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CAPITOLO 4. ŠESTOV SULLA BILANCIA DI GIOBBE

4.3. Il libro dei libri

Più volte nel corso della sua opera Šestov definisce la Bibbia Il libro dei libri. Perché lo definisce così? Semplicemente perché secondo Šestov, così come per Kierkegaard, la Bibbia è superiore a ogni libro di filosofia, in quanto non tenta – come i libri di filosofia – di eliminare o spiegare le contraddizioni dell’essere, o di ricondurle ad un sistema. Sarebbe un tentativo inutile e falso. Il tentativo di rendere razionale il tutto è il tentativo di Hegel, e rappresenta una bestemmia per Šestov, un secondo peccato originale. Kierkegaard – scrive Šestov – scambiò Hegel e il simposio greco con i discorsi esasperati di Giobbe.

La Bibbia narra invece le contraddizioni, consapevole del fatto che esse potranno trovare il loro scioglimento solo in Dio. Basta prendere la storia di Abramo, studiata così a lungo da Šestov. L’elemento tragico caratteristico dell’esistenza umana, trattato da Kierkegaard nella sua opera Timore e tremore attraverso la straordinaria esperienza di Abramo, è il risultato dell’inconciliabile conflitto tra volontà morale e fede religiosa, cioè tra sfera etica e sfera religiosa. Abramo è la figura emblematica della situazione esistenziale dell’individuo oppresso da questo conflitto interiore:

E Dio tentò Abramo e gli disse: «Prendi Isacco, il tuo unico figlio che tu ami,e va nella terra di Moria e sacrificalo ivi in olocausto sul monte ch’io ti mostrerò» (Gen 22,1 sgg.).

Questo conflitto particolare si può avere solo nella vita religiosa, l’ultimo dei tre fondamentali stadi sul cammino della vita – o sfere d’esistenza– che suddividono un itinerario individuale; gli altri due stadi, quello estetico e quello etico, sono disprezzati, dal filosofo danese, per la mancanza di fede che vi è in essi: senza questo sacro vincolo che unisca l’umanità la vita risulta vuota, pura disperazione dovuta al senso di finitezza provato da ogni individuo che si rapporta solo a se stesso e non con l’Assoluto. Abramo infatti è colui che ha amato Dio e per questo è diventato più grande di tutti, ha creduto e non ha dubitato, ha creduto

76 nell’assurdo, è il singolo che si è posto dinanzi all’Assoluto: è questa la conquista dell’infinità che non si raggiunge se non attraverso la disperazione.

Gli aspetti tragici presenti nella vicenda del patriarca sono i seguenti: Abramo deve compiere un salto nel buio, deve credere nell’assurdo, infatti si ha un’incomunicabilità con Dio, il rapporto tra singolo e Assoluto si sviluppa in modo unidirezionale. Ma che cosa ha fatto Abramo? Egli credeva in virtù dell’assurdo, poiché qui non ci potrebbe essere questione di calcolo umano, e l’assurdo era che Dio, il quale esigeva questo da lui – l’uccisione di Isacco –, un istante dopo avrebbe revocato la richiesta. Per giungere a un tale livello di fede occorre elevarsi ad uno stato di rassegnazione infinita, che comporta l’annullamento di tutto ciò che è umano, e il conseguente allontanamento dalla vita naturale. Altro elemento tragico di questa condizione è la solitudine, l’isolamento dalle altre persone. Il cavaliere della rassegnazione deve concentrarsi sul suo unico desiderio di fede senza parlare con nessuno, la sua scelta è soggettiva, il paradosso della fede è incomunicabile e incomprensibile, perché dipende da un rapporto assoluto tra individuo e Dio: proprio questo carattere paradossale è l’ essenza del cristianesimo. La fede è il paradosso per cui il singolo è più alto del generale, cioè della morale, e in questa sua determinazione per Abramo non c’è un punto di mediazione. Un simile rapporto verso la divinità è sconosciuto al paganesimo. L’eroe tragico non si presenta con un rapporto privato alla divinità, l’eroe tragico è individualità che agisce sempre entro un contesto etico collettivo. Appena parla–dice Abramo– esprime il generale e se lo fa nessuno lo capirebbe; infatti è al di là della morale e per questo motivo si può dire che egli non può parlare, ma non può nemmeno lamentarsi o piangere con qualcuno, come invece può fare l’eroe tragico Agamennone sia con la moglie Clitemnestra sia con la figlia, e prossima vittima, Ifigenia.

