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CAPITOLO II Codice del 1988: fondamenti e nuovi presuppost

2. Codice 1988: verso la disciplina attuale

Il legislatore del 1988 ha ideato, con gli artt. 70-73 c.p.p., una disciplina dettagliata per l’ipotesi dell’imputato che, per infermità di mente sopravvenuta al fatto, non sia in grado di partecipare coscientemente al processo.

La sospensione del procedimento a garanzia dell’autodifesa non risulta essere una novità, dato che l’interruzione delle attività processuali era prevista anche nei codici precedenti nonostante le diverse matrici culturali che li caratterizzavano; sembra d’altro canto nuova la preoccupazione di bilanciare maggiormente l’esigenza di tutela dell’autodifesa con quella di giungere a una pronuncia di proscioglimento.

A tale scopo risponde infatti la previsione che offre la possibilità di compiere, sia prima dell’ordinanza di sospensione sia successivamente, tutti quegli atti probatori che possono portare al proscioglimento dell’imputato.

Sicuramente fondamentale è stato il ruolo della Costituzione repubblicana che ha consacrato l’impostazione personalistica del codice67 e l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento68.

Si fa riferimento a una attività difensiva nuova, un diritto di partecipare al processo nella forma della proposizione argomentativa, volta alla persuasione del giudice e alla formazione di prove; essendo dunque necessario un imputato

67 Progetto preliminare codice di procedura penale, 1978, p. 93. 68 Cfr. art. 24 comma 2 Cost.

capace di raccogliere informazioni per individuare le proprie prove.

L’infermità di mente si basa su parametri differenti rispetto a quelli disciplinati dal codice del 1930, il quale si riferiva a uno stato di infermità psichica che escludesse la capacità di intendere e di volere; la sfera di applicazione dell’art. 88 c.p.p. finiva quindi per essere molto circoscritta essendo preclusa in relazione a quelle anomalie del carattere che avrebbero potuto incidere sull’effettivo esercizio dell’autodifesa69; il codice attuale ha invece voluto fornire al concetto di infermità una sfumatura tipicamente processuale, un processo dove viene valorizzato il ruolo dell’imputato; abbandonando appunto quei riferimenti sostanziali della “capacità di intendere e di volere” cui faceva riferimento il codice Rocco.

Si parla di infermità quando questa sia tale da impedire all’imputato una “partecipazione cosciente al processo”, evidenziandosi l’esigenza di garantire la partecipazione attiva dell’imputato, la quale può essere realizzata solo tramite una responsabile e cosciente valutazione delle conseguenze di ogni comportamento processuale70.

La formula “partecipazione cosciente al processo, come già detto nel precedente capitolo, era stata oggetto di perplessità

69 L. BRESCIANI, voce Infermità di mente (profili processuali), in Dig.

d. pen., vol. VI, 1992, cit., p. 435. V. anche CAVALLARI, La capacità dell’imputato, p. 209.

70 P. MOSCARINI, Capacità processuale dell’imputato e accertamento

scientifico, in AA. VV. Prova scientifica e processo penale, 2017, p.

nel corso dei lavori preparatori poiché si temeva un eccessivo ambito di discrezionalità71.

Ai fini della sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato, ai sensi dell’art. 70 c.p.p., è necessario preliminarmente che non vi siano elementi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ex artt. 529-530-531 c.p.p. o di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. e che vi sia ragione di ritenere che, come già precedentemente ribadito, l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, eventualmente anche con l’ausilio di una perizia medica che accerti tale stato72.

Sono presupposti dai confini un po’ incerti che hanno portato la Corte costituzionale a pronunciarsi spesso su questioni di legittimità riguardanti la natura stessa del presupposto e il momento in cui l’infermità dovesse manifestarsi per acquisire rilevanza ai fini della sospensione del procedimento.

