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LA LEZIONE DI LINGUA PER TUTTI E PER CIASCUNO: proposta di una didattica differenziata sulla base degli interessi personali

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Scienze del Linguaggio

Tesi di Laurea

La lezione di lingua per

tutti e per ciascuno

Proposta di una didattica

differenziata sulla base degli

interessi personali

Relatore

Ch. Prof. Fabio Caon Correlatore

Ch. Prof. Carlos Alberto Melero Rodríguez

Laureanda Valentina Bassi Matricola 836236 Anno Accademico 2015 / 2016

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INDICE

Abstract 3

Introduzione 4

Parte prima – Uno sguardo alla teoria 9

Capitolo 1 - Ogni studente è un mondo: le differenze in campo 11

1.1 Conoscere gli studenti: la personalità 13

1.2 Le emozioni 20 1.3 Le intelligenze multiple 31 1.4 La motivazione 39 1.5 La memoria 48 1.6 Le preferenze sensoriali 54 1.7 L’attitudine 57

Parte segunda - Como gestionar las peculiaridades en la clase de lengua

61

Capítulo 2 - CAD: las diferencias como recurso para una didáctica eficaz

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2.1 Metodologías a mediación social 75

2.2 Unidad didáctica estratificada y diferenciada 90

2.3 Zona de desarrollo próximo 107

2.4 Didáctica lúdica 116

2.5 Didáctica experiencial 123

Capítulo 3 – Cómo estratificar y diferenciar 127

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2

Capítulo 4 – Un pequeño paso más: acercar la escuela a la vida 138

4.1 Ventajas para los estudiantes 147

4.2 Ventajas para los docentes 150

4.3 Unos caminos posibles: ejemplos prácticos 155

Conclusión 195

Appendici 200

Appendice 1: Scheda di auto-osservazione dell’attitudine LS/L2 200

Riferimenti bibliografici 202

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3

Abstract

Sempre più spesso gli studenti faticano a considerare spendibile nella loro vita ciò che apprendono a scuola, al punto da ritenere quest'ultima un mondo a parte, fine a se stesso.

In questo elaborato si vuole affermare la centralità che i concetti di flessibilità, variabilità e differenziazione ricoprono all’interno della lezione di lingua. Si indagano i molteplici fattori che rendono ogni studente unico evidenziando la necessità, per il docente, di conoscere i propri studenti al fine di poter offrire una didattica efficace e significativa. Si procede poi all’analisi della CAD (Classe ad Abilità Differenziata) quale ottima risposta glottodidattica all’esigenza di includere e valorizzare i molteplici ordini di diversità presenti in classe. Alla luce delle salde premesse teoriche, sulla base dell’ormai consolidato modello CAD si vuole proporre un ulteriore intervento in termini di differenziazione: fornire una didattica linguistica tarata in relazione agli interessi e alle passioni personali degli studenti nel tentativo di far avvicinare la loro vita fuori a quella dentro la scuola. L’elaborato si chiude con alcune realizzazioni pratiche atte a dimostrare la necessità di predisporre un insegnamento linguistico attento a chi si ha di fronte, anziché proporre a tutti indistintamente le stesse attività e gli stessi materiali.

Cada vez más, a los estudiantes les cuesta considerar útil para su vida lo que aprenden en clase, hasta llegar a pensar a la escuela como un mundo aislado.

A lo largo de este trabajo se quiere subrayar la centralidad que los conceptos de flexibilidad, variedad y diferenciación ejercen dentro de la clase de lengua. Se analizan los múltiples factores que identifican cada aprendiente como ser único evidenciando la necesidad, por parte del docente, de conocer sus alumnos con el fin de proporcionar una didáctica eficaz y significativa. Luego se continúa con el análisis de la CAD (Clase de Habilidad Diferenciada) que se presenta como optima respuesta glotodidáctica a la exigencia de englobar y valorar los muchos grados de diferencia que conviven en la clase. A la luz de las fuertes premisas teóricas, a partir del modelo CAD se quiere proponer una ulterior intervención en términos de diferenciación: ofrecer una didáctica lingüística calibrada en relación a los intereses y pasiones personales de los estudiantes intentando acercar su vida a lo que pasa en el aula. La redacción se concluye con unas realizaciones prácticas finalizadas a demostrar la necesidad de estructurar una enseñanza lingüística atenta a las personas que están en frente, en lugar de proponer a todos indistintamente las mismas actividades y los mismos materiales.

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Introduzione

“La scuola è l’esperienza che in essa bene o male ogni allievo fa ogni giorno per una parte così rilevante della propria vita, deve dare agli allievi un’immagine di sé migliore, deve lasciare in loro una traccia positiva di contenuti, di metodi, di climi. A scuola si deve pur fare esperienza di democrazia, di equilibrio, di coerenza, di giustizia, di utopia.” (Chiari, 1994) “Una missione formidabile, tale da far tremare le vene e i polsi: da una parte modellare le coscienze in crescita, formare lo spirito critico, accendere le passioni, sanare le piaghe, asciugare le lacrime; dall’altra un compito da assolvere che da solo vale quanto una medaglia olimpica: diventare adulti.” (Affinati, 2016)

Le citazioni che introducono questo elaborato racchiudono perfettamente molte delle convinzioni personali di chi scrive, e molte delle tematiche che si cercherà di trattare nei capitoli che seguono.

Il focus di tale lavoro vuole essere il pieno riconoscimento della necessità di predisporre le condizioni per un apprendimento quanto più significativo e personalizzato, che sia in grado di creare un ponte tra la scuola e la vita, nella fattispecie, tra la lingua che si apprende e la propria quotidianità.

Come afferma Chiari, la scuola è una componente rilevante in termini di tempo nella vita di tutti gli studenti ma l’avvincente missione di ogni insegnante, e di ogni studioso in campo glottodidattico, consiste nel fare in modo che la scuola diventi un’esperienza rilevante per ogni allievo anche in termini qualitativi. In altre parole, è fondamentale, oggi più che mai, fornire allo studente strumenti e pratiche che consentano di avvicinare l’apprendimento, in particolare quello linguistico, alla propria vita dato che il pericolo ricorrente è quello di considerare la scuola, e ciò che vi si apprende, come qualcosa di isolato e non spendibile negli altri contesti che costituiscono la quotidianità degli allievi.

A mio avviso, alla luce di una seppur limitata esperienza e degli studi accademici condotti nel corso della mia carriera universitaria, la direzione da percorrere potrebbe essere quella di un insegnamento e

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apprendimento linguistico personalizzato volto cioè a coinvolgere in prima persona ogni singolo studente facendo leva sulla sua esperienza personale, sui suoi interessi, sul suo background; ciò si esplica in attività di rinforzo, compiti per casa o mnemotecniche pensate ad hoc per i vari studenti, o per gruppi di studenti, al fine di permettere a tutti di riscontrare un nesso tra quanto appreso a lezione e quanto accade attorno a loro.

Fortunatamente la letteratura glottodidattica in ambito di differenziazione e attenzione alle unicità dei discenti è relativamente estesa: sono ormai consolidate le implicazioni derivanti dalle differenze personali, da quelle relative agli stili di apprendimento e cognitivi che devono essere centrali nella didattica delle lingue; a queste pietre miliari si aggiunge poi l’importanza del concetto di Classe ad Abilità Differenziata (CAD) teorizzato da Caon che evidenzia la necessità di stratificare le attività proposte in termini di difficoltà in modo da coinvolgere sia gli studenti eccellenti che quelli in difficoltà. Il modesto contributo di questa tesi vuole aggiungere un ulteriore livello di differenziazione nell’insegnamento linguistico che, non è in alcun modo sostitutivo a quelli appena citati che devono essere invece parte integrante di ogni azione didattica, consiste semplicemente in un possibile piccolo passo in più nella prospettiva dell’apprendimento significativo. Si tratta di una personalizzazione del processo di acquisizione legata al proprio vissuto che inevitabilmente varia da studente a studente.

