato di calcio a livello delle fibrocartilagini e della cartilagine ialina [47], [49-51] (meno frequentemente a livello dei tendini [52]) e a valutare la sensibilità e la specificità dell’ecografia rispetto ai tradizionali strumenti di diagnosi (analisi del liquido sinoviale, Rx, criteri di McCarty) [46], [52-55].

Gli studi indirizzati a testare l’accuratezza dell’ecografia hanno generalmente prodotto dei buoni risultati, che hanno permesso l’introduzione dell’ecografia nelle raccomandazioni EULAR del 2011.

D’altra parte, il gruppo di esperti ha sottolineato la necessità di colmare alcune lacune, come valutare l’effettiva validità di questo strumento per il raggiungimento di una diagnosi affidabile [7].

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26

Nel processo di affermazione dell’ecografia, quindi, le criticità affrontate sono state numerose. Uno dei limiti principali all’uso dell’ecografia era l’assenza di parametri ecografici definiti e condivisi per il riconoscimento dei depositi di CPP a livello delle diverse strutture articolari.

In letteratura, uno dei primi tentativi di definire le caratteristiche ecografiche dei depositi di CPP è stato fatto in uno studio di Frediani et al [47], nel quale sono stati individuati i seguenti criteri:

- Un pattern”punteggiato”, composto da numerosi spot iperecogeni, più comune nelle fibrocartilagini e nei tendini

- Sottili bande iperecogene, parallele alla superficie della cartilagine ialina

- Depositi nodulari o ovalari omogeneamente iperecogeni, localizzabili nelle borse e recessi articolari

Uno studio successivo ha valutato la performance diagnostica di questi criteri, ottenendo dei buoni risultati in termini di sensibilità e specificità rispetto all’analisi del liquido sinoviale[46].

Tuttavia, una revisione della letteratura recentemente effettuata (mirata alla raccolta di tutte le definizioni disponibili) ha evidenziato l’eterogeneità dei criteri applicati dai diversi autori per le valutazione delle principali sedi di localizzazione dei depositi di CPP (fibrocartilagini, cartilagine ialina, tendini, liquido sinoviale)[56].

Tutti i termini raccolti dalla revisione degli articoli selezionati sono riassunti nella Tabella 2.

Le definizioni raccolte sono state utilizzate come punto di partenza per l’individuazione delle nuove definizioni ecografiche per i depositi di CPP da parte del gruppo OMERACT (Outcome Measures in Rheumatology), focalizzato all’approfondimento del ruolo dell’ecografia nella diagnosi della malattia da CPPD (Omeract Working group “US in CPPD”), costituito da reumatologi esperti nell’ecografia e nelle malattie da microcristalli[57].

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Le nuove definizioni sono state selezionate seguendo il metodo Delphi, fino al raggiungimento dell’accordo per ciascuna caratteristica valutata.

La versione finale delle definizioni proposte dal gruppo Omeract è riassunta in Tabella 3.

La riproducibilità di queste definizioni è stata testata in un esercizio costruito ad hoc, costituito da due fasi successive.

Durante il primo step, gli esperti hanno valutato un set di 152 immagini comprensivo di tutte le strutture considerate: fibrocartilagini, cartilagine ialina, tendini e liquido sinoviale. Per ciascuna immagine, gli esperti hanno dato un giudizio dicotomico sulla presenza/assenza dei cristalli, basandolo sui criteri precedentemente definiti.

Nella fase successiva, gli esperti hanno eseguito un esame ecografico del ginocchio e del polso destro di otto pazienti (4 dei quali affetti da CPPD e 4 da OA), valutando: i menischi, la cartilagine ialina, il tendine del quadricipite e del rotuleo, il liquido sinoviale e la fibrocartilagine triangolare del carpo. Per ciascuna struttura valutata, gli esperti hanno nuovamente fornito un giudizio dicotomico sulla presenza/assenza dei cristalli.

Buoni livelli di riproducibilità sono stati raggiuti a livello dei menischi e della cartilagine ialina del ginocchio, mentre l’accordo è stato nettamente inferiore nella valutazione dei tendini e del liquido sinoviale (Tutti i risultati delle due diverse fasi dell’esercizio sono riassunti nella tabella 4) [57].

