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La gestione della liquidita' bancaria

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Academic year: 2021

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La gestione della liquidità bancaria

Introduzione

Capitolo 1. L’equilibrio finanziario nelle banche: tratti distintivi e processi

evolutivi

1.1) Introduzione all’equilibrio finanziario nelle banche 1.2) L’identificazione dei flussi finanziari e la loro gestione

1.3) Breve analisi della letteratura in materia di gestione della liquidità 1.4) Prassi di gestione della liquidità e tendenze evolutive

1.4.1) Teoria dell’autoliquidabilità e sincronizzazione delle scadenze 1.4.2) La teoria della trasferibilità

1.4.3) Liability management

1.4.4) Asset and liability management

1.5) La crisi finanziaria: cause scatenanti ed errori gestionali 1.5.1) Cause

1.5.2) Errori gestionali e relative conseguenze

Capitolo 2. Tesoreria e liquidità: definizioni, aspetti operativi e nessi di

complementarietà

2.1) Introduzione

2.2) I criteri guida in materia di gestione della liquidità 2.3) La tesoreria

2.3.1) Aspetti e concetti operativi 2.3.2) I compiti della tesoreria 2.3.3) Il sistema dei pagamenti

2.4) La gestione della liquidità

Capitolo 3. Principali strumenti operativi in materia di gestione della

liquidità: caratteristiche, opportunità e rischi

3.1) Operazioni in contropartita con la Banca Centrale Europea (BCE)

3.1.1) Operazioni di mercato aperto

3.1.2) Operazioni su iniziativa delle controparti (controllo dei tassi d’interesse ufficiali)

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2 3.2) La mobilizzazione della riserva obbligatoria

3.3) Le riserve di liquidità: scorte monetarie e flussi attivabili 3.4) La cartolarizzazione

3.5) I pronti contro termine passivi 3.6) Le obbligazioni bancarie 3.7) Il mercato interbancario

3.7.1) Il ruolo del mercato interbancario alla luce della crisi finanziaria

3.7.2) Caratteristiche tecniche del mercato interbancario

Capitolo 4. Strumenti di gestione della liquidità: evoluzione nel tempo

4.1) Considerazioni di carattere generale

4.2) Obbligazioni

4.3) Pronti contro termine

4.4) Rifinanziamento presso l’Eurosistema 4.5) Cartolarizzazioni

4.6) Riserve e scorte finanziarie 4.6.1) Riserve

4.6.2) Titoli

Conclusioni Bibliografia

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INTRODUZIONE

Le recenti turbolenze ravvisate nel post-crisi sui mercati monetari e dei capitali hanno dimostrato, tra le altre cose, l’importanza, per la stabilità di ogni singola banca e conseguentemente dell’intero sistema finanziario, di una responsabile e corretta gestione della liquidità e del rischio di liquidità.

Si tratta di un argomento abbondantemente affrontato nel passato, ma che negli ultimi anni non ha ricevuto l’attenzione necessaria risultando sovente trascurato. Negli ultimi decenni, infatti, i mercati sono stati caratterizzati da elevatissimi livelli di liquidità che da un lato hanno reso molto semplice per le istituzioni finanziarie il reperimento delle risorse monetarie ritenute necessarie e dall’altro hanno incentivato gli intermediari a un sempre maggiore utilizzo di strumenti finanziari innovativi.

Tutto ciò ha comportato altresì importanti mutamenti a livello operativo e gestionale. I prestiti concessi alle famiglie sono diventati più liquidi grazie alla tecnica della cartolarizzazione dei crediti, i titoli scambiati sul mercato sono diventati più complessi e pericolosi, la raccolta è stata concentrata in proporzione sempre più marcata verso componenti all’ingrosso e a breve termine, come noto più volatili rispetto ai depositi al dettaglio. In altre parole, durante gli anni precedenti la crisi molte banche si sono abituate ad operare con uno sbilancio di scadenze molto consistente nonché con margini ridotti di disponibilità liquide, confidando infatti nella costante possibilità di reperire liquidità sul mercato facilmente e a costi contenuti.