Bisogna infatti chiarire che i confini dell’infermità non necessariamente devono coincidere con quelli di una patologia psichica, è sbagliato ritenere che chi è affetto da disturbo mentale, sia automaticamente incapace di comprendere ad esempio il significato delle domande a lui poste durante l’interrogatorio o di controbattere e giustificarsi.

71 V. GREVI e G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura

penale - dalle leggi delega ai decreti delegati, 1990, pp. 339-339.

72 Diversamente da quanto prevedeva il Progetto preliminare che

Una concezione quindi della malattia non più solo nosografica e sempre alienante, che faccia credere che un soggetto possa essere colto da infermità mentale senza che ciò implichi necessariamente la sua totale alienazione dalla realtà, arrivando ad usare allora il parametro di valutazione della “idoneità processuale” dell’imputato, simile a quello utilizzato già in precedenza nei paesi di Common Law “unfit to plead – incapacità a stare in giudizio”73.

L’identificazione delle fattispecie rientranti nella previsione

ex art. 70 c.p.p. non potrà essere compiuta a priori secondo

canoni psichiatrico- nosografici o secondo criteri equiparabili al vizio parziale o totale di mente, ma dovrà essere una identificazione esclusivamente clinica.

Per una parte di dottrina sembrerebbe non avere neanche più senso operare una distinzione tra infermità fisica e psichica, nel momento in cui un imputato, a causa di infermità, sia in uno stato tale da escludere una partecipazione cosciente al processo; si dovrebbe disporre la sospensione del procedimento indipendentemente dalla causa che ha dato luogo a tale infermità74.

73 G. PONTI - E. CALVANESE, voce Infermità sopravvenuta, in Dig.

d. pen., vol. VI, Milano, 1992, pp. 455- 456.

74 G. PONTI, La disciplina dell’infermità di mente sopravvenuta nel

2.1 Alcuni interventi della Corte costituzionale sui presupposti dell’infermità.

Numerosi sono stati gli interventi della Corte costituzionale, soprattutto sull’origine dell’infermità mentale, se questa dovesse essere necessariamente psichica o potesse essere anche fisica.

Nel 199675 viene promossa una questione di legittimità

costituzionale dal Pretore di Milano con riferimento agli artt. 70, 71, 486 e 477 c.p.p., per violazione degli artt. 3 e 112 Cost., nella parte in cui “non prevedono la sospensione del dibattimento in caso di imputato permanentemente impossibilitato in modo assoluto a comparire per legittimo impedimento dovuto a malattia irreversibile”.

Il giudice a quo ha rilevato come nel caso di specie non fosse consentito sospendere il giudizio e neanche procedere ad attività dibattimentale; determinandosi dunque una situazione di stallo processuale anomala e irragionevole dato che veniva sacrificato il principio di obbligatorietà dell’azione penale e il principio di uguaglianza, tenuto conto della soluzione adottata per l’imputato che per infermità mentale non fosse in grado di partecipare coscientemente al processo, per il quale è invece consentito assumere prove ai sensi art. 70 comma 2 c.p.p.76 La Corte, nonostante la pertinenza degli argomenti presentati dal giudice a quo, ha rigettato la questione di legittimità

75 Corte cost., n. 354 del 1996. 76 Corte cost., n. 354 del 1996 cit.

reputando che le due situazioni fossero fra loro del tutto eterogenee, non essendo possibile sovrapporre l’ipotesi dell’imputato che per malattia irreversibile fosse legittimamente impedito a comparire sine die all’udienza, a quella dell’imputato che, per infermità mentale, non fosse in grado di partecipare coscientemente al processo.

Si trattava di situazioni non comparabili poiché, secondo la Corte, una cosa è l’incapacità di partecipare coscientemente al processo che inevitabilmente compromette l’idoneità ad esercitare l’autodifesa; altra cosa è l’impedimento a comparire, posto che un’evenienza di tale genere, può rappresentare, ma non necessariamente rappresenta, un ostacolo all’esercizio del diritto di difesa, e che l’imputato è posto nelle condizioni di rimuovere esercitando la facoltà di rinuncia a presenziare al dibattimento.