I menischi e la cartilagine ialina del ginocchio rappresentano, quindi, sia le strutture anatomiche più spesso coinvolte nella CPPD [58], sia le sedi articolari che assicurano la migliore riproducibilità inter operatore nel riconoscimento dei depositi di CPP, e che andrebbero quindi valutate per un corretto inquadramento diagnostico.

Un esercizio analogo [59] è stato eseguito per testare la riproducibilità inter operatore nell’identificazione dei depositi di CPP a livello di sedi articolari diverse dal ginocchio, la fibrocartilagine triangolare del polso, la fibrocartilagine dell’articolazione acromion-claveare, il labbro e la cartilagine

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ialina della testa femorale e la cartilagine delle teste metacarpali. Da questo studio, è emersa un’ottimale riproducibilità per la fibrocartilagine del polso, che rappresenta l’altra sede articolare più frequentemente sede di CPPD [58].

Considerando, invece, la valutazione della performance diagnostica dell’ecografia, un primo tentativo è stato fatto con uno studio mirato a valutare la sensibilità e la specificità dei tre principali strumenti diagnostici utilizzabili per la CPPD (analisi del liquido sinoviale, ecografia e radiografia), valutate rispetto ad un gold standard rigoroso, ovvero l’analisi microscopica dei tessuti (l’analisi è stata condotta sui menischi appartenenti a pazienti sottoposti ad intervento di protesi completa del ginocchio) [60].

In questo studio, è stato osservato che l’ecografia è caratterizzata dai livelli più elevati di sensibilità (96%) e da una buona specificità (87%), mentre l’analisi del liquido sinoviale presenta una sensibilità inferiore (77%) ed una specificità del 100%. Per la radiografia tradizionale, sono stati ottenuti livelli di sensibilità ulteriormente inferiori (75%).

Alla luce dei progressi effettuati nella standardizzazione dell’ecografia nella diagnosi della CPPD e dei risultati incoraggianti ottenuti nel primo studio comparativo tra ecografia, analisi del liquido sinoviale e radiografia, appare necessario confermare l’accuratezza diagnostica di questo strumento diagnostico, applicando, in particolare, i nuovi criteri proposti dal gruppo Omeract.

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Tabella 3 Definizioni proposte dal gruppo Omeract “US in CPPD”, suddivise per sede anatomica. Per ciascuna struttura inclusa, sono definite diverse caratteristiche (forma, ecogenicità, localizzazione, comportamento alla scansione dinamica. [57]

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1.6 Cenni di Terapia

La malattia da CPPD comprende, come in precedenza descritto, numerose varianti cliniche. Il trattamento terapeutico, come raccomandato dall’EULAR, varia quindi secondo le caratteristiche della sottoclasse diagnostica [61].

L’artrite acuta, indotta dai cristalli, richiede soprattutto una terapia sintomatica in modo da contenere gli aspetti clinici di acuzie, in particolare l’intenso dolore. Al contrario la terapia delle fasi intercritiche o dei pazienti in cui sono presenti anche artrosi e sintomi cronici, dovrebbe portare allo sviluppo di una terapia a lungo termine che abbia come obiettivo sia il contenimento della sintomatologia che la riduzione del rischio di disabilità.

Il trattamento dovrebbe essere individualizzato in base alle caratteristiche di ciascun paziente, ai fattori di rischio, e alle comorbidità; in particolare bisogna porre molta attenzione ai farmaci che sono impiegati.

L’approccio terapeutico negli attacchi acuti di artrite da CPP si basa principalmente sull’esperienza clinica e su ciò che è stato estrapolato dal trattamento di altre cause di sinovite acuta, compresa la gotta[62-64].

I principi da poter utilizzare sono l’applicazione di ghiaccio o impacchi freddi sull’articolazione interessata e l’uso di corticosteroidi per via intrarticolare o di terapia sistemica con colchicina o FANS. Le iniezioni intrarticolari di steroidi rientrano nel trattamento della sinovite acuta da CPP, ma in realtà non esistono delle evidenze sperimentali che ne dimostrino l’efficacia [61].

