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Gli eterni giudicabili tra pronunce di illegittimità costituzionale e interventi di riforma. Una questione non del tutto definita

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Gli eterni giudicabili tra pronunce di illegittimità

costituzionale e interventi di riforma.

Una questione non del tutto definita

Il Relatore Chiar.mo Professor. Luca Bresciani Il Candidato

Margherita Giuliana Nicodemi

(2)

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza.

Comincia ora.

J. W. Goethe

(3)

INDICE

Premessa 6

CAPITOLO I Capacità dell’imputato e autodifesa 8

1. Evoluzione del concetto di incapacità nei codici di

procedura penale 8

1.1 Codice del 1865: primi cenni 8

1.2 Codice del 1915: verso una definizione di “infermità di mente” tramite il riferimento all’art. 471 c.p.p. 9

2. Codice del 1930: una prima regolamentazione

autonoma 11

3.1 Ulteriori profili processuali 18

3. Una garanzia fondamentale nel processo penale 24

3.1 Il principio dell’autodifesa 25

3.2 Contenuti e presupposti 27

3.3 Il rapporto con la difesa tecnica 30

3.4 Un (recente) limite: la partecipazione a distanza

dell’imputato 33

CAPITOLO II Codice del 1988: fondamenti e nuovi

presupposti 41

1. Progetto preliminare al codice di procedura penale,

(4)

2. Codice 1988: verso la disciplina attuale 44

2.1 Alcuni interventi della Corte costituzionale sui

presupposti dell’infermità. 48

2.3 Sentenza Corte costituzionale n. 340 del 1992:

l’irrilevanza del requisito della “sopravvenienza” 52

3. La questione degli “eterni giudicabili”: un problema

centenario 58

3.1 L’intervento della Corte costituzionale in merito agli effetti della sospensione del procedimento sul piano

sostanziale 61

4. La riforma Orlando: Fine degli “eterni giudicabili” 72

CAPITOLO III Le novità in materia di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato: dal criterio

statico a quello dinamico 75

1. L’iter della perizia psichiatrica 77

1.1 (segue) L’obbligo di controlli periodici sullo stato di

mente dell’imputato 84

2. Dall’accertamento peritale alla sospensione del

procedimento 86

2.1 La figura del curatore speciale 88

3. L’infermità mentale di natura irreversibile 93

4. La nuova visione dell’incapacità processuale 100

(5)

Conclusioni 113

Bibliografia 115

Sentenze 123

(6)

Premessa

Con questo lavoro si intende tracciare un excursus sul tema dell’incapacità processuale dell’imputato di partecipare al processo, partendo dal codice del 1865 fino ad arrivare al codice del 1988, recentemente novellato dalla L. 103 del 2017 con un’attenzione particolare al problema degli “eterni giudicabili” e alle sentenze della Corte costituzionale che hanno caratterizzato i vari periodi storici.

I primi due capitoli si pongono dunque l’obiettivo di delineare come il concetto di incapacità processuale dell’imputato e di sospensione del procedimento siano cambiati di pari passo con l’evoluzione del ruolo dell’imputato all’interno del procedimento. Con l’avvento del processo accusatorio l’imputato è diventato il fulcro del procedimento penale, egli deve essere consapevole di ciò che accade durante il processo, deve essere in grado di autodifendersi e il legislatore si è così trovato sempre più spesso davanti alla difficoltà di dover bilanciare i vari diritti in gioco. Nel caso dell’istituto della sospensione del procedimento per incapacità processuale il legislatore ha infatti ritenuto prevalente il diritto all’autodifesa dell’imputato rispetto al diritto di essere giudicato in un tempo ragionevole, sospendendo così il processo e prevedendo semestrali accertamenti sullo stato mentale dell’imputato. Tale bilanciamento sembrava non ponesse particolari problemi, se non nel caso dei cd. “eterni giudicabili”, imputati la cui condizione di incapacità cronica,

(7)

irreversibile a partecipare coscientemente al processo determina una sospensione sine die di quest’ultimo, eliminando la possibilità di una sentenza definitoria, con evidente lesione dunque del diritto ad essere giudicati in tempi ragionevoli e del principio di uguaglianza. Questo problema è stato più volte sottolineato da parte della giurisprudenza in relazione all’art 159 comma 1 c.p. che prevedeva la sospensione della prescrizione in caso di sospensione del procedimento, fino a che, nel 2015, con la sentenza n. 45, la Corte costituzionale non ha dichiarato l’illegittimità di questo articolo.

Nel terzo ed ultimo capitolo invece è stato fatto uno scrupoloso studio sull’accertamento della capacità processuale, con focus sull’espletamento della perizia, evidenziando la difficoltà del perito di accertare le capacità dell’imputato e sulla sospensione del procedimento. È stato infine analizzato l’intervento di riforma sulla disciplina della capacità processuale con l’introduzione dell’art. 72 bis, interrogandosi sulla reale efficacia della novellata disciplina, dato che sono stati rilevati alcuni profili di criticità.

(8)

CAPITOLO I Capacità dell’imputato e autodifesa

1. Evoluzione del concetto di incapacità nei codici di procedura penale

Appare opportuno cominciare l’analisi di questo lavoro dalla trattazione del tema dell’incapacità dell’imputato per infermità di mente, concetto che è profondamente cambiato nel corso degli anni.

Evoluzione di una nozione che va di pari passo con quello che è stato lo sviluppo storico del processo penale, dal sistema inquisitorio a quello accusatorio, con il prorompente affermarsi delle garanzie dell’imputato.

1.1 Codice del 1865: primi cenni

Già con il codice unitario del 1865, pur in assenza di una disposizione esplicita, un orientamento prevalente aveva sostenuto che l’infermità mentale dell’imputato determinasse l’impossibilità di integrare il contraddittorio e che quindi fosse necessario sospendere1 il procedimento penale fino a che l’infermità non fosse cessata2.

Non mancò inoltre chi avanzò l’idea di un ricorso ad una “particolare forma di rappresentanza giuridica” che

1 Cass. penale, 23 marzo 1898.

2 G. BORSANI - L. CASORATI, Codice di procedura penale italiano

(9)

affiancasse la persona dell’imputato in modo tale da poter celebrare comunque il processo3.

Rispetto al dubbio sorto circa l’individuazione del soggetto idoneo ad accertare l’effettivo stato di incapacità dell’imputato, la giurisprudenza prevalente arrivò alla conclusione che fosse preferibile che se ne occupasse il giudice togato e non una giuria popolare4.

1.2 Codice del 1915: verso una definizione di “infermità di mente” tramite il riferimento all’art. 471 c.p.p.

Durante i lavori preparatori di questo codice, venne avanzata la proposta di risolvere gli inconvenienti che derivano dall’affidarsi alla competenza e alla discrezionalità del giudice con l’inserimento di una norma che contemplasse esplicitamente la sospensione del giudizio in caso di sopravvenuta infermità di mente. Tuttavia nel codice del 1915, ancora non troviamo una disposizione ad hoc che disciplini l’infermità mentale dell’imputato; tale situazione era infatti assimilata a quella dell’imputato che non si fosse presentato all’udienza per legittimo e grave impedimento ex art 471 c.p.p.5 che prevedeva la sospensione o il rinvio del

3 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, 1992, p. 11.

4 G. BORSANI - L. CASORATI, Codice di procedura penale italiano

commentato, pp. 188-189.

5 Art 471 c.p.p. «Quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenti

all’udienza, e sia dimostrato che si trova nell’impossibilità di comparire per legittimo e grave impedimento, ovvero se per infermità di mente sia

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dibattimento. Ovviamente la figura dell’infermo di mente differisce da quella del contumace; il primo può infatti essere presente all’udienza, ma questo non basta perché appunto non si ritiene presente chi non è in grado di capire e il giudizio deve essere rimandato6.

