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Rassegna storica salernitana. A.3, n.1(1939)

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A N N O 111 - N. i N O V E M B R E 1939-XVIII

S p e d iz io n e in ab bonam ento p ostale

------ . 4 \ \ * \ W ‘\ 351

R A S S E G N A STORICA

SALERNITANA

D ir e tta da A N T O N I O M A R Z U L L O A C U R A D E L L A S E Z I O N E D I S A L E R N O D E L L A R . D E P U T A Z I O N E N A P O L E T A N A D I S T O R I A P A T R I A

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S O M M A R I O

G. P atroni - Vasi pestarli (continuazione e fine) . Pag. 3

A. Sorrentino - Ancora della Tavola Amalfitana e

del volgare primitivo nel Salernitano . . . » 37

'Varietà. - Pompei ed i Cristiani (M. Della Corte) . » 62

— U Insigne Accademia Salernitana degli Immaturi

(R. Guariglia) . . . . . . . » 70

cMichelangelo Se hip a (A . Fava) . . . . . » 3 J

cMichele De Angelis ( * * * ) . . . . . . » §2

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R A S S E G N A S T O R I C

S A L E R N I T A N A

D i r e t t a da A N T O N I O M A R Z U L L O

C o m ita to D ir e ttiv o : A l. D E L L A C O R T E - C . C A R E C C I

V . P A N E B I A N C O - Segreta rio d i R e d a zio n e

A C U R A D E L L A S E Z I O N E D I S A L E R N O DELLA R. D EP U T AZ IO N E N A P O L E T A N A DI STO RIA PATRIA

C o n d iz io n i di a bb on am en to. - Ita lia e C o lo n ie L . 3o - E stero L 45

U n fa scico lo separato L . 10.

L ’ ab bon am ento decorre d a l i ° gen n aio di ogni anno e, non disd etto entro 1’ anno solare, s’ in ten d e rinn

ovato-G li ab b on ati a lla R assegna sono con sid erati S o c i d e lla S e z io n e di S a ler n o d e lla R . D e p u ta z io n e N a p o le ta n a di S to ria P atria. A questo in d iriz zo sarà riv o lta tutta la corrispondenza per quan to con cern e 1’ A m m in istrazion e d e lla R a sseg n a e ogni altra attiv ità d ella S e z io n e .

(9)

‘ “ .Q.

V '

.

(10)

V a s i

p e s t a r l i .

(continuazione e fine)

I I I . - D a Altavilla SilenUna.

Questa necropoli ha restituito tre interessanti vasi. Innanzi tu tto u n ’ anforetta (figg. 38 e 39) di form a che, per la fabbrica pestana, può dirsi arcaica e rara, ignota alla serie studiata dal T ren dall, e simile invece a quella di anforette attiche del V secolo m olto diffuse in C am pania e d ette perciò « nolane » dai vecchi studiosi, le quali contano pure alcune, non frequenti, im itazioni locali, che in quella regione parrebbero piuttosto di rozza lavora' zione etruschizzante o fortem ente indigena anziché di scuola greca. M a il nostro esemplare è indubbiam ente pestano, forse preludente all’ attiv ità di Assteas, forse concom itante ai suoi inizi quale feno- m eno di attardam ento in form e passate di m oda. H a grosse pai- m ette risparm iate, sotto i m anichi e sui lati del collo; le spalle, appiattite orizzontalm ente, recano un ornato a bastoncelli neri o, se vuoisi, a imbricazioni allungate, che perm ane allo stesso posto nelle anfore lunghe o « cam pane » del periodo di massima attiv ità della fabbrica, talora relegato sul rovescio per cedere il campo, nel diritto , alla corona di lauro, semplice ovvero più o m eno arricchita di viticci e di bacche, che in taluni esemplari gira t u tt ’attorno alle spalle. V edi l’anfora alta da A ltavilla che qui segue, e cfr. T rend all, n n . 94, 95, 98, 101, 160, 210, 211, 225, 258, 261, 327, 371.

Le figure (una per faccia in campo nero, come su la maggior p arte delle anforette « nolane ») non hanno a mio avviso proprio nulla di quello stile del « gruppo di Sicilia » che taluni hanno ere' d uto precursore di A ssteas: nè la predilezione per i volti di pro­ spetto o di tre quarti, nè la m aniera di disegnare gli occhi e i ca- pelli, nè la leggerezza dei tra tti in terni che accennano i particolari anatom ici; m a invece, pur non essendo nè di Assteas nè di Pyth o n, al ciclo di questi m aestri si avvicinano per stile, m otivi, atteggia­ m en ti: a ) giovane nud o a dr. nella posa dell’Eracle presso le Esperidi, gioca con pom i aurei (svaniti) sulla palm a dr. protesa e

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F ig . 3 8 . F ig . 3 9 .

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tiene nella s. una corona (svanita); b ) giovane stante a sin., nudo (bandoliera a linea nera) con lunghi capelli sciolti su le spalle gioca con pomi aurei sulla palm a dr. protesa. Pomi aurei hanno in m ano tan to

1

’ Eracle quanto le Esperidi della lekythos di Assteas in N apoli; ma poiché questa, in un canone assai diffuso, era P ultim a fatica d ’ Eracle, preludente alla beatitudine (onde la pre- dilezione dei ceramografi italioti per questo m ito ed il completo oblio di altre « fatiche » prive di significato mistico-escatologico), i pomi aurei divennero simbolo della b eatitudine elisiaco- dioni- siaca; ne ha sulla palm a il « Dioniso » ossia giovane beato del n. 36 T ren dall, a ttrib u ito al gruppo di Assteas, e il satiro sul ro- vescio del vaso firm ato di Berlino; l’ altro « Dioniso » del n . 102, attrib u ito al gruppo di Assteas (e qui in fila saltellante come sulla nostra anforetta); l’« Eros » del n. 133, attrib u ito a P ytho n (id. id.) e via dicendo. La sobrietà del giallo aggiunto (che lascia tracce bianchicce) nella nostra anforetta si accorda con la sua form a arcaica. Essa era destinata a tom ba d ’ uomo, e non ha il tan to frequente accenno alla compagna elisiaca. E ’ vero che negli Elisi virgiliani si trovano giovani che si tratten gono tra loro in ludi da palestra, m a i vasi italioti presentano solo il riposo nelle conver­ sazioni di giovani am m antati, ove solo qualche coppia di halteres sospesa o una m èta alludono a palestra.

Passiamo ora a studiare la grande anfora slanciata o « cam­ pana » figg. 40 e 41. La form a è simile agli esemplari più antichi della serie T ren d all (94, 95, a ttrib u iti al gruppo di Assteas); ma, a giudicare da quanto è conservato del fondo coperto di vernice nera, doveva avere un piede a collo ristretto, benché non così sagomato come glielo ha rifatto il restauratore; piuttosto analogo al n. 160 di C openhagen, attrib u ito a Pyth on , o ad ogni modo m olto differente dall’anfora di Boston n. 258, che ha piede a cam ­ pana massiccia, senza collo. Benché alta, la nostra anfora è abba­ stanza ventricosa, quasi come gli esemplari più bassi e a basso piede (210, 211, 225) ai quali pure la ravvicina la semplicità del labbro espanso direttam ente sopra le anse; cfr. specialm ente 211, che il T re n d all annovera tra i vasi m inori del gruppo Assteas- P y th o n (gruppo in cui chi è vago d ’attribuzioni a singoli m aestri se ne può forse ritagliare più d ’uno). Le anse sono qui a nastro

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* 6

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7

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sottile, dove invece gli esemplari di Copenhagen e di Boston le hanno baccellate o tortili; e sono un po’ rie n tra n ti a S come nel n . 225.