I FANS e la colchicina sono due classi di famaci utilizzati con profitto nel trattamento della gotta, il cui uso è stato aplicato anche all’artrite da CPP. L’impiego di questi farmaci può essere limitato dalla comparsa di effetti collaterali; gli antinfiammatori non steroidei vanno utilizzati con particolare cautela poiché possono dare diverse reazioni avverse a livello gastrointestinale e degli apparati urinario e cardiovascolare. Il rischio di effetti collaterali è

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aumentato dall’età avanzata dei pazienti con condrocalcinosi e dalle patologie concomitanti[61].

Uno studio non controllato[65] ha considerato gli effetti della colchicina in dieci pazienti con attacchi recidivanti di artrite acuta da pirofosfati, valutando il cambiamento nella ricorrenza degli eventi acuti nelle fasi pre e post terapia. Prima di iniziare il farmaco si sono susseguiti trentadue nuovi episodi di artrite, mentre durante la terapia se ne sono verificati dieci; la colchicina si è dimostrata quindi un efficace agente profilattico per gli eventi artritici acuti.

La CPPD associata ad artrosi, secondo le ultime raccomandazioni dell’EULAR, dovrebbe seguire gli stessi obiettivi della terapia dell’artrosi isolata. Vi sono diverse possibilità di intervento che spaziano dalla terapia comportamentale e farmacologica fino alla chirurgia.

La scelta fra le varie tipologie è influenzata da diversi parametri che comprendono le condizioni generali dei pazienti, l’efficacia del trattamento rispetto al caso specifico e i costi associati. In generale la terapia mira a ridurre il dolore e la disabilità articolare in modo da consentire un miglioramento della qualità della vita.

Per quanto riguarda l’artrite infiammatoria cronica da CPPD, diversi farmaci sono stati sperimentati ottenendo livelli di evidenza molto diversi. In uno studio controllato[66] eseguito in doppio cieco, è stato valutato l’effetto terapeutico della colchicina; infatti, sono state paragonate le risposte cliniche del gruppo dei casi (chi assumeva colchicina), rispetto ai controlli (a cui è stato somministrato un farmaco placebo) e l’eventuale insorgenza di effetti collaterali. È stata evidenziata una buona risposta nei pazienti trattati rispetto ai controlli, con bassa incidenza di effetti collaterali.

Un altro farmaco sperimentato attraverso uno studio controllato

[67]

in doppio cieco è stata l’idrossiclorochina. Il gruppo dei casi ha presentato risultati migliori rispetto ai controlli, considerando come parametro clinico di riferimento una riduzione del 30% della conta delle articolazioni tumefatte o dolenti.

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Per il trattamento dell’artrite da CPP è stata testata anche l’efficacia del Methotrexate. Tuttavia, i risultati dei pochi studi eseguiti (principalmente nelle forme croniche di malattia) non sono molto incoraggianti, mostrando solo una parziale risposta a questo farmaco (per lo più nelle forme poliarticolari) [68].

In letteratura, inoltre, sono presenti alcuni case reports in cui è stata valutata la risposta agli inibitori dell’Interleuchina 1 (analogamente a quanto evidenziato per la gotta) con risultati contrastanti tra i diversi studi.

L’impiego di questo tipo di inibitori per la CPPD ha mostrato risultati positivi per la risoluzione dei quadri acuti di mono-oligoartrite [69], [70], sebbene con tempistiche di miglioramento più lunghe rispetto a quelle osservate per la gotta [70], [71]. Risultati meno brillanti sono stati ottenuti nel caso di impiego dell’anti-IL1 per il trattamento dei quadri di poliartrite cronica da CPP. In questi casi, infatti, il suo utilizzo non è stato contraddistinto da un significativo miglioramento delle condizioni cliniche [69], [71].

La CPPD asintomatica è una condizione per cui non esistono attualmente dei rimedi terapeutici che agiscano in modo da regolare i livelli di pirofosfato o influenzare la dissoluzione dei cristalli di CPP. Infine, considerando i casi di condrocalcinosi secondaria a patologie dismetaboliche quali l’iperparatiroidismo, l’ipomagnesemia e l’emocromatosi. In queste situazioni è necessario che la patologia associata sia trattata secondo le linee guida attualmente presenti.