Se da un lato le suddette condizioni del sistema creditizio hanno ampliato le soluzioni tecniche a disposizione degli intermediari (nazionali e non) per la gestione della liquidità, dall’altro lato esse hanno provocato una forte sottovalutazione dell’esposizione nei confronti di tale rischio.

La crisi americana dei mutui subprime iniziata a partire dal 2006 si è rapidamente estesa coinvolgendo numerosi operatori internazionali in virtù degli stretti legami tra i sistemi finanziari a livello mondiale.

Per effetto della perdita di fiducia nella liquidità degli intermediari creditizi, l’offerta di risorse liquide da parte delle controparti di mercato si è ridotta drasticamente, generando severi problemi di funding. Ne è conseguita una fase di recessione che ha messo in luce tutte le carenze nelle modalità con cui le varie banche gestivano la propria liquidità, sia in un’ottica di breve (tesoreria) che di medio-lungo termine (liquidità).

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4 Il sistema bancario italiano, seppur contagiato, ha risentito meno di altri della crisi di liquidità a livello internazionale, eminentemente per la presenza di alcune peculiarità che da sempre lo caratterizzano: la minore diffusione, rispetto al contesto internazionale, del modello originate to distribute ed il prevalente ricorso ai depositi della clientela quale principale fonte di raccolta.

Le autorità monetarie di ciascuno stato sono dovute intervenire tempestivamente per non aggravare la situazione dei rispettivi sistemi finanziari nazionali, vuoi ricorrendo a misure straordinarie di immissione di liquidità sul mercato vuoi provvedendo personalmente al salvataggio di istituzioni creditizie in difficoltà.

La crisi finanziaria ha reso evidenti non solo significativi fattori di fragilità sistemica insiti nella struttura dei mercati e nel modo di operare degli intermediari finanziari, ma anche alcune rilevanti criticità dell’impianto regolamentare internazionale. Il comitato di Basilea, riscontrate le carenze in materia di rischio di liquidità, è corso ai ripari introducendo due nuovi indici in materia di liquidità, il Liquidity Coverage Ratio ed il

Net Stable Funding Ratio, la cui entrata in vigore ha provocato e provocherà ancora

importanti modifiche nel modo in cui ciascun intermediario si rapporta alla gestione dei propri flussi finanziari in entrata ed in uscita.

Il presente lavoro tratta il tema della gestione dei flussi finanziari nelle banche mettendone in evidenza sia gli aspetti concettuali sia le implicazioni più prettamente operative. Il problema dell’equilibrio finanziario nelle banche viene descritto dettagliatamente nel primo capitolo, il quale, nell’ultima parte, prende in considerazione anche le cause della crisi dei mutui subprime ed le implicazioni che tale episodio ha avuto sulla regolamentazione internazionale in materia di liquidità bancaria.

Il secondo capitolo riprende ed approfondisce le tematiche della gestione della tesoreria e della liquidità, individuandone caratteristiche, diversità e nessi di complementarietà. La terza parte prende in rassegna i diversi strumenti operativi a disposizione della funzione finanziaria per gestire sia i naturali scompensi di liquidità giornalieri sia le problematiche della liquidità a medio-lungo termine, mettendone in luce sia le caratteristiche tecniche che le implicazioni strategiche.

L’ultimo capitolo si prefigge l’obiettivo di analizzare l’evoluzione, con riferimento agli anni del post-crisi, del modus operandi delle banche italiane nell’ambito della gestione dei propri flussi finanziari, cercando altresì di spiegare le motivazioni, sia di natura macroeconomica che regolamentare, alla base di tale trend.

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Capitolo 1

L’EQUILIBRIO FINANZIARIO NELLE BANCHE: CONCETTI INTRODUTTIVI E PROCESSI EVOLUTIVI

1.1) Introduzione all’equilibrio finanziario nelle banche

La gestione della liquidità rappresenta un aspetto fondamentale per l’equilibrio di qualsiasi tipo di impresa, anche non finanziaria, ma in ambito bancario assume un ruolo principe proprio per la peculiarità delle operazioni e delle funzioni svolte da tali intermediari all’ interno del sistema finanziario.

