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CAPITOLO 2. ŠESTOV E IL PROBLEMA DELLA CREAZIONE

2.5. Tornare alla creazione

Negli ultimi momenti, Ivan Il’ič torna a vedere la creazione con occhi nuovi. E’ la creazione biblica, la creazione dal nulla, quella a cui egli torna. Il concetto di creazione dal nulla è dunque originario dell’ebraismo, quell’ebraismo che Šestov aveva imparato dal padre, e a cui resta fedele per tutta la vita. Quell’ebraismo secondo il quale la creazione è dono, compiuto per generosità. Nessun’altra cultura antica ha quest’idea. Solo la Genesi; la creazione è pensata ed espressa come un atto libero sovrano. La creazione è dunque pensata come un dono, come manifestazione e come espressione di bellezza e di eccellenza. L’uomo è manifestazione dell’Assoluto, perché unico, fra tutte le creature, è creato ad

immagine e somiglianza dell’Assoluto. L’origine della creazione –poiché ciò non

è né una mancanza, né un bisogno, né un divenire della divinità–, è l’amore di Dio. Il pensiero ebraico distingue con cura tra l’Essere assoluto e il mondo fisico, afferma la realtà del mondo fisico e la realtà dell’Essere assoluto, distinto dal mondo fisico. Bisogna dunque distinguere nettamente due specie di esseri: l’essere increato e l’essere creato. E’ l’idea di creazione. Quali sono gli aspetti principali di questa idea di creazione? Qual’è l’essenza della creazione?

Il primo aspetto è che il mondo fisico, con tutto quello che contiene, esiste obiettivamente. E’ reale. Non è un sogno, né un’apparenza, né un’illusione –a differenza di quello che pensa molta parte del pensiero orientale, che Šestov studia con molta attenzione–. L’idea della creazione del mondo e degli esseri ha senso solamente se il mondo esiste realmente, esso e tutti gli esseri, gli enti che racchiude.

Un altro aspetto importante è che l’universo fisico non è l’essere assoluto e non è autosufficiente. L’universo fisico in questa tradizione è de–divinizzato, desacralizzato. Esso è, ma non è l’essere assoluto. Non è sufficiente a se stesso e per esistere ha bisogno di ricevere l’essere da Colui che, solo, può darglielo: lo stesso essere assoluto, Dio.

37 Ultimo aspetto centrale è l’idea che nella creazione, nella tradizione biblica, Dio, per dare l’essere al mondo, non è partito da una materia preesistente, né da un

Caos originario.

Questo mito del Caos originario, come il mito greco narrato da Esiodo, gli ebrei lo conoscevano molto bene e l’hanno espressamente e totalmente respinto. La Bibbia infatti parla di creazione di una terra deserta e vuota, a cui poi Dio dona piante e animali.

L’idea della creazione significa, soprattutto, che l’universo non è originato dalla sostanza divina. Non è fatto con la sostanza divina. Gli esseri del mondo iniziano ad esistere, assolutamente, perché sono stati creati. L’idea di creazione implica dunque un inizio dell’essere in maniera assoluta, senza nessuna preesistenza. Inoltre la creazione del mondo e degli esseri che lo popolano non determina, non implica nessuna trasformazione in Dio né implica alcuna modificazione in Dio.

L’ idea della creazione significa ancora che gli esseri, gli enti che costituiscono il mondo sono creati quale dono benevolo di Dio, per un atto di generosità, di liberalità, in modo che Dio, il Creatore, potrà essere chiamato padre, poiché egli dà la vita liberamente e per bontà. Il mondo è stato creato non per una necessità e nemmeno perché si originino conflitti. Dio è pace in sé. Per questa ragione nella tradizione ebraica, la creazione fisica è sempre considerata eccellente, stupenda, meravigliosa. Al contrario, nelle metafisiche e ontologie dell’oriente e della Grecia antica – come sottolinea Šestov nei suoi studi dedicati a Plotino – l’accento è in genere messo sul carattere illusorio e desolante del mondo; la liberazione è vista come fuga dal mondo sensibile; la stessa esistenza sensibile è, considerata come cattiva, penosa, colpevole. Nella tradizione ebraica, al contrario, l’esistenza cosmica, fisica, biologica, è considerata come giubilo. Tutti gli esseri creati esultano a causa della loro esistenza e lodano l’unico Creatore. L’esistenza è sempre considerata un bene e la non esistenza un male. L’esistenza è amata, approvata e non disprezzata. Ed è amata perché il Creatore stesso la ama e la