D egli ornati abbiam o discorso teste, e noterem o solo che qui le spalle portano su entram be le facce la ghirlanda di lauro con bacche. L ’ insieme del diritto fig. 40 è somigliantissim o al n. 94 T ren d all (busto m uliebre sul collo in profilo a sin. con grande ciuffo spiovente dalla cuffia, inq uadrato tra linee risparm iate; sul v entre giovane stante, con endrom idi e clam ide scendente da una (94 T r.) o da tu tte due le braccia (portata sul dietro a sciai- letto) con pieghe di trattam en to analogo, porge u n p iatto con fru tta ad una donna in chitone con apoptygm a lu ng o cinto supe­ riorm ente e reggente altro piatto o (nostro esemplare) cassetta; sotto le figure, m eandro ad onda; in alto pende tra i due una corona di cui è visibile la m età. Sem bra proprio che i due esem plari siano della stessa m ano. A nche il rovescio è somigliantissim o ai n n . 94 e 95, questo riprodotto dal T re n d all a fig. 32: sul collo testa m u ­ liebre (nel nostro es. m eno accurata), sul ventre due giovani am ­ m an tati in colloquio, e, nel nostro es., in mezzo a loro una pianta stileggiata simile quella del rovescio del vaso di Assteas in Ber­ lino. D al nostro vaso, sul quale ho identificato lo stesso artista che dipinse i n n . 94 e 95 T ren d all, lo denom ino « il p itto re di A l­ tavilla ». Era forse un aiuto di Assteas, e ne continuò l’ opera: il rovescio del cratere di Berlino, il cui diritto fu d ip in to e firmato di Assteas, rovescio che sembra staccarsi tan to dalla indicata faccia principale quanto da altre pittu re del m aestro, è forse un lavoro giovanile di questo aiuto, cui si p otrann o attribuire anche altri vasi ora non a ttrib u iti, o genericam ente compresi nei « gruppi ».

Il lebes gam ikos figg. 42 e 43 è vaso robusto, del medesimo stile ed età (o stadio stilistico) che abbiam o visto n ell’ anforetta « nolana » teste esam inata, al cui confronto può sem brare più sca­ dente solo a chi non consideri che la superficie n ’è assai peggio conservata e scrostata. R eintegrando idealm ente il disegno degli ornati e delle figure come doveva essere quando il vaso usciva dalle m ani del decoratore, e come dalle parti m eglio conservate appare che realm ente fosse, notiam o le stesse grosse p alm ette sotto

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i m anichi, col medesimo andam ento delle singole foglie curvate in fuori, le stesse imbricazioni sulle spalle e qui anche sul piano orizzontale del coperchio, il cui orlo verticale porta il raro ornato a spinapesce discontinua ovvero a grossi < neri giacenti con l’angolo a sin., ornato già da noi studiato in precedenza. A nche le figure offrono tipi già noti (a, fig. 42, donna a torso nudo, p a n ' neggiata inferiorm ente, seduta verso dr. su tralcio svanito e gio­ cante con pomi aurei saltellanti in fila su la palma sin. protesa; nella dr. abbassata uno specchio; dal suolo sorge una voluta o p ianta stileggiata; b, fig. 43, giovane nudo corrente a sin., cioè verso la donna, e recante sulla dr. protesa un piatto con frutta). I capelli della donna sono sparsi sul collo e sulle spalle come quelli del giovane fig. 39, e ne somigliano anche i profili e il gesto della m ano che fa saltellare 1 pom i, m entre le proporzioni tozze, il torso lungo, le gam be corte e la sporgenza del ginocchio in profilo le­ gano la citata fig. 39 al nostro rovescio fig. 43. N o n è dubbio perciò, anche perchè i vasi fanno parte di un unico corredo tom ­ bale, che la nostra anforetta « nolana » e questo lebes gamikos sono della m edesim a m ano, e dànno luogo alla identificazione di un nuovo m aestro della fabbrica pestana, che possiamo denom i­ nare « il pitto re dell’ anforetta nolana ». N è sarei alieno dal- l’ attribuirgli, in un periodo di m aggiore sviluppo e di più accurato lavoro, le due anfore del British M useum 1275, 1276, che il T ren d all (210, 211, figg. 33, 34) colloca nel gruppo A ssteas-Python.

IV . - Dall'Arenosola

T om b e di questa località ci han no restituito quattro vasi, tu tti già catalogati dal T re n d all, che li dà come provenienti da B attipaglia, e di uno riproduce una faccia. M a in gran parte non crediam o definitivi nè persuasivi i giudizi e le attribuzioni di questo studioso. Com inciam o dal descriverli tu tti brevem ente, poi ne farem o uno studio critico.

1. A nfora alta, fig. 44 e 45 (T rendall n. 323 e fig. 60):

a ) giovane nudo seduto verso sin. su rialzo (tralci a viticci, in d i­

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F ig . 4 4

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-alza con la dr. una corona; in alto due borse sospese e una foglio- lina d ’edera bianca; b ) donna am m antata, con cuffia e ciuffo occi­ pitale, seduta pure verso sin. (perciò senza corrispondenza di m o­ vim ento tra le due figure) sporge fuori del m anto il braccio dr. nudo, come parte del petto, reggendo una corona; pu n ti gialli sotto i piedi, in alto due borse sospese e una fogliolina bianca svanita. Lavoro frettoloso, anche per la form a del vaso (alquanto

F ig. 46.

deform ato nella cottura), da esem plare economico di serie, buono per tom ba maschile o m uliebre a scelta.

2. C ratere a cam pana (T rendall n. 378): form a buona e so­ lida, labbro poco espanso; volute inq uadran ti le figure a palm ette dim ezzate (tipo già incontrato), sotto il labbro il solito lauro, sotto le figure, in giro, zona col più raro ornato a grossi > neri situati orizzontalm ente (punta a destra) : a ) donna con gran ciuffo occi­ pitale tu tta am m antata (fig. 46), seduta verso sin. (tralcio) presso

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un sema cui sono stati donati pomi aurei (e ciò la designa come figura principale di un quadro diviso in due) fa sporgere dall’ orlo del m anto uno specchio visto di sghembo, che ella deve tenere con la dr., come pure una corona; b ) giovane nudo (fig. 47) con clam ide sul braccio sin. accorre verso dr. (cioè verso la donna, il che lo designa come figura secondaria) portando una corona, ma volgendo il capo inghirlandato (gran ciuffo occipitale) all’ indietro:

Fig. 4 7.

errore comune, derivante dalla divisione del quadro sulle due facce del vaso. In alto, borsa sospesa. Lavoro alquanto più accurato, ma non sostanzialm ente diverso dal precedente, forse di commissione per tom ba di donna, sia pur sempre di poca spesa, vista anche la piccolezza dell’ esemplare (alto solo m m . 175).

3. Lebes gamikos, n. 190 T rendall, simile a quello di Al- tavilla (figg. 42 e 43 da noi attrib u ito al pittore dell’ anforetta nolana, ma alquanto m eno ventricoso e perciò di periodo più

(21)

= u

-tardo (figg. 48 e 49). Il piano del coperchio h a u n ornato simile, m a semplificato, ove i bastoncelli neri si allargano a stella, la­ sciando triangoli in ognuno dei quali è un p u n to nero; l’orlo v er­ ticale, invece del raro ornato a < è frettolosam ente segnato da

F ig 48.

lineette nere verticali; m a sulle spalle, più ristrette, persistono i bastoncelli, e anche le grosse palm ette sotto i m anichi, benché alquanto degenerate nel finale m eno ap puntito e spatuliform e di ciascuna foglia, m ostrano discendenza stilistica; come pure i grossi ricci lum eggiati di bianco sovrapposto, sorgenti dal suolo ai lati del giovane, sono degenerazioni ulteriori di quello della fig. 42.

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T ra le due figure non è corrispondenza di m ovim ento, e si ha perciò un lavoro piuttosto affrettato e di serie, buono per tom ba virile o m uliebre: a ) giovane nudo, con tu tti i m onili in uso nella scuola pestana, nella posa dell’ Eracle presso le Esperidi (ma

F ig. 49.

invertita a dr.; piede sin. alzato su viticcio bianco) gioca con pomi aurei saltellanti su la palm a destra; b ) donna in chitone semplice, cinto e form ante kolpos (larga fascia nera sul davanti), con cuffia e ciuffo, corre a dr. (testa volta indietro) portando bende in ambe le m ani e facendo saltellare pomi aurei sulla palm a dr. distesa al- P indietro.

