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Tra crimine efferato ed esemplarita cristiana: il processo a Gilles de Rais (1440)

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INDICE

CAPITOLO 1

SITUAZIONE STORICA, POLITICA E GEOGRAFICA DELLA

FRANCIA

E

DELLA

BRETAGNA

NEL

XV

SECOLO...

pag.4

1.1 La guerra dei cent'anni...

pag.4

1.2 La Bretagna tra il XIV e il XV secolo...

pag.7

1.3 Giovanni V di Montfort...

pag.10

1.4 Configurazione sociale e struttura economica...

pag.14

CAPITOLO 2

GILLES DE RAIS...

pag.19

2.1 I primi anni e la carriera militare...

pag.19

2.2 Le spese folli...

pag.22

2.3 Il declino...

pag.25

CAPITOLO 3

I PROCESSI A GILLES DE RAIS...

pag.29

3.1 Le cause dei processi secondo la pubblica accusa...

pag.29

3.2 L'imputato, i testimoni, i magistrati...

pag.29

3.3 Analisi e confronto dei due processi...

pag.32

3.4 Conclusioni...

pag.42

CAPITOLO 4

(2)

4.1 Le possibili concause dei processi...

pag.44

4.2 I testimoni a discarico non convocati...

pag.46

4.3 Lacune e zone d'ombra nella conduzione dei processi...

pag.48 4.4

Conclusioni...

pag.56

CAPITOLO 5

UN TENTATIVO DI REVISIONE DEI PROCESSI...

pag.60

CAPITOLO 6

IL BAMBINO E L'INFANTICIDIO AL TEMPO DI GILLES DE

RAIS...

pag.68

6.1 Il sentimento dell'infanzia...

pag.68

6.2 La scuola nel Medioevo e l'istituzione del collegio dei Santi

Innocenti da parte di Gilles de Rais...

pag.72

6.3 La famiglia medioevale; il ruolo dei genitori nel processo a Gilles

de Rais...

pag.77

6.4 Il reato di infanticidio...

pag.84

CAPITOLO 7

IL RUOLO DELLE ACCUSE DI SODOMIA NEL PROCESSO A

GILLES DE RAIS...

pag.89

7.1 La sodomia: “un reato contro natura”...

pag.89

7.2 Sodomia ed eresia...

pag.92

7.3 Leggi ecclesiastiche e laiche contro il reato di sodomia...

pag.97

(3)

LA

DIMENSIONE

RELIGIOSA

DEI

RITUALI

DI

GIUSTIZIA...

pag.100

8.1 La morte del condannato: dannazione o perdono?...

pag.100

8.2 Le ultime ore di Gilles de Rais: il ruolo del confessore...

pag.105

8.3 La riabilitazione del condannato a morte: l'esecuzione, i funerali,

e la memoria di Gilles de Rais...

pag.108

CAPITOLO 9

DA MARESCIALLO DI FRANCIA A BARBABLÙ: LE

TRADIZIONI STORIOGRAFICHE RELATIVE AL PROCESSO A

GILLES DE RAIS...

pag.111

9.1 La fama di Gilles de Rais negli anni successivi al processo e in

epoca moderna...

pag.111

9.2 La storiografia ottocentesca: Jean Michelet e Eugène

Bossard...

pag.114

9.3

Il

primo

Novecento:

Salomon

Reinach

e

Ludovico

Hernandez...

pag.118

9.4 Il secondo Novecento: George Bataille...

pag.123

9.5 Il processo secondo uno storico contemporaneo: Jacques

Heers...

pag.125

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CAPITOLO 1

SITUAZIONE STORICA, POLITICA E GEOGRAFICA DELLA

FRANCIA E DELLA BRETAGNA NEL XV SECOLO

Il periodo storico che prenderò in esame in questo lavoro, ossia i primi quaranta anni del XV secolo, rappresenta una fase di svolta nella lunga e sanguinosa guerra intrapresa dalla Francia contro l’ Inghilterra, che avrebbe posto le basi della formazione dello stato moderno francese. Data l’importanza politica e strategica della Bretagna, dove si sarebbe svolto il processo a Gilles de Rais, che nel conflitto svolse un ruolo rilevante, in questo primo capitolo cercherò di fornire un quadro d’insieme della guerra dei cent’anni; mi soffermerò in un secondo momento sulla storia della Bretagna ed in particolare sulla figura di Giovanni V, duca al tempo degli eventi che considero.

1.1 La guerra dei cent’anni

Tra le cause della guerra dobbiamo ricordare le complicate vicende dinastiche e matrimoniali che portarono i sovrani inglesi ad essere, in territorio francese ed in particolare in Aquitania, vassalli del re di Francia. La situazione, già particolarmente complessa, venne a precipitare nel 1328, con la morte senza eredi dell’ultimo sovrano capetingio, Carlo IV il Bello. Con il sostegno dei grandi feudatari di Francia, Filippo VI di Valois, figlio del fratello minore di Filippo il Bello, divenne re. Egli tentò di sequestrare i feudi inglesi in Aquitania, al che il sovrano inglese Edoardo III reagì proclamandosi re di Francia. Edoardo era infatti figlio di Isabella, quartogenita di Filippo il Bello.

La prima fase del conflitto fu segnata da continue disfatte francesi, con la conseguente perdita delle regioni sud-occidentali. La cavalleria francese,

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costituita da feudatari, venne più volte battuta dagli arcieri inglesi. Il sovrano francese Filippo VI dimostrò di non essere in grado di organizzare l’ingente cavalleria, superiore per numero a quella inglese, e di sferrare un attacco decisivo. I feudatari preferivano azioni individuali, fonti di grande arricchimento personale, finalizzate a fare prigionieri, riscattati a caro prezzo dalla corona inglese. Del tutto inutile si dimostrò inoltre l’alleanza con la Scozia, che attaccò gli inglesi oltremanica per impedirne lo sbarco in suolo francese. L’ascesa al trono francese di Giovanni il Buono non cambiò le sorti di questa prima fase; la Francia fu infatti sconfitta duramente a Crecy (1346) e Poitiers (1356), dove egli venne fatto prigioniero. La prigionia di Giovanni e la conseguente reggenza del delfino Carlo provocarono una grande instabilità; ne approfittò Carlo il Malvagio, re di Navarra, forte del sostegno degli inglesi, per avanzare pretese al trono. L’esercito mercenario dopo la sconfitta di Poitiers venne smobilitato, e i fuoriusciti si organizzarono in bande dedite al saccheggio, a danno soprattutto della povera gente del contado. Per di più, la leva obbligatoria imposta dal delfino a tutti gli uomini abili provocò un forte malcontento nelle campagne, già duramente provate, che sfociò nel 1358 in una vera e propria rivolta, la Jacquerie; Carlo riuscì a sedarla solo dopo l’intervento dell’esercito. Il delfino si trovò dunque obbligato ad accettare le durissime condizioni imposte da Edoardo con il trattato di Brétigny nel 1360: un ingente riscatto per la liberazione di Giovanni II e la cessione di gran parte della Francia sud occidentale. Edoardo a sua volta dovette cedere le Fiandre e parte della Bretagna, che divenne indipendente ma alleata alla corona inglese. Su questo punto, mi soffermerò in seguito.

Nella fase successiva della guerra Carlo V, succeduto al padre nel 1364, grazie ad una tattica militare più avveduta, riuscì a riconquistare parte dei territori perduti. Gli inglesi, non riuscendo a far fronte ad una guerra di logoramento, furono più volte sconfitti.

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Alla morte di Carlo V, la Francia conobbe un periodo di grave crisi, dovuta alla pazzia del nuovo re, Carlo VI, ed al conseguente vuoto di potere. Il consiglio di reggenza venne affidato alla regina Isabella; tuttavia, il paese era governato di fatto dal duca di Borgogna, Filippo l’Ardito, zio del re, che aveva ricevuto il ducato in appannaggio dal padre, Giovanni II il Buono. A questi si oppose il duca Luigi di Orléans, conte d’Armagnac, fratello del re. Fu solo con la morte di Filippo l’Ardito che la grave crisi sfociò in una vera e propria guerra civile. Le due fazioni, quella dei Borgognoni, che appoggiava Giovanni Senzapaura, e quella degli Armagnacchi, favorevole agli Orléans, commisero l’errore di chiedere l’intervento del re d’Inghilterra Enrico V, promettendo vasti territori in Francia. Enrico ne approfittò per rivendicare i propri diritti sulla corona francese e dichiarare guerra. La monarchia francese ne uscì distrutta: il 25 ottobre 1415 gli arcieri inglesi inflissero a Azincourt alla cavalleria feudale francese la più grave sconfitta mai subita. La nobiltà, che per secoli aveva fatto della guerra la propria prerogativa, venne spazzata via da semplici soldati. Il modello feudale di guerra entrò definitivamente in crisi.

