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Il contributo dell'analisi multicriteri spaziale nella gestione sostenibile della rete di rifugi del CAI. Il caso della Provincia di Sondrio

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Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e

il Territorio

IL CONTRIBUTO DELL’ANALISI MULTICRITERI

SPAZIALE NELLA GESTIONE SOSTENIBILE

DELLA RETE DI RIFUGI DEL CAI

Il Caso della Provincia di Sondrio

Tesi di laurea di Mila Gandino (819125)

Relatore: Prof. Renato Vismara

Correlatori: Prof.ssa Alessandra Oppio

Prof.ssa Marta Bottero

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«Abbi massimo rispetto per questo luogo e per tutto ciò che quassù trovi; se tu non l'hai portato con fatica, qualcun altro l'ha fatto. Se tu essere vivente non credi in un essere supremo, guardati attorno e pensa se tu saresti in grado di fare tutto ciò che il tuo occhio vede. Amami ed io non ti tradirò. Sii coraggioso e mi vincerai.»

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Indice

Indice ... 5

Indice delle figure ... 9

Indice delle tabelle ... 11

Indice degli allegati ... 12

Abstract ... 13

Ringraziamenti ... 15

Introduzione ... 17

Parte I

– INQUADRAMENTO ... 19

Capitolo 1 - Le Alpi e l’ambiente montano ... 21

1.1 Le Alpi ... 22

1.2 Ambiente alpino: peculiarità e fragilità ... 23

1.3 Frequentazione delle territorio alpino ... 25

1.3.1 Turismo alpino sostenibile ... 26

1.3.2 Buone e cattive pratiche di turismo alpino ... 27

1.4. Organismi per la salvaguardia delle Alpi ... 29

1.4.1 Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA) ... 29

1.4.2 La Convenzione delle Alpi ... 29

Capitolo 2 – Ricettività in quota: i rifugi alpini ... 33

2.1 Storia dell’alpinismo e dei rifugi ... 33

2.2 Nuove sfide per i rifugi alpini ... 40

2.3 Rifugi e impatti ambientali ... 43

2.3.1 Approvvigionamento di materie prime ... 44

2.3.2 Approvvigionamento di energia ... 45

2.3.3 Approvvigionamento di acqua ... 45

2.3.4 Smaltimento dei rifiuti ... 46

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6

2.3.6 Sistemi di gestione ambientale ... 47

2.3.7 Nuove tecnologie e sperimentazioni ... 48

Capitolo 3 – Il Club Alpino Italiano... 51

3.1 Struttura e organizzazione ... 53

3.1.1 Struttura centrale ... 54

3.1.2 Struttura territoriale ... 56

3.2 La tutela dell’ambiente montano e il Bidecalogo ... 57

3.3 Le strutture ricettive del CAI ... 59

3.3.1 Finanziamenti ai rifugi: il Fondo stabile pro rifugi ... 64

3.4 Problemi e opportunità di sviluppo all’interno del CAI... 65

Parte II - METODOLOGIA ... 69

Capitolo 4 – Analisi multicriteri ... 71

4.1 Elementi dell’analisi e metodologia ... 73

4.1.1 Classificazione dei modelli multicriteri e approcci metodologici ... 73

4.2 Struttura di un’analisi multicriteri ... 76

4.2.1 Strutturazione del problema e della rete decisionale ... 76

4.2.2 Acquisizione e processing dei dati ... 77

4.2.3 Normalizzazione ... 78

4.2.4 Assegnazione dei pesi ... 81

4.2.5 Aggregazione e calcolo degli ordinamenti ... 83

4.2.6 Analisi di sensitività ... 83

4.2.7 Visualizzazione dei risultati ... 84

4.3 Definizione delle funzioni valore ... 84

4.3.1 Tecniche di valutazione decomposed scaling ... 85

4.3.2 Metodi di aggregazione: il modello lineare additivo ... 88

Capitolo 5 – Sistemi Informativi Geografici (GIS) ... 89

5.1 Struttura e informazione di un GIS ... 90

5.1.1 Scale di misura ... 92

5.1.2 Acquisizione dei dati ... 93

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7

5.2 Software GIS ... 95

5.3 Nuove frontiere dei GIS ... 96

Capitolo 6 – Multicriteria Spatial Decision Support Systems (MC-SDSS) ... 99

6.1 Struttura di un MC-SDSS ... 100

6.1.1 Acquisizione, processing e normalizzazione dei dati ...101

6.1.2 Aggregazione e calcolo degli ordinamenti...102

6.2 Livelli di integrazione tra AMC e GIS ... 104

6.3 Applicazioni presenti e future ... 105

Parte III

– CASO DI STUDIO ... 107

Capitolo 7 – Allocazione efficiente delle risorse economiche ai rifugi del Club Alpino Italiano in provincia di Sondrio ... 109

7.1 Obiettivo del caso di studio ... 109

7.2 Analisi della letteratura ... 111

7.3 Inquadramento territoriale dell’area di studio ... 112

7.4 Strutturazione del problema ... 117

7.4.1 Analisi territoriale ...120

7.4.2 Analisi delle strutture ...137

7.5 Analisi e sensitività dei risultati ... 147

7.5.1 Risultati sul territorio ...147

7.5.2 Risultati sulle strutture ...149

7.5.3 Risultati globali ...153

Conclusione ... 155

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9

Indice delle figure

Figura 2.1. A sinistra, l’hotel di Charles Blair a Montenvers, il primo rifugio-ricovero sulle Alpi, veduta di Carl Hackert, 1781. A destra, rifugio ai Grands Mulets del Monte Bianco, veduta di Isidore-Lurent Delroy, 1853………34 Figura 2.2. Bivacco Hess al Col d’Estellette sul Monte Bianco (2958 m), il primo bivacco fisso……….37 Figura 2.3. Capanna Regina Margherita sulla Punta Gnifetti, Monte Rosa (4559 m)…….39 Figura 2.4. Principali attività in un rifugio e loro impatti sull’ambiente. (Fonte: rielaborazione da ‘Manuale tipo per la realizzazione di un SGA nei rifugi di montagna’)……….44 Figura 2.5. Rifugio Monte Rosa Hütte (2883). (Fonte: Club Alpino Svizzero, Sezione Monte Rosa)………...49 Figura 3.1. A sinistra il primo rifugio costruito dal CAI, il ricovero dell’Alpetto al Monviso (2268 m). A destra il nuovo rifugio Marco e Rosa nel gruppo del Bernina (3609 m), esempio di rifugio a basso impatto ambientale………60 Figura 3.2. Diverse tipologie di strutture ricettive del Club Alpino Italiano. (a) Rifugio Biella sulle Alpi Dolomitiche. (b) Bivacco Rossi Volante sulle Alpi Pennine, (c) Punto di appoggio Bailone sulle Prealpi venete…..………...61 Figura 3.3. Diverse tipologie di strutture ricettive del Club Alpino Italiano in base alla categoria. (a) Rifugio Berni cat. A. (b) Rifugio Guide d’Ayas cat. E….……….62 Figura 4.1. Struttura di un’analisi multicriteri……..………..76

Figura 4.2. Alcune tipiche funzioni valore. (Fonte: Beinat, 1997)………..……80 Figura 4.3. Differenza tra direct value rating e direct score rating. (Fonte: rielaborazione da Beinat, 1997)……….………86 Figura 5.1. Strati informativi all’interno di un GIS e rappresentazione della realtà (Fonte: ESRI, 2015)……….91 Figura 5.2. Mappa in formato vettoriale (sopra) e raster (sotto)………92 Figura 5.3. Struttura di un Web GIS e nuove forme di condivisione di dati spaziali (Fonte: ESRI, 2015)……….97 Figura 6.1. Fasi di un problema AMC – GIS. (Fonte: rielaborazione da Ferretti, 2012)….101 Figura 6.2. Dimensione spaziale dei criteri in un problema AMC – GIS. (Fonte: rielaborazione da Ferretti, 2012)……….102 Figura 6.3. Diversi percorsi di aggregazione spaziale e per criteri. (Fonte: rielaborazione da Ferretti, 2012)……….103

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Figura 7.1. La provincia di Sondrio. (Fonte: Wikipedia)………114

Figura 7.2. Distribuzione dei rifugi alpini nella Provincia di Sondrio………..115

Figura 7.3. I 22 rifugi CAI in provincia di Sondrio oggetto dell’analisi……….118

Figura 7.4. Passaggi metodologici seguiti nel caso di studio……….119

Figura 7.5. Schema decisionale gerarchico (analisi territoriale)……...………..121

Figura 7.6. Mappa di valore del territorio, risultante da aggregazione delle mappe dei singoli criteri………..137

