• Non ci sono risultati.

L'ESERCIZIO FISICO NEL MORBO DI PARKINSON: PROPOSTA DI INTERVENTO MOTORIO E PSICO-SOCIALE PER MIGLIORARE LE CAPACITÀ MOTORIE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'ESERCIZIO FISICO NEL MORBO DI PARKINSON: PROPOSTA DI INTERVENTO MOTORIO E PSICO-SOCIALE PER MIGLIORARE LE CAPACITÀ MOTORIE"

Copied!
56
0
0

Testo completo

(1)

Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia ____________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNICHE

DELLE ATTIVITA

’ MOTORIE PREVENTIVE E ADATTATE

Presidente Prof. Fabio Galetta

“L’ESERCIZIO FISICO NEL MORBO DI PARKINSON:

PROPOSTA DI INTERVENTO MOTORIO E

PSICO-SOCIALE PER MIGLIORARE LE CAPACITA

MOTORIE

RELATORE

CHIAR.MO PROF. ANGELO RENATO PIZZI

CANDIDATO

DOTT. ALESSANDRO BONANNI

ANNO ACCADEMICO 2017/18

(2)

1

INDICE

L’ESERCIZIO FISICO NEL MORBO DI PARKINSON: PROPOSTA DI INTERVENTO MOTORIO E PSICO-SOCIALE PER MIGLIORARE LE CAPACITA’ MOTORIE

INTRODUZIONE PAG. 3

1. L’INVECCHIAMENTO PAG. 4

1.1 DATI ISTAT PAG. 7

2. IL MORBO DI PARKINSON PAG. 10

2.1 ANALISI DELA FISIOPATOLOGIA PAG. 11 2.1.1 I NETWORK FUNZIONALI E LE AREE CORTICALI PAG. 11

2.1.2 I NUCLEI DELLA BASE PAG. 13

2.1.3 IL CERVELLETTO PAG. 15

2.2 I SINTOMI MOTORI DEL MORBO DI PARKINSON PAG. 16 2.3 I SINTOMI NON MOTORI DELLA PATOLOGIA PAG. 17

2.4 GLI STADI DELLA MALATTIA PAG. 18

2.5 LA TERAPIA FARMACOLOGICA PAG. 19

2.6 LA TERAPIA NON FARMACOLOGICA PAG. 20

2.7 PARKINSON E PARKINSONISMI PAG. 21

3. IL FATTORE AMBIENTALE NELLA PATOLOGIA PAG. 22

3.1 GLI ADATTAMENTI INTERNI PAG. 23

3.2 GLI ADATTAMENTI ESTERNI PAG. 24

3.3 I CUES SENSORIALI PAG. 26

3.3.1 I CUES SENSORIALI NEL MORBO DI PARKINSON PAG. 28 4. L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE RIABILITATIVO PAG. 30

4.1 IL NEUROLOGO PAG. 30

4.2 IL FISIOTERAPISTA PAG. 31

4.3 IL LAUREATO MAGISTRALE IN SCIENZE MOTORIE PAG. 31 5. LA PROPOSTA DEL MIO PROTOCOLLO PAG. 32

(3)

2

5.1.1 LO SCREENING NEUROLOGICO PAG. 35

5.1.2 LO SCREENING MOTORIO PAG. 38

5.2 L’ATTIVITA’ MOTORIA ADATTATA PAG. 45 5.2.1 MIGLIORAMENTO DELLA POSTURA CAMPTOCORMICA PAG. 46 5.2.2 RECUPERO PROPRIOCETTIVO E CORE STABILITY PAG. 47 5.2.3 IL LAVORO DI FORZA RESISTENTE PAG. 48 5.2.4 ESERCIZI DI ALLUNGAMENTO E RECUPERO ROM PAG. 49

6. CONCLUSIONI PAG. 50

7. BIBLIOGRAFIA PAG. 52

8. SITOGRAFIA PER IMMAGINI PAG. 54

RINGRAZIAMENTI PAG. 55

(4)

3

INTRODUZIONE

La società dei giorni nostri presenta un panorama differente rispetto a quello di alcuni decenni fa; non solo si deve analizzare il progresso scientifico che si è verificato in questi anni, con conseguente miglioramento dell’efficacia delle varie terapie mediche e del miglioramento dell’aspettativa di vita del genere umano, ma bisogna anche considerare come questo continuo progresso stia influenzando la natura demografica intrinseca della popolazione; i dati ISTAT più recenti e le varie previsioni effettuate dimostrano come, in Italia, la popolazione stia rapidamente aumentando in percentuale in merito alla terza età a discapito del tasso giovanile. Ciò comporta quindi, analizzando il fatto attraverso una visione più ampia, un aumento della spesa economica a livello terapico e farmacologico da parte delle persone e la richiesta maggiore di assistenza perché, aumentando la percentuale della terza età, aumenta anche la differenza numerica tra:

INVECCHIAMENTO FISIOLOGICO: riguarda i normali processi fisiologici che nel corso della terza età portano al declino del corpo di una persona (SARCOPENIA, ASSOTIGLIAMENTO DEI DISCHI INTERVERTEBRALI, DEPAUPERAMENTO NEURONALE, RALLENTAMENTO FUNZIONALE DELLA FUNZIONALITA’ CARDIO-RESPIRATORIA);

INVECCHIAMENTO PATOLOGICO: i processi dell’invecchiamento sono alterati da un processo patologico che può coinvolgere qualsiasi distretto corporeo e compromettere le varie funzionalità; le patologie possono essere acute e croniche. Oltre alla prescrizione di farmaci e terapie mediche, negli ultimi anni ha assunto sempre più importanza associare una corretta attività motoria al fine di coadiuvare la farmacologia e indurre maggiori miglioramenti a livello cardio-circolatorio e nella resistenza nel contrastare la malattia; l’ATTIVITA’ FISICA ADATTATA nasce come progetto sociale, a basso costo, che si propone di migliorare la salute psico-fisica dei soggetti affetti da patologie che la richiedono; naturalmente si prescrive

(5)

4

un particolare tipo di esercizio adattato in relazione alle esigenze dei soggetti e delle varie patologie che possono presentare.

L’obiettivo primario quindi è quello di migliorare la qualità della vita, e per verificare ciò nel migliore dei modi è opportuno effettuare screening continui al fine di monitorare i soggetti e se i percorsi terapeutici decisi sono più o meno efficaci al fine di poterli modificare e adattare alle esigenze. La relazione tra patologia, soggetto, e attività motoria adattata può essere analizzata e operata in modi differenti con lo scopo di capire la strada più ideale da percorrere per soddisfare il bisogno di autonomia di soggetti, ed è quello che intendo proporre in questo mio elaborato come strada innovativa di intervento.

1. L’INVECCHIAMENTO

Viene definito INVECCHIAMENTO quel processo biologico multifattoriale il quale, con l’aumentare dell’età, causa in tutti gli organismi un declino degli apparati interni e delle loro funzioni, con maggiore sensibilità agli effetti di variazione ambientale e quindi maggior possibilità di andare incontro a malattia e, come conseguenza finale, all’exitus; come accennato nell’introduzione è fondamentale fare una distinzione tra:

INVECCHIAMENTO FISIOLOGICO: indica il normale processo multifattoriale età-dipendente del declino delle varie funzioni organiche; le sue caratteristiche principali sono:

- AUMENTO DELLA MORTALITA ALL’AUMENTARE DELL’ETA’;

- VARIAZIONE ETA’ DIPENDENTE DELLA COMPOSIZIONE BIOCHIMICA DEI

TESSUTI: alterazioni della massa magra, della massa grassa e della massa ossea e

presenza a livello cellulare di indicatori di invecchiamento (es. LIPOFUSCINE);

- PROGRESSIVO CALO DELLE FUNZIONI FISIOLOGICHE;

(6)

5

- AUMENTATA SUSCETTIBILITA’ ALLE PATOLOGIE.

INVECCHIAMENTO PATOLOGICO: il processo di declino è modificato e accelerato da patologie, acute e croniche, e quindi si ha una maggiore possibilità di EXITUS pre-tempore. Diverse sono le teorie che nel corso degli anni sono state effettuate per capire le motivazioni del processo di invecchiamento:

STOCASTICHE: sostengono che i danni siano principalmente delle macromolecole e che si tratti di danni casuali; tra gli eventi stocastici rientrano: MUTAZIONI,

SOMATICHE, ALTERAZIONE DELLE PROTEINE, RADICALI LIBERI;

GENETICHE: sostengono che alla base dell’invecchiamento ci siano mappe genetiche che continuano quelle della morfogenesi e dello sviluppo; rientrano in questo macro-gruppo:

- TEORIE NEUROENDOCRINE: convergono principalmente sull’asse IPOTALAMO-IPOFISI-SURRENE che regola lo sviluppo e il metabolismo e le fasi di crescita;

- TEORIE IMUNOLOGICHE: diminuisce la risposta dei LINFOCITI T e quindi aumenta la suscettibilità alle malattie infettive; aumentano i fenomeni di autoimmunità, come dimostrato dai livelli di anticorpi nel siero;

- SENESCENZA CELLULARE: si basa sulla perdita, nel tempo, della capacità replicativa delle cellule per progressiva riduzione dei TELOMERI cellulari.