Enrico, alleato dei Borgognoni, venne nominato reggente della Normandia appena conquistata. Inoltre, grazie al matrimonio con Caterina di Valois, figlia di Carlo VI, divenne unico erede della corona francese. Alla sua morte, Enrico VI d’Inghilterra divenne anche re di Francia, con il nome di Enrico II. Di fatto la Francia aveva due re: a nord e a est Enrico, alleato dei Borgognoni; a sud e al centro il delfino ripudiato dal padre, Carlo VII. Le vicende successive, legate alla figura di Giovanna d’Arco, sono ben note. Tratterò alcuni episodi in maniera dettagliata nei paragrafi successivi, poiché vedono coinvolto in prima linea Gilles de Rais, al fianco della Pulzella d’Orléans.

Mi preme tuttavia delineare la situazione francese attorno al 1440, data del processo che esaminerò nei prossimi capitoli. Il trattato di Arras (1435)

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pose fine alle ostilità tra Armagnacchi e Borgognoni; al ducato di Borgogna veniva formalmente riconosciuta l’indipendenza: anche i Paesi Bassi erano oramai costituiti come compagine territoriale autonoma. Solamente la Normandia e la Guienna erano ancora in mano agli inglesi, che tuttavia nel 1453 saranno costretti ad abbandonare la Francia, conservando solo la città di Calais. Il ducato di Bretagna manteneva la sua indipendenza; sarà annesso alla Francia solo nel 1491, quando il re Carlo VIII lo avrà in dote dalla moglie Anna.

1.2 La Bretagna tra il XIV e il XV secolo

Innanzi tutto occorre procedere ad una distinzione. La Bretagna storica, ovvero il ducato di Bretagna, non corrisponde alla regione bretone attuale. Il suo territorio era molto più ampio e comprendeva parte della Normandia e la regione dei Paesi della Loira. Pertanto Nantes, sede del processo a Gilles de Rais, attuale capoluogo di quei paesi, nel XV secolo si trovava in Bretagna. Dove non specificato, farò sempre riferimento alla Bretagna storica.

La Bretagna vanta una lunga storia di indipendenza rispetto ai regni francese e inglese. Dotata di una lingua e cultura diverse da quelle francesi, essa divenne un regno al tempo di Carlo Martello, dopo che i tentativi carolingi di annessione ebbero trovato una forte resistenza. La politica dinastica inglese portò i Plantageneti in Bretagna, che nel frattempo era stata declassata a ducato. Anche i Capetingi furono duchi di Bretagna, fino alla morte dell’ultimo discendente; sono dunque chiare le ragioni per cui sia Francia che Inghilterra rivendicassero l’annessione del ducato di Bretagna. Nel corso del Medioevo, la politica dei duchi fu orientata alternativamente verso la Francia o l’Inghilterra, proprio per gli interessi che legavano i due regni al Ducato, ma essi mantennero una pressoché totale indipendenza. Come ho già accennato, la morte di Giovanni III di Bretagna senza eredi,

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nel 1341, fu l’occasione per i re d’Inghilterra e Francia di rivendicarne la sovranità. All’interno della guerra dei cent’anni, la guerra di successione bretone rappresenta un episodio di importanza centrale. Fu combattuta tra la famiglia dei Montfort, alleata degli inglesi, e quella dei Penthièvre, schierata coi francesi. Dopo quasi vent'anni di conflitti, i Montfort divennero i legittimi duchi di Bretagna.

Giovanni IV di Monfort, riconosciuto unanimemente come duca di Bretagna, cercò di riportare la pace in tutte le città e di ristabilire ovunque l'ordine. Tuttavia, non appena l'Inghilterra attaccò nuovamente la Francia, Giovanni rinnovò l'alleanza con il sovrano inglese: mentre il popolo e i baroni bretoni si rallegravano per il successo francese, il duca si affliggeva della sconfitta dell'esercito inglese, al quale aveva permesso il passaggio attraverso il ducato. Inoltre Giovanni riservava al re d'Inghilterra onori e ricchezze e il popolo e i nobili di Bretagna se ne lamentavano; invece di sedare il malumore delle sue genti, egli lasciò campo libero agli inglesi nelle città costiere: i baroni allora si rivolsero al re di Francia, affinché li liberasse dagli stranieri. Nonostante la reazione armata dei propri sudditi e dell'esercito francese, il duca continuò nella politica di alleanza con l'Inghilterra. Nel 1378 Carlo V riuscì ad assoggettare gran parte della Bretagna, ad eccezione di alcune città, e Giovanni fu costretto a rifugiarsi in Inghilterra.

In questa situazione di guerra civile, nel ducato imperversava il disordine: la giustizia non veniva più amministrata e i signori locali facevano valere i propri privilegi a spese dei sudditi, già fortemente provati dalle razzie degli eserciti. Per questi motivi essi vedevano di buon occhio un'annessione del ducato alla Francia che, speravano, avrebbe consentito la pace. Il procuratore del re accusò Giovanni IV dei crimini di fellonia e di lesa maestà: il ducato venne confiscato. I nobili bretoni, in nome della storica indipendenza della Bretagna, si allearono in una lega contro l'usurpatore

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francese, e richiamarono il duca. Giovanni chiese un esercito a Edoardo e in cambio giurò di muovere guerra ai nemici degli inglesi anche all'esterno dei confini del ducato. Carlo fu costretto a ritirarsi. Giovanni poté tornare in patria accolto con grandi onori, riconosciuto come legittimo sovrano persino dai Penthièvre.

Tuttavia, le mire espansionistiche francesi ed inglesi in Bretagna non consentirono una cessazione delle ostilità: per gli inglesi essa costituiva infatti una pedina importante per raggiungere Parigi, mentre il re di Francia puntava all'unificazione della monarchia. I baroni di Bretagna obbligarono Montfort a riconciliarsi con Carlo VI, succeduto al padre. Il ducato poté così godere di una pace che però non sarebbe durata a lungo. Dopo la morte della seconda moglie di Giovanni, Giovanna di Olanda, cognata di Edoardo II e zia di re Riccardo II, i tutori e zii di Carlo VI temevano che il duca sarebbe convolato a nozze ancora in Inghilterra; per questo favorirono il matrimonio con la loro nipote Giovanna di Navarra, figlia di Carlo il Malvagio. Giovanni tuttavia non aveva ancora avuto figli, per cui l'erede legittimo del ducato era Giovanni di Blois, figlio di Carlo e di Giovanna di Penthièvre, tenuto prigioniero in Inghilterra. Il Connestabile di Francia, Olivier de Clisson, già a capo dell'esercito reale che aveva invaso la Bretagna, pagò il riscatto per la liberazione di Giovanni di Blois, facendosi promettere da quest'ultimo che avrebbe sposato la propria figlia. Questa mossa non piacque a Montfort, che con un ingannò imprigionò Clisson; temendo la reazione di Carlo VI tuttavia lo fece liberare, previo pagamento di un'ingente somma di denaro. Clisson era infatti un favorito del re, che convocò Giovanni IV, gli impose di rimborsare Clisson e di riappacificarsi con lui.

Giovanni, ormai vecchio e stanco delle continue guerre, decise di scendere a patti con il nemico, soprattutto per garantire l'integrità e la successione del ducato ai propri figli, ancora in tenera età. Prima di morire riuscì a far

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sposare il figlio maggiore, Giovanni, con Giovanna di Francia, figlia di Carlo VII, che gli successe nel 1399.

1.3 Giovanni V di Montfort

Alla morte del padre, Giovanni aveva solamente dieci anni. Il duca di Orléans, volendo approfittare della minore età del principe per rivendicare i diritti della corona francese alla successione, entrò in Bretagna con un piccolo esercito: i bretoni insorsero e i francesi furono costretti alla ritirata; il ducato di Bretagna fu affidato ad un consiglio di pari.

Nel 1401, all'età di dodici anni, Giovanni giurò fedeltà alla nobiltà e al popolo, e venne fatto cavaliere. Tuttavia, egli doveva essere affiancato da un tutore che governasse in suo nome. Per questo motivo Enrico IV chiese la mano della duchessa madre, sperando di poter disporre della Bretagna nella guerra contro la Francia. Tuttavia, secondo le disposizioni testamentarie di Giovanni IV, il giovane principe e il ducato furono affidati al duca di Borgogna, fino alla sua maggiore età.

