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Lev Sestov tra spiritualita', esistenzialismo e pensiero antico

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

Tesi di Laurea

“Lev Šestov tra spiritualità,

esistenzialismo e pensiero antico”

CANDIDATO RELATORE

Martina Olivi Prof. Stefano Garzonio

CORRELATORE

Prof. Carlo Tonna

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Sommario

Introduzione ... 4

CAPITOLO 1. ŠESTOV, LA SUA VITA, IL SUO TEMPO ... 6

1.1. La nascita, la famiglia, l’infanzia ... 6

1.2. L’adolescenza e l’età degli studi ... 9

1.3. Gli anni dell’università ... 11

1.4. Gli inizi. Dal lavoro legale a quello filosofico ... 13

1.5. Filosofo a Parigi ... 19

CAPITOLO 2. ŠESTOV E IL PROBLEMA DELLA CREAZIONE ... 23

2.1. Definizione del problema ... 23

2.2. Due racconti della creazione: quello greco e quello ebraico ... 28

2.3. Allontanarsi da Dio ... 31

2.4. Liberarsi dalla ragione ... 34

2.5. Tornare alla creazione ... 36

2.6. Essere Abramo ... 42

2.7. Sulla bilancia di Giobbe ... 44

CAPITOLO 3. GLI STUDI SUL PENSIERO ANTICO: ŠESTOV E PLOTINO 45 3.1. Il pensiero antico e Plotino ... 45

3.2. Da Plotino... 47

3.3. L’Anima in Plotino e Šestov ... 52

3.4. Il problema del male ... 54

3.5. Il pensiero della provvidenza ... 56

3.6. Il discorso di Plotino secondo Šestov ... 57

3.7. L’eredità fatale di Plotino... 61

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4.1. Centralità di Giobbe per Šestov ... 65

4.2. Giobbe e Kierkegaard ... 67

4.3. Il libro dei libri ... 75

CAPITOLO 5. ŠESTOV, L’ESISTENZIALISMO, IL PENSIERO INDIANO ... 79

5.1. La Bhagavad Gītā ... 79 5.2. Struttura della Gītā ... 85 5.3. La Bhagavad Gītā e la filosofia ... 89 5.4. India e filosofia ... 92 5.5. Šestov: finale ... 101 Conclusioni ... 103 Bibliografia ... 105 Ringraziamenti ... 107

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Introduzione

Il presente lavoro dedicato a Lev Šestov intende trattare gli aspetti meno noti e più profondi e complessi dell’opera del pensatore russo, non molto studiato a tutt’oggi in Italia. Si vuole ricostruire un’immagine completa, a tutto tondo, del grande filosofo; il suo microcosmo e il suo macrocosmo, la sua weltanshauung. Il primo capitolo, infatti, è dedicato all’approfondimento del percorso biografico di Šestov: la sua nascita all’interno di una famiglia imprenditoriale russa di origine ebraica, il suo rapporto con il padre e gli altri membri del gruppo familiare, la sua scoperta – fatta proprio grazie al padre – della Bibbia e delle figure più complesse del poema biblico, Abramo, Giobbe, gli jurodivyj.

E’ in questi primi anni che il pensiero di Šestov si enuclea, fin da subito, come un vedere la scelta religiosa come quel salto necessario, la conditio sine qua non che colma la distanza fra noi e il mondo, fra noi e Dio, fra noi e l’altro. Solo compiendo questo salto potremo liberarci della freddezza e della peccaminosità dell’essere. Solo questo salto ci permette di riempire il drammatico vuoto che si è spalancato con l’albero del bene e del male, il vuoto della condanna e della disperazione. La Bibbia narra questa condanna con voce sovrumana; Šestov lo scopre da bambino.

Šestov, con questa scoperta, si avvia agli anni universitari, e va incontro alla rivoluzione d’ottobre. Sono anni durissimi: la sua tesi in legge viene rifiutata, perché troppo permeata di attese sociali vicine al marxismo. Alla fine, inizia la pratica legale, che ben presto abbandona. Prende in mano l’azienda di famiglia, le cui cure lo tormenteranno per un certo periodo. E torna poi agli amati studi di filosofia, considerando la Bibbia come il libro centrale del pensiero umano, Il

libro dei libri. Nel corso di questo lavoro, tra le altre cose, vedremo perché.

E’ come ne Il dottor Živago, dove tutto diventa assurdo, confuso, incomprensibile. La Russia è solo dolore.

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5 E Šestov l’abbandona. Seguendo tanti esiliati russi, prende la via dell’uscita dal paese. E’ sposato ormai. Vive per un periodo in Svizzera, poi approda a Parigi, dove – come vedremo– ottiene la cattedra universitaria in filosofia. Si avvicina a Nietzsche, a Kierkegaard. E continua ad analizzare per i suoi studenti Bibbia e

Vangeli. Tutte le fonti, Plotino compreso, devono essere viste a partire da quei due

libri fondamentali.

Insegnando a Parigi, Šestov trova pochi allievi veri. Ma alcuni sono personaggi eccezionali, come Benjamin Fondane e Albert Camus.

Negli ultimi anni, Šestov si avvicina anche al pensiero indiano, vedendo in esso quel superamento del logos, della ragione greca, occidentale, della razionalità, che vede anche in Gerusalemme. La figura di Buddha lo affascina. La lettura del

Mahābhārata, della Bhagavad Gītā, il Canto del Beato Signore, lo colpiscono.

Una profonda meditazione su queste fonti si apre in lui.

Il cammino di Šestov ha dunque ancora molto da dirci ed è estremamente attuale. Il percorso di analisi che qui cominciamo su di lui è una navigazione che ci farà toccare gli interni dei continenti filosofici da lui tracciati e coltivati. Osserveremo la sua weltanshauung. Le strutture che emergono sono ancora tutte da studiare e descrivere.

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CAPITOLO 1. ŠESTOV, LA SUA VITA, IL SUO TEMPO

1.1. La nascita, la famiglia, l’infanzia

Lev Isaacovič Švarcman1 nasce a Kiev il 13 febbraio del 1866, in una famiglia ebraica benestante. Il padre, infatti, Isaac Moisevič Švarcman, è un industriale di origini modeste che gestisce una ben avviata azienda tessile in città. Alla nascita di Lev, infatti, l’azienda di famiglia opera ormai in tutta la Russia. La famiglia è composta, oltre a Lev, di due fratelli più piccoli e di quattro sorelle. I genitori sono ebrei, ma non osservanti: la famiglia, infatti, ha deciso di assimilarsi alla società cittadina, anche se il padre è un ebreo credente. E’ per questo che il giovane Lev, da ragazzo, viene avviato dal padre allo studio della lingua ebraica, perché possa poi leggere la Bibbia nella lingua originale. Lingua che poi, in età adulta, Lev dimenticherà, non potendo più coltivarla, e a cui si riferirà sempre con profonda nostalgia. Lev si avvicina anche al folclore e alle leggende ebraiche, sempre per volere del padre. Alla nascita di Lev, Kiev è una città economicamente importante, ed un grande snodo produttivo e per i trasporti, specializzato nella esportazione di grano e di zucchero attraverso il fiume Dnepr. La popolazione è di 250.000 abitanti. La comunità ebraica, invece, è superiore al 10% della cittadinanza.

L’infanzia di Lev trascorre nella casa di famiglia nel quartiere Podol, in cui riceve anche l’educazione primaria, da un precettore assunto dai genitori. Podol è uno dei quartieri più antichi di Kiev, il quartiere dell’industria e del commercio. La sera, spesso, i genitori ricevono la buona società di Kiev: rappresentanti della locale comunità ebraica, uomini d’affari, artisti, scrittori. Il padre è una figura estremamente forte agli occhi del piccolo Lev: è, infatti, profondamente amante della letteratura e della filosofia, e molto legato alla storia e alle tradizioni del

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Gran parte delle notizie biografiche riportate e discusse in questo capitolo sono dovute alla biografia di L. Šestov scritta dalla figlia Natalja e qui citata estesamente alla nota 6.