Nello svolgimento della funzione creditizia1, infatti, le banche realizzano una trasformazione delle scadenze che le porta ad avere una scadenza media dell’attivo superiore a quella del passivo in virtù dell’emissione di passività a vista che presentano gradi differenziati di stabilità e della contestuale acquisizione di attività finanziarie con scadenze più o meno lontane e conseguenti livelli differenti di rischiosità-rendimento. La natura di questa attività è difatti caratterizzata dalla negoziazione di operazioni di credito con durata prefissata finanziate soprattutto da passività a vista o (a scadenza indeterminata), passività i cui termini effettivi vengono determinati dalla clientela. Si viene a delineare così un’asincronia fra scadenze nominali ed effettive che è alla base dell’incertezza temporale dei movimenti in entrata e in uscita e, quindi, del problema della liquidità bancaria.

Le banche, in tale ottica, devono essere in grado in ogni momento di far fede ai propri impegni di pagamento in moneta legale, rispettando altresì condizioni di tempestività ed economicità ed operando così in condizioni di equilibrio di gestione, condizione essenziale per la vita e la vitalità di qualsiasi azienda2.

Soffermandosi proprio sul concetto di equilibrio di gestione, possiamo dire che con tale espressione si è soliti riferirsi a tre diverse componenti fisiologicamente interconnesse tra di loro: l’equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico (o reddituale).

Per equilibrio finanziario si intende la situazione che riflette la capacità dell’impresa di far fronte al flusso delle uscite monetarie con le proprie entrate, operando in modo tale da far sì che quest’ultime risultino costantemente superiori alle prime ed evitando così pericolose tensioni di liquidità. Il concetto di equilibrio finanziario è dunque

1 La definizione di attività creditizia è contenuta nell’articolo 10 del Testo Unico Bancario (TUB). 2 R. Ruozi – P. Ferrari, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, Working paper n. 90, Febbraio 2009, pag.1.

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6 principalmente dinamico, poiché deriva dal confronto tra due flussi misurati nel tempo, con la conseguenza che esso dipende non solo dall’entità delle entrate e delle uscite ma anche dalla loro periodicità.

All’interno del concetto di equilibrio finanziario è possibile rintracciare un altro concetto di equilibrio, molto importante per le istituzioni finanziarie, ovvero quello di equilibrio monetario della gestione (o di tesoreria), intendendosi per esso una condizione dinamica di stabilità del flusso monetario netto complessivamente generato dai flussi in entrata e in uscita su orizzonti temporali di breve-brevissimo termine. Per una banca tale condizione di equilibrio è fondamentale perché la fiducia nella moneta bancaria, alla base del funzionamento delle moderne economie e dell’esistenza stessa delle banche, dipende dalla sua capacità di onorare tempestivamente gli impegni assunti.

L’ equilibrio patrimoniale3 identifica invece la situazione in cui l’azienda riesce a

mantenere un adeguato equilibrio, in termini di correlazione tra scadenze e combinazione rischio-rendimento, tra fonti di finanziamento ed impieghi tale da consentire la conservazione o il miglioramento del proprio assetto patrimoniale, mentre l’equilibrio reddituale rappresenta la capacità dell’intermediario di raggiungere risultati economici tali da garantire la stabilità e lo sviluppo coerentemente con il proprio livello di rischiosità. La situazione di equilibrio finanziario è strettamente interconnessa alle condizioni di equilibrio economico e patrimoniale mediante relazioni reciproche che, pur essendo comuni a qualsiasi azienda, assumono nella banca una particolare rilevanza a causa della peculiarità della sua struttura finanziaria, caratterizzata dalla presenza congiunta di un elevato grado di sfruttamento della leva finanziaria, dalla presenza di passività a vista e da un presupposto fiduciario intrinseco nell’operatività di tale tipologia di intermediari4.