Si parte dal presupposto che “l’apprendimento quindi non ha tanto a che fare con la trasmissione e la ricezione del sapere, ma con il trovare un senso e un significato personale e significativo” (Vettorel, 2006, p. 93) e per fare questo il docente deve conoscere lo studente, non solo dal punto di vista cognitivo e per le sue competenze linguistiche, ma anche sul piano personale in modo da avere un aggancio con la vita di ogni allievo per poterla quindi inserire nel processo di apprendimento allo scopo di renderlo più efficace e stimolante. Nel concreto, significa ad esempio, presentare testi diversificati a livello di contenuto, non solo di

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difficoltà, in base alle diverse inclinazioni dei discenti così da far esercitare tutti sulle stesse forme linguistiche ma attraverso materiali che più si confanno agli interessi di ognuno; in altri termini “las actividades deben presentarse en formatos distintos de modo que cada estudiante tenga que superar el ámbito de conocimiento con lo que ya se encuentra cómodo”1

(Tomlinson, 2001, p. 26).

È fondamentale conoscere a fondo i fattori che intervengono in tale processo come le caratteristiche dello studente ovvero aspetti della personalità, memoria, attitudine, tipi di intelligenza, motivazione che verranno affrontati nel primo capitolo; tali differenze individuali devono però essere calate in un contesto comunitario come è la classe e devono quindi essere valorizzate in maniera inclusiva nelle dinamiche di insegnamento e apprendimento. Il secondo capitolo presenta alcune possibilità di intervento volte ad evitare che, alla luce dei molteplici livelli di differenza in campo, qualche soggetto si senta escluso dall’azione didattica.

Ciò che mi ha spinto ad indagare in questa direzione è strettamente legato alla mia esperienza personale: qualche mese fa ho avuto occasione di aiutare alcuni ragazzi della scuola secondaria di primo grado nelle esercitazioni in lingua straniera, ho scoperto presto che la loro insegnante di inglese era la stessa che aveva insegnato a me circa dodici anni prima. Ho potuto constatare che le attività, le spiegazioni e le metodologie sono rimaste invariate nel tempo e soprattutto sono tuttora applicate indistintamente a classi parallele e questo mi ha fatto riflettere: gli alunni sono tutti uguali? È giusto focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla disciplina che si insegna indipendentemente da chi si ha di fronte?

La risposta che mi sono data ad entrambi gli interrogativi è: no. Questo elaborato ha la modesta ambizione di dare peso epistemologico e pratico a tale mia dichiarazione con il sostegno di una consistente

1

La traduzione di questa citazione e delle seguenti è realizzata da chi scrive.

“si devono presentare attività in formati differenti in modo che ogni studente possa superare un ambito di conoscenza mediante ciò che gli è più congeniale”.

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letteratura a cui si farà continuo riferimento nel presente scritto e, soprattutto, capire se un insegnamento personalizzato sulla base della vita degli alunni possa essere una via percorribile anche in un contesto tradizionale di classe; di tali questioni si occupa l’ultima parte di questa tesi.

Tengo a precisare fin da subito che non è mia intenzione demonizzare gli errori di questa o di altri insegnanti facendo riferimento a pratiche che ho osservato e reputato contrastanti con quanto affermano gli studi glottodidattici, credo semplicemente sia doveroso riconoscere ciò che non funziona e partire da lì per migliorare e per, riprendendo le parole di Chiari, dare agli allievi la miglior immagine possibile della scuola.

In conclusione, il tipo di apprendimento a cui in questa trattazione si vuole tendere è riconducibile a “quell’insaziabile curiosità che spinge, per esempio, il ragazzo adolescente ad impadronirsi di tutto ciò che riesce a vedere, udire o leggere in fatto di motori a scoppio, al fine di aumentare il rendimento e la velocità del suo bolide costruito in casa” (Rogers, 1973, p. 7). Per quanto anacronistico, l’esempio del motore a scoppio si rivela calzante per spiegare con immediatezza ciò che si intende con apprendimento significativo e spendibile in contesti diversi dalla lezione in classe; nel caso delle lingue straniere, il concetto di spendibilità è imprescindibile ma è molto diffusa tra gli studenti più giovani l’idea che imparare una lingua non abbia un preciso scopo, se non quello di superare test ed interrogazioni.

Riprendendo le parole di Rogers, l’intento di questo elaborato è affermare la necessità di concepire l’insegnamento come l’azione volta a mettere ogni singolo studente nelle condizioni migliori per costruire e valorizzare il proprio bolide attraverso anche l’apprendimento delle lingue. Questo può avvenire più facilmente se lo studente percepisce le attività didattiche come esperienze stimolanti, adeguate al proprio modo di apprendere e al proprio grado di competenza oltre che, infine, vicine ai propri interessi e bisogni.

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La piccola speranza di chi scrive è che, dirigendosi sempre più verso un apprendimento personalizzato che valorizza e quindi include l’identità extra-scolastica degli studenti, la lingua straniera possa scrollarsi di dosso la mera etichetta di disciplina scolastica; se si considera la lingua come uno strumento che può far parte della propria quotidianità, dei propri sogni, delle proprie passioni si può comprendere che l’inglese o lo spagnolo non servono solo per completare correttamente un esercizio di grammatica ma possono diventare chiavi che consentono di aprire nuovi mondi. L’obiettivo pragmatico dell’imparare una lingua “da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e farsi intendere e non basta certo l’italiano, [...], gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere; dunque bisogna studiare molte lingue, tutte vive” (Milani, 1967, p. 80).

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PARTE PRIMA – UNO SGUARDO ALLA TEORIA

Nella prima parte di questo elaborato si vogliono tracciare, benché in maniera sintetica, le basi teoriche sulle quali si innesta tale lavoro ovvero richiamare i principali concetti glottodidattici coinvolti; non si tratta però di una mera elencazione di nozioni e teorie dato che “la glottodidattica si definisce come una scienza interdisciplinare e teorico-pratica ed ha come fine ultimo la ricerca di possibili soluzioni ai problemi legati all’educazione linguistica” (Cardona, 2001, p. 5). Il largo raggio d’azione di questa disciplina è però un mare nel quale è difficile perdersi dato che l’obiettivo, seppur espresso mediante paradigmi e voci diverse, risulta essere sempre e solo uno: migliorare quanto più possibile gli strumenti da offrire agli allievi affinché possano perseguire un apprendimento significativo rimuovendo gli ostacoli che si possono presentare.

Nel dettaglio, il primo capitolo si occupa di individuare i diversi ordini di differenze relative allo studente di cui l’insegnante deve essere consapevole al momento di predisporre il proprio intervento in classe. Indirettamente si chiama in causa il docente, o meglio la relazione che si stabilisce con gli alunni poiché si delinea come discrimine importante nella buona riuscita o meno del percorso di apprendimento dal momento che “quando coloro che noi rispettiamo e stimiamo pensano che noi possiamo riuscire, noi tenderemo a pensare di poter riuscire” (Mariani, 2006, p. 91); inoltre si prende in considerazione la classe poiché il contesto nel quale avviene l’azione didattica influenza notevolmente le dinamiche dell’insegnamento e dell’apprendimento: “the quality of teaching and learning is entirely different depending on whether the classroom is characterized by a climate of trust and support or by a competitive, cutthroat atmosphere” (Dörnyei, 2007, p. 640)2

.

Per arrivare ad esporre il tema centrale di questa tesi è fondamentale partire da qui: prima di tentare di immaginare una proposta

2 “la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento cambia completamente sulla base del fatto

che la classe sia caratterizzata da un clima di fiducia e sostegno o da un’atmosfera competitiva e spietata”.