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4* L ekythos panciuta, T re n d all n. 321, di form a non de- cadente, anzi m olto robusta e quasi globulare (figg. 50 e 51): donna simile alla precedente, con panneggio più sommario in d i­ cato a tra tti frettolosi piuttosto grossi; borsa sospesa nel campo;

F ig. 5o.

due foglie lanceolate (piante stileggiate) una avanti e l’altra dietro la figura sorgono dal suolo.

Questi q u attro vasi, che hanno forme tetto nich e arm oniz­ zanti tra loro e lontane da quelle degli ultim i anni della fabbrica pestana; che anche nel disegno figurato sono un iti tra loro da m otivi, tipi, particolari, e separati solo in aspetti secondari, cio.è nella m aggiore o m inor fretta (che non è da confondere con lo stadio stilistico!) della esecuzione in serie, o al massimo per com­

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m itten ti modestissimi, e sempre in vista di una vendita a poco prezzo; che infine il fatto di provenire tu tti in una volta dall’ Are- nosola (e certo da u n ’ area ristretta) induce ad aggruppare, anche se non furono trovati nella stessa tom ba; — sono invece

disso-F ig. 5 i .

ciati dal T ren dall nel suo catalogo, e a ttrib u iti a differenti arte- fici e periodi. Il lebete gamico è posto tra i vasi m inori del gruppo A ssteas-Python; la lekythos e

1

’ anfora alta sono classificate ah F ultim o periodo della fabbrica ed attrib u ite entram be al « pittore di N apoli 1778 »; il cratere a cam pana è posto ad d irittu ra in coda, tra quella v entina di vasi dell’ultim a decadenza a cui il T r. non ha trovato un autore o un gruppo.

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T u tto ciò non solo è poco verosimile in blocco, m a non re­ siste all’ esame dei particolari. E ’ add irittura im possibile il collocare un cratere di form a così pura e solida, con piede così basso e largo e con labbro così poco sporgente, dopo l’ a ttiv ità dei pittori di N apoli 1778 e 2585; e nem m eno entro, neppure 'all’ inizio, di tale attiv ità, conoscendosi la b ru tta e com unque totalm ente d i­ versa form a che in quel periodo si dava ai crateri (T rendall, tav. XXXV, a, c). Se il lebete dell’ Arenosola sta nel gruppo A ssteas-Python, a fortiori ci deve stare il cratere, ove le form e del disegno sia figurato sia ornam entale sono m eno degenerate e più antiche. E poiché la parentela del disegno figurativo e dell’ ornato, sia tra questi due vasi dell’ Arenosola, sia con quelli di A ltavilla in cui abbiam o riconosciuto il « pittore dell’ anfora nolana » è in ­ negabile, e quest’ ultim o, per la form a da lui ad o ttata, dà indizi di arcaismo anche in confronto di Assteas; poiché tale parentela è rafforzata dalla presenza, sul cratere, del raro ornato a < , e il cratere stesso esibisce, per Pesto, form e arcaiche; poiché non è impossibile che un artista m eno bravo di Assteas e di Python abbia a lungo accom pagnato l’a ttiv ità di costoro degenerando in produttore di vasellame a serie di m inor pregio, pur avendo inco­ m inciato un po’ prim a di Assteas a dipingere vasi: così noi a t­ tribuiam o tu tto questo gruppo dell’ Arenosola al « pittore del- 1’ anfora nolana ».

Gli attribuiam o anche, s’ intende, la lekythos e

1

’ anfora alta. Per la prim a, la form a del vaso, arcaica rispetto a Pesto, la so­ brietà dei colori aggiunti, l’affidare gli effetti al nero largam ente usato e posto in vista, vietano di attribuirla non solo al pittore del N apoli 1778 m a ad d irittu ra alla sua epoca, attestata dalla form a del cratere e dal disegno divenuto stentato e strim inzito, con uso abbondante di colori aggiunti e con l’effetto della fascia verticale del chitone m uliebre affidato non al nero, m a al chiaro, tra m inutissim i puntolini neri in linea poco appariscente. Chi ha dip into quel cratere di N apoli non era certo capace di tirar giù alla brava con q u attro colpi la donna corrente della nostra le? kythos, dove poi la testa, d ip inta un po’ m eno in fretta, non è b ru tta; del resto appunto l’ im petuosità spontanea cessa a Pesto

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negli ultim i periodi, o diviene posa stereotipa di t u tt’altro effetto. O ppure dovrem m o fare l’attribuzione in base alle foglie lanceolate sorgenti dal suolo? Ma abbiam o studiato questo m otivo, e visto che ha precedenti, per i vasi pestani, rem oti in confronto di N . 1778; e, appunto, questa tachigrafia della pianticella di lauro si spiega, ed è espressiva, nella produzione dipinta con vera fretta da chi è capace di farlo; è un ripiego meschino e ridicolo quando il disegno non solo non palesa alcuna fretta, ma è add irittu ra sten- tato. Basta ravvicinare le nostre due foglie, che sembrano macchie d ’ inchiostro schizzate fuor da una penna veloce, e seguono la donna nel suo m oto, con quella che si rizza sul suo minuscolo stelo sotto il bastone inverosim ilm ente bistorto del comico di N . 1778 (T rendall tav. XXXV a), per accorgersi che in quest’ul­ tim o vaso non si ha punto il modello, bensì una riduzione calli- grafica, tarda e priva di senso, di ciò che è spontaneo e vivo nella nostra lekythos, che, essa sì, è uno dei modelli di tale tachigrafia.

N em m eno l’anfora alta figg. 44 e 45 è da porre negli ultim i periodi nè da attrib u ire al pittore di N apoli 1778. E ’ lavoro affret­ tato, di serie, e, dentro la serie, mal riuscito, di scarto; ma questi non sono criteri valevoli per una classificazione cronologica. V algono assai più, e sono contrarie all’attribuzione, la forma del vaso ancor solida e abbastanza ventricosa (lontana p. es. dall’ap­ parenza fusiform e di N apoli 1 77 9, T ren d all tav. XXXIV, d, a ttrib u ito con qualche m aggior ragione, m a non direi con certezza, allo stesso m aestro del 1778), la sobrietà nell’uso di colori ag­ giunti, la fluidità e scorrevolezza del disegno, m olto lontana dallo stento risecchito del N . 1778 e capace, come non è certo que- st’ultim a m aniera, di prestarsi ad una esecuzione frettolosa senza perdere l’effetto generale di sobrietà. Infine, la stessa anatom ia muscolosa del giovane nudo, lontana sì dal flaccido torace come dalle altissime e m agre gam be del N . 1778, non favorisce certo l’attribuzione ad un medesimo artista, dove invece si accorda con gli altri vasi di A ltavilla e dell’Arenosola da noi a ttrib u iti al « m aestro dell’anfora nolana ». Se, per contrario, noi ravviciniamo la nostra anfora alta alle congeneri T rendall n n . 210, 211 (figg. del T r . 33, 34), da cui non può separarsi per la form a e

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per gli ornati, ed anche per lo stile (quando si ten ga conto che i prim i due esemplari furono eseguiti con cura in tem po anteriore, il nostro trascuratam ente parecchi anni dopo), e se vi aggiungiam o T re n d all n. 368 tav. XXXV, b (che non istà bene al posto ove l’ha messo questo autore, e si colloca stilisticam ente tra i nn. 210, 211 e l’anfora dell’Arenosola), noi veniam o invece a ricostituire una linea di sviluppo artistico om ogeneo, la quale può assai plau­ sibilm ente rappresentare una parte notevole dell’ a ttiv ità di un m edesimo m aestro, e precisam ente la parabola discendente, dal­ l’acme che egli aveva prim a raggiunta con la sua produzione migliore, al suo decadere a decoratore di vasi fatti a serie e fre t­ tolosam ente eseguiti.