Sottolinea inoltre la Corte che l’accoglimento degli argomenti promossi dal giudice a quo avrebbe comportato la creazione

ex novo di un regime eccezionale, invadendo la sfera di

discrezionalità legislativa, non potendosi allora legittimare né l’assunzione di prove ex art. 70 c.p.p., né la possibilità di adottare sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere.

Successivamente, nel 2004, la Corte viene nuovamente chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale degli artt. 70, 71 e 72 c.p.p. nella parte in cui limitano gli accertamenti sulla persona dell’imputato e i successivi provvedimenti in ordine alla sospensione del procedimento

alle sole ipotesi in cui, per infermità di mente, l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo; non prevedendo invece la sospensione del processo in tutti quei casi in cui, per infermità fisica di qualsiasi natura, oltre che psichica, l’imputato non è in grado di esprimersi in modo compiuto e sia quindi impossibilitato a partecipare attivamente al processo, esercitando validamente la propria autodifesa77.

Nel caso specifico, data la diagnosi di ictus celebrare, l’imputato, benché in grado di partecipare coscientemente al processo, sarebbe stato impossibilitato ad esprimersi correttamente sul piano verbale e quindi non in grado di difendersi né sotto il profilo della possibilità di narrare compiutamente al difensore la propria versione dei fatti per concordare una adeguata linea difensiva, né sotto il profilo dell’autodifesa.

La Corte, anche questa volta, ha rigettato la questione di legittimità sostenendo l’inesistenza della lacuna di tutela del diritto di difesa lamentata dal giudice a quo, ma ha sottolineato che se pur l’art. 70 c.p.p. letteralmente faccia riferimento a casi di infermità mentale, il sistema normativo è volto a considerare la sospensione ogni volta che lo stato mentale dell’imputato ne impedisca la cosciente partecipazione al processo; partecipazione che non può intendersi limitata alla consapevolezza dell’imputato circa ciò

che accade intorno a lui, ma comprende anche la sua possibilità di essere parte attiva nella vicenda e di esprimersi esercitando il suo diritto di autodifesa.

Il processo allora non può avere luogo quando qualunque stato di infermità renda non sufficienti o non utilizzabili le facoltà mentali dell’imputato, intese come coscienza, pensiero, percezione ed espressione.

Quindi, attraverso un’interpretazione estensiva, l’art. 70 c.p.p. si applicherebbe ad infermità di qualsiasi natura che non permettano all’imputato di esercitare il proprio diritto di autodifesa; un passo avanti verso una concezione del processo come effettiva e completa partecipazione dei protagonisti dello scontro giudiziario78.

Su tale questione si è però osservata una inversione di tendenza con un’ordinanza del 201379; nella quale il rimettente proponeva una espansione degli effetti sospensivi ex artt. 70- 71 c.p.p., auspicando la loro applicazione anche all’impedimento a comparire per malattia fisica nei casi di durata prevedibilmente lunga della patologia.

La Corte ha invece giudicato che l’estensione della disciplina della incapacità processuale al caso dell’impedimento per patologia fisica dell’imputato non sarebbe stata ragionevole, sottolineando che, mentre l’infermo di mente non è capace in

78 G. PANSINI, La Consulta allarga le ipotesi di sospensione del

processo, in Diritto e giustizia, 2004, p.10.

alcun modo di comprendere gli avvenimenti processuali e di decidere la propria condotta, l’infermità fisica quasi mai incide sull’autodeterminazione dell’imputato80. Escludendo allora che fosse costituzionalmente dovuta una omologazione delle relative normative dato che la disciplina dell’impedimento è fondata sulla sospensione del processo e dei termini prescrizionali per un periodo di durata circoscritta e assicura un bilanciamento non manifestamente irragionevole tra le esigenze di celerità del procedimento e la imprescindibile garanzia del diritto di difesa.

