• Non ci sono risultati.

Il discorso di Plotino secondo Šestov

CAPITOLO 3. GLI STUDI SUL PENSIERO ANTICO: ŠESTOV E PLOTINO

3.6. Il discorso di Plotino secondo Šestov

Plotino, secondo Šestov, porta quindi Atene verso Gerusalemme, avvicina Atene a Gerusalemme. Prende quindi la tradizione filosofica greca, basata sulla razionalità, sul logos e la subordina ad una tradizione diversa, basata invece sul seguire l’unità del divino, e sulla critica al razionalismo. Il pensatore greco, con la sua filosofia, lotta contro le evidenze; e quella contro le evidenze, abbiamo visto nei capitoli precedenti, è la stessa battaglia di Šestov. La comprensione del tutto, per Plotino, non si svolge per momenti razionali, ma per una improvvisa illumi

nazione. Le evidenze sono un ostacolo a questa comprensione, a questa illuminazione. Questo è il motivo principale per cui Plotino è un filosofo così

centrale per il pensatore russo: Šestov riconosce infatti in lui un precursore, un padre. Il saggio di Šestov sopra citato, Discorsi esasperati. Sulle estasi di Plotino, è infatti tutto teso a dimostrare, almeno nella parte iniziale, come e quanto la filosofia plotiniana critichi la forma mentis della razionalità. Anche l’opera più completa di Šestov dedicata a Plotino, L’eredità fatale, segue questo approccio. Scrive infatti Šestov8 :

Riprendiamo le parole di Plotino che ho appena citato: ‘Finché è nel corpo, l’anima dorme di un sonno profondo’. Queste parole sono la chiave della sua filosofia. Possiamo forse considerarle un’affermazione di ordine scientifico? Voglio dire, possiamo conciliarle con le affermazioni a cui pervengono le altre scienze? Il ‘principio di non contraddizione’ a cui, come si sa, spetta il controllo ultimo dei nostri giudizi, accetterà di dichiarare vero questo giudizio e di permettergli di circolare liberamente fra gli uomini sull’esempio delle altre verità?

Ecco che Šestov apre il suo saggio dedicato a Plotino indicando subito il fatto che – come abbiamo visto finora – l’autore delle Enneadi esprime posizioni che – come fanno certi personaggi di Dostoevskij, come fa l’uomo del sottosuolo – superano la razionalità e il principio di non contraddizione. Per Plotino la verità è una rivelazione improvvisa, una luce, un’apertura. E’ quello che egli definisce –

58 come sottolinea più volte Šestov – il confondersi con la divinità: la visione del divino che diventa scopo ultimo della filosofia. Il Plotino di Šestov è dunque un Plotino mistico, il Plotino che – dice ancora Šestov – rinnega il logos, critico della ragione. Come Abramo, come Giobbe.

Nel conflitto aperto con la ragione, in cui alla fine il nulla ci sta di fronte e con esso l’angoscia, Šestov incontra poi anche Kierkegaard, che il filosofo russo vede come un seguace di Plotino. Quando si guardano in faccia il dolore, la nausea della vita e la morte stessa, come Giobbe, la disperazione e l’angoscia, come Kierkegaard, ci si trova ricchi solo della propria sofferenza. Allora dobbiamo chiederci da quale parte penderà la bilancia di Giobbe; il peso della nostra sofferenza riuscirà a sollevare il piatto in cui sarà gettata tutta la saggezza del mondo? O forse, l’uomo dovrà accettare il giogo della ragione, rassegnarsi alla propria sventura perché, come insegna Spinoza, 9l’uomo non deve ridere, piangere, né indignarsi, ma capire?

Šestov richiama il Kierkegaard de La ripresa10, là dove il filosofo danese osserva:

Giobbe fu benedetto, tutto gli fu reso doppio. Questo è ciò che si chiama ripetizione; la ripetizione dunque esiste.

Ma quando e come può accadere? –si chiede Šestov con Kierkegaard11 –:

E’ difficile spiegarlo con le parole umane. Quando si è prodotta per Giobbe? Quando ogni creatura, ogni probabilità umanamente pensabile provano la sua impossibilità. Soltanto l’orrore giunto alla disperazione sviluppa nell’uomo le sue forze più alte.

All’inizio Giobbe sembra quasi trattenere queste grida, poi, invece, man mano che le sciagure si moltiplicano e s’ingigantiscono, si solleva la tensione

9 N. Abbagnano, Storia della filosofia, op. cit. 10

L. Šestov, Kierkegaard e la filosofia esistenziale, Bompiani, Milano, 2009.

59 dell’indignazione e dei pianti repressi, spezzando la dura scorza delle evidenze che paralizzano la sua libertà. Šestov dice, infatti12:

Il significato di Giobbe sta precisamente in questo: che egli non sfoga il patetico della libertà in false consolazioni. La benevolenza e la sapienza parlano per bocca degli amici di Giobbe; eppure essi non solo non riescono a calmarlo, ma lo irritano ancora di più. Ogni tentativo di spiegare la disgrazia non faceva che aggravarla agli occhi di Giobbe; non sapeva proprio che farsene delle spiegazioni e delle consolazioni.

Giobbe invece cerca salvezza nell’invocazione a quel Dio che giunge a rendergli il doppio di quanto ha perduto. Secondo Šestov solo nell’abisso insondabile della disperazione e dell’angoscia il pensiero stesso si trasforma; solo là può essere compreso il senso delle parole enigmatiche del salmista de profundis ad te,

Domine clamavi.

Nella perdita di questa facoltà del clamare risiede quanto di più desolante è accaduto nel pensiero moderno. Solo nell’abisso, nel tremore e nella sofferenza insorgono le domande ontologicamente decisive, ed è qui che l’interrogazione di Giobbe s’incontra con l’interrogazione filosofica. Šestov si chiede in proposito di che cosa sono fatte le domande, segno dell’umana forza investigativa, ma anche della sua limitatezza.

Šestov propone invece una filosofia esistenziale profondamente unita alla fede, che cerca non la comprensione ma la vita, che non è riconoscimento teorico o pratico dell’ordine della realtà, ma sforzo di liberazione dalla necessità e raggiungimento della vita. In tale prospettiva la fede diviene la dimensione costitutiva del pensiero e impone il confronto con Giobbe e con il suo Dio. Šestov giunge così ad affermare in Atene e Gerusalemme13, con Giobbe e con Plotino:

Dio esige sempre da noi l’impossibile e principalmente in questo sta la differenza fra Dio e gli uomini. O forse il contrario, la somiglianza: non è detto che Dio ha creato l’uomo a sua immagine? E l’uomo si

12

L. Šestov. Sulla bilancia di Giobbe, op. cit.

60

rivolge a Dio soltanto quando desidera l’impossibile. Per ottenere cose possibili si rivolge ai suoi simili.

61

Documenti correlati