M a già nel precedente paragrafo, che studia i vasi di A lta ­ villa, noi abbiam o attribu ito , per ragioni stilistiche, i n n . 210, 211 del T ren d all al medesimo m aestro che dipinse

1

’ anforetta « nolana » e il lebete gamico di quella provenienza. D u n q u e il maestro di cui le anfore alte ristudiate nel presente paragrafo ci dànno la linea discendente è precisam ente il « pitto re dell’anfora nolana ». E l’ insieme dei vasi dell’Arenosola conferm a tale d e­ duzione con nuovi riscontri. In fatti il paffuto giovane della no ­ stra fig. 48 è il fratello gemello di quello della tav. XXXV, b T ren dall; e l’am m an tata sedente della nostra fig. 46 è la sorella gemella di quella del n. 210 fig. 33 T re n d a ll (si osservi come in entram be il m anto si avvolge sul braccio sin. form ando una specie di falsa m anica e m ostrando inferiorm ente un piccolo giro del­ l’orlo ricamato). Oscura rim ane, per ora, la fase ascendente di questo m aestro della fabbrica di ceramiche sorta a Pesto: fase che possiamo solo m travvedere dal rannodarsi di lui, in qualche m odo, ag l’ im itatori cam pani delle anforette attiche del sec. V , m olto diffuse in C am pania, e che i vecchi scavatori dissero « no­ lane » da una delle loro più frequenti provenienze.

(28)

•r! ' I * % - . • . . - f - • * V . - V asi recuperati, probabilmente dai dintorni di Poritecagnano

Possiamo procedere, ormai, più alla svelta. Il m iglior pezzo mi sembra l’anfora alta figg. 52 e 53, che si può attrib uire senza

- Fi^."

52

.

esitazione al « pittore di A ltavilla » da me individuati) in questo studio. N otevole che il giovane elisiaco sia designato còme nuoVo arrivato dagli alti calzari o endrom ides, dal bastone 'e dal pilo$, che di regola (ma neppur con frequenza) la ceramica pestane dà

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ad eroi m itologici, non ad disiaci indeterm inati. Il vaso è d u nq ue destinato a tom ba m aschile, ed è un pezzo di commissione. U om o e donna si scambiano le consuete offerte (la corona e il pom o aureo della beatitudine). I due giovani am m an tati del rovescio

confer-F ig . 53.

m ano la destinazione a tom ba d ’uomo, e l’uccello sopra il collo, che non ha riscontri sicuram ente pestani (T rendall tav. X V III, c è per m e dubbio, non solo per la provenienza cum ana m a per la form a inconsueta: più volte invece ricorre una sirena), se qui,

(30)

a3

-come parrebbe, è un passero, contribuisce a porre le speranze del di là sotto il segno dell’ amore e ricorda il gioiello poetico catulliano.

V iene poi una gentile idrietta, figg. 54 e 5 5: giovane cor- rente a dr. con testa volta indietro, m entre la clamide

(31)

— a

4

m ente, però in m aniera com une ad Assteas e P y th o n , gli svo­ lazza davanti; porta un piatto con fru tta e una corona.

Pregevole è pure la kylix figg. 56 e 57, o rnata in uno stile prossimo a P y th o n : Satiro barbuto sedente su anfora p u n tu ta .

F ig . 56.

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11 piccolo skyphos o kotyle (fig. 58) a m anichi inversam ente applicati (orizzontale-verticale) porta su ciascun lato una civetta ed è stretta im itazione attica che non offre elem enti per una fon­

data attribuzione: la form a e la buona vernice lo assegnano a periodo antico della fabbrica.

V iene ora un gruppo di vasi che form a e stile, od entram bi, assegnano a periodi più o m eno tardi.

Cratere, figg. 59 e^6o, di piede ancor solido, ma a pareti

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nuose e labbro m olto espanso : a ) giovane « satiro » con tirso e corona segue donna (chitone semplice cinto, cuffia, ciuffo) reg ­ gente u n p iatto con fru tta. D ietro il « satiro » pianticella di lauro;

b ) due giovani am m antati. Pezzo interessante: stile corrente e

poco accurato nel rovescio e negli orn ati, però non sovraccarico

F ig . 60.

nè irrigidito come nei vasi pestani dell’ultim o periodo; anzi il disegno delle figure nella faccia principale è fluido in m aniera in ­ consueta a Pesto; così pure non trovano facilm ente riscontro in questa fabbrica : il m odo di disegnare il passo rapido del « satiro » ; la flessibilità del suo tronco inclinato in avan ti (a Pesto invece, per solito assai rigido e spesso inclinato all’ indietro); la form a del tirso a scopa allungata; l’assenza di linee o volute con palm ette in q u a­ d ran ti le figure. V i è nell’ insieme qualcosa che richiam a lo stile campano, non però precisam ente il « gruppo di Caivano », che il

(34)

— i 7

-T ren d all riferisce alla fabbrica di Pesto, m a che ha sentore di campano. C onsueti a Pesto sono invece la form a del vaso, il lauro sotto il labbro, la greca in terro tta da croce di S. A ndrea nella zona sottostante alle figure, l’alberello di lauro.

Le m aggiori analogie che io possa trovare nell’ album di ce- ram ografia pestana del T ren d all sono:

n. 16 (fig. io), calice in Zurigo, che il T ren d all fa n ien te­ m eno di un precursore di Assteas: cosa impossibile sì per

1

’ ab­ bondanza di colori aggiunti sì per la form a del calice che non è svasata poderosam ente e ad orlo espanso come nei calici di Assteas (e come nei supposti precursori T r . n n . 9, 15, figg. 7, 8 ecc.), bensì a pareti verticali e labbro poco espanso. Il calice, q uanto alla v erti­ calità delle pareti ed al labbro poco espanso, ha subito un svi­ luppo opposto a quello del vaso a campana! O rbene, in questo n. 16 si trova una figura di donna (q u ella di sin.) somigliantissim a alla nostra con panneggio a disegno fluido, che, nel profilo opposto al m ovim ento, si allarga a pallone m olto in fuori delle linee della gam ba rispettiva, form ando una caratteristica sinuosità.

U n a sinuosità analoga troviam o pure nel lebete gamico del- l’Arenosola nostra fig. 49, che abbiam o a ttrib u ito al « pittore del­ l’anfora nolana ». Potrebbe appartenere allo stesso maestro, nella sua fase ascendente, sinora ignota, prim a che egli subisse l’ in­ fluenza di Assteas e di P y th o n negli orli pesanti e che decadesse a frettoloso decoratore di vasi di poco conto, anche il n. 16 T rend all. E ’ non un vero precursore, m a un com pagno appena un poco più anziano di Assteas, proveniente, secondo qualche in­ dizio, dalla Cam pania.

N el n. 53, fig. 24 T ren d all, attrib u ito ad Assteas, e che in­ fatti presenta panneggio non fluidam ente disegnato, anzi pesante e come foderato, una gonfiatura a pallone, non bene in accordo con lo stile, rappresenterebbe viceversa una traccia d ’ influenza del m aestro dell’ anfora nolana su Assteas.

— n. 376 (fig. 64), oinochoe in V ienna. D isegno fluido, fi­ gura di donna assai simile alla nostra anche per la raggiera che porta nei capelli e per il naso p u n tu to che sporge nel profilo: chitone che si gonfia a pallone; alberello, con fogliette bianche, ma anche accessori com uni su vasi tardi, che non hanno riscontro

(35)

sul nostro cratere di Pontecagnano. Il T rendall attribuisce il suo n. 376 al pittore del n . 2585 N apoli, che a me sem bra proprio degli ultim i anni della ceram ografia pestana, più pesante nel di­ segno e nell’ uso degli accessori bianco-gialli, sovrappinti con co­ lore- a corpo di forte présa, dovechè il bianco del n . 3 7 6 è dato

: ' V i t , - ‘

-• V .V » - > ;1 : Ì ■ ' V. - : J ■ » ( • r

a velatura. Credo che il nostro cratere e

1

’ oinochoe 376 T r. pos­ sano essere della stessa m ano, benché la seconda sia alquanto più ta rd a , m a sempre anteriore di parecchi anni a N apoli 2585. Possiamo chiam are questo m aestro « il p itto re della pantera » (P anim ale dionisìaco ricorre presso la « m enade » sull’ oinochoe di V ienna) e farlo alunno del m aestro dell’anfo retta nolana e conti- nuàtore delle sue tradizioni in una piccola officina di Pesto, che

r. f ì , ^

pero no'n era quella più nota di Assteas e P ython.

