• Non ci sono risultati.

DA MARESCIALLO DI FRANCIA A BARBABLÙ: LE TRADIZIONI STORIOGRAFICHE RELATIVE AL PROCESSO ED

ALLA FIGURA DI GILLES DE RAIS

La tradizione storiografica ci ha lasciato due immagini opposte di Gilles de Rais. Da una parte abbiamo il valoroso Maresciallo di Francia, compagno d'armi di Giovanna d'Arco, vittima di una congiura politica che lo portò, innocente, al patibolo. Dall'altra troviamo Barbablù, satanico uccisore di bambini, giustamente condannato a morte.

9.1 La fama di Gilles de Rais negli anni successivi al processo e in epoca moderna.

Come abbiamo visto99, nel periodo immediatamente successivo al processo, Il buon nome della famiglia del barone non fu macchiato dall'esito del procedimento. D'altronde era nell'interesse dei funzionari dello Stato bretone che intervennero nell procedimento, e del ceto nobiliare in generale, che esso non destasse troppo clamore. Tuttavia, furono gli stessi membri della famiglia dell'imputato a contribuire all'oscura leggenda di Barbablù e ad alimentare la cattiva fama di Gilles.

Nel 1435 essi avevano fatto scrivere una requisitoria, chiamata comunemente Mémoire des Héritiers, indirizzata al re di Francia, affinché egli ponesse termine all'alienazione dei beni a favore del duca di Bretagna100. Il re fece divieto assoluto a chiunque di acquisire territori o fortezze da Gilles; ciononostante il duca di Bretagna si rifiutò di rendere effettivo tale divieto nel suo ducato. Nel Mémoire i parenti definirono Gilles

99 Vide supra pag. 60.

come un pazzo incapace di amministrare i propri beni e spesso sotto gli effetti dell'alcool: “il n'avoit sens ni entendement, comme il estoit altéré de

son sens”101. Verso il 1461, René de la Souze, fratello di Gilles e, dopo la

morte della nipote Marie de Rais, unico erede del casato, intentò un procedimento ai danni del duca di Bretagna, affinché restituisse le proprietà acquistate al barone; secondo René, che si rifaceva al Mémoire, Gilles all'epoca delle cessioni non era in grado di intendere né di volere: “Les

nobles, manants et habitans dudit pays de Bretagne tenoient et reputoient publiquement ledit feu monseigneur Gilles comme foul et insensé, et se mocquoient et rioient de luy. […] a ceste cause chascun tendoit a avoir du sien ce qu'il vouloit et disiroit avoir”102. Tale tentativo di procedimento a carico di Giovanni V, il quale sosteneva altresì che Gilles fosse in pieno possesso delle facoltà mentali, si risolse in un nulla di fatto, anche perché René morì nel 1471.

I due Mémoires provocarono la diffusione dell'idea che il barone fosse pazzo, e da quel momento in poi venne considerato universalmente tale; solamente la storiografia novecentesca ebbe premura di evidenziare l'arbitrarietà dei giudizi espressi nei Mémoires o, perlomeno, il fatto che tali giudizi non erano disinteressati.

Per diversi secoli, fino all'Ottocento, Gilles de Rais è citato nelle cronache bretoni, nelle quali la legittimità del procedimento non è mai messa in discussione. Egli compare spesso nei cataloghi di epoca moderna dei personaggi illustri medievali e nelle storiografie bretoni e francesi di

101 Mémoire des héritiers de Gilles de Raiz pour prouver sa prodigalité, in Pierre Hyacinthe Morice, Mémoires pour servir de preuve à l'Histoire civile et ecclésiastique de la Bretagne, 4 vol., Parigi, 1742-1746, tomo II, pag. 1338.

102 Extrait des intendits des héritiers de Gilles de Rais contre le duc de Bretagne, in Eugène Bossard, Gilles de Rais, marechal de France di Barbe-Bleue (1404-1440), d'après les documents inédits réunis par René de Maulde, Parigi, 1886, pag. CLXVI.

Cinquecento e Seicento. Si parla, per citare alcuni esempi, del barone e delle sue gesta durante la guerra dei cent'anni in Les croniques annalles des

pays d'Angleterre et Bretagne, di Alain Burchard (1531) e nell' Armoire

Breton, di Guy le Borgne (1667).