Enrico IV allora si rese conto che il matrimonio con la madre del duca non gli aveva procurato il favore dei bretoni, i quali attendevano solamente che il loro sovrano legittimo potesse salire al trono. Non potendo quindi raggiungere i suoi scopi attraverso la politica matrimoniale, attaccò le coste bretoni; gli inglesi furono sconfitti da una flotta comandata da Clisson. Incoraggiati da questo successo e spinti dalla corte di Francia, i bretoni attaccarono le coste inglesi e ritornarono con un ricco bottino. La reazione di Enrico non tardò: numerosi vascelli bretoni furono incendiati ed alcune città vennero assediate.

Nel frattempo Giovanni, che aveva quindici anni, fu dichiarato maggiorenne e il duca di Borgogna, come promesso, gli rimise il governo del paese. Egli però non era dotato dell'esperienza necessaria a dirigere lo stato, e la Bretagna venne di fatto governata dal primo ministro, il signore

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di Laval. Il fratello minore del duca, Arturo, portato in Inghilterra dalla madre, divenne conte di Richemont. Appena salito al trono, il giovane duca dovette prendere una decisione importante: la guerra tra francesi ed inglesi imperversava, ed egli doveva scegliere se dichiarare il proprio favore al marito della madre o al padre di sua moglie. Giovanni si dichiarò per la Francia. Nel 1405, a capo di duemila uomini, cacciò gli inglesi dalle coste bretoni.

Vinto il nemico, Giovanni sperava di poter godere di un periodo di pace. Le minacce però, questa volta, provenivano dall'interno del ducato. La contessa di Penthièvre, figlia di Clisson, che nel frattempo era morto in odore di stregoneria, incitava i nobili bretoni alla sedizione. Il duca si vide costretto a chiedere il diritto di banno: la guerra civile scuoteva la Bretagna. Giovanni domandò aiuto agli inglesi e rinnovò l'alleanza, per poi cambiare nuovamente partito. Egli aveva già dimostrato di essere un abile uomo politico e che quando poteva non esitava a mutare schieramento, pur di trarne vantaggio.

Come già ricordato, nel 1415 la Francia subì una disastrosa sconfitta a Azincourt; qui morirono anche seicento bretoni accorsi spontaneamente in soccorso dei francesi. In realtà, il grosso dell'esercito bretone tardò ad arrivare e Giovanni, alla testa di diecimila uomini, non partecipò alla battaglia1. Se i francesi avessero aspettato il duca, probabilmente le sorti della battaglia sarebbero state diverse. In questo periodo, Giovanni rafforzò l'alleanza con la famiglia reale, cercando di preservarla dagli attacchi di Giovanni Senza Paura a Parigi. Ma, stanco della guerra e delle spese per essa sostenute, tornò nel suo ducato.

Egli si preoccupò subito di riorganizzare lo stato, che poteva finalmente

1 Charles Barthélemy (de Paris), Histoire de la Bretagne Ancienne et Moderne, Ebooks libres et gratuits, 2010, pagg. 197-198.

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godere di un periodo di pace. Aprì le frontiere a numerosi profughi normanni espulsi dagli inglesi, che introdussero la loro manifattura e il loro sistema di coltivazione, con grande vantaggio dei bretoni. Il delfino però non aveva visto di buon occhio la ritirata delle truppe bretoni da Parigi. Inviò quindi delle lettere con il sigillo reale al casato dei Penthièvre, nelle quali prometteva sostegno nel caso in cui fossero riusciti a imprigionare il duca. I Penthièvre furono tuttavia sconfitti, ridotti in miseria, privati dei titoli nobiliari e costretti ad abbandonare la Bretagna. Olivier de Penthièvres, erede del casato e congiurato, fu braccato a lungo dai nobili bretoni, ai quali riuscì a sfuggire grazie all'intervento del re di Francia, che lo fece ospitare da un alleato, ad Avesnès, vicino a Calais.

Giovanni poté così tornare a sedere sul trono del ducato e si dedicò completamente al governo. Riorganizzò il sistema giudiziario, cercando di correggerne gli abusi tramite leggi e ordinanze amministrative. Combatté i falsi testimoni promulgando decreti che ne confiscassero i beni. Promulgò delle ordinanze che abbreviassero i processi e limitassero le speculazioni degli uomini di legge. Si occupò inoltre del commercio, unificando il sistema dei pesi e delle misure.

Durante la battaglia di Azincourt, Arturo, fratello di Giovanni, era stato fatto prigioniero dagli inglesi. Il duca, sospettando che il delfino, benché suo alleato, avesse appoggiato il complotto dei Penthièvre, chiese un'alleanza a Enrico V e la liberazione del fratello, che poté finalmente tornare in Bretagna. Carlo VII, vedendo sfumare l'intesa con la Bretagna, offrì al conte di Richemont la carica di Connestabile di Francia, allora vacante, e gli chiese inoltre di recarsi a corte per stipulare la pace con il duca di Borgogna, sostenitore degli inglesi. Arturo accettò, a patto che, come consigliato dal fratello, venissero cacciati dalla corte i sostenitori dei Penthièvre. Giovanni, nel 1425, incontrò Carlo VII e i due si riconciliarono. Carlo VII fu un sovrano molto condizionabile dai suoi favoriti. Per questo

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motivo il duca di Richemont gli suggerì La Trémoille come ministro, ritenendolo uomo affidabile e che poteva giovargli. Questo personaggio svolgerà un ruolo significativo nelle vicende di Gilles de Rais.

Nel frattempo Giovanni muoveva guerra agli inglesi verso la Normandia, pur subendo numerose perdite. Scontento di Carlo e di La Trémoille, che posticipavano continuamente l'invio di rinforzi, stipulò la pace con gli inglesi: essi gli avrebbero riconosciuto la sovranità sul territorio e la garanzia di successione al ducato per i figli. Giovanni, dal canto suo, si impegnava a rispettare il trattato di Troyes, che diseredava Carlo e lasciava la corona francese al re di Inghilterra. Il trattato di Troyes fu ratificato da tutta la nobiltà bretone. Ancora una volta Giovanni aveva cambiato partito improvvisamente, abbandonando il legittimo erede alla corona. Anche il Connestabile aveva motivo di rimproverare a La Trémoille la sua condotta: infatti gli aveva confiscato il palazzo di Chinon, con il pretesto di lasciarlo al re, e impedito di vedere sua moglie. In questa questione privata tra il Connestabile e il primo ministro francese, Giovanni prese le parti del fratello e gli inviò delle truppe. Ciononostante il Connestabile, mantenendo fede ai propri principi e al giuramento che lo legava alle sorti della Francia, si offrì di soccorrere il re presso Orléans, dove le truppe di Giovanna d'Arco misero in fuga quelle inglesi. Carlo, consigliato da La Trémoille, impedì al connestabile di avvicinarsi, mandandogli incontro l'esercito e la stessa Giovanna d'Arco. Solo l'intelligenza dei due capitani e lo scopo comune di sconfiggere gli inglesi scongiurarono una battaglia tra alleati. Pochi giorni dopo, presso Patay, bretoni e francesi combatterono fianco a fianco e ottennero un'importante vittoria. Ciononostante il re, consigliato da La Trémoille, ordinò al Connestabile di ritirarsi nelle proprie terre.

Giovanni, forte dell'alleanza con la corona inglese, governava in tranquillità il ducato. Attorno agli anni 30 del XV secolo cercò di rafforzare e centralizzare il potere anche attraverso strategie matrimoniali. Le sorti della

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Francia non gli interessavano più, ormai completamente votato alla politica interna. Ma a partire da questo momento, le decisioni di Giovanni dovettero confrontarsi con la potenza e il prestigio di cui Gilles de Rais godeva presso la corte francese; cercherò di delineare tali fatti solo dopo aver introdotto quest'ultimo, nel prossimo capitolo.

1.4 Configurazione sociale e struttura economica

All’inizio del XV secolo la Bretagna era un territorio ricco e popoloso. La nobiltà, concentrata soprattutto nelle campagne e nelle aree litoranee, era ancora fortemente legata alle strutture feudali. Le rendite erano infatti costituite per la maggior parte dalle attività agricole e solo una parte dei raccolti era destinata all’esportazione. Del resto, essendo la costa bretone costituita da piccole insenature, il commercio via mare era un’attività svolta nei porticcioli attigui alle comunità rurali e non nelle grandi città. Così, per motivi geografici più che economici, i traffici marittimi non assumevano un ruolo di primo piano nell’economia bretone.