Figura 7.7. Funzioni di preferenza disponibili in PROMETHEE………..141

Figura 7.8. Interfaccia di lavoro e inserimento dati del software Visual PROMETHEE……143

Figura 7.9. Le carte utilizzate nell’applicazione della metodologia SRF………...144

Figura 7.10. Esperimento di ordinamento per uno degli attori coinvolti (dott.ssa Tovaglieri)………145

Figura 7.11. Output del software SRF con pesi relativi all’ordinamento di un attore coinvolto (dott.ssa Tovaglieri)………...145

Figura 7.12. Ordinamento globale delle strutture……….146

Figura 7.13. Valori dei singoli attributi per tre rifugi, con punteggio globale rispettivamente alto, medio e basso………...148

Figura 7.14. Ordinamento globale e pesi medi………150

Figura 7.15. Ordinamenti parziali delle strutture………..150

Figura 7.16. Intervalli di stabilità delle alternative………..….151

Figura 7.17. Criteri a favore e sfavore delle relazioni di preferenza………..152

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Indice delle tabelle

Tabella 4.1. Matrice E degli effetti, per tre generiche alternative e tre criteri……….78

Tabella 4.2. Scala di Saaty. (Fonte: rielaborazione da Saaty, 1980)………82

Tabella 7.1. Rifugi CAI in provincia di Sondrio………..117

Tabella 7.2. Assegnazione dei pesi ai criteri relativi al territorio………..136

Tabella 7.3. Criteri utilizzati nella valutazione delle strutture………...139

Tabella 7.4. Funzioni di preferenza adottate per ciascun criterio……….142

Tabella 7.5. Pesi assegnati dai diversi esperti ai criteri strutturali…....………..146

Tabella 7.6. Potenzialità territoriale di ciascun rifugio………..147

Tabella 7.7. Potenzialità territoriale mediata sui dintorni (cerchio di raggio 250 m)…….149

Tabella 7.8. Ordinamenti totali ottenuti tramite aggregazione lineare dei criteri territoriale e strutturale………...154

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Indice degli allegati

Allegato 1 – QUESTIONARIO PER LA DETERMINAZIONE DEI PESI – Analytic Hierarchy Process………..159 Allegato 2 – I RIFUGI CAI IN PROVINCIA DI SONDRIO OGGETTO DELLO STUDIO……..163

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Abstract [IT]

Le Alpi sono oggetto di frequentazione turistica e ricreativa da ormai più di due secoli; è però solo negli ultimi 50 anni che l’impatto dell’attività turistica è andato crescendo a dismisura e rischia di provocare danni irreversibili sui fragili ecosistemi montani. Un particolare tipo di turismo praticato sulle Alpi è quello escursionistico e alpinistico, per il quale si contano numerose strutture ricettive in alta quota. A causa delle crescenti richieste da parte dei molteplici e sempre diversi frequentatori, anche i rifugi rischiano di provocare forti impatti ambientali e di condurre a pratiche di turismo insostenibili. A questo scopo si rende necessario pianificare ottimi sistemi di gestione e di controllo della rete ricettiva in alta quota, perseguendo obiettivi di fruizione responsabile e sostenibile del territorio.

Il presente caso di studio prende avvio dalla necessità del Club Alpino Italiano di allocare in modo efficiente risorse economiche per interventi di adeguamento e ammodernamento delle strutture ricettive in quota, per allinearsi ai propri obiettivi cardine di frequentazione sostenibile e protezione del territorio alpino. Si è quindi realizzato un sistema di supporto alla decisione multicriteri spaziale (MC-SDSS) per una prima area di studio, la provincia di Sondrio, con l’obiettivo iniziale di individuare criteri più efficaci per l’assegnazione dei fondi. Il MC-SDSS ha permesso di considerare sia aspetti relativi al territorio, valutando le aree a più alta attrattiva turistica, ambientale e culturale, sia aspetti relativi alle singole strutture, ad esempio lo stato di conservazione o i sistemi di gestione ambientale implementati. La costruzione del MC-SDSS ha tentato inoltre di fornire al CAI un quadro completo sulla rete ricettiva, ancora mancante, per comprendere più facilmente potenzialità e criticità del proprio patrimonio.

Abstract [EN]

The Alps have been chosen as a touristic destination for more than two centuries; however only in the last 50 years the touristic impact has raised so much that it could cause very serious and irreversible damages to the fragile mountain environment. There are different types of tourism, one is centred on hiking and exploring the mountains; this kind of touristic activity also needs spaces and constructions, such as huts, dedicated to it. Unfortunately these structures, due to the increasing needs every person has, may as well have an important environmental impact, leading to not sustainable tourism practices. Therefore, it is

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necessary to plan appropriate systems to manage and control all the structures in order to correctly and responsibly use the territory.

This study case was carried out due to the needing of the Italian Alpine Club to efficiently allocate economic resources to make the huts and other structures adequate and modern enough to persuade sustainability and protection of the mountains territory. A Multicriteria Spatial Decision Support System (MC-SDSS) has been built for a first restricted area, which is the Sondrio province in the North of Italy, in order to find out the best criteria to allocate the funds. Thanks to the MC-SDSS it is possible to consider both aspects related to the territory, evaluating the different areas on a cultural, touristic and environmental basis, and aspects related to every specific structure, regarding for example the conservation and the different environmental systems used. The MC-SDSS has also given the possibility for the Alpine Club to have a whole picture of the different structures and to understand properly the potential and the defeats of its heritage.

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Ringraziamenti

Ringrazio le professoresse Alessandra Oppio e Marta Bottero, per la guida durante questi mesi di attenta ricerca e sviluppo del progetto. All’interno del Politecnico un ringraziamento va anche al dottor Fabio Manfredini, per i consigli fornitemi nella fase di ricerca dei dati spaziali, al professor Renato Vismara e alla professoressa Ilaria Mariotti.

Ringrazio all’interno del Club Alpino Italiano l’architetto Oscar Del Barba e la dottoressa Elena Tovaglieri, per l’attenzione e l’interesse dedicato al mio progetto, per gli utili spunti e suggerimenti sull’impostazione del lavoro e per la visione d’insieme che hanno saputo darmi sul Sodalizio e sulla gestione dei rifugi.

Un ringraziamento poi all’architetto Samuele Manzotti e a Roberto Gandolfi, per il tempo dedicato a chiarire le problematiche del CAI e per aver fornito le proprie preferenze nei miei esperimenti di scelta.

Ringrazio anche il vice-presidente della sezione Chiavenna, gli ispettori dei rifugi Marco e Rosa, Marinelli e Federico e il gestore del rifugio Quinto Alpini per avermi fornito tempestivamente i dati necessari al proseguimento del progetto.

Ringrazio, infine, la mia famiglia, i miei cari e i miei colleghi ingegneri ambientali. Grazie per avermi supportato e sopportato in questi cinque lunghi anni. Senza di voi

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Introduzione

Secondo la definizione del rapporto Bruntland (1987), per sviluppo sostenibile si intende un tipo di sviluppo che permette “il soddisfacimento dei bisogni della

generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. La sostenibilità di un sistema si basa su tre pilastri

fondamentali e inscindibili tra loro: la sostenibilità ambientale, intesa come capacità di mantenere la qualità e la riproducibilità delle risorse naturali, la sostenibilità economica, cioè la capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione, e la sostenibilità sociale, intesa come la capacità di garantire alla popolazione condizioni di benessere equamente distribuite.

La necessità di valutare qualsiasi attività umana dal punto di vista della sostenibilità non è più solo un marchio di qualità, ma è diventato negli ultimi decenni ineludibile per sostenere qualsiasi processo decisionale. Un processo decisionale o decision-

making prende avvio dal desiderio di trasformare una situazione presente e insoddisfacente in una situazione futura più soddisfacente, valutando diverse alternative d’intervento, senza sapere a priori quale possa essere la migliore. Sono state sviluppate diverse tecniche che permettessero la valutazione della sostenibilità degli interventi, in ciascuna delle tre sfere cardine, e che sostenessero gli attuali processi decisionali. Questi riguardano sistemi complessi, caratterizzati da molteplici obiettivi, spesso in conflitto tra loro, da elevati livelli di incertezza e dalla presenza di numerose interrelazioni (Ferretti, 2012). I problemi che riguardano il territorio e la gestione delle risorse naturali, poi, sono caratterizzati dal coinvolgimento della componente spaziale, con attributi e vincoli che variano sul territorio. Per rispondere a tutte queste sfide è necessario progettare metodologie che consentano un approccio sistemico e non lineare e che siano in grado di integrare diverse tecniche e discipline.