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7 popolo ebraico, anche se è una personalità autonoma e indipendente, che non disdegna la critica e le battute di spirito. Il padre di Lev, infatti, si considera un uomo libero, e, durante l’infanzia del filosofo, rischia addirittura l’espulsione dalla sinagoga di Kiev per atteggiamenti irriverenti e blasfemi. Questi tratti della personalità del padre saranno in gran parte ereditati dal figlio. In una foto da bambino, Lev è ritratto con una giacca lunga abbottonata stretta al collo, in stile militare, seduto con le braccia conserte ad un tavolino della sala della casa paterna. Ha i capelli corti tagliati a spazzola e un curioso sguardo che fissa il fotografo, con i grandi occhi spalancati in un misto di curiosità, timidezza e timore. Le labbra strette. Da ragazzo, a Kiev, inoltre, Lev scrive racconti, inseguendo il sogno di diventare scrittore, e frequenta anche la chiesa ortodossa, specie durante le festività cristiane, perché è profondamente affascinato dalle liturgie. Un’altra profonda passione giovanile è l’opera lirica; pensa per un periodo, infatti, di dedicarsi a questo ambito, diventando cantante, ma è un’idea che ben presto abbandona. Ha una bella voce, ma non i maestri di canto adatti che possano educarla in modo corretto.

Fin da bambino, Lev è profondamente attratto anche dai racconti che il padre gli fa di alcune storie contenute nella Bibbia. Una storia che lo colpisce e lo segna profondamente è la storia del peccato originale. Quello che il piccolo Lev cerca di capire, e di chiedere, è che cosa l’uomo e la donna cercavano nel mangiare il frutto dell’albero presente nell’Eden. Cosa è veramente l’albero della conoscenza del bene e del male? Era stato veramente proibito all’uomo e alla donna? E perché? Perché lo hanno desiderato? E cosa è da condannare? Il fatto di averlo mangiato, o il fatto di voler essere, come promette il serpente, pari a Dio? Inoltre, come il padre insegnava al piccolo Lev, il peccato di aver mangiato il frutto è seguito dal peccato di ulteriore menzogna e viltà, perché, davanti a Dio che chiede spiegazioni all’uomo e alla donna, i due si incolpano reciprocamente l’un l’altra dell’evento. Sono, queste, domande che Šestov porterà con sé durante tutta la sua esistenza, e che rappresenteranno il cardine e le questioni principali della sua filosofia.

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8 Un’altra storia della Bibbia che il padre racconta spesso al piccolo Lev e che colpisce profondamente la sua immaginazione di ragazzo è la storia di Giobbe. La storia, cioè, del giusto che soffre senza colpa, dello jurodivyj, sopportando le malattie e le avversità, la perdita dei suoi beni e la morte dei figli, perché Satana – racconta la Bibbia – aveva insinuato che la sua fede in Dio fosse una fede interessata, e perché Dio vuole metterlo alla prova. Dice infatti Giobbe:

Ero sereno e Dio mi ha stritolato, mi ha afferrato la nuca e mi ha sfondato il cranio, ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri prendono la mira su di me, senza pietà egli mi trafigge i reni, per terra versa il mio fiele, apre su di me breccia su breccia, infierisce su di me come un generale trionfatore (Libro di Giobbe 16, 12 – 14).

Anche la storia di Giobbe è una storia su cui Lev si interrogherà tutta la vita. Ascoltando quella storia, il giovane Lev chiede al padre: da dove viene il male? E perché viene?

Altra narrazione biblica che il giovane Lev ascolta e su cui rifletterà tutta la vita è quella del sacrificio di Isacco. La Bibbia narra, infatti, che Dio impone al patriarca Abramo di sacrificare il suo unico figlio Isacco. Abramo, jurodivyj, fa come Dio gli dice, si dirige verso il paese di Moria, che Dio gli ha indicato come luogo del sacrificio, e, arrivato dopo tre giorni di viaggio, si prepara ad uccidere il figlio seguendo il rituale dell’uccisione sacra degli animali. E’ in quel momento che Dio chiama Abramo dal cielo e ferma il sacrificio. Il comportamento di Abramo, pronto a sacrificare in silenzio il figlio a Dio, sarà sempre materia di riflessione per Lev.

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1.2. L’adolescenza e l’età degli studi

Le scuole secondarie sono un’esperienza complicata per il giovane Lev, che partecipa, adolescente, ai movimenti politici cittadini e che è per questo considerato un elemento difficile da docenti e dirigenti scolastici. L’adolescente Lev, infatti, non è certo insensibile alle molte ingiustizie sociali che vede ogni giorno e che sembrano essere considerate la normalità; e partecipa a quello spirito di attesa di un cambiamento totale, di una palingenesi, che è molto forte in questi anni nelle città russe. In questo atteggiamento, Šestov sembra seguire proprio il cammino del giovane Dostoevskij, che in gioventù si era avvicinato alle attività politico–sociali dei circoli socialisti, scelta che poi lo aveva portato all’arresto e alla detenzione in Siberia, che lo scrittore aveva raccontato in modo così profondo nel suo libro Memorie di una casa dei morti.

E’ anche per questo attivismo sociale del giovane Lev, dunque, che, al termine delle scuole secondarie, la famiglia lo invia a Mosca per frequentare l’università. La sua scelta iniziale è la facoltà di matematica. Si dedica però anche allo studio dei classici della letteratura e della filosofia, inizialmente da solo, da autodidatta: i primi autori che affronta, e sui quali comincia a scrivere delle originali note critiche, sono Shakespeare e Kant. L’interesse per Kant è legato, nel giovane Šestov, alla concezione che il filosofo tedesco ha della ragione: Kant2, infatti, dedica tutto il suo lavoro filosofico (Critica della ragion pura, 1791; Critica della

ragion pratica, 1788; Critica del Giudizio, 1790) alla critica (dal greco

χρίνω:indagine) e alla delimitazione della ragione, ma – allo stesso tempo – sostiene che la ragione è l’unico strumento affidabile presente nelle mani dell’uomo per orientarsi nel mondo, nella vita, nella storia. Kant, in poche parole, sostiene Šestov, pone le basi per quella deificazione del logos, della ragione e della razionalità in filosofia che poi porterà a compimento un altro filosofo profondamente criticato da Lev: Hegel. E’ su questa posizione che Šestov non concorda, essendo sempre più convinto che la ragione è invece soltanto una

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10 convenzione estremamente debole che l’uomo si è costruito nel corso della sua esperienza storica. La critica della ragione, a cui Šestov sta pensando in questi anni, trova molti punti in comune con quella che Dostoevskij fa fare al protagonista del suo Memorie dal sottosuolo. E’ per questo che Šestov, d’altro canto, ama Shakespeare: perché considera il drammaturgo inglese un pittore dell’anima umana, lo scrittore più grande e capace nel rappresentare le contraddizioni umane, la sua profonda irrazionalità, le lotte che si svolgono all’interno della sua anima. Da questo punto di vista, l’Amleto di Shakespeare è infatti la comprensione e descrizione perfetta delle contraddizioni dell’animo umano. Ma anche delle contraddizioni del mondo e della storia, dato che, come Shakespeare fa dire proprio ad Amleto, il tempo è fuori dai cardini. Alla fine del primo atto della tragedia, infatti, Amleto dice3 :

Questo tempo è fuori dai cardini

Maledetto destino, che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto.

C’è, dunque, in Amleto, anche molta superbia, che per Lev è l’origine del male voluto dall’uomo. Šestov, negli anni dell’università a Mosca, legge anche molto i romanzieri russi. Proprio per queste sue profonde passioni letterarie, abbandona ben presto la facoltà di matematica e si iscrive a quella di giurisprudenza. Nel 1885, all’età di venti anni, collabora con un altro studioso, Rabotnokov, alla traduzione dal tedesco al russo di un’opera in più volumi sull’ebraismo, un’opera che più volte gli è stata citata anche dal padre, uno studio di H. Graetz dal titolo

Geschichte der Juden.