La condizione di equilibrio finanziario influisce innanzitutto sull’ equilibrio economico, poiché il mantenimento di un grado di liquidità superiore alla condizione minimale ipotizzabile genera un effetto limitativo della redditività in virtù del mantenimento di riserve in eccesso e, più in generale, di una struttura dell’attivo che privilegia obiettivi di liquidità rispetto a obiettivi di redditività5. In tale ottica si registra una situazione di trade-off tra equilibrio finanziario ed economico. L’obiettivo della gestione del rischio di

3 Tale equilibrio viene talvolta identificato mediante l’eccedenza del valore dell’attivo rispetto al passivo. 4 R. Ruozi – P. Ferrari, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, op.cit. 5 La costituzione di riserve di liquidità a scopi precauzionali si configura come un impiego di risorse a basso livello di remunerazione, il quale comporta un costo opportunità rappresentato dalla redditività attesa dalla realizzazione di investimenti alternativi.

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7 liquidità deve essere dunque perseguito ottimizzando il profilo rischio-rendimento, cercando il perfetto bilanciamento fra queste due variabili.

La situazione di equilibrio economico influisce a sua volta sulla condizione di liquidità di un intermediario sia direttamente, attraverso la generazione di abbondanti cash flow, sia in modo indiretto, attraverso la percezione da parte dei vari stakeholders di sicurezza e di stabilità della banca.

Infine la situazione di equilibrio patrimoniale migliora la gestione della liquidità in quanto aumenta la scadenza media del passivo e riduce eventuali possibilità di tensione dovute a situazioni di disallineamento fra flussi di cassa in entrata e in uscita6. L’eventuale sottopatrimonializzazione della banca e il conseguente allontanamento dall’equilibrio patrimoniale possono inoltre determinare un deterioramento del merito creditizio della banca, la quale potrebbe così incontrare difficoltà nel reperire i fondi necessari per coprire temporanei squilibri tra flussi di cassa in entrata e in uscita. Benché l’aumento della patrimonializzazione possa temporaneamente attenuare quelli che possono essere i problemi di liquidità di una banca, essa non può essere la soluzione ad un problema di liquidità.

Infatti il rischio di non riuscire a far fronte ai propri impegni di cassa nei tempi richiesti e a condizioni economicamente accettabili dipende da così tante determinanti - struttura per scadenza dell’attivo e del passivo, caratteristiche degli impieghi e della raccolta, dinamica delle poste fuori bilancio, andamento dei costi e dei ricavi monetari, valutazione di affidabilità della banca, evoluzione dei mercati monetari e dei capitali- da rendere un presidio patrimoniale poco consono alla sua attenuazione, richiedendo invece efficaci sistemi di controllo di tutti questi fattori e l’adozione di scelte gestionali ritenute coerenti tra loro7.

In considerazione di ciò possiamo affermare che in un’ottica di equilibrio di gestione complessivo un ruolo privilegiato venga assunto dal risultato reddituale inteso anche come obiettivo di gestione. Tuttavia quest’ultimo dovrà essere raggiunto tenendo in considerazione i vincoli di natura finanziaria e patrimoniale che caratterizzano la struttura dell’impresa stessa. In altre parole, l’equilibrio finanziario rappresenta un vincolo

6 Una diversa struttura temporale dei flussi attesi, a parità di altre circostanze, da un lato concorre ad incrementare il margine di sicurezza e, dall’altro, tende a ridurre il divario tra il rendimento medio dell’attivo e il costo medio del passivo.