I processi di invecchiamento, sebbene abbiano le stesse basi scientifiche e fisio-patologiche, si manifestano differentemente ad personam e quindi sarebbe opportuno intervenire in modi non standardizzati, poiché non è detto che strategie adoperate per un piccolo gruppo di persone soddisfino i bisogni di altre e

(7)

6

quindi si possano avere dei diversi adattamenti, ma soprattutto vi potrebbe essere il rischio che alcuni non siano soggetti a miglioramenti post-trattamento. Un esempio fondamentale per capire questo concetto è contrapporre, a parità di condizione di invecchiamento fisiologico o patologico, un soggetto che ha sempre svolto nella sua vita una corretta attività motoria e uno stile di vita sano a chi invece ha sempre tenuto uno stile di vita sedentario e sregolato: la persona con lo stile di vita adeguato sarà in grado di far fronte in modo più resistente all’invecchiamento perché al momento dell’inizio del declino delle varie funzioni, non solo questo momento sarà posticipato nel tempo o comunque molto lento nell’insorgenza, ma presenterà molti aspetti che lo aiuteranno a far fronte alle varie modificazioni, come ad esempio la presenza della quantità giusta di massa magra, un miglior assetto lipidico, un mantenimento della capacità funzionale cardio-circolatoria e la presenza di un sistema immunitario sempre attivo e ben funzionante.

L’attività fisica, tuttavia, è da considerarsi un’arma a doppio taglio in quanto, se svolta in modo inadeguato, può recare dei danni o rendere comunque rendere l’organismo suscettibile a infezioni, specialmente in caso di attività protratta per un periodo prolungato di tempo: si crea quella che si chiama Finestra Aperta , ossia quella fascia temporale, dopo l’attività svolta, in cui si ha un calo repentino del sistema immunitario e quindi una maggior possibilità di contrarre infezioni, soprattutto delle vie aeree; ciò è contrastabile mediante assunzione di carboidrati a rapido assorbimento (MALTODESTRINE), che ripristinano nel breve termine i livelli immunologici. Tutto questo è importante per capire l’importanza di una prescrizione di un’attività motoria adattata corretta in volume, intensità e durata perché quando si ha a che fare con persona appartenenti alla fascia della terza età o affette da patologie è facile commettere errori che possono causare nei soggetti trattati un peggioramento delle condizioni di salute e di eventuali quadri clinici.

(8)

7

1.1 DATI ISTAT

E’ opportuno notare come, nel corso degli ultimi decenni, la popolazione italiana stia vedendosi mutare internamente e stia progressivamente andando verso la terza età, con un tasso di natalità costantemente in diminuzione e un aumento dell’età media dell’intera popolazione; sono dati importanti da tenere sotto controllo perché se aumenta l’età media significa che è maggiore la percentuale di persone anziane, e quindi vi è una maggior possibilità di avere a che fare con patologie di qualunque tipo, e quindi la necessità e la realtà di un sempre maggior numero di richieste di assistenza da parte delle stesse.

(FIGURA 1.1: INDICATORI DEMOGRAFICI ISTAT 2017)

E’ necessario anche verificare quelle che sono le previsioni demografiche, per capire quello che sarà l’andamento o comunque una stima di esso delle popolazioni e le prospettive non sono incoraggianti per il nostro paese.

(9)

8

(FIGURA 1.2: previsione demografica nascite)

(10)

9

(FIGURA 1.4: previsione demografica fascia d’età 15-64 anni)

(11)

10

(FIG. 1.6: previsione demografica dell’età media)

Presa visione di questi diagrammi si può facilmente capire come la popolazione italiana stia andando incontro ad una sempre maggiore percentuale di soggetti appartenenti alla terza età; quindi sarà importante in prospettiva futura cercare di aumentare le strategie di intervento ma anche di aumentare le strutture ospedaliere e sanitarie e aumentare le figure mediche e non di riferimento perché ci sarà più che mai bisogno di assistenza per la nostra popolazione anziana.

2. IL MORBO DI PARKINSON

Il Morbo di Parkinson (MdP) è una patologia cronico-degenerativa del sistema nervoso, con un’evoluzione lenta e progressiva, che causa deficit a livello motorio e di a partire da deficit neuro cognitivo-motori; rientra in quel specifico gruppo di malattie denominato “Disordini del movimento. Questa particolare patologia può essere trovata in tutti I gruppi etnici, con una prevalenza nel sesso maschile (circa

(12)

11

1,5% in più); l’età di insorgenza della patologia corrisponde ai 58/60 anni di età, ed in particolare:

Tra i 60 e gli 85 anni solo il 2% mostra il MdP;

Dopo gli 85 anni, tale percentuale cresce al 5%;

E’ possibile un’insorgenza giovanile, tra i 21 ed i 40 anni, nonostante sia molto

rara;

L’incidenza di questa malattia è tra gli 8 e i 18 casi ogni 100mila persone all’anno; in Italia, in particolare, i malati di Parkinson risultano essere 300mila.

2.1 ANALISI DELLA FISIOPATOLOGIA

Come ogni patologia, il Morbo di Parkinson è caratterizzato da segni e sintomi che derivano da dei deficit a livello del sistema nervoso, causanti un’espressione fenomenica alterata dell’atto motorio, della sua programmazione e della sua corretta esecuzione; è necessario analizzare questa patologia partendo da quelli che sono i deficit a livello centrale, partendo da quelli che sono i network funzionali del sistema nervoso e quali sono le problematiche causanti i segni ed i sintomi caratterizzanti la patologia.

2.1.1 I NETWORK FUNZIONALI E LE AREE CORTICALI

Il Telencefalo, corrispondente alla corteccia cerebrale, può essere suddiviso in lobi ben definiti, ai quali viene riconosciuta una funzione ben definita a livello sensitivo e a livello motorio:

(13)

12

LOBO FRONTALE (zona prefrontale adibita a concentrazione, pianificazione e

problem solving);

LOBO PARIETALE (adibito alla programmazione delle azioni);

2 LOBI TEMPORALI (per la interpretazione delle esperienze);

1 LOBO OCCIPITALE (per il riconoscimento di oggetti e persone);

Oltre questa classificazione lobulare vi è una distinzione per AREE; il cosiddetto I

motoneurone (quello corticale), infatti, in base a dove è situato, ha una funzione

specifica derivante dall’esperienza immagazzinata ed elaborata nel corso degli anni; diverse sono le aree in cui può essere suddiviso il telencefalo, ma se si parla di Morbo di Parkinson si devono analizzare:

AREA MOTORIA;

AREA PREMOTORIA;

CORTECCIA PRE-FRONTALE;

alle quali va aggiunto l’intervento dei NUCLEI DELLA BASE e del CERVELLETTO (per il controllo dei movimenti fini). Il primo motoneurone invia le informazioni attraverso le VIE DISCENDENTI (in particolare quelle cortico-spinali per l’esecuzione dei movimenti volontari) al II motoneurone, ovvero il motoneurone alfa presente nel corno anteriore della sostanza grigia del midollo spinale, il quale manderà l’informazione al muscolo specifico per l’esecuzione del movimento programmato e pianificato. Le funzioni compromesse sia a livello sensitivo sia a livello motorio sono diverse, tuttavia raggruppabili in 5 macrogruppi fondamentali:

(14)

13 ATTENZIONE;

PERCEZIONE;

MEMORIA;

LINGUAGGIO;

FUNZIONI ESECUTIVE/DI CONTROLLO;

Ne consegue quindi una anomala percezione dello stimolo proveniente dall’ambiente esterno, dovuta sempre a deficit centrali, che ,tuttavia, non garantendo un metabolismo tale da indurre una risposta inadeguata a tale stimolo, creeranno nel tempo un bagaglio di esperienza nuovo, errato, che se non corretto andrà a sostituire quel bagaglio precedente alla patologia.