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Il cavaliere della fede ha per appoggio unicamente se stesso e soffre il dolore di non poter farsi comprendere dagli altri … .

77 Il fatto che per Abramo non ci sia una determinazione intermedia del paradosso lo porta ad essere o assassino o credente e ciò aumenta la tragicità della vicenda; infatti il patriarca oltre ad essere al di là della morale e a dover compiere una scelta verso l’assurdo, non ha nemmeno la certezza che l’azione che compie sia quella giusta, sia quella che conduca alla salvezza, mentre l’eroe tragico scambia solo il certo per il più certo.

Questo conflitto tragico non è mai superabile, infatti10 :

Il cavaliere della fede la prova è continua e ad ogni momento c’è la possibilità di pentirsi e di far ritorno al generale; su questo punto egli non può chiedere spiegazione alcuna a nessuno, perché allora egli abbandona il paradosso.

Per l’eroe tragico la tragicità dell’esistenza è limitata, finita, per Abramo no, è sempre in tensione.

Molti pensatori che hanno criticato la Bibbia, considerandola un prodotto narrativo dell’uomo e non di Dio, lo hanno fatto sulla base delle incoerenze e delle contraddizioni dei testi biblici. Šestov è molto chiaro su questo: quelle incoerenze e contraddizioni, al contrario, indicano proprio la verità della Bibbia. Scrive Šestov11 :

Ma, se le cose stanno così, per quale strano azzardo il racconto del peccato originale ha potuto insinuarsi nella Bibbia? E perché la Bibbia comincia rivelando agli uomini queste verità del tutto incomprensibili alla loro ragione, ossia che i concetti di bene e di male sono di fatto completamente illusori[…]. Che il primo uomo, ignorando la legge, non distingueva il bene dal male e che, quando colse e assaggiò il frutto dell’albero della conoscenza, quando cioè cominciò a distinguere il bene dal male, ricevette ‘la legge’ e con la legge anche la morte?

Nell’ultimo Šestov, infatti, si accentua ancora di più l’opposizione fra

speculazione e rivelazione, i due termini attraverso i quali il filosofo russo ha

sempre visto la possibilità della conoscenza umana. Le opere di filosofia sono

10

Ibidem.

78 prodotti della speculazione. La speculazione coincide con l’attività razionale ed è, alla fine, il peccato originale: la convinzione umana che grazie alla ragione tutto sia comprensibile e riproducibile. E’ invece solo alla rivelazione che l’uomo può e deve affidarsi. Šestov aveva trovato questa concezione della rivelazione non solo nella Bibbia, ma anche in Plotino. Scrive infatti Plotino:

[In questo mondo delle Forme] ogni cosa sovrabbonda e, in qualche

maniera, ribolle. Vi è come un flusso che sgorga da una fonte unica, eppure non come se esse derivassero da un soffio o da un calore unici, ma piuttosto come se esistesse una determinata qualità unica che possedesse e custodisse in sé tutte le qualità: quella della dolcezza mescolata con quella del profumo, e il sapore del vino insieme alle proprietà di tutti i succhi e alle visioni dei colori e a tutto ciò che le sensazioni tattili insegnano a conoscere; vi si troverebbero anche tutte le sensazioni uditive, tutte le melodie, tutti i ritmi (Enneadi VI

,7, 12, 22-30).

E’ per questo che Šestov definisce nella sua Eredità fatale Plotino padre del

misticismo europeo.

Questa è dunque la rivelazione che l’uomo deve seguire, secondo Šestov. La

rivelazione sulla cui base sorge la filosofia esistenziale. Un nuovo errore, secondo

Šestov, è che la filosofia esistenziale possa diventare antropocentrica, basata sull’uomo. La filosofia esistenziale, invece, come nella Bibbia e in Plotino, non può che essere basata sull’Uno, sulla visione dell’Uno. Il soggetto principale della filosofia esistenziale, infatti è la fede. Per questo Šestov non si stanca mai di ricordare una frase centrale di Kierkegaard secondo la quale il contrario del peccato non è la virtù, ma la fede. E’ la filosofia della rivelazione che Šestov oppone alla filosofia speculativa. E il racconto di questa filosofia della rivelazione si trova nella Bibbia, il miglior libro possibile di filosofia.

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CAPITOLO 5. ŠESTOV, L’ESISTENZIALISMO, IL PENSIERO

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