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Esperienza clinica nel prolasso della ghiandola della terza palpebra nel cane (2010-2015)

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INDICE

Introduzione

pag. 3

PARTE GENERALE

Anatomia delle palpebre

pag. 5

Visita oculistica

pag. 16

Cherato-congiuntivite secca

pag. 22

Patologie della terza palpebra

pag. 30

Prolasso della ghiandola nittitante

pag. 38

Trattamento del prolasso della ghiandola

della terza palpebra

pag. 42

Tecnica di Blogg

pag. 48

Tecnica di Gross

pag. 48

Tecnica di Albert

pag. 49

Tecnica di Kaswan & Martin

pag. 50

Tecnica di Stanley & Kaswan

pag. 51

Tecnica di Twitchell

pag. 53

Tecnica di Moore

pag. 53

Tecnica della tasca di Morgan

pag. 54

Tecnica VRM

pag. 54

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ESPERIENZA PERSONALE

Materiali e metodi

pag. 59

Risultati

pag. 62

Discussioni

pag. 74

Conclusioni

pag. 79

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INTRODUZIONE

In questa tesi si prenderà in considerazione una patologia extra-oculare che colpisce la ghiandola lacrimale della membrana nittitante del cane. Tale ghiandola, per ragioni ancora non definitivamente accertate, in alcuni soggetti prolassa esternamente rendendosi visibile nel canto mediale come una massa rosacea. Verrà quindi trattato il prolasso della ghiandola lacrimale della terza palpebra, come diagnosticarlo e i relativi trattamenti che prevedono essenzialmente tecniche chirurgiche, tra cui quella da noi utilizzata la tecnica della tasca di Morgan.

Tale tecnica prevede il riposizionamento in situ della ghiandola lacrimale a livello orbitale, così da preservarne la funzionalità, evitando gli effetti svantaggiosi dati dalla sua asportazione e ottenendo risultati estetici ottimali.

Prima del 1980 il metodo di scelta per il trattamento del prolasso della ghiandola della terza palpebra era la completa o parziale escissione del tessuto prolassato. Successivamente, quando si è iniziata a capire l’importanza della ghiandola della terza palpebra nel produrre il film lacrimale precorneale, sono state proposte diverse tecniche chirurgiche mirate a riposizionare e preservare la suddetta ghiandola. Le prime tecniche descritte in ordine temporale, prevedevano l’ancoraggio della ghiandola al tessuto episclerale, alla sclera o alla periorbita ossea, aumentando il rischio di lesioni iatrogene oculari e limitando la motilità della terza palpebra con gli effetti collaterali che ciò può comportare.

L’autore Morgan, in uno studio effettuato tra il 1980 e l’anno 1990, dopo aver ottenuto scarsi successi con una percentuale di recidiva

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superiore al 50% con la tecnica di ancoraggio alla sclera di Gross, decise di cambiare approccio chirurgico, partendo questa volta dai principi della tecnica della tasca congiuntivale di Moore, ed evitando, però, la dissezione della mucosa congiuntivale sovrastante la ghiandola, che inevitabilmente danneggia i dotti escretori. Con ciò Morgan (1993) osservò che la percentuale di successo dell’intervento di riposizionamento salì al 90%, non causando, tra l’altro, alcuna modificazione anatomica a livello locale.

È per tale motivo che nella presente tesi si è deciso di valutare retrospettivamente i risultati ottenuti presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, utilizzando la tecnica chirurgica descritta da Morgan per riposizionare la ghiandola prolassata della terza palpebra.

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PARTE GENERALE

ANATOMIA DELLE PALPEBRE

Le palpebre rappresentano pliche dorsali e ventrali della cute rivestite internamente da congiuntiva e vanno a formare la fessura palpebrale oltre la quale è situato il globo oculare.

Tra i margini delle palpebre e il globo oculare si trova una mucosa sottile, la congiuntiva.

La porzione di congiuntiva che ricopre la superficie interna della palpebra è denominata congiuntiva palpebrale e quella che ricopre la sclera è definita congiuntiva bulbare o sclerale (Stades et al., 2000).

La linea di congiunzione tra la congiuntiva palpebrale e bulbare si chiama fornice e l’area racchiusa dalla congiuntiva è nel suo complesso denominata sacco congiuntivale, dove sono localizzati gli sbocchi delle ghiandole lacrimali principali e accessorie, rispettivamente dorso-lateralmente e ventralmente al fornice congiuntivale (Stades et al., 2000).

La congiuntiva è fortemente adesa al limbo e alla giunzione muco cutanea e nelle rimanenti parti è ripiegata in pliche e aderisce blandamente ai tessuti sottocongiuntivali.

La congiuntiva è formata da uno strato superficiale e da uno strato profondo stromale. Lo strato superficiale è costituito da epitelio squamoso stratificato, non cheratinizzato (Turner, 2009) ma approssimativamente ad un terzo della distanza dal margine della palpebra al fornice congiuntivale essa si trasforma in epitelio pseudostratificato, contenente cellule caliciformi, deputate alla

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produzione di mucina. L’epitelio stratificato esterno è in continuo rinnovamento con cellule che derivano dallo strato basale.

I vasi che irrorano lo stroma congiuntivale derivano dalle arterie ciliare anteriore e palpebrale e si rendono particolarmente evidenti quando un’affezione congiuntivale ne provoca una congestione; l’innervazione sensoriale è garantita da diversi rami del nervo trigemino (V nervo cranico).

Le funzioni della congiuntiva comprendono la protezione della cornea dalla disidratazione, l’aumento della mobilità delle palpebre e la costituzione di una barriera nei confronti di microrganismi e corpi estranei.

Il profilo naturale della fessura palpebrale, nel cane, ha la forma di una mandorla, ma in altre specie animali si possono presentare con numerose variazioni di forma.

Topograficamente parlando, le palpebre si suddividono in palpebra superiore o dorsale e in palpebra inferiore o ventrale. Le connessioni palpebrali si suddividono in canto mediale, in vicinanza al setto nasale, e in canto laterale, dalla parte dell'osso temporale. Nella maggior parte delle specie animali, la palpebra superiore è più mobile rispetto a quella inferiore e la porzione laterale della palpebra risulta più mobile di quella mediale in quanto maggiormente fissata ai tessuti sottostanti e al periostio del canto mediale.

All'esterno delle palpebre è presente una cute sottile ed elastica, che permette così una ottimale escursione palpebrale durante l'ammiccamento.

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All’interno delle palpebre, invece, è presente uno strato connettivale fibroso, la lamina tarsale che funge da supporto palpebrale. La lamina tarsale è in stretta connessione con il periostio della rima orbitale ed è anche in contatto con il legamento palpebrale mediale e con la base della membrana nittitante.

Internamente, nello spessore distale tarsale sono presenti le ghiandole di Meibonio, che producono la componente lipidica del film lacrimale.

I dotti escretori delle ghiandole di Meibonio sboccano al centro del margine libero palpebrale, in una zona chiamata “linea grigia”, e possono rendersi visibili sul margine interno congiuntivale.

L'apporto vascolare palpebrale è garantito da numerose arterie che si diramano dai canti mediali e laterali.

Le porzioni laterali delle palpebre sono irrorate da diramazioni dell'arteria temporale, dall'arteria lacrimale, dal ramo dorsale dell'arteria muscolare, dall'arteria zigomatica e dall'arteria etmoidale esterna.

Le porzioni mediali palpebrali, invece, sono irrorate da rami dell'arteria malare e da rami dell'arteria infraorbitaria con anastomosi con l'arteria palpebrale inferiore, arterie facciali trasverse e branche dell'arteria oftalmica esterna (Gelatt et al., 2013)

Il drenaggio linfatico palpebrale e congiuntivale converge a livello dei canti mediali e laterali sino al linfonodo parotideo, che in caso di sospetta neoplasia annessiale viene accuratamente esaminato per determinare il grado di diffusione (Gelatt et al., 2013).

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Il muscolo palpebrale più importante è il muscolo orbicolare, che è coinvolto principalmente nella chiusura palpebrale agendo come uno sfintere. È localizzato immediatamente sotto la cute ed è connesso dal setto orbitale ai canti palpebrali laterale e mediale. L'innervazione motoria è garantita dal ramo palpebrale del nervo facciale (VII nervo cranico) che innerva la maggior parte dei muscoli palpebrali, ad eccezione del muscolo elevatore della palpebra superiore che è di competenza del nervo oculomotore (III nervo cranico) e una eventuale paralisi di quest'ultimo determina ptosi della palpebra superiore; la sensibilità è, invece, garantita da rami del nervo trigemino (V nervo cranico) che garantiscono un'estrema sensibilità agli stimoli, e danno il via al riflesso palpebrale che consiste nella contrazione del muscolo orbicolare quando viene stimolata meccanicamente la cute limitrofa al canto mediale.