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didattica che coinvolga la sfera personale di ogni allievo, è necessario avere chiaro cosa si intende quando si parla di studente, di docente e di classe in relazione ad un apprendimento che si prefigge di essere quanto più efficace e personalizzato. Inoltre, diversificare il processo di apprendimento in relazione all’unicità dei vari soggetti, implica anche includere lo studente in tutti gli aspetti della didattica nonostante “l’esperienza li [gli studenti] ha convinti, sia pure erroneamente, che la scelta delle abilità e dei materiali non è e non deve essere di loro pertinenza” (Rubin, 1994, p. 77).

Lo spirito che fa da sfondo a questo lavoro e che meglio riassume ciò a cui si vorrebbe tendere, può essere sintetizzato nella consapevolezza che “diventano fondamentali nell’insegnamento linguistico quegli aspetti affettivi, motivazionali e creativi che meglio comunicano la dimensione personale dell’individuo e che fanno dell’apprendimento delle lingue non solo un processo di tipo cognitivo e comunicativo, ma anche e soprattutto uno strumento di espressione e di sviluppo personale” (Coppola, 2000, pp. 103-104).

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CAPITOLO 1 – OGNI STUDENTE È UN MONDO: LE DIFFERENZE IN CAMPO

L’obiettivo finale di questo elaborato consiste nella validità, ai fini di una acquisizione linguistica efficace, del coinvolgimento delle varie sfaccettature della vita degli studenti nella loro esperienza scolastica e soprattutto della necessità di riconoscere le peculiarità di ognuno evitando quindi di offrire una didattica lontana dagli interessi degli allievi e uguale per tutte le classi e per tutti gli studenti; per fare questo però “è utile che gli studenti si rendano conto non solo di quanto ciò che si impara a scuola possa essere rilevante fuori dalla scuola, ma anche del contributo che le esperienze extra-scolastiche possono portare alla loro formazione complessiva” (Mariani, 2006, p.40).

Un insegnamento che tiene conto di questi fattori potrebbe rappresentare il coronamento di un’azione didattica attenta ai soggetti implicati e che tende a “spostare la prospettiva dal cosa si insegna/impara al come lo si fa” (Vettorel, 2006, p. 102); si tratta però dell’ultimo grado di personalizzazione che risulta del tutto sterile se prima non si tengono in considerazione differenze di altra natura ampiamente indagate in ambito glottodidattico. In altri termini, ad esempio, se si lavora sul lessico della musica non ha senso fornire testi di comprensione differenti in base ai gusti musicali degli allievi se si ignorano le diversità relative alla personalità, agli stili di apprendimento, al livello di motivazione, ai meccanismi attivati nel processo di memorizzazione.

Ogni insegnante, in particolare di lingua, dovrebbe avere chiaro che “tutti gli apprendenti sono individui che portano in classe conoscenze ed esperienze diverse, che imparano in modo differenziato, unico e soggettivo” (Vettorel, 2006, p. 93); non c’è dubbio che questo possa rappresentare una grossa sfida davanti alla quale inizialmente ci si trova spiazzati ma, per chi sceglie l’insegnamento con consapevolezza e passione, non può che essere una sfida da cogliere con entusiasmo e tenacia.

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L’adozione di qualsiasi tipo di didattica sensibile alle differenze prevede che a monte vi sia una discreta conoscenza degli studenti al fine di organizzare un’offerta formativa che comprenda le inclinazioni, le strategie di apprendimento, le motivazioni e le competenze di tutti i membri del gruppo; inoltre, la conoscenza reciproca è fondamentale per instaurare una relazione significativa tra allievo e docente indipendentemente dai risvolti scolastici dato “nell’insegnamento delle lingue la relazione educativa ha acquistato un’importanza sempre maggiore quando ci si è accorti che il successo scolastico non sembrava tanto dipendere dal tipo di metodologie o tecniche utilizzate, quanto piuttosto dal tipo di rapporto che l’insegnante riusciva ad instaurare nella classe” (Coppola, 2000, pp. 146-147).

Nei paragrafi che seguono vengono presentati alcuni dei fattori che rendono i componenti della classe soggetti unici ribadendo il fatto che, a livello ideale, “le scelte metodologiche vengono in realtà adattate all’evolversi dei contesti di classe” (Mariani, 2006, p. 127) evitando quindi di adottare una programmazione rigidamente predefinita e applicata indistintamente a tutte le classi con le quali si lavora.

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1.1 Conoscere gli studenti: personalità

La prima sezione dedicata allo studente, in qualità di soggetto chiave all’interno dell’azione didattica, non può non indagare la dimensione di diversità e al contempo unicità che definisce la conformazione della classe, la letteratura glottodidattica ha analizzato approfonditamente le componenti che entrano in gioco ponendo attenzione sia alle peculiarità interne alla persona che alle diverse modalità mediante le quali ogni individuo si approccia all’apprendimento. Come si è detto, questo elaborato è finalizzato a proporre un insegnamento linguistico attento agli interessi personali degli alunni ma si tratta di un livello di personalizzazione della didattica che può avvenire solo se vengono prese in considerazione prima le intelligenze multiple, la motivazione, la memoria, l’attitudine e i fattori affettivo-emozionali.

L’azione preliminare, che dovrebbe caratterizzare le prime lezioni di ogni insegnante, consiste nell’instaurare conoscenza tra i membri della classe propedeutica poi alla costruzione di un rapporto significativo con il docente e utile a quest’ultimo per progettare un’offerta didattica tarata sulle caratteristiche e sulle necessità linguistiche e personali della classe dal momento che “solo cuando entendemos al otro conocemos su manera de pensar, y comprendemos sus motivaciones, podemos elegir la manera más adecuada de presentarle nuestro mensaje”3

(Robles, 2002, p. 83); non va però dimenticato, come sostiene Coppola (2000, p. 107), che tale intervento “molto spesso si limita al rilevamento di necessità di tipo linguistico e comunicativo senza tener anche conto di quei bisogni di carattere psicologico e affettivo che pure svolgono un’importante funzione nell’apprendimento delle lingue”.

Infatti, se da un lato la conoscenza iniziale rappresenta uno strumento necessario per l’insegnante poiché “più si riesce a delineare in maniera dettagliata il profilo degli studenti, più ampia sarà la padronanza nell’uso delle tecniche e dei metodi glottodidattici con cui si può gestire il

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tipo di eterogeneità di ogni classe” (Caon, 2008, p. XIV); dall’altro, getta le fondamenta per il raggiungimento, con il tempo, di rapporti umani di qualità che si creano all’interno del gruppo dei pari e tra studenti e docenti.

Come si vedrà nei paragrafi successivi, la fase di conoscenza è fondamentale per muoversi verso una didattica a mediazione sociale e soprattutto attenta alla vita extra-scolastica degli studenti; non si tratta di porre necessariamente le basi per un’amicizia ma quanto meno di un rapporto di stima reciproca e scambio, poiché come si afferma in un passo di Lettera a una professoressa “il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama e spera; il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti” (Milani, 1967, p. 94). Si potrebbe ritenere più efficace immergersi fin da subito nella lingua da insegnare lasciando che la conoscenza tra i soggetti coinvolti venga da sé, ma il tempo che nelle prime lezioni si dedica a conoscersi a vicenda, tralasciando la disciplina di competenza, risulta essere tutto tempo guadagnato in fase di progettazione di materiali didattici e di strategie per stimolare la motivazione e la memoria. Spetta poi all’insegnante individuare il modo migliore per condurre questa sorta di unità introduttiva al corso di lingua vero e proprio: per sondare l’aspetto della personalità si può ricorrere alla glottodidattica ludica mentre per approfondire il versante relativo agli stili cognitivi e alle strategie di apprendimento ci si può invece affidare a questionari e schede di autovalutazione utili anche allo stesso discente che, in relazione all’età, può riflettere sul proprio apprendimento e scoprire quale sia il proprio profilo di studente.

