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Il Cristianesimo nel Cicolano tra antichità e altomedioevo

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Academic year: 2021

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Ricordare le tante persone che nel corso di questi anni, hanno contribuito al completamento del presente lavoro con il loro aiuto è compito doveroso e difficile allo stesso tempo. Sono tanti coloro che per qualche anno, hanno viaggiato con me tra Roma e il Cicolano aiutandomi nella ricerca.

In primo luogo il mio ringraziamento va al prof. Francesco Scorza Barcellona che nel corso degli anni del dottorato è sempre stato prodigo di consigli e suggerimenti, oltre che di inviti a “non mollare”, sia in fase di concorso che durante gli studi;

allo stesso modo la mia gratitudine è per il prof. Vincenzo Fiocchi Nicolai il quale passo dopo passo mi ha accompagnato, mi ha seguito, mi ha consigliato con pazienza e perizia, leggendo ogni pagina che lentamente producevo.

un grazie al prof. Emore Paoli, anch’egli paziente e prodigo di aiuti nei miei confronti.

Tante sono state le mie “guide” sul territorio, le quali mi hanno fisicamente accompagnato in luoghi altrimenti irraggiungibili: ringrazio Domenico Spacca per avermi dato la possibilità di poter indagare sulle evidenze archeologiche di Collorso; Domenico Martorelli per aver camminato una mattina intera alla volta della Grotta di San Nicola; l’amico Cesare Silvi per avermi concesso i suoi appunti, per i sui utili consigli e per avermi guidato sul sito di Alzano.

Soprattutto ringrazio mio nonno e mio padre così legati alla loro terra nativa, capaci di rintracciare percorsi ormai dimenticati: sia con la neve che in estate hanno fatto sì che la fitta rete viaria del Cicolano fosse un po’ meno complicata.

Un grazie a mia madre e a Silvia che spesso si sono sostituite a me come “inviate” nelle biblioteche di Roma alla ricerca di testi, ovviando così ai miei problemi di orario dovuti al lavoro.

La sistemazione digitale e l’assetto fotografico, le devo all’amico Simone Ascenzi sempre pronto a colmare le mie lacune informatiche.

Un grazie a coloro che con il loro attaccamento alle proprie origini e alla propria terra, hanno stimolato in me l’idea del presente lavoro supportandola, sebbene oggi non possano vederla compiuta! È a loro che dedico la mia fatica.

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La ricerca delle origini ha da sempre stimolato l’essere umano: capire chi siamo e da dove veniamo rappresentano due interrogativi per cui è difficile spesso trovare una risposta esaustiva. Nasce da qui l’idea di indagare il Cicolano nell’affermarsi della religione cristiana: le mie radici e quelle della mia famiglia affondano nella terra cicolana, da sempre sentita come la “patria delle origini” e della “tradizione”. E allora questo lavoro nasce come un dovere verso i miei nonni e verso i miei avi e, più in generale, verso il Cicolano tutto, troppo spesso considerato una terra emarginata abitata da rozzi contadini e da fieri pastori.

Se le fasi equa e romana appaiono sufficientemente studiate e, comunque, catalizzatrici dei maggiori sforzi di coloro i quali al Cicolano si sono avvicinati con i loro studi nel corso degli ultimi anni, lo stesso non può essere affermato per la fase tardoantica che ha visto l’imporsi e l’affermarsi del Cristianesimo sul paganesimo. E così, oggi, l’attenzione sul Cicolano si deve soprattutto alla grande campagna di scavo presso il cosiddetto “Tumulo” di Corvaro (il “Montariolo”), riferibile alla fase equa; numerosi poi gli interventi circa l’analisi dell’organizzazione socio-amministrativa dell’area in età romana che trovano compimento nei recenti lavori di G. Firpo e di M.F. Perotti (di cui si darà conto nella trattazione). Per il tardoantico e l’altomedioevo il lavoro di A.R. Staffa (il quale ha concentrato la sua attenzione, soprattutto negli anni ’80, sullo sviluppo e sulla diffusione del Cristianesimo nella zona) è ancora da prendere come guida, sebbene necessiti di doverose precisazioni e integrazioni.

Questo lavoro prenderà in considerazione tutte le fonti (siano esse letterarie o archeologiche) in grado di poter definire un quadro sufficientemente ampio circa la nascita e lo sviluppo del cristianesimo stesso nell’area cicolana.

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Con il termine geografico “Cicolano” si intenderà la sub-regione appenninica dell’Italia centrale, ricadente per lo più nell’attuale provincia di Rieti, nei territori dei moderni comuni di Pescorocchiano, Fiamignano, Borgorose e Petrella Salto, interessata dalla conquista romana terminata da M. Curio Dentato nel 290 a.C.. Un territorio quasi esclusivamente montuoso che si estende da Capradosso (Petrella Salto) fino a Sant’Anatolia (Borgorose), all’interno del quale il corso del fiume Salto ha da sempre rappresentato un punto di riferimento fondamentale.

Il termine “[…] Cicolano è una sopravivenza toponomastica dovuta alla trasformazione del nome attestato per la regione sin dall’età romana” (M.F. PEROTTI, Per la storia degli Aequicoli in

età romana, in “Il Territorio, 1-2 (1989), p. 29): dalla prima citazione di Ecyculanus ager riportata

nel Liber Coloniarum, il territorio in questione è sempre stato così identificato fino ad oggi. Numerose le sue “sfumature” formali con cui si ritrova lo stesso toponimo in fonti diverse: e così ritroviamo (nelle fonti epigrafiche e in quelle letterarie), accanto alla presenza di Cliternia e Nersae (i centri che nella prima età imperiale sembrano assurgere alla dignità municipale), molte attestazioni della res publica Aequicolanorum (che sembra riferirsi più all’area orientale gravitante intorno a Nersae) e dell’etnonimo Aequicolanus (che invece sembra estendersi a tutta l’area, fino a

Cliternia). Da qui le numerosissime citazioni nei documenti di Farfa, in cui più volte vedremo che

sono citati possedimenti definiti in finibus Ciculanis, in Ciculis, in Aeciculis, in Eciculis, oltre alla presenza di una massa Ciculana (o Eciculana).

La ricerca delle fonti ha reso evidente la loro stessa drammatica penuria, rendendo necessaria una trattazione “a ritroso” (anche sulla base di recenti interventi), partendo dalle testimonianze a noi più vicine nel tempo per poi tentare una ricostruzione delle origini. Le fonti meno antiche, numericamente maggiori e più ricche di notizie, aiutano nella formulazione di ipotesi circa la storia a noi più lontana. Canale privilegiato risulterà così l’archivio farfense, capace di dare un quadro sufficiente per l’alto medioevo da cui partire integrando le poche testimonianze delle epoche precedenti. E così si andrà alla ricerca di spunti riferibili alla realtà del cristianesimo dalla situazione attestata per la fase altomedievale fino a tentare di definire un quanto mai difficile quadro tardoantico.

Il presente lavoro vuole essere lo spunto per un ritrovato interesse per il Cicolano antico nell’affermazione e nello sviluppo del Cristianesimo: sono troppi (e lo vedremo nel corso della trattazione) gli edifici e i luoghi che versano in uno stato di pietoso abbandono, spesso taciuto o non considerato dalle realtà locali. La loro indagine storica poco vale se non seguita e supportata da una campagna archeologica capace di poter almeno preservare i segni e gli indizi di antichità. L’augurio

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è che le ipotesi qui proposte (in mancanza di dati certi) vengano smentite o confermate da interventi successivi: sarà allora che il presente lavoro avrà raggiunto lo scopo di catalizzare sul Cicolano un sufficiente interesse.

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1.

Per una topografia religiosa del Cicolano in età longobardo-franca

La ricostruzione storica dell’altomedioevo nel Cicolano1 non può prescindere dalla documentazione raccolta e messa insieme organicamente nel monastero di Santa Maria di Farfa dal monaco Gregorio di Catino, tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del secolo successivo2. Le carte raccolte da Gregorio abbracciano un ampio arco cronologico: esse testimoniano la grande espansione dei possedimenti farfensi a partire dai primi anni dell’VIII secolo, anche in zone meno prossime al medesimo monastero, come lo stesso Cicolano. In assenza di indagini archeologiche sistematiche, esse risultano essere l’unica fonte attendibile.

Un recente contributo di Tersilio Leggio3 apre una nuova prospettiva di ricerca per il Cicolano in età altomedievale: la espansione farfense, pur rimanendo la principale nella regione, è, come vedremo, verosimilmente accompagnata da “penetrazioni minori” riconducibili all’azione di monaci di altri cenobi, come, ad esempio, quelli del monastero di San Pietro in Valle presso Ferentillo. L’assenza di menzione per alcune sub-regioni del Cicolano nella documentazione farfense potrebbe essere così spiegata.