Per quanto riguarda i problemi territoriali, tipicamente spaziali, un impulso favorevole proviene dall’integrazione delle funzionalità spaziali dei sistemi informativi geografici (GIS) con le capacità di supportare i processi decisionali tipiche dei sistemi di supporto alla decisione (DSS) e in particolare quelli basati su analisi multicriteri. I modelli chiamati Multicriteria Spatial Decision Support

Systems (MC-SDSS) consentono di integrare tutte le tre sfere della sostenibilità, offrendo un approccio olistico ai problemi e tenendo in considerazione l’importanza della collocazione degli attributi, in unione alla loro descrizione e quantificazione (Ferretti, 2012).

L’applicazione presentata prende avvio dalla necessità del Club Alpino Italiano, organizzazione no-profit che si occupa della promozione della frequentazione sostenibile del territorio montano in Italia, di gestire in modo più

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efficiente la propria rete di strutture ricettive in alta quota. Il CAI, infatti, necessita di nuove regole maggiormente soddisfacenti per la caratterizzazione delle strutture e per l’allocazione delle risorse finanziarie, con lo scopo di sostenere pratiche turistiche sostenibili, di far conoscere a tutti il patrimonio naturale delle Terre Alte e di adattarsi ai tempi che cambiano. Le strutture ricettive in alta quota sono oggetto di frequentazione turistica crescente e rinnovata rispetto alle prime pratiche escursionistiche per cui sono nate; se da una parte godono di ambienti incontaminati e panorami scenici, dall’altra il rischio di impattare sull’ambiente è ancora maggiore, proprio perché sono collocate in aree ad altissima fragilità. Il problema decisionale beneficia dell’utilizzo di un sistema di supporto alla decisione spaziale multicriteri, trattandosi di un problema decisionale complesso e caratterizzato da una forte componente spaziale. Lo strumento permette infatti di integrare aspetti puntuali relativi alle strutture stesse, in particolare l’accessibilità, lo stato di conservazione e i sistemi di gestione ambientale adottati, e aspetti spazialmente distribuiti, riguardanti le potenzialità del territorio circostante, dal punto di vista escursionistico, ambientale e storico-culturale.

La trattazione è divisa in tre parti; nella parte I è presentato l’inquadramento del contesto del problema, con particolare attenzione ai temi della fruizione del territorio alpino (cap. 1), della costruzione e del mantenimento delle strutture ricettive in quota (cap. 2) e dell’organizzazione e delle problematiche relative al Club Alpino Italiano (cap. 3). La parte II si concentra invece sulla metodologia utilizzata per implementare il sistema di supporto alla decisione, analizzando prima le analisi multicriteri (cap. 4) e i sistemi informativi geografici (cap. 5) e descrivendo poi una loro possibile integrazione, attraverso i Multicriteria Spatial Decision Support Systems (cap. 6). La parte III, infine, è interamente dedicata alla trattazione del caso di studio (cap. 7).

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Parte I

Inquadramento

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1

Le Alpi e l’ambiente montano

L’ambiente montano è da sempre fonte di richiamo e ispirazione per il genere umano, suscitando sentimenti di ammirazione, timore, desiderio di conquista e di arricchimento. Parte di questo fascino e timore è dovuto alla localizzazione, spesso remota e difficilmente accessibile, nonché a caratteristiche dell’ambiente e della natura ancora selvagge e pure, quali ottima qualità dell’aria, paesaggi ed ecosistemi unici e panorami scenici.

La superficie terrestre è ricoperta per circa il 24% da montagne, le quali raccolgono inoltre circa il 12% della popolazione mondiale (UNEP, 2007). Una caratteristica comune agli ambienti montani riguarda i rapidi cambiamenti di quota, di clima e di vegetazione, i quali permettono lo sviluppo di ecosistemi molto diversi tra loro. Ciononostante, risulta difficile definire globalmente con precisione cosa sia una montagna, a causa delle diverse configurazioni morfologiche, geologiche e climatiche, e ci si deve limitare a identificare zone caratterizzate da simile altitudine, pendenza e vegetazione.

L’ambiente montano, oltre a ospitare diverse varietà di ecosistemi, fornisce all’uomo importanti risorse e benefici, come cibo, legname e minerali; dalle montagne proviene circa l’80% delle riserve di acqua dolce e più della metà dell’energia idroelettrica prodotta globalmente (UNEP, 2007).

Negli ultimi decenni l’interesse per l’ambiente montano è andato crescendo e con esso il numero di viaggi organizzati sulle vette. Questo tuttavia, oltre a portare vantaggi economici per le popolazioni locali, pone un serio rischio per la tutela di aree già intrinsecamente fragili. A questo proposito, si vanno sviluppando strategie in grado di ridurre i potenziali impatti della frequentazione turistica ed escursionistica dell’ambiente montano. Le strategie di tutela si basano su una conoscenza sempre più approfondita delle problematiche e fragilità dell’ambiente

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22

montano e dei possibili impatti di un’eccessiva frequentazione, per ottenere una gestione il più possibile consapevole ed efficace.

1.1.

Le Alpi

Con i suoi circa 1200 km di lunghezza, l’arco alpino rappresenta la principale catena montuosa europea. Attraversa 8 nazioni (Italia, Francia, Principato di Monaco, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria e Slovenia) e comprende le più alte vette del continente centrale.

Il nome deriva dal latino Alpes che può significare montagna o pietra, ma anche bianco, il colore che ne caratterizza il paesaggio. La cima più alta è il Monte Bianco, che svetta tra Italia e Francia con i suoi 4810 m, seguito dal Monte Rosa (4634 m) e dal Dom (4545 m).

In senso longitudinale, la catena montuosa presenta una fascia interna più possente, dove si concentrano le maggiori vette, e due fasce esterne (le Prealpi) con altezze minori, anche se spesso superiori ai 3000 m, e caratterizzate da rocce maggiormente erodibili. L’altitudine media all’interno dell’arco alpino è di circa 1300 m, ma si registra una diminuzione di quest’ultima da Ovest verso Est, dove si incontrano massicci più bassi.

La geologia delle Alpi è complessa; è inserita infatti tra i processi orogenetici che hanno portato alla formazione delle catene mediterranee più recenti. Essi sono il risultato della convergenza, avvenuta circa 100 milioni di anni fa, della zolla eurasiatica con quella africana e della subduzione della crosta oceanica interposta (Treccani, 2015). All'interno della catena si possono ritrovare porzioni del vecchio basamento cristallino, che costituisce il substrato dei depositi marini, affiorante in superficie.

Le Alpi contano circa 4250 ghiacciai, con una superficie di poco superiore a 2500 km2, distribuiti soprattutto sui versanti nord-occidentali. Nonostante le masse

glaciali alpine rappresentino attualmente solo lo 0.018% sul totale dei ghiacci mondiali, per queste si dispone delle più complete serie di misure di estensione ed evoluzione dell’intero globo terrestre. Allo stesso tempo, molti fiumi nascono dalle Alpi, tanto che è possibile definirle ‘vertice idrografico’ d’Europa. Tra di essi si trovano fiumi che sfociano nel Mediterraneo, come il Po e i suoi affluenti o il Rodano e suoi affluenti, fiumi che sfociano nel Mare del Nord come il Reno, e altri che sfociano nel Mar Nero, tributari del Danubio, come la Drava. La maggior parte ha portate mediamente alte, che ne consentono lo sfruttamento per la produzione di energia idroelettrica, per la navigazione e per la captazione a scopi irrigui.

Nel corso degli ultimi due secoli gli abitanti delle Alpi sono quasi triplicati, passando da 5.3 milioni nel 1800 a 14.3 milioni nel 2000 (di cui il 31% italiani, il 33% austro-tedeschi, il 17% francesi e il 14% svizzeri), con una densità demografica di circa 74 abitanti/km2(Treccani, 2015). L’insediamento umano sulle

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socioeconomiche locali: esso si concentra nelle zone pianeggianti di fondovalle, più vicine alle vie di comunicazioni e adatte per lo sviluppo di attività economiche, e tende ad annullarsi a quote pari a 1800-2000 m. A quote superiori si trovano abitazioni temporanee legate alle pratiche d’alpeggio e strutture ricettive per l’escursionismo montano, quali rifugi e bivacchi.