2.1.2 I NUCLEI DELLA BASE.

I nuclei della base, situati al di sotto del telencefalo, comprendono quattro formazioni nervose che hanno il ruolo di controllo dei movimenti volontari; ricevono afferenze corticali e inviano efferenze al tronco encefalico e , attraverso il talamo, alla corteccia PREFRONTALE, MOTORIA e PREMOTORIA; pertanto tali NdB sono i principali componenti di circuiti rientranti corticali-sottocorticali che mettono in connessione telencefalo e talamo.

Queste quattro formazioni principali sono:

STRIATO (unione di caudato, putamen e striato ventrale, comprendente il nucleo accumbens); riceve le principali afferenze corticali e talamiche, per poi proiettarle al GLOBUS PALLIDUS e alla SUBSTANTIA NIGRA; utilizza come neurotrasmettitore fondamentale il GABA;

(15)

14

GLOBUS PALLIDUS (divisibile in una parte interna ed una esterna);

SUBSTANTIA NIGRA DI SOMMERING (da suddividere in una pars compacta, e una pars reticulata, DOPAMINERGICA);

NUCLEO SUBTALAMICO;

Tutte le afferenze derivate dalla corteccia sono di natura eccitatoria (GLUTAMMATERGICHE) e terminano in zone specifiche dello striato, le quali tuttavia presentano zone anche per afferenze di natura SEROTONINERGICA dai nuclei del RAFE (FORMAZIONE RETICOLARE) e DOPAMINERGICA (MESENCEFALO). Le efferenze partono dalla PARS RETICULATA DELLA SUBSTANTIA NIGRA e dalla parte interna del GLOBUS PALLIDUS e inibiscono i loro nuclei bersaglio di talamo e tronco encefalico; ciò avviene attraverso due vie:

VIA DIRETTA: dalla corteccia al GLOBUS PALLIDUS INTERNO al NUCLEO SUBTALAMICO per poi scendere gradualmente verso peduncolo pontino e infine al midollo spinale; questa via esercita un controllo a FEED-BACK POSITIVO perché favorisce l’attivazione del talamo e delle vie TALAMO-CORTICALI, FAVORENDO

QUINDI IL MOVIMENTO.

VIA INDIRETTA: prima di arrivare al GLOBUS PALLIDUS INTERNO si ha il passaggio per il GLOBUS PALLIDUS ESTERNO; tale via incentiva l’inibizione transitoria del talamo, di conseguenza, non arrivando afferenze talamo-corticali eccitatorie,

INIBISCE IL MOVIMENTO.

Entrambe queste vie sono regolate dalla presenza del neurotrasmettitore DOPAMINA, ma esistono due tipi di recettori dopaminergici differenti:

D1: presente nei neuroni della via diretta, favorisce la trasmissione sinaptica degli impulsi talamo-corticali;

(16)

15

D2: presente nei neuroni della via indiretta, inibisce la tramissione sinaptica;

Da qui si può dedurre che la deplezione di dopamina, tipica del morbo di Parkinson, causi un’iperattività della circuiteria indiretta, inibitrice del movimento volontario; tale iperattività viene dimostrata dai sintomi cardinali della patologia:

ACINESIA/BRADICINESIA, TREMORE A RIPOSO, RIGIDITA’ E CONDIZIONE DI

IPERTONO FLESSORIO (dalla contrazione simultanea di agonisti e antagonisti).

Questi atteggiamenti motori, nell’insieme, creano la condizione di POSTURA

CAMPTOCORMICA.

2.1.3 IL CERVELLETTO

Sede dei controlli dei movimenti della postura, è una formazione ovoidale situata nella fossa cranica posteriore, al di sotto degli emisferi cerebrali; interviene all’interno delle connessioni tra apparato locomotore e sistema nervoso come comparatore : in tempo reale è in grado di modificare i movimenti in relazione alle necessità del momento, così come equilibrio e postura agendo sui sistemi motori discendenti; tale controllo di movimento può avvenire sia a livello periferico che a livello centrale:

PERIFERICAMENTE: in caso di un repentino cambio di direzione o, ad esempio, di una caduta improvvisa, interviene sul sistema muscolo scheletrico variando sul momento l’innervazione muscolare permettendo quindi un facile adattamento al cambio di situazione;

CENTRALMENTE: il movimento, a causa per esempio di un evento traumatico, deve essere riprogrammato nuovamente quindi si interviene a livello del sistema nervoso e dell’informazione inviata ai motoneuroni spinali.

(17)

16

Il MdP causa un deficit a livello di questo controllo fine dei movimenti, ed il soggetto quindi ha meno capacità di adattamento alla variabilità dell’ambiente e delle situazioni, che si tramuta in un’alterata percezione dell’equilibrio e deficit di postura, che si associano ai segni ed ai sintomi tipici della patologia.

2.2 I SINTOMI MOTORI DEL MORBO DI PARKINSON

Come indicato precedentemente, la deplezione di dopamina all’interno dei circuiti neuronali è dimostrata da quelli che sono i sintomi principali della patologia parkinsoniana:

TREMORE A RIPOSO: il parkinsoniano tende ad avere all’incirca 4/5 scosse al minuto in assenza di attività fisica; scompaiono nel momento in cui viene proposta qualsiasi attività, fisica e non;

RIGIDITA’/IPERTONO FLESSORIO: la deplezione di dopamina e la conseguente iperattività della via indiretta dei NdB va a incidere sull’attività dei nuclei del Rafe della Formazione Reticolare; questi ultimi, infatti, mandano dei collaterali fino al midollo spinale e, per questo malfunzionamento, attivano simultaneamente i motoneuroni innervanti, in uno stesso movimento, agonisti e antagonisti, causando quindi quella condizione di IPERTONO FLESSORIO.

ACINESIA/BRADICINESIA: è la condizione secondo cui il parkinsoniano tende a non svolgere alcun movimento; quei pochi che vengono eseguiti risultano lenti e deficitari di stabilità; si può, infatti, distinguere due caratteristiche principali che accomunano tutti i movimenti svolti, visibili soprattutto all’osservazione della dinamica di passo di un parkinsoniano:

(18)

17

1) FESTINAZIONE: inseguimento del proprio baricentro durante la camminata; aumenta, in caso di di mancata stabilità, la percentuale di cadute e quindi possibili infortuni.

2) FREEZING of GAIT (FOG): è la sospensione, per un periodo di tempo assai

limitato, della camminata o di qualsiasi altra attività motoria; è forse una delle condizioni più debilitanti del morbo di Parkinson, che peggiora sempre di più con il progredire della malattia la qualità della vita, tant’è vero che si passa da semplici pause momentanee a veri e propri blocchi, anche psicologici, di fronte anche al più banale degli ostacoli.

E’ possibile includere tutte queste caratteristiche in un unico atteggiamento posturale definito CAMPTOCORMIA, il quale presenta in chiunque ne soffra: TRONCO E CAPO IN LIEVE FLESSIONE, ARTI SUPERIORI ADDOTTI CON SPALLE ANTEPOSTE E AVAMBRACCI LEGGERMENTE INTRARUOTATI, E ARTI INFERIORI ADDOTTI CON COSCE IN SEMIFLESSIONE SUL TRONCO; tale quadro tende ad aggravarsi in caso di presenza di IPERCIFOSI SENILE (aumento fisiologico della curva cifotica del rachide toracico).

2.3 I SINTOMI NON MOTORI DELLA PATOLOGIA

I sintomi del morbo di Parkinson non sono esclusivamente di carattere motorio; infatti, a causa dell’arrivo di alcune efferenze attraverso il talamo alla corteccia pre-frontale, si deve tenere conto della sfera umorale del soggetto parkinsoniano, che nella maggior parte dei casi risulta compromessa o comunque molto diversificata dalla normale fisiologia. A causa della deplezione di dopamina, anche le efferenze corticali risultano inibite, di conseguenza il soggetto parkinsoniano tende a mostrarsi APATICO, incapace di esprimere sensazioni positive se non quando gli stimoli provenienti dall’ambiente sono molto forti; inoltre è sempre alta la possibilità che il soggetto cada in FENOMENI DEPRESSIVI, a volte anche molto

(19)

18

profondi. Altri possibili comportamenti, in percentuale meno alta, sono FENOMENI

PSICOTICI, DISTURBI DELLA FASE REM (con conseguente alterazione del ciclo

sonno/veglia), DISTURBI RESPIRATORI E DISTURBI

COGNITIVO-COMPORTAMENTALI; tali percentuali possono essere modificate solo dal

progredire della malattia.

2.4 GLI STADI DELLA MALATTIA

In base alla presenza dei vari sintomi e della loro gravità, manifestata nel grado di invalidità che causano nel soggetto malato, sono stati definiti 5 stadi della malattia di Parkinson:

I STADIO: comparsa con l’esordio asimmetrico e laterale principalmente negli arti superiori; si nota una perdita di forza, una leggera rigidità e una compromissione nella ripetizione dei gesti motori;

II STADIO: la patologia colpisce anche l’emilato principalmente sano, causando anche una instabilità, fissa nel breve termine, della postura con anche, ginocchia e caviglie semiflesse; comincia a manifestarsi la bradicinesia.