L’indagine storica qui proposta seguirà, dunque, una duplice chiave di ricerca: da un lato saranno prese in considerazione le testimonianze della documentazione di Farfa per analizzare le tappe della penetrazione del cenobio sabino nella regione; dall’altro la stessa indagine sarà fatta per poter individuare l’azione parallela di altri centri monastici. Si presterà maggiore attenzione a tutti quegli indizi che più possono concorrere alla ricostruzione della vita e dell’organizzazione religiosa del Cicolano. Per un elenco di tutti i documenti farfensi relativi al Cicolano si veda la tabella 1 in appendice.

1 Opere fondamentali per lo studio del Cicolano in età altomedievale rimangono: A.R. STAFFA, L’assetto territoriale

della Valle del Salto fra la tarda antichità ed il medioevo, in “Xenia”, 13 (1987), pp. 45-87, d’ora in poi STAFFA 1987; E. MIGLIARIO, Uomini, terre e strade. Aspetti dell’Italia centroappenninica fra antichità e alto medioevo, Bari 1995, in

particolare le pagg. 29-41; 74-87; 136-153; d’ora in poi MIGLIARIO 1995. Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni

’80, vennero organizzati nel Cicolano alcuni convegni, per i quali riporto gli interventi più utili alla nostra ricerca:A.R. STAFFA, Il basso Cicolano dalla tarda antichità al secolo XII, in “Atti del Convegno: Storia e tradizioni popolari di

Petrella Salto e Cicolano, Petrella salto 1981”, Rieti 1982, pp. 7-41; ID., La topografia altomedievale della zona di

Corvaro (Borgorose), in “ Atti del Convegno: L’antipapa Niccolò V”, Borgorose 1979, Rieti 1981, pp. 113-124; ID., La topografia pievana del Cicolano nei secoli XI-XIV, in “ Atti del Convegno: San Francesco nella civiltà medievale”, Borgorose 1982, Rieti 1983, pp. 193-212. Tutte le ricerche di Staffa sono poi confluite in STAFFA 1987.

2 Gregorio ha raccolto tutti i documenti del monastero di santa Maria di Farfa in diverse opere: Liber gemniagraphus

sive cleronomialis Ecclesiae Pharphensis, più noto come Regesto, disponibile nell’edizione a cura di I. GIORGI e U.

BALZANI, Il Regesto di Farfa compilato da Gregorio di Catino, Roma 1872-92 (voll. II, III, IV, V) e 1914 (vol. I), d’ora in poi RF; Il Chronicon Farfense nell’edizione a cura di U. BALZANI, Roma 1903, d’ora in poi Chron.; Liber Largitorius vel Notarius Monasterii Pharphensis, edito da G. ZUCCHETTI nella serie Regesta Chartarum Italicarum,

Roma 1913, d’ora in poi LL; il Liber Floriger, edito da M.T. Maggi Bei, Roma 1984, d’ora in poi LF.

3 T. LEGGIO, Esercizio del potere e santità ai confini della Marsica. I Mareri nel Duecento, in G. LUONGO (a cura di ),

La Terra dei Marsi, cristianesimo, cultura, istituzioni. Atti del Convegno di Avezzano 24-26 settembre 1998, Roma 2002, pp. 159-167. D’ora in poi LEGGIO 2002. In particolare le pagine 159-161 e relative note.

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1.1 La documentazione farfense

Prima di iniziare l’analisi sistematica dei documenti farfensi relativi alla nostra regione, lo storico dovrà porsi dei criteri di metodo da seguire, per non perdersi nella sconfinata ricchezza delle fonti:

A. Limiti cronologici. Come già detto, Gregorio di Catino raccoglie moltissimi documenti, i più antichi dei quali riconducibili ai primi anni dell’VIII secolo. L’attenzione sarà qui posta proprio sulle carte più antiche, sulla base delle quali si tenterà, procedendo cronologicamente a ritroso, di porre basi credibili per la storia precedente che analizzeremo nei capitoli successivi. Saranno dunque presi in considerazione tutti i documenti dell’VIII e del IX secolo, spingendosi oltre, solo in caso di attestazioni interessanti per la ricostruzione della storia precedente.

È ovvio che le fonti farfensi ci presentano il territorio in un periodo in cui la prima penetrazione longobarda è ormai definitivamente avvenuta: basterà ricordare che Carlo Magno nominerà il primo duca franco, Winichis, già nel 789.

B. Questioni terminologiche – topografiche. La chiave di ricerca seguita per rintracciare i documenti relativi al Cicolano non può che essere il toponimo. Va fatta da subito un’importante precisazione: le carte farfensi offrono varianti differenti per indicare la nostra regione, derivanti dall’aggettivo latino Aequicolanus, attribuito all’ager che i romani avevano conquistato intorno al 290 a.C. grazie a M’. Curio Dentato e riorganizzato amministrativamente4. Da notare dunque, che lo stesso ambito territoriale può essere indicato con termini differenti: per indicare terreni e possedimenti nel Cicolano avremo l’indicazione in finibus cicolanis5, in ciculis (o in ciculi)6, in

ecicule o in eciculi (talvolta aeciculi, con il dittongo iniziale)7, in eciculis (indicazione maggiormente presente)8; dai primi anni del IX secolo compare anche l’indicazione in massa

ciculana9. In tutti gli altri casi il confronto dei toponimi sicuramente delineati da queste attestazioni

4 Notevole la bibliografia sul Cicolano in età romana. Sull’organizzazione amministrativa, gli interventi più recenti: G.

FIRPO, Un Magister iure dicundo nella res publica Aequicolanorum, in Magister. Aspetti culturali e istituzionali, a cura

di G. ZECCHINI e G. FIRPO. Atti del Convegno, Chieti 13-14 novembre 1997, Alessandria 1999, pp. 55-64; ID., Alcune considerazioni sull’ager Aequicolanus, in ΤΕΡΨΙΣ. In ricordo di Maria Coletti, a cura di M.S. CELENTANO,

Alessandria 2002, pp. 113-137; M.F. PEROTTI, Sulla respublia degli Aequicoli, in G. GHINI (a c. di) Lazio e Sabina 3,

Atti del Convegno, Terzo Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina, Roma 18-20 Novembre 2004, pp. 123-134.

5 RF II, doc. 48.

6 RF II, doc. 50; RF II, doc. 229, in cui compare un Teudiperto, actionarius de ciculi. 7 RF II, doc. 57; II, doc. 70; II, doc. 143; V, doc. 1227 (=Chron. I, 281).

8 RF II, doc. 72 (=Chron. I, 154); II, docc. 85-86; II, doc. 112 (=Chron. I, 161); II, doc. 118; II, doc. 119; II, doc. 157;

II, doc. 182; II, doc. 201; II, doc. 250, in cui compare Teudiperto castaldius de eciculis;

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nel territorio cicolano con altri simili negli indici, o l’esistenza di sicuri punti di riferimento ( si pensi al fiume Salto), hanno permesso di rintracciare altre carte utili alla nostra ricerca.

C. Questioni spaziali. L’analisi dei documenti farfensi ha permesso l’individuazione di nuclei maggiori di espansione del monastero di Santa Maria rispetto ad altri, giustificabili dalla loro posizione e appetibilità per lo stesso cenobio sabino. In questo senso, alcuni siti del Cicolano entrano, fin dagli inizi dell’VIII secolo, nell’orbita dei possedimenti degli abati di Farfa, in aree ben delineate, che lasciano fuori la maggior parte del territorio della nostra regione. Va assolutamente specificato, in questa fase iniziale della ricerca, l’idea geografica che nell’alto medioevo davano le varie accezioni toponomastiche riferibili al Cicolano. Come ben nota la Migliario10, infatti, le fonti

farfensi riportano in Ciculis porzioni di territorio comprese tra le zone degli attuali centri di Fiumata, Petrignano e Cliviano-Corvaro, lasciando fuori ad esempio, le pertinenze del municipium romano di Cliternia, molto più a nord, nei pressi dell’attuale centro di Capradosso11. Risulterà evidente come il passaggio dall’organizzazione romana a quella longobarda abbia consolidato l’idea del Cicolano, come quella dell’area gravitante intorno al vicus di Nersae, corrispondente al solo

Ager Aequicolanus, del quale proprio Nersae è, in età romana, il centro amministrativo principale.

Da un’attenta analisi del territorio, apparirà ancora più palese che i centri più importanti riportati nei documenti di Farfa si trovano a ridosso del fiume Salto, in relazione al quale, lo vedremo in seguito, si sviluppano i principali assi viari della regione.

Stabilite le coordinate della ricerca, dalle carte raccolte da Gregorio di Catino, sono risultati degni di nota tre centri principali nel Cicolano in possesso dei monaci di Farfa: i territori intorno al centro di Clivianus, presso l’attuale abitato di Santo Stefano, nei pressi della piana di Corvaro; il gualdo di Sant’Angelo in flumine, i cui territori possono essere individuati intorno all’attuale centro di Fiumata; la cella Sancti Benedicti presso Petrignano.