Prima di indagare più nel dettaglio la variabile della personalità, si riporta un’esperienza diretta per evidenziare le ricadute positive che una semplice attività di conoscenza introduttiva può generare nel corso dell’azione didattica: durante la prima lezione di un corso intensivo di

3 “solo quanto capiamo l’altro, conosciamo il suo modo di pensare e comprendiamo le sue

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italiano L2 con alcuni ragazzi francesi e spagnoli partecipanti allo SVE (Servizio Volontario Europeo) è stato proposto di disegnare su un foglio cinque elementi che li rappresentano, lo stesso ha fatto anche l’insegnante; successivamente è stato chiesto ad ognuno di presentarsi attraverso i disegni utilizzando la propria L1 e poi l’inglese in qualità di lingua ponte, infine l’insegnante ha scritto alla lavagna in italiano le parole chiave delle presentazioni degli studenti. Si tratta di un’attività forse fin troppo banale che ha però permesso al docente di immagazzinare alcune informazioni personali di base sui propri studenti da poter impiegare nel corso delle prime lezioni come iniziale aggancio al loro mondo. Come si può notare, l’italiano, ovvero la lingua target, non è stata utilizzata in questo primo esercizio ricorrendo invece al linguaggio universale delle immagini, alla lingua madre, all’inglese per avvicinarsi infine a qualche semplice parola in italiano.

Accertata l’importanza di questa prima fase di conoscenza, si passa ora ad analizzare la componente relativa alla personalità dello studente evidenziando da un lato gli aspetti che qualificano l’apprendimento linguistico e dall’altro quelli che lo ostacolano.

Innanzitutto, risulta evidente che tutto ciò che facciamo riflette in buona parte la nostra personalità perciò non si può non considerarla come una delle principali variabili che condizionano l’apprendimento e l’insegnamento; il compito del docente è, tra le altre cose, quello di porre attenzione alle differenze di natura caratteriale degli studenti che ha di fronte in modo da permettere ad ognuno di lavorare nelle migliori condizioni possibili. Di conseguenza, tanto in fase di programmazione quanto nel corso dell’effettivo svolgersi della lezione, “bisogna tenere conto anche degli aspetti caratteriali, del tipo di personalità di ognuno, un discente schivo e riservato con scarsa attitudine al lavoro d’assieme andrà stimolato e gratificato; un suo collega troppo ‘esuberante’ andrà a sua volta monitorato e contenuto” (Freddi E., 2012, p. 624).

Come emerge dalle parole di Egidio Freddi, l’opposizione introversione/estroversione è una delle più citate in relazione

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all’apprendimento linguistico in quanto, come ricorda Balboni, gioca “un ruolo essenziale nel facilitare o complicare tutte le attività in cui si deve parlare in lingua straniera con i compagni o con l’insegnante” (2002, p. 82). L’elemento che a primo impatto porta a distinguere questi due tratti è così spiegato da Wong (2011, p. 1) “extroverted students, by virtue of their outgoingness, easily communicate in English even though they might not produce accurate output; on the other hand, many introverted students have an obsession with producing accurate sentences and take the time to compose and produce correct forms”4

; in glottodidattica questa è una convinzione diffusa nonostante gli studi non confermino in maniera univoca la relazione diretta tra estroversione e successo nell’apprendimento.

In base alle caratteristiche dell’acquisizione di una lingua, soprattutto in contesto L2, come ad esempio la costante interazione ed esposizione al giudizio degli altri che si identificano come elementi cardine della comunicazione, si potrebbe affermare che i soggetti estroversi siano avvantaggiati poiché nelle esercitazioni di stampo spiccatamente comunicativo e afferenti al piano dell’oralità (role-play, esposizioni di gruppo, ecc.) “lo studente introverso tende ad esercitarsi di meno e quindi aggiunge al disagio psicologico dell’uscire dal proprio guscio protettivo quello linguistico della scarsa padronanza” (Balboni, 2002, p. 82). Anche se la cultura occidentale privilegia le persone estroverse, sarebbe errato ritenere che tale aspetto caratteriale garantisca da solo il successo nell’apprendimento linguistico, poiché, se gli estroversi primeggiano nelle competenze comunicative essendo dotati di una migliore fluidità nella produzione orale, gli introversi manifestano, in linea generale, una maggiore accuratezza formale; pur esulando dall’ambito strettamente linguistico, in merito a ciò si richiama l’intervento della scrittrice Susan Cain in occasione del Ted Talk tenutosi a Long

4

gli studenti estroversi, grazie alla virtù della loro espansività, comunicano facilmente in inglese anche se possono generare un prodotto non accurato; d’altro canto, molti studenti introversi sono ossessionati dal produrre enunciati accurati e si prendono il tempo di comporre forme corrette”.

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Beach, California a marzo 2012 (“The power of introverts”) per quanto riguarda le potenzialità delle persone, e quindi anche degli studenti ed insegnanti, introverse.

Detto ciò, la classe si compone sia di soggetti estroversi che introversi e per di più, non tutti sono estroversi o introversi allo stesso modo perciò: l’azione dell’insegnante consiste nell’offrire a tutti le migliori condizioni di apprendimento stimolando i discenti a lavorare anche mediante attività e metodologie che meno si confanno alla loro personalità spingendoli a mettere in gioco la propria identità. Appare dunque evidente quanto il processo di acquisizione di una lingua straniera sia profondo e totalizzante come afferma anche Cardona (2001, p. 9) “parlare una lingua è qualcosa che ci coinvolge globalmente, riguarda tutta la nostra personalità”; lo studio di una lingua mette in discussione l’individuo apprendente molto più che qualsiasi altra disciplina perché “en el aula de idiomas, la lengua meta es a la vez el contenido que se ha de asimilar y el instrumento con el cual hay que expresar el contenido aprendido”5

(Fonseca Mora, 2007, p. 373).

Un altro tratto che influisce nelle dinamiche dello studio di una lingua individuato da Oxford è quello che porta a distinguere tra persone riflessive e sensibili, anche in questo caso il compito dell’insegnante impone di impostare la proposta didattica verso la mediazione tra le due componenti ovvero “L2 teachers can help thinking learners show greater overt compassion to their feeling classmates and can suggest that feeling learner might tone down their emotional expression while working with thinking learners”6

(Oxford, 2003, pp. 5-6).

Anche la contrapposizione ottimismo/pessimismo trova spazio tra i fattori che differenziano i processi coinvolti nello studio di una lingua, si associa sia ai tratti caratteriali degli studenti ma anche alla loro

5 “nell’aula di lingua, la lingua target è allo stesso tempo il contenuto che si deve assimilare e lo

strumento con il quale si deve esprimere quanto appreso”.

6 “gli insegnanti L2 possono aiutare gli studenti riflessivi a mostrare una palese comprensione

per i loro compagni di classe emotivi e possono suggerire che questi ultimi hanno la possibilità di attenuare la loro espressione emozionale mentre lavorano con gli studenti riflessivi”.di attenuare la loro espressione emozionale mentre lavorano con gli studenti riflessivi”.

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percezione di sé oltre che alla tendenza ad attribuire le ragioni del proprio successo o fallimento a cause interne o esterne infatti, “la conoscenza dei diversi stili attribuzionali [...] è certamente utile all’insegnante per comprendere cosa può esserci a monte degli insuccessi ripetuti degli studenti che dicono di non essere portati per le lingue, o della difficoltà di alcuni ad assumersi la responsabilità degli esiti del proprio lavoro” (Coppola, 2000, p. 137).