Le condizioni per la sospensione o per il rinvio del giudizio erano due: l’esistenza al momento del giudizio di un’infermità di mente e l’accertamento che, a causa dell’infermità, l’imputato fosse nell’impossibilità di provvedere alla propria difesa7.

La prova dell’infermità di mente poteva essere data da qualsiasi persona e in qualsiasi modo e poteva essere assunta anche d’ufficio; si trattava di un procedimento ex bono et

aequo, privo di forme.

L’art. 471 c.p.p. prevedeva l’ipotesi di infermità mentale

attuale, nel momento del giudizio, senza fare distinzione se

risalisse al tempo del delitto o sia sopravvenuta. Se l’infermità risale al tempo del delitto, il giudice, nel chiudere il procedimento preliminare, non può che ordinare la perizia psichiatrica, rimandando il dibattimento; nel caso in cui invece si tratti di infermità sopravvenuta deciderà se

nell’impossibilità di provvedere alla propria difesa, il presidente della corte di assise, il tribunale, o il pretore, anche d’ufficio sospende o rimanda il dibattimento secondo le circostanze…».

6 P. TUOZZI, Il nuovo codice di procedura penale commentato, 1914,

p. 521.

7 E. ROMANO DI FALCO, Gli «eterni giudicabili» e l’art 471 c.p.p.,

(11)

prevedere o meno la perizia a seconda della gravità ed evidenza dell’infermità.

Non tardarono però ad arrivare le reazioni contrapposte da parte della dottrina: da una parte chi riteneva preminente la tutela della collettività e che il conflitto fra interesse individuale all’autodifesa e interesse sociale avrebbe dovuto essere risolto tramite l’istituto della rappresentanza suppletiva; dall’altra, chi rilevava l’importanza dell’autodifesa rimarcando la non sufficienza della difesa tecnica8.

2. Codice del 1930: una prima regolamentazione autonoma

L’infermità di mente, nel contesto di un processo a carattere tendenzialmente accusatorio9, come quello regolamentato dal codice del 1930, veniva disciplinata dall’art 88 c.p.p., rubricato “Infermità di mente sopravvenuta all’imputato”, in forza del quale, se l’imputato veniva a trovarsi in uno stato di infermità di mente tale da escludere la capacità di intendere o di volere, il giudice, qualora non avesse dovuto pronunciare

8 Cfr. DE MARSICO, La rappresentanza nel diritto processuale

penale, 1915, p. 379.

9 L. BRESCIANI, voce Infermità di mente (profili processuali), in Dig.

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sentenza di proscioglimento, avrebbe dovuto ordinare la sospensione del processo di merito10.

L’imputato, senza che fosse accertata la sua colpevolezza, poteva essere privato della libertà personale per il sopraggiungere di un fatto, l’infermità di mente, del tutto distaccato dall’imputazione a lui attribuita e che quindi, non poteva neanche essere valutato come indice di gravità del reato commesso o della pericolosità sociale11.

Se la condizione di infermità si fosse rivelata prima che il giudice istruttore fosse investito della azione penale, tale magistrato avrebbe provveduto su richiesta del pubblico ministero. Il pretore avrebbe disposto d’ufficio, informandone quello che era il procuratore del Re prima e della Repubblica poi.

Per quanto riguarda i presupposti di applicazione della norma, si nota che, per l’emissione dell’ordinanza di sospensione, fosse necessaria l’infermità di mente dell’imputato12 e la mancanza di elementi necessari per una pronuncia di

10 Art. 88, comma 1, c.p.p. abr. "Quando l’imputato viene a trovarsi in

tale stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere o di volere il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento, e salvo quanto stabilito negli artt. 245 e 258, dispone con ordinanza in ogni stato e grado del procedimento di merito la sospensione del procedimento. In tal caso ordina ove occorra il ricovero dell’imputato in un manicomio pubblico, preferibilmente giudiziario. Per gli accertamenti necessari il giudice può anche ordinare una perizia.

11 G. PONTI, La disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta nel

nuovo c.p.p., in Riv., It., Med., Leg. XV, 1993, p. 553.

12 Diverso invece il presupposto dell’art 471 del codice Finocchiaro-

Aprile, ai fini della sospensione o del rinvio del dibattimento, occorreva infatti che l’imputato fosse “nell’impossibilità di provvedere alla propria difesa”.

(13)

proscioglimento, salvo quanto previsto dagli artt. 245 e 258 c.p.p.

Relativamente al presupposto naturalistico, era evidente la coincidenza tra la formula adoperata dall’art 88 c.p.p. 1930 e l’art 88 c.p. che esclude l’imputabilità.

L’esistenza di un tale stato di infermità di mente andava accertata, nell’una e nell’altra ipotesi, alla stregua dei criteri che la dottrina penalistica del tempo aveva elaborato in tema di capacità di intendere e di volere e di vizio di mente13. Anche se, almeno testualmente, l’art 88 c.p.p., a differenza dell’art 88 c.p., non faceva riferimento all’infermità fisica dalla quale derivi transitoriamente un disturbo mentale14. Ciò sembrava escludere che si potesse dare risalto ad anomalie che, pur non integrando la fattispecie di vizio totale di mente, incidessero sul diritto di difesa.

Più precisamente però, la giurisprudenza di merito era propensa a ritenere che, ai fini della sospensione del processo, la differenza tra i presupposti delle due norme fosse più formale che sostanziale; da un punto di vista processuale ciò che rilevava era la presenza di anomalie destinate ad annullare la capacità di intendere o di volere dell’imputato15.

Si arrivò a sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 88 c.p.p. 1930, nella parta in cui non prevedeva la sospensione del processo quando l’imputato

13 G. CONSO, voce Capacità processuale penale, in Enc. dir., vol. VI,

Milano, 1960, p. 146.

14 V.CAVALLARI, La capacità dell’imputato, Milano, 1968, p. 205. 15 V.CAVALLARI, La capacità dell'imputato, pp. 206 e ss.

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versasse in uno stato di infermità fisica tale da renderlo mentalmente incapace di attuare una forma di autodifesa16. Difatti, la nomina di un difensore non sempre si presentava come un rimedio pienamente adeguato per le carenze di chi si fosse trovato in condizioni tali da essere impedito a preparare la propria difesa17.

La Corte costituzionale escluse però l’illegittimità della norma impugnata con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., reputando che la difesa risultasse garantita dall’ausilio tecnico del difensore e dal diritto dell’imputato di ottenere il rinvio o la sospensione del dibattimento fino alla guarigione18.

Sempre con riferimento al presupposto naturalistico, già dalla rubrica dell’art. 88 c.p.p. abr. si poteva intuire come la norma facesse riferimento esclusivamente all’ipotesi di infermità sopravvenuta, con l’esclusione delle eventuali forme di infermità risalenti al momento della commissione del fatto. Tesi sostenuta anche dalla Corte costituzionale nel 1979 reputando non fondata la questione19; era stata infatti sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 88 c.p.p. 1930 nella parte in cui non consentiva la sospensione del procedimento penale nei casi di incapacità di intendere e di

16 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, cit., p. 21. Cfr. Ass. Torino, 22 ottobre 1970, in Giur. cost. 1971,

p. 291; Pret. Omegna, 15 maggio 1979, ivi, 1979, II, p. 1614.

17 BRESCIANI, voce Infermità di mente (profili processuali) in

Dig. d. pen., vol. VI, 1992, p. 432.

18 Corte cost., sentenza n. 12 del 1979. Cfr. altresì Corte cost., sentenza

n. 205 del 1971.