L’adeguata funzionalità del muscolo orbicolare è essenziale per esplicare il suo importante compito, ovvero quello di distribuire uniformemente il film lacrimale che risulta essere protettivo per il globo oculare.

Il dolore oculare è manifestato con il cosiddetto blefarospasmo, che altro non è che una contrazione spasmodica del muscolo orbicolare.

La lunghezza media della fessura palpebrale, estesa e misurata tramite apposito calibro, è approssimativamente 33 mm nella maggior parte delle razze canine medie e grandi (Gelatt et al., 2013). Nelle razze in cui si osserva una netta mancanza di contatto tra la palpebra inferiore e il globo oculare, la lunghezza delle rima palpebrale misura in genere più di 39 mm (Stades et al., 2000).

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Medialmente e lateralmente sono presenti i legamenti palpebrali, strutture fibrose che stabilizzano le palpebre e aiutano a mantenere la forma della fessura palpebrale. Il legamento palpebrale laterale nei piccoli animali, è scarsamente sviluppato e pertanto, come precedentemente detto, la porzione palpebrale laterale risulta più mobile della mediale, e per tale motivo risulta maggiormente predisposta a difetti anatomici come entropion ed ectropion.

Lungo i margini liberi delle palpebre, e nello specifico delle superiori, si trovano ciglia poste in fila di numero variabile a seconda del soggetto e della razza dell'animale. Nel gatto, a differenza del cane, non sono presenti ciglia propriamente dette a livello dei margini liberi palpebrali, ma sono presenti dei peli cutanei che vengono considerati loro sostituti (Gelatt, 2011)

In prossimità dei margini palpebrali sono presenti le ghiandole di Moll, che sono ghiandole sudoripare (apocrine), e le ghiandole di Zeis adibite alla secrezione di sebo.

Nel corso degli anni la selezione razziale ha permesso in alcune razze di gatti e cani, di avere un rapporto meno armonico delle dimensioni palpebrali con il globo oculare, causando non poche problematiche relative al difetto funzionale delle palpebre.

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MEMBRANA NITTITANTE (NM) O TERZA PALPEBRA E GHIANDOLA ANNESSA

Nel canto mediale ventrale, situata tra la cornea e la palpebra inferiore, è presente una plica congiuntivale, dotata di mobilità, denominata membrana nittitante, terza palpebra o plica semilunare della congiuntiva.

Il principale scopo della membrana nittitante è quelloprotettivo nei confronti della cornea.

La congiuntiva esterna della terza palpebra è chiamata palpebrale a differenza di quella interna che è chiamata congiuntiva bulbare. La stabilità della membrana nittitante è dovuta alla presenza di una cartilagine estremamente sottile a forma di T, di materiale ialino con alcune fibre elastiche rilevabili solo nel tessuto connettivo vicino (Schlegel et al., 2011),di cui il lato orizzontale della T decorre parallelo a circa 1,5 mm dal margine libero della membrana, mentre l'estensione ventrale della cartilagine ha origine dal tessuto connettivo periorbitale associato con il margine inferonasale del globo oculare.

La base della NM è intimamente associata con la fascia della muscolatura oculare (Constantinescu, 1990).

In aggiunta alla cartilagine, è presente uno stroma di tessuto connettivo fibroso tra le due superfici congiuntivali, anteriore e posteriore che aumenta la rigidità della struttura (Mane et al., 1990).

Numerosi aggregati linfoidi popolano la superficie bulbare congiuntivale della NM, e vi sono cellule caliciformi che si trovano tra i noduli linfatici e l’epitelio (Prince et al., 1960).

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La terza palpebra del cane non presenta al suo interno strati muscolari e il suo movimento avviene passivamente quando vi è la retrazione del globo.

L'escursione palpebrale riesce fisicamente a proteggere la cornea, muovendosi dal margine infero-nasale al supero-temporale.

In molti cani il margine libero della NM è visibile per almeno 4-5 mm a livello del canto mediale, e generalmente si presenta pigmentato e soprattutto nei cani a mantello multicolore, può anche accadere che un margine sia pigmentato e l’altro no.

Una ghiandola tubulo acinosa circonda la porzione ventrale della cartilagine; tale ghiandola produce il 30% della frazione acquosa delle lacrime ed è unita alla cartilagine della terza palpebra e alla periorbita ventrale da tessuto connettivo lasso.

Quando la NM è in posizione normale, la ghiandola non è visibile perché situata in profondità.

Studi istochimici hanno evidenziato come la componente tubulare della ghiandola, secerna primariamente la componente sierosa, mentre la componente acinosa secerna muco, e la principale secrezione mucosa prodotta è la sialo-mucina (Martin, 1988; Alexandre-Pires et al., 2008).

La NM provvede anche a un ausilio dal punto di vista immunologico dell'occhio, secernendo Ig-A tramite la componente tissutale linfoide (Schlegel et al., 2003).

L’apporto di sangue, è garantito da rami dall'arteria malare che entrano dalla base della NM, per poi dividersi in due piccole branche che attraversano quasi tutta la lunghezza del margine

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libero prima di ramificarsi in profondità. Le vene, invece, decorrono superficialmente.

La terza palpebra, quindi, si muove passivamente sul globo durante l’ammiccamento e contribuisce alla distribuzione del film lacrimale e alla rimozione dei detriti.

La terza palpebra può essere affetta da numerose patologie sia congenite sia acquisite. Queste ultime vanno dalle alterazioni di posizione, come la protrusione, spesso conseguenza di tutte le patologie che provocano enoftalmo, e da processi infiammatori, neoplasie e traumi.

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PRODUZIONE E COMPOSIZIONE DEL FILM LACRIMALE

La produzione del film lacrimale è attribuibile all’insieme delle secrezioni della ghiandola lacrimale principale, della ghiandola della terza palpebra, delle ghiandole di Meibonio e dalle cellule caliciformi della congiuntiva.

La ghiandola lacrimale principale è localizzata sotto il processo zigomatico dell’osso frontale, dorso-lateralmente al globo oculare e ha la forma di un grappolo rosaceo e di aspetto brillante, costituito dall’ ammasso di piccoli lobuli ghiandolari giustapposti ed entro ciascun lobulo si trova un setto connettivale che forma la struttura della ghiandola. La secrezione fluida acquosa è liberata attraverso i condotti intralobulari che confluiscono verso i condotti escretori che sboccano a livello del fornice congiuntivale dorso-laterale (Gelatt, 1999; Stades et al., 2000).

La ghiandola della terza palpebra riversa il suo prodotto acquoso attraverso numerosi dotti che sboccano a livello della congiuntiva bulbare in corrispondenza del parenchima ghiandolare (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000).

Le ghiandole di Meibonio, alloggiate nella piastra tarsale, secernono, invece, la componente lipidica esterna del film lacrimale attraverso numerosissimi sbocchi a livello del margine libero palpebrale.

Le cellule caliciformi sono presenti nello strato intraepiteliale della mucosa congiuntivale è sono deputate alla produzione mucoproteica del film lacrimale.

Il film lacrimale, nel suo complesso, è quindi costituito da tre strati rispettivamente di natura lipidica, acquosa e mucosa, e per la sua

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stretta adesione alla cornea e alla congiuntiva risulta avere notevole importanza nel garantire una protezione oculare otticamente trasparente e di spessore uniforme, nell’apportare sostanze nutritive per il trofismo corneale, nell’eliminazione di particelle estranee e batteri e nel veicolare leucociti in caso di lesione corneali.

Il film lacrimale precorneale ha un pH di 6.8-8 e questo risulta determinante quando si prevede la somministrazione di farmaci topici che hanno un pH diverso da quest’ultimo provocando bruciore e irritazione al momento dell’applicazione.

Lo strato esterno di natura lipidica, è prodotto dalle ghiandole di Meibonio ed è composto da colesterolo e lipidi. È di essenziale importanza per la stabilizzazione di tutto il film lacrimale e inoltre contrasta l’evaporazione dello strato acquoso sottostante e fornisce ai margini palpebrali una barriera protettiva di natura oleosa (Turner, 2009).