2.3 Sentenza Corte costituzionale n. 340 del 1992: l’irrilevanza del requisito della “sopravvenienza”

Con l’entrata in vigore del codice del 1988 si nota come il testo dell’art. 70 c.p.p. riguardasse l’infermità “sopravvenuta al fatto”, comprendendo l’infermità insorta nel corso del procedimento e quella successiva alla commissione del reato anche se anteriore all’instaurazione del procedimento; dovendosi invece escludere l’infermità esistente al momento della commissione del reato.

È stata quindi accolta la soluzione adottata dal codice del 1930 nonostante, già nella Relazione al progetto preliminare al codice, fosse stato notato come ciò potesse sembrare non

80 G. LEO, La Consulta sulla disciplina dell’impedimento a comparire,

di durata non determinabile, che discenda da patologie fisiche dell’imputato, in Penalecontemporaneo.it, 2013, p.2.

giusto in una situazione di impedita autodifesa, ma che d’altro canto l’eliminazione ai fini processuali della distinzione tra infermità sopravventa e infermità preesistente e perdurante avrebbe comportato una sensibile alterazione della disciplina sostanziale dell’infermità mentale81.

Ad ogni modo, la relazione tra il presupposto della sopravvenienza e del criterio processuale della “cosciente partecipazione al processo” ha provocato l’insorgere di un dubbio di legittimità costituzionale relativamente al trattamento del soggetto semimputabile, incapace di partecipare coscientemente al processo82.

È stata dunque posta dal pretore di Torino la questione di legittimità costituzionale degli artt. 70 e 71 c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e 24 secondo comma Costituzione, nella parte in cui limitando alla sola ipotesi di infermità sopravvenuta la previsione della sospensione del procedimento penale per infermità mentale dell’imputato, tale da impedirne la partecipazione cosciente allo stesso, escludevano la possibilità di sospensione nell’ipotesi di infermità, già sussistente nel momento in cui fu commesso il reato, e successivamente protrattasi, quando la stessa non comportava anche l’esclusione della capacità di intendere e di volere dell’imputato83.

81 Così si esprime la Relazione al progetto preliminare al codice di

procedura penale, in Suppl. ord. n. 2 alla Gazzetta Ufficiale n. 250 del

24 ottobre 1988, cit. p.30.

82 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente p. 278.

Veniva ravvisato da un lato, il contrasto con il principio di eguaglianza per irragionevole disparità di trattamento fra chi fosse affetto da infermità sopravvenuta che lo rendesse incapace di partecipare coscientemente al processo e chi, in tale situazione, si trovasse al momento del processo a causa di infermità di mente già presente al momento del fatto, ma tale da non escluderne la capacità di intendere e di volere. Infatti in ambedue i casi il processo si svolgeva nei confronti di un soggetto processualmente incapace, ma, nel primo caso era prevista la sospensione, nel secondo il processo doveva necessariamente proseguire potendo concludersi con una sentenza di condanna. D’altro canto, si notava la violazione del diritto di difesa poiché si prescriveva la celebrazione di un processo verso un soggetto processualmente incapace che potrebbe anche subire una decisione di condanna.

Punto di partenza di tale ragionamento era la valutazione che il criterio della capacità di partecipazione cosciente non coincideva con quello di capacità di intendere e di volere, infatti il parametro da utilizzare per stimare la capacità processuale sarebbe stato quello della abilità autodifensiva. Poteva quindi accadere che un soggetto imputabile, come il seminfermo di mente, risultasse non idoneo a partecipare coscientemente al processo.

