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LA DIMENSIONE RELIGIOSA DEI RITUALI DI GIUSTIZIA

In questo capitolo tenterò di spiegare i motivi dell'esito del processo a Gilles de Rais; in particolare quali furono le cause che portarono all'annullamento della sentenza di scomunica e al reinserimento del condannato in seno alla comunità cristiana.

8.1 La morte del condannato: dannazione o perdono?

Per il cristiano, la vita dopo la morte era più importante della vita stessa. Nella società medievale, fortemente segnata dalla disparità economica e delle condizioni materiali, la resurrezione dopo la morte rappresentava per molti l'unica speranza di riscatto. Divennero così fondamentali i riti della confessione e della comunione in punto di morte. Ma l'ammissione ai sacramenti dei condannati a morte, senza la quale essi erano destinati all'eterna dannazione, poneva problemi complessi, tanto che, fin dal VII secolo, in alcuni trattati di diritto canonico vennero esaminati i casi in cui essa poteva essere concessa e quelli che la rendevano impossibile. Cristo stesso, sulla croce, aveva promesso la redenzione al buon ladrone pentito per i suoi peccati. Tuttavia, le autorità ecclesiastiche spesso preferivano negare il perdono ai condannati decretandone così una seconda morte. Un'inversione di tendenza si registrò dopo il Concilio Lateranense IV del 1215, che stabilì l'obbligo annuale di confessione dei peccati. Quella resa al giudice causava la condanna a morte, mentre quella compiuta con il sacerdote garantiva il perdono. Tale dinamica portò ad un forte contrasto tra potere temporale e spirituale, particolarmente intenso nella giurisdizione francese al tempo del processo. I giudici erano propensi a negare il sacramento della penitenza ai condannati a morte, in base ad una pratica di

cui non conosciamo le origini83. Clemente V chiese al re di Francia Carlo V di far cessare questa terribile usanza, che provocava la disperazione dei condannati per i peccati non confessati. Tuttavia l'appello del papa rimase inascoltato. Carlo V decise di adeguarsi agli altri stati europei solamente dopo l'intervento di Jean Gerson, cancelliere dell'università di Parigi. Egli aveva elaborato cinque argomenti relativi alla questione nella ben nota

Requête pour les condamnés à mort, composta tra la fine del 1396 e l'inizio

del 1397. In particolare, esaminava l'obbligo fatto ai cristiani di confessare i peccati mortali, sancito con il battesimo. I giudici e gli ecclesiastici che negavano la confessione compivano a loro volta un peccato mortale ed erano condannati alle pene infernali. L'appello di Gerson fu accolto: grazie all'editto reale del 12 febbraio 1397, i condannati a morte poterono essere assistiti nelle ultime ore da un confessore e pentirsi dei loro peccati davanti a Dio.

Ciononostante le autorità secolari francesi continuarono ad opporsi, giacché il perdono e la riammissione del condannato alla comunità dei fedeli erano percepiti come un annullamento della sentenza del tribunale laico. In Francia infatti vigeva l'usanza dell'ultima confessione pubblica, sul patibolo, che era considerata la prova regina. Tale pubblica ammissione di colpevolezza, definita nei trattati giuridici come Giuramento del reo84, significava il riconoscimento da parte del condannato dell'autorità che lo puniva. La lingua francese designava i due tipi di confessione con due termini: aveu quella resa pubblicamente sul patibolo, e confession il sacramento85. Questa consuetudine rese difficile il superamento

83 Adriano Prosperi, Morire volentieri: condannati a morte e sacramenti, in Misericordie, Conversioni sotto il patibolo tra Medioevo ed Età Moderna, Edizioni della Normale, Pisa, 2007, pag. 24.

84 Ibid. pag.30.

dell'esclusione anche dopo l'editto di Carlo V, perché il giuramento del reo sanciva la superiorità del potere temporale su quello spirituale. L'esclusione dai sacramenti negava però l'efficacia del ruolo della Chiesa come tramite tra Dio e l'uomo per il perdono dei peccati86. A causa di tale lotta per la supremazia tra Stato e Chiesa, il diritto del condannato ad un confessore che lo assolvesse dai peccati e lo comunicasse prima dell'esecuzione della condanna a morte stentava ad affermarsi, ma con il tempo venne riconosciuto.