Lo strato medio acquoso, è prodotto dalle ghiandole lacrimale principale e nittitante, e costituisce la maggior parte del film lacrimale ed è circa 7µm.

È composto essenzialmente da acqua, elettroliti, glucosio, urea, e alcune proteine derivanti dal siero come le globuline IgA, IgM, IgG e albumine, lisozima e lattoferrina che attribuiscono alle lacrime proprietà antimicrobiche (Gelatt et al., 2013). Oltre a queste importanti funzioni lo strato acquoso consente la diffusione di ossigeno e di sostanze nutritive, facilitando lo scivolamento del globo e contribuendo alla protezione della cornea rimuovendo metaboliti e batteri presenti in sede oculare.

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Lo stato profondo mucinico, prodotto dalle cellule caliciformi congiuntivali, aderisce saldamente alla cornea permettendo allo strato intermedio di distribuirsi uniformemente su tutta la superficie. Lo spessore dello stato mucoso varia da 1-2 µm, ed è costituito da mucoproteine, immunoglobuline e lisozima favorendo anch’esso l’eliminazione di particelle estranee e di batteri.

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VISITA OCULISTICA

In tutti gli animali che si presentano con un problema oculare dovrebbe essere effettuato un esame oftalmologico completo che, essenzialmente, prevede un approccio standardizzato in tutti i pazienti con l’ausilio di materiali e strumenti diagnostici adeguati. La visita oculistica prevede:

1. La raccolta dell’anamnesi e del segnalamento, che rappresenta il primo step col fine di raccogliere informazioni non solo riguardanti l’affezione oculare, ma anche altri aspetti del segnalamento come: la razza del cane, che può esserci d’ausilio di fronte a patologie di origine ereditaria; l’età, che è un fattore da prendere sempre in considerazione in quanto numerose patologie sono più frequenti nei giovani come l’entropion e il prolasso della ghiandola della terza palpebra o nei soggetti anziani come l’insorgenza di neoplasie; il sesso, è da tener in considerazione in quanto, seppur raramente, ci possono essere predisposizioni di patologie oculari legate al sesso; lo stato di salute generale, in quanto molte patologie a carattere sistemico hanno ripercussioni oculari secondarie come in caso di diabete mellito, dove il soggetto può esser portato a visita oculistica per cecità improvvisa senza che il proprietario abbia notato precedentemente i segni di poliuria/polidipsia caratteristici del diabete; somministrazione di farmaci, sia in precedenza che al momento della visita, possono essere la causa stessa dell’affezione oculare, come ad esempio la somministrazione di sulfasalazina può provocare l’insorgenza di una grave

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cherato-congiuntivite secca bilaterale; presenza in casa di altri animali, fattore, a volte, determinante quando la patologia è ad eziologia infettiva.

2. Esame non strumentale, che consiste nell’osservazione comportamentale del soggetto che deve essere lasciato libero di camminare per evidenziare già da subito alterazioni della funzione visiva; prevede inoltre, la visualizzazione macroscopica dell’occhio e del muso, l’osservazione di eventuali disturbi oculari come ad esempio blefarospasmo, epifora, asimmetria oculare, macro o micro oftalmia, strabismo od eventuali tumefazioni/gonfiori perioculari.

3. Esame strumentale, che prevede l’ausilio di materiali e strumenti diagnostici:

La lettura del Test di Schirmer, che dovrebbe essere il primo test diagnostico durante la visita oftalmologica di un soggetto che presenta alterazioni al sistema lacrimale. Esso consiste in delle strisce di carta assorbente graduate con o senza colorante, che dopo averle ripiegate a 45° dall’estremità circolare e introdotte nel sacco congiuntivale ventrale a circa un terzo della distanza dal canto laterale, per capillarità è possibile stimare la quantità di lacrime prodotte in un occhio, in modo da valutare se il soggetto è affetto da una iper- o ipo- produzione di lacrime. Il valore ottimale di lacrime è di circa 20 mm/minuto, valori che si discostano di molto sono significativi di un aumento o diminuita produzione lacrimale (Gelatt et al., 2013). Valori aumentati sono significativi di epifora, secondaria o a patologie

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infiammatorie come congiuntivite, cheratite, uveite, glaucoma ecc o a impervietà dei dotti naso-lacrimali. Valori al di sotto del limite normale sono indicativi, invece, di una ridotta produzione lacrimale sostanzialmente riferibile a difetti funzionali ghiandolari o a patologie sistemiche sottostanti come, ipotiroidismo, diabete mellito e sindrome di Cushing (Sansom & Barnett, 1985; Kaswan & Salisbury, 1990). Il test di Schirmer è considerato prevalentemente un test quantitativo, anche se, bisogna valutare anche la velocità con cui le lacrime risalgono le strisce, che in caso di un rapido assorbimento, può indicare un difetto nella composizione del film lacrimale, e quindi svelare un difetto qualitativo.

Il STT-2, che consiste nel misurare il volume lacrimale con test di Schirmer, ma solo dopo somministrazione di un anestetico topico e dopo aver atteso 5 minuti e aver assorbito tramite una spugna di cellulosa i secreti residui nel sacco congiuntivale.

Il test Rosa Bengala viene eseguito per diagnosticare disordini della produzione del film lacrimale, della deficienza qualitativa della porzione mucinica e dei difetti dell’epitelio corneale. Colora l’epitelio necrotico o devitalizzato di rosso magenta brillante e risulta più sensibile della fluoresceina a lievi difetti epiteliali osservati nelle cheratiti herpetiche (Turner, 2009) e nelle cheratiti secondarie a deficit lacrimali. Il test consiste in delle strisce di carta impregnate di colorante vitale da applicare per pochi secondi nel fornice congiuntivale superiore. Dopo aver lasciato ammiccare si

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osserva la cornea con lampada a fessura per evidenziare ogni piccola alterazione del film lacrimale e sofferenze dell’epitelio corneale.

La fluoresceina è un colorante vitale arancione, solubile in acqua, che colora di verde le ulcere corneali. La cornea integra è lipofilica e in quanto tale non assorbe la fluoresceina, ma nel momento in cui l’epitelio è danneggiato il colorante aderisce allo stroma esposto (che è idrofilico) (Turner, 2009).

Il BUT (Break-up time) misura il tempo durante il quale il film lacrimale rimane disteso e integro sulla superficie oculare. Si esegue colorando il film corneale con fluoresceina e osservando la sua rottura con lampada a fessura. Valuta quindi l’alterazione del film lacrimale. Un tempo di rottura inferiore a 10 secondi è da considerarsi patologico.

Risposta alla minaccia, è un test semplice e veloce che

consiste nell’effettuare un gesto brusco con la mano verso l’occhio, e in caso di positività si otterrà la chiusura delle palpebre. Tale test è utile per esaminare velocemente il tratto visivo (nervo ottico – II nervo cranico) e la capacità di chiudere le palpebre (nervo facciale – VII nervo cranico) e inoltre è sempre associato all’esecuzione del riflesso

palpebrale, che è caratterizzato da ammiccamento in risposta

ad uno stimolo sensoriale e meccanico sulla cute palpebrale del canto mediale, così da valutare un’eventuale presenza di emiparesi o paresi del nervo facciale.

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Riflesso dell’abbagliamento, viene effettuato con l’ausilio di

una fonte di luce focalizzata diretta verso l’occhio, che determinerà, in caso di esito positivo, una parziale chiusura palpebrale bilaterale, esaminando così gli stessi due nervi della risposta alla minaccia (ottico e facciale), suggerendo il corretto funzionamento retinico e del nervo ottico.

Test degli ostacoli, prevede la sua esecuzioni in ambienti non

familiari al cane e in condizioni sia di luminosità intensa che al buio. Dopo aver posizionato vari oggetti solidi sparsi nella stanza, il proprietario, posizionatosi dal lato opposto del soggetto, richiama il proprio cane per poter osservare così l’orientamento spaziale, indice di una corretta funzione visiva.

Test del batuffolo di cotone, che si lascia cadere nel campo

visivo del cane per andare a valutare la capacità nel seguirne i movimenti. Il cotone si utilizza perchè è un materiale leggero e inodore, così da assicurare, nella valutazione del test, l’esclusiva utilizzazione della vista e un mancato coinvolgimento dell’odorato e dell’udito.