L'aristocrazia faceva della guerra e del servizio militare la propria prerogativa. Quando il duca aveva bisogno di forze armate, la piccola nobiltà costituiva il nerbo dell’esercito. Ciò lo rendeva molto meno efficace rispetto ad uno permanente per i ritardi nel reclutamento, per l’impossibilità di mantenerlo mobilitato a lungo e per i continui disordini e ammutinamenti: l’indisciplina era abituale. Inoltre i costi della guerra erano spesso insostenibili per i piccoli feudatari: basti pensare che non molti anni dopo il periodo che stiamo prendendo in esame, verso il 1470 circa, l’armamento per un arciere e per un cavallo, adatto solo agli spostamenti e non alla battaglia, costavano più del doppio del sostentamento annuale di una famiglia povera di cinque membri2. I feudatari inoltre erano obbligati a

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fornire sostentamento ai prigionieri di guerra, che venivano rivenduti dal duca a caro prezzo. Essi, grazie al diritto di banno, esigevano dai propri sudditi delle rendite e delle corvées. Inoltre potevano amministrare la giustizia di primo grado nel proprio feudo. I duchi bretoni, volendo eliminare la signoria di banno, cercarono di ridimensionare l'amministrazione arbitraria della giustizia e della legge, accentrando il potere esecutivo e giudiziario. Tuttavia, spesso erano gli stessi nobili a ricoprire incarichi nella pubblica amministrazione, per cui di fatto non vennero mai esclusi dal potere.

Nel corso del XV secolo, si assiste ad un progressivo indebolimento del ceto nobiliare medio e basso a vantaggio della grande nobiltà. Il diritto di successione prevedeva che al primogenito spettasse l’intero feudo e che i figli cadetti potessero beneficiare di rendite vitalizie, le quali però non potevano trasmettere ai discendenti. In definitiva il feudo rimaneva intatto. Tuttavia, per una consuetudine profondamente radicata nel medioevo, anche i cadetti ricevevano terre in eredità, trasmissibili perciò ai figli. Questa consuetudine provocò una polverizzazione delle signorie, spesso ricomprate dai nobili più ricchi.

La Bretagna si presentava come una compagine statale debole: in primo luogo per lo status giuridico di ducato, che sul piano internazionale, non conferiva al duca il prestigio e il potere per trattare da pari con gli altri sovrani d'Europa. Sul fronte interno, il duca doveva scontrarsi continuamente con i particolarismi dei signori locali, avversi all'accentramento del potere. Le pressioni esercitate dai due contendenti nella guerra dei cent'anni, che formalmente puntavano all'alleanza con i duchi bretoni, ma in realtà all'annessione, minavano ancor più la stabilità

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del ducato. Inoltre il re di Sicilia, sovrano del vicino stato dell'Angiò, mirava anch'egli all'espansione verso i territori bretoni. Ricordiamo che la Bretagna non possedeva un esercito permanente, ma che la difesa dello stato era affidata ai signori. Come abbiamo visto durante la guerra di successione bretone e negli episodi successivi ad essa collegati, le alleanze delle famiglie locali avverse al duca con il regno di Francia erano persino in grado di provocare il crollo dello stato. Anche in caso di guerra offensiva e difensiva, il duca poteva non disporre di un esercito, se osteggiato dai suoi feudatari, che potevano essere facilmente comprati dai sovrani inglesi e francesi. I continui cambiamenti di fronte e rovesciamenti di alleanze da parte dei duchi di Bretagna, durante la guerra dei cent'anni, percepiti dai contemporanei come prove di mancata coerenza politica e militare, in realtà miravano alla stabilità interna e alla preservazione del ducato. L'indisponibilità di un esercito permanente costituì quindi uno dei motivi principali dell'instabilità politica bretone.

Alle soglie dell'età moderna, la Bretagna si presentava dunque come uno stato ancora fortemente legato alle consuetudini medioevali. Alcuni grandi regni di Europa si erano già avviati da tempo verso la moderna concezione di Stato. I duchi bretoni, pur sforzandosi di conseguire la centralizzazione del potere tramite riforme giuridiche e amministrative, non riuscirono mai in questo intento. In Bretagna mancava una rete di funzionari statali che rispondessero direttamente al duca e che controllassero la pubblica amministrazione e la giustizia. Queste rimanevano appannaggio dei feudatari, con gravi conseguenze: l'esazione delle tasse solo in minima parte confluiva nelle casse dello stato, la giustizia era esercitata in maniera arbitraria e le leggi statali passavano in secondo piano rispetto alle consuetudini locali.

Sebbene la Bretagna disponesse di risorse cospicue, la ricchezza era mal distribuita. L'aristocrazia bretone, per via delle pratiche di successione,

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aveva frammentato i feudi tra i figli cadetti, e i membri di una stessa famiglia entravano in contrasto per la divisione dell'eredità: i particolarismi ancora una volta avevano la meglio sul bene comune. La piccola nobiltà divenne così talmente povera da essere declassata: spesso confluì nel contado libero e nelle piccoli botteghe, a vantaggio dei signori latifondisti. La Bretagna avrebbe potuto essere uno snodo nevralgico per gli scambi marittimi tra Europa settentrionale e meridionale. Ma il commercio, così come l'agricoltura, erano ancora legati all'auto sussistenza. I piccoli porti venivano gestiti dall'aristocrazia locale, che faceva della guerra la propria prerogativa e che non si dedicava ad attività mercantili considerate degradanti. Il mancato coordinamento delle attività commerciali da parte del potere centrale, non permise un decollo dell'economia, pur essendovene tutti i presupposti. Le città del nord Europa, se pur in un contesto molto diverso come poteva essere quello in cui nacque la lega anseatica, erano da ormai due secoli un esempio di come le attività marittime, forti di una solida organizzazione e del sostegno dell'Imperatore, costituissero un'enorme sorgente di ricchezza per l'Impero.

La battaglia di Azincourt, alla quale la Bretagna prese parte in maniera marginale, segnò la fine del modello medievale di stato. L'aristocrazia, che durante il medioevo aveva detenuto il governo delle strutture feudali, grazie alla prerogativa di fare la guerra e di difendere i confini, perse potere. In età moderna, grazie al reclutamento di eserciti di professionisti e alla centralizzazione dei poteri, la nobiltà ebbe un'importanza meramente nominale, nonostante godesse di numerosi privilegi. Una compagine statale come quella bretone, di stampo medievale in epoca moderna, non era destinata a sopravvivere a lungo. Con la cacciata degli inglesi dal territorio francese dopo la guerra dei cent'anni, la Bretagna si trovò da sola contro la Francia: Luigi XI e il figlio Carlo VIII comprarono dai discendenti dei Penthièvre il diritto di successione e si assicurarono il favore dei signori

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locali tramite ingenti somme di denaro; i pari di Bretagna abbandonarono il duca Francesco II. Anna, figlia di Francesco, salì al trono appena dodicenne; fu costretta a sposare Carlo VIII come debito di guerra: nel 1491 il ducato venne definitivamente annesso alla corona francese.

In questo primo capitolo ho cercato di porre in rilievo la situazione particolare della Bretagna: costantemente contesa tra inglesi e francesi, i cui re puntavano all'espansione territoriale, fu segnata da una forte instabilità politica, anche per via dei continui rovesciamenti di alleanze da parte dei duchi. Inoltre, sul fronte interno, i tentativi ducali di accentramento del potere, trovarono delle forti resistenze da parte dei signori locali. Le strutture feudali, fortemente radicate, e la signoria di banno, osteggiata dal duca, conferivano ai vassalli una certa autonomia, che si realizzava nell'amministrazione della giustizia, nel governo, nell'esazione delle tasse e nel reclutamento dell'esercito. Il duca poteva scegliere quale strategia politica adottare, per quale schieramento parteggiare, ma solamente il favore dei pari di Bretagna poteva permettere la realizzazione di qualsivoglia disegno.

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CAPITOLO 2

GILLES DE RAIS

2.1 I primi anni e la carriera militare

Gilles nacque verso la fine del 1404, a Champtocé, sulle rive della Loira, da Marie de Craon, erede della baronia di de Rais, che per contratto matrimoniale fu ceduta al marito, e da Guy II de Laval. I genitori morirono entrambi nel 1415 e sebbene il padre, nel testamento, avesse affidato le cure del figlio ai suoi precettori e al cugino, Jean Tournemine de La Hunaudaye, tuttavia il nonno materno, Jean de Craon, lo prese con sé e ne amministrò l'immensa fortuna. In quello stesso anno infatti morì anche lo zio materno, per cui Gilles si trovava ad essere l'unico erede dei casati di de Rais, de Craon e de Machecoul da parte di madre, e de Laval da parte di padre. Nel 1440 Giovanni V cadde nell'imboscata dei Penthièvre e venne fatto prigioniero. Jean de Craon sostenne la liberazione del duca: per questo motivo, una volta ritornato libero, Giovanni fece dono al nonno di Gilles di numerose terre sottratte ai nemici. In quello stesso anno Gilles rapì sua cugina, Catherine de Thouars, e la sposò di nascosto. Questa aveva da poco perso il padre, e le terre da lei avute in eredità, nel Poitu, confinavano con quelle in appannaggio alla baronia di de Rais. La suocera di Gilles convolò in seconde nozze con Jacques Meschin, il quale pretendeva una sopraddote, ovvero la restituzione di parte dei territori avuti da Gilles in dote dalla moglie. Nonno e nipote si opposero e non esitarono a tenere a lungo prigioniera la suocera finché la questione non venne sottoposta al parlamento francese, a Poitiers. Gilles avrebbe dovuto restituire la sopraddote; ma quando il presidente del parlamento giunse a Pouzages per applicare la sentenza, venne assalito e cacciato dagli uomini di Gilles. Quest'ultimo e il nonno vennero condannati per lesa maestà ad

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un'ammenda, che in realtà non fu mai pagata. Questo episodio, marginale nella vita di Gilles de Rais, tuttavia, dimostra la sua completa mancanza di scrupoli negli affari familiari nonché la totale indifferenza all'autorità regia dei grandi feudatari, specialmente dopo la battaglia di Azincourt.