Il problema del perdono dei condannati si acuiva nelle cause per eresia. Infatti la punizione maggiore per l'eretico consisteva proprio nella scomunica e nell'esclusione dai sacramenti, e perché essa fosse efficace come deterrente verso l'eresia, il colpevole non doveva essere reincorporato nella comunità dei fedeli. Tuttavia, tale esclusione era contraria ai principi stessi del cristianesimo, che poneva il perdono al centro della vita religiosa. In generale gli inquisitori superarono questa impasse promettendo ai pentiti e ai relapsi la salvezza nell'aldilà se avessero confessato i propri peccati, nonché un'attenuazione della pena, che consisteva spesso in una morte più immediata e meno atroce87. Talvolta agli eretici era consentito di confessarsi e comunicarsi, ma solo in alcuni casi e non ovunque in Europa. Infatti tale pratica, benché raccomandata in Italia da una bolla Alessandro IV confluita nel Liber Sextus delle Decretali nel 1215, non sempre era messa in atto88, dato che alcuni inquisitori erano riluttanti a reincorporare gli eretici in seno alla Chiesa.

cristiana. XIV-XVIII secolo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2013, pag. 63. 86 Ibid. pag. 54.

87 Adriano Prosperi, Morire volentieri, cit. pag. 37. 88 Ibid. pag. 37.

Alla luce di queste premesse, appare chiaro perché il tribunale ecclesiastico che giudicò Gilles de Rais dimostrasse particolare interesse a stabilire il tipo di delitto contro la fede cristiana che il barone aveva commesso. Come già detto, per quanto riguardava le uccisioni dei bambini non si ponevano problemi grazie alle testimonianze oculari ed alla confessione di Gilles, ed inoltre esse dovevano essere giudicate dal tribunale civile. La questione complessa riguardava invece le invocazioni demoniache, la sodomia ed in particolare le eventuali implicazioni ereticali dei due reati. Infatti solo l'eresia riduceva le possibilità di perdono da parte della Chiesa e della comunità cristiana.

Durante il processo Gilles de Rais fu scomunicato due volte e due volte perdonato e riammesso alla Chiesa. Vediamo adesso i motivi delle scomuniche e sopratutto del perdono.

La prima scomunica fu comminata in apertura del processo canonico. Il promotore di esso espose al barone i principali capi di accusa, ai quali egli reagì con violenza, offendendo la corte. Gilles rifiutò di riconoscere i membri del tribunale e dichiarò di appellarsi al re. Tuttavia, il giuramento da lui già prestato impediva quell'appello, che implicava la ricusazione del tribunale giudicante. Ai reiterati rifiuti del maresciallo di deporre, la corte rispose con la scomunica: occorre precisare che questa era motivata, oltre che dalle offese alla corte, anche dai delitti commessi, ovvero gli omicidi, le invocazioni, la sodomia e la violazione dell'immunità ecclesiastica. Il promotore si riservava altresì il diritto di “corriger, ajouter, changer,

diminuer, interpréter, et en mieux réformer”89

il tenore dei capi di accusa

alla luce dell'andamento del processo e della collaborazione dell'imputato, anche se ciò non veniva dichiarato esplicitamente. A mio avviso, questa

89 Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais (Barbe-Bleue) cit. Bibliothèque des Curiex, Paris, 1921, pag. 35.

prima scomunica ebbe carattere preventivo, in quanto il processo doveva ancora avere luogo, e costituiva più una minaccia che una punizione vera e propria. Il 15 ottobre infatti, giorno della prima seduta ufficiale, Gilles chiese perdono, e : “Lequel Seigneure Evêque de Nantes et Vicaire de

l'Inquisiteur susdit, audit Gilles concédèrent pardon desdites injures et lui remirent en l'honneur de Dieu.”90. In pratica le accuse precedentemente