I Riflessi pupillari allo stimolo luminoso, vengono evocati da

una fonte di luce focalizzata indirizzata su di un occhio e una risposta normale si osserva nel momento in cui la pupilla si contrae rapidamente (riflesso diretto), in associazione alla costrizione pupillare dell’altro occhio (riflesso consensuale). L’esame deve essere effettuato in maniera analoga in entrambi gli occhi.

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La misurazione della pressione intraoculare (IOP), è anche

detta tonometria e lo strumento utilizzato per misurarla si chiama tonometro. La tonometria può essere per indentazione, applanazione o di tipo rebound. I valori pressori intraoculari normali in un cane oscillano tra i 10 e 20 mmHg e variano anche a seconda della razza, dell’età o dal tipo di contenimento effettuato durate la misurazione.

Valutazione del segmento anteriore e annessi, viene effettuato

mediante visione diretta della porzione oculare anteriore con una luce focalizzata, un oftalmoscopio diretto od una lampada a fessura.

Valutazione del segmento posteriore oculare, effettuato

tramite un oftalmoscopio diretto od indiretto col fine di visualizzare il corpo vitreo e tutte le componenti del fondo oculare.

L’ispezione della terza palpebra, in una visita oculistica, non è

sicuramente un fattore da tralasciare in quanto numerose affezioni oculari si istaurano a questo livello. La terza palpebra, in un soggetto sano, non è visualizzabile se non con una manovra pressoria sulla parte dorsale del globo oculare inducendone così la sua protrusione. L’ispezione della porzione della cartilagine bulbare, invece, risulta più difficoltosa e viene effettuate con l’ausilio di un anestetico locale che permette di poterla afferrare, abbassandola, potendone valutare così l’aspetto e le caratteristiche dei follicoli linfatici.

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CHERATO-CONGIUNTIVITE SECCA

Per cherato-congiuntivite secca (KCS) si intende una patologia oculare conseguente alla carenza o alla alterazione di uno o più componenti del film lacrimale. La mancanza di una lubrificazione appropriata della superficie oculare crea attrito tra le palpebre, la terza palpebra e la superficie oculare stessa. Inoltre l’epitelio corneale si essicca e ciò favorisce lo sviluppo di lesioni ulcerative e di infezioni oculari (Aguirre et al., 1971; Sansom et al.,1985; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000). Generalmente la patologia è bilaterale nel 60% dei casi e si manifesta più frequentemente nelle femmine (Stades, 2000), ma può insorgere primariamente in un solo occhio. La KCS può essere suddivisa in una deficienza quantitativa o qualitativa del film lacrimale.

La deficienza quantitativa è caratterizzata da un’insufficiente produzione della componente acquosa, in quanto rappresenta la maggior parte del secreto lacrimale.

Le cause di una ridotta o assente produzione lacrimale possono essere sia congenite che acquisite:

 origine congenita, osservata nelle razze Carlino e nello Yorkshire Terrier per aplasia/ipoplasia delle ghiandole lacrimali (Gelatt, 1999);

 immuno-mediata con predisposizione genetica (Helper, 1986) di cui le razze maggiormente predisposte sembrano essere il Bassotto Tedesco a pelo lungo, il Cavalier King Charles Spaniel, il West Highland White Terrier(Stades et al., 2000), il Bulldog inglese, il Carlino, lo Yorkshire Terrier, l’American Cocker Spaniel, il Pechinese, lo Schnauzer nano, il

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Boston Terrier, il Bloodhound, il Lhasa Apso e il Samoiedo(Gelatt et al., 2013).

 carenze nutrizionali, come l’ipovitaminosi A (accertata nell’uomo ma non ancora nel cane)(Gelatt, 1999; Stades et al., 2000);

 da farmaci, come terapie a base di fenazopiridina e derivati sulfamidici, da somministrazione di atropina, farmaco anticolinergico ad azione parasimpaticolitica diretta, anestetici generali e antinfiammatori non steroidei (Gelatt et al., 2013);

 origine traumatica, con interessamento delle ghiandole lacrimali che potrebbero portare ad un deficit funzionale delle stesse (Gelatt, 1999; Stades et al., 2000);

 malattie metaboliche sistemiche, come l’ipotiroidismo, il diabete mellito e la sindrome di Cushing possono far ridurre quantitativamente la produzione acquosa lacrimale (Gelatt, 1999; Stades et al., 2000);

 processi infiammatori, sia primitivi che secondari a malattie virali, come il cimurro (Bromberg, 1980), a infezioni batteriche e protozoarie come in caso di Leishmaniosi in cui vi può essere un coinvolgimento oculare con alterazione a carico delle ghiandole lacrimali (PenaGimenez et al., 1990);

 malattie autoimmuni, come la sindrome di Sjögren di natura autoimmunitaria che determina xerostomia e xeroftalmia e quindi KCS;

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 patologie neurologiche come la disautonomia o alterazione dell’innervazione parasimpatica ghiandolare (Gelatt, 1999);

 processi neoplastici a carico delle ghiandole lacrimali (vedi neoplasie);

asportazione chirurgica delle ghiandole lacrimali, come nei

casi di asportazione della ghiandola lacrimale della terza palpebra. La ghiandola della terza palpebra fisiologicamente contribuisce a circa il 30% della produzione lacrimale totale (Helper, 1996). In uno studio effettuato da Saito et al. (2001) su 5 giovani Beagle tra i 10 e i 13 mesi è stato osservato, tramite misurazione con test di Schirmer, che in tali soggetti, a cui era stata asportata la ghiandola, si era verificata una diminuzione notevole della secrezione lacrimale e un aumento rapido del pH dopo escissione, che potrebbe, a lungo termine, causare KCS. Con tale studio è stata, inoltre, confermata la correlazione tra la diminuzione lacrimale secondaria all’escissione chirurgica della ghiandola e lo sviluppo, già a distanza di un anno, di microlesioni dell’epitelio cherato-congiuntivale, attribuibili allo scadimento qualitativo e quantitativo del film lacrimale e all’incremento del pH (Saito et al, 2001). Nei soggetti analizzati, dopo la rimozione chirurgica della ghiandola, sono state effettuate diverse misurazioni del volume lacrimale, utilizzando diversi test:

 il PRT (test rosso fenolo), che consiste in un filo di cotone trattato con rosso fenolo che a contatto con le lacrime cambia colore virando da giallo a rosso.

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Metodologicamente, il test PRT è simile al test di Schirmer, ma è meno invasivo sia per la lunghezza dell’estremità inserita nel sacco congiuntivale sia per il tempi di esame limitato (15 sec). I valori normali dovrebbero essere compresi tra i 9 e i 20 mm e i pazienti con occhi secchi riportano in genere valori al di sotto dei 9 mm.

 Il STT-1 (vedi pag 29).  Il STT-2 (vedi pag 17).

Per la misurazione del pH lacrimale è stato utilizzato un test metrico per il pH.

È stato misurato il BUT (tempo di rottura del film lacrimale) tramite monitoraggio fotografico ad intervalli di 5 secondi e lampada a fessura dopo l’applicazione di soluzioni a base di fluoresceina.

Precedentemente all’escissione della ghiandola della terza palpebra, sono state eseguite due volte il PRT, il STT-1 e il STT-2. Il pH è stato misurato una sola volta in 2 giorni nei soggetti n°4 e 5, e 2 volte al giorno negli altri cani. Il BUT è stato eseguito 1 volta per tutti gli occhi. I soggetti sono stati monitorati per 46 settimane, a partire dalle 2 settimane dopo l’intervento. Il BUT è stato misurato 8 volte a 1,2,6,7,10 e 12 mesi post-chirurgia e il pH è stato misurato a 2,3,4,5,6 e 10 settimane dopo l’escissione e una volta a settimana dopo 7 mesi dalla chirurgia per un totale di 30 misurazioni. Dalle misurazioni effettuate prima dell’intervento in comparazione con quelle effettuate dopo, si è osservato un

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calo della produzione lacrimale del 19% tra i 61 e 120 giorni post escissione e un calo del 25% tra i 121 e i 180 giorni post-escissione. L’aumento del pH è stato significativo in ogni fase, ma l’incremento maggiore è stato osservato tra la misurazione pre-escissione e quella a 14-60 giorni post-escissione. Il BUT, prima dei 180 giorni non ha presentato diminuzioni significative, ma tra i 241-300 giorni post-escissione si è presentato significativamente diminuito. Pertanto, in base a questi risultati gli autori sconsigliano di asportare la ghiandola nittitante, soprattutto nelle razze predisposte allo sviluppo di KCS, se non in caso di recidiva multipla dopo un intervento di fissazione chirurgica.

