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UN TENTATIVO DI REVISIONE DEI PROCESS

Marie de Rais, figlia di Gilles, nel 1442, sposò Prégent de Coëtivy. Gli portò in dote il titolo di barone di Rais: all'aristocrazia bretone e francese non importava dunque che il maresciallo avesse subito un processo, né che il suo nome fosse macchiato di ignominia. Prégent tuttavia, per rimettere le mani sui beni confiscati dal duca, tentò di rendere effettivo l'appello che il suocero aveva rivolto al re, che il tribunale vescovile aveva dichiarato nullo, senza che fosse stato esaminato dal tribunale civile. Prégent era in possesso di lettere intitolate d'ajournement en cas d'appel, indirizzate da Carlo VII al duca di Bretagna. Tale lettera è stata pubblicata da Hernandez, tra i documenti del processo44. Il testo recita: “Comme feu Gilles, […] de

certaines condempnacions, exploiz, mainmise, arrest et détencion de sa personne et reffus et dené de droit […], à tort, indeuement et contre raison[...] eust appellé à nous et nostre court de parlement comme de nulz […]; après lequel appel, et dedans ung mois après ce que ledit appel fut interjecté, ledict feu seigneur de Rays fut condampné à mort et fait mourir

par ledict de Lospital, indeuement et sans cause”45

. In tale lettera, datata 3 gennaio 1443, Carlo VII invitava Giovanni V e il Presidente degli Stati di Bretagna a comparire presso la corte reale, per rispondere delle condanne a Gilles de Rais. Un'altra lettera fu inviata nello stesso giorno dal re ai balivi e siniscalchi di Turenna, Angiò, del Maine e della Saintonge, affinché si informassero segretamente su come era stato condotto il processo.46 In ogni caso in queste lettere non si menzionava la supposta innocenza di Gilles de

44 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue), cit. pag. LXXX. 45 Ibid. pag. LXXX-LXXXI

Rais e neppure irregolarità processuali; si citava invece il diritto dell'imputato di ricorrere in appello. Probabilmente il re non dubitava della colpevolezza di Gilles e neppure i familiari, interessati più che altro a rimettere le mani sull'eredità sottratta dal duca di Bretagna. Per questo motivo Prégent e Marie non citarono in giudizio Giovanni V e Pierre de l'Hôpital; forse anche il re era mosso soprattutto dal timore che il ducato di Bretagna ampliasse i propri confini anche in territorio francese, divenendo così più potente. Che il re non avesse molti dubbi sulla colpevolezza del barone è dimostrato anche dalla già citata lettera di grazia inviata a Roger de Briqueville; affinché quest'ultimo potesse essere scagionato vi si dice che era stato obbligato, poiché giovane scudiero, ad eseguire gli ordini del padrone: “lui convenoit estre subgiect et obeissant […] le contraigny et le

chargea à luy administrer et envoyer à ses places plusieurs enfants, lesquelz, et autres qu'il pouvoit avoir et recouvrer, il faisoit deffaire, occire et meurdrir”47

. Il re aggiunse inoltre che di tali omicidi Bricqueville era rimasto all'oscuro e che aveva lasciato il barone cinque anni prima dell'inizio del processo48. In particolare erano i feudi di Champtocé e Ingrandes, con le loro guarnigioni bretoni a controllo di un punto cruciale sulla Loira, che preoccupavano il re francese e i vicini nobili dell'Angiò. Le due signorie furono confiscate: il 23 giugno 1448 Prégent de Coëtivy e il duca di Bretagna Francesco II firmarono un trattato secondo il quale sarebbero passate agli eredi di Gilles de Rais. Tuttavia le vicende dell'eredità del barone non erano ancora concluse. Nel 1450 Prégent morì improvvisamente senza eredi. Marie de Rais, unica beneficiaria dei possedimenti del padre e del marito, fu imprigionata dai fratelli Coëtivy, mentre il duca Pietro II si impossessava dei suoi feudi con la forza. Grazie

47 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue), cit. pag. 200. 48 Vide Supra, Capitolo 4, pag. 48.

all'intervento degli Angiò e del re di Francia, Marie venne liberata, ma morì poco dopo. I titoli e le signorie furono ereditate da René, fratello minore di Gilles. Egli scrisse un'opera intitolata Mémoire des Héritiers, volta ad aprire un'inchiesta per riappropriarsi dei feudi ormai appannaggio del duca di Bretagna. René sostanzialmente affermava la pazzia del fratello: per questo motivo aveva venduto numerose signorie a Giacomo V a condizioni tanto svantaggiose, e in base a ciò chiedeva l'annullamento degli atti di vendita. Ne conseguì un lungo processo che è difficile ricostruire per mancanza di fonti, anche se parrebbe che si concludesse con un nulla di fatto: René morì nel 1473 e dopo di lui gli eredi non portarono più il nome di de Rais. Tuttavia il Mémoire rimane un'opera molto importante nella storiografia, poiché René dipinse il barone come un alienato mentale, e fu utilizzata dai detrattori di Gilles de Rais per suffragare la leggenda di Barbablù.

