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Complicanze Linfatiche in Chirurgia Digestiva: dal caso clinico alle indicazioni diagnostiche e terapeutiche

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in

Chirurgia dell’Apparato Digerente

Confederata: Pisa Capofila, Firenze, Genova e Siena

Direttore: Prof. P. De Simone

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Complicanze Linfatiche

in Chirurgia Digestiva:

dal caso clinico

alle indicazioni diagnostiche e terapeutiche

Relatori:

Prof. Corradino Campisi, Coordinatore della Sede di Genova Prof. Franco De Cian

Prof. Francesco Boccardo Candidata:

Dott.ssa Sara Dessalvi

(2)

“La persona più importante in sala operatoria è il paziente"

Russell John Howard

(3)

Sommario

KEYPOINTS ... 4

INTRODUZIONE ... 5

ESPERIENZA CLINICA DI SCUOLA ... 11

Casistica ... 11 Risultati ... 13 Conclusioni ... 13 CASO CLINICO... 14 Presentazione Clinica ... 15 Trattamento... 15 Risultati ... 18 IL GEL PIASTRINICO ... 19 Metodi di preparazione ... 21 DISCUSSIONE ... 24

LA LINFOGRAFIA CON COMPLEMENTO TC... 24

1) Tecnica di preparazione microchirurgica dei collettori linfatici bipodali ... 25

2) Tecnica intranodale ... 27

TRATTAMENTO ... 29

Terapia conservativa ... 29

Terapia chirurgica. ... 29

Terapia dell’ascite refrattaria ... 31

CONCLUSIONI ... 35

BIBLIOGRAFIA ... 38

(4)

COMPLICANZE LINFATICHE IN CHIRURGIA DIGESTIVA: DAL CASO CLINICO ALLE INDICAZIONI DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE

KEYPOINTS

Il leakage chiloso è un problema clinico rilevante che si può verificare dopo chirurgia maggiore, addominale o toracica

 La letteratura riporta un’incidenza dell’ascite chilosa secondaria di circa 7%

 Uno studio diagnostico accurato è fondamentale per stabilire la corretta strategia terapeutica

 Gli approcci interventistici e chirurgici sono riservati ai casi non responsivi alla terapia conservativa

(5)

INTRODUZIONE

Normalmente il chilo ha origine dai vasi chiliferi dell'ileo e del digiuno e scorre attraverso vasi chiliferi di calibro progressivamente sempre maggiore sino alla cisterna

chyli, da cui origina il dotto toracico, che termina nella circolazione venosa a livello

dello sbocco succlavio-giugulare di sinistra (Fig. 1).

Fig. 1: Anatomia del dotto toracico

Il dotto toracico ha un ruolo fondamentale all’interno del sistema di raccolta di linfa1

. Esso trasporta tra 2 e 4 litri di linfa sistemica e chilo ogni giorno. E' il maggior tronco linfatico dell'organismo e rappresenta la principale via di scarico della linfa nel sistema venoso. Origina nell'addome, a livello della seconda vertebra lombare, ma talvolta più in alto, a seconda delle modalità di confluenza delle sue radici (i tronchi linfatici lombari

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destro e sinistro ed il tronco linfatico intestinale). Può avere una lunghezza variabile, da 38 a 45 cm. Anche il suo calibro (che oscilla da 4 a 8 mm) non è uniforme, potendo essere in alcuni tratti dilatato, in altri ristretto. Può presentarsi duplice o anche diviso in tronchi per porzioni più o meno estese del suo decorso e alla sua terminazione, che è alla base del collo, in corrispondenza della vena giugulare interna con la vena succlavia di sinistra. E' provvisto di valvole. Al suo inizio, presenta una dilatazione ampollare detta cisterna del chilo, che manca quando il dotto ha origine alta, a livello delle ultime vertebre toraciche. L'ampolla risultante da questa unione prende il nome il cisterna chyli (nota anche come la cisterna di Pecquet, dal nome del suo scopritore)2.

Nell'addome è posto anteriormente alle prime vertebre lombari e alle ultime vertebre toraciche, posteriormente all'aorta e medialmente al pilastro mediale destro del diaframma.

Passa nel torace attraverso l'orifizio aortico del muscolo diaframma. Nel mediastino posteriore, decorre dapprima al davanti dei corpi vertebrali tra l'aorta (a sinistra) e il tronco della vena azigos (a destra) e posteriormente all'esofago. Quindi si fa gradatamente obliquo verso l'alto e a sinistra, e contrae rapporto anteriormente con l'ilo del polmone sinistro, con la parete posteriore dell'aorta, con l'origine dell'arteria succlavia sinistra; lateralmente con la pleura mediastinica, medialmente con l'esofago. Alla base del collo, si flette in avanti e verso sinistra, passando ad arco sopra la cupola pleurica sinistra, e superiormente all'arteria succlavia fino a raggiungere a sinistra l'angolo di confluenza della vena giugulare interna con la vena succlavia, dove termina.

2 Pecquet, J: Experimenta Nova Anatomica Quibus Incognitum hactenus chyli receptaculum et ab eo per thoracem in ramos usque subclavios vasa láctea detegunter. Apud Sebastianum Cramoisy & Gabrielem Cramoisy, Paris, 1651.

(7)

Riceve nel suo decorso rami affluenti dai linfonodi paraaortici, intercostali, mediastinici posteriori e, di frequente, presso la sua terminazione, il tronco giugulare sinistro.

Il dotto linfatico destro non è costante. Può formarsi a destra, per confluenza, nella regione sopraclavicolare, dei tronchi linfatici giugulare e succlavio e anche, talvolta, del tronco bronco-mediastinico. E' breve (10-12mm) e sbocca a destra alla confluenza della vena giugulare interna con la vena succlavia.

Il flusso di linfa bianca piena di chilo si unisce alla linfa sistemica interstiziale all’interno della cisterna chyli, da dove il flusso diventa di colore opalescente.