Nelle opere Cinque-Seicentesche, Gilles è generalmente considerato come sanguinario uccisore di bambini e malato mentale. I racconti sul barone sono spesso romanzati e ricchi di riferimenti a Barbablù, personaggio leggendario e favolistico con il quale la sua figura si stava fondendo.

Dobbiamo all'abate Bossard, storico ottocentesco del quale mi occuperò fra poco in dettaglio, una raccolta piuttosto completa di leggende e tradizioni orali sulle quali sarebbe nato il personaggio di Barbablù, nel 1886. Le varianti sono moltissime e le storie provengono da varie parti d'Europa. Bossard riconosce alcune leggende bretoni esistenti già prima del processo al barone de Rais, che avrebbero dunque causato la confusione tra mito e realtà. La figura di Barbablù acquisì i suoi tratti tipici grazie al racconto di Charles Perrault, pubblicato nella raccolta Histoires ou contes du temps

passé, nel 1697. L'abate racconta di aver viaggiato in Bretagna e di aver

visitato le fortezze di Tiffauges, di Machecoul, di Champtocé, che un tempo erano appartenute a Gilles de Rais. La popolazione locale era ancora convinta che nelle stanze di tali palazzi il barone, e cioè Barbablù, avesse ucciso le sue vittime. È interessante sottolineare fino a che punto gli abitanti di Tiffauges credevano al personaggio di Gilles-Barbablù, e quanto questi venisse ormai sovrapposto al barbablù di Perrault: “Un jour, en parcourant

le ruines du château, nous avons rencontré, […] un groupe de touristes assis sur l'herbe: au milieu, une vieille femme du pays y parlait de Barbe- Bleue. […] Barbe-Bleue avait bien été le seigneur de ce château […] «et tenez -ajouta-t-elle- venez que je vous conduise à la chambre même où il

égorgeait d'ordinaire les petits enfants.»”103. Stando ancora all'abate Bossard, in altri paesi si diceva che Gilles de Rais avesse ucciso le sue sette mogli, come nel racconto di Perrault, e non bambini.

9.2 La storiografia Ottocentesca: Jean Michelet e Eugène Bossard.

Nella sua Storia di Francia (1833-1841), Michelet prese in esame il processo a Gilles de Rais. Con Michelet si inaugurava un approccio più storicistico e meno romanzato al procedimento, rispetto all'epoca precedente. Egli aveva una conoscenza approfondita della storia del ducato bretone, delle sue dinamiche politiche interne e delle sue relazioni con il regno di Francia. Il suo merito più grande è proprio quello di aver analizzato i fattori non immediatamente riconducibili al procedimento, e di considerarlo come un prodotto della situazione storica, politica e sociale dell'epoca. Egli riteneva Gilles de Rais una vittima della congiura ordita contro di lui da Jean de Maléstroit, Giovanni V e Carlo VII. Michelet infatti conosceva gli atti di vendita dei beni del barone in favore dei due sovrani e del vescovo. A suo avviso, sebbene non giudichi Gilles innocente né metta mai in dubbio la sua colpevolezza, egli non avrebbe mai subito un processo a suo carico se non avesse stipulato dei contratti con il re, il duca ed il vescovo. Per Michelet, la condanna del barone, primo esempio nella storia francese di nobiltà punita per aver compiuto dei reati contro il popolo, scaturiva dai recenti eventi politici. Egli, che tramite la sua opera intendeva difendere l'operato della Francia durante la guerra dei Cent'anni, riteneva che l'esecuzione del nobile fosse un sottoprodotto della battaglia di Azincourt e un segno della progressiva estromissione della nobiltà francese dalla vita politica e dalla difesa dello stato. In particolare Carlo, tramite il connestabile di Richemont, fratello di Giovanni V, colpiva la nobiltà

francese: “On fit des justices rapides; le connetable de Richemont […]

pendait, noyait sur tout son chemin. Son frère, le duc de Bretagne ne tarda pas à frapper son grand coup, de juger et brûler le Maréchal de Retz. Cette première justice sur un seigneur ne se fit qu'au nom de Dieu, et avec l'aide de l'Église. Mais elle n'en fut pas moins un avertissement pour la noblesse, qu'il n'y aurait plus d'impunité”104.

Il limite più grande dell'interpretazione di Michelet è che egli non conobbe gli atti del processo, ma si limitò a considerarlo in base alle opinioni della storiografia precedente.