(15)

volere sussistente nel momento del fatto e perdurante nel corso del procedimento, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La violazione del principio di uguaglianza veniva segnalata dal giudice a quo in quanto l’infermo di mente tunc et nunc e l’infermo di mente nunc, pur trovandosi sul piano processuale in condizioni identiche (persona incapace di intendere e di volere), avrebbero ricevuto un trattamento differenziato; nella prima ipotesi il giudice avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento per infermità di mente ed applicare, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.

Nella seconda ipotesi, invece, avrebbe dovuto disporre la sospensione del processo fino a quando l’imputato non avesse riacquistato la sanità mentale.

Mentre l’art. 24 Costituzione sarebbe stato violato in quanto l’impugnazione della norma non avrebbe consentito all’infermo di mente tunc et nunc l’autodifesa, intesa come complesso di attività mediante le quali l’imputato è posto in grado di influire sullo sviluppo dialettico del processo20. Il ragionamento del giudice a quo trovava fondamento soprattutto sul piano sistematico sull’evidente identità delle due situazioni alla luce dell’autodifesa, assumendo quindi rilevanza l’attuale stato di infermità mentale21. Veniva aggiunto in questo senso che il proscioglimento per non

20 L. BRESCIANI, voce Infermità di mente (profili processuali), in Dig.

d. pen., vol., VI, 1992, p. 432, cit.

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imputabilità presuppone l’avvenuto accertamento della sussistenza del fatto, della sua commissione da parte dell’imputato e dell’assenza di qualsiasi causa di giustificazione, perciò, anche con riguardo al procedimento avente come esito il proscioglimento, doveva essere assicurata la facoltà di previa autodifesa dell’imputato, ai fini di eventuale proscioglimento con formula più favorevole22. A sostegno della decisione della Corte, che rigettò la questione di legittimità, l’opinione maggioritaria stimava che fosse lo stesso art. 88 c.p.p. abr. a porre l’alternativa tra sospensione del procedimento e proscioglimento e che sarebbe stato quindi ingiustificato valutare il proscioglimento per non imputabilità non compreso nella locuzione “se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento”23.

Menzionarono anche un altro argomento relativo alla non obbligatorietà e consequenzialità del proscioglimento per non imputabilità dell’imputato infermo di mente al tempo del fatto di reato; il proscioglimento con tale formula era solo una delle possibili conclusioni del processo, se il giudice avesse avuto altri elementi idonei a fondare un proscioglimento con formula più favorevole, avrebbe dovuto accogliere questa. Venne infatti ribadita la diversità delle due situazioni: nel caso di infermità preesistente, la sospensione sarebbe stata una

22 C. LORE’ - P. MOSCARINI, «La valutazione relativa alla incapacità

processuale dell’imputato per infermità di mente», In Riv. It. Med. Leg.

XXI 1999, p. 379.

23 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

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ingiustificata stasi processuale nei confronti di un soggetto che sarebbe stato prosciolto per mancanza di imputabilità, mentre la sospensione per infermità sopravvenuta vuole evitare lo svolgersi di un procedimento che potrebbe chiudersi con una sentenza di condanna.

Quindi una volta accertata la non imputabilità del soggetto, il giudice non poteva sospendere il processo, avendo riconosciuto una causa di proscioglimento che escludeva l’emanazione dell’ordinanza di sospensione; e il giudice non poteva decidere per il proscioglimento per difetto di imputabilità se non una volta ottenuta la prova della commissione di un fatto di reato da parte dell’imputato24. Per quanto riguarda l’accertamento dell’incapacità, il giudice era libero di ricorrere o meno alla figura del perito e, una volta verificato lo stato di incapacità, era sempre il giudice a dover dichiarare la sospensione del processo e a disporre, se necessario, il ricovero in un manicomio pubblico preferibilmente giudiziario.

Anche se successivamente, con le leggi n. 180 e n. 833 del 1978, venne escluso il ricovero coattivo in ospedale psichiatrico civile e l’unico ricovero possibile ai sensi art. 88 c.p.p. abr. era quello in struttura psichiatrica giudiziaria25. Inoltre non erano previsti controlli periodici sullo stato di mente dell’imputato.

24 E. MARZADURI, Infermità di mente dell’imputato, sospensione del

procedimento e formule proscioglitive, in Cass. pen., 1982, cit., p. 1203.

25 T. PADOVANI, Intervento al dibattito Libertà e salute: la nuova

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3.1 Ulteriori profili processuali

L’ordinanza di sospensione del procedimento non era soggetta ad impugnazione, era bensì revocabile; la non impugnabilità non riguardava né quella parte del provvedimento che avesse previsto il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario che era infatti ricorribile ex art. 190 comma 2 c.p.p. 1930 e né la decisione che avesse negato la separazione del procedimento concernenti altri imputati ricorribile questa ex art. 88 comma 6 c.p.p.26

Con riferimento al momento della pronuncia, l’art 88 c.p.p. considerava che l’ordinanza di sospensione potesse essere pronunciata in ogni stato e grado del procedimento di merito, con l’esclusione quindi del giudizio in cassazione dove era esclusa una diretta partecipazione dell’imputato.

Ricorribile in cassazione era solamente una infermità sopravvenuta anteriormente e disconosciuta dal giudice di merito, in cui la corte di cassazione avrebbe annullato la sentenza per un error in procedendo27.

L’art 88 c.p.p. 1930 aveva pensato anche alla tutela delle altre parti, gli altri soggetti i cui interessi avrebbero potuto essere pregiudicati dalla sospensione del procedimento.

Il comma V faceva riferimento alla parte civile, prevedendo la possibilità di esercitare l’azione davanti al giudice civile

26 V. CAVALLARI, La capacità dell’imputato, p. 202.

27 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, p. 36, cit. Cfr. F. CORDERO, Procedura penale, IX ed., Milano

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indipendentemente dal procedimento penale; se poi il processo penale avesse ripreso il suo corso, la parte civile avrebbe potuto tornare nel processo penale, salvo che il giudice non avesse pronunciato una sentenza, anche non definitiva. Tale comma era riferibile interpretativamente anche al soggetto danneggiato dal reato che non si fosse costituito ancora parte civile, previsione già esplicitamente espressa dall’art 471 c.p.p. 1915.

Inoltre la legge n. 517 del 1955 inserì un ultimo comma all’art 88 c.p.p. inteso a garantire i coimputati dell’infermo di mente, in quanto questi infatti avrebbero potuto avere un interesse ad una celere definizione del procedimento. Si prevedeva allora la possibilità che il giudice d’ufficio separasse i due procedimenti ed era anche considerata l’ipotesi che fosse uno degli imputati a chiedere la separazione del procedimento e in caso di denegata separazione il richiedente avrebbe potuto ricorrere in cassazione.

Altra conseguenza della sospensione del processo penale è la sospensione del termine di prescrizione del reato prevista all’art 159 comma 1 c.p. e risulta essere la più grande tra le conseguenze indirette della sospensione del processo28; sul piano processuale invece, la sospensione del processo portava a un periodo di stallo del processo, salvo il compimento degli “atti necessari per l’accertamento del reato” ex art. 88 comma quarto c.p.p.

(20)

Per l’individuazione degli atti consentiti, la dottrina fece riferimento alle attività permesse in altre ipotesi di sospensione, stabilendo che si trattasse di atti aventi finalità istruttorie e le uniche attività consentite erano dunque “le indagini aventi lo scopo di chiarire le oggettive modalità concrete del fatto contestato”29.

Altra parte della dottrina, invece, stimava che tale interpretazione fosse troppo restrittiva e che bisognasse distinguere all’interno della categoria degli atti che implicavano un personale intervento dell’imputato: da una parte, quelli strettamente personali, la cui realizzazione era esclusa durante la sospensione; dall’altra, i rimanenti atti consentiti ai sensi del comma 4.