A venti anni Gilles assunse piena potestà sull'amministrazione dei propri beni. A questo periodo risalgono i primi conflitti tra George de La Trémoille e Arturo di Richemont. George de la Trémoille, divenuto favorito del re dopo la sconfitta del connestabile a Saint-James-de-Beuvron, era cugino di Gilles de Rais da parte dei Craon. Dopo che il fratello fu battuto, Giovanni si riavvicinò agli inglesi.3 La Trémoille aveva bisogno della ricchezza di Gilles per assoldare un esercito e per pagare numerose spie. Inoltre Gilles si dimostrò un valente condottiero, riuscendo a strappare castelli agli inglesi nella Mayenne e nella Sarthe. Nel 1429 egli frequentava la corte che a quel tempo aveva sede a Chinon: qui conobbe Giovanna d'Arco e suggellò l'alleanza con il primo ministro; da quel momento in poi fu lui a condurre l'esercito di Giovanna. Il 7 maggio dello stesso anno Gilles partecipò in prima linea alla battaglia delle Tourelles, che dette ai francesi una vittoria fondamentale per riconquistare Orléans. Il 17 marzo, giorno della consacrazione di Carlo VII a Reims, Gilles portò nell'abbazia di Saint-Rémy l'ampolla contenente il sacro crisma per l'incoronazione del re. Nello stesso giorno egli fu nominato Maresciallo di Francia.

Durante l'assedio di Parigi, si dice che La Trémoille, preoccupato del potere che avrebbe conferito a Giovanna d'Arco la liberazione della città, con la conseguenza di essere messo in ombra, ordinò a Gilles di distruggere il

3 Salomon Reinach, nel suo studio su Gilles de Rais, ritiene che Il Cancelliere di Bretagna, Jean de Malestroit, che fu anche il vescovo che avrebbe presieduto il processo a Gilles, fu causa di questa sconfitta. Ritiene inoltre che fu in quest'occasione che Malestroit prese in odio Gilles de Rais, anche se non ci sono testimonianze che quest'ultimo prese parte alla battaglia. In ogni caso mi occuperò più dettagliatamente degli studi di Reinach in seguito.

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ponte sulla Senna che doveva permettere l'attacco4. I francesi, non potendo raggiungere Parigi, furono costretti alla ritirata, secondo i piani di La Trémoille: proprio questo insuccesso segnò il declino di Giovanna. Dopo la battaglia, Gilles si disinteressò alle vicende di guerra francesi per dedicarsi agli interessi personali di La Trémoille. In quegli anni il primo ministro avversava Jolanda d'Aragona, a causa di contenziosi su alcuni territori. Gilles stesso organizzò l'attentato alla regina di Sicilia mentre passeggiava a cavallo in tutta tranquillità nel proprio feudo. Nonostante ciò, nell'anno successivo, 1431, fece da intermediario nelle trattative di pace tra la Bretagna, l'Angiò e il primo ministro francese, che portarono al matrimonio tra Jolanda e il primogenito del duca Giovanni V. Prima di ritirarsi completamente dalla vita militare, Gilles combatté a Lagny, dove obbligò il reggente di Inghilterra a togliere l'assedio. Di lì a poco, su ordine di Carlo d'Angiò, figlio di Jolanda, alcuni uomini fecero prigioniero La Trémoille. Lungi dal perdere ogni influenza politica, La Trémoille continuava a macchinare contro i propri nemici. La città di Grancey, in Borgogna, appartenente al duca di Borbone, amico dell'ex primo ministro,era sotto assedio da parte del duca di Borgogna. La Trémoille si servì ancora una volta di Gilles de Rais per perseguire i propri scopi e lo mise a capo di un esercito, finanziato dallo stesso Carlo VII. Gilles tuttavia, eludendo le aspettative del cugino, affidò l'esercito al fratello minore appena ventenne, e si recò a Poitiers dove si fece nominare canonico di Saint-Hilaire. Da lì giunse a Orléans, con un seguito di circa duecento uomini, secondo l'abate Bossard. Lo stesso La Trémoille andò a cercarlo, per condurre una spedizione contro Giovanni di Lussemburgo. Infatti nel 1435 Carlo aveva firmato un trattato di pace con Filippo di Borgogna, figlio di Giovanni Senzapaura, rimasto ucciso in un agguato a cui lo stesso Carlo

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non era stato estraneo. Nonostante l'accordo di pace, Giovanni di Lussemburgo continuava ad assediare le città francesi, in particolare Laon, nel Forez. La Trémoille sperava di riacquistare così il favore del re. Con il pretesto di andare a farsi prestare denaro per assoldare un esercito, Gilles abbandonò La Trémoille, per tornare ad Orléans.

2.2 Le spese folli

Come ho già accennato prima, Gilles fu dichiarato maggiorenne nel 1424 a vent'anni. Da allora nominalmente poteva assumere la completa gestione del proprio patrimonio, che tuttavia fu amministrato dal nonno. Solo alla morte di quest'ultimo, nel 1432, Gilles cominciò a disporre liberamente dei suoi beni smisurati. Risale infatti a questo periodo, che coincise con il suo allontanamento dalla vita militare, l'inizio delle folli spese che lo portarono alla rovina economica.

Gilles amava il lusso e lo sfarzo. Amava soprattutto ostentare la propria ricchezza: in tutti i suoi viaggi si faceva accompagnare da circa duecento uomini a cavallo e da un corteggio di cinquanta persone tra cappellani, portabandiera, paggi e musici, che alloggiavano in locande, e non in accampamenti di fortuna come avveniva di solito. La guarnigione permanente del palazzo di Machecoul contava cinquecento soldati, come ricordano l'abate Bossard e Hernandez5. Sempre a Machecoul fece costruire la Cappella dei Santi Innocenti, famosa in tutta la Francia per il lusso e il fasto, e intratteneva a sue spese chierichetti, coristi paggi e insegnanti. Possedeva una collezione privata di testi antichi, tra i quali La Città di Dio,

Le Metamorfosi di Ovidio, Vite dei dodici Cesari di Svetonio.

Gilles spendeva soprattutto per il teatro. Offriva gratuitamente sacre

5 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue) avec un essai de réhabilitation, Bibliothèque des Curiex, Paris, 1921, pag. XX

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rappresentazioni, misteri e moralità, intratteneva la folla con trovatori e menestrelli e forniva vitto per tutti. Tra il 1434 e il 1435, egli tornò ad Orléans, dove fece rappresentare Le Mystère du Siège d'Orléans per un anno intero, con spettacoli che si ripetevano settimanalmente. La troupe era costituita da circa cinquecento attori, tra cui lo stesso Gilles, i quali per ogni rappresentazione dovevano indossare eleganti abiti nuovi. Sia gli attori che gli spettatori erano intrattenuti a sue spese: Battaille, parla di 100.000 scudi d'oro6. Quest'opera di ventimila versi, di cui possediamo una copia manoscritta conservata alla biblioteca vaticana, segnò l'inizio della rovina economica di Gilles, a causa dei costi elevatissimi di rappresentazione. In ragione di queste continue spese, nonostante lo smisurato patrimonio, Gilles fu costretto a vendere numerosi beni mobili ed immobili. È in questo stesso periodo che il maresciallo iniziò a circondarsi di loschi figuri e ciarlatani, supposti alchimisti e maghi. Gilles, al pari di molti suoi contemporanei, credeva nell'alchimia e nella possibilità di trasformare i metalli in oro. In questi anni fece la conoscenza del prete Eustache Blanchet, che ben presto divenne suo cappellano, confessore e procacciatore di alchimisti. Questi nel 1439 era giunto da Firenze in compagnia di una quantità di ciarlatani, tra i quali Francesco Prelati, sedicente alchimista, che truffarono Gilles de Rais. Non solo Gilles non riuscì ad aumentare la propria ricchezza, ma questi imbonitori si facevano pagare profumatamente. Come risultò dagli atti dei processi, Prelati aveva convinto il maresciallo di essere capace di invocare i demoni, in particolare un certo Baron, che avrebbe potuto esaudire i suoi desideri e renderlo ricco. A causa di questo miraggio le invocazioni divennero sempre più frequenti. La fortuna che possedeva alla morte del nonno era stata dilapidata, tanto che i familiari di Gilles cercarono di porre un freno alla vendita delle