Come dimostrato in importanti studi clinici eseguiti su cadaveri da M. Amore et al3., il dotto toracico presenta una normale conformazione anatomica in circa il 60% dei casi. Le variazioni anatomiche sono attribuibili ad un errore durante lo sviluppo embrionale. Il dotto toracico origina come una struttura composta da due tronchi principali (sinistro e destro), uniti da numerose anastomosi. Nonostante questa origine, il dotto toracico definitivo generalmente comprende solo la parte inferiore del tronco di destra, insieme ad una anastomosi trasversale, e la parte superiore del tronco di sinistra. La persistenza di entrambi i tronchi è noto come “duplicazione completa” e si manifesta solo nel 1,4% dei casi. Più comunemente, una “parziale duplicazione” è osservata nel 10-20% del casi in cui persistono le due metà superiori e la porzione inferiore sinistra normalmente regredisce, determinando la forma a V del dotto toracico che termina in 2 angoli venosi. Esiste un'altra varietà di duplicazione parziale che è generalmente limitata alla sezione

3 Amore M, Bernárdez R, Enríquez R, Granja S, Romeo H. Anatomical variations of the thoracic duct: a preliminary report in adult and fetal specimens. Lymphology 2016, vol 49, n°4 (205-209).

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toracica del dotto. Ha luogo quando permane un segmento dell’anastomosi trasversale del tronco inferiore di sinistra verso il lato destro.

Negli studi di Amore et al. su 28 cadaveri (adulti e feti) le varianti plessiformi e le vie alternative del dotto toracico sono state trovate nell'80% dei campioni adulti e sono state osservate più frequentemente all'origine del dotto (Figura 2).

Fig. 2. Preparati anatomici di adulto (gentile concessione di M. Amore)

È interessante notare che, al contrario degli adulti, il 100% dei campioni fetali mostrava la dilatazione della cisterna chyli all'origine del dotto toracico (Fig. 3a).

In un solo esemplare adulto è stata osservata una dilatazione del tronco linfatico lombare sinistro che poteva essere confusa con una cisterna chyli accessoria. Sebbene non siano state osservate duplicazioni totali, sono state rilevate alcune duplicazioni parziali a livello cervicale negli adulti (Figura 3b). In tutti i campioni, la terminazione del dotto Fig. 3 (a-b) Preparati anatomici di feto (gentile concessione di M. Amore)

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toracico a livello dello sbocco succlavio-giugulare di sinistra è stata osservata direttamente o indirettamente con l'interposizione di linfonodi.

Le varianti anatomiche possono favorire la comparsa di lesioni iatrogene durante interventi di chirurgia toraco-addominale ma anche cervicale. Eventuali anomalie anatomiche andrebbero sempre ricercate quando si verificano lesioni accidentali del dotto (Fig.4).

Dal punto di vista epidemiologico, le lesioni del dotto toracico possono essere suddivise in forme traumatiche e non traumatiche4. Diverse cause possono determinare un danno al dotto toracico, come traumi, tumori o infezioni, ma le lesioni iatrogene e soprattutto la chirurgia, che rappresenta l'80% di quelle traumatiche, sono più comuni (Fig.5) 5,6,7,8.

4 Dessalvi S, Boccardo F, Campisi CC, Molinari L, Spinaci S, Cornacchia C, Bovio G, Ferro C, Ferrari

GM, Campisi C. Lesion of thoracic duct: clinical case report. EJLRP 2017.77: 29-31 .

5 McGrath EE, Blades Z, Anderson PB. Chylothorax: aetiology, diagnosis and therapeutic options. Respir

Med. 2010 Jan; 104(1): 1-8.

6 Pillay TG1, Singh B2. A review of traumatic chylothorax. Injury. 2016 Mar; 47(3): 545-550. Fig. 4. a Anatomia normale. b Legatura del dotto toracico

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Fig. 5. Cause di lesioni al dotto toracico

Le lesioni iatrogene possono derivare da chirurgia esofagea, cardiaca, sulla colonna vertebrale, aortica, polmonare, sul diaframma ma anche da radioterapia e chemioterapia. La letteratura riporta un'incidenza delle lesioni del dotto toracico dopo esofagectomia per carcinoma variabile da 0,6 e 9% 9,10,11,12,13.

Una delle più recenti review disponibile in letteratura sull’argomento mette proprio in 7 JohnstoneD.W. Postoperative chylothorax. Chest Surg Clin N Am 12 (2002) 597– 603.

8 Nair SK1, Petko M, Hayward MP. Aetiology and management of chylothorax in adults. Eur J

Cardiothorac Surg. 2007 Aug;32(2):362-9.

9

Mishra PK, Saluja SS, Ramaswamy D, Bains SS, Haque PD. Thoracic duct injury following esophagectomy in carcinoma of the esophagus: ligation by the abdominal approach. World J Surg. 2013 Jan;37(1).

10 Dougenis D, Walker WS, Cameron EW et al (1992) Management of chylothorax complicating extensive esophageal resection. Surg Gynecol Obstet 174:501–506.

11 Swanson SJ, Batirel HF, Bueno R et al (2001) Transthoracic esophagectomy with radical mediastinal and abdominal lymph node dissection and cervical esophagogastrostomy for esophageal carcinoma. Ann Thorac Surg 72:1918–1925.

12

Orringer MB, Marshall B, Iannettoni MD (2001) Transhiatal esophagectomy for treatment of benign and malignant esophageal disease. World J Surg 25:196–203.

13 Rao DV, Chava SP, Sahni P et al (2004) Thoracic duct injury during esophagectomy: 20 years experience at a tertiary care center in a developing country. Dis Esophagus 17:141–145.

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evidenza questo aspetto: al giorno d’oggi non si può ignorare l’incidenza di chiloperitoneo dopo chirurgia addominale maggiore14.

ESPERIENZA CLINICA DI SCUOLA

Riporto di seguito l’esperienza clinica dell’Unità di Chirurgia dei Linfatici dell’Università di Genova diretta dal Prof. Campisi, relativa al trattamento della patologia dei vasi chiliferi nell’arco degli ultimi 10 anni. Sulla base di questa esperienza clinica, sono state più recentemente messe a punto alcune procedure diagnostiche e terapeutiche preventive per le complicanze linfatiche nella chirurgia addominale15.