38 vuole. L’esistenza degli esseri è dichiarata a più riprese molto bella e molto buona.

Autori come Nietzsche – un autore che Šestov ha studiato in modo approfondito – e altri hanno diffuso l’idea che il sentimento di colpevolezza e di disprezzo verso il mondo sensibile e l’esistenza fisica ci vengano dalla tradizione giudeo– cristiana. Ma secondo le fonti bibliche, è vero proprio il contrario. Se da qualche parte nella storia del pensiero umano sono apparsi l’idea della radicale eccellenza dell’esistenza fisica, cosmica, sensibile, materiale e il giubilo dell’esistenza creata, se da qualche parte l’ottimismo fondamentale è apparso nel pensiero umano, lo è proprio espresso nel pensiero ebraico.

Un’ultima questione importante è relativa al concetto di tempo. Il pensiero ebraico biblico intende la temporalità come irreversibile. Essa rifiuta l’idea del ciclo cosmico continuo ed eterno, tipico di molte altre culture orientali. Sono gli ebrei che hanno inventato, se così può dirsi, l’idea a noi familiare del tempo suddiviso nelle tre dimensioni di passato, presente e futuro. La creazione è irreversibile e lo è, quindi, anche il tempo poiché il tempo è solo una nozione astratta per indicare il progresso della creazione, irreversibile e diretta verso un termine definitivo. Proprio in quanto prodotto divino, la creazione è inoltre – secondo Šestov – per l’uomo incomprensibile.

Ma se la creazione è un atto di Dio, compiuto per amore del creato, perché esiste il male? E’ anch’esso prodotto della volontà di Dio? Quale è la posizione del male all’interno della creazione? Il male, infatti, è radicato nella creazione, o esterno ad essa? Perché, nella creazione, hanno spazio il dolore, la sofferenza? Secondo la

Bibbia, infatti, la creazione è totalmente buona, in quanto prodotto della volontà

divina. Perché allora il male, la sofferenza? Šestov propone come risposta a questo problema abissale una lettura, un’esegesi molto particolare del racconto biblico della tentazione. Il male, infatti, non viene da Dio, ma dalla volontà dell’uomo, dal suo desiderio, dalla sua curiosità. Dio ha posto l’uomo al centro della sua creazione, ma è stato l’uomo a volersene allontanare. E’ infatti la

39 volontà dell’uomo, il suo libero arbitrio a portare il male nella creazione, attraverso il desiderio umano di essere Dio, di avere la consapevolezza di Dio, di voler mangiare i frutti dell’albero del bene e del male per essere come Dio. Desiderando questo, e compiendolo, l’uomo non accetta la creazione di Dio, la rifiuta, la nega, introduce in essa uno squilibrio, un vuoto e un principio di instabilità: e apre la strada al male. Lo crea. Si allontana dalla creazione. Il male è dunque, in qualche modo, creazione dell’uomo. Il male non proviene nemmeno dal serpente in quanto tentatore: è l’uomo, infatti, che accoglie la tentazione, che avrebbe potuto negare, respingere. Nella Bibbia, spesso, infatti, ricorda Šestov, sembrano convivere due punti di vista differenti: la visione del peccato originale che proviene dal serpente attraverso la donna, ma anche la visione del peccato originale come desiderio autonomo dell’uomo di superare Dio. Scrive infatti la

Bibbia17 :

[15] Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

[16] Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino.

[17] Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».