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proprietà. Il 2 luglio 1435, da Amboise furono emesse alcune lettere, a nome del re Carlo VII, che proibivano a Gilles di alienare i propri beni. Battaille afferma che solamente i possedimenti di Bretagna erano ancora intatti, mentre aveva venduto quasi tutti i feudi nel Poitu, nel Maine e nell'Angiò7. Nonostante le regie interdizioni, Gilles contrattava la vendita di alcune proprietà con il duca Giovanni V, che non reputava il divieto valido nel ducato di Bretagna. Gilles, tuttavia, si riservava il diritto di riacquisto dei beni venduti, per i sei anni successivi alla vendita, allo stesso prezzo di cessione. È plausibile che quindi sia il duca che il cancelliere sperassero nella rovina di Gilles, per appropriarsi del suo patrimonio a titolo definitivo. Temendo di incorrere nelle rimostranze del fratello e del cugino di Gilles, suoi vassalli, il duca pretese un giuramento di fedeltà. Inoltre Gilles possedeva ancora i feudi di Champtocé e Machecoul, sulla Loira, che costituivano una porta verso la Bretagna: per questo motivo Giovanni voleva impossessarsene. I parenti di Gilles si rivolsero allora al re di Sicilia stesso, Renato d'Angiò, che confiscò Champtocé a proprio beneficio e ottenne da Giovanni la promessa che non lo avrebbe acquistato. Ciononostante Gilles continuava a trattare con il duca di Bretagna al quale cedette, tramite un prestanome, la signoria di La Bénate: il duca in persona non poteva infatti acquistare i domini dei propri vassalli, secondo la consuetudine bretone. Tra l'ottobre e il novembre del 1437, René de la Suze, fratello di Gilles, e André de Laval-Lohéac, suo cugino, s'impadronirono con la forza di Champtocé e di Machecoul, temendo che finissero nelle mani del duca. Tuttavia, verso la fine dell'anno, Giovanni comprò Champtocé per 10.000 scudi d'oro, ma la fortezza rimaneva nelle mani di René de la Souze. Gilles, di concerto con il fratello, che in cambio ottenne 7.000 scudi d'oro e La Mothe-Achard, simulò di conquistare

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Champtocé, e Jean de Malestroit, cancelliere di Bretagna e Vescovo di Nantes, se ne impossessò a nome del duca. Le trattative con il duca e con René suo fratello sono molto eloquenti riguardo alla situazione di grande disagio economico di Gilles de Rais; alla fine ricavò ben poco rispetto al valore delle signorie cedute. Tuttavia egli non rispettò i patti stipulati con René e non gli cedette La Mothe-Achard, mentre rioccupava con la forza Saint-Étienne-de-Mermorte. Queste vicende li portarono davanti al tribunale di Nantes nel 1439: Gilles mantenne Saint-Étienne-de-Mermorte e René ebbe La Mothe-Achard.

2.3 Il declino

Verso la fine del 1439, Gilles incontrò il duca, a Bourgneuf: con tutta probabilità egli si aspettava riconoscenza, ma fu deluso. Ormai nessuno lo teneva più in considerazione. Il duca continuò ad acquistare i beni di Gilles tramite prestanome: Saint-Étienne-de-Mermorte fu venduta a Guillaume le Ferron, arcidiacono di La Mée nella diocesi di Nantes, fratello di Geoffroy Le Ferron, tesoriere del ducato di Bretagna. Quest'ultimo aveva affidato la castellania a Jean de Ferron, suo fratello, prete tonsurato. Per assicurarsi le rendite della signoria, il duca aveva inviato uno dei suoi ufficiali, Jean Rousseau, per notificare agli abitanti il divieto di versare le esazioni e le imposte al signore de Rais. Gilles reagì a questo legittimo divieto con la forza: il 25 maggio 1440, giorno di Pentecoste, accompagnato da circa sessanta uomini, entrò armato nella chiesa di Saint-Étienne-de-Mermorte. Jean le Ferron fu fatto prigioniero e portato a Tiffauges, nel Poitu, fuori dalla giurisdizione ducale. La reazione del duca e del cancelliere, che come vescovo aveva giurisdizione su quella chiesa, non tardarono: un'ammenda di 50.000 scudi d'oro.

Giovanni temeva che attaccando Gilles direttamente, per liberare il suo vassallo, avrebbe scatenato una reazione da parte del re, poiché,

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ricordiamolo, Jean de Ferron era prigioniero nel regno di Francia. Per questo chiese aiuto al fratello, con tutta probabilità felice di dare una lezione ad uno dei fedeli dell'odiato La Trémoille. Arturo avrebbe avuto in cambio due proprietà che Gilles possedeva ancora in Bretagna. Il 24 agosto il connestabile entrò a Tiffauges e l'ostaggio fu liberato. Gilles rimase da solo con i domestici e i due preti che lo aiutavano nelle supposte invocazioni demoniache.

Come ho già detto, sia il vescovo che il duca avevano dei motivi per sperare nella rovina di Gilles. L'episodio di Saint-Étienne-de-Mermorte forniva a Maléstroit su un piatto d'argento il pretesto per indagare sul maresciallo: la violazione dell'immunità ecclesiastica non era un'accusa di poco conto. Subito dopo il fatto, il 25 maggio il vescovo aprì un'inchiesta segreta, basata sulle voci popolari relative alla reputazione di Gilles. Nella diocesi si diceva che il barone, per mezzo di fedeli servitori, Henriet Griard e Étienne Corillaut detto Poitou, e grazie anche all'aiuto dei cugini Roger de Briqueville e Gilles de Sillé, rapisse bambini e li sacrificasse al demonio. È difficile stabilire se Gilles godesse di questa cattiva fama anche prima del colpo di mano di Saint-Étienne-de-Mermorte8; fatto sta che tali dicerie divennero sempre più insistenti dopo il 25 maggio che e il vescovo dette loro credito: nel corso di visite pastorali, Maléstroit interrogò numerosi cittadini della diocesi di Nantes e raccolse testimonianze. Il popolo, i servitori di Gilles, erano sicuramente a conoscenza delle pratiche alchemiche e delle invocazioni del demonio compiute dal loro signore. Se non altro perché il barone era sempre accompagnato da un numeroso seguito e perché nei villaggi e nei piccoli centri si sapeva tutto di tutti; per

8 Secondo Ludovico Hernandez, sostenitore dell'innocenza di Gilles de Rais, del cui studio mi sono avvalsa in questo lavoro, fu lo stesso Maléstroit a sobillare il popolo contro Gilles de Rais, attraverso il prete Eustache Blanchet. Su questo punto, particolarmente importante, tornerò in seguito.

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di più i due preti Blanchet e Prelati, sempre a fianco del barone, erano dei loschi figuri. Vale la pena ricordare che l'alchimia era piuttosto diffusa tra i ceti medio-alti, e che sebbene fosse proibita dalla Chiesa, tuttavia, proprio per la sua diffusione, veniva tollerata. Ma un conto era essere accusati di cercare di trasformare metalli in oro, un altro di sacrificare bambini al demonio. Un problema che mi propongo di affrontare in questo lavoro è se veramente Gilles si macchiò di infanticidio e, se sì, in quale misura.

Appare indubbio che nella diocesi di Nantes corresse voce che il barone invocava il demonio: Il popolo, di fronte a numerose sparizioni di bambini, peraltro assai frequenti a quei tempi, poteva dedurre che fosse lo stesso Gilles a servirsi dei rapiti per sacrificarli ai demoni, specialmente se accortamente indotto a tale deduzione. In ogni caso il vescovo si occupò di questo solo dopo l'episodio di Saint-Étienne-de-Mermorte: Gilles si era spinto troppo oltre, aveva sfidato l'autorità ecclesiastica. Se Maléstroit fino a quel momento aveva chiuso un occhio sulle pratiche controverse del barone, da quello sciagurato 25 maggio se ne interessò personalmente. Non vi è dubbio che sia il vescovo che il duca avessero interessi privati e che puntassero alla condanna del barone; è tuttavia impossibile affermare la sua innocenza solo alla luce di queste circostanze.