Casistica (Fig.6): essa include 58 casi, con un follow-up post-operatorio di almeno 8 anni. Comprende 34 casi di ascite chilosa primaria di origine linfangiodisplasica e 24 di

14

M Weniger, J G D’Haese, M K. Angele, A Kleespies, J Werner, W Hartwig. Treatment options for chylous ascites after major abdominal surgery: a systematic review. Am J Surg, 2015

15 Dessalvi S, Boccardo F, Molinari L, Spinaci S, Campisi CC, Ferrari GM, Campisi C. Chyloperitoneum: diagnostic and therapeutic options. Lymphology 49 (2016) 1-7

Fig. 6. Casi di ascite chilosa registrati presso dell’Unità di Chirurgia dei Linfatici dell’Università di Genova

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origine secondaria. Tra i casi secondari, il nostro registro include 15 casi secondari a chirurgia urologica (tumori renali, prostatici, ecc), 2 casi verificatisi dopo colecistectomia, 3 secondari al trattamento di un ca. del colon, 1 dopo esofagectomia, 1 dopo laparoisterectomia per carcinoma uterino, 1 dopo enterocistoplastica e 1 dopo chemioterapia per linfoma non Hodgkin.

I test diagnostici utilizzati sono stati: Linfoscintigrafia preoperatoria degli arti inferiori, e talvolta degli arti superiori ("Whole Body Lymphoscintigraphy"), Linfangio RM e Linfangiografia tradizionale con contrasto ultrafluido liposolubile (Lipiodol Ultrafluido) iniettato bilateralmente nei linfatici del dorso del piede, isolati e incannulati con tecnica microchirurgica. E’ stato dimostrato che la linfografia con complemento TC può avere anche effetto sclerosante sui vasi linfatici, ottenendo la chiusura della fistola chilosa in pazienti affetti da chiloperitoneo.

Sono state valutate diverse opzioni terapeutiche, in funzione dell’eziopatogenesi e dell’estensione della malattia.

L’approccio terapeutico al chiloperitoneo è stato inizialmente condotto con procedure non invasive, come paracentesi, nutrizione parenterale totale, somministrazione di Octreotide, limitando l’apporto lipidico per os esclusivamente ai grassi a base di “Trigliceridi a Catena Media” (tipo Chiloil®).

Il trattamento chirurgico, riservato ai casi non responsivi alla terapia conservativa, ha coinvolto diverse procedure chirurgiche (laparoscopiche o laparotomiche), tra cui principalmente l’exeresi del tessuto linfangectasico-linfangiodisplasico, le legature “scaglionate” antigravitazionali dei collettori linfatici chiliferi, ectasici ed incompetenti,

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e le tecniche microchirurgiche derivative (anastomosi linfatico-venose) o ricostruttive (linfatico-veno-linfatico plastica).

Risultati: 34 pz non hanno avuto recidiva di chiloperitoneo, In 22 pz è stata dimostrata la

persistenza di una piccola quantità di ascite, con ripristino però dei valori proteici ed immunologici. In 2 casi è stato necessario posizionare lo shunt peritoneo-giugulare per il verificarsi di una recidiva della malattia correlata alla eccessiva estensione della displasia chilosa.

Conclusioni: La NPT e una dieta appropriata sono indispensabili per ottenere un corretto

bilancio metabolico e per risultati a lungo termine.

Un accurato studio diagnostico che comporti anche uno specifico approccio chirurgico laparoscopico/laparotomico è stato dimostrato essere la procedura più efficace nei casi di chiloperitoneo refrattario alla terapia medica combinata e alle paracentesi.

Fig. 7. Protocollo

diagnostico- terapeutico per la gestione del Malato con ascite chilosa

(14)

CASO CLINICO

Riporto qui di seguito un caso clinico, come esempio paradigmatico del protocollo diagnostico–terapeutico di Scuola, per la gestione dell’ascite chilosa secondaria, in questa circostanza comparsa in seguito al trattamento di un carcinoma esofageo.

Nel luglio 2014, a L.G. (uomo di 68 anni) è stato diagnosticato un adenocarcinoma localmente avanzato della giunzione gastroesofagea.

Il paziente è stato trattato con chemioterapia neoadiuvante e, nel novembre 2014, è stata eseguita una esofagectomia secondo Ivor Lewis. Un mese dopo, ha sviluppato una massiccia ascite chilosa. Inizialmente ha subito trattamenti conservativi, senza ottenere beneficio stabile. Uno studio diagnostico accurato con Linfangio-TC (LAG-TC) ha mostrato la perdita di chilo a livello del terzo inferiore del dotto toracico. Sono stati effettuati diversi tentativi di embolizzazione della perdita chilosa, ma l'ascite e lo squilibrio metabolico persistevano. A febbraio 2015 è stato eseguito un approccio laparotomico: la perdita di chilo è stata confermata con un pasto grasso e trattata con materiale di sutura non assorbibile e gel piastrinico. Il paziente è stato seguito clinicamente e strumentalmente (con ecografia e TC) per 6 mesi dopo l'intervento. I test di laboratorio hanno dimostrato un progressivo miglioramento delle condizioni metaboliche e immunologiche, senza che si sia più verificata la recidiva dell’ascite chilosa.

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Presentazione Clinica

L.G., maschio di 68 anni, presentava disfagia ai solidi e perdita di peso. L’anamnesi patologica remota non era significativa (tonsillectomia in età infantile), mentre l’anamnesi patologica prossima riportava ipertensione arteriosa in trattamento e la stenosi bilaterale della carotide interna del 35%. Il paziente è quindi stato sottoposto ad esame gastroscopico, che ha identificato una neoplasia ulcerata della giunzione squamo-colonnare. E’ stato intrapreso un ciclo di chemioterapia neoadiuvante con cisplatino e 5-FU, seguito da una esofagectomia sec. Ivor-Lewis, con confezionamento di digiunostomia di alimentazione. Dopo circa 20 giorni, il paziente è stato dimesso dall'ospedale senza alcuna morbilità rilevante. Ad una settimana di distanza dalla dimissione, è stato riammesso in ospedale a causa della comparsa di ascite chilosa con vomito e dispnea.