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1.3. Gli anni dell’università

In questi primi anni a Mosca stringe anche amicizia con un’altra giovane studiosa e scrittrice, anch’ella di Kiev, Varvara Malakevna–Mirovič, con la quale studia le opere di Tolstoj e la poesia francese dell’ottocento. Più tardi Šestov consiglierà ad una delle sue sorelle di assumere proprio Varvara Malakevna–Mirovič come tutrice dei suoi figli: tra i due nasce un amore, che però viene profondamente osteggiato dalla famiglia del giovane Lev, perché la ragazza è cristiana. In seguito, Lev ha una relazione con una cameriera della sua famiglia, Anjuta Listapopadov, dalla quale ha avuto un figlio, Sergej, che muore poi partecipando alla prima guerra mondiale. Prepara la tesi di laurea in legge sul tema della legislazione operaia in Russia, ma l’Università di Mosca la rifiuta, impedendogli di laurearsi, perché il lavoro presenta punti di vista eccessivamente progressisti e vicini al marxismo. La tesi, infatti, sostiene che la legislazione del lavoro russa è profondamente arretrata e che deve essere riformata del tutto, in nome della giustizia nei confronti delle forze lavoratrici. Le opinioni che Lev difende e discute in questa tesi dimostrano infatti che – come gli era già successo a Kiev durante gli studi presso la scuola secondaria – Lev è ancora interessato al dibattito politico–sociale contemporaneo e alle questioni della giustizia nel mondo del lavoro e tra le classi sociali. Questioni che poi con il tempo abbandonerà, mettendo al centro della sua riflessione solo la vita interiore e le questioni fondamentali dell’anima e della religione. Se c’è una salvezza, una redenzione, infatti, pensa Šestov, è una salvezza che si conquista solo sul piano interiore, spirituale, non su quello esteriore, storico. Bisogna lasciar perdere la storia, perché, come Šestov è convinto di capire in questi anni, non è nella storia che si presenta la verità. Scrive infatti Šestov4:

La verità è ciò che passa davanti alla storia e di cui la storia non si accorge.

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12 Al contrario dell’Università di Mosca, però, quella di Kiev accetta la tesi del giovane studioso, e Lev può finalmente laurearsi. Nel 1890 può dunque iscriversi all’albo degli avvocati, e, dopo il servizio militare, iniziare il praticantato come procuratore legale presso un avvocato di Mosca.

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1.4. Gli inizi. Dal lavoro legale a quello filosofico

Ben presto però Lev capisce che il lavoro legale non è la sua strada, e, nel 1891, rientra a Kiev – come la famiglia desidera – per lavorare nell’azienda del padre. Gli affari vanno male, e c’è il rischio concreto della bancarotta, che Lev riesce fortunatamente ad evitare. E’ questo un periodo molto difficile della sua vita, in cui cerca di conciliare quello che considera il suo dovere principale, occuparsi dell’azienda di famiglia, con le sue vere passioni, le lettere e la filosofia. Pubblica alcuni articoli su temi economici e finanziari, sui problemi della conduzione di aziende e del mercato, e anche i primi articoli importanti sui suoi veri interessi: un articolo su Il problema della coscienza e il pensiero di Solov’ëv, e un altro su

L’Amleto e Georg Brandes.

Negli anni ’90, inoltre, Šestov comincia anche a leggere gli scritti di Nietzsche: è un incontro, quello con il pensatore tedesco, che lo sconvolgerà, al punto che Lev dichiara che i libri di Nietzsche gli toglievano il sonno. Anche lo stile di scrittura filosofica di Nietzsche, quello scrivere in forma di brevi note, brevi riflessioni, aforismi, – che lo fa essere uno scrittore asistematico e estremamente originale, la cui produzione si staglia solitaria nel panorama della filosofia moderna e contemporanea – avrà un forte impatto su Šestov, che userà spesso uno stile simile nelle sue opere. E questo perché, sia Nietzsche che Šestov, considerano l’aforisma, per il suo carattere frammentario, una contestazione e un rifiuto netto di ogni sistema filosofico; pensano di poter esprimere in modo coinciso ciò che è essenziale nel loro pensiero. Lo stile aforistico si unisce poi a quello poetico: lirismo, tono profetico e filosofia si mescolano, rendendo, però, spesso estremamente difficile e riduttiva l’interpretazione. Il libro di Nietzsche che più lo ha inquietato, dice Šestov, è Genealogia della morale: l’opera – composta e pubblicata nel 1887 – in cui Nietzsche mostra che molte delle nostre concezioni sul male e sull’origine del male sono solo dei pregiudizi che devono essere smascherati. Una gran parte dei saggi contenuti nella Genealogia della morale è dedicata all’ebraismo e all’idea di Dio secondo gli ebrei: per gli ebrei, infatti,

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14 secondo quanto si apprende dalla Bibbia – dice Nietzsche – Dio è fondamentalmente potente e incomprensibile, in lui non esistono i concetti di bene e di male. Concetto poi espresso in un’altra grande opera: Al di là del bene e del

male, 1886. Qui Šestov si sente profondamente coinvolto, e ritorna all’ebraismo

imparato durante l’infanzia dal padre. Solo con l’arrivo del cristianesimo, poi, secondo Nietzsche, Dio viene moralizzato, e diviene un Dio buono, un Dio

d’amore, un Dio comprensibile, un Dio etico. Ma questo, secondo Nietzsche, è un

errore. E’ con il cristianesimo, poi, dice il pensatore tedesco, che si inserisce anche nella storia il concetto di colpa, e che l’uomo si sente fondamentalmente colpevole. E’ con il cristianesimo che si apre l’attesa del giudizio nella vita futura, in cui meriti e colpe saranno ripagate. Šestov è profondamente colpito da queste idee: il cristianesimo è veramente una corruzione dell’ebraismo? Una degradazione del pensiero ebraico? Per Šestov, Nietzsche ha aperto una via di riflessione che deve essere seguita. Dirà di Genealogia della morale lo stesso Nietzsche in Ecce homo, la sua autobiografia, scritta nel 18885 :

Le tre dissertazioni di cui è composta questa genealogia sono forse, per quel che riguarda l’espressione, le intenzioni e l’arte della sorpresa, ciò che di più inquietante è stato scritto finora. Dioniso è , si sa, anche il dio dell’oscurità. Tutte le volte, un principio che si deve indurre in errore, freddo, scientifico, perfino ironico, messo in rilievo con intenzione, tirato in lungo con intenzione. A poco a poco l’agitazione cresce: guizzano singoli lampi; da lontano, delle verità molto spiacevoli si fanno sentire con un cupo brontolìo; finché da ultimo si arriva ad un tempo feroce in cui ogni cosa incalza con una formidabile tensione. In chiusura, tutte le volte, fra denotazioni spaventose appare tra dense nubi una nuova verità. La verità della prima dissertazione è la psicologia del cristianesimo: l’origine del cristianesimo dallo spirito del risentimento e non, come si crede generalmente, dallo spirito; per sua natura, un movimento di reazione, la grande sollevazione contro il dominio di valori nobili. La seconda dissertazione dà la psicologia della coscienza: la quale non è, come generalmente si crede, la voce di Dio nell’uomo, ma è l’istinto della crudeltà che, poiché non gli è più possibile di sfogarsi all’esterno, si rivolta indentro. La crudeltà è mostrata qui per la prima volta come uno dei più antichi e più necessari fondamenti della civiltà. La terza dissertazione risolve il problema donde venga

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l’immensa potenza dell’ideale ascetico, dell’ideale del prete, sebbene esso sia l’ideale dannoso per eccellenza, un’aspirazione alla fine, un ideale di decadenza. Risposta: non perché, come generalmente si crede, Dio agisca dietro il sacerdote, ma perché finora fu l’unico ideale, perché non ha avuto concorrenti. Poiché l’uomo preferisce di volere il Nulla piuttosto che non volere nulla[…]. Soprattutto, mancava un controideale, fino a Zarathustra. Sono stato compreso? Tre importanti studi preparatori d’uno psicologo, per un’inversione di tutti i valori. Questo libro contiene la prima psicologia del prete.

Alla fine del 1895, Lev soffre di una grave crisi nervosa, dovuta all’impossibilità di conciliare il lavoro in azienda con i suoi studi. Capisce che deve scegliere fra le due strade e, l’anno successivo, persuade i fratelli a prendere il suo posto nella ditta di famiglia, e finalmente parte per l’estero. I suoi problemi nervosi sono però, molto probabilmente, legati anche alla sua vita personale e all’idea, che Šestov coltiva, di abbracciare, forse, il cristianesimo. E’ in questa situazione che torna, in lui, però, il pensiero di quello che Nietzsche ha scritto del cristianesimo. Come da piccolo, infatti, la domanda che portava sempre con sé era relativa alla storia e al significato del peccato originale, e all’esperienza di Giobbe, ora comincia a domandarsi anche che posizione e che senso dare al Cristo, che – secondo i Vangeli – si proclama figlio di Dio, ma anche figlio dell’ uomo, nella storia e nella vita umana. In un suo scritto dedicato alla Notte del Getsemani, Šestov accosta la figura del Cristo che sa, che sarà crocifisso e accetta la crocifissione, a quella di Giobbe, che lo aveva così tanto colpito fin da ragazzo. Anche Dio, infatti, attraverso Cristo, soffre e accetta la sofferenza.