(36)

lasci scorgere a prim a vista la sua superficie danneggiata e scro­ stata. H a anch’esso qualche cosa di cam paneggiante (fiore cam ­ panulato nelle volute laterali, a Pesto rarissimo o anche dubbio: p. es. il n. 273 fig. 54 T r . per me non è pestano) e di inconsueto per Pesto (il sedere dell’ Elisiaco — che non c’ è proprio senso a

t i g 62.

battezzar « D ioniso » — sopra la propria clamide in modo che questa nasconda il rialzo e ne impedisca la notazione m ediante tralci stileggiati). La sagoma del vaso è buona, e sebbene il piede sia più alto e più esile, le pareti sono più d iritte e l’ orlo meno espanso che nell’ esemplare precedente, a cui il nostro non è certo posteriore. Com uni le fogliette bianche, il riccio a penna di struzzo sorgente dal suolo, la borsa sospesa fatta con un tondino e un occhiolino, anche su vasi campani. Rara invece la foglia lan­ ceolata sorgente dal piano inferiore non già entro il quadro figurato,

(37)

bensì tra le volute in q u ad ran ti e la p alm etta sotto 1’ ansa : ne trovo esempi in T ren d all tav. XXXV, c, certo della stessa m ano della kylix N apoli 2585; m a il nostro cratere è anteriore di almeno una generazione a questi vasi; e ibid. XXXVI,a — m a non si vede chiaro — attrib u ito allo stesso pittore. T u tto som m ato

F ig . 63.

anche il nostro cratere accenna all’esistenza in Pesto di u n ’officina m inore, le cui tradizioni erano più cam paneggianti che non quelle di Assteas e P y th o n , pur non m ostrando affinità speciali col « gruppo di C aivano ».

L ’ idria figg. 63 e 64 rientra per il soggetto nella regola sta- bilita dalla V anacore, della destinazione di tali vasi a tom be m uliebri. La beata dionisiaca — che non ha senso battezzar m enade — , nudo il torso, si adagia con m ollezza, stendendo le

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gam be panneggiate (disegno fluido), sopra un sedile fatto, poco pestanam ente, di lastroni sovrapposti e lum eggiati di bianco, e regge una cassetta a borchie d ’oro, su cui posano pomi aurei. N el campo, foglia d ’edera e rosette a q u attro petali; sul davanti, foglia lanceolata sorgente dal suolo. Lo stile richiama un po’ i

lavori dell’ultim o periodo del p ittore dell’anforetta nolana, un po* (collegandosi anche per qualche elem ento al cratere figg. 61 e 62) il m aestro della pantera continuatore di quello; è, crediam o, prò- babile, che l’ insieme dei vasi più tardi che si produssero a Pesto in una officina m inore di tradizioni più cam paneggianti, spetti proprio al m aestro della pantera.

Più severa e sobria, sebbene la form a ad ovoide allungato denunci u n ’età che per Pesto comincia ad esser tarda, è la lekythos

(39)

(figg. 65 e 66) priva di bocchino, su cui campeggia u n gentile « Eros », anch’egli sui vasi italioti, — quando si può trovarvi u n ricordo anche m itologico e lo si vede accolto nel tiaso dioni- siaco — , simbolo funebre ossia della beatitudine elisiaca, posta sotto il segno dell’amore; ma altrove, e come figura isolata, al pari

Fig. 65. Fig. 6 6.

delle figure isolate m uliebri che talora siedono su tum uli e stele ed è vano appellare « N ik a i »’, piuttosto rappresentazione dello stesso beato o beata, cui, come anim a, spettano anche le a li( i) . Lo stile non è di Assteas nè di un suo discepolo, e per alcuni ca­ ratteri (gambe robuste e non alte, ciuffo occipitale, fogliame della gran palm etta posteriore) è riferibile al m aestro dell’ anfo- retta nolana.

Più allungata ancora è la lekythos-giocattolo con testa m u­

(1) S u lla questione v. P A T R O N I , Eros e Sirena, dipinto vascolare pestano n el

(40)

17-liebre fig. 67, e forse realm ente tarda, m entre ad u n ’epoca m eno avanzata richiam ano le form e del minuscolo lebete gamico fig. 68 e della minuscola kotyle o skyphos fig. 69, i quali recano da en­ tram bi i lati una testa m uliebre, con benda o in cuffia chiusa.

Difficilmente tali vasi-giocattoli (che possono essere stati origina­ riam ente fabbricati per bam bini vivi, ma nulla vieta di supporre anche prodotti apposta per tom be di bam bini, vista l’evidente destinazione dei grandi esemplari) si prestano ad attribuzioni; ma

F ig. 67.

F ig . 69.

è lecito pensare che nella produzione di essi si specializzasse p iu t­ tosto l’officina m inore, da noi indiziata in questo studio, anziché quella di Assteas e P y th on , più ambiziosa di clientela scelta e m eno curante della vendita di esemplari di poco prezzo.

(41)

U ltim i esibiamo dei balsam ari della classe fusiform e a figure nere tarde, assai diffusi in C am pania (figg. 70 a, b; 71 a, b;

F ig. 70 a. Fig. 70 b.

72 a, b); non è la prim a volta che appaiono nelle vicinanze di Pesto o nel territorio stesso della città. D i un gruppo di vasi

per-F ig . 7 1 a. F ig . 7 1 L.

v enuti al M useo di N apoli, e tra i quali si contano anche alcuni di tali balsam ari, tra tta i in Ceramica (p. 71, nota), esprim endo

(42)

l’opinione che si trattasse d ’ im itazione locale di quel genere cam- pano anziché d ’ im portazione. 11 nuovo m ateriale mi conferma ancora nella mia opinione. In fatti la beata fig. 70, che siede sul proprio tum ulo indicato da una volticella a p u n tin i bianchi, col torso nudo ornato di tracolla, reggendo nella sin. abbassata la sua corona e facendo saltellare tre pomi sulla palm a dr., è per il tipo e per lo stile strettam ente pestana. Si possono attrib u ire anche queste im itazioni di un genere campano alla m inore officina di Pesto, che aveva tradizioni e tendenze di m aggiore affinità con la Cam pania.

# # #

A conclusione di questo mio studio basterà che 10 noti poche cose per segnalare i principali risultati in esso raggiunti.

L ’esame, assai m inuto, ed esteso a pezzi anche scadenti (come si deve fare) del m ateriale di ceramica dipinta restituito da scavi recenti a Pesto e nei dintorni, conferm a, con la sua omoge­ neità fondam entale, l’attribuzione a quella città della fabbrica in cui lavorarono Assteas e Pyth o n. E ’ sperabile che questo risultato sia ora definitivam ente acquisito; per mio avviso esso era defini­ tivo non solo prim a di questo controllo, ma prim a dello studio recente del T ren d all, e le contrarie opinioni rappresentavano sol­ tan to aberrazioni dovute all’abbandono dei sani criteri deH’osser- vazione stilistica e della distribuzione topografica.

N e l m ateriale esam inato si sono m anifestate affinità con la ceramografia cam pana, m a non mai pezzi che possano riferirsi senz’ altro al « gruppo di Caivano » o porsi accanto ai più caratte­ ristici vasi di questo gruppo costituito dal T ren d all ed attribuito alla fabbrica pestana; anzi quegli elem enti com uni che è dato riscontrare richiam ano piuttosto la ceramica campana in genere — Cum a o Capua ove forse ora si è riunito un m ateriale sufficiente a potervi determ inare una fabbrica locale — ed esigono altra in ter­ pretazione, cioè quella degli scambi e delle com unicazioni, che potevano estendersi anche alle persone degli artefici. N ello stesso m ateriale pestano o salernitano abbiam o identificato, accanto alla scuola di Assteas e P y th on , una officina m inore (maestri del’

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an-foretta nolana e della pantera) di tradizioni più affini a quelle della C am pania, e che continuano sino ai tem pi tard i. E forse a qualche m aestro notevole (pittore di Altavilla) si può attribuire una posizione interm edia tra

1

’ una e

1

’ altra scuola locale. La siste- m azione del « G ruppo di Caivano », ove esso abbia reale consi- stenza, si avrà non dallo studio della fabbrica pestana, bensì da ulteriori determ inazioni — da farsi — di fabbriche cam pane.