III STADIO: ridotta comparsa di retropropulsione e propulsione con passo affrettato e corto; si cominciano a notare le prime cadute e tutti i movimenti sono maggiormente rallentati;

IV STADIO: il soggetto necessità di assistenza e non è in grado di vivere da solo; i movimenti fini risultano impossibili;

V STADIO: il soggetto è allettato supino e immobile, con il capo anteflesso; ha costantemente la bocca aperta per disfagia e ridotta deglutizione spontanea; l’invalidità è totale.

(20)

19

Gli stadi in cui si deve intervenire, ipotizzando un protocollo di intervento, sono principalmente il terzo e il quarto, a volte il secondo, perché è importante restituire a questi soggetti la loro autonomia che richiedono e di cui hanno bisogno; il quinto stadio rappresenta un caso quasi terminale, in cui la rigidità compromette anche le funzioni respiratorie, con conseguente anche maggior fatica del sistema cardiocircolatorio, mentre il primo rappresenta il segnale in cui iniziare a far fronte alla patologia. Molto spesso il morbo di Parkinson viene diagnosticato quindi è quasi impossibile lavorare preventivamente per l’insorgenza della patologia in quanto silente fino alla comparsa del tremore a riposo.

2.5 LA TERAPIA FARMACOLOGICA

La terapia farmacologica è il primo approccio per evitare un rapido peggioramento del quadro clinico parkinsoniano, destinato a combattere in primis l’assenza di dopamina nei circuiti neuronali; per questo sono prescritte diverse terapie per bilanciare i livelli di dopamina per il trattamento sintomatico della patologia:

LEVODOPA (L-DOPA): precursore della dopamina, da sempre considerata la terapia più efficace per il trattamento dei sintomi del MdP, anche nelle terapie combinate, in quanto permette di aumentare, già nel breve termine, le concentrazioni dopaminergiche nei circuiti neuronali; tuttavia l’80% dei soggetti a cui viene prescritta sviluppano elevata resistenza al farmaco nell’arco di 10 anni, causando per via del suo medio tasso di tossicità discinesie e periodi ON/OFF.

AGONISTI DELLA DOPAMINA: agiscono sui recettori della dopamina (D1-D5) al fine di ampliare gli effetti di quella poca dopamina presente; tra le sostanze prescritte ricordiamo APOMORFINA, ROPINIROLO e ROTIGOTINA;

(21)

20

ANTICOLINERGICI: si tratta di una strada alternativa che va ad inibire l’attività dell’acetilcolina, che regola il movimento ma soprattutto tremore e distonia; spesso si tratta con BENZATROPINA e TRIESIFENIDILE;

Molto spesso si cerca di attuare terapie combinate al fine di migliorare il più possibile degli affetti da MdP, anche se nessuna al momento pare causi vere e proprie modificazioni radicali del decorso della malattia.

2.6 LA TERAPIA NON FARMACOLOGICA

Oggigiorno le terapie combinate lasciano sempre più spazio ad un approccio multidisciplinare il quale pare garantire migliori risultati; tale approccio, quindi, va oltre la classica consultazione di ambito medico/neurologico, tenendo conto anche della sfera motoria del soggetto parkinsoniano. Nel trattamento di qualsiasi patologia, infatti si deve tenere conto di tre differenti livelli di prevenzione, che vedranno di conseguenza l’intervento di specialisti differenti:

PREVENZIONE PRIMARIA: adozione di interventi e strategie per evitare l’insorgenza della malattia in soggetti sani;

PREVENZIONE SECONDARIA: guarire un’eventuale danno/lesione prima che la patologia si manifesti clinicamente;

PREVENZIONE TERZIARIA: qualsiasi forma di riabilitazione/reinserimento post-diagnosi. (es. riabilitazione motoria);

Una terapia coadiuvante di quella medica/neurologica è sicuramente quella motoria, che prevederà uno sviluppo in due tappe: IN PRIMIS un primo recupero della motricità e di una minima autonomia motoria a seguito di diagnosi, da parte dello specialista, di MdP; una volta superata questa prima fase riabilitativa, il soggetto andrebbe affiancato ad un laureato in ATTIVITA’ MOTORIA ADATTATA il

(22)

21

quale ha il compito di continuare il lavoro svolto dal fisioterapista nell’interesse di evitare il peggioramento, nel medio termine, della patologia.

2.7 PARKINSON E PARKINSONISMI

Oltre alla malattia di Parkinson esistono altri quadri clinici che, per la somiglianza con tale patologia, vengono denominati PARKINSONISMI; sono situazioni cliniche che ricordano il MdP per segni e sintomi che li contraddistinguono, tipici del Parkinson, quali ACINESIA, RIGIDITA’, CAMPTOCORMIA E TREMORE A RIPOSO, anche se differiscono da esso perché:

Non sono quasi mai progressivi, mentre il MdP è una patologia degenerativa;

Presentano una differente eziologia, che può trovare sviluppo anche in altri

sistemi del corpo umano;

I casi di parkinsonismi più riscontrati a livello clinico sono:

GENETICI: La maggior parte dei parkinsonismi genetici vengono chiamati monogenici perché derivano dalla mutazioni di singoli geni che avviene per trasmissione mendeliana; il caso più grave è quello della mutazione autosomica dominante della cosiddetta alfa-sinucleina;

VASCOLARI: a seguito di lesioni ischemiche a livello dei gangli della base; si notano deficit a livello di marcia e di equilibrio, specialmente a livello degli arti inferiori;

DA FARMACI/DA AGENTI TOSSICI: possono essere causati da tutti i farmaci neurolettici in quanto antagonisti della dopamina, la cui deplezione causa la maggior parte dei segni e dei sintomi e della malattia di Parkinsonismi, attraverso l’occupazione dei recettori dopaminergici di tipo D2. Per quanto riguarda gli agenti tossici, parkinsonismi di questo tipo derivano

(23)

22

dall’inalazione o dall’entrata in contatto con sostanze come il ROTENONE, ma sono sufficienti anche ingenti quantità di metalli quali IL PIOMBO E IL MANGANESE per causare danni selettivi alle strutture dei gangli della base.

3. IL FATTORE AMBIENTALE NELLA PATOLOGIA

Nel mondo della patologia assume un ruolo determinante il fattore ambientale per diverse motivazioni: dalla semplice localizzazione geografica di una popolazione agli effetti che l’ambiente stesso ha su una eventuale problematica o malessere, all’ambiente più o meno idoneo per svolgere un particolare tipo di attività motoria o riabilitativa. Per comprendere a pieno l’importanza dell’ambiente è opportuno introdurre e specificare il concetto di funzionalità ; una patologia deriva sempre da un danno o da un deficit rispetto al normale funzionamento del corpo umano sei vuoi diversi aspetti, sistemi e apparati; le cause sono molteplici e si possono riunire, dal punto di vista temporale, in 3 grandi macrogruppi:

PRENATALI: il danno avviene prima della nascita (es. danno da ipossia ischemica, danno da malformazioni geniche);

PERINATALI: il danno si ha al momento della nascita;

POSTNATALI: la causa del danno è riscontrabile dopo la nascita della persona; Qualsiasi malformazione o evento dannoso obbliga il sistema del corpo ad avere degli adattamenti per sopperire al danno e nei confronti dell’ambiente esterno, il quale dovrà conseguentemente inviare stimoli differenti in quanto la percezione degli stimoli risulta compromessa o comunque inadatta alla normalità dell’ambiente; definiamo quindi FUNZIONE come l’espressione degli adattamenti ad un danno, ad una disabilità, o ad una patologia di una persona nei confronti degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno o dalle necessità interne della

(24)

23

persona in quel dato momento. Occorre, tuttavia, distinguere gli ADATTAMENTI

INTERNI e gli ADATTAMENTI ESTERNI.