Per quanto concerne l’ambito relazionale tra il gruppo dei pari, la predisposizione caratteriale alla competizione o alla cooperazione può favorire od ostacolare l’apprendimento in quanto nelle attività di gruppo che spesso caratterizzano la lezione di lingua, la capacità di fare gioco di squadra o la voglia di prevalere sugli altri, influenzano notevolmente il lavoro tanto dell’insegnante che dei discenti; la competizione può essere utile se resta confinata ai momenti di gioco, che una buona didattica deve comunque prevedere, per il resto presenta

prevalentemente conseguenze negative poiché “tende a focalizzare l’attenzione degli studenti sul confronto con i compagni piuttosto che sugli scopi e i risultati di apprendimento personali; [...] espone al rischio del fallimento e crea inevitabilmente dei “vinti” con possibili ripercussioni sull’autostima e sul senso di autoefficacia” (Mariani, 2006, pp. 164-165).

Tutti gli elementi che compongono le dicotomie presentate per definire il concetto di personalità non sono da concepire come escludenti, sono solo diversi modi di affrontare la realtà e quindi le attività che l’insegnante propone sono volte ad assecondare i tratti caratteriali ma, allo stesso tempo, ad allenare anche gli aspetti carenti facendo in modo che “ogni studente possa sfruttare i suoi punti di forza, pur essendo consapevole che i suoi punti di debolezza richiederanno uno sforzo ulteriore di impegno sostenuto dalla conoscenza e dall’utilizzo di appropriate strategie di apprendimento” (Mariani, 2006, p. 82).

Per concludere, anche in merito ai tratti della personalità, per puntare ad una didattica efficace, la soluzione sembra essere quella della differenziazione finalizzata all’inclusione come sostiene Kezwer

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(1987, pp. 56-57) “a better way of approaching the problem would be to provide as much variety in the classroom as possible to ensure that all personality types are catered to in some measure; a lively mix of frontal teaching, group study, pair work and individual learning in all the four language skills is our best insurance for providing optimal learning conditions for all of our students”7

.

7 “il modo migliore per affrontare il problema potrebbe consistere nel fornire quanta più varietà

possibile in classe per assicurare che tutti i tipi di personalità siano in qualche misura soddisfatti; un vivace mix tra insegnamento frontale, studio a gruppi, lavoro a coppie o

individuale in tutte e quattro le competenze linguistiche è la nostra migliore garanzia per fornire condizioni di apprendimento ottimali per tutti i nostri studenti”.

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20

1.2 Le emozioni

Una delle principali dimensioni che all’interno di una classe richiede un’azione differenziata e personalizzata è rappresentata dalla sfera emozionale in quanto “el desarrollo emocional determina la manera en que cada uno de nosotros reacciona ante la frustración, inseguridad y confusión que son parte inevitable de cualquier proceso de aprendizaje o, lo que es lo mismo, que nuestra capacidad de aprender está estrechamente relacionada con el grado de desarrollo de nuestra inteligencia emocional”8

(Robles Fraga, 2002, p. 70).

Dato che “le emozioni sono risposte adattive della mente alle pressioni esterne” (Balboni, 2013, p. 11), gli esiti delle scelte didattiche dell’insegnante non possono essere uniformi poiché appunto non c'è niente di più soggettivo delle emozioni; un insegnamento attento a mettere al centro ogni singolo studente nel tentativo di avvicinare la lingua alla propria realtà, punta a “sintonizzarsi con la persona che apprende, innescando tutte le condizioni psico-affettive per un passaggio ‘indolore’ delle informazioni” (Freddi E., 2012, p. 630).

Inoltre non va dimenticato che l’apprendimento linguistico coinvolge la persona nella sua totalità, si tratta di un’esperienza che mette in discussione l’identità in quanto “ogni persona che voglia imparare una lingua viene in contatto con un nuovo universo culturale e linguistico, che modificherà il suo modo di pensare, le sue relazioni interpersonali, la sua intima Weltanschauung, la sua visione del mondo” (Freddi E., 2012, p. 622). Qualsiasi tipo di apprendimento, ma in particolare quello linguistico, tocca in momenti e modi diversi, tutte le corde del soggetto apprendente attivando sia emozioni positive che negative.

8 “lo sviluppo emozionale determina il modo in cui ognuno di noi reagisce davanti alla

frustrazione, all’insicurezza e alla confusione che sono parte ineludibile di qualsiasi processo di apprendimento o, ed è lo stesso, che la nostra capacità di apprendere è strettamente

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21

La rilevanza dell’emozione è testimoniata dal fatto che la maggior parte dei ricordi è associata più che ad un evento in sé, alla sensazione che ne è scaturita e questo vale in modo particolare per l’esperienza scolastica: quando si torna con la mente tra i banchi di scuola, soprattutto se a distanza di molti anni, ad affiorare inizialmente sono emozioni positive e negative associate ad una precisa metodologia, attività didattica o contenuto di una comprensione scritta infatti, come affermano De Beni e Moè (2000, p. 118) “se una situazione di apprendimento è stata accompagnata da emozioni positive, quali la soddisfazione per la riuscita, piuttosto che negative, quali la vergogna per il fallimento, in futuro, di fronte a una situazione simile, il soggetto si sentirà certamente più motivato ad apprendere, perché anticiperá l’esperienza emotiva piacevole”; di conseguenza, emerge in maniera netta la “necessità di creare un contesto di apprendimento quanto più possibile attento ai fattori emotivo-affettivi che giocano un ruolo fondamentale ai fini dell’acquisizione profonda della lingua” (Cardona, 2001, p. 41).

Porre al centro dell’azione didattica l’allievo in quanto persona significa quindi mettere in campo la sua sfera emotiva che assume una funzione essenziale ai fini di un efficace percorso di acquisizione; nonostante l’emozione sia stata a lungo lasciata ai margini delle variabili che incidono sull’apprendimento linguistico, McIntyre (2002, p. 61) afferma che “we are always experiencing some sort of emotion, emotion therefore pervades all of our activities; given its function as an amplifier, emotion has some impact on everything we do; the stronger the emotion, the greater the impact, strong emotion can disrupt cognitive and physiological processes, as when high anxiety initiates the powerful "fight or flight response" of the autonomic nervous system”9

.

9 “noi stiamo sempre vivendo qualche tipo di emozione, L’emozione perciò pervade tutte le

nostre attività. Data la sua funzione di amplificatore, l’emozione ha qualche sorta di impatto su tutto ciò che facciamo; più forte è l’emozione, maggiore è il suo impatto. Una forte emozione può bloccare i processi cognitivi e psicologici, come quando la forte ansia innesca la potente risposta di lotta o fuga del sistema nervoso autonomo”.

(24)

22

Creare un contesto di apprendimento linguistico che lo studente possa percepire come sicuro sotto l’aspetto emozionale è la conditio sine qua non poter entrare in classe e spiegare, ad esempio, gli aggettivi dimostrativi, ovvero è inutile elaborare un’offerta didattica accattivante e originale se non si pone attenzione alle esigenze affettive della classe e dei singoli poiché come afferma Pozzo (1994, p. 151) se “lo studente sente di essere il destinatario di un’attenzione nuova, cresce la sua autostima e il suo stare bene in classe, presupposto indispensabile per la voglia di imparare”.

Il benessere emotivo dello studente durante la lezione genera effetti positivi anche su altri versanti implicati nell’apprendimento che vengono analizzati in questo capitolo, come ad esempio la memoria: “il piacere, le emozioni positive, cioè un clima in cui il discente si sente a suo agio e affettivamente accettato, promuovono il processo selettivo dell’attenzione, della codifica e del recupero” (Naldini, 2013, p. 58).