Sinora, poi, non apparisce indizio che i voluti precursori di Assteas (non tu tti veram ente tali; intendo i più atticizzan ti e m eno locali) abbiano avuto attiv ità in Pesto. Ma su ciò con­ viene attendere scavi di tom be in cui si m anifesti l’ inizio della ceramografia pestana.

Ed infine, sebbene l’erm eneutica non sia lo scopo principale di questo scritto, credo che l’esame dei vasi dipinti qu i illustrati n cn abbia m ancato di apportare conferme e chiarim enti alle inter­ pretazioni che avevo date di quest’arte ceramografica italiota (i).

Gi o v a n n i Pa t r o n i

(i) V is ta , ansi, la scarsa o muna conoscenza che gli studiosi di ceram ografia continuano a mostrarne, non credo inutile ripetere ancora una volta la parte prin ci­ pale d ella iscrizione metrica di D o x a to ( C ■ I . L,. IH, n. 686 B U C H t L E R ,

Carni. Kpigr. n. 1233) n ella form a in cui proposi di emendarla. Ben inteso, le em en ­ dazioni proposte concernono solo forma e metrica : la sostanza è chiara.

[T u pìacidus dum nos cr\uciamur volnere vieti et reparatus item vivis in Klysiis . . . . Nunc seu te Brom io' signatae mystid[i]s a[rdor\

fiorifero in prato congi'ega[t ut] Satyrum sive canistriferae poscunt sibi Naides a e q u u m

q u i ducibus ta e d iS a g m i n a f e s t a t r a h a s cet«

E R R A T A C O R R I G E . A pag. 2&\ del fase, di agosto i q38 si attribuisce a l cratere a cam pana figg. 3i e 3a Tornato del ramo di lauro sopra le rappresentazioni figurate. È una svista : si lia lì un altro meandro ad onda come quello che corre sotto le figure, solo più grosso. O n d e sopra e sotto ha ancLe i l cratere di G inevra ( T R E N D A L L O. c. tav. X I I , b) e T oinocLoe iLid. fig. 2 6.

(44)

À n c o ra della Tavola A m alfitana

e del volgare primitivo nel Salernitano

T'orno su

1

’ argom ento (i), sia per rispondere all’ illustre prof. G ennaro M aria M onti (2) e spiegare come io dissenta n e t­ tam ente e risolutam ente dalle sue opinioni in tu tto e per tutto ; sia per confermare e svolgere, adducendo elem enti nuovi, q uanto nel precedente articofo ho sostenuto con piena consapevolezza.

Il prof. M onti — espertissimo conoscitore della storia a n ­ gioina della sua N apoli — circa la datazione della T abula de

A m alpha, prim a che io me ne occupassi, aveva sostenuto la tesi

che il glorioso docum ento fosse dell’età angioina o press’a poco, e cioè più tardivo — specie per la redazione latina — che io non lo abbia ritenuto e ritenga: non accettando le mie ragioni, egli si dichiara continuatore dell’opinione del Racioppi, « c'ontro

1

’ opi­ nione oggi /dom inante » — come spiega nell’articolo apparso in questa rivista — . D ifatti, la gran m aggioranza degli studiosi della

Tabula — non escluso il grande storico del diritto lo Scupfer e

(1) Cfr. il mio articolo « La lingua della Tavola A m alfitana in rapporto

alla storia del volgare italiano », in questa Rivista — Anno II, N. 1.

(2) Cfr. l ’articolo di G. M. Monti: a La datazione della Tavola Am alfi­

tana », in questa Rivista, Anno II, N. 2.

Avrei volentieri fatto a meno di polemizzare col prof. Monti, di cui lio sempre apprezzato la cortesia non meno che 1’ attività di studioso. Ma chiamato in causa direttamente da lui — del quale questa volta mi sorprende certo risentito tono assolutistico, forse per l ’eccessivo attaccamento alla propria tesi -— son costretto a sostenere con tutti i mezzi adeguati le mie immutate opinioni, e a svilupparle secondo nuovi studi, che mi sembrano u tili all’argomento. Come si vedrà, tutte le obiezioni mosse dal Monti — nessuna esclusa — saranno confutate e smontate.

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compresi i valenti non m eno che equilibrati illustratori del testo recentem ente edito (i) — , ritengono che di essa i capitoli latini siano anteriori alla conquista n orm anna ( 1131), quelli italiani d ’un pe­ riodo posteriore che va sino alla fine del secolo X IV (2). In linea generale, questa tesi ho seguita anch’ io, giustificandola e corro­ borandola con mie congetture. C ongetture — si capisce — da una parte e d all’altra, poiché m ancano d ati precisi ed espliciti circa la datazione del docum ento, che — per di più — nella sua origine e nella sua funzione non si può concepire secondo una redazione statica, e cioè estranea alle contingenze storiche.

D evo aggiungere che 10 mi sono occupato della cronologia della T avola A m a lfita na non per finalità storico-giuridica, sì bene per stabilire la base ad uno studio filologico-linguistico, e precisa- m ente ad un problem a di storia della lingua italiana.

C onseguentem ente, l’egregio professore di storia del d iritto anche dai risultati della mia ricerca intorno al volgare italiano in Am alfi e d in to rni esprime la sua opinione divergente, appoggian­ dosi alla sua conoscenza della tradizionale erudizione napoletana. E questo, benché la mia indagine avesse un obiettivo più spazioso, e si movesse su elem enti culturali di altra natura.

# # #

M i si conceda, pertan to , che ad uno studioso come il M onti — inform atissim o d i docum enti e attivissim o nella ricerca dei dati esterni più m in uti — io risponda da prim a quasi con m etodo consimile, per non trascurare alcuno dei suoi argom enti; che tu tti

(1) Cfr. Tabula ile A m alpha — Napoli — Anno XII, a cura della Società napoletana di diritto marittimo — Con note di Adolfo Sinigaglia «1 Enrico Soprano.

(2) Non sembra necessario qui riferire o — meglio rij>etere — tutta la bibliografia della Tabula : se ne accenna solo alla parte principale, per quanto riguarda le due opposte correnti. Che i campitoli latini risalgano ad epoca an­ teriore alla conquista normanna (UHI) ritengono I.aband, Alianelli, Camera, Schupfer, Ciccaglione, Saivioli, Zeno, Siuigaglia, Soprano; mentre Ilortius, Pertile, Racioppi, Solmi, Monti li riferiscono alla fine del secolo XII o al XIII addirittura.

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non accetto perchè non persuasivi ed anche confutabili, special- m ente quando non si resti ad u n ’ interpretazione positivistica­

m ente meccanica dei fatti storici.

A nzi tu tto , posizioni precise: che io — come il M. m i fa figurare — m i sia occupato dei capitoli volgari quasi per riferirli al M illecento non è esatto: am m ettendo nella T ab u la stratifica­ zioni diverse e riconoscendo nel 1389 un punto di arrivo, ho scritto: « par di scoprirvi le m ani di due secoli », per il testo vol­ gare. E per la stessa ragione — in q uanto cioè di accordo con la maggior parte degli studiosi vedo nel testo da noi conosciuto una redazione m anoscritta posteriore — considero i capitoli latini quali potevano essere com pilati originariam ente nel tem po che la Re­ pubblica d ’A m alfi, libera e potente, aveva autorità e facoltà di legiferare: ammesso il ritocco di qualche dato o la sostituzione di qualche term ine legale — e condizionatam ente — per m utate condizioni storiche.