Alla luce delle analisi dei processi, è quasi inevitabile interrogarsi sull'innocenza di Gilles de Rais o sulla sua colpevolezza. Queste sono anche le posizioni delle tradizioni storiografiche e biografiche. Tuttavia sono convinta che al riguardo siano possibili solamente congetture e ipotesi, in mancanza di testimonianze e prove.

Da un lato abbiamo ben due confessioni che costituiscono l'unico sicuro elemento di colpevolezza in nostro possesso; Gilles confermò quanto sostenuto dalla pubblica accusa, probabilmente senza essere sottoposto alla tortura o ad altra forma di coercizione. Questo è perlomeno quanto appare dagli atti dei processi: affermare che fu obbligato a dichiararsi colpevole resta una mera ipotesi priva di fondamento; sostenibile solo sulla base di mere supposizioni. Le testimonianze dei servitori inducono a sostenerne la colpevolezza e complicità. Si potrebbe obiettare che gli stessi furono obbligati ed istruiti dalla corte vescovile, che mirava alla confisca dei beni del barone. Ma anche in questo caso non abbiamo prove che permettano di

sostenerlo con certezza. Come ho già detto le coincidenze sui racconti di Poitou e Griard potrebbero essere dovute alla pratica di riassumere quanto veniva dichiarato da parte del verbalizzante, oppure anche ad un suo errore: proprio un errore del verbalizzante potrebbe giustificare la strana corrispondenza delle esitazioni dei due servitori sul numero delle teste di bambini rinvenute a Machecoul. Anche in tale caso possiamo solamente fare delle supposizioni, l'unico dato certo rimane che le dichiarazioni di Poitou e Griard, testimoni oculari, confermarono la colpevolezza di Gilles. Si è ipotizzato che alla base del processo vi fosse un complotto, escogitato dal duca Giovanni V e messo in atto dal vescovo Jean de Maléstroit. Sappiamo con certezza che il duca aveva acquisito dei beni da Gilles tramite prestanome, poiché possediamo dei documenti in proposito. Di certo Giovanni aveva interesse che il barone perdesse i diritti sulle sue proprietà, per acquisirle a titolo definitivo. Ma non abbiamo nessuna buona ragione che ci permetta di inferire l'innocenza di Gilles de Rais, solamente sulla base di questi interessi del duca. Il fatto che quest'ultimo puntasse all'esproprio non può essere un motivo sufficiente per scagionare il maresciallo di Francia dai delitti imputatigli. Sarebbe stato diverso se Gilles si fosse dichiarato innocente: anche in questo caso la confessione è il fatto più rilevante in questo processo. Inoltre dobbiamo ricordare le numerose testimonianze sui bambini scomparsi per mano dei servitori di Gilles e le voci che correvano sul suo conto. È opportuno considerare tali testimonianze come spontanee e sincere, non essendo in possesso di prove che attestino il contrario. La tesi che afferma che sia i popolani sia i servitori di Gilles furono probabilmente spinti dal Vescovo a incolparlo sembrerebbe priva di riscontri e piuttosto arbitraria.

Prendiamo ancora una volta in esame i procedimenti. Abbiamo parlato di irregolarità o almeno di procedure ai limiti della legalità. Non è questo il caso delle confessioni, poiché sembrano spontanee, per lo meno stando ai

documenti in nostro possesso. L'unico vizio procedurale dimostrabile riguarda la testimonianza dei servitori, che come testi a carico avrebbero dovuto deporre prima dell'emanazione della sentenza da parte del tribunale vescovile. Tuttavia mi preme mettere in evidenza che i reati per cui Gilles venne condannato alla scomunica riguardavano solamente la materia di fede, ed erano già stati espressamente ammessi dallo stesso barone. Se mai il contenuto delle deposizioni dei servitori servì da base alla condanna alla pena capitale da parte del tribunale civile. Ricordiamo a questo proposito che Pierre de l'Hôpital, che presiedé la corte secolare, fu presente al dibattimento presso la corte ecclesiastica. Vero è che l'irregolarità è palese, tuttavia non fu determinante nella condanna a morte dell'imputato.

Si è inoltre preso in esame la possibilità che la corte vescovile potesse essere influenzabile dal vescovo di Nantes, sia per i vincoli di parentela che lo legavano ad alcuni suoi membri, sia perché un tempo essi erano stati suoi sottoposti nella gerarchia ecclesiastica. Tuttavia teniamo presente che il vicario dell'inquisitore generale costituiva di norma una figura del tutto estranea alle politiche e agli interessi delle oligarchie locali, e non era facilmente suggestionabile: innanzi tutto perché non aveva legami gerarchici né con il vescovo né con il duca, poi perché dipendeva direttamente dal Maestro Generale dei domenicani, che teneva sotto controllo stretto l'operato dei membri del tribunale inquisitoriale. Jean de Blouyn dunque non sarebbe stato propenso all'applicazione di procedure irregolari, delle quali avrebbe dovuto rispondere. A ciò si aggiunge che i processi furono entrambi pubblici: chiunque poteva assistere alle udienze; è questo un ulteriore elemento a favore della loro regolarità.