L'inchiesta segreta vescovile fu pubblicata il 30 luglio: nella lettera indirizzata al Barone e ai suoi ufficiali il vescovo affermava che Gilles

“était diffamé auprès de gens honnêtes et graves, personnes à l'abri de tout soupçon grâce à leur prudence et à leur probité bien connues”9: tali

persone, appartenenti al popolo, preventivamente interrogate dal vescovo e dai suoi uomini, avrebbero poi testimoniato in sede di processo. Il 13 settembre, Jean Ginole, allocato della Court Royale di Nantes, a nome di Maléstroit, scrisse una lettera all'ufficiale vescovile di Nantes, nella quale lo

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incaricava di arrestare Gilles de Rais per “les horribles invocations au

démon plusieurs fois et souvent exercées, auxdits démon sacrifié et offert, et avec eux conclu pacte et autres crimes et délit d'héreésie, méchamment perpétrés et offensant la Majesté divine et à la subversion et atténuation de la foi et pernicieux example à plusieurs”10. Il 14 settembre al barone fu

chiesto di comparire in giudizio per la generica accusa di eresia e patto con il demonio, come si evince dal testo appena citato. Gilles, che si trovava a Tiffauges, fuori dalla giurisdizione ducale, era rimasto da solo con i due servi e complici, Griard e Corillaut.

10 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue), cit. pag. 4.

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CAPITOLO 3

I PROCESSI A GILLES DE RAIS

3.1 Le cause dei processi secondo la pubblica accusa.

In questo capitolo cercherò di attenermi il più possibile all'analisi delle risultanze processuali ricavabili dagli atti giudiziari.

Il 14 settembre 1440 Guillaume Robin Guillaumez, in veste di notaio pubblico, recapitò a Gilles de Rais il mandato di arresto per il reato di eresia, per incarico del Vescovo di Nantes Jean de Maléstroit. Egli avrebbe dovuto presentarsi il giorno 28 presso il tribunale diocesano della città, dove sarebbe stato giudicato anche dal vicario dell'inquisitore, Jean Blouyn. Il 28 settembre comparirono in tribunale dieci testimoni, già preliminarmente ascoltati dal vescovo durante l'inchiesta segreta. Questi lamentavano la scomparsa dei figli, in tempi e luoghi diversi. Gilles si presentò in tribunale solamente il giorno 8 ottobre e venne accusato verbalmente di sodomia, invocazioni demoniache, infanticidio. Egli, che con tutta probabilità pensava di dover rispondere solo della generica accusa di eresia, contestata dalla lettera vescovile, si vide dunque imputato di crimini assai diversi.

3.2 L'imputato, i testimoni, i magistrati.

Il tribunale vescovile fu, come si è visto, presieduto da Jean de Maléstroit, vescovo della diocesi di Nantes, Cancelliere del ducato di Bretagna e principale consigliere del duca. Il processo a Gilles de Rais non fu inquisitoriale, anche se Jean Blouyn, dell'ordine dei Frati Predicatori del convento di Nantes, rappresentò il Grande Inquisitore di Francia, Guillaume Méric. Fu Maléstroit ad invitarlo con il titolo di aggiunto; la procedura utilizzata in questo caso, definita inquisitio delegata, riservava al vescovo il

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diritto di presiedere il tribunale. Guillaume Chapeillon fu il promotore del processo, ovvero il rappresentante della pubblica accusa. Facevano inoltre parte della corte Guillaume de Maléstroit, vescovo di Le Mans e nipote di Jean de Maléstroit, Jean Prégent, vescovo di Saint-Brieuc e Jacques de Pentcoetdic, primo giudice del tribunale ecclesiastico ordinario di Nantes. La stessa corte giudicò Gilles de Rais per gli omicidi nel procedimento civile che seguì quello canonico. A presidere il dibattimento e a dirigere l'interrogatorio in quella sede fu Pierre de l'Hôpital, presidente degli Stati di Bretagna.

Per quanto riguarda i dieci testimoni a carico, essi provenivano tutti da Nantes e dintorni. Erano di condizioni economiche e di rango sociale assai modesti, come possiamo evincere dai mestieri che praticavano (manovale, macellaio) e dalla loro consuetudine di mandare i figli a chiedere l'elemosina e a cercare fortuna. Affermarono di aver visto i bambini in compagnia di Poitou, soprannome di Étienne Corillaut, servitore di Gilles, subito prima della loro scomparsa. Altri invece sarebbero stati rapiti da Perrine Martin, anziana mendicante della diocesi, detta la Pellisone o la Meffraye, nome che evoca l'incutere paura (mettre-effrayer), che li avrebbe consegnati al barone. Il 28 settembre, data della deposizione dei testimoni, Perrine Martin, come supposta complice, si trovava già in prigione, arrestata dalla corte secolare, a cui aveva confessato di procurare i bambini ai servitori di Gilles. Negli atti leggiamo: “la veuve feu Regnaut-Donète,

[…] aussi s'est plainte que Jean, son fils, fréquentait ladite maison de la Suze11 et […] n'entendit plus de ses nouvelles, jusqu'à ce que Perrine Martin […] confessa que ledit Seigneur de Retz et ses gens le prirent”.12

Perrine, più volte evocata negli atti processuali, non comparve a nessun

11 La Suze-sur-Sarthe, nei Paesi della Loira, era uno dei possedimenti del Barone.

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udienza; morì, a quanto pare, in prigione dopo la conclusione della vicenda13.

Durante la procedura civile i testimoni a carico diventarono ottantaquattro! Poveri, vedove, mendicanti che non avevano più avuto notizie di figli e nipoti, ma avevano sentito dire che erano stati uccisi e sacrificati al demonio dal Barone de Rais e dai complici: la Meffraye, Poitou e Henriet Griard. Lo stesso copione si ripeté più volte. Nei procedimenti contro Gilles, le voci popolari ebbero un'importanza fondamentale: come avrò modo di sottolineare in seguito, non vi furono testimoni oculari né prove schiaccianti, quantomeno nel corso delle indagini preliminari.

Come testi furono ascoltati anche due preti, Eustache Blanchet e Francesco Prelati. Essi fornirono lo sfondo magico e demoniaco delle condanne di Gilles; riferirò in seguito i dettagli delle deposizioni. I due, che avevano abbandonato il maresciallo a Tiffauges, furono arrestati nella città di Nantes. Per loro, complici per lo meno nel reato di eresia, non ci fu nessuna condanna. Secondo Reinach, che si avvalse degli studi e dei documenti ritrovati da Charles Petit-Dutaillis, Prelati sarebbe stato in seguito condannato all'ergastolo, dal medesimo tribunale. Riuscì ad evadere di prigione e, sotto falso nome, ad ingraziarsi Renato d'Angiò. Dopo aver preso in ostaggio un tesoriere di Francia fu condannato a morte nel 1446, anche per i crimini antichi14 . Per quanto riguarda Eustache Blanchet, le sue tracce si perdono con la chiusura del processo15.

13 Ibid. pag. XXXIII

14 Salomon Reinach, Cultes, mythes et religions, tomo IV, Ernest Leroux Éditeur, Parigi, 1912, pag. 284.

15 Secondo Ludovico Hernandez, come ho già detto alla nota 6 del capitolo 2, fu lo stesso Blanchet, incaricato da Jean de Maléstroit, a spargere la voce nella diocesi di Nantes che fosse Gilles de Rais a far sparire i bambini. Fu lui stesso a mettere nella locanda di Cahu, dove aveva soggiornato con Prelati, della cenere bianca e una camicia insanguinata, appena Gilles fu arrestato, e si diceva che appartenessero ad un bambino ucciso. Da notare che non comparirono

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Invece Étienne Corillaut e Henriet Griard, i servitori di Gilles, fornirono dettagli sulle pratiche sodomitiche e gli infanticidi del barone. Il tribunale civile li condannò a morte assieme a lui.

Gilles de Rais fu processato dunque da due distinti tribunali. Quello vescovile, competente in cause di fede, lo condannò alla scomunica, successivamente revocata, e alla confisca dei beni, per i reati di stregoneria ed invocazioni demoniache. I due preti, verosimilmente complici in tali reati, non furono perseguiti. Probabilmente la corte ecclesiastica si rese conto di avere a che fare con due ciarlatani, sedicenti esperti di alchimia che, come ho già detto, era tollerata, poiché oramai praticata ovunque. Come avrò modo di spiegare in seguito, in base anche alle dichiarazioni dello stesso Gilles, i bambini furono uccisi per suo diletto e non sembrerebbe per i sacrifici ai demoni. Gli unici resti umani utilizzati in un'invocazione parrebbero appartenuti ad un bambino che non sembra essere stato ucciso dal barone o dai complici.

Il tribunale civile giudicò Gilles de Rais per gli infanticidi e ne decretò la condanna a morte. I servitori rei confessi furono giustiziati insieme al barone per concorso in omicidio.