Sulle tracce di molti scrittori russi, viaggia e soggiorna a Berlino, Vienna, Carlsbad, Parigi, Monaco. Compone in questi anni il suo primo studio, dedicato a Shakespeare e il suo critico Brandes, L’Amleto e Georg Brandes che pubblica poi a Pietroburgo, a sue spese, nel 1897. E’ con la pubblicazione dei primi libri che abbandona definitivamente il suo cognome ebraico a favore dello pseudonimo Šestov. A Roma, invece, conosce una giovane studentessa di medicina, Anna Eleazarovna Bereškovskaja, di cui si innamora. In breve tempo decide di sposarla, senza comunicare né discutere questa decisione con i genitori: sa già per esperienza, infatti, a seguito del suo precedente amore per Varvara Malakevna –

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16 Mirovič, che suo padre e sua madre sarebbero contrari ad un suo matrimonio con una ragazza di religione ortodossa. Dall’unione con la Bereškovskaja nascono due figlie, Tatjana nel 1897 e Natalja tre anni dopo. E’ questa seconda figlia, Natalja, che scriverà poi una biografia del padre in due volumi pubblicata anche in Francia con il titolo La vie de Leon Šestov 6 : un’opera importantissima per ricostruire la vita del filosofo russo.

La moglie si laurea in medicina presso l’Università di Berna. Lev ritorna per breve tempo in Russia, dove entra in contatto con altri giovani intellettuali come D. Merežkovskij, V. Rozanov, N. Berdjaev, e inizia la collaborazione con la rivista Il mondo dell’arte, edita da Djagilev, il grande creatore dei Balletti Russi. Inquieto, alla continua ricerca di stimoli e radici, Lev torna ancora in Svizzera, poi in Italia, dove conclude un suo studio su L’idea di bene in Nietzsche e Tolstoj, e un altro su La filosofia della tragedia. Dostoevskij e Nietzsche.

Agli inizi del ‘900, Šestov è ormai convinto che il suo destino è quello di scrittore nel campo delle lettere e della filosofia. Ha anche, per quanto riguarda la sua scrittura, una certa vanità, quello che chiama il suo punto debole. Scrive infatti in una Lettera indirizzata allo scrittore ed amico Aleksej Remizov del 7 novembre 1905 7 :

Sono giunto a Kiev e ho trovato le tue due lettere. Grazie, fratello, mi piace ricevere le tue lettere. Questa volta poi mi hai addirittura lusingato: hai lodato il mio punto debole: vado in estasi quando apprezzano il mio stile. E che fare, del resto: nel contenuto delle mie opere non credo: dunque che almeno la forma venga apprezzata! Ma, da questo punto di vista, i critici non mi viziano eccessivamente.

Remizov, l’amico conosciuto a Mosca a cui Šestov indirizza la Lettera, si stava specializzando nello studio e nella reinvenzione e scrittura delle fiabe russe medievali. Si era avvicinato anch’egli, per un certo periodo, alle lotte sociali, ed

6 N. Baranoff-Šestov, Vie de Leon Šestov, 2 voll., La difference, Paris, 1991-1993. 7

L. Šestov, Lettera a A. Remizov, in V. Parisi, Almeno la forma, in L. Šestov, L’eredità fatale.

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17 aveva passato otto anni di galera in Siberia. Nel 1921 abbandonò anche lui la Russia per trasferirsi prima a Berlino, poi a Parigi.

In questo periodo, l’impresa di famiglia torna ad avere gravi problemi economici, e Lev è costretto ad occuparsene di nuovo. Allo stesso tempo, anche il padre si ammala, ed ha bisogno dell’aiuto di tutta la famiglia. La sua vita finora, vissuta in parte da nomade in paesi esteri, in parte cercando di assumere, e tradendo, le aspettative familiari su di lui, diventa base di una sua profonda riflessione sullo sradicamento e sulla mancanza di radici, che pubblica con il titolo L’apoteosi

dello sradicamento. L’opera, una raccolta di aforismi, gode di una certa notorietà

in Russia, anche se molti critici – tra cui lo stesso Berdjaev – la considerano soltanto un’espressione di ironia e di nichilismo, scritta da un brillante stilista.

Nel 1908 l’azienda di famiglia viene trasformata in società per azioni, di cui Lev è amministratore delegato. Questo gli permette di avere più tempo per i suoi studi, e di poter dirigere la ditta paterna anche dall’estero. Esce infatti in questo anno un altro suo volume importante, Principi e fini, in cui è anche contenuto un saggio critico dedicato a Čechov e intitolato Creazione dal nulla. Secondo molti critici russi questo è il miglior saggio in assoluto uscito in lingua russa sull’opera di

Čechov. Nel 1910, Lev fa anche visita allo scrittore che è sempre stato un altro dei suoi punti di riferimento assoluti, Tolstoj, nella sua tenuta di Jasnaja Poliana. Viene accolto in modo cordiale, anche se, alla fine dell’incontro, Tolstoj scriverà una nota non proprio lusinghiera sull’evento. Registra infatti Tolstoj nel suo

Diario8:

Ho ricevuto la visita di Šestov. Non molto interessante. Un letterato, per nulla un filosofo.

Ma anche Šestov, da parte sua, era rimasto deluso dall’incontro: Tolstoj gli era parso infatti, ormai, solo un relitto del passato.

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18 Allo scoppio della prima guerra mondiale, Lev si stabilisce a Mosca, cercando – al contrario di quanto faceva da ragazzo – di non entrare nel dibattito politico. Studia invece Lutero e i mistici medievali; è particolarmente attratto dall’idea del giovane Lutero secondo la quale la salvezza si ottiene non grazie alle buone opere che compiamo in vita, ma soprattutto grazie alla forza della nostra fede. Il figlio Sergej, avuto dalla relazione con la dipendente della sua famiglia, Anjuta Listapopadov, muore in battaglia, e Lev – che si reca invano al fronte per avere il corpo – non saprà nemmeno dove è sepolto. Lev cerca di evitare di partecipare anche al dibattito che porta alla rivoluzione d’ottobre, anche se ha molti amici fra i socialisti. Con l’affermarsi della rivoluzione, la coppia – che oltretutto è malvista perché evita di schierarsi, di affiliarsi e di partecipare – trova sempre più difficile e faticosa la vita a Mosca: Šestov, con la moglie e le figlie, si trasferisce dunque di nuovo a Kiev, dove soggiorna presso la sorella Sofja.

Nel 1919 anche Kiev passa, però, sotto la repubblica sovietica. Šestov ha pronto un nuovo volume per la pubblicazione, Potestas Clavium, ma le autorità sovietiche lo informano che riceverà il permesso di farlo uscire solo se il volume sarà corredato di una prefazione in cui l’autore sostiene il punto di vista del materialismo e del marxismo. Šestov decide quindi di abbandonare definitivamente la Russia. Si reca a Jalta, poi a Costantinopoli e Ginevra. Infine, nel 1921 Šestov – seguendo il destino di tre milioni di russi che abbandonarono la madrepatria, negli anni successivi alla rivoluzione d’ottobre – si stabilisce a Parigi. In Francia partecipa ad un numero speciale della Nouvelle revue française dedicato ai cento anni dalla nascita di Dostoevskij, con un penetrante saggio dal titolo La lotta contro le auto–evidenze. Frequenta i circoli letterari francesi e i gruppi di russi esiliati dalla madrepatria a causa della rivoluzione sovietica.

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19

1.5. Filosofo a Parigi

L’anno successivo, nel 1922, Šestov viene nominato professore di filosofia alla Facoltà russa di lettere presso l’Università di Parigi. Lo stipendio è molto modesto e non basta alle necessità della famiglia. In questi anni incontra lo scrittore romeno Benjamin Fondane, che ha già scritto vari articoli su di lui, e che diventerà suo discepolo. Il pittore Sorin dipinge un suo ritratto, che si trova attualmente presso il Metropolitan Museum di New York. A metà degli anni ’20, Šestov comincia anche a frequentare, a Parigi, la poetessa russa Marina Cvetaeva. La sera del 6 febbraio 1926, infatti, il filosofo assiste alla prima lettura pubblica parigina delle proprie poesie fatta dalla poetessa, e sente subito una profonda unità di interessi e di sensibilità con l’autrice. E’ la stessa sensazione che ha la Cvetaeva, che, in una Lettera di ringraziamento a Šestov di due giorni dopo, l’8 febbraio 1926, scrive 9:

Grazie di essere venuto alla serata. Mi sono rallegrata più di Voi, che di una buona metà della sala.