Emerge così una stretta connessione tra emozioni e dimensione cognitiva: l’emozione infatti si genera a livello cognitivo e non va dimenticato che “le emozioni, al pari di altri comportamenti, quali quelli motori o i processi percettivi, sono controllate da specifici circuiti neurali cerebrali” (Balconi, 2004, p. 31); in particolare si evidenzia che “la ricerca nel campo delle neuroscienze ha individuato nel sistema limbico sia la sede del controllo delle emozioni sia di molti aspetti legati all’apprendimento” (Daloiso, 2009, p. 43). All’interno del sistema limbico è poi l’amigdala a svolgere un ruolo centrale in quanto responsabile della trasmissione delle informazioni e degli input emotivi come sostiene anche Goleman (1995, p. 15) “the amygdala acts as a storehouse of emotional memory, and thus of significance itself; life without the amygdala is a life stripped of personal meanings”10

. A fronte di un evento percepito come negativo o comunque foriero di sensazioni poco piacevoli, l’amigdala entra in azione a difesa del cervello producendo uno

10 “l’amigdala funziona come un archivio della memoria emozionale, perciò è depositaria del

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23

steroide che impedisce alla noradrenalina, ovvero un neurotrasmettitore predisposto alla memorizzazione, di svolgere il proprio compito impedendo quindi l’assimilazione dei nuovi input; Goleman (1995, p.16) associa l’amigdala ad una centralina che si attiva quando percepisce una situazione di allarme innescando una serie di reazioni psico-fisiche tra cui appunto la produzione di noradrenalina: “secretion of emergency dollops of the hormone norepinephine to heighten the reactivity of key brain areas, including those that make the senses more alert, in effect setting the brain on edge”11

. D’altro canto, se l’amigdala capta emozioni positive la trasmissione delle informazioni è favorita e si compie in maniera più efficace in quanto appunto “the neuronal channels going up from the emotional centers of the brain to the more cognitive centers are denser and more robust than the cognitive centers going down to inhibit and control the emotional structures”12

(Franks, 2006, p. 39).

Di conseguenza, assecondando il percorso più veloce e lineare, per poter assimilare in maniera adeguata e significativa contenuti e competenze bisogna passare prima dalle emozioni, dalla dimensione esperienziale per poter giungere più fluidamente alla fissazione cognitiva; in questo modo la sfera emozionale, non solo quella percettiva attraverso le sensazioni, diventa parte integrante dei processi cognitivi implicati nell’acquisizione favorendo una migliore trasmissione ed elaborazione delle informazioni, infatti “intellect cannot work at its best without emotional intelligence”13

(Goleman, 1995, p. 28).

Grazie agli studi condotti negli anni in ambito neurolinguistico e psicolinguistico (Damasio, Goleman, Ledoux, Krashen), in relazione alle connessioni emerse tra emozioni e processi cognitivi si è giunti ad elaborare il concetto di intelligenza emotiva che viene definito come “the ability to monitor one’s own and other’s feelings, to discriminate among

11 “secrezione di piccole quantità di noradrenalina per rafforzare la reattività delle aree chiave

del cervello, incluse quelle che rendono i sensi più vigili, mettendoli quindi in uno stato di allerta”.

12 “il passaggio tramite i canali neuronali dai centri emozionali del cervello ai centri cognitivi è

più denso e forte rispetto al passaggio, in senso inverso, dai centri cognitivi verso quelli emotivi inibendo e controllando le sue strutture”.

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24

them and to use this information to guide one’s thinking and actions”14 (Salovey e Mayer, 1990, p. 189), può essere associata al caposaldo della teoria delle intelligenze multiple elaborata da Gardner il quale “considered seven intelligences including intrapersonal and interpersonal intelligences which gave rise to other intelligences like emotional intelligence”15

(Shakarami e Khajehei, 2015, p. 229).

Traslando quanto descritto nel contesto dell’apprendimento linguistico, si rivela fondamentale sviluppare tali aspetti con la finalità di predisporre le migliori condizioni per gli studenti, infatti “la importancia de la inteligencia emocional para los alumnos es evidente ya que es la que les permite, entre otras cosas, prever las consecuencias de sus actos, anticipar y entender las reacciones de los demás, incluidas las de sus profesores, organizar un plan de trabajo que mejores sus puntos débiles y aproveche sus puntos fuertes, y controlar sus reacciones en un momento dado”16

(Robles, 2002, p. 84).

L’insegnante deve quindi inevitabilmente monitorare lo stato della classe e il progresso del percorso di apprendimento tenendo conto anche del fattore emotivo dato che “emotions experienced during foreign language learning/instruction are then important to understand so language teachers can adjust their approach to one that can help them reduce the negative impact emotions can have on learners’ motivational energy, and enhance the promotion of those emotions that can activate learners’ motivation”17

(Méndez López e Peña Aguilar, 2013, pp. 1112-

13 “l’intelletto non può funzionare al meglio senza l’intelligenza emotiva”.

14 “l’abilità di controllare le proprie emozioni e quelle altrui, di discriminarle e usare le

informazioni emerse per guidare le azioni e i pensieri”.

15 “ha considerato sette intelligenze incluse quella intrapersonale e interpersonale che hanno

dato origine ad altre intelligenze come ad esempio l’intelligenza emotiva”.

16“l’importanza dell’intelligenza emozionale per gli studenti è evidente dato che è ciò che, tra le

altre cose, permette di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, di anticipare e capire le reazioni degli altri, incluse quelle dei propri insegnanti, di organizzare un piano di lavoro che migliori i propri punti deboli e sfrutti i punti di forza e di controllare le proprie reazioni in un preciso momento”.

17 “le emozioni vissute durante l’apprendimento di una lingua straniera sono poi importanti per

gli insegnanti di lingua per capire come modificare il loro approccio in modo da ridurre l’impatto che le emozioni negative possono avere sull’energia motivazionale degli studenti e a potenziare la promozione di quelle emozioni che possono invece attivarne la motivazione”.

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25

113). Quindi, per effettuare un intervento didattico ed educativo veramente significativo ed inclusivo, si attesta l’esigenza di agire sia sullo sviluppo della sfera emotiva che di quella cognitiva degli studenti, come sostiene Fonseca Mora (2007, p. 374) “la formación integral de los alumnos ha de entenderse también como la formación integral de lo emocional y no solo como formación de lo cognitivo”18

.

Al netto della rilevante implicazione delle emozioni nell’apprendimento linguistico, le ricadute positive si articolano anche sul versante relazionale poiché la creazione di un ambiente emotivamente rassicurante facilita anche l’instaurarsi di dinamiche interpersonali favorevoli ad un apprendimento ottimale poiché “l’emozione legata al piacere di lavorare con una persona cui si è affezionati e di cui si ha stima, e da cui ci si sente apprezzati, è una delle più costruttive” (Balboni, 2013, p. 17); per quanto concerne il legame tra emozioni e dimensione relazionale e il ruolo che in questo ambito può svolgere il docente, si riportano le parole di Polito (2005, pp. 12-13) secondo il quale per consentire agli studenti di raggiungere il successo formativo “è necessario prendersi cura del loro vissuto emotivo e avere a cuore la loro autorealizzazione; significa entusiasmarli con la propria passione conoscitiva, incoraggiarli con la propria sensibilità, valorizzarli con la propria stima, agevolare il loro studio con esperienze di apprendimento appassionanti, significative, autentiche, sfidanti”.

Si tratta però di un terreno molto scivoloso poiché, da un lato ci vuole tempo e cura per stabilire una connessione significativa tra i soggetti coinvolti ma, dall’altro, basta un attimo per alzare un muro emozionale che toglie agli studenti la tranquillità di agire e poter sbagliare in un contesto protetto; è in particolare in questo ambito infatti che diventa determinante la consapevolezza del docente circa il proprio intervento in classe e, quando questa viene a mancare, si generano fratture difficili da sanare: un ragazzo di seconda media, in fase di

18 “la formazione integrale degli allievi si deve intendere anche come formazione completa della

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26

ripasso per l’interrogazione di inglese, sostiene che sia inutile impegnarsi tanto ad imparare le formule idiomatiche richieste perché ‘dall’espressione della professoressa si capisce subito che lei non vede l’ora che sbagliamo’. Questo esempio di vita scolastica dimostra quanto sia fondamentale porre attenzione alle implicazioni emozionali dell’agire in classe poiché “cuando estamos en un aula no transmitimos solo conocimientos de lengua […], es decir, hagamos lo que hagamos, influimos en el desarrollo emocional de nuestros alumnos”19

(Robles, 2002, p. 85).