Nei cani che sviluppano la KCS, la cornea e la congiuntiva si presentano con un aspetto opaco con vascolarizzazione e pigmentazione estesa riducendo notevolmente la capacità visiva, l’epitelio corneale diventa cheratinizzato e ipertrofico. Nei casi più gravi si arriva allo sviluppo di ulcere corneali superficiali, profonde o perforanti che difficilmente rispondono alla terapia medica. La congiuntiva appare arrossata ed edematosa e provoca notevole disagio oculare per cui i cani, spesso, si sfregano gli occhi con le zampe o contro superfici (Aguirre et al., 1971; Sansom et al., 1985; Kaswan et al., 1990; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000;). È presente, inoltre, blefarospasmo e scolo muco purulento, che in casi di cronicità possono divenire persistenti.

La diagnosi si basa sul riscontro dei valori del test di Schirmer

(Stades et al., 2000) di entità medio-bassa. Si inizia a sospettare una KCS già con valori al di sotto dei 15 mm/min, sino ad arrivare a

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diagnosi di grave KCS con valori del test di Schirmer inferiori a 5mm/min (Gelatt et al., 2013). Si può inoltre eseguire il test Rosa Bengala per evidenziare sofferenze dell’epitelio corneale.

La deficienza qualitativa del film lacrimale, se non accompagnata da

una ridotta produzione della componente acquosa, presenta segni clinici meno evidenti rispetto ai casi di deficit quantitativo. Le cause di un’alterazione qualitativa degli strati costituenti il film lacrimale, sono attribuibili sia a disturbi delle ghiandole di Meibonio a eziologia infiammatoria secondaria a infezione batterica o micotica o ad anomalie dello sviluppo delle ghiandole tarsali (Kaswan et al., 1984; Sansom et al., 1985; Gelatt, 1999), che ad alterazione della componente mucinica che destabilizzano il film precorneale (Gelatt, 1999).

La presenza di stati infiammatori congiuntivali e fenomeni immuno-mediati possono distruggere o ridurre numericamente la quantità di cellule caliciformi.

La diagnosi, di alterazione dello strato lipidico esterno viene

effettuata tramite osservazione del margine palpebrale, al fine di studiarne la componente ghiandolare che decorre perpendicolarmente al margine libero palpebrale (Gelatt, 1999). Inoltre, tramite delicate manipolazioni di quest’ultimo, è possibile valutare il secreto ghiandolare che, fisiologicamente, appare viscoso e limpido, notevolmente diverso in corso di stati infiammatori delle ghiandole di Meibonio, dove invece apparirà denso e opaco (Gelatt, 1999; Stades et al., 2000).

La diagnosi di alterazioni dello strato mucinico secondarie a riduzione delle cellule caliciformi può essere formulata tramite

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valutazione bioptica del fornice congiuntivale ventrale, oppure più semplicemente valutando il tempo di rottura del film lacrimale che fisiologicamente deve essere intorno ai 20 secondi. Dopo aver diagnosticato una KCS, si procede al trattamento medico che mira soprattutto a mantenere lubrificato l'occhio e a stimolare la nuova produzione di lacrime.

La terapia medica prevede l'utilizzo concomitante di:

-lacrime artificiali, che contribuiscono a ricostituire e stabilizzare il film lacrimale che ricopre l'occhio, lenendo l'irritazione e il disagio causati dalla cherato-congiuntivite. Sono costituiti da agenti umettanti, come il polivinilpirrolidone per aumentare l’aderenza delle lacrime sulla superficie oculare e sostanze che ritardano l’evaporazione del film lacrimale come l’acido ialuronico, la metilcellulosa o il polivinilalcol (Gelatt, 1999);

-anti-infiammatori non steroidei, cortisonici topici che risolvono l'infiammazione congiuntivale e minimizzano il disagio, riducendo anche l'opacità corneale associata alla cheratite cronica. Questi farmaci sono controindicati in caso di lesioni ulcerative;

-antibiotici, sia topici che sistemici, utili nel contrastare eventuali infezioni istauratesi nel sacco congiuntivale;

-mucolitici, come farmaci a base di N acetil-cisteina, che oltre alle proprietà mucolitiche possiedono proprietà anticollagenasica che è d’ausilio nella protezione corneale dalla degradazione enzimatica e accelera la riparazione di eventuali lesioni corneali (PenaGimenez et al., 1990; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000);

-stimolatori lacrimali che promuovono la lacrimazione, divisibili in due categorie: colinergici come la pilocarpina e immunomodulatori

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come la ciclosporina. Dato che le ghiandole lacrimali sono innervate dalla componente parasimpatica, la somministrazione di un agente colinergico come la pilocarpina è in grado di stimolare la produzione lacrimale (Gelatt, 1999), in particolare nei casi di origine neurogena. Tra gli agenti immunomodulatori, particolarmente utili nelle cherato-congiuntiviti secche immuno-mediate, vi sono la ciclosporina e il tacrolimus che, riducendo la flogosi delle ghiandole lacrimali, consentono un ripristino parziale o totale della produzione lacrimale (Gelatt, 1999; Stades et al., 2000).

La terapia chirurgica è indicata in caso di insuccesso della terapia medica. L’intervento chirurgico principale della KCS, prevede la trasposizione del dotto parotideo in sede congiuntivale, sfruttando l'affinità fisiologica tra le lacrime e la saliva, garantendo così una buona lubrificazione oculare (Gelatt et al., 2013). Prima di prendere in considerazione l'intervento chirurgico, è fondamentale controllare che il paziente produca normalmente saliva: occasionalmente la xerostomia è associata alla KCS. Gli approcci chirurgici sono di due tipi: attraverso il cavo orale, descritta da Richter nel 1969, e transcutaneo, descritta da Gelatt nel 1970.

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ANOMALIE, PATOLOGIE CONGENITE E DISTURBI DI SVILUPPO DELLA TERZA PALPEBRA

MARGINE DEPIGMENTATO

Il margine libero della membrana nittitante, generalmente, nel cane è pigmentato (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999). Certi cani, invece, nascono con il margine della terza palpebra, di un occhio o di entrambi, depigmentato. Questa alterazione non rappresenta una vera e propria patologia ma solo un difetto genetico (Gelatt, 1999). La mancanza di pigmento può mettere in evidenza la trama vascolare che certi padroni possono confondere con un processo infiammatorio, soprattutto se il loro cane appartiene a una razza in cui la terza palpebra protrude maggiormente (Bromberg, 1980). Il margine libero della terza palpebra non pigmentato può risultare estremamente sensibile alla luce solare, con conseguente eritema ed edema (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999).

Nel Collie vi è una predisposizione maggiore per quanto riguarda lo sviluppo, a tale livello, di cellule neoplastiche a causa della stimolazione diretta dei raggi solari per la mancata protezione da parte del pigmento (Bromberg, 1980). Se gli unici segni sono una lieve irritazione, la terapia consiste nella somministrazione topica di corticosteroidi in collirio 1-2 volte al giorno per 2-5 giorni. Nei casi più gravi si può incorrere al tatuaggio con colore nero della porzione esposta o alla sua resezione chirurgica per non più di 2-3 mm (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999).

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EVERSIONE CARTILAGINE

L’eversione della cartilagine della terza palpebra è comunemente riscontrata in numerose razze di cani (Gelatt, 1970; Martin, 1970; Gelatt, 1972; Bromberg, 1980). La patologia sembra essere provocata dalla differente velocità di crescita delle due superfici di rivestimento della cartilagine durante lo sviluppo, tale da causare deformità cartilaginea e l’eversione o, meno frequentemente, l’inversione del margine libero della nittitante (Barnett, 1978; Bromberg, 1980). La deformazione della cartilagine si localizza, di solito, a circa 2-6mm dal margine libero della terza palpebra a carico della porzione verticale della cartilagine. In esito alla deformità si ha protrusione della terza palpebra e la congiuntiva maggiormente esposta può infiammarsi con facilità (Gelatt, 1972; Barnett, 1978; Bromberg, 1980;). Esistono molti approcci terapeutici tra cui: il flap della NM per 10-14 giorni, la resezione o rimozione della porzione di cartilagine deformata (Peruccio, 1981; Kuhns, 1975, 1977a, 1977b, 1981a,1981b; Mane et al., 1990).