Trattamento

Le indagini strumentali hanno dimostrato la presenza di una notevole ascite e un drenaggio tipo “pigtail” è stato posizionato nell'addome, drenando circa 4 litri di chilo. Al ricovero, il paziente presentava anche una deiscenza della parte dorsale della ferita chirurgica toracica, che ha richiesto l'uso di terapia a pressione negativa. Come da accordi con la letteratura, è iniziato un trattamento conservativo, che consisteva in nutrizione parenterale totale, somministrazione di Octreotide e diuretici. Sono stati eseguiti diversi lavaggi peritoneali con soluzioni sclerosanti (soluzione di Trémollières a base di Acido Lattico allo 0.45% in flaconi da 50 ml e Rifocin) attraverso il tubo di drenaggio addominale.

(16)

Il trattamento conservativo è proseguito per oltre 3 settimane, ma non è stata riscontrata alcuna riduzione della produzione di chilo, pertanto il paziente è stato sottoposto ad una Linfangiografia-TC con tecnica bipodale. Grazie a questo esame diagnostico, è stato possibile localizzare topograficamente il sito della perdita, localizzato in corrispondenza di una lesione del dotto toracico a livello del suo terzo distale (Fig.8).

Il passo successivo è stato un'embolizzazione percutanea della lesione con colla di cianoacrilato (Glubran R), ma senza successo, e una seconda embolizzazione è stata eseguita con la stessa tecnica 1 settimana dopo. Il mezzo di contrasto ha mostrato il sito di perdita chilosa a livello della cisterna chyli, ma anche questa seconda seduta di embolizzazione non ha portato alcun risultato e quindi la terza procedura di embolizzazione è stata eseguita utilizzando anche spirali metalliche.

Dopo 15 giorni il paziente è stato indirizzato a un intervento chirurgico perché non responsivo a questi approcci interventistici. Dopo la somministrazione di un pasto grasso, l'approccio chirurgico laparotomico mediante incisione sovra-ombelico-pubica,

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ha rivelato la presenza di notevole tessuto cicatriziale a livello dello iatus e leakage chiloso da un'ampia zona cribrosa. In particolare, l’intervento chirurgico si è svolto nel modo seguente: “Incisione xifo-sottombelicale. All'apertura della cavità peritoneale si repertano numerose e tenaci aderenze viscero-parietali e viscero-viscerali. Lisi di tali aderenze ed accesso alla cavità addominale. Sezione di aderenze colecisto-coliche sino in sede sotto-epatica. Esposizione della cava inferiore e dell'aorta. Si reperta in sede interaorto-cavale area di tessuto cicatriziale in corrispondenza del quale si nota la fuoriuscita di liquido siero-linfatico-chiloso. Nella stessa sede si riscontra la presenza di colla biologica flocculata e di spirali metalliche precedentemente posizionate per via angioradiologica. Si deterge la zona e si asporta parte del tessuto fibro-cicatriziale con esposizione dell'area sede della pregressa linfoadenectomia. Si applicano alcuni punti di sutura con materiale non riassorbibile e si eseguono lavaggi ripetuti con Soluzione di Tremollieres, Rifocin e Atossisclerol. Si prepara e si applica colla di fibrina omologa in quantità sufficiente da riempire tutta l'area interessata dalla linfo-chilorrea. Si osserva dopo alcuni minuti la formazione della fibrina (fig. 9).

Fig. 9.

a. Posizionamento della colla di fibrina

b. Al termine dell’inter-vento, si può osservare il processo di solidifica-zione della colla di fibrina, che sigilla la sede del leakage chiloso

(18)

Al termine dell'intervento non si osserva alcuna fuoriuscita di liquido. Si controlla accuratamente l'emostasi. Posizionamento di due drenaggi n.24, uno in sede interaorto-cavale e uno nel Douglas. Sutura della parete a strati. Si rimuove il drenaggio percutaneo tipo “pig- tail”. Medicazione modicamente compressiva”.

Risultati

L’output chiloso è diminuito dopo l'inizio della terapia conservativa, ma la riduzione più

drastica si è verificata dopo l'intervento chirurgico (Fig. 10). Dopo circa 10 giorni dall’intervento, dopo la ripresa dell’alimentazione, è stata necessaria una seconda applicazione di colla di fibrina (somministrata attraverso il tubo di drenaggio), che ha definitivamente interrotto il leakage chiloso. La colla di fibrina è stata ottenuta da produzione manuale in sacca multipla da donatore omologo, per un totale dei seguenti emocomponenti introdotti in sequenza nel drenaggio: quattro aliquote di crioprecipitato

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(200 ml) , quattro di trombina (20 ml) e 4 ml di Ca Gluconato.

Il periodo di follow-up è stato di 1 anno circa. Il paziente è stato studiato mediante esami ematochimici ed ecografia addominali: non si sono verificati segni clinici o strumentali di ascite chilosa. Il paziente ha raggiunto un buon equilibrio metabolico e la guarigione della lesione ulcerativa del dorso.

IL GEL PIASTRINICO16,17

Negli ultimi anni sono apparsi sempre più definiti il ruolo e l'importanza rivestiti dalle piastrine nei meccanismi di riparazione tissutale mediati dalla colla di fibrina (CDF). L’attenzione si è così concentrata sull’induzione di uno stimolo rigenerativo molto più efficace di quello esercitato dalla CDF. Significativi risultati infatti sono stati ottenuti con l’applicazione in situ di piastrine autologhe iper-concentrate e attivate in forma di gel (PG), in combinazione o meno con la CDF (attivata con trombina).

Le piastrine, infatti, sono paragonabili a dei laboratori-magazzini cellulari che elaborano, immagazzinano e quindi rilasciano (se attivate) numerosi fattori di crescita (Tab 1, growth factors o GFs), capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati. Pertanto, rilasciati localmente, i GFs innescano vari meccanismi di rigenerazione tessutale16,17. Questa capacità delle piastrine ad intervenire nei meccanismi di riparazione tissutale ha costituito il presupposto teorico all'utilizzo del gel di piastrine (PG) in diverse

16

Robert E. Marx et al. Platelet-rich plasma: Growth factor enhancement for bone grafts. Oral and Maxillofac surgery. Vol 85, n 6, June 1998.