A partire dalla fine del XVIII secolo le Alpi subirono un forte spopolamento, causato da emigrazione verso la città e mancanza di ricambio generazionale; solo recentemente questo fenomeno ha visto un rallentamento, principalmente nelle zone caratterizzate da riconversione economica, produzioni particolari o consistenti flussi turistici.

Le principali risorse delle regioni alpine derivano dalla variabilità degli ambienti naturali, dall’alta disponibilità di acqua e dalle caratteristiche geologiche. Dalle montagne si sono estratti fin dall’antichità sale, ferro, piombo, zinco, rame e oro e lo sfruttamento idrico a scopi energetici rappresenta, dopo il turismo, la principale base economica della regione alpina (Treccani, 2015). Ad oggi si contano oltre 300 laghi artificiali, per una capacità di circa 10.4 miliardi di m3 e una potenza

installata pari a 39˙800 MW, sfruttata soprattutto in zone lontane dall’arco alpino, con ridotti benefici per i locali.

L’agricoltura è poco sviluppata a causa dei terreni impervi e improduttivi: il 25% del territorio è coltivato, mentre circa il 45% è occupato da prati, pascoli e boschi. Sono sviluppati l’allevamento bovino e l’industria lattiero-casearia; l’orticultura e l’arboricoltura (vite, mele, pere) sono diffuse solo nelle zone più favorevoli per condizioni climatiche e morfologiche.

La principale risorsa economica delle Alpi rimane comunque tutt’oggi il turismo, potendo contare su decine di località e centri di interesse, invernale ed estivo, sia tradizionali, come Chamonix, Zermatt, St.-Moritz, Garmisch, Bormio e Cortina d’Ampezzo, sia di nuova creazione come Les Deux Alpes, Avoriaz, Pila e molti altri (Treccani, 2015).

1.2.

Ambiente alpino: peculiarità e fragilità

Le Alpi presentano pendii molto ripidi, valli ampie e profonde e ospitano molte specie animali e vegetali; è difficile definire un unico ambiente alpino, data la grande variabilità per zone altimetriche e geografiche. Il clima e il paesaggio variano in funzione dell’altitudine, ma sono anche influenzati dall’esposizione al sole e dalle correnti: i versanti rivolti a sud, aperti ai venti tiepidi del Mediterraneo e più a lungo esposti al sole, hanno clima più dolce dei versanti settentrionali e orientali, dove i venti sono molto freddi e la neve resiste a lungo. Altro fattore che gioca un ruolo centrale nella conformazione del paesaggio alpino è l’intervento e l’insediamento umano; fin dalle epoche più remote l’uomo ha modificato il paesaggio per renderlo abitabile e per sfruttarne le risorse, creando combinazioni culturali e paesaggistiche diversissime, lungo tutto l’arco alpino.

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Dal punto di vista altimetrico, intorno ai 3000 m si trovano le nevi e i ghiacci perenni; qui la vita è difficile e solo muschi, licheni e alcuni arbusti attecchiscono. In questo ambiente trovano cibo e riparo uccelli come l’aquila e il gracchio alpino, e mammiferi come la marmotta, lo stambecco e, in estate, il camoscio.

Tra i 2000 e i 2500 m circa, le pendici dei monti sono spesso coperte da vaste distese erbose, dove vivono molti animali e le piante ad alto fusto sono rare. Queste zone sono spesso dedicate al pascolo: i pastori vi conducono le mandrie per l’estate, secondo l’antica pratica dell’alpeggio che, grazie alla presenza di erbe fresche, aria e acqua pure, consente la produzione di ottimo latte e formaggio. Scendendo ancora, tra i 1500 i 2000 m si estendono i boschi di conifere, formati in prevalenza da abeti, pini e larici. È l’habitat del capriolo, del cervo, della volpe e dello scoiattolo, mentre sempre più rara è la presenza dei predatori, come il lupo e l’orso. Le foreste di conifere forniscono risorse agli animali e all’uomo e sono inoltre preziose per l’equilibrio idrogeologico e biologico dei versanti.

Nella fascia montana in cui la temperatura è più mite, al di sotto dei 1500 m, si trovano le foreste di latifoglie, composte da una gran varietà di piante, come querce, faggi, carpini, aceri e castagni. Queste foreste sono densamente popolate di uccelli, rettili, farfalle e piccoli mammiferi che si nutrono dei semi e dei frutti degli alberi. Al di sotto dei 1500 m di altitudine si raggiunge il fondovalle, spesso densamente popolato e modificato dall’uomo. Il clima è più mite e il territorio meno aspro; le foreste lasciano il posto ai campi coltivati e ai centri urbani.

Le Alpi sono una delle ultime regioni con forti caratteristiche naturali rimaste in Europa e ospitano circa 30˙000 specie animali e 13˙000 specie vegetali, che testimoniano la grande ricchezza biologica presente (WWF, 2006). Le peculiarità dell’ambiente alpino richiedono tutela e protezione dagli impatti dello sviluppo umano. Non per niente, il primo parco nazionale, istituito nel 1922, tutela un’area alpina; si tratta del Parco Nazionale del Gran Paradiso, ex riserva di caccia dei Savoia, nato con lo scopo di tutelare lo stambecco in estinzione, ospita oggi su una superficie di circa 71 mila ettari quasi 1000 specie vegetali e 167 specie di vertebrati. Esso fu seguito, nel 1935, dal Parco Nazionale dello Stelvio, sorto allo scopo di tutelare la flora e la fauna del gruppo montuoso Ortles-Cevedale, nonché per promuovere lo sviluppo di un turismo sostenibile nelle vallate alpine che attraversa. Ma è a partire dagli anni ’90 che la tutela del territorio in genere e delle Alpi nello specifico ha il suo massimo apice, con l’istituzione di innumerevoli aree protette, parchi e riserve a livello nazionale e regionale, tanto che, attualmente, oltre il 20% della superficie alpina è occupato da aree protette (Convenzione Alpina, 2009).

Infine, la regione biogeografica alpina presenta la percentuale più alta di habitat protetti in conformità con la Direttiva Habitat1; il 30% di questi si presenta in buono

stato, risultato molto promettente se confrontato con altre zone (Convenzione Alpina, 2013).

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1.3.

Frequentazione del territorio alpino

Le Alpi sono state una delle prime mete turistiche per gli abitanti delle nazioni europee circostanti. Già a partire dal XIX le élite aristocratiche avevano scoperto i paesaggi incontaminati e la salubrità dell’aria alpina, scegliendo di trascorrere periodi di vacanza in località alla moda, che andavano via via sviluppandosi. È però nella seconda metà del XX secolo che le Alpi sperimentano capillare frequentazione turistica grazie alla crescita economica del secondo dopoguerra, accompagnata da un aumento del reddito della classe operaia, da una legislazione lavorativa che introduce i periodi di ferie, dal miglioramento dei collegamenti e delle infrastrutture e dal diffondersi della mobilità singola, attraverso l’automobile, mezzo di massa ormai a prezzo sempre più accessibile.

Grazie alla diversità di paesaggi e culture, le Alpi attraggono sempre più visitatori, e la loro tipica condizione di isolamento si trasforma da handicap a punto di forza, regalando soggiorni rilassanti e tempranti, lontano dal caos delle città di pianura. Nel 2010 le Alpi sono diventate una delle principali mete turistiche al mondo; il Gruppo di lavoro Trasporti della Convenzione delle Alpi ha stimato che ogni anno visitano le Alpi circa 95 milioni di turisti in lungo soggiorno e 60 milioni di visitatori giornalieri. Questo dato comprende sia turismo estero che endogeno e risulta probabilmente sottostimato, in quanto non si tiene conto dei soggiorni nelle seconde case (Convenzione Alpina, 2013). È stato inoltre stimato che il turismo si concentra principalmente nei fondovalle e nei bacini facilmente accessibili, in maniera molto disomogenea sull’arco alpino. Altrettanto disomogeneo risulta essere quindi il beneficio economico di questa attività.