DERMOIDE

Il dermoide è rappresentato da una porzione ectopica di tessuto cutaneo che si localizza a livello corneale o congiuntivale, fra cui anche quella della terza palpebra, e che, talvolta, si estende fino alle palpebre. A causa della presenza di peli provoca irritazione nell’occhio provocando epifora, blefarospasmo, iperemia congiuntivale ed edema corneale a cui può seguire la pigmentazione (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999). Il trattamento

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consiste in un delicato intervento chirurgico per rimuovere l’area di cute ectopica (Bromberg, 1980).

PROTRUSIONE

La protrusione della terza palpebra è spesso un problema estetico piuttosto che medico, in quanto raramente causa congiuntivite ed epifora. La protrusione primaria della NM senza prolasso della ghiandola può presentarsi in numerose razze (Peruccio,1981). La protrusione può essere secondaria ad enoftalmo,che si riscontra in qualsiasi patologia oculare particolarmente dolorosa alla quale segue la retrazione del globo oculare e la protrusione della terza palpebra, e le cause più frequenti sono date da ulcere corneali, cherato-congiuntiviti, ciglia ectopiche e corpi estranei(Barnett, 1978) come ascessi, neoplasie, celluliti orbitali o mucocele della ghiandola zigomatica che oltre a determinare protrusione della terza palpebra, la bloccano fra il globo oculare e l’orbita ossea, e se la patologia primaria viene risolta si avrà risoluzione spontanea. La protrusione bilaterale della terza palpebra si verifica nella miosite eosinofilia, riscontrabile frequentemente nel Pastore Tedesco e nel Weimaraner. Si tratta di una patologia infiammatoria a carico dei muscoli masseteri, temporali o pterigoidei, che prevede nella fase acuta aumento di volume dei muscoli in questione, esoftalmo e protrusione della terza palpebra e di solito evolve nell’atrofia dei corpi muscolari con conseguente enoftalmo e persistenza della protrusione della nittitante (Gelatt, 1972; Barnett, 1978; Bromberg, 1980). La protrusione può verificarsi anche in associazione con sindrome di Horner che rappresenta un disturbo neurologico a

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carico della componente simpatica dell’innervazione autonoma dell’occhio, disautonomia, intossicazione da cannabis, tetano e rabbia (Wise & Lappin, 1989; Johnson & Miller, 1990; Martin, 1990; Schrauwen et al., 1991; Valentine, 1992; Bagley et al., 1994; Harkin et al., 2002;). In animali con NM non pigmentata, protesa, può verificarsi una congiuntivite solare che può essere trattata con farmaci antinfiammatori topici (Bromberg, 1980) (vedi pag 33 margine depigmentato).

IPERTROFIA DELLA MEMBRANA NITTITANTE

L’ipertrofia della terza palpebra è una patologia che può presentarsi occasionalmente come una anomalia di razza, soprattutto nelle razze grandi, o come una patologia acquisita a causa di processi infiammatori cronici (Bromberg, 1980), come fenomeni allergici locali o sistemici, irritazioni solari croniche, cherato-congiuntivite secca e linfosarcomi (Barnett, 1978; Bromberg, 1980). L’animale, alla visita, manifesta blefarospasmo ed epifora. La terza palpebra apparirà arrossata e aumentata di volume. Nelle forme acquisite la terapia dipende dalla causa.

SIMBLEFARO

Il simblefaro è l’aderenza tra parti diverse della congiuntiva o tra la congiuntiva e la cornea e si manifesta soprattutto secondariamente ad infezioni virali, batteriche o funginee che distruggono gli strati superficiali dell’epitelio congiuntivale e corneale, fenomeno che provoca, oltre alla produzione di secrezioni mucose, l’aderenza dei foglietti epiteliali e la loro fusione. Il simblefaro che coinvolge la

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terza palpebra clinicamente si manifesta con epifora, protrusione permanente della membrana nittitante e aderenze, quest’ultime identificate durante l’esame con le pinze di Von Graefe. In particolare si verificano aderenze fra la congiuntiva palpebrale della terza palpebra e il resto della congiuntiva o fra questa e le pareti dei canalicoli lacrimali (Bromberg, 1980; Stades et al., 2000). Questa situazione va ad ostacolare i normali movimenti della terza palpebra e causa epifora da mancato drenaggio. La terapia consiste nello scollamento delle aderenze, da eseguirsi solo dopo che l’infezione sia stata risolta e il maggior rischio postoperatorio è l’ulteriore adesione fra le due superfici separate, che può essere minimizzato con la somministrazione topica di antibiotico e corticosteroidi.

NEOPLASIE

Le neoplasie della NM sono abbastanza rare nel cane, e sono classificabili in neoplasie congiuntivali, le quali originano dagli strati epiteliali della congiuntiva, e neoplasie ghiandolari, che originano dalla ghiandola accessoria. Nelle affezioni neoplastiche congiuntivali sono stati segnalati melanomi, carcinomi squamosi, mastocitomi, papillomi, emangiomi, emangiosarcomi e linfosarcomi (Hallstorm, 1970; Saunders & Rubin, 1975; Peiffer et al., 1978; Buyukmihei & Stannard, 1981; Lavach & Snyder, 1984; Johnson et al., 1988; Wilcock & Peiffer, 1988; Collier & Collins, 1994; Liapis & Genovese, 2004). Papillomi, mastocitomi, emangiomi ed emangiosarcomi possono essere trattati con successo asportando parzialmente o completamente la terza palpebra mentre i

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melanomi maligni,sono estremamente aggressivi e posso invadere l’orbita e metastatizzare (Collins et al., 1993). Le neoplasie ghiandolari sono rappresentate da adenomi/adenocarcinomi della ghiandola lacrimale della terza palpebra. Anche in questo caso è prevista la rimozione della terza palpebra ma queste neoplasie, possono recidivare localmente invadendo l’orbita. Raramente metastatizzano a distanza.

I principali tumori riscontrati nella terza palpebra del cane sono adenocarcinomi ghiandolari, papillomi e melanomi maligni (Schaffer et al., 1994).

CONDIZIONI INFIAMMATORIE

EPISCLEROCHERATITE GRANULOMATOSA NODULARE

È una malattia infiammatoria e i cani di razza Collie sembrerebbero maggiormente predisposti (Paulsen et al., 1987; Dugan et al., 1993); origina dal limbo temporale, ma può coinvolgere anche la membrana nittitante. La NM coinvolta si presenta iperemica, depigmentata ed edematosa. La progressione dell’infiammazione può essere contrastata con utilizzo di farmaci immunosoppressori topici e/o sistemici.

PLASMOMA

Il plasmoma è una patologia che colpisce prevalentemente il Pastore Tedesco ed è spesso associata alla cheratite superficiale cronica. La patogenesi è attribuibile ad un processo infiltrativo da parte di linfociti e plasmacellule che causano un progressivo ispessimento della terza palpebra con lo sviluppo di tumefazioni focali grigio-rosate sulla superficie palpebrale e sul margine libero,

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depigmentazione e formazioni follicolari (Barnett, 1978; Bromberg, 1980; Helper, 1981; Read, 1995; Rubin, 1989; Teichert, 1966). Contemporaneamente la ghiandola della terza palpebra appare leggermente prolassata (Bromberg, 1980; Stades et al., 2000; Gelatt et al., 2013). La patologia è generalmente bilaterale ma non colpisce con la stessa entità entrambi gli occhi (Barnett, 1978; Bromberg, 1980). La diagnosi viene effettuata attraverso l’esame citologico del materiale prelevato dal sacco congiuntivale e il ritrovamento di plasmacellule, linfociti e cellule infiammatorie (Gelatt et al., 2013). Il trattamento consiste nella somministrazione di cortisonici topici associati a farmaci immunosoppressori come ad esempio la ciclosporina. Tale terapia non dovrà mai essere interrotta per tutta la durata della vita dell’animale. L’utilizzo di ciclosporina associata ai corticosteroidi, permette di ridurre la frequenza di somministrazione di quest’ultimi (Bromberg, 1980; Stades et al., 2000; Gelatt et al., 2013).