17 Robert Zimmermann et al. Different preparation methods to obtain platelet component as a source of growth factors for local application. Transfusion 2001; 41:1217-1224

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circostanze, tutte accomunate dall'esigenza di attivare un processo di riparazione tissutale. Il gel di piastrine è dunque un emocomponente ad uso non trasfusionale, i cui margini di sicurezza sono elevati e sovrapponibili a quelli posseduti dagli emocomponenti autologhi; vanno, tuttavia, attentamente considerate le possibili applicazioni di gel piastrinico omologo, ottenuto da donatore, in pazienti critici non eleggibili al predeposito. Con il termine “emocomponente” si intende un prodotto ottenuto da separazione del sangue intero (Normativa di Legge 219/2005. “ Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale di emoderivati” D.M. 3 Marzo2005 “ Emocomponenti topici”).

Tab. 1 Attività dei fattori di crescita nel corso della riparazione dei tessuti

Fattore di

crescita Provenienza cellulare Attività biologica

PDGF

Piastrine Macrofagi Cheratinociti

Attivazione delle cellule immunitarie e dei fibroblasti

Sintesi di collagene e proteoglicani

TGF –1 e TGF –2 Piastrine Macrofagi Fibroblasti

Chemotassi ed attivazione dei fibroblasti Sintesi della matrice extracellulare

TGF –

3

Piastrine Macrofagi Fibroblasti

Riassorbimento del collagene e deposizione di fibronectina

“Riduzione dei postumi cicatriziali”

EGF Cheratinociti

Macrofagi

Proliferazione e migrazione dei cheratinociti Stimolazione dell’attività della collagenasi

FGF-1 e FGF-2

Macrofagi Cellule endoteliali Fibroblasti

Attivazione delle cellule epiteliali ed angiogenesi Proliferazione e migrazione dei cheratinociti

VEGF Cheratinociti Macrofagi Fibroblasti Angiogenesi IGF-1 e IGF-2 Fegato Muscolo striato scheletrico

Fibroblasti, macrofagi, neutrofili

Proliferazione e migrazione dei cheratinociti Attivazione della produzione di collagene Attivazione delle cellule endoteliali ed angiogenesi

(21)

Nonostante i campi di applicazione del PG siano numerosi ed appartenenti a settori diversi deve essere comunque ritenuto indispensabile, proprio per le osservazioni sopra riportate un rapporto collaborativo fra i vari specialisti (dermatologo, chirurgo, ortopedico, ecc.) e il medico di medicina trasfusionale trattandosi di emocomponente non standardizzabile ma con caratteristiche diverse a seconda dell’applicazione e del paziente.

Il gel piastrinico può essere autologo o omologo. E’ il prodotto della lavorazione del sangue risultante dall’attivazione del mix di tre emocomponenti:

1. Crioprecipitato

2. Concentrato piastrinico in plasma 3. Trombina + Calcio gluconato

Metodi di preparazione:

- Metodica manuale: da prelievo di sangue intero (450 ml) in sacca quadrupla (Fig.11). - Metodica semi-automatica: raccolta di plasma e concentrato piastrinico con procedura

aferetica; o con dispositivi dedicati (GPS,…).

- Metodica automatizzata: dispositivi preposti alla produzione di gel (sistema Vivostat).

La metodica manuale (soprattutto all’interno dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova) ha preso il sopravvento nei confronti delle tecniche semi- o completamente automatizzate, a causa della facilità di preparazione e dei costi molto più contenuti rispetto a queste ultime.

(22)

Fig. 11. Metodica manuale di preparazione del gel piastrinico. a: emocomponenti; b: concentrato piastrinico; c: preparazione degli emocomponenti sotto cappa; d: gli emocomponenti vengono preparati in siringhe sterili; e: gli emocomponenti vengono iniettati all’interno del tubo di drenaggio.

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Oltre al caso clinico sopra descritto, sono state eseguite applicazioni del gel piastrinico e della colla di fibrina per altri pazienti con linfocele e chilotorace/ chiloperitoneo. Si sono applicate le note e sopradescritte proprietà delle piastrine e della colla di fibrina per pazienti con linforrea cospicua e necessitanti di trattamento con un grande volume di emocomponente attraverso l’infusione dei singoli prodotti in sequenza attraverso i tubi di drenaggio preventivamente svuotati con aspirazione del contenuto. In un altro caso di voluminoso linfocele addominale (diametro di circa 15 cm), sono stati utilizzati un concentrato piastrinico da aferesi omologo (300 ml in plasma) e quattro concentrati omologhi di crioprecipitato (200 ml) in ultimo, quale attivatore, sono stati infusi nel drenaggio 20 ml di trombina + 4 ml di Ca Gluconato.

In caso di paziente con patologia neoplastica pregressa o in atto, vi è l’indicazione all’utilizzo della sola colla di fibrina.

Le Piastrine costituiscono un bioreattore in grado di:

1. Rigenerare i tessuti di origine mesenchimale sia molli (connettivo e muscolo) che duri (osso) restituendo la fisiologica capacità funzionale;

2. Ridurre la fase algica post operatoria;

3. Dimezzare i tempi di rimozione del drenaggio; 4. Prevenire e sanare fistole, sieromi e linforrea; 5. Ridurre i tempi di degenza post operatoria.

(24)

DISCUSSIONE

Il nostro protocollo per lo studio delle malattie dei vasi chiliferi, generalmente comprende paracentesi o toracentesi, a seconda che il problema si manifesti nel torace o nell'addome (chilotorace o ascite chilosa), che hanno lo scopo di confermare la diagnosi, permettendo anche l’analisi biochimica del liquido prelevato.

La linfoscintigrafia e SPECT-CT vengono eseguite per uno studio funzionale.

Linfangio-RM è utile per lo studio della estensione della malformazione splancnica e per la valutazione del dotto toracico e della cisterna chyli, ma non fornisce indicazioni precise riguardo la sede del leakage chiloso, che invece sono indicati dalla Linfangio-TC.

LA LINFOGRAFIA CON COMPLEMENTO TC

La linfangio-TC è il gold standard per lo studio di questo genere di patologie in quanto permette una più accurata valutazione dell'estensione della malattia, così come la sede e l’origine della perdita di chilo.