Inoltre, al giorno d’oggi, vanno via via diffondendosi nuove forme di turismo come quello termale, enogastronomico o ciclistico, che rispondono alle ultime richieste dei frequentatori e che hanno portato allo sviluppo di tutta una serie di offerte complementari, volte a richiamare e soddisfare qualsiasi richiesta. I rapporti Istat ‘Viaggi e vacanze in Italia e all’estero’ mostrano per l’ultimo biennio un nuovo aumento degli italiani che scelgono vacanze lunghe per svago o riposo in montagna: la percentuale era appena 17% nel 2010, scende al 14% nel 2012, per risalire al 26.5% nel 2014. Contemporaneamente, la montagna è sempre più percepita come meta di gite giornaliere; 2/3 della popolazione del Nord Italia dichiara infatti di frequentare le vicine montagne anche solo per un giorno (Macchiavelli, 2014).

Il motivo principale che continua a spingere gli italiani verso le montagne risulta essere il patrimonio naturale, seguito da ragioni pratiche come la disponibilità di case o la vicinanza. Come riportato da una ricerca svolta all’interno del progetto V.E.T.T.A2, la principale attrattiva dell’ambiente alpino rimarrebbe la bellezza,

2 Progetto V.E.T.T.A, Valorizzazione delle Esperienze e dei prodotti Turistici Transfrontalieri delle

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imbattuta nonostante la globalizzazione abbia accorciato le distanze con altri paesaggi idilliaci. Molto importante soprattutto per i giovani sarebbe anche il senso di libertà.

Ci si trova quindi davanti ad un particolare paradosso, come ripete la Convenzione Alpina nella Relazione sul Turismo Sostenibile (2013): “le Alpi sono

viste come custodi di un ambiente incontaminato, ma devono offrire le necessarie infrastrutture di alta qualità che i turisti si aspettano”. Si rileva inoltre negli ultimi

anni che per molti frequentatori la montagna non è più percepita come ambiente a cui appassionarsi, ma come luogo da godere, sperimentando attività adrenaliniche, mettendo alla prova il proprio fisico e partecipando a più attività possibile. Le località turistiche montane non sono più scelte per particolari ambienti, paesaggi e legami culturali, ma per la varietà di attività che sono in grado di offrire, nella stagione estiva come in quella invernale. L’incontro con la cultura alpina è ancora parte dell’esperienza ma vissuto per lo più come elemento di folklore, senza realmente entrare nel contesto e nella storia di una particolare zona.

A causa dell'ipersfruttamento turistico di alcune zone, le Alpi sono diventate un esempio negativo di sviluppo non sostenibile e distruttivo per l'ambiente (CIPRA, 2007). Si contano ormai oltre 10˙000 funivie, seggiovie e skilift, migliaia di chilometri di autostrade, aeroporti e parchi divertimento e ancora si continua a progettare nuove infrastrutture. Questo ritmo di sfruttamento non è sostenibile per l’ecosistema montano e, se non si cambierà presto rotta, le conseguenze saranno molto pesanti. Infatti, superando la capacità portante dell’ecosistema montano si produce altissima pressione ecologica che porta a impatti diretti e indiretti, che possono danneggiare irreversibilmente l’ambiente montano.

1.3.1.

Turismo alpino sostenibile

L’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) definisce sostenibile un turismo che tiene pienamente conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali presenti e future, rispondendo alle esigenze dei visitatori, degli operatori e delle comunità ospitanti (Convenzione Alpina, 2013). Rispondendo alle richieste dei tre pilastri della sostenibilità (economica, sociale e ambientale), un turismo sostenibile dovrebbe utilizzare in maniera ottimale le risorse naturali presenti, tutelandole e limitando il più possibile il suo impatto sull’ambiente, rispettare l’autenticità socio-culturale e i valori tradizionali delle aree interessate e, infine, garantire il sorgere di attività economiche e di stabili opportunità di impiego per la popolazione. A tale definizione è perciò collegata la funzione del turismo come volano per favorire lo sviluppo sostenibile dei territori coinvolti, poiché spesso risulta una delle poche opportunità lavorative per gli abitanti del luogo e si configura come attività a stretto contatto con le risorse ambientali e culturali del territorio. Alcune caratteristiche del turismo sostenibile riguardano la riduzione degli effetti legati alla stagionalità, il rispetto delle capacità ricettive del territorio,

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l’integrazione con il tessuto culturale ed economico del luogo e la partecipazione e collaborazione delle popolazioni locali. Generalizzando, l’obiettivo del turismo sostenibile, in particolare in ambiente alpino, è la gestione dell’attività turistica e dei suoi possibili impatti negativi sull’ambiente e sulla società. Un ruolo cruciale nell’implementazione di questo modello non è solo quello dei frequentatori della montagna, diretti utenti dei servizi impattanti, ma soprattutto quello degli organismi politici, che hanno il potere di indirizzare le scelte degli utenti attraverso regolamenti, investimenti e sussidi.

Uno dei principali impatti del turismo sull’ambiente è legato alla necessità di spostamento di grandi quantità di persone da un luogo di normale abitazione alle località turistiche. Le aree montane, in particolare, sono spesso difficilmente accessibili con i mezzi pubblici e i fruitori percorrono lunghe distanze in automobile nelle strette vallate, dove sono state progettate infrastrutture costose e spesso molto impattanti sul paesaggio. Alla luce dell’incremento della popolazione e del trend globale di crescita del turismo, è previsto un aumento del traffico nelle Alpi del 30% entro il 2030 (Convenzione Alpina, 2013). Per limitare gli impatti e per far fronte alla competizione con altre località, le destinazioni alpine dovranno insistere molto su sistemi di trasporto più sostenibili e investire in mezzi e progetti per potenziare la qualità dei servizi di mobilità.

Altre centrali sfide per lo sviluppo di forme di turismo sostenibili riguardano la salvaguardia della biodiversità e la riduzione dello sfruttamento delle risorse naturali, nonché la riduzione del consumo di suolo per l’insediamento di attività turistiche non necessarie e la protezione del patrimonio culturale, elemento cardine dell’attrattività di un territorio, accanto alle particolarità naturalistiche e paesaggistiche. Sfide trasversali puntano invece a ridurre gli impatti dovuti alla stagionalità del fenomeno turistico montano e a rafforzare le capacità gestionali degli attori coinvolti, affinché non si chiudano davanti alle innovazioni, ma siano pronti ad aprirsi a progetti creativi in grado di valorizzare in maniera sostenibile l’immenso patrimonio alpino.

1.3.2.

Buone e cattive pratiche di turismo alpino

Le buone pratiche si sviluppano con lo scopo di contrastare gli effetti negativi del turismo sull’ambiente e sulla società della montagna e si configurano come riposte alternative all’unica pratica di turismo intensivo, diffusasi negli ultimi decenni. Tuttavia, ancora forti sono gli impatti del turismo stagionale, non solo dal punto di vista puramente ambientale, ma anche sociale ed economico. Fortissimi sono ad esempio gli impatti del turismo invernale, dallo sfruttamento dei terreni, all’elevatissimo consumo energetico e di acqua per mantenere le piste da sci sempre innevate. Le pratiche dello sci-alpinismo fuori pista, poi, sono causa di enorme stress per la flora e la fauna.

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D’estate, la frequentazione intensiva di aree ad alta naturalità può mettere in serio pericolo diverse specie animali e vegetali, in particolare se viene svolta senza prestare attenzione all’ambiente in cui ci si trova, abbandonando rifiuti e oggetti, spostandosi in automobile, distruggendo i sentieri con jeep e mountain bike. Inoltre, i centri turistici subiscono continuo consumo di suolo per far posto ad alberghi e altre strutture ricettive e si trovano a dover affrontare problemi di sottodimensionamento dei servizi essenziali nei periodi di maggiore affluenza.

Una serie di buone pratiche riguardanti la frequentazione del territorio alpino sono raccolte nella Relazione sul Turismo Sostenibile della Convenzione delle Alpi (2013). Numerose sono le attività svolte all’interno di aree protette, ad esempio nell’area del Briançonnais nel Parco Nazionale Ècrins in Francia, o nel Parco Nazionale del Gran Paradiso in Italia, con la Fondation Grand Paradis, creata espressamente per promuovere il turismo sostenibile nel parco, o ancora nella riserva della biosfera UNESCO dell’Entlebuch in Svizzera. In queste aree il turismo sostenibile è spesso utilizzato come strumento di sviluppo regionale per la protezione della natura e del paesaggio e per promuovere allo stesso tempo culture ed economie locali.