10 MIGLIARIO 1995, p. 30, nota 13. Nella stessa nota si riporta come lavoro di riferimento G. FILIPPI, Recenti

acquisizioni su abitati e luoghi di culto nell’Ager Aequicolanus, in “Archeologia laziale” VI, 1984, pp. 165-177; il citato lavoro propone una interessante ricostruzione dell’Ager Aequicolanus, secondo il sistema dei poligoni di Thiessen. Oltre al lavoro di Filippi, da segnalare, sulla stessa problematica: A. MORANDI, Epigrafia latino-italica del Cicolano. Per una definizione etnica degli Aequicoli, in “Archeologia Classica”, 36, 1984, pp. 299-328 (Tavv. LII-LXI).

11 Di assoluta utilità risultano le tavole extratestuali della Migliario, le quali ricostruiscono l’assetto topografico del

Cicolano tenendo conto degli stanziamenti antichi in relazione a quelli altomedievali e infine, a quelli attuali. Utile il confronto con le cartine intratestuali di Staffa.

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1.1.1 Clivianus12(RF V, doc. 1303 = Chron. I, 139-140: APPENDICE, DOC. N. 1)

La più antica donazione fatta da un duca longobardo al monastero di Farfa risale ai primissimi anni dell’VIII secolo. Gregorio di Catino non aveva a disposizione il documento originale di tale donazione, ma lo ricostruisce da una lettera molto posteriore inviata da un prete, Adamo de Cliviano all’abate di Farfa Berardo13. La paternità della concessione è attribuibile a duca Faroaldo II, il quale è a capo del Ducato di Spoleto dal 703/5 al 719/72014. Il documento originale

deve essere quindi stato redatto durante il regno di Faroaldo e risulterà così, una delle attestazioni più antiche della penetrazione farfense nel territorio reatino. Da notare che altri documenti del monastero di Farfa riportano una lettera del duca Faroaldo II con cui si chiede la conferma delle sue donazioni a papa Giovanni VII e la bolla di conferma del pontefice15.

I territori menzionati in RF 1303, vengono identificati in Cliviano et per eius vocabula. Nello stesso documento si dice che la donazione consta di millecinquecento moggi16 di terre cultae o arabiles, affidate alle cure di dodici manentes, cioè contadini che risiedono nella zona.

Figura 1. Chiesa della Madonna delle Grazie presso Cliviano. Sono visibili gli elementi in muratura antica su cui è stata costruita la chiesa.

12 Il sito di Cliviano in età altomedievale è trattato in MIGLIARIO 1995, pp. 29-34. Va fatta una precisazione: nella figura

3 a pag. 35 in realtà non è riportata la chiesa di Santo Stefano di Cliviano, come nota la stessa Migliario, ma la chiesa di Santa Maria delle Grazie, comunque nei pressi di Cliviano, ma al di fuori dell’abitato del paese. Su Cliviano anche STAFFA 1987, pp. 71-72. Nel lavoro di Staffa, alla figura 25 è riportata correttamente l’attuale pieve di Santo Stefano.

Staffa riporta, inoltre, gran parte del documento RF V, 1303 con evidenti errori di trascrizione su cui si tornerà in seguito.

13 Cfr. RF V, doc. 1303. La stessa notizia è riportata in Chron. I, 139-140. Da notare che lo stesso Gregorio ha annotato

nel Regesto (cfr. RF I, doc. VI) alcuni appunti riguardanti sempre questa medesima donazione. Egli riprenderà poi la stessa lettera in LF p. 166 n. 190.

14 Per la successione dei duchi longobardi di Spoleto si veda S. GASPARRI, I duchi longobardi, Roma 1978. 15 RF II, docc. 1 e 2.

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Il documento risulta di particolare interesse se si presta attenzione alle indicazioni topografiche in esso contenute. Vengono indicati in questo modo i confini del territorio donato, il quale è specificato essere la terza parte dei possedimenti ducali nella zona: “Usque frontinum et

usque macclam felicosam et usque criptam machelmi...”. Sull’identificazione del primo toponimo

non ci sono problemi. In effetti il monte Frontino sovrasta il centro di Santo Stefano che sorge praticamente lungo la costa del monte stesso. Difficilmente rintracciabili risultano essere gli altri due elementi menzionati: si tratta di una macchia, cioè di un bosco di estese dimensioni, denominato Felcosa o Felicosa17 e di una non meglio precisata cripta, forse una grotta adibita a luogo di culto. Per quel che riguarda quest’ultimo sito è possibile che si possa identificare (a livello di ipotesi) con quella che oggi è conosciuta col nome di Grotta di San Nicola, raggiungibile ancora tramite un sentiero non carrozzabile proprio dalla costa del Monte Frontino.

Non lascia adito a dubbi la notizia secondo cui in questo territorio sarà poi edificato

Corvarium18. Il centro di Corvaro sorge, infatti, nelle immediate vicinanze di Santo Stefano e

presenta ancora oggi testimonianze archeologiche dell’incastellamento medievale.

Una analisi attenta deve essere fatta circa la composizione della locale comunità, onde poter in qualche modo determinare la sua reale articolazione. La menzione dei dodici manentes da adito a due diverse interpretazioni possibili. Come notato19, infatti, la grande estensione del fondo ducale donato ai farfensi mal si adatterebbe alla presenza di soli dodici coloni; tale dato ha fatto supporre che il riferimento numerico potrebbe essere solo corrispondente ai coloni che effettivamente vengono donati insieme alle terre da Faroaldo; parimenti valida potrebbe risultare l’ipotesi per cui il numero dodici indicherebbe soltanto i capifamiglia ai quali vanno inevitabilmente associati i restanti componenti del nucleo familiare. A sostegno di questa seconda ipotesi possono concorrere altri documenti riguardanti il sito di Cliviano, sebbene distanti dal punto di vista cronologico. Nell’813 l’ancilla Dei Elina20 dona parte delle sue sostanze in eciculis, loco qui dicitur

Clivigianus21: vengono menzionati tre opiliones (Teudemundo, Trasone e Alemundo) con le loro case e con tutte le terre da loro lavorate, e si aggiunge cum mulieribus et filiis et filiabus suis. Per avere un’idea della composizione di una famiglia residente a Cliviano ci soccorre l’inventario delle

17 Si presti attenzione al fatto che una Maccla Felcosa è riportata nel Liber Floriger. Si veda M.T. MAGGI BEI, Il Liber

Floriger, Roma 1984, p. 217.

18 La notizia del regesto è poi approfondita nel Chronicon, in cui si legge: estque ibi constructum unum castellum quod

nominantur Corvarum.

19 Vedi MIGLIARIO 1995, p. 30, nota 12.

20 RF II, doc. 201. Si noti che il documento riportato dalla Migliario per la donazione di Elina è errato. Si veda

MIGLIARIO 1995, p. 34, nota 21, in cui è riportato RF II 213, dell’814, e non RF II 201 dell’813. Tale documento

riguarda comunque il Cicolano, ma riporta le donazioni di Grifo in massa ciculana, fundo stenaciano e non il sito di Cliviano.

21 Accanto al toponimo Clivianus, nei documenti farfensi ritroviamo varianti come Clivigianus (RF II 201), Clividianus

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terre e dei servi di Farfa22, un importante documento riconducibile alla fine dell’VIII, inizi IX secolo23. Tra i territori riconducibili al Cicolano, si riporta l’elenco dei servi in Clevigiano in cui si leggono quattro nomi, Adolfus, Pintulus, Probatulus e Utulus ciascuno cum uxore et filiis suis,

casis et substantiis. In tutte queste donazioni risulta chiaro che si prende sempre in considerazione il

capofamiglia e che se ne elencano poi tutti i parenti, a partire dalla moglie, per arrivare ai figli. È assai probabile che i dodici manentes di RF V 1303 altri non siano che i capi di ciascuna delle famiglie lì stabilite. Il numero delle persone residenti a Cliviano risulterebbe così assai più ampio e l’intera comunità sarebbe potuto essere quantitativamente cospicua.

I documenti fin qui menzionati ci presentano una realtà ben articolata in cui è ovviamente preponderante la dimensione agricola e pastorale del centro di Cliviano. La posizione felice del sito, sulla costa del monte Frontino, a dominare la piana di Corvaro, il più esteso e fertile territorio pianeggiante dell’intero Cicolano, giustifica la presenza di numerose famiglie residenti. Non dobbiamo dimenticare che i personaggi riportati nei documenti farfensi riferibili a Cliviano sono soltanto quelli che vengono donati dai nobili del luogo a Farfa. È ovvio che l’intera comunità deve annoverare un numero ben maggiore di famiglie che giustificherebbe la presenza di ben tre edifici di culto presenti nella zona citati nello stesso documento. In effetti tre sono le ecclesiae menzionate concernenti il sito di Cliviano: l’ecclesia Sancti Sauini24, l’ecclesia Sancti Sebastiani e l’ecclesia

Sanctae Anatholiae de Turano25. Dei tre edifici non rimane alcuna testimonianza archeologica in grado di poter determinare con certezza la loro antica ubicazione. Tuttavia sono state proposte delle soluzioni. Il lavoro minuzioso di Staffa ha portato lo studioso a tentare una plausibile identificazione dei tre edifici, inquadrandoli nel territorio.