CONGIUNTIVITE FOLLICOLARE

La congiuntivite follicolare si manifesta non solo a livello della congiuntiva della terza palpebra ma anche in altri sedi congiuntivali. I follicoli linfatici si posso sviluppare per reazione ad una infezione primaria, ad una irritazione cronica, oppure per un fenomeno di ipersensibilizzazione (Bromberg, 1980; Stades et al., 2000; Gelatt et al., 2013). Hanno un diametro di 0,5-3 mm, sono opalescenti con base rossastra e si ritrovano più frequentemente localizzati sulla congiuntiva bulbare della terza palpebra, fra il margine libero e la ghiandola, ma possono essere presenti ovunque sulla congiuntiva (Stades et al., 2000; Gelatt et al., 2013). La diagnosi può essere

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formulata solo con il ritrovamento di un elevato numero di follicoli dopo aver prolassato la membrana nittitante grazie ad un abbassapalpebra. La presenza di alcuni follicoli, soprattutto in animali giovani, viene considerata normale (Bromberg, 1980; Stades et al., 2000; Gelatt et al., 2013). I segni clinici sono estremamente variabili tanto da mancare del tutto oppure includere enoftalmo, blefarospasmo, secrezione mucosa, arrossamento e tumefazione della congiuntiva (Bromberg, 1980). Il primo passo della terapia è di rimuovere se possibile la causa predisponente. Se non ci sono segni di infezione o di altre cause, il trattamento consiste nella somministrazione di corticosteroidi in collirio 4 volte al giorno per 2-3 settimane. Se la patologia recidiva si può ricorrere al courettage della terza palpebra o alla cauterizzazione di ogni singolo follicolo (Bromberg, 1980; Gelatt, 1999).

TRAUMA, RICOSTRUZIONE, E CORPI ESTRANEI

La membrana nittitante è spesso soggetta a traumi che possono addirittura lacerarla. Lesioni di piccola entità generalmente sono risolvibili spontaneamente, a differenza di grandi lesioni, le quali necessitano di un intervento di sutura con filo riassorbibile 6-0, effettuato con attente manovre col fine di evitare di ledere la cornea e di non rivolgere i nodi chirurgici verso il margine bulbare per evitare lesioni iatrogene. La guarigione è comunque molto rapida (Bromberg, 1980). Corpi estranei, come ad esempio reste di graminacee, possono interessare la terza palpebra collocandosi tra la terza palpebra e la cornea oppure nel sacco congiuntivale inferiore, causando spesso ulcere corneali, infiammazione, epifora,

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blefarospasmo e protrusione della membrana. I corpi estranei possono essere rimossi nella maggior parte dei casi, dopo istillazione di un collirio anestetico, con delle pinzette e successivo lavaggio; è consigliata una terapia antibiotica per contrastare eventuali infezioni istauratesi, specialmente in concomitanza con ulcere corneali.

PROLASSO DELLA GHIANDOLA LACRIMALE DELLA MEMBRANA NITTITANTE (PNMG)

Il prolasso della ghiandola della terza palpebra o “cherry eye” è tra i problemi più comuni che affliggono la NM (Dugan et al., 1993; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000). La protrusione ghiandolare può presentarsi sia unilateralmente che bilateralmente, e generalmente colpisce i cani prima dei 2 anni di età (Dugan et al., 1993; Morgan et al., 1993), nei gatti invece si manifesta in soggetti meno giovani (Chahory et al., 2004), suggerendo un’eziologia diversa dalla predisposizione congenita. Le razze canine maggiormente predisposte sono il Cocker americano e inglese, Lhasa Apso, Bulldog inglese, Beagle, Shitzu, Pechinese (Dugan et al., 1993; Morgan et al., 1993; Gelatt, 1999;Schoofs, 1999; Stades et al., 2000; Puddu et al., 2002), è stata inoltre riportata nel Mastino napoletano, Bulldog francese, Maltese, Basset Hound, il Cavalier King Charles Spaniel, il Cane Corso, il Boxer, lo Shar Pei, il Boston Terrier e lo Shih-tzu (Mazzucchelli et al., 2012). Nei gatti la razza più predisposta sembra essere il Burmese(Albert et al., 1982) e Persiano(Chahory et al., 2004; Schoofs, 1999).

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La dislocazione ghiandolare può insorgere inizialmente in un solo occhio, ma spesso nell’arco di 2-3 mesi acquista carattere di bilateralità (Gelatt ,1999).

La patogenesi non è ancora stata determinata; alcuni autori pensano sia attribuibile a una lassità del tessuto connettivo di attacco tra la zona profonda della NM e il tessuto periorbitale (Severin, 1996). La debolezza delle connessioni permette alla ghiandola di protrudere dorsalmente alla NM occupando interamente il canto mediale oculare, e quando ciò accade, soprattutto in casi cronici, la ghiandola è sottoposta a svariati insulti che la rendono edematosa e infiammata. All’esame clinico, quindi, apparirà come una massa rosacea costituita dalla congiuntiva del sacco ventrale che ricopre la ghiandola dislocata che, spesso, va ad occupare interamente il margine della terza palpebra. Se non precocemente corretta, si sviluppa congiuntivite cronica, epifora e scolo oculare mucoso (Dugan et al., 1992), con predisposizione a infezioni batteriche secondarie e, in alcuni casi, all’insorgenza di lesioni corneali provocate dalla irritazione locale della ghiandola prolassata (Magrane, 1971; Gelatt, 1999; Stades et al., 2000).

Ipotesi ereditaria

Il prolasso della ghiandola lacrimale della terza palpebra (PNMG) è un’affezione abbastanza frequente nei cani delle razze predisposte, ovvero in quelle razze che presentano una lassità delle strutture che tengono in situ la suddetta ghiandola. L’ipotesi di trasmissione genetica, negli ultimi anni, è stata sempre più presa in considerazione, tanto da divenire oggetto di interesse scientifico.

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Recentemente è stato pubblicato uno studio il cui obiettivo era quello di verificare la possibile origine genetica del prolasso della ghiandola della terza palpebra (Edelmann et al, 2013). Nello studio sono state utilizzate due linee di cani meticci: la prima linea (GS) che consta di 201 esemplari derivati dall’incrocio da un Pastore Tedesco a pelo corto e sette cani meticci e la seconda linea (M) composta da 50 esemplari derivati da un cane meticcio e 3 Bassotti a pelo lungo.

La linea GS è stata valutata dal 2000 al 2012, mentre la linea M è stata valutata dal 2006 al 2012.

Entrambe le linee sono state allevate in maniera analoga ed esposte agli stessi fattori ambientali.

Il riscontro di PNMG nelle due linee GS e M è stato rispettivamente del 4% e del 10%.

Della linea M, 5 su 50 presentavano prolasso della ghiandola e il primo caso si osservò tra la progenie dei cani fondatori, ovvero tra l’incrocio di una femmina meticcia e il maschio di razza Bassotto tedesco; 4 dei 5 cani presentavano prolasso unilaterale tra 1 e 26,6 mesi e uno bilateralmente a 1,6 mesi. Della linea GS, 6 cani presentavano prolasso unilaterale della ghiandola tra i 1,8 e i 5,2 mesi; solo un cane presentava prolasso bilaterale della ghiandola nittitante.

Dati i numeri equivalenti di maschi e femmine affette nella linea GS, e l’esiguo numero dei casi della linea M in cui 4 su 5 erano femmine, una predisposizione allo sviluppo della patologia legata al sesso sembra improbabile.

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Nella linea GS è plausibile che la modalità di trasmissione sia autosomica recessiva con penetranza incompleta poiché tutti i cani affetti derivano dall’accoppiamento di animali non affetti. Nella linea M, 4 soggetti affetti derivano dall’accoppiamento di un soggetto affetto e uno non affetto e questo sembrerebbe indicare una trasmissione autosomica dominante anche se questa modalità di trasmissione sembra improbabile poichè l’accoppiamento tra due cani affetti non ha prodotto figli che presentassero la patologia. In alternativa, gli autori propongono una trasmissione autosomica dominante con bassa penetranza oppure una eziologia non genetica. La modalità di trasmissione comunque resta da determinare e l’eziologia è probabilmente complessa e, se genetica, potenzialmente multi genica (Edelman et al., 2013).

PROLASSO DELLA GHIANDOLA DELLA TERZA PALPEBRA NEL GATTO

Il prolasso della terza palpebra nei gatti è reperto assai meno frequente che nei cani. Nel gatto, e soprattutto nella razza Burmese, è stato segnalato con età di esordio che va sin da cuccioli a gatti adulti di 6 anni. La correzione chirurgica con il riposizionamento della ghiandola è uguale come successo e tecnica a quella del cane (Gelatt et al., 2013). L’asportazione della ghiandola, anche in questa specie è controindicata per evitare che si instauri una KCS secondaria ad una diminuzione quali-quantitativa di lacrime, come è stato segnalato in un occhio di gatto Burmese sottoposto ad asportazione della ghiandola della terza palpebra (Albert et al., 1982).