Un altro esempio è il progetto di turismo slow sul Monte Bianco Boutiner au pays

du Mont Blanc, che ha l’obiettivo di creare una rete di piccoli fornitori locali di

prodotti e servizi sui tre versanti del massiccio, per consentire ai turisti una scoperta lenta e autentica delle ricchezze naturali, culturali e sociali della regione (Convenzione Alpina, 2013).

Per far meglio conoscere la storia dell’alpinismo, seguendo sempre principi di sostenibilità, è nata l’idea del Club Alpino Austriaco ‘Villaggi degli Alpinisti’. I comuni aderenti si impegnano a preservare i valori culturali e naturali locali e a offrire attività turistiche di qualità, legate alla nascita della pratica alpinistica sulle Alpi, senza però diventare mete di turismo di massa.

In relazione alla tematica della sostenibilità dei mezzi di trasporto è bene citare due progetti svizzeri. Alpmobil fornisce terminal di veicoli elettrici, collegati alle linee di trasporto pubblico, dai quali i turisti possono iniziare escursioni. Le auto, inoltre, sono alimentate tramite energia idroelettrica di produzione locale. La rete SvizzeraMobile, invece, aiuta i turisti a scoprire le Alpi in bicicletta, mountain bike o a piedi, seguendo itinerari segnalati.

Più vicina alla tematica dei rifugi alpini è l’iniziativa ‘Il sapore della montagna’, alla quale partecipano diversi rifugi dell’arco alpino per promuovere le produzioni locali. I gestori, infatti, si impegnano a offrire pietanze e bevande locali, sostenendo così i produttori di montagna e preservando, seppur indirettamente, il tipico paesaggio alpino.

La costellazione di buone pratiche sulle Alpi è fondamentale per cambiare direzione e mostra che molti attori sono interessati a perseguire modelli di sviluppo sostenibile. La collaborazione tra attori in realtà e luoghi diversi è poi un aspetto

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importantissimo, da stimolare sempre più con convenzioni e iniziative, per creare una rete alpina sempre più diffusa di pratiche di turismo sostenibili.

1.4.

Organismi per la salvaguardia delle Alpi

La consapevolezza che lo scenario di sviluppo e sfruttamento delle Alpi in corso non si sarebbe arrestato da solo e avrebbe portato all’irreversibile danneggiamento del territorio alpino hanno spinto sempre più stati e soggetti interessati a lavorare in prima linea per la protezione delle Alpi dai gravi impatti delle attività antropiche. Molte sono le organizzazioni collegate alla fruizione della montagna, che hanno tra il loro principi guida anche la salvaguardia dagli eccessivi impatti e la frequentazione responsabile. Tra queste, spesso liberamente fondate e dirette da soci volontari, troviamo i sodalizi alpini internazionali, tra i quali il Club Alpino Italiano, di cui diffusamente si tratterà nei prossimi capitoli, e associazioni di alpinisti e attivisti ambientalisti, come ad esempio Mountain Wilderness.

Altre organizzazioni sono invece sorte con scopi più generali di salvaguardia del patrimonio alpino e indirizzi operativi e politici.

1.4.1. Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi (CIPRA)

CIPRA è un’organizzazione non governativa, autonoma e senza scopo di lucro, nata nel 1952, con l’obiettivo di proteggere il territorio alpino e promuovere al suo interno uno sviluppo sostenibile. Si configura attualmente come una fitta rete di organizzazioni e istituzioni aderenti, in 7 paesi dell’arco alpino, e coordina progetti innovativi, criticando sviluppi inadeguati. CIPRA si propone di interagire e fare pressione su amministratori, politici e soggetti economici, nonché di mettere in rete persone e progetti interessati alla salvaguardia delle Alpi. Tra gli organismi e le associazioni aderenti in Italia troviamo Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, il Club Alpino Italiano, Federparchi e diversi parchi e aree protette.

I temi chiave affrontati dalla Commissione riguardano la protezione del paesaggio e della biodiversità, le strategie energetiche e la lotta al cambiamento climatico, la pianificazione ottimale del traffico e della mobilità, con particolare attenzione all’intervento e alla partecipazione dei più giovani.

La Convenzione delle Alpi risale a un’iniziativa della Commissione di avere un quadro globale di intervento per le Alpi e CIPRA è inoltre uno dei suoi più importanti osservatori.

1.4.2. La Convenzione delle Alpi

Nell’ottobre 1989, i ministri degli otto stati attraversati dall’arco alpino (Italia, Francia, Principato di Monaco, Svizzera, Liechtenstein, Austria, Germania e

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Slovenia) decidono di stilare un accordo per la protezione e lo sviluppo sostenibile delle Alpi. Si rendono infatti conto di avere a che fare con un territorio particolarmente importante dal punto di vista ambientale, sociale, culturale, storico ed economico, e al contempo intrinsecamente fragile e vulnerabile. Gli impatti delle attività antropiche rischiano di compromettere ancora di più la stabilità di un territorio abitato da circa 14 milioni di persone e che fornisce risorse a un numero ben maggiore; si rende dunque necessario affrontare le sfide e i problemi legati allo sviluppo, sulla base di un coordinamento internazionale delle politiche in materia di pianificazione territoriale, trasporti, energia e turismo. Di conseguenza, il 7 novembre 1991, a Salisburgo, viene siglata la ‘Convenzione sulla protezione delle Alpi’, la quale entra in vigore il 6 marzo 1995, sottoscritta inoltre dall’Unione Europea. Una delle grandi novità introdotte dalla Convenzione delle Alpi è il suo essere vincolante in conformità al diritto internazionale, considerando per la prima volta un territorio transnazionale in base alla sua continuità geografica e non politica.

La Convenzione delle Alpi, con le sue conferenze, attività e pubblicazioni, si mostra come eminente guida per tutte le associazioni e amministrazioni che si occupano di montagna. Individua infatti le problematiche principali del nostro tempo legate al territorio alpino e si adopera a livello internazionale perché queste vengano approfondite, analizzate e si ricerchino strade per risolverle. Temi estremamente attuali quali il cambiamento climatico, lo spopolamento delle Alpi, la sostenibilità del turismo e dei trasporti sono al centro degli ultimi programmi di intervento della Convenzione Alpina, nonché dei ben meno recenti Protocolli, testimoniando l’attenzione e l’impegno in prima linea della Convenzione nell’analisi e comprensione degli aspetti cruciali per lo sviluppo del territorio alpino.

La Convenzione quadro, entrata in vigore nel marzo 1995, stabilisce i principi fondamentali della Convenzione delle Alpi e contiene misure generali a favore dello sviluppo sostenibile dell’arco alpino. All’interno della convenzione, gli stati contraenti si impegnano ad assicurare “una politica globale per la conservazione e

la protezione delle Alpi, tenendo equamente conto degli interessi di tutti i Paesi alpini e delle loro Regioni alpine, nonché della Comunità Economica Europea, ed utilizzando le risorse in maniera responsabile e durevole3”. L’obiettivo generale

deve essere raggiunto attraverso una più intensa cooperazione transfrontaliera e perseguendo misure adeguate nei campi di maggiore interesse. Temi fondamentali sono:

- la popolazione e la cultura, con il fine di proteggere e promuovere gli usi e i costumi delle popolazioni locali;

- la pianificazione territoriale, la quale deve essere sempre più integrata e partecipata e deve tener conto delle specificità e vulnerabilità del territorio

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montano, evitare gli eccessivi sfruttamenti delle risorse e tendere a ripristinare gli ambienti naturali;

- la salvaguardia della qualità dell’aria e la difesa del suolo; - la gestione sostenibile delle fonti idriche;

- la protezione della natura e del paesaggio;

- il potenziamento dell’agricoltura di montagna e la salvaguardia delle foreste, per il loro ruolo di gestione del paesaggio e protezione degli ecosistemi;

- l’armonizzazione delle attività turistiche e ricreative con le specificità e vulnerabilità del territorio;

- la promozione di forme di trasporto e fonti energetiche sostenibili; - la gestione integrata dei rifiuti.

A questo scopo le nazioni contraenti si sono impegnate a lavorare insieme, unificando e condividendo i dati di ricerca ed elaborando opportune misure e protocolli da seguire.

Nel corso degli anni che hanno seguito la ratifica della Convenzione, gli stati contraenti hanno redatto insieme diversi protocolli, riguardanti ciascuno una delle tematiche cruciali evidenziate all’interno della Convenzione Quadro.