L'opera dell'abate Eugène Bossard, del 1886, è stata il punto di partenza per la storiografia novecentesca. Egli ha infatti pubblicato i testi di entrambi i procedimenti contro Gilles de Rais, i documenti relativi agli atti di vendita dei beni del barone e alle spese da lui sostenute, la denuncia di René de la Souze contro il duca di Bretagna, ovvero il secondo Mémoire. A causa della censura, Bossard lasciò in bianco le parti delle testimonianze che riguardavano gli omicidi e gli abusi sessuali sui bambini. Bossard inaugurò inoltre un modo nuovo di analizzare l'affare Gilles de Rais: egli si schierò apertamente contro il barone, denunciando la sua piena colpevolezza. Invece gli storici posteriori a Bossard, pur debitori nei suoi confronti, si divisero tra sostenitori dell'innocenza o della colpevolezza del maresciallo, tentando di dimostrare le rispettive tesi.

Bossard nella sua opera Gilles de Rais Maréchal de France dit Barbe-blue

(1401-1440) ricostruì la vita di Gilles dall'infanzia fino ai giorni del

processo. L'abate voleva infatti indagare quali fossero le cause della depravazione del barone, e, facendo propria la visione naturalistica di fine

104 Jean Michelet, Histoire de France, 1-5, [Livres 1-5, 1-1461]. V. [1422-1461], L. Hachette , Paris, 1833-1841, pag. 222.

Ottocento, le indeviduò nell'educazione, nelle frequentazioni infantili, in altre parole nel milieu a cui Gilles apparteneva.

Il ritratto del maresciallo de Rais che l'abate Bossard ha fornito è abbastanza complesso e non privo di qualche piccola contraddizione. Nell'infanzia Gilles ricevette un'educazione molto raffinata, che, secondo l'abate, ne faceva uno degli uomini più colti del suo tempo. Grazie all'ingente patrimonio, da ragazzo si circondò degli artisti e dei dotti più conosciuti dell'epoca. Leggeva e parlava correntemente il latino e conosceva i classici, in particolare Svetonio. Secondo Bossard, proprio Le

vite dei dodici Cesari furono in parte causa della depravazione di Gilles,

della sua smisurata ambizione e della bramosia di sangue. L'abate paragona spesso Gilles a Nerone: entrambi uomini inizialmente virtuosi che ebbero un solo vizio, l'ambizione, che li portò alla rovina. Il maresciallo non divenne un efferato criminale in maniera improvvisa, ma la sua inclinazione naturale alla curiosità e le letture lo invogliavano a sperimentare sempre nuove cose.

Con la scomparsa del nonno Jean de Craon, che aveva esercitato sempre una forte coercizione sul giovane Gilles, e grazie al conseguente diritto di amministrare pienamente il patrimonio di famiglia, egli poté finalmente emanciparsi ed agire secondo il proprio capriccio. Bossard si servì ampiamente dei due Mémoires des héritiers per descrivere gli eccessi del maresciallo, soprattutto nel bere, che lo portavano ad agire in maniera sconsiderata, tanto da affidare la procura dei suoi affari a volgari profittatori, quali Briqueville e Sillé. La conoscenza di questi due, secondo l'abate, fece precipitare gli avvenimenti e coincise pressapoco con l'inizio degli omicidi. A detta sua, Gilles era più in intimità con i servitori che con la moglie e la figlia. Bossard sostiene esplicitamante che il barone aveva delle relazioni omosessuali con i servitori, insieme ai quali uccideva i bambini, al termine di qualche probabile orgia.

L'opera continua con l'analisi degli atti dei processi. Secondo l'abate, il processo a Gilles de Rais fu un contrappunto a quello contro Giovanna d'Arco: il primo fu condotto con calma e finalizzato alla verità, mentre quello contro la pulzella d'Orléan fu menzognero e funzionale alla vendetta. Confutando Michelet, Eugène Bossard affermò che non vi era alcuna prova del coinvolgimento del re di Francia e del duca di Bretagna nel processo al barone de Rais: essi inoltre non avevano nessun interesse alla condanna di un membro della nobiltà. In particolare re Carlo era fisicamente lontano dal luogo del processo e non vi ebbe alcun ruolo. L'inchiesta fu aperta su iniziativa esclusiva del vescovo, come provano le carte processuali. Secondo Bossard Maléstroit condusse le indagini in modo irreprensibile e presiedé il processo imparzialmente.