Infine, sicuramente interessante è la sentenza n. 141 del 1982; venne sollevata questione di legittimità costituzionale dal giudice istruttore del Tribunale di Bologna, in quanto rilevava che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 88 c.p.p. e 206 c.p. (applicazione provvisoria delle misure di sicurezza), in caso di infermità di mente sopravvenuta dell’imputato che fosse imputabile al momento del fatto, dovesse sospendersi il procedimento e si dovesse disporre, ove occorresse, il ricovero di costui in un ospedale psichiatrico. Riferendosi l’art. 88 c.p.p., con l’inciso “ove occorra”, alla pericolosità sociale dell’imputato. Era inevitabile secondo il giudice a

29 M. CHIAVARIO, La sospensione del processo penale, 1967, p. 339,

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quo, nel caso concreto, la sospensione del procedimento e

l’ordine del ricovero in un ospedale psichiatrico, non potendosi non definire socialmente pericoloso chi fosse affetto da sindrome schizofrenica30.

Il giudice istruttore sollevò questione di legittimità costituzionale degli artt. 88 c.p.p. e 206 c.p. ritenendoli in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione; con riguardo al principio di uguaglianza aveva rilevato una ingiustificata disparità di trattamento tra chi fosse riconosciuto infermo di mente a seguito di normale accertamento medico in sede extraprocessuale e chi fosse definito tale nel corso del procedimento penale, essendo costui assoggettato ad una misura, quale il ricovero in ospedale psichiatrico, non applicabile al primo, senza che alla base di questo diverso trattamento vi fossero fini costituzionalmente apprezzabili. Per quanto riguarda l’art. 27 Costituzione il giudice a quo censurava l’indirizzo di precedenti pronunce della Corte costituzionale che avevano sostenuto la legittimità dell’applicazione provvisoria di misure di sicurezza anche nei confronti di soggetti non riconosciuti colpevoli con sentenza passata in giudicato31 e in quanto si sarebbe applicata una misura di sicurezza senza previo accertamento della responsabilità dell’imputato.

Per gli stessi motivi, denunciava l’art. 206 c.p., che disciplina l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza e prevede

30 Corte cost., sentenza n. 141 del 1982, cit.

(22)

la possibilità di ricovero provvisorio presso un ospedale psichiatrico, presupponendo che la misura del ricovero in ospedale psichiatrico di cui all’art. 88 c.p.p. fosse collocato tra i casi di applicazione provvisoria di una misura di sicurezza regolati dall’art. 206 c.p.

La Corte costituzionale ha rigettato la questione di legittimità, dovendosi considerare che le misure di cui all’art. 206 c.p. in quanto applicate provvisoriamente nel corso dell’istruttoria o nel giudizio, presuppongono la previsione che all’esito del processo la medesima misura sia applicabile in via definitiva. L’art. 88 c.p.p. disciplinava la sola ipotesi dell’infermità di mente sopravvenuta e non anche quella dell’infermità sussistente fin dal momento del fatto e dato che la misura di sicurezza definitiva dell’ospedale psichiatrico giudiziario ex art. 222 c.p. si applicava solo ai soggetti prosciolti per infermità sussistente al momento del fatto, si deduceva che il provvedimento di ricovero ex art. 88 c.p.p. si inserisse in una vicenda che non potesse concludersi con l’applicazione di tale misura di sicurezza e si escludeva che la misura di cui all’art. 88 c.p.p. fosse qualificabile come misura di sicurezza provvisoriamente applicata ex art. 206 c.p.

Tesi fondante di questa costatazione era che, mentre ai fini dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza fosse necessaria la ritenuta pericolosità sociale del soggetto (come probabilità di commissione di nuovi fatti di reato), non altrettanto poteva dirsi della misura del ricovero in ospedale psichiatrico ex art. 88 c.p.p. Quindi solo l’art 206 c.p.

(23)

rispondeva alla prevenzione speciale della pericolosità criminale, mentre l’art 88 c.p.p. esaudiva una esigenza di custodia, non potendosi allora parlare di un anticipato giudizio di pericolosità o colpevolezza32.

Inoltre secondo la Corte, con l’inciso dell’art 88 c.p.p. “ove occorre”, il legislatore avrebbe voluto consentire al giudice di trasformare la custodia in carcere nella custodia in ospedale psichiatrico, considerando l’incompatibilità tra l’infermità di mente e le caratteristiche del carcere e quindi la misura avrebbe partecipato alle finalità cautelari proprie della custodia preventiva.

Parimenti infondato è stato dichiarato l’assunto del giudice a

quo sul fatto che la misura del ricovero coatto di cui all’art 88

c.p.p. contrastasse con il principio di eguaglianza in considerazione del diverso trattamento stabilito per i comuni infermi di mente, non imputati; le situazioni poste a raffronto sono infatti differenti in quanto alla coincidenza dell’infermità mentale, differisce la condizione giuridica33.

Analizzata dunque la disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta ex art. 88 c.p.p., è possibile notare qualche lacuna: a processo sospeso era possibile per l’incapace un ricovero in un manicomio giudiziario, senza limiti di tempo e senza l’obbligo di controlli periodici sullo stato di salute,

32 G. VASSALLI, Infermità psichica sopravvenuta e nuove leggi

sanitarie, in Giurisprudenza costituzionale, 1982, pp. 1244-1245, cit.

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prospettandosi dunque il cd. problema degli “eterni giudicabili”. Inoltre il giudice poteva, nonostante la sospensione del procedimento, compiere tutti gli atti necessari per l’accertamento del reato, non garantendosi così la tutela dell’autodifesa.

3. Una garanzia fondamentale nel processo penale

Sembra doveroso, per la trattazione del tema dell’incapacità processuale e dei cc.dd. “eterni giudicabili”34, procedere con l’esame del concetto di autodifesa, ritenuto principio fondamentale per la persona indagata e per l’imputato35; infatti per cogliere a pieno il concetto di incapacità che porta alla sospensione del procedimento, è necessario comprendere la ragione d’essere profonda, ovvero la volontà di garantire il diritto di autodifesa, sul ritenuto presupposto dell’insufficienza della sola difesa tecnica a coprire l’intera area della difesa dell’imputato36.

La figura dell’imputato diventa infatti, soprattutto nel processo accusatorio, il nucleo del processo penale ed è quindi importante che egli sia cosciente e partecipe delle vicende processuali; prevedendo il legislatore, in caso di

34 B. FRANCHI, Gli «eterni giudicabili»: i creduti simulatori, i

guaribili, gli innocenti, in Scuola positiva, 1908, p. 679.

35 Art. 24 comma 2 Cost.

36 C. LORE’ - P. MOSCARINI, «La valutazione relativa alla incapacità

processuale dell’imputato per infermità di mente», in Riv. It. Med. Leg.

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incapacità dell’imputato, la sospensione del procedimento fino a quando l’imputato non abbia riacquistato le facoltà per una partecipazione cosciente al processo.

3.1 Il principio dell’autodifesa

L’autodifesa trova il suo fondamento, anche se in modo implicito, nell’art. 24 comma 2 della Costituzione e rappresenta, insieme alla difesa tecnica, uno dei profili in cui si scompone il diritto di difesa; e ciò, nonostante esista una piccola parte di dottrina che ritiene l’art. 24 Cost. riferirsi esclusivamente alla difesa tecnica ovvero alla garanzia per l’imputato della nomina di un difensore.

Questo principio è invece disciplinato a chiare lettere all’art. 6 comma 3 lettera c) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 14 comma 3 lettera d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici che prevedono il diritto dell’accusato di difendersi da sé37.