Nel dicembre 1994 vengono redatti i Protocolli Protezione della Natura e Tutela

del Paesaggio e Agricoltura di Montagna. Il primo tratta delle misure per la

salvaguardia e per il ripristino dell’ambiente montano, con particolare attenzione alla biodiversità animale e vegetale e a un utilizzo ecologicamente sostenibile delle risorse; il secondo si pone l’obiettivo di mantenere e valorizzare l’agricoltura di montagna, come aspetto fondamentale del paesaggio e dell’assetto socio-economico alpino, con particolare attenzione al suo contributo fondamentale nel prevenire lo spopolamento delle aree montane.

Seguono nel 1995 il Protocollo Pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile e nel 1996 il Protocollo Foreste Montane, con l’obiettivo di conservare e aumentare il territorio forestato, gestendolo in maniera responsabile, senza dimenticare il suo ruolo cruciale come habitat per diverse specie animali e il suo valore economico e ricreativo. Infine nel 1998 vengono redatti il Protocollo Turismo, volto “ad uno

sviluppo sostenibile del territorio alpino grazie ad un turismo che tuteli l'ambiente, mediante specifici provvedimenti e raccomandazioni che tengano conto degli interessi della popolazione locale e dei turisti4”, i Protocolli Energia e Difesa del Suolo e nel 2000 il Protocollo Trasporti.

Inoltre, nel 2006 vengono emanate due Dichiarazione dei ministri, la Dichiarazione

Popolazione e cultura e la Dichiarazione sui Cambiamenti climatici. La prima

Dichiarazione contiene riflessioni e misure riguardanti la diversità culturale dei popoli all’interno dell’arco alpino e relative più nello specifico alla cooperazione internazionale, al pluralismo linguistico, alla valorizzazione del patrimonio

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culturale materiale e immateriale, alla distribuzione di servizi, attività economiche e ricreative che deve essere omogenea sul territorio.

La Seconda Dichiarazione, partendo ormai dall’evidenza del cambiamento climatico in atto, e dei più marcati impatti di quest’ultimo sul territorio alpino, richiede, per il bene delle Alpi, l’adozione a livello globale del Protocollo di Kyoto, e la redazione di nuovi accordi per il periodo successivo al 2012. Insiste poi sulla necessità di studiare più approfonditamente gli effetti del cambiamento climatico sul territorio alpino, al fine di individuare le migliori strategie di adattamento.

Successivamente ai Protocolli, sono stati pubblicati diversi Rapporti Speciali sullo Stato delle Alpi, i quali intendono fare il punto della situazione sulle tematiche centrali della Convenzione e rilanciare gli obiettivi fondamentali e gli impegni presi nei Protocolli. In particolare, nel 2007 viene pubblicato il primo rapporto ‘Trasporti e mobilità nelle Alpi’, nel 2009 il rapporto ‘L’acqua e la gestione delle risorse idriche’, nel 2011 la relazione riguardante ‘Sviluppo rurale sostenibile e innovazione’, nel 2013 la relazione ‘Turismo sostenibile nelle Alpi’ e infine nel 2015 la relazione sui ‘Cambiamenti demografici nelle Alpi’.

Dal punto di vista più strettamente operativo, ogni cinque anni vengono redatti dei programmi di lavoro pluriennale: partendo da tutte le informazioni e le criticità note, essi hanno lo scopo di focalizzare l’attenzione e gli sforzi su alcune tematiche considerate più urgenti, invitando tutti gli attori coinvolti ad assumere un ruolo attivo per studiarle e attuare gli obiettivi individuati.

L’attuale programma è entrato in vigore nel 2011, con obiettivi fino al 2016; esso individua cinque ambiti di attività prioritari: il cambiamento demografico, il mutamento del clima, il turismo sostenibile, la protezione della biodiversità e la mobilità sostenibile. L’approccio a queste problematiche, da parte di tutti gli attori coinvolti, deve essere il più possibile intersettoriale e innovativo, per poter così risolvere le sfide complesse che esse pongono.

All’interno della Convenzione delle Alpi, ciascuno stato membro detiene la presidenza per due anni. L’organo centrale e decisionale è la Conferenza delle Alpi, composta dai Ministri competenti delle parti contraenti e convocata ogni due anni dallo stato membro che detiene la presidenza. La messa in pratica degli obiettivi della Convenzione è delegata al Comitato permanente, composto dai delegati dei paesi alpini, mentre un Segretariato permanente svolge opera di supporto agli organi decisionali e favorisce lo scambio di esperienze e conoscenze. Infine, possono essere istituiti gruppi di lavoro o Piattaforme relativi a tematiche specifiche in funzione delle esigenze della Convenzione, con il compito di elaborare nuovi protocolli o di studiare gli sviluppi e i progressi in corso in un dato settore.

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Ricettività in quota: i rifugi alpini

«Tutta quella sterminata notte carica di abissi ruotava intorno alla minuscola conchiglia di latta dove riposavano gli uomini. Là dentro c’era uno spazio addomesticato, ancora fremente di gesti umani… La capanna navigava, come un’arca carica di tepore e di vita, tra le lunghe onde del silenzio e della vita5

2.1. Storia dell’alpinismo e dei rifugi

Il termine rifugio (dal latino refugium) indica un “luogo che offre riparo,

protezione. In alpinismo, costruzione in muratura o in legno, che serve come base per escursioni e ascensioni, dotata di posti letto e spesso di servizio alberghiero6”.

Più generalmente, i rifugi e i bivacchi montani sono costruzioni semplici, caratteristica questa non direttamente ricercata dai costruttori ma imposta dalle rigide condizioni ambientali. A questo stile semplice e rustico deve però affiancarsi solidità e la capacità di ospitare esseri umani fragili, soli in alcuni dei luoghi meno ospitali della superficie terrestre.

La storia della costruzione e della fruizione dei rifugi si affianca di pari passo alla storia del turismo montano e dell’alpinismo, riflettendo negli anni i cambiamenti di interesse e di gusto dei frequentatori della montagna; come la storia dell’alpinismo

5 Samivel, citato in Gibello, 2011

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è una storia di tentativi e rinunce, successi e tragedie, così lo è anche quella della realizzazione dei primi rifugi (Gibello, 2011).

Nella storia, si ha traccia fin dal Medioevo di ricoveri alpinistici come vere e proprie capanne, disposte in punti strategici per permettere la protezione dei pellegrini lungo le dorsali montane. Si noti che in italiano, il termine capanna permane ancora affiancato al nome di molti rifugi e ne ricorda, forse, la semplicità e la funzione; in altre lingue, come l’inglese e il tedesco, addirittura lo stesso termine hut (o hütte) ha il duplice significato di capanna e rifugio montano. Allo stesso modo, gli abitanti delle montagne hanno sempre usufruito di ricoveri destinati a garantire la presenza umana in quota durante i periodi di stagionalità agro-pastorale. È però probabilmente nel 1779 che viene costruita, grazie a una donazione di Charles Blair, la prima capanna dell’arco alpino registrata dalle fonti e situata a Montenvers (Chamonix) a 1913 m di altitudine, in posizione panoramica sul Monte Bianco e sulle meraviglie delle Aiguilles e della Mer de Glace (figura 2.1). Il rifugio cadrà più volte nell’oblio e subirà diverse modificazioni, fino ad assumere la sua conformazione attuale.

A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, le Alpi appaiono come spazio privilegiato di studio scientifico e contemplazione della natura, grazie al lavoro e alla curiosità di agiati e colti notabili dell’alta società, i quali si prodigano nell’esplorazione degli spazi naturali e nella conseguente costruzione di ricoveri in quota per il perseguimento delle proprie attività. Tra questi ricordiamo il naturalista e scienziato ginevrino Horace Bénédict de Saussure (1740-1799), promotore dell’ascesa al Monte Bianco e della costruzione di diverse basi sul massiccio, e il naturalista e geologo svizzero Franz Josef Hugi (1791-1855). Questi primi ricoveri appaiono ancora molto diversi dai rifugi come siamo abituati a intenderli

Figura 2.1. A sinistra, l’hotel di Charles Blair a Montenvers, il primo rifugio-ricovero sulle Alpi, veduta di Carl Hackert, 1781. A destra, rifugio ai Grands

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attualmente; al contempo, si discostano notevolmente dai grandi ospizi medievali che sorvegliavano i valichi alpini. Non si tratta più, infatti, di spazi di accoglienza per la sosta e il ristoro dei viandanti, ma di luoghi di osservazione privilegiata dell’ambiente montano e di nuovi punti di appoggio per la sua esplorazione (Gibello, 2011).