7 T. Adrian e H.S. Shin, Leverage and liquidity, Federal Reserve Bank of New York, Staff Report n. 238, May 2008.

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8 fondamentale della gestione economica dell’intermediario, ovvero un obiettivo intermedio e strumentale per il perseguimento dell’obiettivo di durevole redditività. Per di più il permanere dell’equilibrio finanziario dell’intermediario si configura come una condizione imprescindibile per la sua solvibilità tecnica (intesa come la capacità dell’intermediario di far fronte a tutte le obbligazioni verso i suoi creditori senza perdite di capitale proprio), posto altresì che un intermediario solvibile è anche in grado di riuscire a conseguire risultati reddituali soddisfacenti. Nella sua accezione più generale, infatti, solvibilità è sinonimo di capacità di onorare, con riferimento a tutti i vari orizzonti temporali, gli impegni assunti; non a caso, il mercato valuta e definisce la reputazione degli intermediari bancari in funzione della loro solvibilità e, di norma, dà fiducia a quegli intermediari maggiormente patrimonializzati (conditio sine qua non per la solvibilità). Per le banche commerciali il perseguimento delle condizioni di solvibilità significa, essenzialmente, capacità di assicurare ai depositanti il realizzo, in termini di moneta legale, a ogni data futura, del valore pieno dei depositi: rimborsare i debiti nei modi e nei tempi contrattualmente definiti. Ciò si concretizza nel rendere percepibile, ai depositanti, che il possesso e l’uso dei depositi comporta un rischio praticamente nullo in quanto si è in grado di garantire, al momento della richiesta di rimborso, il valore nominale pieno di queste attività finanziarie in termini di moneta legale. In tale prospettiva emerge che la capacità di rimborso dei debiti è alla base sia del concetto di liquidità sia di quello di solvibilità, concetti apparentemente simili ma che presenta invece un significato diverso. Facendo riferimento alla letteratura in materia, liquidità e solvibilità sono spesso chiamate “the heavenly twins of banking8”, ma sebbene interagenti i due concetti sono distinti tra

loro. Da un punto di vista contabile una banca risulta essere insolvente quando il valore totale delle sue passività supera il valore totale delle sue attività (negative net assets) e quindi la banca si trova nella condizione di non poter rimborsare tutte le sue obbligazioni in essere, arrivando, se non aiutata dall’esterno, ad un inevitabile default. D’altro canto una banca è detta illiquida quando sperimenta un problema/crisi di liquidità e non riesce ad ottenere, nei tempi necessari o a condizioni di mercato, i fondi necessari per ottemperare alle proprie obbligazioni.

8 C. Goodhart, Liquidity Risk Management, financial Stability review—Special Issue on Liquidity, Banque de France, n°11,February, 2008.

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9 Riassumendo, si può dire che l’insolvenza riflette “a structural and stock financial

problem’’, mentre l’illiquidità si riferisce ad un problema di “cashflow e pricing9’’ con

riferimento ad un certo momento temporale.

Per le banche il mantenimento di condizioni permanenti di solvibilità è essenziale sia per preservare la propria continuità funzionale sia per garantire i diritti dei creditori, e conseguentemente la solvibilità del sistema finanziario nel suo complesso, posto che la crisi di un intermediario può riflettersi negativamente anche sugli altri operatori del sistema.

La solvibilità degli intermediari bancari, alla luce dell’importanza critica della posizione da questi occupata nel sistema dei pagamenti e nel processo di intermediazione e allocazione delle risorse, è conditio-sine qua non per la continuità e l’ordinato svolgimento dei processi di finanziamento e più in generale dell’economia nel suo complesso. I fenomeni di insolvenza, anche isolati, in quanto manifestazioni di un irreversibile squilibrio patrimoniale che non consente, in assoluto, di onorare gli impegni presi, non sono sanabili se non percorrendo la via dell’intervento pubblico10.

Pertanto tali fenomeni, oltre che determinare effetti diretti sui depositanti, sono suscettibili di turbare le condizioni di negoziazione delle attività finanziarie provocando disfunzioni a diversi livelli operativi e, tramite il bank panic e il bank run, il blocco o il temporaneo malfunzionamento dei mercati finanziari.

Si intuisce già da queste prime riflessioni l’importanza di un’attenta e consapevole gestione della liquidità nelle banche, visto che essa viene a dipendere dalla combinazione di numerosi fattori qualitativi e quantitativi inerenti le relazioni finanziarie poste in essere, la composizione e la struttura per scadenze delle attività e delle passività, la volatilità dei depositi, la rischiosità del portafoglio prestiti.