addotte come cause della scomunica -gli infanticidi, le invocazioni demoniache, la violazione dell'immunità ecclesiastica e la sodomia- non furono più ritenute sufficienti a motivarla poiché ancora non dimostrate: in realtà Gilles era stato scomunicato esclusivamente per le offese rivolte ai giudici. La scomunica fu dunque un'arma efficace nelle mani del tribunale vescovile, poiché fu forse il timore per l'esito del processo a spingere il Barone a rivedere il suo atteggiamento nei confronti dei suoi membri. Ciò non esclude che la conversione di Gilles, anche se repentina, non fosse sincera. Probabilmente però, e forse senza consapevolezza da parte dei giudici, il perdono per essi fu un'arma ancora più decisiva, dato che dimostrava la loro benevolenza, la loro disponibilità a riammettere alla Chiesa il colpevole pentito, e la volontà di ricercare la verità: più che le minacce, dovette dunque essere il perdono a ben disporre l'animo di Gilles de Rais verso la corte.

Prendiamo adesso in esame la seconda scomunica, effetto della sentenza del tribunale vescovile. Anche in questo caso, alla richiesta di grazia del barone, essa fu annullata: “et fut ledit Gilles, accusé, absout par écrit et

dans les formes accoutumées de l'Église de ladite sentence d'excommunication lancée par l'Évêque de Nantes, restitué à l'unité de

l'Église, et déclaré partecipant aux sacrements des fidèles chrétiens”91. Nel

90 Ibid. pag. 37. 91 Ibid. pag. 65.

capitolo precedente ho valutato quali potessero essere le possibili attenuanti che portarono alla revoca della scomunica. Gilles de Rais era stato condannato come eretico e, lo si è visto, era proprio a questo tipo di colpevoli che generalmente si negava il perdono. Rifiutare ad un condannato la possibilità di confessarsi e di comunicarsi, come la dichiarazione di eresia avrebbe implicato, era un modo di accrescere il peso della condanna a morte, attuato nell'intento di sancire l'unione tra potere spirituale e temporale. Ma l'eresia di Gilles de Rais per molti aspetti non era grave, e di certo egli non aveva compiuto apostasia come sostenuto dalla pubblica accusa in un primo momento. Il primo elemento a carico del barone, le invocazioni demoniache, appariva fragile: in realtà tali invocazioni erano state delle simulazioni di Prelati, e probabilmente anche la corte si rese conto della sua inattendibilità. Per quanto riguarda l'accusa di sodomia, essa, come si è visto, in base alla consuetudine implicava l'eresia, in quanto reato contro natura. Ciononostante, ai fini della definizione di un'eresia vera e propria, mancava la negazione di qualsiasi dogma cristiano. Infatti l'eresia non era che un'“etichetta” attribuita in genere a questo tipo di reati: il tribunale vescovile sembrò esserne consapevole, e probabilmente per questo motivo non esitò ad annullare la scomunica a Gilles de Rais: la condanna a morte dovette apparirgli una punizione più che sufficiente. Inoltre la Chiesa puntava a reincorporare i colpevoli all'interno della comunità dei fedeli, qualora le circostanze lo consentissero: era il perdono, più che il timore delle punizioni, ad accrescere il credito della Chiesa e dei suoi membri.

8.2 Le ultime ore di Gilles de Rais: il ruolo del confessore

Gilles de Rais depose per l'ultima volta davanti al tribunale vescovile il giorno 22 ottobre. Egli probabilmente prevedeva la condanna a morte, tanto che le sue parole rivelano una certa rassegnazione. Si rivolse agli uomini