L’interesse per la frequentazione delle montagne cresce ancora nel XIX secolo, quando esse sono rappresentate secondo lo spirito romantico dell’epoca come baluardi insormontabili, con rievocazioni a cavallo tra gli aspetti bucolici, il sublime e l’orrido. Allo stesso tempo l’ascesa alle Alpi riflette un desiderio di conquista ed esplorazione e stimola i primi escursionisti a testare la capacità di sopravvivenza in luoghi estremi e la propria resistenza per raggiungere la vetta, senza dimenticare il puro fascino della scoperta di luoghi ancora vergini e irraggiungibili. L’interesse aumenta, inoltre, grazie alla crescente opera di divulgazione dei temi legati alla montagna e all’alpinismo, sempre più affrontati in saggi e articoli pubblicati su giornali e riviste. Una svolta sostanziale avviene nel 1842, quando la famosissima raccolta di guide turistiche pubblicate dal tedesco Karl Baedeker si arricchisce di un volume dedicato proprio alle Alpi.

Il crescente interesse della borghesia di tutta Europa per l’escursionismo alpino favorisce lo sviluppo di una prima offerta turistica da parte degli abitanti delle valli, che va dalla rustica accoglienza alberghiera all’accompagnamento nella salita alle vette. Per quanto concerne i ricoveri in alta quota, si fa sentire sempre più la necessità di punti di appoggio per l’accoglienza dei nuovi esploratori. Senza perdere tempo, nel 1821 viene fondata a Chamonix la prima società di guide alpine, la quale nel settembre 1853 inaugura quello che si può chiamare il primo vero rifugio, nell’accezione alpinistica del termine, sul versante francese del Monte Bianco, ai Grands Mulets (3050 m), lungo l’itinerario di salita da Chamonix (figura 2.1). Il rifugio era inizialmente largo poco più di 2 m e lungo 4.3 m e, dopo un primo ampliamento nel 1866, fu il primo rifugio con un custode e una cuoca stabili durante tutta la stagione estiva. Nonostante le sue modeste dimensioni e caratteristiche architettoniche e strutturali, il rifugio ai Grands Mulets rimarrà per circa trent’anni il modello adottato nella costruzione di rifugi sulle Alpi, come spiegato da Agostino Ferrari nella sua opera di censimento dei rifugi sulle Alpi italiane risalente all’inizio del Novecento:

«Occorreva trar profitto dalla natura del luogo e scegliere una località, per così dire… economica. Questa era per lo più costituita da una grossa rupe sorpiombante, oppure, meglio ancora, da una grotta scavata nella roccia. Scelta la località, fabbricavansi i muri, soli tre, perché il quarto già esisteva in natura e a questo addossavasi il rifugio. Questi muri fabbricavansi con pietre, a secco, e venivano assicurati come potevasi. […] E non si riusciva mai ad assicurare solidamente la capanna alla roccia. Questo ed altri inconvenienti erano causa d’umidità nell’interno del rifugio, a scapito del ‘comfort’. Ma non ci si badava gran che, illusi

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come si era sul progresso realizzato rispetto all’antico bivacco, di cui queste costruzioni erano semplicemente la copia riveduta e corretta.7»

Dalla descrizione emergono immediatamente le difficoltà riscontrate nella costruzione dei rifugi in quota: dal punto di vista psicologico, l’uomo razionale osa affrontare l’alta montagna e impiantarvi un cantiere, cercando però di ingraziarsi la natura e di disturbarla il meno possibile (Gibello, 2011). In secondo luogo, per necessità l’intervento deve essere condotto sempre secondo criteri di massima economia di spazio, materiali, tempo, manodopera e ovviamente denaro. Inoltre, la scelta dell’esatta collocazione dei primi rifugi avveniva ‘per prova ed errore’: una volta individuato un luogo adatto, gli alpinisti ammassavano una piramide di sassi e attendevano l’inverno; se l’estate successiva il segnale era ancora in piedi il sito era considerato sicuro per l’avviamento del cantiere (Gibello, 2011). È facile capire come tutto ciò influisse pesantemente sul risultato finale e come i rifugi durassero spesso poche annate, prima di dover essere ricostruiti da zero. Con queste strutture si è perciò ancora molto lontani dal concetto di rifugio come oggi noi lo intendiamo. Per quanto riguarda l’accessibilità delle zone alpine, questa inizia ad essere migliorata con l’apertura dei primi valichi nella prima metà dell’800 (Sempione, Moncenisio e Monginevro, tra gli altri), ma solo a partire dalla seconda metà del secolo inizia ad essere possibile il reale collegamento con le città di pianura, grazie ai primi transiti ferroviari attraverso i valichi. È proprio in questo periodo che nascono le prime stazioni di vacanza per la stagione estiva, come Courmayeur, Chamonix e Cortina, e che l’élite aristocratica prima, borghese poi, inizia a frequentare turisticamente le montagne.

Sempre nella seconda metà dell’Ottocento si assiste alla nascita dei grandi sodalizi nazionali che riuniscono i frequentatori della montagna; per primi, gli inglesi fondano nel 1857 l’Alpine Club, seguiti dagli austriaci che costituiscono nel 1862 l’Œsterreichischer Alpenveiren (ŒAV). Nel 1863 in Italia viene fondato il Club Alpino Italiano, seguiranno Club con il medesimo scopo in Svizzera (CAS) nello stesso anno, in Germania (DAV) nel 1869 e in Francia (CAF) nel 1874. I neofondati club hanno come obiettivo centrale la diffusione della frequentazione della montagna e conseguentemente assumono il compito di costruzione e manutenzione dei rifugi sui rispettivi suoli nazionali. Sono questi gli anni in cui si costruiscono innumerevoli rifugi alpini e la crescente richiesta di strutture solide e accoglienti porta alla modifica delle tecniche costruttive: si passa dai ricoveri di pietre addossati alle rocce, ai primi rifugi in legno a capanna e, successivamente, come riporta sempre Ferrari nel Censimento (1905), a rifugi solidissimi costruiti con materiali di prima scelta (pietrame e buone malte di calce e cemento e all’interno tavole di legno), costruiti in luoghi strategici e scelti con cura. È notevole verso la fine del secolo anche il miglioramento degli spazi interni, degli arredi e

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delle condizioni igieniche dei rifugi, che vengono dotati di nuove comodità mai sognate prima.

L’inizio del XX secolo vede un continuo e crescente interesse verso l’alpinismo, inteso ormai come pratica sportiva, non più solo per alcuni nobili e scienziati, ma per tutta la popolazione. Aumenta perciò la frequentazione delle montagne e delle vette e con essa la richiesta di ricoveri e servizi per tutti gli escursionisti. Il 1900 segna anche il tramonto dell’alpinismo eroico, per pochi uomini coraggiosi e spartani, e della nascita di tutta una classe di passeggiatori, come vengono ironicamente chiamati dagli ultimi irriducibili alpinisti. Ecco allora il sorgere di strutture più consone alle nuove richieste, provviste di nuove comodità e agi e collocate anche a quote più basse e facilmente raggiungibili. Un’altra caratteristica dei rifugi di inizio Novecento è la presenza diffusa di custodi, che controllano la struttura e, in alcuni casi, offrono servizi agli escursionisti. Questo si rende necessario, innanzitutto, a causa degli atti vandalici registrati di anno in anno sulle strutture in quota, e stimola la nascita di tutta una serie di servizi, dall’ospitalità alla distribuzione dei pasti.

Nel dicembre 1923, durante una riunione del Club Alpino Accademico Italiano a Torino, il dottor Lorenzo Borelli propone la costruzione di strutture più piccole e semplici nei luoghi più impervi, dove la frequentazione è più scarsa e non sia possibile edificare strutture complesse. Viene immediatamente istituita una commissione composta dallo stesso Borelli con Francesco Ravelli e Adolfo Hess, per la progettazione dei primi bivacchi fissi. Questi progettano una cassa stagna a forma di semi-botte, foderata di zinco o lamiera, in grado di ospitare 4 o 5 persone, servendosi come esempio delle strutture in lamiera che avevano prestato riparo ai soldati durante la Prima Guerra Mondiale. Queste strutture presentano molti vantaggi, essendo resistenti alle intemperie e, allo stesso tempo, facili da progettare

Figura 2.2. Bivacco Hess al Col d’Estellette sul Monte Bianco (2958 m), il primo bivacco fisso.

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