La chiesa di San Savino/Sabino (Tavola I, n. 1) è stata rintracciata nei pressi dell’attuale paese di Castelmenardo, a circa un paio di chilometri di distanza dal centro di Cliviano, dove si conserva effettivamente il toponimo di Cimitero di San Saino26. Una recente ricognizione in loco (giugno 2005) mi ha permesso di rintracciare con certezza ciò che rimane dell’antica ecclesia: sull’attuale strada carrozzabile tra i paesi di Castelmenardo e Pagliara, nei pressi del vecchio

22 Chron. I, 243-301 = RF V, doc. 1280, pp. 254-279.

23 Il documento è stato studiato: si veda G. LUZZATTO, I servi nelle grandi proprietà ecclesiastiche italiane dei secoli IX

e X, Pisa 1910. Il lavoro è stato inserito in Dai Servi della gleba agli albori del capitalismo, Bari 1966. All’interno vi è L’inventario dei servi e delle terre di Farfa, pp. 32-42.

24 Variante per Sabini presente invece in Chron. I, 139.

25 Si noti che la specificazione de Turano è presente solo in RF V, 1303, mentre è stata omessa da Gregorio nel

Chronicon. Nel riportare il documento, Staffa (cfr. STAFFA 1987, p. 51) sostituisce arbitrariamente la chiesa di Santa

Anatolia con un’altra assolutamente non presente nelle fonti, di Santa Maria de Turano.

26 STAFFA 1987, p. 68, n. 83. Si noti, comunque, che il sito del cimitero di Castelmenardo è posto nelle vicinanze del

versante opposto del monte Frontino rispetto a quello in cui sorge il centro di Cliviano e da cui si vede la piana di Corvaro.

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cimitero del paese ora abbandonato, sono visibili tracce di muri poste sulla sommità di un colle che domina la vallata sottostante (fig. 2). Una prima analisi permette di poter identificare, oltre all’ambiente più grande, verosimilmente della chiesa, una serie di piccoli vani forse adibiti al ricovero dei monaci o del clero locale. La chiesa sarebbe stata costruita su resti di opera poligonale attribuiti ad una cisterna. La perdita totale del materiale da costruzione dovrebbe essere dovuta al reimpiego dello stesso per i lavori effettuati per l’edificazione successiva dello stesso cimitero, tra le rovine del quale è effettivamente possibile identificare materiale di spoglio di età romana (fig. 3). Molto del materiale da costruzione è caduto più a valle ed è visibile anche nei pressi della strada Castelmenardo – Pagliara.

Figura 3 (in alto). Vecchio cimitero di Castel Menardo (Borgorose). Muro perimetrale. Materiale di reimpiego.

Figura 2 (a lato). Località San Saino, Castel Menardo (Borgorose). Resti dei muri perimetrali dell’antica chiesa.

Assolutamente problematica risulta la ricerca sul territorio della seconda ecclesia, quella dedicata al martire Sebastiano. L’unica soluzione proposta lascia spazio a dubbi: Staffa27 pone, infatti, l’identificazione dell’edificio ai piedi delle montagne della Duchessa aggiungendo che nulla ne resta dal punto di vista archeologico. La soluzione del problema è risolta sulla base di documenti molto posteriori, i più antichi dei quali addirittura risalenti alla fine del XIV secolo, nei quali è effettivamente riportata una chiesa dedicata a Sebastiano alle pendici dei monti della Duchessa. Tali

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dati apportati rendono la deduzione una pura ipotesi, poco valida, ma pur sempre l’unica fin d’ora proposta e accettabile solo in mancanza di alternative valide.

Ampie argomentazioni già presenti nelle fonti aiutano lo studioso nell’analisi e nell’inquadramento sul territorio della terza ecclesia citata nel documento, dedicata alla martire Anatolia (fig. 4; Tav. I, n. 2). Dell’antichità e dello sviluppo del culto di Anatolia nel Cicolano si renderà conto più avanti, in una trattazione specifica. Per ora ci limiteremo al tentativo di chiarire l’ubicazione della chiesa menzionata nel documento che stiamo analizzando.

Figura 4. Attuale aspetto della chiesa di Sant’Anatolia all’interno dell’abitato dell’omonimo paese, nei pressi del comune di Borgorose.

La lettera ricostruita da Gregorio aggiunge all’ecclesia sanctae Anatholiae l’elemento topografico de Turano. La presenza della specificazione geografica potrebbe far pensare alla contemporanea presenza nel territorio di altre ecclesiae dedicata alla stessa santa, e può, dunque, essere stata inserita per ovviare a problemi di identificazione: la ampia diffusione del culto di Anatolia nel reatino e nel Cicolano è infatti un dato certo28. Anche per questo edificio si è proposta

una identificazione sul territorio, rintracciandolo nella moderna chiesa dedicata alla martire nella

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piccola frazione che da questa ha preso il nome29. Il centro di Sant’Anatolia, nei pressi della piana di Corvaro, presenta oggi una chiesa moderna, ricostruita nel XIX secolo considerata da alcuni il santuario martiriale sorto sul sito della morte della giovane30 (fig. 5). Verosimilmente il centro moderno si è formato intorno alla chiesa antica e l’indicazione de Turano è, molto probabilmente, riferita a un periodo in cui il centro abitato di sant’Anatolia è praticamente inesistente31.

Figura 5. Chiesa di Sant’Anatolia. Particolare della cappella posta all’interno della chiesa, non in asse con l’assetto della stessa. La foto (giugno 2005), presenta la cappella dopo i recentissimi restauri (settembre 2004), che hanno restituito l’aspetto originale. È stata scoperta l’intera figura della santa sotto l’intonaco e altri elementi decorativi altrimenti nascosti. Una seconda figura di Anatolia è stata scoperta nella parte posteriore della stessa edicola (cfr. figure 5-6).

La chiesa di santa Anatolia viene poi data da un abate di Farfa (il cui nome non è riportato da Gregorio) a un certo Soldone, in cambio della chiesa di santa Maria de Loriano32. La Migliario33 giustifica lo scambio notando la distanza di sant’Anatolia rispetto alle altre due chiese citate nel documento. Tesi poco valida se si presta attenzione al fatto che l’identificazione di questi edifici di

29 STAFFA 1987, p. 74, numero 111. In realtà Staffa annoverando l’attuale chiesa di sant’Anatolia non parla affatto di RF

V 1303, ma riferisce documenti assai più recenti. Questo perché legge erroneamente lo stesso documento, in cui confonde la chiesa di Santa Anatolia de Turano con una Santa Maria de Turano assente nelle fonti. I documenti farfensi vengono riferiti alla chiesa “fantasma” di santa Maria, identificata poi arbitrariamente con l’attuale chiesa della Madonna Addolorata nel territorio di santa Anatolia.

30 Cfr. infra, capitolo 3.

31 MIGLIARIO 1995, p. 31, nota 16. La Migliario pensa che la chiesa di sant’Anatolia riportata in RF V 1303 possa

essere sorta su un luogo differente da quello in cui sorge oggi la chiesa dedicata alla martire. Suppone infatti che la denominazione de Turano sia stata posta proprio per inquadrarla nel territorio del vicinissimo centro di Torano. La vicinanza dei luoghi non lascia, però, spazio a dubbi: la chiesa delle fonti farfensi è certamente sorta sul sito della attuale, che altro non è che un suo rifacimento.

32Questo edificio è stato ubicato presso Amiternum; cfr. MIGLIARIO 1995, p. 51-52. Inaccettabile l’osservazione di

Staffa secondo cui la curtis de Lauriano è ubicabile presso la piana di Corvaro (cfr. STAFFA 1987, p. 55). 33 MIGLIARIO 1995, p. 31, nota 16.

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culto è solo ipotizzabile, e che, comunque, è brevissima la distanza di questa nei confronti del centro di riferimento di Cliviano.

Figure 6-7. Chiesa di Sant’Anatolia. Affreschi di san’Anatolia. A sinistra l’affresco riportato alla luce dopo i recenti restauri, nel lato della cappella rivolto verso l’altare della chiesa: la santa reca nelle mani il libro e la palma del martirio. A destra una seconda immagine di Anatolia all’interno della cappella così come si presenta ora (giugno 2008). Prima del restauro si credeva non fosse intera: un vecchio altare, ora rimosso, ne obliterava la parte inferiore. Come visibile, il busto era stato incorniciato in muratura. Anche qui la santa reca nelle mani libro e palma, ma vi è in più un cartiglio con il nome scritto sopra: è questa l’immagine di culto più venerata.