presenti al processo e chiese loro perdono per i delitti commessi; disse ai padri di famiglia di vegliare sui propri figli; domandò ai presenti e agli assenti di pregare per la salvezza della sua anima. La sentenza del tribunale vescovile fu letta il giorno 25 ottobre e ad essa seguì la condanna a morte da parte del tribunale civile. Non sappiamo cosa accadde tra il 22 e il 25 ottobre perché non abbiamo un resoconto di quei giorni; siamo tuttavia in possesso della narrazione dell'esecuzione del barone, compiuta da un anonimo che vi assisté92. Possiamo soltanto ipotizzare che Gilles sia stato ricondotto in prigione. Difficilmente i detenuti, sopratutto quelli che erano in carcere per i reati contro la fede, trascorrevano tutto il tempo in completa solitudine. Prima in Italia, ma nel XV secolo anche nel resto di Europa93, erano sorte le cosiddette Confraternite di Misericordia, costituite da laici che confortavano e assistevano i detenuti e talvolta si occupavano della loro sepoltura. Tuttavia, per quanto riguarda la Francia, le Confraternite vennero istituite tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo94, per cui probabilmente Gilles de Rais non venne assistito da persone laiche preposte dalle autorità religiose a tale mansione, e anche negli atti che sono pervenuti non vi è traccia di laici che lo abbiano sostenuto spiritualmente in carcere prima della confessione, né dopo. Quando il giorno 25 gli fu comminata la scomunica, subito dopo annullata, egli chiese di potersi confessare. L'esecuzione fu fissata per il giorno seguente, all'una del pomeriggio. Il tribunale vescovile designò padre Jean Juvénal, dell'ordine dei Carmelitani di Ploërmel, quale confessore del maresciallo. Non sappiamo neppure se gli fu consentita l'eucarestia, ma dato che la scomunica era stata revocata, probabilmente non sussistevano motivi per negargliela. Appare probabile che il confessore abbia assistito Gilles de Rais dalla notifica della sentenza

92 Vide supra pagg. 55-56.

93 Adriano Prosperi, Morire volentieri, cit. pag. 43. 94 Adriano Prosperi, Delitto e Perdono, cit. pag. 446.

fino alle ultime ore prima dell'esecuzione.

Rispetto alla figura che traspare dagli atti delle prime sedute del processo, il maresciallo, dopo la confessione di colpevolezza, sembra un uomo totalmente diverso. Inizialmente irascibile, blasfemo, talvolta persino violento, affrontò invece la morte con grande serenità, secondo quanto risulta dalla narrazione di un testimone oculare dell'esecuzione. Solo un resoconto degli eventi extra-processuali consentirebbe di stabilire se questo mutato atteggiamento fu dovuto all'opera di convinzione del confessore oppure se avvenne in modo spontaneo. In ogni caso, le conversioni prima della morte erano piuttosto frequenti nel Medioevo, e venivano incoraggiate dalla Chiesa. Poiché al condannato non si poteva risparmiare la vita, anche per non suscitare tensioni tra potere civile e religioso, gli si offriva la salvezza nell'aldilà. Nel periodo medievale e nella prima Età Moderna non si discuteva la legittimità della condanna a morte. Anche secondo la Chiesa, in teoria più incline al perdono della giustizia secolare, la morte dell'eretico era necessaria affinché egli potesse espiare i suoi peccati: era il sovvertitore dell'ordine terreno e celeste e non poteva rimanere impunito. La fiducia nella beatitudine dopo la morte edificava in un certo senso una zona franca tra la giustizia civile, a cui incombeva la difesa rigorosa della società, e quella ecclesiastica, preoccupata per la sorte dell'anima. Una morte al di fuori della grazia di Dio condannava alla dannazione eterna e accresceva il peso della pena capitale. Questa dialettica potenziava il ruolo del confessore. Egli ascoltava i racconti dei condannati potendone così conoscere anche i pensieri più intimi, e induceva i condannati stessi a riferirli ai giudici. Infine persuadeva persino gli innocenti ad ammettere la propria colpevolezza, prospettando loro una morte da martiri e la

conseguente salvezza nell'aldilà95. Proprio grazie alla pena subita infatti, il condannato pagava il conto alla società cui aveva comunque recato danno, ed espiava ogni peccato agli occhi di Dio.

8.3 La riabilitazione del condannato a morte: l'esecuzione, i funerali e la memoria di Gilles de Rais.

Alla fine del processo Gilles de Rais rivolse alcune richieste alla corte civile, che furono soddisfatte perché rispecchiavano il suo processo di conversione. Chiese di essere giustiziato nello stesso giorno ed ora dei servitori, e in presenza di questi, per poter servire loro da esempio e affinché non pensassero che lui rimanesse impunito. Il maresciallo per di più si fece carico delle colpe di Henriet e Poitou, affermando di averli indotti lui all'omicidio. Domandò inoltre che i suoi resti venissero sepolti nella Chiesa di Nostra Signora del Carmen a Nantes e di poter essere accompagnato al patibolo da una processione di fedeli, invocanti il perdono di Dio per lui e per i suoi servi.