L’uomo, però, fin dall’inizio non si sente vincolato dal divieto di Dio. Dice infatti ancora la Bibbia18:

[8] Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.

[9] Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?».

[10] Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».

[11] Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».

17

Genesi 2, 15.

40 Si tratta di un passo apparentemente semplice, e universalmente noto, come ricorda Šestov, ma in realtà estremamente complesso, da leggere ed interpretare in modo approfondito. La sua esegesi è estremamente difficile .Un passo talmente ricco di senso da far pensare, dice Šestov, che il raccconto del peccato originale non sia stato inventato dagli ebrei, ma che essi lo abbiamo ricevuto attraverso una di quelle vie sulle quali le teorie più aggiornate della conoscenza non potranno certo informarvi. Scrive infatti Šestov 19:

[...]. Decine, centinaia di milioni di uomini hanno conosciuto e conoscono questo passo della Sacra Scrittura, che parla del peccato originale; ma, quanto a capirlo, nessuno lo capisce, ed ancora più difficile è capire perché ci sia stato rivelato un mistero che, rivelato, ci resta nondimeno oscuro. I teologi, anche sant’Agostino, l’hanno sempre temuto e, invece di leggere quello che è scritto nella Bibbia, cioè che l’uomo è diventato mortale perché assaggiò il frutto dell’albero della conoscenza, hanno detto che l’uomo lo è diventato perché disobbedì a Dio. Altri hanno semplificato le cose in modo ancora più rozzo e hanno visto il peccato originale nella concupiscientia a cui si sarebbe abbandonato Adamo, sedotto da Eva.

Šestov coglie invece con grande chiarezza, nel corso del suo ragionamento, il cuore del problema 20:

Il fatto essenziale è che nel frutto dell’albero della conoscenza, che nell’Eden si trovava accanto all’albero della vita, si annidava, ineluttabile, la morte. E Dio mise in guardia l’uomo contro questo pericolo, ma invano. Dopo aver mangiato il pomo e ‘conosciuto’ di essere nudo, e che era necessario vergognarsi della propria nudità, l’uomo non poteva più non avere vergogna: allo stesso modo, dopo aver ‘conosciuto’ che esiste la morte, egli non poteva più sfuggire alla sua morsa. Quindi non è stato Dio a ‘condannare’ l’uomo; Dio si è limitato a formulare in parole ciò che è avvenuto fuori di lui. L’uomo stesso ha consumato la propria perdita.

Questo è il punto centrale secondo Šestov: la scelta umana, la libertà umana,il libero arbitrio, la ragione umana. Ed è per essa e con essa che l’uomo si è allontanato dalla creazione.

19

L. Šestov, Sulla bilancia di Giobbe, op cit.

41 Continua infatti il filosofo russo21:

(L’uomo)[…]. Ha creduto che la conoscenza avrebbe aumentato la sua potenza, ed è diventato colui che conosce, ma che è limitato e mortale. E più ‘sa’, più è limitato. L’essenza del sapere è nella sua limitazione. E’ questo il senso del racconto biblico.

Il peccato originale è dunque un peccato dovuto alla conoscenza, alla ragione.

Scrive Šestov22 :

La ragione ha condotto l’uomo sulla vetta di un monte e, mostrandogli il mondo intero, gli ha detto: «ti darò tutto questo se, cadendo ai miei piedi, tu mi adorerai». L’uomo l’ha adorata e ha ottenuto ciò che gli è stato promesso, anche se non interamente tutto, in verità. Da allora il primo dovere dell’uomo è quello di adorare la ragione. Ci riesce addirittura inconcepibile, ossia impossibile da pensare, che con la ragione possa esistere un altro rapporto. Per ciò che riguarda Dio, esiste un comandamento: amerai il tuo Dio con tutto il cuore e tutta la tua anima. La ragione ne fa a meno[ ...]. Tutti accettano che la ragione giudichi, senza che essa stessa venga sottoposta a giudizio.

21

Ibidem.

42

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