Uno dei temi più profondi della poesia della Cvetaeva, in questi anni, è l’esilio, l’emigrazione, la perdita dolorosa della madrepatria, della Madre Russia. Scrive infatti la poetessa 10 :

Con una lanterna vado cercando Per tutto il mondo sotto la luna. Quel paese sulle carte

Non esiste, e nemmeno nello spazio. Ho bevuto fino in fondo

Dalla sottocoppa: essa rifulge! Si può tornare

In una terra rasa al suolo.

9 N. Baranoff–Šestov, Vie de Leon Šestov, op. cit. 10

M. Cvetaeva, poesia citata in O. Figes, La danza di Nataša, Storia della cultura russa (XVIII –

(20)

20 La disperazione per l’esilio e la perdita della madrepatria non è, però, un tema così potente in Šestov, o almeno il filosofo non lo lascia trasparire dalla sua scrittura. Con gli anni, infatti, la sua patria è sempre più la sua filosofia, la sua ricerca, il suo domandarsi intorno all’anima dell’uomo e a Dio. Šestov non partecipa così profondamente al dolore per la lontananza dalla Russia, che è così forte nei gruppi di esiliati russi di questi anni, come nell’opera della Cvetaeva. Come dichiarò anche il compositore Rachmaninov, anch’egli un esiliato in questi anni11:

Quando lasciai la Russia, mi lasciai alle spalle anche il desiderio di comporre: perdendo il mio paese, persi anche me stesso .

Il domandarsi di Šestov, invece, come vediamo dalle sue pubblicazioni, sembra essere potenziato dall’esperienza dell’esilio. In molti esiliati, la sofferenza per la lontananza dalla Russia è così forte da spingerli addirittura a rientrare nel paese, anche se è sotto il potere sovietico. Questo significa esporsi ad una vita di povertà e privazione, e mettere a repentaglio l’esistenza stessa. E’ quello che succederà alla Cvetaeva, che decide di rientrare in Russia, ma senza nessuna possibilità di vivere e lavorarvi. La poetessa deciderà di suicidarsi, lasciando al figlio Mur un

Biglietto12 :

Perdonami, ma andare avanti sarebbe peggio. Sono gravemente malata, non sono più me stessa. Ti amo appassionatamente. Devi capire che non posso più vivere. Di’ a papà e ad Alja, se mai li vedrai, che li ho amati fino all’ultimo e spiega che mi trovavo in trappola.

Ma anche Remizov, il vecchio amico di Mosca, aveva deciso di far rientro in Russia.

A partire dal 1928, invece, Šestov è spesso in Germania, invitato dalle società filosofiche dedicate a Kant e Nietzsche per tenere conferenze e seminari. Nell’aprile di quell’anno è anche ad Amsterdam per un convegno dedicato a Plotino, in cui incontra filosofi noti, tra cui Husserl, padre della fenomenologia

11

In O. Figes, op. cit.

(21)

21 novecentesca con cui stringe un forte legame di amicizia. Con Husserl13 in

Ricerche Logiche (1901) è evidente il connubio tra le discipline logico–

matematiche e la prospettiva filosofica, con particolare riguardo per i fenomeni psichici e della coscienza. La sua è quindi, una psicologia descrittiva il cui oggetto di studio è l’erlebnisse (il vissuto). A Friburgo, in novembre, dove è invitato per un convegno su Tolstoj, conosce – ancora a casa di Husserl–, Heidegger, con cui ha una lunga discussione sulla filosofia dell’esistenza. Heiddeger14 è il più importante rappresentante dell’esistenzialismo su base fenomenologica; il suo

Essere e tempo (1927) è considerato una pietra miliare dell’esistenzialismo

moderno. La sua filosofia assume nette connotazioni teologiche in senso panteistico, volta principalmente alla speculazione sull’ente, sull’essere, sull’esistenza dell’uomo nella sua irripetibilità e precarietà. E’ Husserl che consiglia Šestov di studiare Kierkegaard, dato che il filosofo danese si è occupato e ha scritto molto – oltre che su Cristo – sulle stesse figure bibliche che interessano Šestov, Giobbe e Abramo.

Nel 1929, Šestov raccoglie molti dei suoi saggi dedicati a pensatori e scrittori come Pascal, Plotino, Spinoza, Tolstoj, in un volume che intitola Sulla bilancia di

Giobbe. Fa uscire anche una raccolta di aforismi sotto il titolo Audacie e sottomissioni. Poco dopo, le due figlie si sposano. Šestov decide di abbandonare

Parigi e stabilirsi in campagna. Ha dei ricorrenti problemi di salute, motivo per il quale passa ogni estate presso stabilimenti termali. Si ritira sempre di più a vita privata, anche se frequenta amici francesi e rifugiati russi.

L’ascesa del nazismo in Germania, nel 1933, è per lui un avvenimento distante. Nel 1936 pubblica il suo studio dedicato a Kierkegaard e la filosofia esistenziale, che esce direttamente in francese: l’edizione russa sarà pubblicata nella madrepatria, infatti, solo dopo la morte dell’autore. Viene fondato, in Francia, un

Comitato amici di Lev Šestov, che si occupa anche di organizzare le celebrazioni

per i settanta anni del filosofo. Radio Parigi gli chiede di registrare una serie di

13

N. Abbagnano, Storia della filosofia, 3 voll., 2 ed., UTET, Torino, 1969.

(22)

22 conferenze su Dostoevskij. In questo periodo, Šestov si occupa principalmente di filosofia indiana, in particolare di induismo e bramanesimo, in cui trova quella conciliazione con l’esistenza e con il mondo che ha così tanto cercato lungo tutta la sua vita. E’ ancora in quell’anno che Šestov compie un viaggio che ha desiderato fare da sempre. Su invito del Dipartimento di Studi Culturali dell’Università di Gerusalemme, visita infatti la città santa, Tel Aviv e Haifa, e il Monte Oliveto. Al suo arrivo viene salutato come il più grande pensatore ebreo vivente.

Nell’aprile del 1938 muore il grande amico Husserl, e Šestov gli dedica un saggio in ricordo. Esce anche in edizione francese un nuovo volume di studi, Atene e

Gerusalemme, poco prima della morte dell’autore, che avverrà il 20 novembre

1938 alla clinica Boileau, a Parigi. Sul suo comodino ha una Bibbia e un volume sul bramanesimo. L’ultimo suo desiderio, sul letto di morte, è che un rabbino reciti il Kaddish – il poema del lutto secondo la tradizione ebraica – sulla sua tomba.

(23)

23

CAPITOLO 2. ŠESTOV E IL PROBLEMA DELLA

CREAZIONE

2.1. Definizione del problema

Come abbiamo già visto nel capitolo precedente, quindi, uno dei problemi principali che occupano fin dall’inizio il pensiero di Lev Šestov è il problema della creazione, dell’origine dell’essere, dell’ente. E’ quello che Šestov definisce

il mistero dell’essere1, spiegando che:

In esso come un tesoro stregato, la verità sfugge alla nostra presa. E’ chiaro che la verità – intendo dire naturalmente la verità ultima – è un essere vivo, che non se ne sta indifferente e passivo davanti a noi, anch’essa ci segue e ci cerca con attenzione. Può darsi che essa pure sia in attesa, e ci tema.

La verità per Šestov è dunque un essere vivo, vivente: concezione ben diversa da quella della tradizione filosofica classica, quella greca, per la quale la verità è un oggetto, non un soggetto. E la verità principale è la verità dell’essere, ricorda Šestov. Come si dà l’essere? Perché si dà? Quale è il suo inizio? Qual’è la sua essenza?