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1.1.2 Gualdus S. Angeli in flumine34 (RF II, d. 48 = Chron. I, 153. APPENDICE, DOC. N. 2; Tav. I, n. 3).

La prima attestazione che confermi la presenza di un gualdo35 nel territorio cicolano è riferibile al 761, anno in cui il duca di Spoleto Gisulfo decide di cedere […] medietatem de gualdo

nostro qui est positus in finibus cicolanis, et dicitur ipse gualdus ad sanctum angelum in flumine

all’abbazia di Farfa. Nello stesso documento farfense si aggiunge che nel territorio di pertinenza del gualdo è presente una chiesa (quae ibi est), dedicata ancora a sant’Angelo: Gisulfo decide di donare dunque, la metà del possedimento ducale cum ipsa ecclesia e si aggiunge, in riferimento allo stesso fondo e alla chiesa, cum omnibus adiacentiis et pertinentiis suis in integrum. La zona interessata è stata rintracciata nei pressi della frazione di Fiumata, nel territorio del comune di Petrella Salto.

La presenza di un gualdo presuppone una determinata morfologia del territorio, in quanto esso sta ad indicare un fondo destinato prevalentemente a sfruttamento silvo-pastorale36. A

giustificare tale tesi ci soccorre lo stesso documento (ma più in generale l’organizzazione globale dell’intero Cicolano per quel che concerne lo sfruttamento del territorio37): vi è citato un

archiporcarius, Lupo, un responsabile locale, evidentemente legato all’allevamento dei maiali,

lasciati spesso al pascolo semiselvaggio nei boschi38. A rafforzare questa tesi, nel documento si afferma che la restante metà del gualdo è occupata da un grande bosco di castagni qui dicitur

Sessiale39 ugualmente concesso all’abate di Farfa.

La formazione artificiale dell’invaso del Salto nel 1940, rende oggi impossibile la ricognizione e l’indagine archeologica circa il sito del gualdo di Sant’Angelo e della stessa chiesa. Le acque dell’attuale lago hanno sommerso, infatti, il centro medievale che non è più ispezionabile:

34 Su S. Angelo in flumine: MIGLIARIO 1995, pp. 34-38; STAFFA 1987, pp. 58-59. Si veda anche S.P. BRUNTERCH, Les

circonscriptions du Duche de Spolete du VIIIe au XIIe siecle, in Atti del 9° congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 27 settenbre-2 ottobre 1982, Spoleto 1983, pp 207-230; in particolare la pag. 221.

35 Si noti bene che il gualdo di S. Angelo in flumine non è l’unico nel Cicolano menzionato dalle carte di Farfa. Non si

è infatti finora notato che in RF II, d. 251 (= Chron. I, 185), documento dell’821 è riportata la menzione (ma solo la menzione) di un gualdus Patianus in massa eciculana altrimenti sconosciuto.

36 Sulla diffusione dei gualdi nel territorio reatino, in particolare nell’area sabino-tiberina, si veda E. MIGLIARIO,

Strutture della proprietà agraria in Sabina dall’età imperiale all’alto medioevo, Firenze 1988, d’ora in poi MIGLIARIO

1988, in particolare le pp. 42-43, sul gualdo di san Giacinto nei pressi di Farfa.

37 Si veda D. ROSE, Quadro produttivo e forme di insediamento nell’Alta Valle del Salto (Cicolano), in Rivista di

Topografia Antica (JAT= Journal of Ancient Topography), XII (2002), pp. 169-196.

38 Non è questa l’unica attestazione di una carica riferibile alle attività di pascolo nel Cicolano: nel 786 il clericus

Hildericus, tra le tante donazioni fatte all’abbazia di Farfa, offre anche in aeciculi casam Gratiosuli pecorarij cum pecoribus capita cc (RF II d. 143); nell’813, tra le donazioni fatte da Elina, ancilla Dei, si riportano anche tre opiliones, Teudemundus, Traso e Alemundus, tutti residenti a Cliviano con le loro famiglie (RF II d. 201). Per l’organizzazione territoriale e per quella amministrativa del ducato di Spoleto, e sul ruolo dell’archiporcarius e del porcarius si veda S. GASPARRI, Il ducato longobardo di Spoleto. Istituzioni, poteri, gruppi dominanti, in Atti del 9° congresso internazionale, cit., pp. 72-122.

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il paese moderno di Fiumata altro non è che la ricostruzione del vecchio centro più a monte40 e la stessa chiesa è stata ricostruita in un sito diverso, ma ha mantenuto la stessa dedicazione. Il sito, comunque, risulta geograficamente posto in un punto di passaggio importante per tutta l’area: assolutamente centrale rimane infatti il ruolo del fiume Salto non solo per l’età romana, ma per tutto il medioevo41. Come vedremo in seguito, è molto probabile che sulla sponda destra del fiume sia rintracciabile una antica strada che, anch’essa sommersa dal lago, un tempo ne seguiva il corso, passando ovviamente per il centro del gualdo42.

La chiesa di sant’Angelo dovrebbe essere stata costruita a fondo valle, centro amministrativo e religioso insieme della piccola comunità locale. È assai probabile che la sua fondazione sia di molto anteriore alla prima menzione del 761. La dedicazione a San Michele Arcangelo porta immediatamente a ipotizzare una sua edificazione avvenuta nella prima fase di penetrazione longobarda: il legame strettissimo tra le alte gerarchie longobarde e il culto dell’Arcangelo è stato ampliamente accertato43. L’esistenza di epigrafi romane44 nei pressi della vecchia chiesa sommersa

ha fatto pensare che il sito possa essere stato occupato fin da età romana45 e che la chiesa possa

essere molto antica. In questo caso la dedicazione all’Arcangelo avvenuta in età longobarda, potrebbe averne sostituita una precedente. Secondo lo Staffa la chiesa sarebbe poi stata incendiata e distrutta a gente Sarracenorum e poi restaurata nel 92346.

40 Nei mesi estivi, in cui il livello delle acque del lago scende sensibilmente, è ancora possibile osservare il campanile e

gli edifici più alti del vecchio paese.

41 Vedi D. ROSE, Quadro produttivo e forme di insediamento nell’Alta Valle del Salto, cit., p. 179, per le attività

connesse con il fiume.

42MIGLIARIO 1995, pp. 77-78 e tavola 10.

43 Tra la sconfinata bibliografia: A. PETRUCCI, Origine e diffusione del culto di san Michele nell’Italia medievale, in

Millénaire monastique du Mont Saint-Michel, III, Parigi 1971; S. GASPARRI, La cultura tradizionale dei Longobardi.

Struttura tribale e resistenze pagane, Spoleto 1983, pp. 155-161; utilissimo al nostro discorso è un recente contributo di Tersilio Leggio che analizza il culto dell’Arcangelo nel reatino nell’età medioevale: T. LEGGIO, Il culto per san Michele nella Sabina longobarda durante il medioevo, in La Basilica delle Acque. La chiesa di San Michele Arcangelo al borgo di Rieti, Terni 2003, pp. 11-46 (d’ora in poi LEGGIO 2003). Per le prime testimonianze di culto in Sabina e per il gualdo

di Sant’Angelo in flumine in particolare si vedano le pp. 15-18. Per la diffusione del culto dell’Arcangelo in Abruzzo è ora disponibile: G. MARUCCI, L’Arcangelo (Antropologia e Storia 4), Roma 2003.

44 CIL IX 4142, perduta. 45 STAFFA 1987, pp. 58-59.

46 LL I, doc. 314; STAFFA 1987, pp. 58-59. La notizia sembra però, poco attendibile. Nel documento non si fa mai

esplicita menzione né del luogo di edificazione e né della dedicazione della chiesa in questione. Staffa lo associa alla chiesa di sant’Angelo in flumine, in base alla sola indicazione di una ecclesia sancti Angeli in gualdo presente nell’indice del Liber Largitorius. Mi sembra difficile l’identificazione, anche perché la chiesa di sant’Angelo nel Cicolano è sempre detta in flumine nei documenti farfensi e mai in gualdo.

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1.1.3 Cella Sancti Benedicti in Petroniano47 (LL I, dd. 52 e 55 = Chron. I, 228: APPENDICE DOC. N.3-4; Tav. I, n. 4).

Proseguendo in ordine cronologico, il terzo centro, tra quelli maggiori nel Cicolano, risulta essere la Cella Sancti Benedicti in loco qui vocatur Petronianus. La prima attestazione della sua esistenza è un documento databile al mese di giugno dell’876 (LL I, d. 52) con il quale Godipertus

presbiter filius Iohannis, habitans in massa Ciculana, dopo aver donato al monastero sabino alcuni

suoi beni in Fungię, sempre nel Cicolano, chiede, in cambio di una pensio annuale, la “gestione” della cella S. Bendedicti.