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Lo Studio

2.1 Background e Razionale dello Studio

La malattia da CPPD rappresenta una comune causa di morbilità nella popolazione generale. La prevalenza riportata in studi basati sull’osservazione radiografica si attesta intorno al 7-10% in soggetti di età compresa fra i 60 e i 65 anni, ed incrementa progressivamente con l’età fino a raggiungere valori vicini al 20% nella fascia d’età 80-84 anni [8]. I dati sulla prevalenza aumentano considerevolmente quando l’osservazione è basata su altre metodiche diagnostiche, quali l’analisi del liquido sinoviale (LS) o l’osservazione diretta di tessuti prelevati da pazienti sottoposti ad artroprotesi, superando in alcune osservazioni il 50% [10], [72], [73].

Nonostante la rilevanza della patologia, ad oggi, le conoscenze riguardanti l’eziopatogenesi e la storia naturale della malattia sono molto limitate. Questo ha determinato, peraltro, numerose difficoltà nella classificazione e nella nomenclatura dei differenti pattern clinici. Solo recentemente, una task force dell’EULAR ha prodotto le prime raccomandazioni riguardanti la terminologia, la classificazione clinica e la diagnosi di questa patologia[7].

Gli esperti hanno identificato quattro differenti quadri clinici: forma asintomatica, artrite acuta, artrite cronica e artrosi associata alla deposizione di cristalli di pirofosfato, distinta dall’artrosi isolata.

Non è noto se tali classi cliniche possano rappresentare fasi successive di progressione della patologia, quali possano essere i fattori che influenzano maggiormente il susseguirsi degli eventi acuti e lo sviluppo di forme cliniche ad impronta cronica, che a loro volta possono presentare un equilibrio variabile fra la componente infiammatoria e quella degenerativa.

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Le scarse conoscenze sulla storia naturale della CPPD sono correlate alla difficoltà di reperire informazioni sull’eziologia e sulla patogenesi della formazione dei cristalli.

Molti aspetti influenzano la formazione dei cristalli di pirofosfato (CPP): l’invecchiamento, fattori genetici, le modificazioni della matrice cartilaginea extracellulare, la mancata regolazione del metabolismo del fosfato (Pi) e del pirofosfato (PPi) e le alterazioni del profilo fenotipico del condrocita.

È noto che alcune condizioni dismetaboliche, quali l’iperparatiroidismo o l’ipomagnesemia, determinano una maggiore predisposizione allo sviluppo della CPPD, correlata ad un’alterazione del metabolismo del pirofosfato e del calcio. Sono state riconosciute, inoltre, forme familiari di CPPD determinate da mutazioni genetiche a carico del gene ANK, che codifica per una proteina transmembrana deputata al trasporto del PPi dallo spazio extra a quello intracellulare. Tale mutazione nell’uomo induce una maggiore concentrazione del PPi nello spazio extracellulare e predispone quindi alla formazione e all’ accumulo di cristalli di pirofosfato[8]. Tuttavia nella maggior parte dei pazienti affetti da CPPD sporadica non sono riconoscibili alterazioni dei valori ematochimici di calcio, fosforo o magnesio. Sulla base di queste osservazioni, si potrebbe concludere che nella patogenesi dei depositi di pirofosfato risultano fondamentali fattori locali piuttosto che quelli sistemici [74], [75]

Al contrario, l’elevata concentrazione di PPi inibisce la formazione dei cristalli di fosfato basico di calcio che, infatti, raramente coesistono ai cristalli di pirofosfato di calcio [73].

Un altro fattore patogenetico riconosciuto è legato alle caratteristiche della cartilagine articolare. I depositi di pirofosfato, infatti, si formano all’interno delle cartilagini e fibrocartilagini e l’attacco acuto si instaura in seguito alla liberazione dei cristalli all’interno dello spazio articolare. Studi precedenti hanno osservato che i depositi di CPP tendono a formarsi prevalentemente in aree di anormalità della matrice cartilaginea (riduzione del

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contenuto di collagene, frammentazione delle fibrille, cambiamenti nell’espressione della componente proteica della cartilagine) [22].

Dal punto di vista della diagnosi della malattia da CPPD, ad oggi, non vi è accordo su quale possa essere il migliore strumento per la diagnosi ed il follow up di malattia.