Inoltre, è da rilevare anche la stretta connessione che sussiste tra stato emotivo ottimale e motivazione allo studio infatti quest’ultima “nasce dall’emozione positiva che si accompagna alla valorizzazione del proprio percorso formativo” (Polito, 2005, p. 76).

L’intervento del docente sul piano affettivo-emozionale deve orientarsi verso due direzioni: far vivere agli studenti esperienze emotivamente valide e positive e allo stesso tempo ridurre al minimo l’insorgere di sensazioni negative durante il processo di apprendimento linguistico. Prima ancora che in relazione alle metodologie e alle scelte che spettano all’insegnante, le sensazioni negative possono manifestarsi semplicemente per il fatto che “la nuova lingua, in qualche modo estranea, crea nel parlante una momentanea resistenza al cambiamento, perché mette a rischio la sicurezza sociale, espone a errori, a senso di sfiducia, paura del ridicolo, vergogna; si viene a perdere una familiarità che costituisce al contempo un baluardo per la preservazione dell’identità una garanzia per l’acquisizione” (Freddi E., 2012, pp. 622-623). Pensare di poter neutralizzare le emozioni negative all’interno della classe di lingua sarebbe utopistico e non coerente con un’azione didattica volta ad assumere i tratti di un’educazione linguistica, infatti “le emozioni negative, la paura e l’ansia in questo caso, non possono essere eliminate in un percorso di apprendimento che presuppone

19 ““quando siamo in un’aula non veicoliamo solo conoscenze linguistiche [..], cioè, qualsiasi

cosa facciamo, influiamo nello sviluppo emozionale dei nostri alunni”.cosa facciamo, influiamo nello sviluppo emozionale dei nostri alunni”.

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l’errore, ma può esserne disinnescata la capacità di suscitare reazioni psicologiche di chiusura” (Balboni, 2013, p. 20) in altri termini “all’interno di un adeguato bilanciamento tra difficoltà del compito e conoscenze e abilità richieste, si tratta di abituare gli studenti a rispondere in modo positivo e costruttivo agli eventuali fallimenti” (Mariani, 2006, p. 90).

Tra le sensazioni negative che molto spesso accompagnano le lezioni di lingua, l’ansia è quella più ampiamente indagata: “dovrebbe essere un fenomeno transitorio, che con il tempo si affievolisce e viene controllata dallo studente, ma può diventare una costante” (Freddi E., 2012, p. 628) ed è strettamente correlata all’autostima in quanto “l’ansietà sembra dipendere soprattutto dall’immagine che ciascuno ha di sé, cioè dall’autostima, che riguarda il modo in cui uno si percepisce e si valuta” (Coppola, 2000, p. 136). In presenza di emozioni negative, come appunto l’ansia generata da attività che minano l’autostima, si attiva quello che Krashen definisce filtro affettivo ovvero “un preciso meccanismo di autodifesa” (Balboni, 2002, p. 42) che l’individuo mette in atto nel momento in cui si sente minacciato. All’ansia derivante dallo studio di una lingua straniera, E. K. Horwitz, M. B. Horwitz e Cope hanno dedicato un saggio identificando tale stato d’animo come elemento di differenziazione all’interno della classe e hanno evidenziato che “since anxiety can have profound effects on many aspects of foreign language learning, it is important to be able to identify those students who are particularly anxious in foreign language class”20

(1986, p. 128); lo stesso dichiara McIntyre sostenendo che “anxiety can play a causal role in creating individual differences in language achievement”21

(2002, p. 65). Invece, tra le principali emozioni positive implicate nel processo di acquisizione linguistica vi sono l’autostima e la positiva percezione di sé dato che se uno studente sente di essere capace “si sente pronto per i

20 “dato che l’ansia può avere effetti profondi per molti aspetti dell’apprendimento di una lingua

straniera, è importante essere capaci di identificare quegli studenti che sono particolarmente ansiosi all’interno di una classe di lingua straniera”.

21

“l’ansia può giocare un ruolo causale nell’instaurarsi di differenze individuali nel successo linguistico”.

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28

compiti di apprendimento impegnativi, accetta le sfide cognitive e si riprende facilmente dagli insuccessi” (Polito, 2005, p. 68). A queste va a sommarsi la soddisfazione provata per il raggiungimento degli obiettivi fissati che spinge gli studenti ad alzare sempre un po’ più in alto l’asticella del traguardo mettendo alla prova le proprie competenze esplicitando così “il naturale desiderio di apprendere dello studente” (Rogers, 1973, p. 188).

Se da un lato l’attenzione alla componente emotiva si esplica in termini di metodologie, dall’altro è necessario prevedere una cura affettiva anche per quanto riguarda i contenuti per fare in modo che gli studenti in quanto gruppo, e ogni singolo studente in quanto persona, si sentano direttamente coinvolti nel proprio processo di acquisizione innescando di conseguenza, come detto, un miglior fissaggio delle informazioni apprese; l’obiettivo è appunto quello di “dare attraverso lo studio della lingua significati nuovi e diversi, carichi di risvolti esistenziali ed emotivamente coinvolgenti” (Naldini, 2013, p. 64).

Inoltre, la potenza delle emozioni prevale sulla componente cognitiva ovvero se un singolo studente, o la classe nella sua interezza, non si trova in uno stato emotivo ottimale, il processo di apprendimento viene pregiudicato; pertanto, Robles (2002, p. 70) ci ricorda que “no podemos ignorar la influencia de las emociones en el aprendizaje de nuestros alumnos y seguir centrándonos únicamente en los aspectos cognitivos de ese aprendizaje”22

. In concreto, se un allievo ha ricevuto una brutta notizia o nel corso dell’ora precedente il gruppo ha discusso con il docente, la predisposizione a partecipare e seguire la lezione o a svolgere un determinato esercizio può subire delle ripercussioni; tale aspetto è sottolineato anche da Tomlinson (2001, p. 65) secondo cui il professore “comprende que a veces las emociones deben preceder a la clase de francés, y que a veces la clase de francés puede servir de

22 “non possiamo ignorare l’influenza delle emozioni sull’apprendimento dei nostri alunni e

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29 bálsamo para ciertas emociones”23

. Pertanto, è fondamentale saper interpretare l’innescarsi di tali dinamiche e agire di conseguenza, ovvero variare metodologie e contenuti, quando possibile, per andare incontro alle esigenze della classe; per fare questo è necessario articolare l’impostazione dell’offerta didattica in termini di flessibilità e varietà preparando, all’occorrenza, attività alternative o modificabili al momento rispetto a quanto preventivamente pianificato per la lezione in questione. Può essere utile esplicitare agli studenti la scelta di cambiare programma per far capire in modo evidente l’attenzione e la cura che l’insegnante dimostra avvicinandosi così ad “un approccio umanistico-individualizzato che mette al centro ogni singolo apprendente con le sue caratteristiche cognitive e psicologiche-sociali, i suoi punti di forza e di debolezza che devono essere indagati alla stregua della sua competenza linguistico-comunicativa” (Bertucci, 2016, p. 66).