Se non che il M ., trascurando fattori im portantissim i, si affida esclusivam ente a pochi d ati esterni — specie num ism atici — , e ne fa base della sua discussione, per assegnare il testo latino ad

u n ’ epoca m olto tardiva.

T u tta v ia , vediam o un po’ se questi d ati siano sempre precisi e in q uanto possano aver peso, sia pure relativo. Scrive il M onti: « Si può aggiungere col G enuardi che al cap. 30 della T avola si parla di tareni come di m oneta am alfitana, m entre in Am alfi fu ­ rono sempre denom inati tari e tareni furono d etti solo quelli sici­ liani dal 1142 in poi (tranne pochi esempi sporadici d al 1154 in poi di tareni boni di Amalfi) ». Confusione ed errore !

Se il M . avesse avuto m inor fiducia in alcuni eru d iti suoi pre­ decessori e avesse scorso i volum i del C odex D iplom aticus Ca-

vensis (1) — una delle prim issime fonti storiche d ell’età longobarda,

tan to apprezzata da storiografi e num ism atici italiani e stranieri — . gli sarebbero saltate all’occhio m olte docum entazioni di tareni di

(1) Codex Diplomaticus Cavensis mine primum in lucem editus euran-

tibus M. Morcaldi, M. Schismi, S. De Stephano O. S. B. Tomi oeto. Meiliolani Pisis Neapoli Hulrieo Hoepli Editor et bibliopola MDOCCLXXVIII.

(47)

uso corrente tra A m alfi, Salerno e dintorni sin d a ll’ anno di grazia 9 3 4 : auri solidi de tarenis ecc. (1). E poi ancora nel 9 6 6 : annuo censu unius tareni et dim idii (2); e — successivam ente — nel 1005: pretio aureorum tarenorum duorum (3); nel 1057:

tarenos bonos am alfitanos (4); nel 1061: censum q u a ttu o r auri tarenos nunc form atos in A m alfitana civitate (5); nel 1088:

tarenos qu attu o r auri boni et m oneta am alfitana cum capite et

cruce(6). Si aggiunga che dal 1146 nei docum enti si tro v a la for­ m ula: « tarenos bonos de A m a lfi de antico ». N o n solo, m a si ricordi ancora che anche a Salerno furon coniati tari o tareni: nel 1056 « abeat tarenos bonos q u attu o r qualis illis diebus in ac civitate (Salerno) form ati fu erin t » (7); nel 1059 « q u a ttu o r tarenos bonos tu n c in hac civitate form atos » (8) ecc. E via dicendo.

Si sa che i docum enti longobardi della Badia ben ed ettin a di Cava dei T irre n i — situata a ridosso delle m ontagne della co­ stiera am alfitana — venivano rogati, quasi tu tti, a Salerno, N o- cera, A m alfi: nessun dubbio quindi che, per più di due secoli prim a dell’epoca voluta dal M onti e dai suoi inform atori, in Am alfi tari e tareni significavano la stessa m oneta.

E d è davvero singolare vedere che proprio il Codice D iplom a-

tico A m alfitano (9), al quale il M onti fa appello per la sua asser­

zione, porta un docum ento del 1060, che parla di auri tarenos ! A ltra obiezione, quella della parola denarios del cap. i o 0. Così dice il M o n ti: « si può aggiungere col Racioppi che il de-

narios del cap. i o 0 nel senso di m oneta in genere non può a ttr i­

buirsi al secolo XI, allorché i denari m oneta specifica non erano

(1) Cod. Dipi. Cav. Doc. 156. (2) Cod. Dipi. Cav. Doc. 242. (3) Cod. Dipi. Cav. Doc. 575. (4) Cod. Dipi. Cav. Doc. 1241. (5) Cod. Dipi. Cav. Doc. 132S.

(6) Arch. Badia di Cava - Arca XIV, n. 97. (7) Cod. Dipi. Cav. Doc. 1234.

(8) Cod. Dipi. Cav. Doc. 1296.

(9) Codice Diplomatico Am alfitano, a cura di Riccardo Filangieri Can­ dida — D ocum enti del R. Archivio di Napoli (anni 907-1200) — Napoli — Morano 1917 pag. 107.

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stati ancora coniati da T ancredi, dagli Svevi e poi, su larga mi- sura, dagli A ngioini ». A n z itu tto , qui, non riesce chiaro quale corrispondenza vi possa essere tra denari nel senso di m oneta in genere con denari m oneta specifica; quando non si voglia — come sembra logico — vedere nelle due espressioni due term ini antitetici. Leggendo il testo della T abu la (Item patroni, facta vela, debent ostendere et declarare cunctis nautis et sotiis, publice, totam colom nam et m ercantiam et etiam denarios qui tra b u n t de civitate), bisogna intendere che i patron i hanno l’obbligo di m ettere al corrente i naviganti della merce e dei danari che si portano.

E denarios ha il significato generico di danari o danaro — secondo

che la parola significa, o allora cominciava a significare nella lingua volgare — . N è si può interpretare altrim enti, poiché, se si volesse dare il significato di denaro come m oneta specifica, riusci' rebbe stranissimo e illogico che le altre m onete — come il tareno,

il grano ecc. — non si dovessero dichiarare, se portate sulla nave.

E c’era bisogno, per dire denari, che si aspettasse il conio dei de- nari, come m oneta specifica, da parte degli A ngioini? E, qualora si cercasse un tal riferim ento come necessario, non si potrebbe ricordare che v ’erano stati denari — come m oneta specifica — coniati e correnti proprio a Salerno e d into rni, a partire dal- 1’ anno 871 ?

Il C odex D iplom aticu s C avensis, d ifatti, ce ne dà diverse te­

stim onianze: nell’871 « T rem isso uno de dinari » (1), nell’872, nell’874, nell’880, nell’884, nel 903, nel 905, nel 927 (2).

V isto come questi due dati num ism atici (i tareni e i denari)

non diano affidam ento alcuno per stabilire categoricam ente u n ’epoca precisa, non sembra il caso di contare sugli altri due d ati della stessa n atu ra — che dovrebbero rappresentare gli elem enti obiet­ tivi per la tesi del M onti — : i grani (cap. 130) e le salm e (cap. 50). Si tra tta sempre di m ateria che, reggendosi su prove dim ostrative casuali desunte da docum enti, può da u n m om ento all’altro vacil­ lare, appena venga fuori qualche altra docum entazione di epoca

(1) Cod. D ipi. Cav. Doc. 70.

(49)

diversa. Che — come afferm a il M'onti — prim a del 1200 non si trovi citazione dei grani e delle salme nei docum enti del C odice

A m alfitan o non è sufficiente ragione per stabilire u n taglio n e tto :

perchè m olte volte m onete e m isura, prima di ricevere il conio ufficiale, hanno avuto un uso corrente, quasi consuetudinario; e perchè, d ’altronde, non t u tt ’ i docum enti am alfitani d ell’XI se- colo si trovano nel C od. D ip i. A m a lf., che si riferisce alle carte depositate nel R. A rchivio di N apoli (come prova il fa tto che il C am era riporta docum enti in quello non compresi). A l qual pro­ posito si può addurre qualche esempio preciso: in u n docum ento am alfitano del 1105 — rip ortato dal Camera (1) — si parla di

cantaria sexaginta de lana, m entre la stessa misura di peso n on si

riscontra affatto nel C od. D ip i. A m a lf. Così, proprio la parola

salma — che il prof. M onti esclude sino al 1265 stan do ai docu­

m enti inediti d el C od . A m a lf. del Filangieri ■— si tro v a già nel 1201 come m isura chi sa da q uanto tem po in uso, in u n d o ­ cum ento (appena il 30) del C odice D iplom atico Salernitan o (2). T a li prove occasionali conferm ano, q uin di, anche l’ ev entu alità che di m onete e di m isure — correnti per consuetudine e in paesi diversi di pertin en za politica m a legati com m ercialm ente — si possa trovare testim onianza inasp ettata in qualche docum ento non ancora conosciuto.