3.1 GLI ADATTAMENTI INTERNI

Per adattamenti interni si intendono meccanismi del nostro sistema corporeo che sono in grado di modificare, aumentare o diminuire la funzionalità sistemica in base agli stimoli provenienti dall’esterno o dalle necessità del nostro organismo in base alla circostanza o ad un eventuale danno presente. Sono diversi i meccanismi e i fenomeni del nostro organismo che sono in grado di esprimere questa malleabilità dell’intero sistema; uno dei più importanti è il fenomeno della PLASTICITA’, una caratteristica delle nostre strutture corporee che permette, a seguito di stimoli adeguati, a esse stesse di aumentare, modificare la loro funzionalità e le loro caratteristiche morfologiche, le quali possono avere o meno delle manifestazioni visibili dall’esterno. Un corretto allenamento, ad esempio, crea a livello del distretto muscolare un aumentato numero e volume delle fibre muscolari, quindi una maggior IPERTROFIA e IPERPLASIA, riscontrabile esternamente in una maggiore espressione di un aspetto corporeo ECTOMORFO, ENDOMORFO o MESOFORMO in base alle caratteristiche della persona e della sua predisposizione al miglioramento ipertrofico, ma avremo anche una maggiore espressione delle varie capacità coordinative e condizionali, dalla semplice coordinazione inter/intramuscolare all’espressione di velocità, resistenza e forza. Esistono fenomeni di plasticità anche a livello del sistema nervoso, come per esempio a livello del tessuto neuronale; sebbene quest’ultimo sia un TESSUTO PERMANENTE, quindi non soggetto a rinnovamento cellulare, corretti stimoli possono aumentare grandezza, volume delle singole cellule e anche un accelerato flusso di informazioni entranti e uscenti dal corpo cellulare; esistono sistemi di adattamento nel momento in cui è presente un danno cerebrale, come ad esempio il sistema di SELEZIONE NEURONALE: se una regione di neuroni cade in disuso o è

(25)

24

poco utilizzata perché la loro funzionalità è poco richiesta, queste saranno riadattate ad una funzionalità o maggiormente espressa o ad una funzionalità necessaria ma persa a seguito di un danno ipossico o necrotico. E’ possibile avere adattamenti a livello del midollo spinale, il quale nel canale ependimale presenta cellule staminali totipotenti che vengono rilasciate a seguito di stimoli esterni e possono compensare o sostituire cellule andate in apoptosi o intere regioni soggette a danno.

Adattamenti interni si hanno anche quando si ha a che fare con una patologia, e di conseguenza avremo differenti espressioni di questi meccanismi; nel caso del MdP, ad esempio, a causa della deplezione di dopamina e delle alterazioni delle funzionalità neuronali, avremo come adattamenti:

ALTERAZIONE DELLE FUNZIONALITA’ delle varie aree cerebrali;

IPERTONO DEI MUSCOLI ANTIGRAVITARI;

e saranno espressi esternamente con una errata postura, un errato modo di camminare e conseguenze anche a livello di capacità di organizzazione discorsiva e a livello di azioni e delle loro programmazioni.

3.2 GLI ADATTAMENTI ESTERNI

Per adattamenti esterni intendiamo:

Le manifestazioni esterne degli adattamenti interni del nostro organismo;

Come può essere adattato l’ambiente in base alla persona che si ha davanti e alle

(26)

25

Nel primo caso si tratta delle manifestazioni estrinseche delle varie funzionalità corporee, risposte dello stato fisiologico o patologico del nostro organismo; in caso di normofisiologia le risposte dagli stimoli esterni saranno anch’esse nella norma, mentre nel caso di danni e patologie si potrà avere una vasta gamma di risposte a tali fonti in base a entità, sede del danno e functio lesa; come precedentemente detto, infatti, FUNZIONE è da intendersi come il rapporto di corrispondenza biunivoca che esiste tra la patologia e la persona affetta da essa e tra la persona e l’ambiente esterno.

Conseguentemente a ciò, non è detto che la persona disabile/affetta da patologia si trovi a suo agio e capace di esprimere le proprie capacità in un ambiente standard in quanto potrebbe risultare inadatto o comunque troppo sviluppato per la persona in questione; dovendo, infatti, garantire maggiore autonomia possibile, oltre che un migliore stato di salute psico-motoria, una strada possibile di intervento, associata alle varie terapie dei vari specialisti, potrebbe essere intervenire a livello dell’ambiente esterno rendendolo più idoneo possibile alle varie problematiche mettendo in condizioni anche questi soggetti patologici o disabili, più o meno gravi, di esprimere le loro potenzialità al massimo in un contesto a loro adeguato e, inserendo le varie strade riabilitative in questo ambiente, aumentare la risposta efficace e quindi adattamenti positivi per il miglioramento della salute e dello stato di autonomia di questi soggetti. L’ambiente può essere modificato, ad esempio, nei vari sistemi che lo compongono, andando quindi ad intervenire su quelli che vengono definiti CUES SENSORIALI : si tratta di fonti le quali attivano nelle varie persone una risposta a livello dei 5 sensi, da coordinare a livello centrale e, successivamente, con una risposta a livello periferico; quindi, rendendo questi CUES i più adatti possibili alle varie patologie e alle varie esigenze delle persone, sarà più facile instaurare un percorso terapeutico riabilitativo con questi soggetti, ponendo sempre ed esclusivamente al centro dei nostri interventi non tanto la patologia o la disabilità, bensì il soggetto e le sue necessità.

(27)

26

3.3 I CUES SENSORIALI

Come esposto sopra, si definiscono CUES SENSORIALI sono stimoli provenienti da fonti ambientali che creano, coordinate ed elaborate a livello centrale risposte più o meno efficaci del nostro organismo, non solo a livello motorio ma anche a livello umorale e periferico.

Una modificazione dell’ambiente attraverso l’analisi e la somministrazione dei vari cues sensoriali può essere una strategia innovativa di intervento, la quale potrebbe permettere di porre al meglio al centro delle varie terapie i soggetti perché tutto andrebbe in funzione di questa corrispondenza biunivoca uomo-ambiente e permetterebbe di creare un contesto idoneo per queste persone e per soddisfare al meglio i loro bisogni di autonomia e salute psico-fisica. Modificare l’ambiente potrebbe essere fatto, se possibile, sfruttando anche quelli che sono i gusti, positivi e negativi, delle persone; a livello motorio, per esempio, è risaputo che maggiore è la motivazione che spinge una persona a svolgere attività fisica maggiori sono i feedback che la persona rilascerà e maggiori possono essere risultati a livello prestativo; modificando questo concetto per l’attività motoria adattata, in caso di patologia o disabilità, modificare l’ambiente attraverso le fonti sensoriali che contiene permette a questi soggetti di partecipare attivamente, quando possibile, all’attività che stanno praticando e, se focalizzati sui gusti delle persone o comunque sui gusti della maggior parte dei componenti del gruppo (va ricordato infatti che l’AFA nasce come attività di gruppo) si può anche valutare quanto l’attività motoria possa essere incentivata o allontanata in base allo stimolo presentato.

Analizzando l’idea attraverso i 5 sensi, ipotizzando non solo il corretto funzionamento di essi, ma anche di avere un ambiente a propria disposizione, si potrebbe, ad esempio, ricreare un ambiente quanto più casalingo possibile al fine di stimolare l’attenzione e la partecipazione dei soggetti, oppure proporre fonti diverse senso per senso:

(28)

27

TATTO: percezione podalica di superfici diverse al fine di recuperare informazioni latenti e garantire più equilibrio possibile;

UDITO: melodie più o meno gradite non solo danno ritmo all’attività motoria ma possono incentivare o meno la pratica motoria;

VISTA: porre fonti sensoriali su diverse altezze simulando una vita più casalinga e autonoma possibile, come ad esempio prendere un bicchiere da una mensola;

OLFATTO: aromi più o meno graditi dalle persone per renderle più partecipi;

GUSTO: sfruttare alimenti più o meno graditi dalle persone per incentivare loro a svolgere esercizio, associabile anche al classico concetto di PREMIO; (questo sarebbe da combinare con la VISTA al fine di simulare attività casalinghe e quotidiane).

La modificazione ambientale può anche avvenire gradualmente, al fine di valutare step by step i progressi o le fasi di stallo del protocollo. L’obiettivo di una seduta di attività fisica adattata è, nel lungo termine, cercare di restituire a soggetti patologici o disabili, una loro autonomia al fine di garantire a loro quanto più possibile una vita sociale; sfruttando i CUES SENSORIALI e modificando l’ambiente in modo adeguato si potrebbe andare anche oltre questo concetto, riproducendo un contesto simile a quello in cui il soggetto vive che fornisce quanti più stimoli motivazionali per quest’ultimo per indurlo a maggiori miglioramenti già nel medio termine; il pensiero dei laureati magistrali in Scienze Motorie, prescrivendo attività fisica, non deve limitarsi solo all’aspetto prestativo sportivo, ma nella maggior parte dei casi deve ricadere nella quotidianità della vita di tutti i giorni, nelle sue azioni e nei suoi ritmi, perché in questo settore possono aprirsi sempre nuove strade e strategie di intervento motorio.