Dalla trattazione condotta finora, appare del tutto evidente la necessità di emozionare gli studenti durante la lezione di lingua se si vuole tendere ad un corretto ed efficace apprendimento; uno spunto per orientare l’insegnamento in tale direzione coinvolgendo quindi sia la dimensione cognitiva che quella emotiva, è offerto dall’esaustiva lista di strategie individuate da Polito in Educare il cuore e riportata di seguito (2005, p. 74):

● Manifestare interesse in ciò che facciamo; ● Interagire con loro e stimolare la partecipazione;

● Richiamare le conoscenze che gli studenti già possiedono per agganciare meglio le nuove informazioni;

● Interessarsi a come studiano per suggerire loro strategie efficaci; ● Curare il dosaggio dei contenuti per evitare il sovraccarico mentale e

facilitare la padronanza dell’essenziale;

● Presentare in modo avvincente i contenuti della nostra disciplina, utilizzando schemi, mappe e immagini;

● Trovare connessioni con le altre materie e gli altri colleghi: ● Proporre esperienze pratiche sorprendenti del tipo: “Se facciamo

questo, cosa succederà? Avanzate delle ipotesi”;

23 “capisce che a volte le emozioni hanno la precedenza sulla lezione di francese e che invece,

(32)

30

● Accendere il loro pensiero con il problem solving;

● Stimolare la loro sensazione di competenza e coltivare la loro autostima; ● Sottolineare il vantaggio e l’utilità formativa di ciò che stanno

apprendendo;

● Collegare lo studio con la vita e con l’esperienza concreta degli studenti; ● Gratificare i loro sforzi e risultati;

● Sollecitare gli studenti a riorganizzare continuamente le loro potenzialità e trattarli come persone responsabili;

● Dimostrare con piccoli gesti la nostra stima; ● Avere a cuore il loro successo formativo.

In conclusione quindi, conoscere gli studenti anche per quanto concerne la loro emotività, che con le parole di Egidio Freddi corrisponde a “saper leggere la temperatura emotiva della classe” (2012, p. 627), consente di predisporre un’azione didattica affine al loro essere e soprattutto di personalizzare le attività anche in termini affettivi.

(33)

31

1.3 Le intelligenze multiple

La stretta connessione che lega questa sezione alla precedente è espressa dalle parole di Polito (2005, p. 70) “c’è una priorità emotiva sulla dimensione cognitiva, l’intelligenza funziona a livello raffinato, se il cuore si è aperto al desiderio di conoscenza; le chiavi dell’intelligenza sono nel cuore, le radici di un’intelligenza elevata sono da ricercare nell’entusiasmo, nelle emozioni, nelle motivazioni”; infatti è ormai assodata la correlazione tra dimensione emotiva e cognitiva che sta alla base di un profondo e significativo processo di apprendimento linguistico, di conseguenza, ai fini di questo scritto, risulta fondamentale indagare entrambi i versanti per poter predisporre una didattica personalizzata.

A livello cognitivo, le differenze di cui il docente deve necessariamente tenere conto per non offrire un insegnamento squilibrato, fanno capo alla teoria delle intelligenze multiple elaborata da Gardner negli ultimi decenni del ‘900 e poi affinata da molti altri studiosi diventando così un caposaldo della letteratura glottodidattica; la costruzione di ogni intervento in classe si fonda sulla consapevolezza di dover coinvolgere, allo stesso tempo o in egual maniera, gli studenti caratterizzati da una spiccata intelligenza spaziale, musicale, cinestetica, naturalistica, inter- ed intrapersonale. Tali predisposizioni di natura cognitiva teorizzate all’interno di una concezione multifattoriale dell’intelligenza, vanno a sommarsi a quella linguistica e logico-matematica che a lungo hanno monopolizzato il concetto di sapere dal momento che “il sistema educativo occidentale tende a favorire esclusivamente, tanto nei contenuti quanto nei processi, la logica e il linguaggio” (Torresan, 2006, p. 69).

In linea generale, i diversi tipi di intelligenza identificati possono essere concepiti come “personal tools that each person possesses to process new information and to store it in easily retrievable ways when

(34)

32 needed for use“24

(Gregersen e McIntyre, 2014, p. 75). La teoria di Howard Gardner ha avuto il merito di mettere in discussione la concezione mono-fattoriale che si aveva dell’intelligenza evidenziando l’influenza delle componenti socio-affettive, esperienziali e culturali; aver individuato otto diverse intelligenze non equivale però a dire che ogni persona presenta esclusivamente uno dei tratti sopra accennati ma che “ognuno sia portatore di una rosa di intelligenze diverse, unica come è unico ogni individuo” (Mariani, 2010, p. 116), lo stesso sostiene Torresan (2006, p. 68) “ciascuno di noi viene al mondo con un ventaglio ampio di universali cognitivi: la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, la società contribuiscono a facilitare o a inibire lo sviluppo di tali universali”. Inoltre, Gardner (2007, p.5) sottolinea il fatto che la combinazione delle intelligenze che definisce il profilo cognitivo di ogni persona è un fattore del tutto soggettivo poiché “no two individuals, nor even identical twins or clones, have exactly the same amalgam of intelligences, foregrounding the same strengths and weaknesses”25

.

Di conseguenza, per evitare di fornire agli studenti un’offerta didattica che stimoli solo alcuni tipi di intelligenze o che rifletta quella del docente stesso, è importante conoscere quante e quali inclinazioni intellettive compongono il gruppo di apprendenti. A tal proposito si propone di seguito una breve trattazione delle intelligenze multiple, alla cui classificazione hanno contribuito negli anni numerosi studiosi, si evidenziano inoltre le relative ricadute positive sullo studio della lingua.

In primo luogo, l’intelligenza linguistica associata da Balboni (2014, p. 55) alla “capacità di cogliere sfumature di significato e di scegliere le parole opportune, di usare la lingua per esprimere emozioni e pensieri, e per capire e coinvolgere le altre persone” in termini di apprendimento linguistico fornisce una spiccata sensibilità semantico-

24 “strumenti personali che ogni persona possiede per elaborare nuove informazioni e

immagazzinare in modo da recuperarle facilmente quando servono”.

25 “non esistono due individui, nemmeno gemelli identici o cloni, che possiedono esattamente la

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33

lessicale; i soggetti che invece manifestano un’intelligenza logico-matematica più marcata “comprendono i principi sottostanti ai sistemi causali [...] o sono in grado di manipolare numeri, quantità e operazioni” (Mariani, 2010, p. 117) mostrando quindi una buona competenza di analisi formale e grammaticale.

Proseguendo, l’inclinazione alla memorizzazione del lessico è supportata dall’intelligenza spaziale che permette di costruire “mental models of the visual-spatial world with sensitivity to the colors, shape and size and the relationships between them”26

(Gregersen e McIntyre, 2014, p. 74); l’impiego di canzoni o filastrocche volto al fissaggio dei vocaboli e a familiarizzare con il ritmo e l’intonazione della lingua target, fa leva invece sull’intelligenza musicale ovvero “la capacità di pensare in musica, di percepire schemi, riconoscerli, ricordarli e magari manipolarli” (Checkley, 1997, p.12).

Molti degli studenti che in passato venivano semplicisticamente etichettati come vivaci o distratti in realtà sono quelli dotati di una predisposizione all’intelligenza cinestetica o corporea: per molto tempo ignorata dalla letteratura di settore e assente ingiustificata all’interno delle classi di lingua, si definisce come l’inclinazione ad impiegare il corpo per comunicare e trovare soluzioni alle difficoltà e Fonseca Mora (2007, p. 379) afferma che “a los estudiantes que tienen muy desarrollada esta habilidad les gustan especialmente las actividades teatrales, la mímica, las simulaciones, los juegos o los ejercicios físicos”27

.

Nel capitolo precedente relativo alle emozioni si è parlato dell’intelligenza emozionale che fa capo, da un lato, a quella intrapersonale, che consiste nell’abilità di ”understand oneself, knowing self- strengths, weaknesses and emotional states, and to exert self

26

“modelli mentali del mondo visuo-spaziale con sensibilità ai colori, alle forme e alle dimensioni e alle relazioni tra esse”.

27

“agli studenti che presentano questa abilità in maniera molto sviluppata piacciono in particolare le attività teatrali, la mimica, le simulazioni i giochi e gli esercizi fisici”.

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