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TRATTAMENTO DEL PROLASSO DELLA GHIANDOLA DELLA

TERZA PALPEBRA

TERAPIA MEDICA

La terapia medica è contemplata, soprattutto, in casi recenti di prolasso della ghiandola della terza palpebra, e consiste nella somministrazione di corticosteroidi e antibiotici col fine di ottenere una riduzione della congestione ghiandolare secondaria allo stato infiammatorio e ad evitare l’insorgenza di infezioni batteriche secondarie, per facilitare un eventuale riposizionamento manuale (Magrane, 1971; Bistner et al.,1977; Startup, 1996).

CONSIDERAZIONI GENERALI SUL TRATTAMENTO CHIRURGICO Preparazione chirurgica

La preparazione chirurgica e del campo operatorio viene effettuata immediatamente prima dell'intervento in modo tale da assicurare una buona asepsi del campo operatorio. L’antibioticoprofilassi pre- e post-chirurgica riduce ulteriormente la possibilità di sviluppo di infezioni secondarie alla procedura. Non è necessario tosare l'area perioculare, se non in minima parte nel versante del canto mediale. Il sacco congiuntivale viene preparato tramite irrigazione con soluzione a base di iodiopovidone diluito in fisiologica o Ringer lattato allo 0,5% effettuando lavaggi ripetuti, e utilizzando swabs per facilitare la rimozione di muco e detriti cellulari. La cute palpebrale viene preparata attraverso l'utilizzo di un disinfettante a base di clorexidina.

Strumenti chirurgici

Gli strumenti chirurgici utilizzati nei trattamenti oftalmologici, oltre al kit chirurgico di base, prevedono strumenti creati appositamente

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per soddisfare le esigenze anatomiche oculari, e quindi in grado di essere applicati in spazi ristretti e di mantenere un'alta precisione, in quanto gli esiti di un intervento oculistico sono attribuibili a procedure microchirurgiche estetiche. Gli strumenti utilizzati sono: -porta-aghi Castroviejo, utilizzato spesso nella chirurgia extra-oculare, poiché assicura la massima precisione e una buona prensione, è in grado di massimizzare la precisione nella giustapposizione dei tessuti recisi col fine di ottenere ottimi risultati estetici. La punta del porta-aghi misura circa 9 mm e può essere dritta o leggermente ricurva per un migliore approccio anatomico. -bisturi con lame #11 (a punta) e #15 non sono concepite come strumenti di microchirurgia. Il loro utilizzo è riservato ad interventi chirurgici palpebrali e orbitali sia nei grossi che nei piccoli animali. Una lama da bisturi #15 è l’ideale per effettuare incisioni precise in tessuti di piccole dimensioni (Fossum, 2013);

-emostasi: nella chirurgia extra-oculare è sconsigliabile l'utilizzo di termocauterizzatori perchè possono ledere il tessuto perioculare originando cicatrici fibrose che potrebbero influenzare l'esito chirurgico. Il sanguinamento per recisione di piccoli vasi, nella maggior parte dei casi, può prontamente essere risolto tramite il tamponamento con garze di cotone sterili; può essere utile un mini cauterizzatore portatile a batteria a bassa temperatura che innalzando poco la temperatura locale, non crea lesioni tissutali. Per contrastare il sanguinamento in sede intraoperatoria, può essere d'ausilio l'istillazione preventiva di una goccia di adrenalina in modo da vasocostringere localmente i vasi più superficiali (Gelatt et al., 2013);

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-pinze oftalmiche di Bishop Herman, pinze utilizzate per la manipolazione della congiuntiva palpebrale (e bulbare) e generalmente sono provviste di piccoli denti. Le punte piccole a 1 o 2 denti sono più efficienti nella prensione dei tessuti durante la maggior parte delle procedure chirurgiche;

-forbici da tenotomia di Stevens, sono forbici delicate che si utilizzano spesso nelle procedure oftalmiche per eseguire dieresi sottili e precise;

-forbici Mayo, robuste, utilizzate per recidere tessuti spessi e resistenti;

-forbici Metzenbaum, sono più delicate rispetto alle Mayo, e pertanto vengono utilizzare per tagliare i tessuti più sottili o per la dissezione smussa e acuta;

-divaricatore autostatico, serve a mantenere aperte le palpebre in modo da agevolare la visione del campo operatorio e le manipolazioni chirurgiche;

-backhaus, strumenti per fissare il drappeggio alla cute;

-filo da sutura: (polidiossanone) PDS 2 5-0, filo riassorbibile monofilamento sintetico, con un’ alta sicurezza relativa del nodo, scarsa reazione tissutale come tutti i fili sintetici, completo riassorbimento in 180gg ed è consigliato per la sutura delle mucose, compresa la congiuntiva (Fossum, 2013).

Postoperatorio

Nel postoperatorio è sufficiente prescrivere antibiotici sia topici sia sistemici, rispettivamente un collirio a base di tobramicina e amoxicillina e acido clavulanico per via orale al fine di garantire una buona profilassi antibatterica. Inoltre la somministrazione di

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infiammatori non steroidei per via orale può essere utile al fine di ridurre la flogosi locale e il disagio conseguente all’intervento.

Si consiglia di monitorare il soggetto per apprezzare precocemente eventuali recidive e la normale mobilità o distorsioni della terza palpebra. In caso di recidiva, spesso collegata ad una cronicità della protrusione prima della riduzione, può essere riprogrammato un ulteriore intervento a distanza di alcune settimane.

Risulta utile applicare un collare rigido tipo Elisabetta dalle proporzioni adatte sin dal risveglio del paziente, in modo tale da evitare possibili complicazioni dovute allo sfregamento dell'occhio. TECNICHE CHIRURGICHE NEL PROLASSO DELLA GHIANDOLA

DELLA TERZA PALPEBRA

Negli anni passati a causa della mancata conoscenza dell’importanza della ghiandola della terza palpebra e del suo contributo nella produzione lacrimale, si prediligeva la sua escissione chirurgica (Gelatt et al., 2013). L’intervento di escissione chirurgica della ghiandola nittitante prolassata è abbastanza semplice e consiste, sotto anestesia generale, nella sua totale asportazione con lama da bisturi o delle forbici, dopo averla afferrata alla sua base con delle pinze emostatiche. Per scongiurare un eccessivo sanguinamento viene instillata una soluzione di epinefrina prima di effettuare l’exeresi chirurgica. L’incisione effettuata , di solito, non viene suturata a meno che dopo aver eseguito uno zaffamento non si abbia un eccessivo sanguinamento (Bistner et al., 1971; Magrane, 1971). In letteratura sono state descritte altre due tecniche di escissione, una delle quali prevede l’asportazione totale della terza palpebra, scelta da effettuare solo

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in concomitanza con neoplasie aggressive, altrimenti considerata un grave errore professionale (Magrane, 1971; Stades et al., 2000). La seconda tecnica descritta prevede, invece, l’asportazione del solo tessuto ghiandolare utilizzando una pinza di Allis e un cappio per tonsille, e rispetto ai precedenti metodi, offre un notevole vantaggio in quanto si riduce il rischio di emorragia (Magrane, 1971).

Tecniche di riposizionamento

Attualmente diversi studi hanno dimostrato l’importanza della ghiandola della terza palpebra e il suo contributo dal 30% fino al 57% alla produzione totale di lacrime, determinando così una revisione nella terapia chirurgica col fine di preservare la ghiandola onde evitare conseguenze legate a una diminuzione dell’apporto lacrimale. È stato dimostrato che la produzione lacrimale è attribuibile principalmente alla ghiandola lacrimale dorsale, ma in alcuni soggetti sono state riscontrate produzioni maggiori del circa il 63% da parte della ghiandola lacrimale dorsale, e quindi l’importanza di queste due ghiandole varia considerevolmente da soggetto a soggetto (Dugan, 1993; Helper, 1996; Saito, 2001). L’impossibilità di conoscere il ruolo effettivo, ovvero l’apporto lacrimale della ghiandola nittitante, soprattutto nelle razze predisposte allo sviluppo di KCS, ha modificato notevolmente l’approccio chirurgico che è, oramai, volto ad essere di tipo conservativo (Dugan et al., 1993; Morgan et al., 1993). Morgan (1993), nel corso della sperimentazione della sua tecnica di riposizionamento mediante la creazione di una tasca congiuntivale, dimostrò che le tecniche conservative sono nettamente da

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