Vediamo adesso nel dettaglio alcune interpretazioni del procedimento elaborate da Bossard. Egli sostenne che il vescovo e la corte si comportarono correttamente rifiutando la richiesta di appello di Gilles, poiché volevano salvaguardare la memoria della vittime e agirono anche in nome delle famiglie che chiedevano giustizia. Il barone, a sua volta, cercò di ricorrere in appello e rifiutò di riconoscere alcuni degli articoli dell'atto di accusa per prendere tempo: in questo modo avrebbe potuto dilatare la durata del processo e avere la possibilità di corrompere i giudici. Entrambe le affermazioni di Bossard appaiono teoricamente plausibili, ma sono prive di fondamento documentario e quindi indimostrabili. Per quanto riguarda invece le deposizioni dei complici di Gilles, l'abate affermò che la loro totale coincidenza era prova di veridicità105.

Durante lo svolgimento del processo e in particolare dopo la confessione, il barone cambiò totalmente atteggiamento. Bossard, uomo di chiesa,

105 Ho già parlato della possibilità che tale corrispondenza di dettagli nei racconti dei servi e complici possa essere dovuta all'intervento attivo del verbalizzante del processo. Per i dettagli Vide Supra pagg. 50-51.

interpretò tale cambiamento come intervento della grazia divina. Da sanguinario pluriomicida, Gilles divenne apostolo, e morì da martire. Il racconto delle sue ultime ore è piuttosto romanzato e come tale privo di interesse storico, poiché frutto delle fantasie dell'autore.

L'opera, che ha tuttavia, a tratti, un indubbio valore storico, ha anche dichiarati intenti didascalici e moralizzanti: Gilles de Rais è in definitiva un

exemplum dei pericoli derivanti dalla smisurata ricchezza, del potere e della

curiosità intellettuale non tenuta a freno. La cupidigia e il desiderio di conoscere oltre il lecito, lo portarono alla perdizione, dalla quale si salvò in extremis in virtù della grazia divina.

L'ultima parte dell'opera è piuttosto interessante. In essa Bossard, come ho già detto, analizza le leggende e i racconti popolari che potrebbero aver dato origine al personaggio di Barbablù.

9.3 Il primo Novecento: Salomon Reinach e Ludovico Hernandez.

Nel 1921 vennero pubblicate due opere molto importanti nella tradizione storiografica su Gilles de Rais: Cultes, Mythes et Religions, di Reinach e Le

procès Inquisitorial de Gilles de Rais, dei due scrittori Fleuret e Perceau,

che dettero alle stampe il loro studio con lo pseudonimo Hernandez. Questi due lavori hanno come scopo dimostrare l'innocenza di Gilles de Rais e si configurano come contrappunto all'opera di Bossard.

Cultes, Mythes et Religions è uno studio vastissimo su alcuni grandi temi

relativi ai culti e alle religioni. L'affare Gilles de Rais occupa solamente una piccola parte dell'opera e si inserisce nel capitolo dedicato all'inquisizione. Infatti accanto a questo procedimento Reinach analizza quello contro i Templari e quello a carico di Giovanna d'Arco.

Secondo Reinach, Gilles de Rais non si sarebbe mai macchiato dell'omicidio plurimo di bambini, ma tali accuse sarebbero scaturite da una

congiura ordita contro di lui da Giovanni V e dal suo Cancelliere e Vescovo Jean de Maléstroit. Il duca avrebbe desiderato che il barone morisse sul patibolo per acquisire a titolo definitivo i beni che egli gli aveva venduto. Il vescovo invece avrebbe avuto in odio il barone da molti anni, e con il processo si sarebbe vendicato di lui. Infatti nel 1426 Maléstroit, alleato degli inglesi, sarebbe stato la causa della disfatta di Saint-Jean-de-Beuvron, in cui le armate di Gilles furono costrette a ritirarsi. Il connestabile di Richemont avrebbe fatto arrestare Maléstroit, che avrebbe a fatica e a caro prezzo riconquistato la libertà. Sempre secondo Reinach, da quel giorno egli divenne nemico capitale del maresciallo, comandante delle truppe del connestabile106.