Per quanto riguarda l’art. 24 comma 2 Cost., l’inviolabilità del diritto di difesa è indiscussa, mentre il suo contenuto rimane un po’ più vago; l’interprete deve essere infatti in grado di

37 Art. 6 comma 3 lett. c) CEDU «ogni accusato ha diritto di difendersi

personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia».

Art. 14 comma 3 lett. d) Patto internazionale sui diritti civili e politici «Ogni individuo accusato di un reato ha il diritto di essere presente al processo e a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta; …»

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individuare i principi costituzionali strettamente connessi a quello di difesa.

Ad esempio dal raccordo con l’art. 27 comma 2 Costituzione si ricava una regola di giudizio per la quale la difesa è tutelata dal rischio della mancata prova, rischio che è infatti posto a carico dell’accusa; oppure dall’art. 3 Costituzione possiamo ricavare il principio della parità tra accusa e difesa, escludendo la legittimità di situazioni di totale squilibrio di una parte a danno di un’altra, o ancora, dall’art. 101 comma 2 Costituzione che sancisce il principio dell’imparzialità del giudice, deriva l’esigenza di scindere la funzione decisoria da quella investigativa38.

La genericità di tale disposizione ben si colloca allora con l’evolversi dei tempi e delle trasformazioni socio-culturali e se dunque l’esperienza e la coscienza collettiva asserissero la necessità, ai fini di una più accurata tutela delle ragioni difensive, dell’esercizio di un qualsiasi diritto, questo sarebbe racchiuso nella garanzia costituzionale39.

Si parlò molto di autodifesa durante i cd. “processi politici” nei confronti delle Brigate Rosse alla fine degli anni ‘70, quando gli imputati rifiutarono la figura del difensore per esprimere il loro dissenso nei confronti del sistema. Venne sollevata questione di legittimità costituzionale con riguardo agli artt. 125 e 128 Codice Rocco che imponevano in

38 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, pp. 62-63.

39 A. CARLI GIARDINO, Il diritto di difesa nell’istruttoria penale,

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determinate fasi processuali, la nomina del difensore, ma questa fu rigettata dalla Corte costituzionale40.

3.2 Contenuti e presupposti

Il contenuto dell’autodifesa è influenzato dall’assetto processuale nel quale questa è destinata a trovare voce; sebbene dottrina e giurisprudenza, prima del codice del 1988, avessero sottolineato l’esigenza del rispetto dell’autodifesa, particolari variazioni sono scaturite dalla scelta del modello accusatorio del codice vigente nel quale il carattere indispensabile della difesa tecnica e il principio della “parità delle armi” per l’attuazione del principio del contraddittorio, hanno portato a una regolamentazione dell’autodifesa diversa da quella prevista dai codici previgenti41.

Infatti la ratio degli artt. 70 e 71 comma 1 c.p.p. va ricercata nella volontà di garantire il diritto di autodifesa, sul presupposto dell’insufficienza della sola difesa tecnica a coprire l’intera area di difesa dell’imputato; sembra allora che per accertare la capacità di partecipazione cosciente al procedimento, non resti che fare riferimento al consapevole

40 a cura di V. GREVI, Il problema dell’autodifesa nel processo penale,

1977, p. 85.

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esercizio di quelle facoltà in cui l’autodifesa viene a specificarsi42.

L’autodifesa è stata definita in modo vario, come “contributo personale attivo della parte alla propria difesa”43 o come “partecipazione personale dell’imputato al contraddittorio”44. Il contraddittorio consiste in un “fare”, nella piena conoscenza in fatto e in diritto dell’accusa; mentre l’autodifesa può realizzarsi anche in un “non fare”, nel tacere, nell’astenersi da comportamenti positivi.

L’autodifesa può infatti esplicitarsi nel diritto al silenzio teso ad evitare una violazione della libertà morale dell’imputato, senza però escludere l’utilizzabilità delle dichiarazioni che egli abbia volontariamente reso prima o durante il processo45; oppure nel diritto di non presentarsi al dibattimento potendo l’imputato optare per qualunque condotta difensiva e quindi anche omissiva. In positivo, può consistere nel diritto dell’imputato di sviluppare le proprie tesi difensive o con la formulazione di istanze, dichiarazioni spontanee, memorie; nella ricerca delle fonti di prova e nel diritto di ottenere l’ammissione di prove e controprove.

42 C. LORE’ - P. MOSCARINI, La valutazione relativa alla incapacità

processuale dell’imputato per infermità di mente, in Riv. It. Med. Leg.

XXI 1999, p. 381.

43 A. PRESUTTI, voce Autodifesa giudiziaria, in Enc. dir., Milano,

1997, p. 4, cit.

44 G. BELLAVISTA, voce Difesa giudiziaria penale, in Enc. dir., vol.

XII, 1964, p. 5, cit.

45 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

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In concreto, nel nostro ordinamento, l’art. 64 comma 2 c.p.p. prevede l’esclusione dell’uso di tecniche e di metodi idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione dell’interrogato, mentre il comma 3 lett. b) del medesimo articolo, prevede l’obbligo di avvertire l’interrogato della facoltà di non rispondere; apparendo totalmente garantito il diritto al silenzio durante le indagini preliminari.

Per quanto riguarda il dibattimento, se l’imputato decide di partecipare in modo diretto al contraddittorio nella formazione della prova, consentendo di essere sottoposto ad esame, non perde il diritto al silenzio ma accetta il rischio che ogni mancata risposta possa essere vagliata a suo danno46. Inoltre rispetto al lato attivo, positivo dell’autodifesa, notiamo che sono moltissime le sue manifestazioni, ad esempio vi è il diritto del soggetto di conoscere l’accusa mossagli, il diritto di presenziare al processo, una serie di facoltà esercitabili in ogni momento del processo, il diritto dell’indagato ad incidere sugli avvenimenti procedimentali che lo riguardano, il diritto di esprimere la volontà di adottare riti speciali.

Concretamente l’art. 121 c.p.p. accorda la possibilità di presentare in ogni stato e grado del procedimento memorie o richieste scritte oppure l’art. 99 comma 2 c.p.p. che fa sì che l’imputato possa togliere effetto, con espressa dichiarazione contraria, all’atto compiuto dal difensore prima che, in relazione all’atto stesso sia intervenuto un provvedimento del

46 E. AMODIO e O. DOMINIONI, Commentario del nuovo codice di

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giudice, o ancora l’art. 571 comma 4 c.p.p. che disciplina la possibilità per l’imputato di togliere effetto all’impugnazione proposta dal difensore.47

Fondamentale nell’autodifesa, come già detto in precedenza, l’interrogatorio della persona sottoposta ad indagini ex artt. 64- 65 c.p.p.

3.3 Il rapporto con la difesa tecnica

Abbiamo già ribadito che il diritto di difesa si esplica in una natura composita: la difesa tecnica che spetta al difensore e l’autodifesa.

La figura del difensore è disciplinata agli artt. 96 e ss. c.p.p., l’imputato ha diritto di nominare fino a due difensori di fiducia e se non provvede a tale nomina, l’imputato viene assistito da un difensore di ufficio. Diversamente da oggi, nel codice del 1930 era previsto uno spazio di possibile autodifesa esclusiva per reati di lieve entità48.

La regola della necessaria assistenza del difensore al dibattimento viene ribadita agli artt. 369bis comma 2; 484 comma 2 e 486 comma 5 c.p.p.

47 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, pp. 82-83.

48 Art. 125 comma 1 c.p.p. 1930 «Nel giudizio l’imputato deve a pena

di nullità essere assistito dal difensore, salvo che si tratti di contravvenzione punibile con l’ammenda non superiore a lire tremila o con l’arresto non superiore ad un mese anche se comminati congiuntamente».