L’essere si è forse originato attraverso processi meccanici ed automatici, secondo passaggi di prove ed errori, in modo del tutto casuale, come postulava da tempo il pensiero ateo e come lo stesso Darwin credeva di aver dimostrato nella seconda metà dell’ottocento, in un suo volume dedicato proprio al problema dell’origine (L’origine delle specie, Londra, 1859)? Secondo Darwin l’auto–creazione e l’auto–generazione dell’universo e del vivente erano evidenze scientifiche, ormai. Il pensiero di Darwin era ormai un simbolo del razionalismo sviluppatosi nel 1700 e 1800 attraverso il pensiero di Spinoza, Kant e Hegel, ed edificato

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24 sostanzialmente sulle basi del pensiero greco. Si tratta di un complesso nucleo concettuale – quello che va dal razionalismo greco fino all’Illuminismo e ad Hegel – che Šestov ha sempre visto come gravemente fuorviante, e che ha sempre profondamente criticato, in tutta la sua opera. Il pensiero di Hegel2 rappresenta una delle linee di pensiero più profonde e complesse della tradizione occidentale. Partendo dal lavoro dei suoi predecessori nell’idealismo (Fichte e Shelling) e con influenze e suggestioni di altri sistemi di pensiero (come Kant), sviluppò una filosofia, una weltanshauung profonda e articolata. Il pensatore tedesco in

Lineamenti di filosofia del diritto pubblicati nel 1821, scrive3:

Ciò che è razionale è reale. La mia filosofia è la risposta alle domande essenziali poste dai Greci. Conoscere la ragione come la rosa nella croce del presente e in tal modo godere di questo, questa intellezione razionale è la conciliazione con la realtà, che la filosofia procura a coloro, nei quali una volta è affiorata l’intera esigenza di comprendere, e altrettanto di mantenere in ciò che è sostanziale la libertà soggettiva non in un qualcosa di particolare e accidentale, bensì in ciò che è in sé e per sé.

Al pensiero di Spinoza, Šestov dedica proprio un saggio dal titolo I favoriti e i

diseredati della storia. La sorte storica di Spinoza4 . Con la sua equazione fra Dio e natura, infatti, Spinoza non aveva fatto altro che matematizzare Dio, trasformandolo in un oggetto matematico, e togliendogli quello spirito assoluto che la Bibbia descrive. Da qui ad escludere Dio dalla creazione e dalla vita, il passo è breve. Šestov, infatti, scrive chiaramente5 :

Spinoza uccise Dio, vale a dire insegnò agli uomini a pensare che Dio non esiste, che esiste la sostanza, che il metodo matematico è l’unico metodo vero, che la Bibbia, i profeti, gli apostoli non hanno scoperto la verità .

E’ con Spinoza dunque che gran parte del pensiero moderno, che Šestov critica profondamente, si costruisce sui fondamenti della ragione greca. E’ una critica,

2 N. Abbagnano, Storia della filosofia, op. cit.

3 G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma, 1991. 4

L. Šestov, Sulla bilancia di Giobbe, op. cit.

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25 quella al razionalismo, che – come vedremo in questo capitolo – Šestov porta avanti basandosi su due fonti principali: da una parte la Bibbia, dall’altra la grande tradizione narrativa russa. Un lavoro immane: tornare alle origini, criticando tutti i prodotti del pensiero moderno, attraverso quella che Šestov chiamerà filosofia

biblica.

Alla visione razionalista del mondo prodotta nella modernità, infatti, Šestov oppone il punto di vista del credente: l’essere è forse figlio dell’azione di Dio? Il problema della creazione è quindi – secondo Šestov – uno dei problemi principali, se non addirittura il problema principale, della filosofia e dell’esistenza stessa. Dalla posizione su questo problema discende infatti una serie infinita di implicazioni, come per esempio la posizione su di un altro problema capitale per Šestov, il problema del giudizio finale. Da una parte quindi abbiamo il problema dell’inizio del tutto, dall’altra quello della fine. Šestov ricorda infatti che è nel giudizio finale che si decidono l’esistenza o la non esistenza del libero arbitrio, l’immortalità dell’anima, il suo essere o non essere.

Il pensiero del giudizio finale è quindi strettamente legato a quello della creazione. Quale è dunque la natura, il fondamento della creazione? Quale il suo statuto? Qual’è la sua essenza? Il filosofo russo – sia per le sue origini ebraiche, che per la sua posizione di pensatore credente – usa sempre come fonte principale nell’indagine di questo problema la Bibbia. Šestov ha intenzione di dimostrare, attraverso la fonte biblica, che il pensiero antico, con il suo accento sulla razionalità, poi ripresa dal pensiero moderno, porta l’uomo su una strada sbagliata. Nella Bibbia, ricorda Šestov, la storia della creazione è presentata come atto di Dio, e viene narrata due volte. Questa potrebbe sembrare al lettore razionalista, che si ispira alle categorie greche di pensiero, al logos, una contraddizione, e far quindi pensare a quel tipo di lettore che la fonte biblica sia incerta, non sia veritiera o non affidabile. Nel racconto della creazione, inoltre, quando Adamo, così com’è scritto, viveva da solo nell’Eden, Dio gli sottopone

(26)

26

tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, affinché egli, Adamo, dia

loro un nome. Dice infatti la Bibbia6 :

Dio, il Signore, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato. L’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per l’uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui.

Šestov ricorda però chiaramente che quelli che sono considerati i due racconti della creazione non sono due racconti giustapposti di origine diversa, dicotomici, ma rispondono ad un’unica struttura filosofica: il primo, infatti, si prefigge di dare un’immagine complessiva, cosmica della creazione, il secondo un’immagine più specifica. Di fatto i due racconti procedono in parallelo. Quindi sono omogenei, e il racconto della creazione non è affatto contraddittorio. L’episodio del dare un

nome in Genesi 2, infatti, corrisponde a quello, in Genesi 1, dove Dio concede alla

creatura umana di avere dominio sul creato. Di fatto, dare un nome agli essenti (Gen 2, 19–20), nella cultura biblica, designa la facoltà di dominare, di gestire, quella propria di chi, in quanto superiore, esercita una responsabilità. Nel comando di dare un nome, Dio assegna alla creatura umana una podestà, l’affidamento di una responsabilità. Potrebbe farlo Lui stesso, ma Dio delega alla creatura umana di dare un nome. Rispetto a Genesi 1, Genesi 2 spiega come Adamo riceva dominio su ogni animale che si muove sulla terra. Dando personalmente nomi a ciascun animale, Adamo riceve dominio personale su di loro, come Dio aveva deciso.

Dice la Bibbia7:

Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra».

6

Genesi 2, 20-21.

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27 Quindi la creazione, e l’uomo con essa, ricevono la benedizione di Dio. Secondo la Bibbia, inoltre, ricorda ancora Šestov in Principi e fini, Dio crea l’intero universo dal nulla. La creazione è un suo puro atto di libertà, compiuto per amore del creato, e per amore dell’uomo. In principio, infatti, l’uomo è parte integrante della creazione, è impastato con i materiali della creazione, che Dio ha tratto dal nulla. Dio – come abbiamo visto – pone addirittura l’uomo come custode della creazione. E’ questo, secondo Šestov, insieme al concetto di creazione dal nulla, il dato eccezionale della narrazione biblica. Ma questo della creazione dal nulla è un principio che la filosofia e la scienza avevano negato, in quanto impossibile. Il concetto di creazione dal nulla, infatti, non esiste nel pensiero greco. Che il concetto di creazione dal nulla non esista nel pensiero greco ce lo dicono già le molte cosmogonie elaborate nella mitologia greca; la più nota è quella ideata da Esiodo nella Teogonia. Scrive infatti Esiodo8 :

Narrate come in principio nacquero gli dei e la terra, i fiumi, il mare infinito ribollente di flutti,

gli astri brillanti e l’immenso cielo alto[…].

E ancora9 :

All’inizio in primo luogo fu il Caos, poi la terra dal largo seno[...].

Dal Caos nacquero l’Erebo e la nera Notte; poi nacquero l’Etere e il Giorno.

8

Esiodo, Teogonia, Rizzoli, Milano, 1984.

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28

2.2. Due racconti della creazione: quello greco e quello ebraico

L’opera di Esiodo narra dunque che tutto nasce dal Caos originario, non quindi dal nulla, ma da una materia preesistente non specificata, e descrive, in seguito, l’enunciazione delle generazioni degli dei corrispondenti ai tre periodi della storia del mondo: Urano, Crono, Zeus.