L'analisi del procedimento condotta da Reinach appare alquanto faziosa. Egli vuole dimostrare gli errori ed orrori nella storia del tribunale dell'inquisizione e si serve del processo a Gilles de Rais per sostenere la propria tesi, mettendolo sullo stesso piano di quello contro i templari e di quello a carico di Giovanna d'Arco. Egli afferma che le voci popolari sugli omicidi di bambini perpetrati dal barone furono prima diffuse, poi alimentate dal vescovo, durante le visite pastorali. Sappiamo invece che tali voci esistevano ben prima dell'inizio dell'inchiesta da parte di Maléstroit, e che questa, così come le visite pastorali, furono una loro conseguenza. Prima dell'apertura del processo, il vescovo inviò delle lettere ai suoi funzionari e allo stesso Gilles nelle quali lo si invitava a presentarsi in tribunale per il giorno prestabilito, a causa delle accuse “fortifiées par les

106 Questo punto è piuttosto controverso. Innanzi tutto perché non sappiamo quale fonte Reinach abbia utilizzato per affermare che Gilles combatté la battaglia di Saint-Jean-de- Beuvron, dato che non appare da nessun'altra parte, come anche George Bataille ha rilevato. Inoltre non abbiamo motivo per affermare che Maléstroit meditasse vendetta nei confronti di Gilles per un avvenimento di così vecchia data.

dépositions de témoins et d'hommes sûrs”107. Secondo Reinach tali testimoni erano dei servi e degli uomini di Gilles convinti dal vescovo a testimoniare segretamente contro il proprio padrone. Tuttavia, la lettera continua citando i testimoni, la loro provenienza e il contenuto delle loro denunce. Sembrerebbe che Reinach non abbia letto per intero gli atti del processo, o che abbia volutamente omesso alcuni dettagli importanti. Secondo lui, l'accusa di eresia mossa al barone era un pretesto affinché egli fosse privato della difesa di un avvocato. Sappiamo invece che, nelle cause per eresia, l'imputato aveva la facoltà di scegliere se essere difeso da un avvocato d'ufficio o difendersi da solo. Dagli atti non risulta che Gilles abbia chiesto un avvocato per sostenere la propria difesa.

Reinach insiste più volte sul fatto che nella lista dei 49 capi d'accusa contro il barone, letta il giorno 8 ottobre, vi siano dettagli che potevano essere noti solamente attraverso le deposizioni di testimoni oculari. Essi, e cioè Griard e Poitou, deposero solo in una data successiva alla lettura dei capi d'accusa, ovvero il 13 ottobre. Lo storico ne deduce che essi avessero un copione da recitare, che ricalcava i capi di imputazione. A mio avviso l'interpretazione corretta di tale apparente discrepanza è da ricercarsi negli avvenimenti della realtà quotidiana nei feudi del barone. Egli era costantemente circondato da decine e decine di persone. I servitori, i paggi, uscivano e rientravano spesso nelle fortezze; con loro si propagavano le informazioni e le dicerie. In buona sostanza, nei piccoli villaggi adiacenti ai castelli si sapeva tutto di tutti. Le voci viaggiarono velocemente fino a Nantes, soprattutto perché riguardavano uno dei personaggi più in vista del momento e tra i più potenti della regione. Non mi sentirei neppure di escludere l'ipotesi che alcuni testimoni fossero stati interrogati preliminarmente in prigione, proprio per confermare la fondatezza delle voci, e per redigere un atto d'accusa più

sostanzioso e meno generico. D'altra parte, il promotore del processo aveva il diritto di reperire e di ascoltare i testimoni a carico.

Reinach paragona le confessioni e testimonianze di Gilles e dei servi a quelle estorte ai Templari: i cavalieri furono ingannati e obbligati a deporre il falso e anch'essi accusati di sodomia.

Probabilmente il punto più controverso dell'opera di Reinach riguarda il valore che egli attribuisce al mutato atteggiamento di Gilles nei confronti della corte e alla repentina conversione. Secondo lo storico sarebbero indizi inconfutabili dell'innocenza del barone. A mio avviso è difficile affermarne l'innocenza sulla base di tali elementi.

L'opera di Hernandez ha come scopo smantellare punto dopo punto lo studio dell'abate Bossard. Anche questa opera, al pari di quella di Reinach, appare in alcune parti troppo spiccatamente tesa a difendere l'innocenza di Gilles de Rais e poco obiettiva.

Sin dal titolo il lavoro si presenta come tendenzioso: Le procès Inquisitorial

de Gilles de Rais. Sappiamo infatti che il procedimento non fu

propriamente inquisitoriale, poiché il vicario dell'inquisitore fu chiamato come esperto a far parte della corte, senza ricoprire un ruolo attivo. Il processo canonico fu infatti presieduto dal Vescovo e l'interrogatorio condotto dal promotore. Hernandez, al pari di Reinach, sostenne la tesi del