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In questo capitolo prospetterò alcuni dubbi che la lettura attenta degli atti mi sembra legittimare, ponendo in evidenza in primo luogo la forte probabilità di un complotto escogitato dal vescovo e dal duca di Bretagna, per appropriarsi dei beni del barone. In altre parole, propongo una lettura alternativa delle risultanze processuali, alla luce delle teorie complottistiche sostenute tra gli altri da Reinach e Hernandez.

4.1 Le possibili concause dei processi.

Come ho spiegato nei capitoli precedenti, Giovanni V si era appropriato di gran parte dei possedimenti bretoni di Gilles de Rais, e puntava all'acquisizione definitiva delle signorie del barone nel regno di Francia. I divieti regi e le pressioni degli eredi rendevano difficile questa appropriazione. Il duca ed i suoi sottoposti e prestanome puntavano alla rovina di Gilles, impresa ardua, visto il credito di cui godeva e la sua posizione sociale. Ma fu lo stesso barone de Rais a fornire un pretesto ai suoi nemici, con l'infausata entrata in armi in Saint-Étienne-de-Mermorte e il sequestro del chierico tonsurato Jean de Ferron: azioni che di per sé erano passibili di scomunica, per la profanazione della chiesa e la violazione dell'immunità ecclesiastica. Che Gilles si fosse dato all'alchimia era voce di popolo, se non altro per la notorietà dei due alchimisti che non lo lasciavano mai. Ma la pratica alchemica, sebbene mal vista dalla Chiesa, non costituiva un reato grave, per lo meno non costituiva di per sé eresia; era tuttavia contigua alla magia nera, alla stregoneria e alle invocazioni demoniache. Che poi le supposte invocazioni, alle quali Gilles credeva ingenuamente, fossero messe in scena di Prelati, al tribunale vescovile non importava.

Tuttavia le accuse non erano abbastanza gravi per condannarlo a morte, o quanto meno non senza una reazione del re di Francia, dei nobili e della famiglia di Gilles, che si sarebbe vista privata dell'eredità. In un'epoca in cui i bambini poveri, mandati dalle famiglie a chiedere l'elemosina, scomparivano quotidianamente, un ricco nobile, che amava circondarsi di paggi e chierichetti da destinare alla chiesa dei Saints-Innocents, da lui stesso voluta e costruita, poteva divenire facilmente vittima delle accuse di sodomia e infanticidio, se sufficientemente alimentate. Abbiamo visto che, dopo l'episodio di Saint-Étienne-de-Mermorte, il vescovo aprì un'inchiesta segreta, che portò sul banco dei testimoni dieci genitori, i quali, per sentito dire, accusavano Gilles dell'omicidio dei propri figli. La teoria del complotto, sostenuta da alcuni studiosi che avrò modo di introdurre in seguito, presuppone l'innocenza di Gilles de Rais in materia di omicidio. Questa accusa sarebbe stata inscenata dal vescovo Jean de Maléstroit, esperto di procedure canoniche, poiché l'infanticidio finalizzato al sacrificio umano comportava l'accusa di eresia, questa la scomunica, e la scomunica la confisca dei beni. Infatti al vescovo la scomunica per stregoneria semplice non poteva bastare, poiché Gilles avrebbe potuto ricorrere in appello, come del resto tentò di fare. A questo punto gli omicidi giocarono un ruolo chiave nella vicenda, poiché innescarono il procedimento civile: il tribunale presieduto da Pierre de l'Hôpital, nel giro di ventiquattro ore emise la sentenza di condanna a morte e mandò il barone sul patibolo.

Quando Gilles de Rais si vide recapitare da Guillaumez l'invito a comparire in tribunale per eresia, non pensava minimamente alle accuse che di lì a poco gli sarebbero state rivolte e che lo avrebbero portato alla morte, come si evince dallo stupore e dalle reazioni violente che ebbe contro i giudici alla lettura dell'atto di accusa. Conferma la sua non previsione di quell'accusa la mancata fuga, visto che si trovava nel regno di Francia e non in Bretagna. Inoltre, come ho già detto, Gilles de Rais contava di sistemare