La linfografia con complemento TC rappresenta l’unica indagine diagnostica che possa fornire precise informazioni topografiche circa la sede, la causa e l’estensione della patologia e che possa permettere di programmare le più idonee strategie terapeutiche. È possibile ottenere anche scansioni 3D-TC, grazie alle quali si possono mettere in relazione le strutture linfatico-linfonodali e l'apparato scheletrico, aggiungendo quindi informazioni topografiche ben precise riguardo alla sede del leakage, rispetto a punti di repere ben precisi.

(25)

La linfangiografia convenzionale può essere svolta secondo due differenti metodiche18. 1) Tecnica di preparazione microchirurgica dei collettori linfatici bipodali

2) Tecnica intranodale

1) Tecnica di preparazione microchirurgica dei collettori linfatici bipodali. In anestesia locale con Carbocaina 2% che, grazie all'effetto simpaticolitico, consente di risolvere un possibile linfangiospasmo dei vasi linfatici, il Blue Dye viene iniettato nei primi due spazi interdigitali del piede bilateralmente al fine di delineare il sito di transito dei principali collettori linfatici e, quindi, eseguire una microincisione proprio al terzo medio della linea inter-malleolare, avendo la certezza di essere in grado di trovare un vaso linfatico adeguato per l’incannulamento (Fig.12a). L'isolamento del collettore linfatico dai tessuti circostanti è una delle fasi più delicate e, proprio in questo momento, grazie al supporto del Microscopio Operativo (25-30x), è possibile "preparare" accuratamente il collettore linfatico con un tecnica atraumatica e raffinata, al fine di evitare danni alla parete linfatica e ai vasi linfatici circostanti, che altrimenti potrebbero essere causa di una linforrea molto fastidiosa e fonte di infezioni, specialmente in caso di linfedema ostruttivo negli ultimi stadi (Fig.12b) . Il Microscopio Operatorio, oltre a rendere molto più semplice l'incannulamento del vaso linfatico, consente di spingere la punta dell'ago piccolo (27G) oltre una probabile valvola del collettore, per evitare la fuoriuscita del mezzo di contrasto (Fig.12c). Una volta che il vaso linfatico è stato incannulato e l'ago è collegato all'iniettore, 2 fiale di Lipiodol ulltrafluido (20 ml in totale) devono essere iniettati manualmente. Con questa tecnica, è possibile apprezzare

18

Abe T, Kawai R, Uemura N, Kawakami J, Ito S, Komori K, Senda Y, Misawa K, Shinoda M, Shimizu Y. Chylous leakage from a remaining duplicated left-sided thoracic duct after esophagectomy successfully treated by ligation of the left-sided thoracic duct with left-sided video-assisted thoracoscopic surgery with the patient in the prone position. Asian J Endosc Surg. 2016 May;9(2):138-141.

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Fig. 12.

Fasi chirurgiche della preparazione e dell’incannulamento del linfatico in sede intermalleolare interna ed immagni fluoroscopiche delle prime fasi della linfografia

la corretta pressione di iniezione per tutto il tempo dell'indagine, evitando un'eccessiva pressione e il conseguente danneggiamento delle strutture linfatiche.

Durante l'iniezione, si utilizzano vari controlli radioscopici (Fig. 12d, 12e) per evidenziare possibili fistole linfatico- venose, con una tipica immagine radiologica a "uova di caviale" e per evitare il rischio di microembolismo polmonare. A tale riguardo, l'iniezione manuale offre, inoltre, la possibilità di interrompere subito l'esame.

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2) Tecnica intranodale. In anestesia locale, in questo caso, previa mappatura ecografia, il Lipiodol viene iniettato all’interno di un linfonodo e ne viene seguita la progressione, per lo studio delle vie linfatiche addominali e toraciche.

In entrambi i casi, una volta iniettato completamente il contrasto, il paziente si sottopone all'esame TC, che può indicare la presenza del mezzo di contrasto nella cisterna chyli e nel condotto toracico, fino alla sua terminazione nel sistema venoso, e l'estensione della malattia, così come il sito dell'ostacolo e della fonte di perdita chilosa.

La scansione 3D-TC consente di evidenziare le relazioni tra strutture linfatico-linfonodali e apparato scheletrico, fornendo informazioni precise sul sito della displasia chilosa e / o delle fistole (Fig 13).

Per un migliore riconoscimento dei vasi chiliferi, la somministrazione di un pasto grasso

Fig.12. Linfografia convenzionale con tecnica microchirurgica

Fig. 13.

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(60 g di burro in una tazza di latte) è utile 4-5 ore prima dell'intervento chirurgico, secondo il protocollo proposto da Servelle19.

La linfografia convenzionale microchirurgica è una procedura tecnicamente difficile da eseguire, che permette di studiare accuratamente non solo le vie linfatiche addominali e toraciche ma anche quelle degli arti inferiori, compresi i linfonodi inguinali, cosa che non è possibile ottenere mediante la tecnica intranodale. Gli svantaggi della tecnica microchirurgica, oltre alla difficoltà tecnica e alla maggiore durata, sono dovuti anche alla necessità di praticare due incisioni chirurgiche, sebbene di dimensioni limitate, in sede intermalleolare bilateralmente. La tecnica intranodale è più rapida e più facile da eseguire, ma potrebbe determinare un danno al linfonodo nel quale viene iniettato il Lipidol.

In casi entrambi, linfangiografia può avere un ruolo terapeutico quando associata ad embolizzazione20,21, ma anche di per sé, in quanto il Lipidol può avere effetti sclerosanti sui vasi linfatici addominali, permettendo di ottenere la chiusura delle fistole linfatiche in pazienti con leakage chiloso22.

19 M. Servelle, C. Nogues. Les chyliferes. ©Expansion ScientifiqueFrancaise, 1981. 20

Edward Wolfgang Lee, Ji Hoon Shin, Heung Kyu Ko, Jihong Park, Soo Hwan Kim, Kyu-Bo Sung. Lymphangiography to Treat Postoperative Lymphatic Leakage: A Technical Review. Korean J Radiol 2014;15(6):724-732.

21 Atie M, Dunn G, Falk GL. Chlyous leak after radical oesophagectomy: Thoracic duct lymphangiography and embolisation (TDE)-A case report. Int J Surg Case Rep. 2016 Apr 7;23:12-16. 22 Kawasaki R, Sugimoto K, Fujii M et al. Therapeutic effectiveness of diagnostic lymphangiography for refractory postoperative chylothorax and chylous ascites: correlation with radiologic findings and preceding medical treatment. AJR Am J Roentgenol. 2013 Sep;201(3):659-66.