Dobbiamo inoltre sottolineare che tra la lettura della sentenza e il momento dell'esecuzione non trascorsero più di ventiquattro ore. Generalmente gli eretici rimanevano a lungo in carcere prima di essere giustiziati, specie quando la loro confessione appariva non spontanea o di dubbia sincerità. Per Gilles de Rais tale problema non si pose: aveva confessato spontaneamente e chiesto più volte perdono a Dio e agli uomini per i peccati commessi. L'accelerazione dei tempi dell'esecuzione fu anche un premio per la condotta dell'imputato e per la sua pronta conversione. Tuttavia la fretta con cui si cercò di chiudere la vicenda dimostra la volontà da parte del tribunale di evitare un grande scandalo.

La mattina dell'esecuzione della pena capitale, una grande folla partecipò

alla processione richiesta da Gilles de Rais, “Pour prier Dieu pour lesdiz

condamnez”96

. Nei pressi del patibolo, egli si rivolse ai servitori: chiese loro perdono per averli indotti al peccato, e li esortò a non disperare della misericordia di Dio, che perdonava anche i peccatori più nefasti, se realmente pentiti. Questa scena deve aver esercitato sull'anonimo relatore e, sulla folla presente, un forte impatto emotivo. Egli non trascrisse alla lettera il discorso del barone, ma certamente ne registrò buona parte; fu inoltre molto attento al comportamento dei tre condannati e ai loro gesti. Gilles de Rais si rivolse poi alla folla: pregò di perdonarlo e di intercedere per lui; si raccomandò ai Santi e si avviò per primo al patibolo. Anche questo gesto dovette suscitare l'ammirazione dei presenti. Tale ultimo discorso prima dell'esecuzione doveva rammentare alla folla la precedente usanza del

Giuramento del reo: essa in questo periodo doveva essere praticata ancora

in molte regioni o abbandonata da non molto tempo. Possiamo dunque interpretare il discorso del barone come un aveu: in questo caso la pratica medioevale di confessare pubblicamente prima della morte le proprie colpe conviveva insieme a quella moderna di confidare i peccati al confessore. Gilles de Rais venne impiccato e il suo cadavere fu arso. L'impiccagione prima del rogo era da considerarsi come un alleggerimento di pena, un atto di clemenza del tribunale nei confronti del colpevole. I resti di Gilles de Rais furono inumati presso Nostra Signora del Carmen, dove erano seppelliti i duchi e i nobili di Bretagna. Voglio ricordare a tale proposito che la Francia del XV secolo costituiva un'eccezione rispetto al resto dell'Europa cattolica, dove, fin dall'istituzione delle prime confraternite di misericordia, il corpo del giustiziato, o i suoi resti, era inumato in terra consacrata proprio grazie alla premura dei loro membri. In Francia invece,

96 L'exécution du Sire de Rays, Poitou et Henriet, ses serviteurs, le 26 jour du mois d'octobre 1440, in Ludovico Hernandez, Le Procès Inquisitorial de Gilles de Rais, cit. pag. 194.

generalmente, ai condannati a morte veniva rifiutata la sepoltura in terra consacrata97 e i corpi rimanevano esposti per molto tempo. Tuttavia, i nobili spesso erano esentati da questo ulteriore supplizio: ciò che apparentemente poteva sembrare un atto di favoritismo compiuto dalla corte nei confronti del barone, in realtà rientrava nella prassi; Gilles fu inumato presso Nostra Signora del Carmen poiché gli spettava di diritto, secondo la consuetudine. Da vile assassino di bambini ed eretico, il barone divenne un campione di fede ed un esempio dell'efficacia della grazia divina, quasi un martire. Almeno per un paio di generazioni la sua memoria rimase intatta, come dimostrano le vicende degli eredi del suo casato98. Tuttavia la storiografia e la tradizione letteraria ci hanno tramandato un personaggio oscuro, in cui si confondono realtà e leggenda.

97 Adriano Prosperi, Delitto e Perdono, cit. pag. 445. 98 Vide supra Capitolo 5, pag. 60 e segg.

CAPITOLO 9

DA MARESCIALLO DI FRANCIA A BARBABLÙ: LE