3.3 Analisi e confronto dei due processi

Per i testi dei processi, mi sono avvalsa degli atti pubblicati da Ludovico Hernandez nel 192116. Quello del procedimento canonico è una traduzione francese dell'originale latino che risale al primo terzo del XVII secolo,

nel processo come prova, ma furono solamente citati al processo civile. Tuttavia, nonostante non sia priva di fondamento, la tesi di Hernandez mi sembra indimostrabile. A mio avviso, il fatto che Blanchet non fu perseguito dall'inquisizione desta comunque qualche dubbio e sembrerebbe corroborare la tesi di Hernandez. Cfr. Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue) avec un essai de réhabilitation, Bibliothèque des Curiex, Paris, 1921, pag. XXVIII.

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acquistata dallo stesso Hernandez. Il procedimento civile è desunto dal manoscritto conservato alla biblioteca nazionale di Francia: Procez

criminel de Messire Gilles de Bretagne Baron de Rays Marechal de France lequel fut executé le 26 octobre 1440; BN, Ms. fr. 23836 .

Il processo canonico

Il testo del procedimento si apre con una lettera, datata 13 settembre, indirizzata dal vescovo di Nantes ai suoi ufficiali, in cui si cita in causa Gilles de Rais. Egli afferma che, a seguito delle lamentele di Agathe e Jeanne “bonnes et discètes personnes”17

, che avevano accusato Gilles di invocazioni demoniache, patti diabolici ed eresia, lo stesso Gilles doveva presentarsi davanti all'ufficiale vescovile a Nantes il giorno 19 settembre. Segue la dichiarazione di Guillaume Guillaumez, notaio pubblico, il quale lo stesso giorno aveva chiesto a Gilles se intendeva comparire in giudizio davanti al Vescovo di Nantes e al Vicario dell'Inquisitore, Jean Blouyn, dieci giorni dopo la notifica. Egli, accusato solamente di eresia, accettò di comparire riconoscendo così i suoi giudici: in questo modo non avrebbe potuto ricusarli. Il 28 settembre si aprì formalmente il processo. Per primi furono ascoltati i testimoni che, come detto, accusarono Gilles non solamente di eresia, ma anche di sodomia e infanticidio. Le accuse furono ripetute il giorno 8 ottobre, alla presenza di Gilles de Rais. Gilles fece appello, ricusando i giudici, dai quali si sentì rispondere: “[...] que telles

appellations étaient comme frivoles et sans crédit, car les causes de cette nature ne sont de droit déférées”18

. Il maresciallo allora poté solamente negare le accuse. La seduta fu rinviata all'undici ottobre quando, diversamente da quanto stabilito in precedenza, furono ascoltati solamente i

17 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue) cit. pag. 3. 18 Ibid. pag. 12.

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testimoni. Il promotore intanto preparava l'accusa, composta da 47 articoli, che venne letta nell'udienza del 13 ottobre. Gilles reagì con violenza ai capi di imputazione, arrivando persino ad offendere i giudici: imprecò contro di loro, li ricusò e si rifiutò di rispondere alle contestazioni. Ciononostante, minacciato di scomunica, fu costretto a difendersi. L'udienza successiva fu fissata per il sabato 15 ottobre. I primi otto articoli dell'atto di accusa riguardavano la composizione del tribunale e le sue competenze in materia di fede, dal nono al quattordicesimo si dichiarava che Gilles, in quanto battezzato cristiano e cittadino di Nantes, poteva essere giudicato da quel tribunale. Negli articoli successivi si enunciavano le accuse relative ai crimini riferiti dai testimoni. Il barone, assieme ai già ricordati complici, e con altri servitori che al tempo del processo erano deceduti, avrebbe fatto rapire dei bambini, e dopo aver peccato con loro di sodomia, averli mutilati e sgozzati, li avrebbe immolati ai demoni. I corpi erano stati successivamente bruciati e dispersi. Nella fortezza di Tiffauges, con Prelati, avrebbe disegnato segni e cerchi per invocare il diavolo. Al demonio Baron aveva chiesto ricchezza e conoscenza in cambio di qualsiasi cosa, tranne che della propria vita e anima. Nell'articolo venticinque fu stimato il numero delle vittime: attorno a centoquaranta tra maschi e femmine. Il barone, per compiere gli osceni delitti in maniera più disinvolta, beveva vino e ippocratico. Nell'articolo trenta si sosteneva che una volta aveva affidato a Francesco Prelati le mani, gli occhi, il cuore e il sangue di un bambino in un vaso di vetro, affinché fossero offerti allo stesso Baron che li aveva richiesti. Tuttavia non è precisato se Gilles avesse ucciso o fatto uccidere quel bambino, anche se ciò parrebbe implicito. Seguivano le accuse di negromanzia e geomanzia.

Secondo l'articolo trentaquattro, alcuni anni prima, al tempo in cui i parenti del maresciallo si erano impossessati con la forza della fortezza di Champtocé, i complici di Gilles avevano dissotterrato quarantacinque teste

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e corpi di ragazzi affinché il duca e i suoi ufficiali non potessero trovarli. I resti erano stati trasportati in un baule a Machecoul, dove erano stati bruciati. Nonostante che Gilles avesse fatto voto a Dio e ai Santi di non commettere più simili delitti e di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per chiedere la remissione dei peccati, i crimini erano continuati. Tra gli ultimi capi di imputazione compariva la vicenda di Saint-Étienne-de-Mermorte. Per tutti questi motivi Gilles de Rais, concluse il promotore, era ufficialmente accusato di eresia, apostasia, invocazioni demoniache, sodomia, vizi contro natura e di violazione dell'immunità della Chiesa; ne chiedeva la scomunica e “autres peines de droit”19, fra cui probabilmente la confisca dei beni, visto che secondo il diritto canonico questa era conseguenza diretta della scomunica. Tuttavia il tribunale vescovile non deliberò mai apertamente questa confisca, che invece fu decisa e messa in atto dal solo tribunale civile.

Il 15 ottobre, giorno della prima udienza, Gilles fu invitato a difendersi. Per prima cosa riconobbe la giurisdizione del tribunale e chiese perdono per le ingiurie pronunciate; poi prestò giuramento. Riconobbe la veridicità dei primi undici articoli. Confessò altresì di essersi dato all'alchimia con Blanchet e Prelati, ma rigettò le accuse di invocazioni demoniache. La corte chiese allora di ascoltare i complici, che furono citati a presentarsi per l'udienza successiva. Gilles, al quale era stata recapitata la sentenza di scomunica per le ingiurie proferite contro la corte, chiese di essere riammesso alla partecipazione ai sacramenti, il che gli venne accordato. La corte si aggiornò al 17.

Durante la seconda udienza non accadde niente di rilevante: furono invitati a giurare i testimoni del caso Saint-Étienne-de-Mermorte, e il barone non ebbe niente da obiettare.

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Mercoledì 19 fu la volta di alcuni cittadini della diocesi di Nantes che ripeterono le accuse già enunciate dagli altri testi durante le udienze preliminari; di nuovo Gilles de Rais ascoltò in silenzio e non contestò quanto venne detto.

Il giorno successivo, egli dichiarò che avrebbe confessato spontaneamente. Ciononostante il tribunale decise che “pour que la vérité soit mieux

élucidée et trouvée, la torture ou question serait ordonnée audit Gilles, accusé”20.

Venerdì 21, alle 3 del mattino la corte si presentò nella cella del barone per portarlo alla tortura; egli chiese di poter confessare o perlomeno di poterla differire di un giorno. Alle due del pomeriggio i commissari comunicarono ai giudici che il maresciallo aveva ammesso le proprie colpe e che il contenuto della sua deposizione era stato messo per iscritto. Non possiamo precisare se Gilles fu torturato o confessò davanti agli aguzzini prima di esserlo, poiché il testo del processo non è del tutto chiaro in proposito; tuttavia l'interpretazione più plausibile del brano ambiguo suggerisce che Gilles non subì violenze fisiche.

Egli ammise di aver commesso il peccato di sodomia, il delitto di omicidio, le invocazioni ai demoni e i patti diabolici dal tempo del decesso del nonno, quindi dal 1432; il tutto per proprio diletto e secondo la propria immaginazione, senza consiglio né sollecitazione da parte di altri. Quando gli venne chiesto di ricostruire con ulteriori dettagli i delitti compiuti e perché li avesse commessi Gilles rispose: “je vous ay dit de plus grandes

choses que n'est cette cy (in riferimento ai motivi dei crimini), et assez pour

faire mourir dix milles hommes” 21 riferendosi agli infanticidi. Egli sapeva

ormai cosa lo avrebbe atteso. Il Presidente degli Stati di Bretagna richiese

20 Ibid. pag. 45. 21 Ibid. pag. 50.

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