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TRATTAMENTO

Terapia conservativa. Per quanto concerne l'approccio terapeutico, questi quadri, anche

nel caso di un’insorgenza acuta (ad es. peritonite chilosa), non devono mai essere sottoposti a trattamento chirurgico troppo tempestivamente, quanto meno non prima di aver compensato adeguatamente il paziente sul piano metabolico, con un regime dietetico appropriato, basato sulla reintegrazione proteica e limitando l’apporto lipidico esclusivamente ai grassi a base di “Trigliceridi a Catena Media” (MCT) che, invece di essere assorbiti attraverso le radici linfatiche chilifere intestinali, seguono la via del sistema portale. Determinante, per il raggiungimento più rapido di uno stato di compenso metabolico, può risultare un regime iniziale di “Nutrizione Parenterale Totale” (NPT), al fine di ridurre significativamente la portata della sorgente dello spandimento chiloso.

Terapia chirurgica. Si applica quando la terapia conservativa della durata minima di 2

settimane non è risultata efficace nel far cessare la perdita chilosa. In queste fasi iniziali, può risultare utile l’approccio videolaparoscopico, finalizzato anche al corretto posizionamento di uno o più drenaggi peritoneali, allo scopo di prosciugare il versamento in modo progressivo tale da evitare complicanze emorragiche “ex vacuo”. Questi drenaggi possono essere utilizzati anche per lavaggi seriati con soluzione di Trémollières (acido lattico concentrato) abbinata a un antibiotico (Rifamicina Sodica, 250-500 mg), per l’effetto sclerosante sui linfatici (vantaggioso in particolare nel trattamento di raccolte chilose post-operatorie dopo interventi di linfadenectomia retroperitoneale estesa). Può risultare vantaggiosa, inoltre, la somministrazione sottocutanea di Octreotide (analogo sintetico della Somatostatina), essendosi questa

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sostanza dimostratasi in grado di ridurre anche significativamente la produzione chilosa. A questo punto il “timing” chirurgico prenderà l’avvio articolandosi, a seconda dei casi, in funzione della risposta ottenuta con i validi presidi terapeutici conservativi sopra descritti, nel frattempo posti in atto.

Il trattamento chirurgico sarà così, di volta in volta, modulato a seconda dei casi, della natura primaria o secondaria dello spandimento chioso, della rilevanza clinica e della maggiore o minore complessità del quadro, dell’estensione della patologia, della unicità o molteplicità delle sorgenti della perdita di chilo. Di modo che, in varia forma di associazione, le diverse possibili procedure chirurgiche comporteranno:

- il drenaggio del chiloperitoneo;

- l’identificazione della sede o delle sedi della chilorragia; - l’asportazione delle cisti chilose e dei chilomi;

- l’exeresi del tessuto linfangectasico-linfangiodisplasico, eventualmente combinata ad un trattamento sclerosante con soluzioni “ad hoc”;

- le legature “scaglionate” antigravitazionali dei collettori linfatici chiliferi, ectasici ed incompetenti, per il trattamento del reflusso chioso gravitazionale, sulla guida di quanto preconizzato da Servelle e Tosatti, avvalendosi anche della moderna tecnica LASER CO2 (grazie all’effetto Welding, di saldatura, sui vasi linfatici);

- le tecniche microchirurgiche derivative (anastomosi linfatico-venose) o ricostruttive (linfatico-veno-linfatico plastica), che consentono di realizzare una chirurgia funzionale di scarico antigravitazionale nelle sedi (lombari, iliaco-pelviche e inguinali) in cui si reperiscono collettori ectasici suscettibili di tali procedure;

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- come già detto, prevalentemente nell’approccio videolaparoscopico o laparotomico. molto utile per un migliore riconoscimento dei collettori chiliferi (Fig.14) risulta la somministrazione di un pasto grasso (60 grammi di burro in una tazza di latte) assunto dal paziente 4-5 ore prima dell’intervento.

Fig. 14 Caso clinico di linfangio-chilodisplasia intestinale e mesenterica primitiva. Si notino i vasi chiliferi della parete intestinale dilatati ed evidenziati dal “pasto grasso” e le lacune chilifere mesenteriche responsabili del versamento chiloso libero nella cavità addominale

L’approccio videolaparoscopico a supporto di quello laparotomico, ove non utilizzabile come via esclusiva, spesso in associazione alle procedure microchirurgiche LASER-assistite, rappresenta la condotta terapeutica oggi caratterizzata dal maggior numero di successi.

Terapia dell’ascite refrattaria. Terapie alternative o complementari alle tecniche sopra

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più ribelli e votati alla recidiva inesorabile, con i ben noti limiti dell’applicazione di tali procedure in età pediatrica.

La Valvola di Denver (Fig. 15) (detta anche Denver shunt) è un dispositivo tubulare impiantabile che collega il peritoneo con una delle giugulari a livello del collo, che viene tunnellizzato nel tessuto sottocutaneo (Fig 15/B).

Un capo è impiantato nell’addome, l’altro viene inserito nella giugulare interna. A livello costale è presente una valvola (doppia o singola, a seconda del modello del dispositivo) unidirezionale, che impedisce il reflusso del liquido (Fig 15/A).

E’ presente anche una membrana che, quando viene premuta dal paziente, determina l’aspirazione del liquido chiloso dall’addome e il suo deflusso nel sistema venoso. Nel caso in cui la pressione intraaddominale sia superiore di almeno 3 cmH2O rispetto alla

PVC, il dispositivo si attiva automaticamente. Per evitare l’ostruzione del dispositivo, è consigliabile che il paziente attivi la membrana manualmente almeno 2 volte al giorno. La Valvola di Denver permette il deflusso di circa 30-50 ml/min.

Fig. 15. Shunt peritoneo-giugulare secondo Denver

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La procedura di impianto può essere svolta in anestesia locale ed ha una durata di circa 45 minuti (Fig.16).

Fig. 16. a: Disegno preoperatorio per il posizionamento del dispositivo; b: anestesia locale; c: tunnellizzazione del dispositivo nel tessuto sottocutaneo; d: immagine post-operatoria.