Prudenza occorre nel definire i term ini cronologici del corso di una m oneta, qu ando l’esclusione poggi su docum entazioni in ­ cidentali. E app u nto per ragioni d i prudenza noi non affer­ m iam o — contro la tesi del M onti — che, essendo in A m alfi per decreto di Federico II sospeso il conio ufficiale del tari o tareno

nel 1222 (3), non solo 1 capitoli latin i m a anche alcuni volgari della

T abu la si debbano datare ad u n ’epoca non posteriore a q u ell’anno;

poiché il tareno am alfitano — sia pure eccezionalmente — potè

(1 ) Ma t te o Ca m e r a, M em orie storico-diplom atich e d e ll’an tica C ittà e D u ­ cato d i A m alfi — Salerno — 1876 — Voi. I - Cap. XV.

(2) Codice D iplom atico S alern itan o, a cura di Carlo Canicci — Subiaco, 1931 Voi. I (1201-12S1) Doc. III.

(3) Cfr. L. G i o b e r t i , 1m m onetazione am alfitana, in questa Rivista — Anno II - N. 1.

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aver corso in certi posti e in certe condizioni, ancora per qualche tempo.

A questo punto, dim ostrata la labilità di certi d ati specifici, faccio u n ’obiezione fondam entale, che investe ab im is la tesi del M onti e che basterebbe a scuoterla e infirm arla, anche se gli eie- m enti num ism atici fossero — come senza prove sufficienti egli ritiene — tu tti ed esclusivam ente ed incontrastabilm ente di età angioina.

Ammesso che la T abu la — nei suoi capitoli latini compilati nel secolo XI e in quelli volgari dei secoli XIII e X IV — fosse in vigore duran te il dom inio degli A ngioini, sarebbe stato um ana­ m ente possibile che il testo di essa portasse due m onetazioni e due m isurazioni diverse; come si aspetterebbe il M onti per ritenere i capitoli latini di epoca m olto anteriore? Era la cosa più normale di questo m ondo che i capitoli latini — se pure avessero citato m o­ nete e misure fuori uso — venissero attualizzati per tale riguardo; altrim enti la T abu la non sarebbe stata applicabile sotto gli A ngioini. Per questa ragione i nom i di m onete e m isure — quali si leggono nel testo foscariniano tardivam ente red atto — per nulla valgono a stabilire la data di compilazione del testo latino, poiché basta ritenerli sottoposti a revisione, ad unificazione, ad eventuale sosti­ tuzione dei valori in corso (i) a quelli fuori uso e fuori conio, se si voglia ritenere col M onti che qualche elem ento num ism atico — di cronologia così elastica — fosse proprio del tem po angioino.

A ltrim enti non potrebbe pensarsi: la logica lo esige; l’um ana con­ suetudine lo dim ostra.

Quale testo di legge — parlo ad un egregio storico del d iritto — sancirebbe pagam enti con m onete fuori uso legale o del tu tto irreperibili? Quale testo di legge — com pilato quando che sia e applicato in tem po posteriore — esclude i necessari ritocchi m ec­ canici per i d a ti pratici voluti da consuetudini e norm e nuove? E, trascurando questa insopprim ibile necessità, lo storico futuro potrebbe desum ere la data di un docum ento giuridico soltanto dai­

n i Anche il fatto che nel testo foscariano, la parola grana è soltanto ab­ breviata in gr potrebbe forse significare qualche cosa In questo senso.

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l’appariscenza dei dati esterni, e non da altre profondissim e è fortissim e ragioni storico-politiche? Come noi — per la T abu la

de A m a lp h a — abbiam o sostenuto e più avanti riconferm erem o.

C he più? Scrive il M o n ti: « Si può aggiungere col medesimo autore (Raccioppi), che gli Item con cui si iniziano i singoli capitoli della T a v o la sono di uso angioino, poiché nei tem pi svevi non si usavano; si può, infine, aggiungere con lo stesso che la parola

C apitu la della rubrica anche fu propria dei tempi angioini ».

E ’ strano che

1

’ illustre prof. M onti s’induca a m u tuare argo­ m enti sì futili dal vecchio e ru d ito che gli sta a cuore: 1’ è una pseudoscoperta da elim inare con un po’ di elementare buo n senso. T rattan d o si di un testo m anoscritto del secolo X V I, è pacifico che qualunque povero diavolo di am anuense abbia p o tu to distin­ guere tu tti i paragrafi, e latini e volgari, della Tabula col nom e di

capitula e iniziarli con Item : parole — l’una e l’altra — comuni,

incolori, insufficienti a dare sostegno ad un determ inato interroga­ tivo cronologico.

# # #

Resterebbe ancora qualche altro m ezzo argom ento a favore della tesi angioina, m a il M . — questa volta — p ru d entem ente dichiara che esso potrebbe rivolgersi anche a disfavore, e però lo lascia da p arte: quello dei rapporti della T a b id a con le Ctonsue-

tu d in i A m alfitan e — , definite nel 1274(1). Noi, al contrario,

senza chiudervi gli occhi su, lo afferriamo, per approfondirlo con un po’ di revisione dei d a ti docum entari.

Che le C on su etu din i A m a lfitan e avessero la loro definitiva redazione scritta nel 1274 si può am m ettere col M onti. M a per intendere certe correlazioni tra la T abu la e le C onsu etu dines di Am alfi, non bisogna ferm arsi q u i: bisogna cioè considerare che

le C onsu etu dines furono definitivam ente codificate nel 1274, dopo

aver avuto applicazione pratica quasi tradizionalm ente nei tem pi anteriori, e principio allo stato di costum anze in epoca m olto re­ m ota: nulla ostacola che, in base ad un docum ento riportato dal

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C a m e ra (i) e datato al 1007 — nel quale si legge « secundum legem et consuetudines nostrae civita tis — , esse si ritengano aver avuto origine e svolgim ento sin dal secolo XI. Che un sistema di leggi scritte può ben rappresentare uno stadio definitivo rispetto ad un complesso di norm e praticam ente seguite per tem po indeterm inato.

Or bene, se tra le C onsu etu dines e il testo latino della T a-

buia rapporti si voglion vedere per m olte ragioni storico-politiche, non è discordante che i capitoli latini costituenti il nucleo origi­ nario del d iritto m arittim o am alfitano avessero origine quasi con­ tem poraneam ente al prim o abbozzo degli altri sta tu ti della glo­ riosa Repubblica, d u ran te il periodo della sua potenza e ind ipen ­ denza politica.

Si aggiunga che il testo definitivo delle C onsu etu dines datato al 1274 offre indirettam ente anche qualche dato specifico nei ri­ guardi della Tabula: la m enzione, nel cap. 14, della pecunia data

in societate m aris: che fa supporre, in quel tem po, in Am alfi un

testo di leggi m arittim e. C ’è di più : m entre nelle C onsuetudines si distingue il tari di Am alfi da quello di Sicilia, nella T abu la si nom ina da solo il tari o tareno — come poteva farsi in epoca an te­ riore, ossia prim a dell’annessione regia — .

Premesse queste considerazioni, di q u anto i capitoli latini della T abu la debbano ritenersi anteriori alle C onsuetudines nel testo del 1274 m ostra una visione più organica dell’una e delle altre, e cioè proprio la valutazione consapevole dello stile dei due testi: anche a non essere esperti di arte letteraria e filologica e ad aver soltanto u n tan tin o di natio buon in tu ito da lettore comune, essi appaiono diversissimi di fattu ra non m eno che di modo di concepire e di organizzare. Le C onsu etu dines sono un regolare sistema giuridico costituito e disciplinato con tu tti i d ati storici precisi e logicam ente aderenti, in un linguaggio curialescamente sviluppato e classicamente composto; laddove la T abu la ha norme rozze, disorganiche, scarse di determ inazioni, in un linguaggio rudim entalm ente im perfetto e dalla sintassi trasandata. Par di star di fronte a due individui ben diversi di civiltà e di cu ltura: il

Figura

Fig.  65.  Fig.  6 6 .

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