Abbiamo parlato dell'assenza di testimoni oculari, se si eccettuano i due servi -che però erano direttamente coinvolti-, magari facenti parte del corteggio del Barone o impiegati presso la casa, e del mancato reperimento di Roger de Briqueville e di Gilles de Sillé, testi e possibili complici. Ne

abbiamo inferito la superficialità nella conduzione delle indagini da parte dei giudici e anche la fretta di chiudere un processo socialmente scomodo già deciso a priori. Ricordiamo che solamente il giorno successivo alla lettura della sentenza, il barone fu giustiziato. Le indagini e il procedimento furono caratterizzati dalla fretta di concludere definitivamente tale questione e non dall'illegalità e dall'irregolarità. Gilles era dopo il duca la personalità più in vista di Bretagna ed anche nel regno di Francia godeva di grande prestigio. Fu lui a portare il sacro crisma all'altare per l'incoronazione di Carlo e fu anche paladino della liberazione della Francia dall'oppressione inglese. La stessa persona, a distanza di pochi anni, quando ancora le vicende sue e di Giovanna d'Arco risuonavano nelle orecchie di tutti, veniva condannata a morte proprio per eresia ed anche per infanticidio. Il ceto nobiliare, già fortemente ridimenzionato nel suo ruolo dopo le sconfitte della guerra dei cent'anni, sarebbe stato gettato nel totale discredito. Per questi motivi si cercò di attenuare la risonanza della condanna a morte del barone, affrettando i tempi di esecuzione, sperando che la vicenda finisse presto nel dimenticatoio.

Sebbene la sentenza sia stata emanata dunque in assenza di prove materiali, esistevano indizi di colpevolezza sufficienti per una condanna. Infatti, secondo il diritto canonico, la testimonianza di due testimoni oculari, potenzialmente veridici, costituiva una prova schiacciante, alla quale si aggiungeva la confessione dell'imputato. Ne consegue che possiamo sì definire le indagini poco approfondite e parziali, ma non irregolari né totalmente inconsistenti. Lo stesso vale anche per l'inchiesta condotta dal tribunale civile: i funzionari non si preoccuparono di rinvenire i resti delle vittime, poiché la corte era in possesso di elementi sufficienti per emanare la sentenza.

maresciallo facesse rapire bambini per soddisfare i suoi appetiti sessuali e che poi li uccidesse, e vi sono pochi dubbi in merito. Secondo l'ipotesi più convincente, quella che sento di fare mia, sia il duca che il vescovo erano a conoscenza di tali dicerie. Tuttavia, per il prestigio sociale che godeva Gilles anche fuori dal ducato di Bretagna, probabilmente chiusero gli occhi: del resto i bambini che sparivano erano figli di popolani e mendicanti, quindi vittime sacrificabili per salvare la reputazione di un membro della nobiltà. La situazione però andò a precipitare quando Gilles de Rais sfidò l'autorità ecclesiastica e mancò di rispetto ad un subalterno del duca, nell'episodio di Saint-Étienne-de-Mermorte. A quel punto il barone si era spinto troppo oltre, per cui doveva essere punito. Il fatto che Giovanni di Bretagna avesse tutto l'interesse a far condannare Gilles è innegabile; d'altro canto è innegabile la sua colpevolezza, per lo meno in base ai documenti in nostro possesso.

Resta da definire se tutti gli omicidi imputati al barone siano stati veramente commessi da quest'ultimo. In base alle testimonianze il numero delle vittime dovrebbe essere circoscrivibile tra cinquanta e sessanta. Abbiamo invece visto che per primo il tribunale vescovile accusò Gilles di aver ucciso circa centoquaranta bambini, mentre in seguito quello civile più di duecento. Questo numero potrebbe riferirsi non solo ai bambini uccisi da Gilles de Rais. Non voglio avventurarmi nell'impresa impossibile di stabilire il numero preciso di omicidi da lui commessi; tuttavia il loro computo potrebbe avvicinarsi a quanto dichiarato dai testimoni, ovvero più di cinquanta.

Questo vertiginoso aumento del numero delle vittime non rispondeva solamente alla necessità di accrescere l'orrore nei confronti del barone. Probabilmente si volle dare un colpevole da incriminare a tutti quei genitori che avevano perduto i figli. Gilles, in un certo senso, divenne un capro

espiatorio, l'incarnazione delle paure del popolo, punito dalla legge con la morte. Fu il modo di dimostrare che la giustizia veniva applicata regolarmente, che i potenti proteggevano i più deboli.

CAPITOLO 6

IL BAMBINO E L'INFANTICIDIO AL TEMPO DI GILLES DE