L’indicazione all’utilizzo della Valvola di Denver è l’ascite chilosa recidivante e refrattaria alla terapia conservativa. Lo shunt del liquido chiloso all’interno del sistema venoso permette il recupero di componenti vitali, quali proteine, albumina, fattori della coagulazione, elementi del sistema immunitario, e permette di compensare l’inevitabile e grave scompenso metabolico, nutrizionale ed immunologico che si manifesta nei pazienti con ascite chilosa cronica.

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Le complicanze più frequenti sono dovute alla maggiore viscosità del liquido chiloso rispetto a quello presente nell’ascite cirrotica, per la quale la Valvola di Denver è già ampiamente in uso. La maggiore viscosità del liquido chiloso può determinare l’ostruzione del dispositivo e richiederne la sostituzione. Un'altra criticità dell’impianto della Valvola di Denver è collegata all’utilizzo nei pazienti pediatrici, nei quali deve essere sostituita periodicamente, durante la crescita del paziente. Da valutare accuratamente, infine, è la funzionalità cardiaca del paziente candidato all’impianto del dispositivo, soprattutto quando in presenza di cardiopatie congenite, al fine di evitare un sovraccarico cardiocircolatorio da iper-afflusso linfatico.

E’ possibile, infine, nei casi eccessivamente displastici, praticare una resezione del tratto di intestino maggiormente colpito dalla displasia, soprattutto quando le linfangectasie risultano molto marcate.

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CONCLUSIONI

In conclusione, le lesioni del dotto toracico possono derivare da diverse cause di tipo iatrogeno o di altra natura ostruttiva. Per quanto riguarda le cause chirurgiche, la lesione del dotto toracico è una complicanza rara di esofagectomia. L'incidenza riportata dopo questo tipo di chirurgia varia tra lo 0,6% e il 9%. La morbilità di tipo linfatico non è molto frequente ma complica e ritarda l’inizio di una eventuale terapia adiuvante, comporta un aumento della durata dell’ospedalizzazione, delle spese sanitarie legate al ricovero del paziente e all’utilizzo dei presidi diagnostici necessari. Possono inoltre venirsi a verificare complicanze di tipo settico, immunologico, metabolico ecc, rischiando di compromettere il risultato dell’intervento stesso.

Le perdite chilose richiedono un intervento precoce, per questo motivo la diagnostica svolge un ruolo importante.

Linfangio-CT è il principale indagine diagnostica in grado di fornire le informazioni topografiche necessarie sul sito della perdita chiloso permettendo di eseguire approcci chirurgici e interventistici che dovrebbe essere riservati solo per i casi refrattari al trattamento conservativo.

Questo genere di disturbi viene inizialmente trattato con metodiche non operative, come riportato in letteratura (M Weniger, J G D’Haese, M K. Angele, A Kleespies, J Werner, W Hartwig. Treatment options for chylous ascites after major abdominal surgery: a

systematic review. Am J Surg, 2015): la combinazione di TPN, olio MCT ed Octreotide

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Questi metodi conservativi consentono al paziente di raggiungere un buon equilibrio metabolico e una adeguata competenza immunologica.

Per i casi non responsivi, la laparoscopia e la toracoscopia possono essere utilizzate per trattare la malattia. Il trattamento chirurgico consiste nel detergere l'area, rimuovere il tessuto fibrotico e chiudere la sede di perdita. Il gel piastrinico e la colla di fibrina (che è preferito in pazienti con anamnesi tumorale) favoriscono la corretta guarigione dei tessuti, evitando complicanze linfatiche e di riducendo il periodo di persistenza del drenaggio chirurgico.

Se la patologia recidiva, nonostante il trattamento chirurgico, è possibile utilizzare lo shunt peritoneo-venoso o eseguire una pleurodesi (nei casi di chilotorace).

Nell’ottica di voler prevenire questo tipo di complicanze, le possibilità più comunemente attuabili nell’ambito di tali tipi di chirurgia sono l’individuazione di pazienti a rischio, che si basa essenzialmente su dati anamnestici e clinici. I pazienti a rischio sono pazienti affetti da obesità, diabete, patologie autoimmunitarie e pazienti che presentano una anamnesi positiva o esame obiettivo positivo per patologia circolatoria linfatica. In queste categorie di pazienti a rischio, si consiglia l’utilizzo combinato del pasto grasso sec. Servelle e del Blue Patent iniettato in sede sottoinguinale bilaterale. Queste procedure preventive, consentono di individuare durante l’intervento le strutture linfatiche e chilose, permettendone la preservazione o facilitandone la chiusura, in caso di lesione accidentale. Per la chiusura di tali strutture, è consigliabile infine utilizzare lacci in materiale non riassorbibile o clips metalliche invece che il coagulatore bipolare o

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gli ultimi devices sigillanti, più comunemente in uso, in quanto l’eventuale caduta dell’escara da questi prodotta, può accompagnarsi ad una complicanza tardiva.

In conclusione le complicanze linfatiche in chirurgia digestiva, per quanto non così frequenti, quando sopravvengono, sono causa di importanti scompensi metabolici, difficili da trattare e che richiedono un notevole prolungamento del ricovero, l’impiego di impegnative e costose indagini diagnostiche e l’applicazione di procedure terapeutiche che includono modalità combinate nutrizionali, farmacologiche, angiografiche e chirurgiche.

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio il Professor Campisi, che mi ha voluta nella sua Scuola, insegnandomi la disciplina e la metodologia, qualità rare ma indispensabili.

Un ringraziamento particolare al Professor De Cian per la sua costante deliziosa disponibilità.

Grazie al Professor Boccardo, per avermi insegnato che professionalità e umanità sono la chiave per essere un buon Chirurgo.

Desidero ringraziare anche il Professor Ferrari, che mi ha trasmesso la sua dedizione nei confronti della Clinica e della Didattica.

Ringrazio i miei genitori per aver sempre creduto in me ed avermi aiutata a superare i momenti più duri, spero di essere per loro motivo di orgoglio.

Grazie a Giovanni, per il sostegno che mi ha dato, accettando i sacrifici e il tempo che ho dedicato al lavoro della mia vita.

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