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La garanzia della difesa da parte del difensore non è in contrasto con i possibili atti di difesa personale posti in essere dall’indagato/ imputato, si tratta infatti di un processo che attribuisce alle parti notevoli poteri d’iniziativa, ma non sembra più possibile l’ammissione di un’autodifesa esclusiva. Sembra quindi necessario un rapporto di coesione fra l’imputato e il difensore, fra autodifesa e difesa tecnica49. In caso di conflitto tra autodifesa e difesa tecnica, la legge disciplinava diversamente i casi di divergenza che non determinavano conflitto di atteggiamenti, da quelli che davano vita a un vero e proprio conflitto.

Nel primo caso la regola era che i due binomi della difesa si integrano reciprocamente e ad esempio la regolarità dell’atto dell’imputato sana l’eventuale irregolarità dell’atto del difensore e viceversa. Nel secondo caso invece o si dava prevalenza alla volontà del difensore, quale più qualificata tecnicamente; o si dava prevalenza a quella della parte, come quella più interessata50.

Ricapitolando, notiamo come il principio dell’autodifesa sia caratterizzato da una doppia valenza: una positiva, attiva, che si esplica nel contraddire, nel presentarsi al processo, nel ricercare e chiedere assunzione delle fonti di prova; e una negativa che si traduce nel diritto al silenzio, nel non

49 C. BETOCCHI, Il binomio imputato - difensore: garanzie concrete di

effettività della difesa e criteri di composizione delle situazioni di conflittualità, in Riv. it. dir. proc. pen. 1983, p. 79, cit.

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intervenire. Autodifesa quale scelta dell’imputato di tenere un comportamento attivo o passivo, un “fare” o di un “non fare”. Qualora l’imputato si trovi in una situazione di incapacità di partecipazione cosciente al processo e quindi anche incapace di autodifendersi, l’unico rimedio idoneo per la tutela di questo diritto è la sospensione del procedimento.

Sospensione che non significa assoluta paralisi, è infatti previsto il compimento di taluni atti rispetto ai quali l’autodifesa risulta essere assicurata da una nuova figura, quella del curatore speciale51.

Ex artt. 70-71 c.p.p. il curatore può richiedere le prove che

possono condurre al proscioglimento dell’imputato e, quando vi è pericolo nel ritardo, ogni prova che possa essere favorevole all’imputato; ha il diritto di richiedere l’incidente probatorio.

La figura del curatore verrà approfondita nel seguente capitolo.

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3.4 Un (recente) limite: la partecipazione a distanza dell’imputato

La partecipazione a distanza dell’imputato al dibattimento, introdotta con l’art. 147bis disp. att. c.p.p., disciplina la videoconferenza in ambito giudiziario, ovvero l’esame a distanza delle persone che collaborano con la giustizia, in riferimento a processi di criminalità organizzata.

È possibile collocare la nascita della partecipazione a distanza con la legge 7 gennaio 1998, n.11 che aveva perfezionato, a sua volta, la già esistente disciplina del 1992.

Si è passati da un sistema legato unicamente all’esame dei collaboratori di giustizia, ad uno strumento di gestione dei processi di criminalità organizzata che ha rappresentato l’inizio di una serie di presa di posizione del legislatore a favore di un regime c.d. di doppio binario52. In particolare si prevedeva una disciplina che consentiva, in determinate situazioni, la partecipazione al dibattimento a distanza mediante un apposito sistema di collegamento audiovisivo, nei confronti di imputati di taluni gravi reati che si trovassero in stato di detenzione carceraria. La ratio dell’istituto sembrava rispondere ad esigenze emergenziali nate dalla tendenza, sempre più sentita, alla dilatazione dei tempi di definizione della fase dibattimentale, specie per i processi

52 M. MENNA e M. MINAFRA, Esame a distanza, in AA. VV. La

riforma della giustizia penale: commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103., 2017, p. 164.

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relativi a delitti di criminalità organizzata, dovuta non soltanto a fenomeni di gigantismo processuale, che spesso accompagnavano la celebrazione di quei dibattimenti, ma anche perché gli imputati detenuti spesso si trovavano a dover partecipare contemporaneamente a più giudizi, in sedi diverse, con il rischio quindi che potessero scadere i termini massimi di durata della custodia cautelare. Infine perché le traduzioni di imputati di imputati di gravi delitti di stampo mafioso, necessarie per consentire a costoro di partecipare fisicamente al processo, comportavano, oltre al gravoso impegno della forze dell’ordine per garantire la sicurezza e l’ordine pubblico, il rischio che risultasse vanificata l’efficacia dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario adottate nei confronti dei detenuti più pericolosi ai sensi dell’art. 41bis comma 2, legge 26 luglio 1975, n. 35453.

Ricapitolando, questa disciplina era prevista per tutti i casi in cui si procedeva per taluni reati espressione delle gravi manifestazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso ( ex art. 51 comma 3bis e 407 comma 2, lett. a, n. 4 c.p.p.) nei confronti di persona che si trovasse, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere, qualora sussistessero gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, quando il dibattimento fosse particolarmente complesso e la partecipazione a distanza fosse d’uopo per evitare ritardi nel

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suo svolgimento o quando si trattasse di imputato detenuto nei cui confronti fosse stata disposta, per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica la sospensione dell’applicazione delle regole di trattamento ex 41bis comma 2 dell’ordinamento penitenziario.

La norma prevedeva l’attivazione di un collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza ed il luogo della custodia in modo tale da permettere la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quello che viene detto; era inoltre prevista la possibilità per il difensore di essere presente nel luogo ove si trovasse l’imputato e la possibilità che questi, presenti nell’aula di udienza, potessero consultarsi rispettivamente con l’imputato, per mezzo di idonei strumenti tecnici54.

Il controllo sul funzionamento delle modalità tecniche era garantito dalla presenza nel luogo in cui si trovava l’imputato, di un ausiliario del giudice, chiamato a controllare eventuali impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti dell’imputato; inoltre, nel caso fosse stato necessario procedere a ricognizione o a confronto dell’imputato o ad altro atto che implicasse l’osservazione della sua persona, il giudice, ove lo ritenesse indispensabile, sentite le parti, disponeva la presenza dell’imputato nell’aula di udienza per il tempo necessario al compimento dell’atto.

54 R. MAGI, La partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali e

camerali, in AA. VV. La riforma della giustizia penale, modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario (L. 103/2017), 2017, p. 193.

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L’art. 77 della legge n. 103 del 2017 ha modificato l’art 146bis c.p.p. là dove prevede che l’imputato detenuto per i delitti di cui agli artt. 51 comma 3bis e 407 comma 2 lett a), n. 4.c.p.p. partecipi a distanza alle udienze dibattimentali dei processi in cui è imputato, anche se non sussistono quelle situazioni che, nella disciplina originaria del comma 1, rappresentavano altrettanti presupposti legittimanti la compressione del diritto alla partecipazione fisica e diretta dell’imputato all’udienza55. Quindi, prevedendosi la partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali la persona è imputata, anche relativi a reati per i quali sia in libertà e alle udienze penali e civili nelle quali deve essere esaminata come testimone; si slega la partecipazione a distanza da ogni presupposto legato a ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, assicurando il soddisfacimento di istanze procedurali quali quella di celerità dei processi e di organizzazione degli uffici. Vi è un automatismo fra stato di detenzione cautelare per i riferiti delitti e la preclusione, per l’imputato, di partecipare fisicamente e direttamente al proprio processo, a prescindere da esigenze di sicurezza collettiva o di ordinato svolgimento del processo.

55 M. MENNA e M. MINAFRA, La partecipazione a distanza alle

udienze dibattimentali e camerali, in AA. VV. La riforma della giustizia penale, commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103, 2017, p. 167.