Il processo veniva sospeso ex artt. 70 – 71 c.p.p. solo quando l’infermità è sopravvenuta, proseguiva quando l’infermità è risalente e perdurante; ciò allora avrebbe comportato la violazione degli artt. 3 e 24 comma 2 Cost., la prosecuzione

del processo avrebbe pregiudicato la possibilità del corretto esercizio dell’autodifesa da parte dell’imputato, non essendo sufficiente la difesa tecnica e sarebbe risultato altresì violato il principio di uguaglianza, dato che situazioni identiche ricevevano un trattamento differenziato a seconda che l’infermità sopravvenga o preesista84.

Di contro, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, è intervenuto chiedendo che la questione fosse dichiarata non fondata in quanto, nonostante la lettera della legge sembrasse destinare la sospensione del processo all’ipotesi di infermità sopravvenuta al fatto, la ratio garantista che connotava la disciplina e il riferimento alla sentenza 23 del 1979 Corte costituzionale85 avrebbero reso evidente come in tutti i casi in cui l’impossibilità di partecipare coscientemente al processo non derivasse da un vizio totale di mente, ma da una infermità soltanto parziale, non avrebbe avuto più senso distinguere tra incapacità originaria e incapacità sopravvenuta, dovendosi in ogni caso prevedere una perizia e, nel caso, la sospensione del processo.

È da notarsi però che, nella sentenza 23 del 1979, non era stata segnalata una lesione del diritto di autodifesa, perché il procedimento nei confronti di un imputato incapace di

84 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

mente, pp. 278-280.

intendere o di volere non avrebbe mai potuto concludersi con una sentenza di condanna86.

La Corte arrivò a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 70 comma 1 c.p.p. limitatamente alle parole “sopravvenuta al fatto” in relazione all’art. 24 comma 2 Cost., restando assorbita l’ulteriore verifica concernente la conformità della disposizione all’art. 3 Cost., mentre ritenne non ammissibile la questione di legittimità dell’art. 71 c.p.p. È possibile dunque affermare con sicurezza che dopo la sentenza costituzionale del 1992, l’infermità che rileva ai fini della sospensione del procedimento è quella che impedisce una cosciente partecipazione, indipendentemente dal momento in cui questa si manifesta; ad eccezione dell’infermità originaria che comporti la non imputabilità e perduri. Tale infermità infatti, pur impedendo una partecipazione cosciente al processo, implica la pronuncia di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere87. Una delle conseguenze più immediate della pronuncia della Corte fu proprio nell’estensione dei destinatari della disciplina di cui agli artt. 70-73 c.p.p.; alla “vecchia” categoria degli imputati, cui sia sopravvenuta l’infermità mentale, vanno aggregati quei soggetti (semi-imputabili inidonei a una partecipazione cosciente) la cui infermità, idonea ad integrare il presupposto naturalistico, sia risalente.

86 M. G. AIMONETTO, Sospensione del processo penale per infermità

di mente, in Giur. cost., 1992, p. 2746.

87 Art. 70 c.p.p. «Quando non deve essere pronunciata sentenza di

Restano esclusi i non imputabili, gli imputati affetti da infermità sopravvenuta che non ne impedisca la partecipazione cosciente e quelli, la cui infermità risalente e perdurante non implichi inidoneità a percepire gli avvenimenti processuali.

Dunque il nuovo criterio sul quale si basa la capacità di agire, conferisce rilievo esclusivo alla attualità dell’infermità in relazione al processo e vede rafforzata la sua autonomia di concetto squisitamente processuale88.

Per quanto riguarda i provvedimenti cautelari adottabili nei confronti dell’infermo di mente, la sentenza costituzionale ha esteso il raggio di applicazione delle misure di sicurezza ai destinatari della disciplina della sospensione.

Infine, come già detto precedentemente, sembra essere accentuato il carattere processuale del nuovo presupposto naturalistico su cui si fonda la sospensione, questa si avrà ad ogni alterazione mentale che pregiudichi l’autodifesa, sottolineandosi dunque l’irrinunciabilità di quest’ultima.

88 M. G. AIMONETTO, L’incapacità dell’imputato per infermità di

3. La questione degli “eterni giudicabili”: un problema