(29)

28

3.3.1 I CUES SENSORIALI NEL MORBO DI PARKINSON

La deplezione di dopamina tipica del morbo di Parkinson, a livello motorio, causa non solo IPERTONO FLESSORIO e tremore a riposo, ma anche BRADICINESIA, FESTINAZIONE E FREEZING; tutto questo viene racchiuso nel concetto di postura camptocormica, la quale prevede : TRONCO E CAPO IN LIEVE FLESSIONE, ARTI SUPERIORI ADDOTTI CON SPALLE ANTEPOSTE E AVAMBRACCI LEGGERMENTE INTRARUOTATI, E ARTI INFERIORI ADDOTTI CON COSCE IN SEMIFLESSIONE SUL TRONCO; trattandosi di un quadro progressivo, è opportuno intervenire il più precocemente possibile, restituendo dapprima motricità al soggetto (compito del fisioterapista) e poi mano a mano coadiuvarlo con i nostri protocolli di attività fisica adattata, destinati al rallentare il progredire della malattia.

Detto ciò, ipotizzando una modificazione dell’ambiente come quella citata nel capitolo precedente, è possibile ipotizzare lo scopo di ogni CUES SENSORIALE somministrato al soggetto durante l’attività motoria:

TATTO: essendo deficitaria la dinamica del passo a causa del baricentro in posizione troppo interiorizzata e del deficit di forza a livello degli arti inferiori, una percezione di superfici diverse può aiutare il soggetto, successivamente ad un primo intervento di ripristino della corretta camminata, a recuperare informazioni latenti di coordinazione grezza e fine al fine di diminuire il rischio di cadute dovute ad una scorretta postura;

UDITO: dare il giusto ritmo alla seduta può facilitare ai soggetti parkinsoniani esercizi di recupero della lateralità, ma anche in altri aspetti (come ad esempio il recupero della corretta dinamica di passo);

OLFATTO E GUSTO: questi possono essere usati al fine di incentivare la motivazione dei soggetti a svolgere in maniera partecipe e continuativa nel tempo le sedute di attività fisica adattata;

(30)

29

VISTA: porre oggetti o altre fonti di stimolo sensoriale su ripiani di diverse altezze può essere un ottimo coadiuvante di esercizi di coordinazione oculo-manuale per aiutare il soggetto a avere una migliore percezione dello spazio attorno a sé;

Quando si tratta una patologia degenerativa che ha come adattamento una postura scorretta, bisogna considerare due fattori importanti tra loro collegati: il fattore FRAGILITA’ DEL SOGGETTO, a prescindere dall’età (anche se maggiore è l’età maggiore sarà la fragilità mostrata), e il fattore RISCHIO CADUTE.

Un parkinsoniano, infatti, avendo una postura e una camminata compromessa avrà una maggiore incidenza di cadute, quindi un aumentato rischio di andare incontro a traumi invalidanti.

Il compito dell’attività fisica adattata, quindi, dovrà avere come scopo secondario la riduzione dell’incidenza di cadute; lavorare simultaneamente, nel corso del tempo, sul recupero di informazioni latenti a livello sensoriale attraverso la modificazione e la somministrazione di adeguati CUES SENSORIALI e sul recupero di capacità coordinative e condizionali potrebbe essere una strada di intervento completa per cercare di aiutare il più possibile persone affette da MdP e provare a rallentare quanto più possibile il progredire di questa malattia. Naturalmente l’intervento non sarà coordinato solo dal laureato in Scienze Motorie; occorre quindi analizzare che tipo di approccio e le figure professionali che intervengono nel MdP; non si ha più l’intervento di una sola figura medica che dopo la diagnosi coordina la terapia in ogni suo aspetto, ma avremo bensì più specialisti che intervengono nei loro settori, inerenti alla patologia, per aiutare i soggetti al raggiungimento del grado più alto possibile di autonomia e di salute psico-motoria.

(31)

30

4. L’APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE RIABILITITATIVO

Come per ogni patologia o disabilità, per il MdP è consigliato un approccio multidisciplinare che preveda l’intervento simultaneo di più figure professionali al fine di analizzare ogni aspetto della fisiopatologia del MdP e dei soggetti che ne soffrono; una strada di intervento corretta, è data dal contributo di più specialisti che, collaborando tra di loro, cercano di delineare la via più corretta di intervento, pensando nel breve-medio termine e tenendo quindi conto dei possibili peggioramenti del quadro clinico dei soggetti.

Patologie come il MdP non possono essere previste prima della comparsa dei sintomi, quindi è impossibile lavorare a livello preventivo nelle fasce d’età precedenti a quella di insorgenza; tuttavia, a parità di grado di gravità della patologia, il soggetto con un bagaglio motorio più ampio e con uno stile di vita più regolare (attivo, con alimentazione adeguata e con la giusta dose di attività motoria praticata) sarà in grado di affrontare la degenerazione data dalla malattia in modo più lento e contrastarla maggiormente rispetto a chi da sempre ha avuto uno stile di vita sedentario con poca attività motoria praticata e alimentazione inadeguata.

4.1 IL NEUROLOGO

Il neurologo è la prima figura professionale che interviene nel momento in cui il soggetto lamenta il primo sintomo, che quasi sempre è il tremore a riposo; spesso possono anche essere fatte diagnosi al seguito di internazioni ospedaliere ed esami strumentali dovuti a traumi da cadute inspiegate, con conseguente intervento del geriatra che si consulta con il neurologo per la terapia farmacologica da prescrivere in seguito ad analisi del grado di gravità della malattia. Sarà quindi prescritta una medicina che reintegri la dopamina, minore a livello dei nuclei della base, anche se sarà somministrata sotto forma di L-DOPA, suo precursore (es. farmaco

(32)

31

DOPAMAR); gli effetti di questa terapia saranno positivi nel breve- medio termine, mentre nel lungo termine questo precursore dopaminergico risulta essere tossico per l’organismo, a tal punto da causare DISCINESIE; quindi una strada alternativa che spesso viene proposta è la somministrazione di agonisti della dopamina che attivano i recettori oppure di anticolinergici (es. BENZATROPINA) con il compito di diminuire tremore a riposo e distonie laddove sono presenti.

E’ da ricordare che il MdP non sorge in modo simmetrico, ma a la sua sede originale in un emilato solo e poi nel tempo va ad intaccare quello opposto; molto spesso è un trauma ad evidenziare o ad accelerare la manifestazione della malattia, e l’arto che presenta il trauma sarà il primo che manifesterà il tremore a riposo. Sarà opportuno quindi coinvolgere il fisioterapista, con il compito di restituire motricità perduta o introdurre attività motoria post-diagnosi.

4.2 IL FISIOTERAPISTA

Il fisioterapista viene coinvolto dal geriatra e dal neurologo, a seguito di diagnosi di MdP o di quadro di parkinsonismo, per permettere al soggetto di iniziare un protocollo di attività motoria che cominci a restituire motricità al soggetto stesso e per iniziare a restituirgli autonomia di movimento; avendo a che fare con ipertono flessorio e un ipertono dei muscoli antigravitari, sarà compito del fisioterapista recuperare in questi soggetti il RoM articolare, far svolgere al soggetto allungamento muscolare per recuperare la piena lunghezza del ventre del muscolo e prepararlo alla prima fase di recupero delle capacità coordinative e condizionali.

4.3 IL LAUREATO MAGISTRALE IN SCIENZE MOTORIE

In seguito alla prima fase di recupero motorio, il laureato magistrale in scienze motorie può intervenire coadiuvando il fisioterapista nel recupero delle capacità

(33)

32

coordinative e condizionali; la principale capacità da coordinare è la forza resistente, perché l’organismo deve essere in grado non solo di compensare una sarcopenia fisiologica dovuta all’età avanzata, ma anche di far fronte al declino fisico dovuto alla patologia.

Andranno quindi proposti esercizi di recupero degli schemi motori di base, in particolare quelli crociati, esercizi di coordinazione oculo-manuale e oculo-podalica al fine di far fronte all’elevato rischio di cadute; dovrà essere ripristinata una tecnica di passo adeguata per evitare un peggioramento nel breve termine della destinazione.

Un soggetto parkinsoniano, però, va anche tenuto motivato perché facilmente soggetto a depressione e facilmente al minimo ostacolo si blocca e diventa del tutto incapace di compiere qualsiasi altro movimento (fenomeno del FREEZING); mantenendo elevato il suo grado di interesse saranno maggiori i feedback del soggetto e sarà più incentivato nel svolgere le sedute di attività fisica.