Storicamente i criteri diagnostici per la CPPD erano rappresentati dall’esame del liquido sinoviale e dall’individuazione delle calcificazioni al Rx. Nel 2011 la task force dell’EULAR, sulla base della revisione della letteratura, ha ridimensionato il ruolo della radiografia articolare, affermando che l’analisi del liquido sinoviale da sola è sufficiente per la diagnosi della CPPD. Gli esperti, inoltre, hanno individuato nell’ecografia uno strumento sensibile e specifico per il riconoscimento dei depositi di pirofosfato.

Negli ultimi anni, infatti, l’ecografia sta guadagnando un posto di rilievo nell’iter diagnostico di questa patologia. Gli studi effettuati hanno condotto, per la prima volta, alla standardizzazione dei criteri ecografici per la diagnosi della CPPD [56,57,59] ed una prima valutazione della sua performance diagnostica, valutata in un recente studio comparativo diretto sui vari metodi di diagnosi della CPPD, in cui sono state confrontate le performance dell’analisi del liquido sinoviale (LS), della radiografia e dell’ecografia nella ricerca dei cristalli di pirofosfato rispetto ad un gold stardard rigoroso, quale l’analisi microscopica dei tessuti delle articolazioni esaminate. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’ecografia raggiunge i migliori livelli di sensibilità mantenendo un’ottimale specificità [60].

Sulla base dei progressi fatti (soprattutto in termini di riproducibilità) e in virtù delle sue caratteristiche di non invasività e basso costo, l’ecografia potrebbe rappresentare un valido strumento nello screening e nel follow-up di pazienti affetti da CPPD. In particolare, la possibilità di effettuare controlli seriati potrebbe offrire un valido aiuto nella ricostruzione della storia naturale della patologia, valutandone sia gli aspetti flogistici che degenerativi.

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2.1.1 CPPD ed OA: Quale Relazione?

La coesistenza fra OA e CPPD è una evenienza comune, soprattutto nella popolazione anziana - essendo l’età un fattore predisponente per lo sviluppo di entrambe -, e la presentazione clinica di OA associata a CPPD rappresenta una delle forme previste dai criteri classificativi EULAR. Tuttavia, la relazione fra le due patologie è tuttora oggetto di studio.

Come precedentemente affermato, le alterazioni della matrice cartilaginea legate alla degenerazione artrosica potrebbero fungere da stimolo alla formazione e alla liberazione di cristalli di CPP; d’altra parte, alcune osservazioni supportano l’ipotesi che la presenza di CPPD costituisca di per sé una causa di danno articolare e di peggioramento degli outcome clinici e radiografici dell’OA [72], [76]. Non è chiaro, quindi, quale delle due condizioni patologiche preceda l’altra, così come non è stato valutato, ad oggi, quale ruolo possa essere rivestito dall’infiammazione articolare nella genesi e nello sviluppo della patologia da deposito.

Alcuni studi sul LS o basati sull’osservazione diretta di campioni anatomici hanno valutato la prevalenza di CPPD in popolazioni di pazienti affetti da OA, suggerendo anche la presenza di alcune differenze nelle caratteristiche cliniche e del LS dei pazienti con e senza CPPD.

In un’ampia popolazione di pazienti affetti da OA di vario grado, Nalbant e coll. hanno rilevato la presenza di cristalli di calcio all’analisi del LS nel 52% dei soggetti; il 21% dei pazienti risultava positivo per la ricerca di CPP ed il 47% per quella di BCP, mentre il 16% dei pazienti presentava contemporaneamente i due tipi di cristalli. Nella popolazione di studio, la presenza di cristalli di calcio, nel suo complesso, appariva positivamente associata a gradi più severi di OA, mentre solo la presenza di CPP associava positivamente con l’età e con la cellularità del LS[72].

Viriyavejkul e coll., che hanno riportato una prevalenza di CPPD di oltre il 50% nel LS di pazienti sottoposti ad artroprotesi per gonartrosi, non hanno

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invece osservato differenze cliniche significative per quanto riguarda l’età di esordio dei sintomi articolari, l’anamnesi positiva per episodi di infiammazione articolare acuta, il grado di compromissione funzionale nelle comuni attività fisiche fra i pazienti con e senza CPPD [10].