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Tuttavia qualora il giudice lo ritenga necessario, con decreto motivato, anche a richiesta di parte, può prevedere la presenza in aula di questi soggetti, purché non siano state applicate nei loro confronti misure di cui all’art. 41bis legge n. 354 del 1975. Il giudice ex comma 1quater, può poi disporre, con decreto motivato, la partecipazione a distanza anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario.

Il comma 4bis contempla che in tutti i processi nei quali si procede con il collegamento audiovisivo ai sensi dei commi precedenti, il giudice, su istanza, possa consentire alle altre parti e ai loro difensori di intervenire a distanza assumendosi l’onere dei costi di collegamento. Sono rimaste invece invariate le disposizioni normative contenute nei commi 3,4,5,6,7 dell’art. 146bis.

Come è noto, la partecipazione a distanza al dibattimento dell’imputato è stata molto criticata in quanto è stato ritenuto che la mancata presenza fisica dell’imputato nell’aula in cui si celebra il dibattimento integrerebbe un fattore idoneo a compromettere sempre il diritto di difesa, sia sotto il profilo dell’immediatezza, a causa della difficoltà di recepire con esattezza gli accadimenti, sia per la mancanza di un rapporto tempestivo tra difensore ed assistito; dunque il dubbio che si poneva era quello della validità di tale disciplina, se la

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presenza “virtuale” dell’imputato fosse realmente equiparabile a quella fisica relativamente alle facoltà difensive56. Sia la Corte costituzionale che la Corte Europea57 dei diritti dell’uomo hanno però sempre ritenuto legittima la disciplina della partecipazione a distanza dell’imputato, non ravvisando una lesione del diritto di difesa, poiché era sufficiente garantire l’effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento e che i mezzi tecnici fossero idonei a realizzare la partecipazione.

È necessario però aggiungere che questa disciplina, prima della riforma del 2017, era caratterizzata da una natura derogatoria rispetto alla modalità usuale di partecipazione fisica al dibattimento, con adozione preliminare di un provvedimento motivato teso a consentire, nei casi di reati di consistente gravità o ex art. 41bis ord. pen., la partecipazione a distanza.

Infatti, come già anticipato, il nuovo primo comma dell’art. 146bis fa sì che la partecipazione a distanza diventi regola, e non eccezione, per tutti i processi cui è sottoposta la persona che sia detenuta per uno dei reati sopra richiamati; non è più necessario un provvedimento del giudice che la disponga, la nuova norma prevede un automatismo in presenza di uno

56 R. MAGI, La partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali e

e camerali, in AA. VV. La riforma della giustizia penale, modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario (L. 103/2017),2017, p. 190.

57 Corte cost. 22 luglio 1999 n. 342; Corte cost. 26 novembre 2002 n.

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status detentionis legato alla fattispecie di reato ex art. 51

comma 3bis e 407 comma 2 lett. a) c.p.p.

È inoltre prevista l’estensione della partecipazione obbligatoria a distanza in situazioni differenti da quelle in cui il soggetto ha il ruolo di imputato58. Infine la nuova disciplina è destinata ad operare anche nel rito camerale, nel giudizio abbreviato e nel procedimento di prevenzione.

Non sono mancate infatti le critiche anche per le recenti modifiche della disciplina59, non opportuna infatti è sembrata la “soggettivizzazione” del presupposto di applicabilità della partecipazione, la norma non si riferisce più alla tipologia di reato per giustificare la partecipazione a distanza dell’imputato, ma alla sua sola qualifica di imputato per quei delitti a stampo mafioso o terroristico; si è parlato di “peccato originale” che vorrebbe giustificare l’allontanamento generalizzato da ogni aula di udienza alla quale, a qualsiasi titolo, l’imputato dovrà prendere parte sul territorio italiano60. È stato anche criticato l’automatismo della disciplina, non vi è nessun parametro di discrezionalità, legato ai criteri di gravi ragioni di sicurezza o particolare complessità del dibattimento, come era in passato. L’eccezione è infatti adesso rappresentata dalla discrezionalità del giudice nel

58 S. LORUSSO, Dibattimento a distanza vs. «autodifesa»?, in

penalecontemporaneo.it, 2017, p. 4.

59 D. CURTOTTI, Le recenti riforme in materia penale, 2017, p. 516. 60 D. CURTOTTI, op. cit., p. 571, cit.

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disporre la partecipazione in presenza qualora lo ritenga necessario61.

La riforma è andata ad ampliare i casi di collegamento audiovisivo utilizzando i criteri delle gravi ragioni di sicurezza e della particolare complessità del dibattimento per consentire al giudice di disporre, discrezionalmente, con decreto motivato il collegamento. Fino a quando la disciplina era circoscritta all’interno di una logica emergenziale, ogni forma di contrazione dei diritti di difesa trovava legittimazione all’interno dello schema del bilanciamento di interessi, adesso però tali profili emergenziali sembrano sopiti; il diritto ad una durata ragionevole del processo non può entrare in bilanciamento di interessi con il diritto di difesa, mancherebbe secondo questa dottrina una valida ratio che giustifichi il sacrificio patito dalla mancata presenza fisica dell’imputato al dibattimento62. Secondo altra parte della dottrina63 il nuovo art. 146bis dovrebbe essere dichiarato illegittimo nella parte in cui consente la partecipazione a distanza per motivi puramente efficientistici, indipendentemente da reali esigenze di protezione della sicurezza.

61 R. MAGI, La partecipazione a distanza alle udienze dibattimentali e

camerali, in AA. VV. La riforma della giustizia penale, modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario (L. 103/2017),2017, p. 194.

62 D. CURTOTTI, Le modifiche alla disciplina della partecipazione al

dibattimento a distanza, in AA. VV. Le recenti riforme in materia penale, 2017, p. 520-521.

63 M. DANIELE, La partecipazione a distanza allargata, in

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CAPITOLO II Codice del 1988: fondamenti e nuovi presupposti

1. Progetto preliminare al codice di procedura penale, relazione del 1978

Dall’analisi del Progetto preliminare del codice di procedura penale realizzato da una Commissione istituita dal Ministero di Giustizia e presieduta dal Professor. Pisapia, si notano alcune analogie e alcune differenze rispetto all’effettivo testo del codice del 1988.

La relazione al progetto preliminare aveva destinato gli artt. 74-75-76-77 c.p.p. alla disciplina delle anomalie mentali che annullano la capacità processuale dell’indagato/ imputato. La Commissione di questo progetto ha ritenuto fondamentale ribadire come la disciplina del codice Rocco andasse cambiata nella sostanza, evitando quindi interventi di sola semplificazione e sottolineando invece la necessità di una disciplina strettamente processuale, non dimenticando due capisaldi: la correttezza del processo, evitando simulazioni e la tutela dell’individuo incapace64.

Nel progetto, inoltre, si prevedeva un dovere e non una facoltà del giudice di disporre perizia sullo stato di mente dell’imputato, riferendosi a una “infermità sopravvenuta al fatto di reato”. La Commissione aveva giudicato che la non

64 S. LORUSSO, Dibattimento a distanza vs. «autodifesa»?, in

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distinzione fra infermità sopravvenuta e originaria finisse per suscitare una alterazione della disciplina sostanzialistica dell’infermità mentale; inizialmente però aveva ritenuto di non dover far fede al momento in cui veniva a manifestarsi la incapacità; non reputava infatti giusto ammettere la pronuncia di una sentenza di proscioglimento, quale quella di non imputabilità, che sottintendesse il riconoscimento della sussistenza del reato in una situazione di mancata autodifesa. Durante gli accertamenti peritali, differentemente dal codice del 193065, rimanevano esclusi dalla paralisi processuale i soli “atti urgenti”, operando un allargamento agli atti che potessero servire a far prosciogliere l’imputato.