5. LA PROPOSTA DEL MIO PROTOCOLLO.

Il mio obiettivo è quello di proporre un protocollo AFA per il Morbo di Parkinson che unisce l’importanza dell’attività motoria e la modificazione dell’ambiente in cui il soggetto vive o comunque svolge attività; l’idea, come scritto nei paragrafi soprastanti, nasce dalla consapevolezza che un ambiente che dia stimoli adeguati al soggetto e alla patologia che presenta e che una persona costantemente motivata possa presentare non solo maggiore interesse in una partecipazione attiva e duratura nel tempo alle sedute di attività motoria, ma anche possa ottenere miglioramenti maggiori nel breve-medio termine, a prescindere dalla prescrizione di una terapia farmacologica; bisogna quindi dare molta importanza all’attività fisica in caso di disabilità e di patologia perché assume un ruolo nuovo: prende sempre più campo la visione dell’attività fisica come un FARMACO DA

(34)

33

PRESCRIVERE per la salute psico-motoria del soggetto a cui è prescritta; inoltre se l’esercizio fisico viene svolto in modo corretto, adeguato, secondo la giusta frequenza, volume e intensità si può dire che possa diciamo coadiuvare la terapia farmacologica a tal punto da quasi sostituirla.

Una modificazione dell’ambiente, del contesto e dei CUES SENSORIALI da essi provenienti non solo aumenta la partecipazione diretta dei soggetti, ma aumenta la prospettiva di restituire al soggetto parkinsoniano nel più breve tempo possibile quella autonomia motoria per la vita di tutti i giorni; tale modificazione, associata a corretti e adeguati esercizi di attività adattata, mira a:

RECUPERO DELLE CAPACITA’ COORDINATIVE E CONDIZIONALI (in particolare la

forza resistente);

RECUPERO DELLA CORRETTA PERCEZIONE DELLO SPAZIO CIRCOSTANTE (far

fronte all’elevato rischio di cadute dato dalla scorretta postura e scorretta

dinamica di passo);

POSSIBILE SFRUTTAMENTO DEI GUSTI delle persone trattate (incentivare la loro

partecipazione attiva alle sedute simulando anche il più possibile un contesto a loro gradito);

Per ottenere i risultati sperati dati da esercizi di recupero di Forza, RoM articolare, flessibilità e resistenza allo sforzo (ricordiamo infatti che il MdP nel tempo comporta anche un errato metabolismo ossidativo nelle persone che ne soffrono, con conseguente comparsa precoce di FATIGUE muscolare e di incapacità di mantenere per un tempo prolungato lo sforzo) il protocollo deve prevedere minimo una frequenza di 3 volte settimanali, con una durata di 60 minuti per seduta, nei quali sono incluse già la fase di attivazione e di defaticamento muscolare.

(35)

34

L’ipotesi teorica completa da me attuata prevedrebbe un gruppo di minimo di 10 persone da suddividere in due gruppi da 5 l’uno e proporre ad uno il protocollo senza fonti sensoriali e ad un altro il protocollo con i CUES SENSORIALI al fine di, passato un periodo di minimo 2 mesi, incrociare i protocolli e verificare la presenza di eventuali miglioramenti. Per fare ciò è opportuno anche attuare uno screening dei soggetti trattati al fine di:

VALUTARE IL PUNTO DI PARTENZA DEI SOGGETTI A LIVELLO PSICO-MOTORIO;

CREAZIONE DEI GRUPPI sfruttando una ipotetica media dei risultati ottenuti;

RIPROPORRE TALE SCREENING DOPO GLI IPOTETICI 2 MESI e dopo l’incrocio dei

protocolli;

Come indicato nel par. 2.4, gli stadi da trattare sarebbero il terzo ed il quarto in quanto non si è ancora arrivati all’invalidità completa e si tratta di condizioni ancora reversibili nel medio termine al fine di rallentare il raggiungimento del V stadio.

5.1 LO SCREENING

Si tratta di un primo controllo e di una prima valutazione dei soggetti che vanno trattati; è importante perché, a parità di patologia, il MdP si manifesta con adattamenti differenti ad personam quindi si potrebbero avere diversi livelli cognitivi e motori di partenza, e da qui la necessità di avere un primo quadro generale di inizio lavoro. Saranno quindi sottoposti dei test ai soggetti trattati, e in particolare ne saranno eseguiti di due tipi:

(36)

35

MOTORIO: valuta la gravità dei sintomi motori patologia-dipendenti e il grado di motricità dei soggetti.

5.1.1 LO SCREENING NEUROLOGICO

Si tratta di uno screening svolto in ambito ospedaliero ed è compito del neurologo e del geriatra svolgere questo controllo; vengono somministrati dei test standard per valutare il livello cognitivo e il grado del MdP:

MDS-UPDRS (Movement Disorder Society-Sponsored Revision of the Unified

Parkinson’s Disease Rating Scale): si tratta di un test approvato dalla MDS per

valutare la gravità del Morbo di Parkinson, ed è suddiviso in 4 parti: - PARTE 1: esperienze non motorie di vita quotidiana;

- PARTE 2: esperienze motorie di vita quotidiana; - PARTE 3: esame motorio;

- PARTE 4: complicazioni motorie (es. discinesie e fluttuazioni motorie);

Ha una durata complessiva di 30 minuti e ogni parte viene valutata tramite questionario nel quale il soggetto o chi per lui dovrà inserire, in base ai segni e sintomi riportati, un punteggio da 0 a 4 dove il primo indica l’assenza di sintomi particolari e il secondo indica una gravità visibile di quanto sopra esposto; in particolare:

- 0: indica uno stato normofisiologico;

- 1: indica una presenza di sintomi e segno con frequenza molto bassa tali da non incidere sulle funzioni;

- 2: aumenta la frequenza di presenza dei sintomi e cominciano le prime compromissioni funzionali;

(37)

36

- 4: la sintomatologia è tale da garantire vari quadri di FUNCTIO LESA;

Questo esame sostituisce il vecchio UPDRS, il quale secondo la comunità scientifica risultava essere incompleto e poco specifico; questo, invece, così strutturato, rende soggetti e i loro familiari di dare ai medici curanti un quadro completo non solo delle funzioni cognitive e motorie, ma anche di fornire un minimo quadro della loro vita quotidiana al fine di poter capire come il parkinsoniano sia inserito nell’ambiente in cui vive e quali aspetti per lui siano oggetto di difficoltà.

Tale interessamento verso ogni sfera del soggetto può essere osservata attraverso le domande che questo test offre ai soggetti: dall’impegno cognitivo (CALI DI ATTENZIONE, DIFFICOLTA’ A PARLARE), a quadri di psicosi e allucinazioni, alla valutazione di un eventuale stato depressivo/ansioso all’analisi di problematiche nel ciclo sonno-veglia e percezione del dolore nell’arco della giornata; a livello motorio l’analisi comincia dalla vita quotidiana, studiando attività come vestirsi, svolgere hobby e altre attività, fenomeni di freezing durante la camminata, per poi indirizzarsi ad un’analisi più dettagliata e segmentaria degli arti, come per esempio i movimenti delle mani e le loro prono-supinazioni, l’agilità di gambe e il sapersi alzare da una sedia, ma anche il loro stato posturale e il quadro di globale bradicinesia.

L’ultimo parametro valutato, ancora più dettagliatamente, è la presenza del tremore a riposo tipico del MdP e la valutazione della sua diminuzione nel momento in cui viene presentato al soggetto anche il più banale compito motorio da svolgere.

(38)

37

(FIG. 5.1.1.1 Estratto TEST MDS- UPDRS)

FREEZING OF GAIT (FOG-Q): si tratta della valutazione di quanto questo sintomo sia invalidante per un soggetto che lo presenta; a parità di sintomo, tuttavia, cambiano le manifestazioni e quindi si avranno quadri diversi ad personam; vengono valutati diversi aspetti per valutare il FREEZING:

- Severità della compromissione della funzione motoria; - Input visivi;

(39)

38

Ai soggetti viene somministrato un questionario nel quale si trovano domande inerenti alla qualità della vita quotidiana, in particolare del movimento e di eventuali cadute; si può dire quasi che il FOGQ come test completi quanto chiesto dal nuovo MDS-UPDRS: si può quindi spiegare per esempio come il fenomeno del FREEZING invalidi l’aspetto motorio e cognitivo valutati dall’UPDRS;

TEST OLFATTIVO: è stato dimostrato dalla comunità scientifica che valutare la funzionalità dell’olfatto ai primi segni di decadimento funzionale può essere un marker per indicare una predisposizione al MdP; non è possibile naturalmente prevedere quando insorgerà la patologia ma si può intervenire molto precocemente valutando l’IPOSMIA di un probabile parkinsoniano; la somministrazione di rapidi stimoli sensoriali olfattivi può diagnosticare una disfunzione sensoriale più o meno accentuata; è da tenere presente che gli odori somministrati ai soggetti, per dare risultati attendibili, devono appartenere il background famigliare e culturale di derivazione del parkinsoniano.