grazie all'appoggio del duca la questione di Saint-Étienne-de-Mermorte, per la quale probabilmente pensava di essere stato citato in giudizio. Egli si fidava di Giovanni V, convinto che nutrisse per lui stima e affetto. Questi, come ho avuto modo di ricordare nel primo capitolo, era un doppiogiochista ed un uomo senza scrupoli, che per ingraziarsi Gilles, nonostante lo stesse rovinando con le proprie mani, non aveva esitato a nominarlo poco tempo prima, alla carica di Luogotenente Generale di Bretagna, all'epoca, almeno nominalmente, seconda carica dello stato. Non solo il duca non avrebbe aiutato Gilles, ma era interessato alla sua rovina e alla condanna capitale; infatti, prima dello svolgimento del processo, il 3 settembre 1440,29 come risulta dalle carte testamentarie, egli aveva lasciato in eredità al figlio maggiore le proprietà che sarebbero state confiscate al barone.

4.2 I testimoni a discarico non convocati.

Secondo una lettura complottistica, Maléstroit e Giovanni V desideravano la morte di Gilles per appropriarsi del suo patrimonio. Il vescovo non poteva lasciar presiedere il procedimento al vicario Jean Blouyn, giudice competente per le cause di eresia, poiché non avrebbe potuto condurlo secondo i propri disegni. Per questo motivo ricorse alla pratica della

Inquisitio delegata: il vicario dell'inquisitore generale Méric avrebbe

partecipato alla procedura, senza però ricoprire un ruolo chiave. Per quanto riguarda gli altri membri della corte, Jean Prégent, vescovo di Saint-Brieuc, era succeduto in questa diocesi proprio a Jean de Maléstroit; Guillaume de Maléstroit, vescovo di Le Mans, era nipote di Jean de Maléstroit, e anche lui ricopriva la carica che un tempo era stata occupata dallo zio. Il vescovo di Nantes aveva scelto dei membri di fiducia per il suo tribunale, uomini che sapeva lo avrebbero assecondato nei suoi disegni. Pierre de l'Hôpital,

presidente degli stati di Bretagna, era un subalterno del duca.

Vorrei soffermarmi sui possibili testimoni che avrebbero potuto presenziare e deporre al processo e che invece non vi presero parte. Ho già parlato di Perrine Martin, La Meffraye, che, a quanto pare, aveva procurato i bambini ai servi del barone. Per quale motivo non fu processata come complice? La sua figura è legata all'immaginario popolare della vecchia strega, emarginata dalla società, sola al mondo, forse squilibrata, che rubava bambini per sacrificarli al diavolo, come dice il suo soprannome parlante. Un perfetto capro espiatorio: invisa al popolo, nessuno ne avrebbe lamentato la scomparsa. Infatti morì in carcere dopo il processo; viene da dubitare se lo spauracchio Perrine morì per le violenze subite, affinché confessasse, o di morte naturale.

Ho già detto che Gilles non viaggiava se non accompagnato da un seguito di almeno un centinaio di uomini, tra cavalieri, canonici e paggi. Possibile che nessuno di questi fosse al corrente delle pratiche del barone o che nessun membro della sua famiglia, interessata quanto il duca alla rovina di Gilles per l'eredità che vedeva quotidianamente sfumare, fosse a conoscenza dei suoi misfatti? Come abbiamo visto, la massa dei testimoni a carico faceva parte dello strato più umile del ceto urbano e, se si eccettuano i due preti e i due servitori, nessuno di loro era stato testimone oculare. Né lo era stato nessun vassallo, nessun cavaliere o nobile qual si voglia, con l'eccezione del Marchese Levanus de Sève, che depose sull'episodio Saint- Étienne-de-Mermorte. Per i sostenitore del complotto i popolani non erano testimoni attendibili poiché facilmente suggestionabili. A mio avviso la scelta dei testimoni è legittama, poiché nella maggior parte dei casi furono gli ultimi ad aver visto le vittime in vita. Tuttavia essendo tutti coinvolti personalmente nella vicenda, in qualità di genitori o parenti dei bambini, potevano sollecitare la corte a trovare un colpevole.

come complici di nefandezze, Gilles de Sillé e Roger de Briqueville, cugini del maresciallo. Per di più, spesso, sarebbe stato lo stesso Gilles de Sillé a decapitare le vittime. Quando Gilles fu citato a comparire in tribunale i due cugini si dettero alla fuga. Di Gilles de Sillé non abbiamo più notizie30, se non che Marie de Rais, figlia del maresciallo, fu grande amica dei figli di de Sillé31. Per quanto concerne Roger de Briqueville, siamo in possesso di lettere di grazia, ottenute da Carlo VII nel 1446, che lo liberavano da ogni colpa, con la falsa affermazione che Roger avesse lasciato la compagnia di Gilles cinque anni prima dell'inizio del processo.