In questa concezione greca gli dei discendono da Caos; Urano e Gea danno origine a Crono e ai Titani; il dominio passa poi a Crono, detronizzato a sua volta da Zeus. E’, in altri termini, quanto indica anche la scienza moderna, secondo la quale nulla si crea e nulla si distrugge. Su questo punto, però, Šestov ha una convinzione molto salda, cioè che10:

La filosofia biblica sia assai più profonda e perspicace della filosofia moderna .

Secondo Šestov, quindi, la Bibbia è una fonte assoluta e imprescindibile per quanto riguarda il problema della creazione. Il pensiero greco, che ci descrive la creazione come un mutare di una materia preesistente, è quindi – secondo Šestov – errato e fuorviante, così come la concezione che la scienza ha della creazione. Scrive Šestov11 :

La Sacra Scrittura contiene la verità, è la Verità.

Quello che Šestov individua, dunque, sul problema della creazione è un vero e proprio scontro fra due punti di vista filosofici dicotomici e inconciliabili: il punto di vista che potremmo chiamare razionale, quello della filosofia antica e della scienza, ed il punto di vista della fede. Secondo il primo punto di vista la creazione si conforma in toto alla ragione, alla razionalità e al logos; il logos è quindi conditio sine qua non per la creazione. Secondo il punto di vista della fede, invece, la creazione è incommensurabile. Šestov dedica a questo problema il suo

10

L. Šestov, Sulla bilancia di Giobbe, op. cit.

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29 volume Atene e Gerusalemme, del 1938, dove analizza principalmente le due vie della conoscenza: la via della ragione, propria della filosofia, sorta sulle radici greche, rappresentata da Atene, e la via della fede, rappresentata da Gerusalemme. Sono due principi opposti. La dicotomia è inconciliabile.

E’ chiaro, secondo Šestov, che il punto di vista della fede, il punto di vista di Gerusalemme, è profondamente altro rispetto a quello della razionalità. La comprensione che noi abbiamo del mondo può essere basata infatti solo sul presupposto del credere, della fede, non certo su ragionamenti di carattere logico– sistematico. La verità è qualcosa che può essere compresa solo con la fede. Solo con la fede la creazione ci apparirà come ciò che è più prezioso. Ecco perché Šestov scrive chiaramente12 :

Tutti sanno che la storia è alquanto più importante della verità. Da qui una nuova definizione della verità: la verità è ciò che passa davanti alla storia e di cui la storia non si accorge.

Il filosofo russo vuole quindi farsi difensore del punto di vista del credere, della fede, che, secondo Šestov, è stato oscurato dai presupposti di una filosofia che affonda le sue radici nella lontana antichità greca, e che poi ha fondato la modernità, attraverso il Rinascimento, l’Illuminismo e poi il pensiero di Cartesio, Spinoza, Kant e Hegel, che hanno preso la scienza e le matematiche a modello assoluto del sapere. L’origine della storia, ci dice Šestov, è descritto nella Bibbia – come abbiamo visto nell’apertura di questo capitolo – come un atto in cui l’uomo attinge dall’albero della conoscenza, per sapere ed essere come Dio: questa è dunque la conseguenza della razionalità. La storia, dunque, è consegnata nelle mani di un errore che deve essere superato – l’errore a cui l’uomo è spinto dalla razionalità – per tornare all’unione paradisiaca con il creato. Questo errore, però, è all’origine della storia stessa; quindi il suo superamento non potrà esserci che alla fine della storia, al suo termine definitivo, in un mondo altro.

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30 Il vero punto, secondo Šestov, è quindi scindere nell’esistenza il legame fra razionalità e verità. La filosofia sorge sull’equazione proposta da Socrate, e con lui da tutto il pensiero greco, in cui i termini corrispondenti sono verità, bene e

conoscenza. Ma che tipo di conoscenza è quella di cui parlano i greci? Quale

verità essa presuppone e vuole raggiungere? La verità ricercata dalla filosofia è una verità assoluta e necessaria. Questa è la verità cui tende la ragione umana: una verità dogmatica, meccanica, non soggetta ai cambiamenti, ferma e fondata.

In tal modo, però, la conoscenza vuole escludere Dio dalla creazione. E, così facendo, condanna se stessa, in realtà, ad escludersi dalla creazione. Ecco perché Dio, avvertendo l’uomo di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza, dicendo:

«Nel giorno in cui tu mangerai di esso, tu morirai» (Gen 2, 17).

L’uomo, dunque, dovrebbe comprendere una verità, oscurata da lunghi secoli di ricerche basate sulla ragione: il sapere non giustifica l’esistenza, ma deve trovare esso stesso una giustificazione. L’esistenza è vita, e l’uomo dovrebbe pensare all’interno delle categorie in cui vive, e non vivere chiudendosi entro i limiti delle categorie razionali attraverso le quali è educato a pensare.

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2.3. Allontanarsi da Dio

La razionalità, quindi, ci allontana da Dio. Condanna l’uomo alla solitudine, all’individualità. E’ la razionalità che conduce Eva e Adamo a mangiare i frutti dell’albero del bene e del male, condannando l’uomo alla morte. La razionalità, quindi, ci allontana dalla creazione. Ci condanna ad un mondo di sofferenza, sostanzialmente vuoto di amore. Così Šestov enuncia la necessità di un diverso sapere, di una diversa filosofia, e anche di una diversa filosofia della vita, –di una nuova weltanshauung– che critichi la razionalità e riscopra la creazione. Solo la fede, infatti, ovvero la rinuncia a qualsiasi tentativo di comprensione e manipolazione razionale della creazione, può portare l’uomo a riacquistare l’unione con il divino. E’ una verità, questa, che secondo Šestov era stata profondamente colta dagli scrittori russi, e in particolar modo da Dostoevskij e Tolstoj. Si prenda, per esempio, dice Šestov, il caso del grande racconto tolstoiano

La morte di Ivan Il’ič. Ivan Il’ič13, il determinato giudice di successo, si ammala d’improvviso di una grave malattia. In quel momento, durante una lenta e dolorosa riflessione, egli scopre di non essere più il magistrato di successo, ma solo una creatura morente. La malattia lo allontana dalla famiglia, e la sua prima reazione è di rabbia. I suoi familiari continueranno a vivere, mentre lui è condannato a morire. Perché questa condanna, si chiede? Cosa ha fatto di male? Allo stesso tempo, i suoi familiari sono a disagio ad assisterlo e a stargli vicino. E’ soltanto un semplice contadino a stargli vicino in questo periodo, e che lo assiste in ogni necessità. Ivan Il’ič rimane meravigliato di questo comportamento. Poi, poco prima di morire, finalmente comprende. Siamo solo creature, ed è come creature che dovremmo comportarci nel corso dell’esistenza: con umiltà e amore per la creazione.

Simile a quella di Tolstoj – secondo Šestov – è la visione che ebbe Dostoevskij14 nel suo Memorie di una casa dei morti: è fra i condannati in Siberia, infatti, che

13

E. Logatto, Storia della letteratura russa, Sansoni, Firenze, 2000.

(32)

32 Dostoevskij scopre un profondo amore per Dio, per la creazione, per la Bibbia. Solo nel momento in cui la comprensione giunge a vedere che le evidenze non hanno alcun potere sul mondo, che le verità della ragione sono segni di morte posti dall’uomo sulla vita, solo allora si comprende il più grande degli errori umani: la volontà di non accettare Dio, di volerlo eguagliare e superare. L’uomo si pone in concorrenza con Dio, una concorrenza che il serpente stimola. Ma l’uomo non capisce che Dio ha semplicemente creato tutto per amore, e lo ha donato all’uomo. Dov’è lo spazio per la concorrenza fra uomo e uomo, fra uomo e Dio? Scrive infatti Šestov15:

Dio non esige nulla dagli uomini. Dona soltanto. E nel suo regno, in quel regno che Plotino canta rapito dall’entusiasmo, la parola ‘costrizione’ perde ogni senso. Laggiù, dietro le porte custodite dall’angelo con la spada di fuoco, persino la verità, che secondo noi ha tutto il diritto di esigere obbedienza, rifiuterà di costringere chiunque e accetterà gioiosamente la vicinanza di un’altra e opposta verità[…]. E nel filosofo sboccia il salmista.