Nguyen e coll.[73] hanno invece valutato microscopicamente le cartilagini femorali e tibiali provenienti da pazienti indirizzati ad artroprotesi. I risultati ottenuti hanno evidenziato la diffusa presenza di depositi cristallini nelle cartilagini di questi pazienti, con una netta prevalenza di BCP, mentre i depositi di CPP sono stati osservati nel 40% dei campioni.

Gli autori hanno inoltre osservato che cristalli di CPP e cristalli BCP in genere non coesistono nelle stesse aree, e che la presenza di CPPD si associava ad una maggiore concentrazione locale di PPi, oltre che ad alcune caratteristiche peculiari delle cellule condrocitarie che assumevano un fenotipo ipertrofico ed una espressione genica peculiare.

La correlazione fra CPPD e severità di OA appare, inoltre, supportata da alcun osservazioni radiografiche. In particolare, in passato, la CPPD sarebbe associata positivamente agli aspetti osteoproduttivi dell’OA (nello specifico alla presenza e all’entità di osteofitosi [12]; al contrario, non è stata confermata una correlazione fra CPPD ed aspetti degenerativi della cartilagine femoro-rotulea[12], [77].

Più recentemente, in un ampio studio radiografico, Abhishek e coll.[39] hanno valutato la correlazione esistente fra OA e CPPD in varie sedi articolari. Gli autori hanno osservato che, a livello di polso e ginocchio, la presenza di OA correla con la presenza di CPPD. Considerando il ginocchio, non è stata confermata una distribuzione caratteristica delle alterazioni osteoartrosiche, con ugual interessamento sia del comparto femoro-tibiale che femoro-patellare nel 95% dei soggetti valutati.

Inoltre, è stato evidenziato come l’OA del ginocchio e del polso correli con la presenza di CPPD anche in altre articolazioni, comprese le piccole articolazioni delle mani, in maniera indipendente da fattori quali l’età, il peso e

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la presenza di OA nelle articolazioni stesse. Esisterebbe, pertanto, una forte associazione fra OA e CPPD nelle singole articolazioni ma anche una tendenza di alcuni pazienti a sviluppare la CPPD in varie sedi e in maniera indipendente da altri fattori; queste osservazioni – secondo gli autori – indicherebbero l’esistenza di una predisposizione sistemica allo sviluppo di CPPD anche nelle cosiddette forme sporadiche, e che lo sviluppo della malattia non sia correlato soltanto a fattori locali.

Uno studio più recente da parte del gruppo di Abhishek [40] ha rivalutato l’effettiva esistenza di un pattern di alterazioni caratteristiche che contraddistingua l’OA associata a CC rispetto all’OA singola. A tale scopo, sono state valutate le radiografie provenienti da un’ampia coorte di pazienti, prendendo in considerazione il ginocchio e l’anca.

Per ciascuna articolazione, hanno considerato il grado di osteofitosi, la riduzione dello spazio articolare e, per il ginocchio, la presenza di “bone attrition”, definita come riduzione di struttura ossea associata al collasso dell’osso subcondrale.

Dalle analisi effettuate, gli autori hanno concluso che, a livello del ginocchio, la presenza di CC non si associa ad un maggior grado di osteofitosi o ad una maggiore riduzione dello spazio articolare, mentre sono statisticamente più frequenti le aree di “bone attrition” a carico delle ginocchia con CC+OA. Tale risultato mette in evidenzia che, l’associazione tra le due patologie potrebbe determinare una forma maggiormente “destruente” di OA, contrariamente a quanto concluso in passato da altri studi, che avevano osservato una maggior grado di proliferazione ossea nei pz con CC+OA rispetto all’OA singola.

Per quanto riguarda l’anca, gli autori hanno osservato un’associazione negativa tra la presenza di CC, il grado di osteofitosi e la riduzione dello spazio articolare. Tuttavia, come affermano gli stessi autori, questo dato potrebbe essere viziato da alcuni bias, quale la difficoltà di classificare correttamente i pazienti come affetti da CC solo sulla base dell’esame radiografico dell’anca. I

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