4.3 Lacune e zone d'ombra nella conduzione dei processi

In questo paragrafo cercherò di mettere in luce i punti deboli dell'accusa e di dimostrare che il tribunale vescovile non fece quanto in suo potere per conseguire la verità sui fatti, probabilmente interessato più che altro a concludere sbrigativamente un procedimento per il quale era già stato deciso l'esito a priori. Tuttavia preciserò sempre quando formulerò congetture solo verosimili e quando invece disporrò di elementi storici oggettivi per sostenere quanto penso.

Obiezioni al processo canonico

Come ho già detto, ma mi sembra importante sottolinearlo, Gilles de Rais fu citato per una generica accusa di eresia. Il barone, probabilmente, pensava di doversi difendere dalle accuse di alchimia e di violazione dell'immunità ecclesiastica, altrimenti presumibilmente sarebbe fuggito come avevano fatto Briqueville e de Sillé.

30 Questo fatto ha portato Reinach a concludere, sebbene a mio avviso un po' sbrigativamente, che de Sillé fosse in combutta con Jean de Maléstroit. Cfr. Salomon Reinach, Cultes, mythes et religions, cit. pag.285.

Per prima cosa prendiamo in esame l'atto di accusa. Nell'articolo trenta Gilles è accusato di aver consegnato a Prelati parti di un cadavere di bambino da offrire al demone Baron. Questo fatto portò implicitamente a sostenere che il barone l'avesse ucciso. Ciononostante, Gilles avrebbe potuto facilmente procurarsi il cadavere di un fanciullo, morto per stenti o per malattia, dato che la mortalità infantile, nel XV secolo, era molto alta. A proposito dei resti di Champtocé, trasportati dai complici a Machecoul per essere bruciati, vorrei rilevare che quest'azione, apparentemente, non ha senso: non sarebbe stato più semplice disfarsene in altro modo, magari gettandoli nella Loira? I servitori e complici di Gilles, forse debitamente istruiti dal tribunale, fornirono i dettagli precisi sulle vittime, in mancanza dei quali le accuse non sarebbero state verosimili. A Machecoul, nelle stanze del barone, c'erano dei forni utilizzati per le pratiche alchemiche: grazie agli espedienti escogitati dalla corte, tali forni divennero crematoi. L'ipotesi dell'istigazione dei servi da parte del tribunale, affinché testimoniassero sugli omicidi commessi dal barone, per quanto suggestiva, è indimostrabile.

Proseguiamo con l'analisi dell'atto di accusa. Nonostante che Gilles avesse fatto voto, a Dio e ai Santi, di non commettere più simili delitti e di recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per chiedere la remissione dei peccati, i crimini continuarono. Come poteva il promotore del processo essere a conoscenza di simili propositi di Gilles se egli non era ancora stato ascoltato e se i complici non avevano ancora deposto? Forse che Griard e Poitou erano già stati segretamente interrogati e magari anche istruiti su quanto avrebbero dovuto deporre nei giorni successivi? In ogni caso vale la pena ricordare che innanzi tutto il promotore avrebbe potuto essere stato informato da altre fonti e che, anche se avesse preliminarmente interrogato i testimoni, ciò non implica che questi fossero stati suggestionati e sapessero già cosa dichiarare al processo.

Dopo la deposizione dei testimoni, fu interrogato Gilles de Rais. Sebbene avesse richiesto di confessare spontaneamente, fu minacciato di tortura. Come ho già accennato, a quanto pare non ne subì alcuna, diversamente da quanto richiesto dal promotore il giorno 20 settembre. Tuttavia la sola minaccia di tortura, magari in presenza del carnefice, è motivo sufficiente per non ritenere spontanea una confessione, che invece recita: “[...] ladite

confession volontairement et librement et sans contrainte [...]”32

. A ciò si potrebbe obiettare che Gilles de Rais ripeté la confessione al processo civile, dunque senza nessun tipo di costrizione. Una confessione sotto minaccia di tortura parrebbe istigata dalla paura di subirla, e infatti il diritto canonico prevedeva che la confessione fosse ripetuta a distanza di tempo, senza alcuna intimidazione, per essere reputata valida, come di fatto accadde. Il procedimento fu dunque condotto in maniera del tutto regolare, almeno in questo caso.