Šestov afferma che dunque – come mostra bene il racconto biblico – la nostra ragione ci ha strappati alla partecipazione alla creazione. Ecco perché la maggior parte delle persone razionali, come Ivan Il’ič, non sono persone vive, ma delle ombre. L’uomo libero, partecipe all’atto creativo, aveva il potere di dare nomi

agli essenti. Quest’uomo poteva anche non permettere al male di far ingresso nel

mondo, ma una volta assaggiato il frutto dall’albero della conoscenza, non può che scegliere tra quel bene e quel male che, entrambi, sono fuori dal suo diretto controllo, che hanno un’esistenza da lui indipendente. Il serpente aveva promesso all’uomo che sarebbe diventato come Dio, ma quello che in realtà l’uomo ha ricevuto in eredità è stata la schiavitù dalla sua stessa ragione, chiusa in se stessa.

Gli uomini che non sono capaci di guardare oltre le verità assolute e necessarie, rimangono ancorati ad un mondo in cui è la morte a regnare: qui, al posto di un’etica della vita, è in vigore un’etica del puro e cieco dovere, al posto della fede

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33 nella verità creata, e quindi serva del suo stesso creatore, valgono le sole dimostrazioni scientifico –razionali.

Šestov insiste sul fatto che nella Bibbia ogni male umano è derivato dalla conoscenza: infatti, nel corso della sua opera, incessantemente cita le parole di Paolo:

«Tutto quello che non viene dalla fede è peccato» (Rm 14, 23).

I precetti paolini accompagnano tutta la trattazione: Šestov, infatti, richiama l’attenzione del lettore sull’esegesi che Paolo dà del cammino di Abramo verso la terra promessa. Questi, infatti, non sapeva dove stava andando: il che significa che solo colui che è libero da ogni sapere può conquistare la terra promessa. Dio stesso, infatti, non sa niente, ma crea tutto. Così anche Adamo, quando ancora viveva del giardino paterno, partecipava alla creazione, del tutto privo del sapere, inteso come sapere delle verità assolute e necessarie, le verità della ragione, del logos.

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2.4. Liberarsi dalla ragione

Per liberarci dalle catene della necessità e approdare verso l’unica fonte della verità, verso quell’inizio incondizionato che l’umanità sembra aver abbandonato, dobbiamo quindi – dice Šestov– innanzitutto sbarazzarci dalle categorie tipiche del pensiero greco. E’ necessario compiere una lotta contro le evidenze.

Šestov sostiene che all’interno della storia della filosofia, più volte si è giunti alla crisi di tali categorie: Plotino e Nietzsche sono i due nomi preponderanti in tal senso. Tuttavia, il pensiero umano sembra non essere ancora in grado di oltrepassare la barriera della conoscenza. Forse è la stessa storia a non poter offrire altra comunione con quel sublime inizio che è contemplato nella fede, in attesa della visione che si darà alla fine dei tempi.

Quello che dunque l’uomo può fare qui ed ora è semplice: bisogna imparare a domandare, senza poter sempre rispondere, bisogna credere, senza addurre certezze a fondamento della fede, bisogna imparare a vivere, senza lasciarsi tentare dalla serietà delle lapidarie conoscenze scientifiche, senza adorare la

scienza.

Grande lettore e ammiratore di Dostoevskij, Šestov ricorda bene le pagine dei

Fratelli Karamazov16 in cui lo starec descrive i pericoli che si preannunciano nelle teorie teocratiche, riportate in un articolo di Ivan Karamazov. Se, infatti, lo stato deve rimettersi al potere della chiesa, che a sua volta lo esercita, si rischia che la chiesa stessa si trasformi in uno stato totalitario, cancellandone il vero significato spirituale.

Secondo Šestov, al contrario, solo l’uomo in quanto singolo, nell’intimo raccoglimento con se stesso – come suggerisce anche Kierkegaard, un altro grande maestro di Šestov–, può raggiungere la fede, la comunità. Solo fede e speranza salvano l’uomo dal mondo delle verità morte e vuote. E’ un cammino,

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35 quello proposto da Šestov, che può portare invece alla gioia. E’il cammino che porta alla comprensione finale di Ivan Il’ič.

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2.5. Tornare alla creazione

Negli ultimi momenti, Ivan Il’ič torna a vedere la creazione con occhi nuovi. E’ la creazione biblica, la creazione dal nulla, quella a cui egli torna. Il concetto di creazione dal nulla è dunque originario dell’ebraismo, quell’ebraismo che Šestov aveva imparato dal padre, e a cui resta fedele per tutta la vita. Quell’ebraismo secondo il quale la creazione è dono, compiuto per generosità. Nessun’altra cultura antica ha quest’idea. Solo la Genesi; la creazione è pensata ed espressa come un atto libero sovrano. La creazione è dunque pensata come un dono, come manifestazione e come espressione di bellezza e di eccellenza. L’uomo è manifestazione dell’Assoluto, perché unico, fra tutte le creature, è creato ad

immagine e somiglianza dell’Assoluto. L’origine della creazione –poiché ciò non

è né una mancanza, né un bisogno, né un divenire della divinità–, è l’amore di Dio. Il pensiero ebraico distingue con cura tra l’Essere assoluto e il mondo fisico, afferma la realtà del mondo fisico e la realtà dell’Essere assoluto, distinto dal mondo fisico. Bisogna dunque distinguere nettamente due specie di esseri: l’essere increato e l’essere creato. E’ l’idea di creazione. Quali sono gli aspetti principali di questa idea di creazione? Qual’è l’essenza della creazione?

Il primo aspetto è che il mondo fisico, con tutto quello che contiene, esiste obiettivamente. E’ reale. Non è un sogno, né un’apparenza, né un’illusione –a differenza di quello che pensa molta parte del pensiero orientale, che Šestov studia con molta attenzione–. L’idea della creazione del mondo e degli esseri ha senso solamente se il mondo esiste realmente, esso e tutti gli esseri, gli enti che racchiude.

Un altro aspetto importante è che l’universo fisico non è l’essere assoluto e non è autosufficiente. L’universo fisico in questa tradizione è de–divinizzato, desacralizzato. Esso è, ma non è l’essere assoluto. Non è sufficiente a se stesso e per esistere ha bisogno di ricevere l’essere da Colui che, solo, può darglielo: lo stesso essere assoluto, Dio.

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37 Ultimo aspetto centrale è l’idea che nella creazione, nella tradizione biblica, Dio, per dare l’essere al mondo, non è partito da una materia preesistente, né da un

Caos originario.

Questo mito del Caos originario, come il mito greco narrato da Esiodo, gli ebrei lo conoscevano molto bene e l’hanno espressamente e totalmente respinto. La Bibbia infatti parla di creazione di una terra deserta e vuota, a cui poi Dio dona piante e animali.

L’idea della creazione significa, soprattutto, che l’universo non è originato dalla sostanza divina. Non è fatto con la sostanza divina. Gli esseri del mondo iniziano ad esistere, assolutamente, perché sono stati creati. L’idea di creazione implica dunque un inizio dell’essere in maniera assoluta, senza nessuna preesistenza. Inoltre la creazione del mondo e degli esseri che lo popolano non determina, non implica nessuna trasformazione in Dio né implica alcuna modificazione in Dio.

L’ idea della creazione significa ancora che gli esseri, gli enti che costituiscono il mondo sono creati quale dono benevolo di Dio, per un atto di generosità, di liberalità, in modo che Dio, il Creatore, potrà essere chiamato padre, poiché egli dà la vita liberamente e per bontà. Il mondo è stato creato non per una necessità e nemmeno perché si originino conflitti. Dio è pace in sé. Per questa ragione nella tradizione ebraica, la creazione fisica è sempre considerata eccellente, stupenda, meravigliosa. Al contrario, nelle metafisiche e ontologie dell’oriente e della Grecia antica – come sottolinea Šestov nei suoi studi dedicati a Plotino – l’accento è in genere messo sul carattere illusorio e desolante del mondo; la liberazione è vista come fuga dal mondo sensibile; la stessa esistenza sensibile è, considerata come cattiva, penosa, colpevole. Nella tradizione ebraica, al contrario, l’esistenza cosmica, fisica, biologica, è considerata come giubilo. Tutti gli esseri creati esultano a causa della loro esistenza e lodano l’unico Creatore. L’esistenza è sempre considerata un bene e la non esistenza un male. L’esistenza è amata, approvata e non disprezzata. Ed è amata perché il Creatore stesso la ama e la

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