La relazione al progetto considerava inoltre ex art. 75 c.p.p. la sospensione del processo in caso di accertata incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo e se non fosse dovuta essere pronunciata sentenza di proscioglimento; il rimedio della sospensione era reputato un provvedimento “estremo” da utilizzarsi solo in situazioni che minassero l’autodifesa dell’imputato66.

All’art. 75 comma 2 c.p.p. veniva disciplinata l’obbligatorietà della nomina del curatore speciale all’imputato impossibilitato a partecipare coscientemente al processo, senza distinguere i casi in cui il curatore fosse effettivamente il rappresentante legale.

65 Ex art. 88 c.p.p. 1930 erano consentiti tutti gli atti necessari per

l’accertamento del reato durante la paralisi processuale.

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È bene sottolineare come la Commissione non parlasse mai di “indagato” ma sempre di “imputato”. Infatti per quanto riguarda i dubbi sullo stato di mente, si è preferito non innestare un formale “incidente” durante le indagini preliminari, data la brevità di queste; differentemente dall’art. 88 c.p.p. 1930 infatti, il pubblico ministero non avrebbe dovuto richiedere l’intervento del giudice istruttore per il problema dell’infermità mentale, ma eventualmente proporre lui stesso il dubbio, una volta formulata l’imputazione.

Per consentire una rapida ripresa del processo, erano previsti controlli periodici sullo stato di mente dell’imputato ogni tre mesi, revocando la sospensione non appena fosse stata riacquistata la capacità.

Infine l’art. 77 c.p.p. avrebbe dovuto prevedere la disposizione di misure di sicurezza; il giudice aveva l’obbligo di informare, tempestivamente, l’autorità competente ad adottare tali misure nei confronti dell’infermo di mente, secondo le leggi dell’assistenza psichiatrica, ma il giudice aveva comunque la possibilità di adottare provvedimenti di urgenza.

L’inizio dell’attività della Corte costituzionale infatti aveva imposto al legislatore di adeguare il codice di procedura penale ai principi costituzionali; si arrivò così alla stesura dell’attuale codice di procedura penale del 1988.

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2. Codice 1988: verso la disciplina attuale

Il legislatore del 1988 ha ideato, con gli artt. 70-73 c.p.p., una disciplina dettagliata per l’ipotesi dell’imputato che, per infermità di mente sopravvenuta al fatto, non sia in grado di partecipare coscientemente al processo.

La sospensione del procedimento a garanzia dell’autodifesa non risulta essere una novità, dato che l’interruzione delle attività processuali era prevista anche nei codici precedenti nonostante le diverse matrici culturali che li caratterizzavano; sembra d’altro canto nuova la preoccupazione di bilanciare maggiormente l’esigenza di tutela dell’autodifesa con quella di giungere a una pronuncia di proscioglimento.

A tale scopo risponde infatti la previsione che offre la possibilità di compiere, sia prima dell’ordinanza di sospensione sia successivamente, tutti quegli atti probatori che possono portare al proscioglimento dell’imputato.

Sicuramente fondamentale è stato il ruolo della Costituzione repubblicana che ha consacrato l’impostazione personalistica del codice67 e l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento68.

Si fa riferimento a una attività difensiva nuova, un diritto di partecipare al processo nella forma della proposizione argomentativa, volta alla persuasione del giudice e alla formazione di prove; essendo dunque necessario un imputato

67 Progetto preliminare codice di procedura penale, 1978, p. 93. 68 Cfr. art. 24 comma 2 Cost.

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capace di raccogliere informazioni per individuare le proprie prove.

L’infermità di mente si basa su parametri differenti rispetto a quelli disciplinati dal codice del 1930, il quale si riferiva a uno stato di infermità psichica che escludesse la capacità di intendere e di volere; la sfera di applicazione dell’art. 88 c.p.p. finiva quindi per essere molto circoscritta essendo preclusa in relazione a quelle anomalie del carattere che avrebbero potuto incidere sull’effettivo esercizio dell’autodifesa69; il codice attuale ha invece voluto fornire al concetto di infermità una sfumatura tipicamente processuale, un processo dove viene valorizzato il ruolo dell’imputato; abbandonando appunto quei riferimenti sostanziali della “capacità di intendere e di volere” cui faceva riferimento il codice Rocco.

Si parla di infermità quando questa sia tale da impedire all’imputato una “partecipazione cosciente al processo”, evidenziandosi l’esigenza di garantire la partecipazione attiva dell’imputato, la quale può essere realizzata solo tramite una responsabile e cosciente valutazione delle conseguenze di ogni comportamento processuale70.

La formula “partecipazione cosciente al processo, come già detto nel precedente capitolo, era stata oggetto di perplessità

69 L. BRESCIANI, voce Infermità di mente (profili processuali), in Dig.

d. pen., vol. VI, 1992, cit., p. 435. V. anche CAVALLARI, La capacità dell’imputato, p. 209.

70 P. MOSCARINI, Capacità processuale dell’imputato e accertamento

scientifico, in AA. VV. Prova scientifica e processo penale, 2017, p.

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nel corso dei lavori preparatori poiché si temeva un eccessivo ambito di discrezionalità71.

Ai fini della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, ai sensi dell’art. 70 c.p.p., è necessario preliminarmente che non vi siano elementi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex artt. 529-530-531 c.p.p. o di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. e che vi sia ragione di ritenere che, come già precedentemente ribadito, l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, eventualmente anche con l’ausilio di una perizia medica che accerti tale stato72.

Sono presupposti dai confini un po’ incerti che hanno portato la Corte costituzionale a pronunciarsi spesso su questioni di legittimità riguardanti la natura stessa del presupposto e il momento in cui l’infermità dovesse manifestarsi per acquisire rilevanza ai fini della sospensione del procedimento.

Bisogna infatti chiarire che i confini dell’infermità non necessariamente devono coincidere con quelli di una patologia psichica, è sbagliato ritenere che chi è affetto da disturbo mentale, sia automaticamente incapace di comprendere ad esempio il significato delle domande a lui poste durante l’interrogatorio o di controbattere e giustificarsi.

71 V. GREVI e G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura

penale - dalle leggi delega ai decreti delegati, 1990, pp. 339-339.

72 Diversamente da quanto prevedeva il Progetto preliminare che

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Una concezione quindi della malattia non più solo nosografica e sempre alienante, che faccia credere che un soggetto possa essere colto da infermità mentale senza che ciò implichi necessariamente la sua totale alienazione dalla realtà, arrivando ad usare allora il parametro di valutazione della “idoneità processuale” dell’imputato, simile a quello utilizzato già in precedenza nei paesi di Common Law “unfit to plead – incapacità a stare in giudizio”73.

L’identificazione delle fattispecie rientranti nella previsione

ex art. 70 c.p.p. non potrà essere compiuta a priori secondo

canoni psichiatrico- nosografici o secondo criteri equiparabili al vizio parziale o totale di mente, ma dovrà essere una identificazione esclusivamente clinica.

Per una parte di dottrina sembrerebbe non avere neanche più senso operare una distinzione tra infermità fisica e psichica, nel momento in cui un imputato, a causa di infermità, sia in uno stato tale da escludere una partecipazione cosciente al processo; si dovrebbe disporre la sospensione del procedimento indipendentemente dalla causa che ha dato luogo a tale infermità74.

73 G. PONTI - E. CALVANESE, voce Infermità sopravvenuta, in Dig.

d. pen., vol. VI, Milano, 1992, pp. 455- 456.

74 G. PONTI, La disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta nel

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