Continuiamo ad analizzare i fatti. A Vannes, Poitou aveva procurato al barone un bambino, poi ucciso e gettato nelle latrine del vicino, un tale Boeldan, nel luglio dell'anno del processo. A mio avviso, un cadavere, specialmente nei mesi estivi, nascosto, pur nelle latrine, in una casa, non sarebbe passato di certo inosservato. Inoltre il tribunale vescovile, se avesse voluto (e se il cadavere ci fosse stato realmente), avrebbe potuto farlo reperire come prova schiacciante, visto che tutti gli altri corpi erano stati fatti bruciare e visto che non esistevano prove concrete dell'infanticidio, salvo una fantomatica camicia insanguinata e della cenere bianca, mai apparse nel corso del processo.

Il 25 ottobre Gilles de Rais fu scomunicato per la seconda volta, e riammesso alla Chiesa. Ciononostante, come di consuetudine per chi veniva scomunicato, i suoi beni furono confiscati. Per un tribunale ecclesiastico, la

pena più grave in cui un colpevole poteva incorrere era la scomunica. Bisogna sottolineare che in questa fase del processo non si parla di esproprio dei beni di Gilles; se però la pena impostagli dal tribunale gli era stata revocata, non avrebbe dovuto subire la confisca dei patrimoni, conseguenza diretta di una sentenza praticamente annullata. O la scomunica era valida, e allora l'imputato non doveva essere confessato né, in seguito, sepolto in terra consacrata (e proprio questa avrebbe dovuto essere la pena più severa in cui un colpevole di reati di fede poteva incorrere), o non aveva più valore, e quindi non avrebbe dovuto provocare una qualsivoglia confisca. Il tribunale vescovile uscì da questo impasse facendo pronunciare la condanna all'esproprio dei beni dal tribunale civile. Il meccanismo innescato da Maléstroit aveva funzionato alla perfezione.

Come ho già detto, il tribunale vescovile condannò Gilles alla scomunica, mentre la condanna a morte fu ratificata dal tribunale civile. Il vescovo aveva condotto il processo fino al momento della lettura della sentenza in modo quantomeno ambiguo. Per quali motivi essa era stata emessa prima che fossero ascoltati i testimoni oculari, cioè Prelati, Blanchet e i due servi? Il diritto canonico, e anche il buonsenso, stabilivano che i testimoni a carico dovessero deporre prima della sentenza, altrimenti le loro dichiarazioni non avrebbero avuto valore. Inoltre ci attenderemmo da questo processo che il vescovo agisse anche contro gli alchimisti e servitori, in quanto colpevoli degli stessi reati del barone, ovvero di eresia, e perciò che fossero scomunicati. Questa omissione sembrerebbe avvalorare la tesi di Hernandez, secondo il quale Maléstroit si sarebbe servito dei complici per portare Gilles de Rais al patibolo33. Conviene tuttavia ricordare che, secondo Reinach, il tribunale vescovile condannò all'ergastolo Francesco Prelati -che poi evase-, colpevole dei reati di stregoneria e invocazioni

demoniache. Blanchet non incorse nella stessa pena poiché non aveva mai presenziato alle oscure macchinazioni del barone e del prete fiorentino34. Il 16 ottobre depose Francesco Prelati sulle pratiche magiche e alchemiche. Riferì l'episodio delle parti di bambino utilizzate per un'invocazione. Gilles gli aveva portato le mani, il cuore, gli occhi e il sangue di un ragazzo: lo stesso Prelati non seppe precisarne la provenienza; dopo il fallimento dell'ennesima invocazione, erano stati inumati presso la cappella Saint Vincent, a Tiffauges. Se il tribunale vescovile si fosse davvero proposto il conseguimento della verità sui fatti, avrebbe potuto chiedere la riesumazione dei resti, poiché le ossa delle mani si sarebbero conservate, dato che gli avvenimenti risalivano a neppure sei mesi prima del processo. Prelati informò la corte sui rituali di invocazione, come venivano preparati e condotti, e anche sui riti a cui il barone non aveva presenziato. Come possiamo dedurre dalla sua deposizione, a parte i goffi tentativi di invocazione, verosimili, -diversamente da quelli compiuti dal solo Prelati in cui Baron appariva, che sembrano palesi menzogne-, non ci sono elementi sufficienti per stabilire che Gilles si fosse macchiato dei crimini imputatigli, poiché non ci sono prove materiali.