5.1.2 LO SCREENING MOTORIO

Vengono proposti test di natura motoria ai soggetti trattati al fine di valutare il loro punto di partenza prima dell’inizio del protocollo, e capire se sia necessario prima un intervento esclusivo del fisioterapista o se iniziare già a coadiuvare i due interventi differenti e associarli alle figure mediche di riferimento; analizzati i sintomi principali della patologia possono essere somministrate della valutazioni specifiche che valutino le funzioni maggiormente compromesse dal MdP:

6 MIN. WALKING TEST SENSIBILIZZATO: al soggetto viene chiesto di camminare ad un ritmo da lui scelto per valutare la tempistica di insorgenza della fatica ed altre problematiche; la necessità di applicare questo test deriva non solo dalla necessaria valutazione della dinamica di passo, molto compromessa dal MdP, e

(40)

39

dall’atteggiamento posturale camptocormico tipico della patologia, nel quale rientra la FESTINAZIONE, ossia l’inseguimento verso l’avanti del proprio baricentro e quindi una dinamica ancora più errata di camminata e una maggiore possibilità di incorrere in cadute e essere soggetti a eventi traumatici. Tuttavia il MdP, come specificato precedentemente, ha come conseguenza un errato metabolismo ossidativo, causante un’insorgenza precoce della fatica, e fenomeni più o meno gravi e frequenti di freezing, quindi non verranno chiesti 6 minuti di camminata interrotta, bensì una tempistica minore; sarebbe utile anche, per una valutazione completa e accurata, l’applicazione e l’utilizzo di un sensore di camminata: la sua utilità deriva dal fatto che, avendo a che fare con atteggiamenti posturali errati e insorgenza precoce di fatica muscolare, è possibile valutare nel tempo tramite strumentazione eventuali modificazioni date dallo sforzo in corso che vanno a incidere sulla frequenza e sulla velocità del passo, ma anche sul baricentro, e capire altre eventuali problematiche articolari o di lunghezza di arti con l’utilizzo di una pedana baropodostabilometrica se presente.

TEST DI MINGAZZINI SENSIBILIZZATO: si tratta di una manovra semeiologica applicata per valutare eventuale paresi o semplice ipertono degli arti superiori; al soggetto viene chiesto di stare in posizione eretta ad occhi aperti (in quello standard si sta a occhi chiusi) e tenere le braccia completamente estese con angolo di 90° rispetto al tronco, con dita completamente estese ed aperte e palmi delle mani verso il pavimento; il test è NEGATIVO se riesce a mantenere la posizione per almeno 45 , altrimenti se nell’intervallo 0-45 un arto cade improvvisamente o si comincia ad avere una flessione progressiva dell’avambraccio sul braccio, la manovra deve considerarsi POSITIVA. Se il soggetto lamenta deficit di forza il test è da considerarsi negativo, e può essere maggiormente sensibilizzato indirizzando i palmi verso l’alto.

Gli occhi rimangono aperti perché il soggetto è, a causa della condizione camptocormica, maggiormente soggetto a cadute, e con baricentro spostato e

(41)

40

quindi eliminare input/output visivi significa aumentare, pur fornendo sussidi e sostegni, l’incidenza di eventi traumatici e rischiare anche di falsare il risultato del test a causa della paura e della condizione psicologica precaria del soggetto trattato. Altra via di sensibilizzazione del test è la diminuzione del tempo di mantenimento della posizione da 45 a 30 secondi.

(FIG. 5.1.2.1 positività arti superiori MINGAZZINI)

(42)

41

TEST DI ROMBERG: valuta lo stato di equilibrio e propriocettivo del soggetto mediante ondulazioni del baricentro durante la stazione eretta ad occhi aperti e poi ad occhi chiusi; il test è da considerarsi positivo se, privato degli stimoli visivi, il soggetto tende all’instabilità e alla caduta: parliamo di ATASSIA VESTIBOLARE.

(FIG. 5.1.2.3 TEST DI ROMBERG)

MARCIA DI FUKUDA ASSISTITA: si tratta di una marcia effettuata sul posto ad occhi chiusi con le braccia protese verso l’avanti; il test è da ritenersi positivo se durante la marcia il soggetto tende ad andare verso un lato, dimostrando una predominanza di un lato rispetto all’altro; per il MdP può essere utile per capire quale emilato possa essere maggiormente interessato dal tremore e con che intensità nel tempo;

(43)

42

CHAIR STAND TEST: il soggetto, per una durata di 30 secondi, deve alzarsi più volte da una sedia senza ausilio dei braccioli; questo test mira a valutare la forza degli arti inferiori nell’affrontare un’azione della vita quotidiana, adattabile poi ad altre come salire e scendere le scale. Essendo valutata la forza, può essere utile un dinamometro per avere valori numerici e per verificare dopo il primo periodo riabilitativo se sono stati ottenuti miglioramenti o no;

(FIG. 5.1.2.4 esecuzione CHAIR STAND TEST)

(44)

43

TEST DI TINETTI DELL EQUILBRIO: valuta la capacità di equilibrio e di cammino dei soggetti; è composta di due parti, una inerente all’equilibrio e una all’andatura, e ciascuna ha il suo range di punteggio (0-16 per l’equilibrio, 0-12 per l’andatura). E’ importante perché molto precisa e quindi può fungere da indicatore per il rischio cadute dei soggetti a cui viene sottoposto questo test.

I soggetti possono raggiungere un punteggio da 0 a 28 il quale ci permette di capire il grado di stabilità e di locomozione dei soggetti.

(45)

44

(46)

45

A questi screening effettuati si aggiunge un esame morfologico e funzionale per valutare al meglio le caratteristiche psico-fisiche dei soggetti e vedere i vari deficit dell’apparato locomotore non patologico-dipendenti.

Una volta ottenute le varie informazioni le persone potranno essere suddivise nei 2 gruppi precedentemente ipotizzati, uno a cui verranno sottoposti anche i CUES SENSORIALI, l’altro a cui sarà sottoposto solo il protocollo di attività motoria adattata, ipotizzando un periodo minimo di 8 settimane per indurre i primi adattamenti.

Dopo questi 2 mesi si può incrociare invertendo i protocolli da somministrare per un periodo di 6 settimane e verificare se effettivamente modificare l’ambiente nelle fonti sensoriale che propone può incentivare i miglioramenti dati dall’esercizio fisico e renderlo partecipe del contesto in cui vive, anche a livello di interazione sociale.

5.2 L’ATTIVITA’ MOTORIA ADATTATA

Avendo a che fare con una patologia cronico-degenerativa, lo scopo dell’attività fisica da prescrivere è quello di far fronte a tale malattia e di rallentare il declino sia cognitivo sia motorio; saranno diversi gli aspetti da trattare e quindi molti gli esercizi da proporre, pur tenendo presente che l’intensità dell’esercizio è di livello aerobico (non oltre il 55% del VO2 max dei soggetti) con una frequenza minima di 3 volte settimanali affinché il lavoro svolto sia efficace; sarà importante il ripristino della propriocezione e dell’equilibrio, contrastare l’atteggiamento camptocormico, con le sue conseguenze, e allenare il parametro FORZA RESISTENTE per dare a questi soggetti più possibilità di avere quanta più autonomia possibile.

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

Il pasto attiva il riflesso gastro-ileale il quale intensifica la peristalsi nell’ileo che promuove il rilasciamento dello sfintere ileocecale ed il passaggio di chimo nel colon.

• Il livello di data link organizza una struttura nei dati trasmessi dividendoli in frame o trame e provvede alla trasmissione in modo corretto di tali frame. PRINCIPALI

Dividiamo i bambini in due squadre che si dispongono in fila indiana, il primo della fila passa la palla all’indietro sopra la testa; il bambino dietro di lui la afferra e

• Il grado di accessibilità e di fattibilità di determinati eventi dipende dalla percezione qualitativa che ciascuno di noi ha delle proprie capacità e abilità, tanto è

Non ti accorgi che allungando verso il basso il braccino della “o” hai eseguito una strada più lunga di quanto occorra, trasformando quindi la “o”in “a”. La

Le stime teoriche sono state eseguite sia con l’utilizzo dei fattori α 24, e confrontate con le medie sulle 24 ore delle misure in continuo, sia con la potenza dichiarata in progetto,

- Merritt MA, Cramer DW, Missmer SA, Vitonis AF, Titus LJ, Terry KL.Dietary fat intake and risk of epithelial ovarian cancer by tumour histology. - Jiang PY, Jiang ZB, Shen KX,