Il centro amministrativo in cui sorge la cella S. Benedicti è stato rintracciato da Staffa nei pressi dell’attuale centro di Petrignano, nel comune di Pescorocchiano, in località Colle San Giovanni, dove egli riconosce i ruderi della vecchia chiesa abbandonata già in età medievale48.

Effettivamente sono ben visibili resti imponenti di mura perimetrali attribuibili non solo alla chiesa, ma anche alle sue varie pertinenze: sulla sommità del Colle san Giovanni vi è infatti una grande spianata, molto probabilmente un tempo sfruttata per l’agricoltura e l’allevamento.

Figure 8-9. Località Colle San Giovanni, Petrignano (Pescorocchiano). Cella Sancti Benedicti. Resti dei muri perimetrali. Nella figura 8 (a sinistra), è visibile parte del muro dall’esterno. Nella figura 9 (a destra), interno della chiesa: è possibile ancora riconoscere una nicchia.

Risulta evidente come la costituzione della cella a Petrignano debba necessariamente essere riportata a una data assai precedente la sua prima attestazione. Come già notato, infatti, tra la fine

47 Su S. Benedetto: MIGLIARIO 1995, pp. 38-40; STAFFA 1987, pp. 67-68. 48 STAFFA 1987, pp. 67-68, n. 76.

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dell’VIII e gli inizi del IX secolo, si redige un documento-inventario delle terre e dei servi di Farfa49, in cui tra le terre in ciculi, si riporta un paragrafo relativo anche ai servi residenti in

Praetoriano (è chiaro l’errore per Petroniano). Ciò significa che in quella data la comunità di

Petrignano è già numerosa (si menzionano ben sei famiglie, ciascuna cum filiis, casa et substantia): valida l’ipotesi della Migliario per cui la cella è istituita per poter meglio gestire la sostanziale crescita dei possedimenti farfensi nel Cicolano a partire, come abbiamo visto, dai primissimi anni dell’VIII secolo.

A sostegno di questa ipotesi, vi è la stessa posizione della cella, assolutamente strategica rispetto all’intero territorio cicolano: dall’attenta analisi della carta topografica risulta chiaro che essa sorge tra i territori di pertinenza del gualdo di sant’Angelo e quelli intorno al centro di Cliviano, in posizione centrale dunque tra i possessi farfensi nella zona. La grandiosità delle rovine ancora visibili, confrontate con quelle degli altri centri menzionati nelle carte di Farfa, può essere prova dell’eminenza del centro di Petrignano rispetto a tutti gli altri del Cicolano.

Anche dal punto di vista agricolo, i terreni di giurisdizione della cella S. Benedecti risultano particolarmente appetibili e fertili, in una regione poco adatta allo sfruttamento agricolo intensivo: basterà ricordare che nell’877 i figli di Aciprando, di nome Giovanni, Leoniano e Lupo, i quali sono detti habitatores de massa ciculana et villa quae vocatur Petronianum50, scambiano con l’abbazia di Farfa, diversi loro possedimenti ubicati presso San Benedetto, i cui toponimi (una vigna e terreni

in loco qui dicitur ad viculum e in loco qui dicitur vinealis), fanno presupporre l’esistenza di

numerose vigne nella zona. I tre fratelli ottengono così altra terra quae pertinet ad cellam sancti

benedicti in loco qui dicitur in fine sancti Antimi. Quest’ultima attestazione risulta interessante

perché testimonia la presenza di una chiesa nel territorio di pertinenza della cella farfense, dedicata a sant’Antimo, affidata forse a uno dei praesbiteri riportati nello stesso documento51.

Essa non è solo vicina ai centri maggiori in possesso di Farfa, ma, cosa di particolare interesse, risulta essere posta in prossimità di un’antica strada che, secondo la ricostruzione della Migliario52, metteva in comunicazione diretta i territori del Cicolano con la piana di Amiterno. Si spiega solo così il motivo per cui nel giugno del 95753 Ingizo filius Ansegisi de Marsi, entrato in

possesso dei possedimenti intorno a Cliviano, ne paga la locazione non nel Cicolano, ma in curte de

49 Cfr. supra, note 22-23. Per Petrignano l’elenco del Regesto è lievemente differente rispetto a quello del Chronicon,

anche se si può poi desumere lo stesso numero di famiglie in tutti e due i testi.

50 RF III, doc. 325.

51 Nel testo abbiamo infatti riportati alcuni personaggi, esponenti del clero locale: i presbiteri Dominicus e Baruncellus

e il diacono Liudenus. Sulla composizione delle locali gerarchie ecclesiastiche si tornerà in seguito.

52 MIGLIARIO 1995, pp. 82-83 e fig. 10. 53 LL I, doc. 180.

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Lauriano, nel territorio di Amiterno54 (i legami tra il Cicolano e l’Amiternino sono già stati messi in evidenza per la chiesa di santa Anatolia, ceduta in cambio di santa Maria de Loriano, ancora nel territorio di Amiterno; cfr. supra nota 32)55.

Figura 10. Località Colle San Giovanni, Petrignano (Pescorocchiano). Cella Sancti Benedicti. Resti dei muri perimetrali. Si può vedere come sulla sommità del colle, vicino ai resti della chiesa e delle sue pertinenze, sia stato spianato il terreno, dal quale emergono resti di materiale da costruzione.

54 Si noti bene che Staffa (1987, pp. 54 e 65) confonde la cella sancti Benedicti in Petroniano con una curtis sancti

Benedicti che le fonti di Farfa riportano essere in territorio Furconino (cfr. LL, I, doc. 328, del dicembre 967).

55 Si noti bene che nel Liber Floriger (p. 82 n. 7) è riportata una ecclesia Sancti Angeli in Petroniano dono fatto

all’abbazia di Farfa dai fratelli Probatus e Picco. Il documento originale è riportato nel Regesto (RF II, doc. 158 dell’802). Si deve comunque escludere l’idea che la chiesa sorgesse presso la cella benedettina del Cicolano soprattutto perché nel Regesto la si indica in casale Petruniano. È pur vero però che il documento RF II, doc. 158 altro non è che l’elenco dei beni donati dai due fratelli con un’altra carta, e cioè RF II doc. 157, in cui si dice chiaramente che essi hanno possedimenti anche in eciculis. Per la chiesa di Sant’Angelo in casale Petruniano si veda anche LEGGIO 2003, p.

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1.1.4 L’organizzazione ecclesiastica e la cura animarum nel Cicolano nelle carte di Farfa

Nei documenti fin qui analizzati si è tentato di mettere in evidenza, oltre alle testimonianze letterarie ed archeologiche degli edifici di culto riportati nei documenti farfensi, anche eventuali spunti per la ricostruzione e l’analisi delle locali comunità afferenti a ciascuna chiesa: tutto ciò per meglio contribuire alla definizione, seppure ipotetica, del vissuto cristiano del territorio cicolano nell’altomedioevo. È comunque vero che non è attestata esplicitamente l’esistenza di edifici con diretto controllo della cura animarum nella zona tra la tarda antichità e tutto l’altomedioevo56: per arrivare a una definizione di plebs nel Cicolano si dovranno attendere le bolle di conferma dei beni diocesani nel XII secolo57. La situazione del Cicolano è, a mio parere, assai simile a quella della vicina diocesi dei Marsi, per la quale “…nonostante l’alto numero degli edifici di culto testimoniati, in nessuno dei documenti monastici si fa esplicito riferimento a chiese adibite alla cura animarum o ad istituti plebani. Non esistono fonti di provenienza vescovile e capitolare per un periodo così antico, né raccolte di altra natura, ma anche i documenti più tardi di origine non monastica […], definiscono gli edifici di culto solo con il termine ecclesia”58.

Oltre alle carte fin qui menzionate, è opportuno, a questo proposito, ricordare che numerose altre donazioni fatte all’abbazia di Santa Maria di Farfa riguardano il Cicolano nell’altomedioevo, spesso anche di modeste entità (una sola casa, piccoli appezzamenti di terreno)59. Come si vedrà in seguito, il territorio della regione equicola sfugge ad un’organizzazione amministrativa accentrata e presenta numerosi insediamenti vicani di piccole dimensioni, sparsi su tutto il territorio. Inevitabile che qui, più di altrove, la chiesa diventi il centro di riferimento obbligato per le piccole, a volte piccolissime, comunità locali. La cura e l’organizzazione della vita religiosa e quotidiana insieme ricade inevitabilmente su coloro i quali hanno l’onere di gestire gli edifici di culto: dalle carte di Farfa emerge un quadro interessante circa la composizione del locale clero e la “gestione” della

cura animarum60. Nei secoli VIII e IX presi in considerazione in questa sede, va da subito precisato

56 L’assenza di documentazione e di dati a riguardo è comune anche a tutta la regione abruzzese per cui, però, nel IX

secolo sono menzionate la plebs Sancte Marie de Amiterno e la plebs S. Iohannis nei pressi di Chieti. Si veda in proposito A.M. GIUNTELLA, Abruzzo e Molise, in Alle origini della parrocchia rurale (IV-VIII sec.). Atti della giornata tematica dei Seminari di Archeologia Cristiana (Ecole Française de Rome – 19 marzo 1998), Città del Vaticano 1999, pp. 379-396.