Sorvoliamo sulla deposizione di Eustache Blanchet, che confermò sostanzialmente quanto sostenuto da Prelati. Vorrei tuttavia soffermarmi sul fantomatico libro scritto da Gilles con il proprio sangue, citato da entrambi gli alchimisti, che non venne mai cercato. Senza dubbio avrebbe costituito una prova schiacciante della colpevolezza dell'imputato, per lo meno in relazione al reato di eresia. Ancora una volta ci troviamo davanti ad un esempio di superficialità del vescovo nel condurre l'inchiesta. Se invece il libro non fosse mai esistito? Ricordiamo che nelle confessioni Gilles de Rais non citò mai tale libro; potremmo allora ritenerlo un'invenzione del

vescovo suggerita ai testimoni, per aggravare la situazione del barone? D'altro canto si può ipotizzare anche che tale libro fosse un'invenzione dei testimoni, non creduta dal vescovo e dagli altri membri della corte, e per questo motivo non tenuta in considerazione.

Dopo i due preti furono ascoltati i servitori di Gilles, Griard e Poitou, suoi complici. Le loro dichiarazioni combaciano esattamente, persino nelle esitazioni35. Stessa indecisione sul numero di teste rinvenute a Machecoul, trentasei o quarantasei; stesse formule e descrizioni; stessa imprecisione sul numero di vittime di Nantes, quattordici o quindici. Da simili coincidenze si potrebbe dedurre la veridicità delle loro dichiarazioni; i sostenitori del complotto ne deducono un incarico ai due da parte del vescovo di recitare un copione.

Alla luce di questa pressoché totale coincidenza, i complottisti affermano che i due servitori abbiano recitato una parte che avevano imparato alla perfezione, affidata loro dal vescovo, in carcere, prima del processo. Altrimenti le deposizioni sarebbero state più vaghe, incerte, imprecise, soprattutto per quanto riguarda il numero delle vittime. Per suffragare la legittimità di tale ipotesi, ricorro all'affermazione di Poitou: “[...]

quelquefois en les décollant ou décapitant, quelqufois leur coupant la gorge

[…] et avait un glaive, vulgairement appellé braquemard, pour les tuer”36.

Queste sono invece le parole di Griard: “avait un glaive, vulgairement

appellé braquemart, pour couper les têtes desdits enfants et les égorger”37.

Le deposizioni dei due servitori concordano anche nell'ordine dei fatti raccontati. Poitou ricordò: la scomparsa del fratello di una certa Caterina di Nantes; la sottrazione di un bel fanciullo di Nantes portato a Gilles a Machecoul; l'uccisione del paggio di Prelati; il rapimento di un bambino di

35 Vide Supra , capitolo 3, pag. 40.

36 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue), cit. pag. 90. 37 Ibid. pag. 107.

Saint-Cirice; l'uccisione del paggio quattordicenne di Pierre Jacquet; di quello inviato a Gilles da André Buschet; e infine il fatto che il barone traesse più piacere dall'uccidere i bambini che dal compiere sodomia con loro38. Griard raccontò le stesse identiche cose: nello stesso ordine, con le stesse parole, ricordando le medesime persone, persino l'età del paggio di Pierre Jacquet39. Tutto ciò potrebbe attestare che i due servitori sapevano esattamente cosa dichiarare al processo. Ora quest'ultima affermazione sarebbe fondata se avessimo la certezza che il verbalizzante del processo, Guillaume Robin Guillaumez, trascrisse parola per parola quanto dichiarato dall'imputato e dai testi. Il ruolo del verbalizzante era sempre attivo e spesso attingeva a formule rituali. Con tutta probabilità riassumeva quanto dichiarato e riportava i fatti sempre secondo lo stesso ordine, magari copiando da quanto aveva già scritto in precedenza, per abbreviare il lavoro. Ritengo che le uniche parole trascritte fedelmente siano quelle rivolte da