57 Come esempio: Bolla di Anastasio IV al vescovo di Rieti Dodone circa il confini della sua diocesi con l’elenco delle

chiese ad essa soggette, del 24 agosto 1153. Pubblicata in M. MICHAELI, Memorie storiche della città di Rieti e dei

paesi circostanti, dalle origini al 1560, vol. IV, pp. 265-268.

58 L. SALADINO – LADINOOMMA, Un caso anomalo: la Marsica, in Alle origini della parrocchia rurale, cit., pp.

401-402.

59 Per gli altri numerosi toponimi basterà ricordare l’elenco presente in MIGLIARIO 1995, pp. 40-41 e note 36 e 37. 60 Si veda per la cura animarum nel ducato di Spoleto: G. CONSTABLE, Monasteries, rural churches and the cura

animarum in the early Middle Ages, in Cristianizzazione ed organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’Alto Medioevo: espansione e resistenze. XVIII Sett. CISAM (1980), Spoleto 1982, pp. 349-390; per il Cicolano il tema è stato

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come - e seguo il Di Nicola – “l’autorità vescovile nel Cicolano sia pressoché inesistente”61. La presenza preponderante è sicuramente quella dei grandi centri monastici, (tra cui Farfa riveste assolutamente un ruolo preminente) i quali, ottenuti tramite donazioni notevoli possedimenti, ne gestiscono l’amministrazione. Il caso più eclatante nel Cicolano, come abbiamo visto, è la costituzione della cella Sancti Benedicti presso Petrignano, nella quale sembra logico ipotizzare la presenza di un piccolo gruppo di monaci, almeno fino all’876, anno in cui il presbiter Godipertus, come già visto, ne ottiene la gestione62. Come vedremo, i documenti che riportano esponenti del

clero per i territori del Cicolano sono abbastanza numerosi: è il caso della monaca Elina,

sanctimonialis femina e ancilla Dei, la quale, a distanza di molti anni, concede tutti i suoi beni al

Monastero di Farfa, sparsi in diversi territori63. Non ci è dato sapere se ella risiedesse nel Cicolano o in altra parte, così come Teudepertus clericus64: il fatto però, che, in questo secondo caso, egli abbia possessi nel solo Cicolano, autorizzerebbe a pensare che potesse lì risiedere. Seguendo l’ordine cronologico, sappiamo che nel 778 la vedova Ansa dona alcuni suoi possessi, tra cui alcune case nel Cicolano. Nel documento viene citato anche il figlio Petrus clericus65. Nel 786 è la volta di

Hildericus clericus a donare i suoi terreni in aeciculi66, mentre nell’801 è Rainaldus clericus ad offrire se stesso e i suoi beni a Farfa67. Le donazione compiute da esponenti del clero si susseguono e nell’811 il clericus Teudolfus e Teuprandus presbiter68, tra le altre cose, donano omnem […]

substantiam […] in massa eciculana. Anche in questo caso è assai difficile stabilire il loro luogo di

residenza o anche le pertinenze del loro magistero religioso.

Abbiamo più volte parlato di Godipertus presbiter (cfr. supra), il quale ottiene nel giugno dell’876 la cella Sancti Benedicti in Petroniano in cambio di una pensio annuale. In LL I, doc. 52 egli si dice espressamente habitans in massa Ciculana, villa quę vocatur Fungię. In questo caso non vi sono dubbi sul fatto che egli non solo abbia possedimenti nel Cicolano, ma che esplichi la sua missione nello stesso territorio.

Un interessantissimo documento, l’unico tra quelli analizzati che è stato redatto nel Cicolano (actum in eciculi) e non a Rieti, testimonia uno scambio di terreni avvenuto tra Iohannes, Leonianus e Lupo, definiti habitatores de massa ciculana e il monastero di Farfa69: costoro offrono al cenobio

trattato: A. DI NICOLA, Monasteri, laici, ordinari e curae animarum nel Cicolano (Secc. IX-XIII). Appunti e spunti per una ricerca, in “ Atti del Convegno: San Francesco nella civiltà medievale con riferimento alla valle reatina, al Cicolano e a Corvaro”, Borgorose 18-19 dicembre 1982, Rieti 1983, pp. 213-223; STAFFA 1987, pp. 50-53.

61 A. DI NICOLA, Monasteri, laici, ordinari, cit., pp. 215-216. 62 LL I, doc. 52.

63 RF II, docc. 85 e 85 del 770-771 (CDL V, nn. 56 e 57); RF II, doc. 201 dell’813. 64 RF II, doc. 112 del 778 (CDL V, n. 79).

65 RF II, doc. 119 del 778 (CDL V, n. 84). 66 RF II, doc. 143 del 786 (CDL V, n. 101). 67 RF II, doc. 167 dell’801.

68 RF II, doc. 198 dell’811. 69 RF III, doc. 325 dell’877.

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sabino una loro vigna in Petroniano iuxta congregum Sancti Benedicti e un terreno in loco qui

dicitur ad viculum e ottengono in cambio terram de ipso monasterio quae pertinet ad cellam Sancti Benedicti in loco qui dicitur in fine Sancti Antimi. Minuziosa è la definizione dei confini delle terre

menzionate: per indicare dimensioni e pertinenze di ciascun appezzamento, si indicano i possessori delle terre stesse e, tra loro, ritroviamo dominicus presbiter, baruncellus presbiter e liudenus

diaconus. La donazione avviene, infine, alla presenza del diaconus Gradicisius e del presbiter et monachus Iohannes.

È sicuramente difficile stabilire chi gestisse (e come lo facesse) la cura animarum nel Cicolano. È verosimile ipotizzare la presenza di gruppi di monaci laddove i grandi centri monastici esercitano la loro giurisdizione: è probabile che essi stessi si accollassero anche il compito di guidare i fedeli.

Abbiamo visto che è presente un buon numero di chierici e di presbiteri. Colpisce che tutti abbiano dei nomi di sicura origine longobarda (Hildericus, Tuedolfus, Teuprandus, Godipertus).

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1.2 Altre presenze monastiche nel Cicolano.

Come già accennato in sede di premessa, recenti studi tendono a dimostrare come il Cicolano sia stato oggetto dell’attenzione di diversi cenobi del ducato Longobardo di Spoleto, oltre a quello di Farfa, già nell’altomedioevo70. È molto probabile che due monasteri in particolare, avessero possedimenti nel nostro territorio: si tratta dell’abbazia di San Pietro in Valle presso Ferentillo, in Umbria, e del vicinissimo cenobio di San Salvatore Maggiore sul monte Letenano, presso le frazioni di Pratoianni e Vaccareccia, nel territorio dell’attuale comune di Concerviano. Gravoso problema per entrambi è la completa scomparsa dei relativi documenti d’archivio: risulterà dunque evidente la difficoltà dello studioso nel lavoro di ricostruzione della storia stessa dei due cenobi, del loro sviluppo e, ciò che a noi più interessa, dei loro possessi nel territorio.

È assolutamente importante premettere come la presenza di possessi dei due monasteri nel Cicolano sia quindi solo ipotizzabile: l’assenza totale di documentazione letteraria altomedievale, accompagnata da pressocché inesistenti campagne di scavo, fa sì che ci si debba necessariamente rifare a fonti anche molto lontane nel tempo, e che all’interno di queste, si debbano cercare “indizi di antichità”.

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1.2.1 L’azione dei monaci di San Pietro in Valle di Ferentillo: San Pietro de Molito e San

Giovanni in Leopardis (ex chiesa di San Leopardo).

La storia del monastero di San Pietro in Valle71 è assai oscura. La stessa bibliografia moderna è scarsa ed è auspicabile che il tema venga ripreso e trattato più ampiamente di quanto non è stato fatto finora, come già auspicava la Pani Ermini nel 198372. Le origini del cenobio debbono

essere desunte da documentazione tarda e leggendaria: la tradizione vuole che il sito su cui sorgerà il monastero sia stato indicato direttamente da San Pietro a duca Faroaldo II73 (personaggio già incontrato e uomo di primo piano nell’organizzazione dell’intero ducato spoletino e del Cicolano in particolare, nei primi anni dell’VIII secolo). Il luogo sarebbe stato riconosciuto perché contraddistinto da una grotta in cui si era ritirato il monaco Lazzaro: nello stesso monastero da lui fondato, Faroaldo è costretto poi forzatamente a farsi monaco, per volontà del figlio Transamundus, così come riferisce Paolo Diacono (“Contra hunc Faroaldum ducem filius suus Transamundus

insurrexit, eumque clericum faciens […])”74.

Secondo Leggio, il monastero sarebbe sorto successivamente ad una ecclesia dedicata sempre all’apostolo Pietro. Per giustificare questa deduzione e la stessa precocità dell’insediamento di Ferentillo, egli riprende un passo iniziale della Constructio Monasterii Farfensis. Secondo questa fonte, un compagno di Tommaso di Morienna, Martyrius, al ritorno dalla terra santa, apud beati

Petri aecclesiam postmodum monasterio prefuit75. Il cenobio in questione è così identificato con quello di Ferentillo, per il quale, e seguo ancora Leggio, si riconosce “un ruolo non irrilevante nella riorganizzazione della frontiera meridionale del ducato di Spoleto”. Del resto l’antichità del sito è ampiamente testimoniata dal rinvenimento in loco di numerosi reperti scultorei riconducibili all’insediamento longobardo76, sebbene manchino ancora scavi archeologici capaci di riportare alla luce con una certa sicurezza le strutture del primigenio edificio.

È scontato che i monaci di Ferentillo abbiano goduto di favori e di donazioni da parte di personaggi più o meno influenti del ducato anche se una carta relativa ai possessi entrati a far parte

71 Bibliografia su San Pietro in Valle: E. BORSELLINO, L’abazia (sic) di San Pietro in Valle presso Ferentillo, Spoleto

1974; A.M. ORAZI, L’abbazia di Ferentillo. Centro politico, religioso, culturale dell’Alto Medio Evo, Roma (seconda

edizione); L. PANI ERMINI, Gli insediamenti monastici nel ducato di Spoleto fino al secolo IX, in “Atti del 9° Congresso internazionale di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 27 settembre-2 ottobre 1982, Spoleto 1983, pp. 569-570; importante anche l’intervento già segnalato di LEGGIO 2002, pp. 159-167; è stato recentemente pubblicato un volume

che raccoglie numerosi interventi circa il restauro degli affreschi raffiguranti storie del Vecchio e del Nuovo Testamento del complesso monastico: si veda G. TAMANTI (a cura di), Gli affreschi di San Pietro in Valle a Ferentillo:

le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, Napoli 2003.

72 L. PANI ERMINI, Gli insediamenti monastici, cit, pp. 569-570. 73 LEGGIO 2002, p. 160-161.

74 Paol. Diac., Hist. Lang., VI, 44.

75 Constructio Monasterii Farfensis in Il Chron., I, p. 3, 13-15.

76 E. BORSELLINO, L’abazia (sic) di San Pietro in Valle, cit., p. 22; L. PANI ERMINI, Gli insediamenti monastici, cit, pp.

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del patrimonio del monastero nella sua primissima fase di sviluppo è impossibile da tracciare, vista l’assenza di testimonianze in merito.

Fonti tarde rispetto al nostro periodo possono però concorrere alla formulazione di ipotesi circa la reale consistenza dell’espansione del monastero nei territori circostanti e anche nello stesso Cicolano. La prima e l’unica fonte in grado di far luce sui possessi di San Pietro in Valle nel nostro territorio, è un privilegio di riconferma dell’età del pontefice Gregorio IX, datato 123177: in esso si legge che i due centri principali dipendenti dal monastero umbro nel Cicolano sono la chiesa di San Pietro de Molito (Tav. I, n. 6) presso un ponte sul fiume Salto (che diventerà poi il monastero di famiglia dei Mareri, in cui svolgerà la sua azione la santa della famiglia, la baronessa Filippa) e quella di San Giovanni in leopardis (Tav. I, n. 7), su un colle presso l’attuale comune di Borgorose.

La prima chiesa è oggi scomparsa: anche per essa, così come per quella di Sant’Angelo in

flumine, l’innalzamento delle acque dovuto all’invaso artificiale del lago del Salto non permette

oggi l’indagine diretta. L’intero monastero è stato ricostruito più a monte, presso il paese di Borgo San Pietro, nella cui toponomastica è dunque vivo il ricordo dell’antica chiesa. La sua doveva essere una posizione assolutamente strategica nell’area cicolana, nelle immediate vicinanze del gualdo di Sant’Angelo controllato dai benedettini di Farfa.

Molte più notizie sono quelle relative al secondo edificio di culto in possesso dei monaci di San Pietro in Valle nel Cicolano. I resti della chiesa di San Giovanni in leopardis sono, innanzitutto, ancora visibili e ispezionabili, nonostante il loro stato di pietoso abbandono. L’antichità del possesso sembra, in questo caso, essere confermata da un secondo documento, più antico di qualche anno rispetto al privilegio di Gregorio IX. Al principio del secolo XIII, infatti, è testimoniata un’aspra e lunga controversia tra il monastero umbro e il vescovo di Rieti circa il possesso della chiesa in questione. Presso l’archivio capitolare di Rieti, sono conservate tre diverse pergamene tutte concernenti la medesima disputa (vedi figura 11)78: questi documenti non sono stati editi criticamente, ma sono stati comunque ben studiati79. Si tratta di una lunghissima serie di

testimonianze raccolte onde poter venire a capo del problema circa il privilegio di possesso della chiesa. Va da subito notato che la dedicazione all’evangelista Giovanni della chiesa non è originaria: in principio essa è sicuramente dedicata a San Leopardo, così come si evince dalle

77 Les registres de Grégoire IX (1227-1241), Paris 1890-1955, I, coll. 465-468, n. 473 del 1231 ; si veda anche T.

LEGGIO, Profilo biografico di un funzionario di Federico II. Tommaso Mareri rettore di Treviso, podestà di Forlì e Ravenna, vicario imperiale di Romagna e di Puglia, protagonista della fondazione dell’Aquila, in “Ravenna. Studi e ricerche”, 3 (1996), pp. 126-127 e relative note.

78 Archivio capitolare di Rieti, armadio IV, fasc. P, n. 3, pezzi nn. 305-306-307.

79 R. BRENTANO, A new world in a small place. Church and religion in the diocese of Rieti, 1188-1378, Berkeley – Los

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fonti80. I testimoni sono tutti personaggi del posto, più o meno residenti nelle vicinanze della chiesa: nel documento si legge chiaramente, per la maggior parte di loro, anche la rispettiva occupazione. Si tratta per lo più di contadini (accanto al nome di battesimo compare spessissimo la parola

agricola), anche se non mancano altri mestieri (anche un caso di miles). La testimonianza per noi

più interessante è quella di un certo Nicola Jordani, contadino, il quale riferisce che la chiesa è di pertinenza dell’abate di Ferentillo, da sempre accolto dalla comunità locale come “uno di casa”. Ma

Figura 11. Archivio Capitolare di Rieti, arm. IV, fasc. P., n. 3, pezzo 306. Si riporta, a puro scopo didascalico, una parte del documento circa la controversia sul possesso di San Leopardo di Borgocollefegato (oggi Borgorose) tra il vescovo di Rieti e l’abate di Ferentillo.

il passo più utile al nostro discorso riferisce che, secondo lo stesso Nicola, l’edificio di culto sarebbe stato concesso a San Pietro in Valle molto tempo prima, direttamente ab antiquis imperatoribus. È chiaro, dunque, che a livello popolare, è accertata la convinzione che un’autorità imperiale abbia, da tempo immemore, concesso agli abati umbri di Ferentillo il controllo e il possesso della chiesa.

Ma con chi possono essere identificati questi “antichi imperatori” chiamati in causa dal contadino Nicola intorno al 1210? E, soprattutto, a quale età, più o meno consapevolmente, sembra far riferimento lo stesso teste? In base a quanto sopra scritto, non sembra sbagliato ipotizzare che gli stessi duchi longobardi di Spoleto possano essere gli antichi imperatori citati, i quali sarebbero così stati i primi benefattori del cenobio di Ferentillo. Seguendo ancora Leggio, possiamo affermare, in

80 Verosimilmente il nome di San Giovanni viene associato a quello di San Leopardo solo intorno al 1300, negli anni in

cui il monastero di San Pietro in Valle è affidato da Bonifacio VIII proprio al capitolo Lateranense, e per il quale avviene il cambiamento. Vedi R. BRENTANO, A new world, cit., p. 337, nota 96.

Figura

Figura  5.  Chiesa  di  Sant’Anatolia.  Particolare  della  cappella  posta  all’interno  della  chiesa,  non  in  asse  con  l’assetto  della  stessa
Figure  8-9.  Località  Colle  San  Giovanni,  Petrignano  (Pescorocchiano).  Cella  Sancti  Benedicti
Figura 12-13. San Giovanni in leopardis. È visibile lo stato attuale della cripta dopo le devastazioni del 1985
Figura 14-15. San Salvatore Maggiore di Concerviano. Stato attuale (agosto 2007) della chiesa
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