1.2) L’identificazione dei flussi finanziari e la loro gestione

Una volta definito l’equilibrio finanziario come la capacità della gestione corrente a generare flussi di cassa in entrata sufficienti a coprire i flussi in uscita, senza pregiudicare la situazione economica-patrimoniale dell’intermediario, l’attenzione si sposta su quella che di fatto è la materia prima di tale tipologia di equilibrio, ossia il concetto di flusso finanziario, nella consapevolezza che le differenti peculiarità che lo caratterizzano

9 F. Montes-Negret, The Heavenly Liquidity Twin :The Increasing Importance of Liquidity Risk, working paper n°5139, November 2009.

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10 dipendono dal modello di comportamento gestionale (business model) dello specifico intermediario; è infatti in funzione di quest’ultimo che vengono a comporsi i caratteri e la nature del passivo, dei crediti e delle altre attività e conseguentemente la dinamica sistemica di tali flussi. In quest’ottica la dottrina, negli ultimi anni, ha manifestato con sempre maggiore enfasi la tendenza ad ampliare il contenuto della funzione finanziaria della banca includendovi, a fianco della tesoreria e della liquidità, la gestione del portafoglio titoli nonché il monitoraggio e la gestione dei rischi di credito e di mercato, le cui componenti impattano significativamente sul rischio di liquidità.

Tabella 1.111

Fonte: E. Cenderelli, E. Bruno, Profili gestionali ed operativi dell’attività bancaria, Giappichelli editore, Torino,2015.

L’identificazione, la misurazione e la previsione dei flussi finanziari (alternativamente detti flussi di cassa o flussi monetari) in termini di entrate, uscite e relativi saldi di cassa periodali, rappresentano fasi necessarie per la definizione delle condizioni correnti dell’equilibrio finanziario dell’intermediario poiché forniscono la materia prima per la sua gestione, soprattutto in un’ottica di breve periodo.

I flussi monetari in entrata e in uscita, come si può evincere dalla tabella 1.1, sono prevalentemente generati da variazioni nelle poste patrimoniali attive e passive e dalle voci di ricavo e di costo del conto economico. Flussi di cassa in entrata ad esempio si hanno in corrispondenza di un aumento dei fondi raccolti, del rientro di un credito

11 Nell’elaborazione della tabella sono state adottate alcune ipotesi di probabile accadimento, tra le quali il regolamento delle operazioni di impiego e di raccolta con moneta di conto e la loro negoziazione nella forma del conto corrente; l’estinzione delle operazioni contratte durante l’esercizio in corso a fine periodo amministrativo.

ENTRATE USCITE

V’ Versamenti in conto depositi P’ Prelevamenti in conto depositi

V’’ Versamenti in conto prestiti P’’ Prelevamenti in conto prestiti

V’’’ Entrate diverse: riscossioni per provvigioni e proventi da investimenti diversi;

proventi da disinvestimenti

P’’’ Uscite diverse: costi operativi, acquisto di attività reali, costi finanziari,

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11 precedentemente concesso, della vendita di attività in portafoglio e delle principali componenti di ricavo.

Flussi in uscita si verificano al contrario in corrispondenza di diminuzione dei fondi raccolti, di nuove erogazioni di credito e/o sottoscrizioni di titoli, di gran parte delle componenti di costo e del pagamento delle imposte. Non danno luogo invece ad alcun flusso monetario in entrata e in uscita le variazioni di attività e delle passività, nonché i ricavi e i costi causati da operazioni che non hanno come contropartite terze economie, come ad esempio quelle di svalutazione e rivalutazione, che generano solo delle modifiche del valore contabile delle poste patrimoniali interessate. La banca come qualsiasi altra impresa ha la necessità di assicurare l’equilibrio di questi flussi sia nel breve - brevissimo termine (tesoreria) sia su orizzonti temporali più ampi (liquidità): è questo al tempo stesso un vincolo e un obiettivo.

Nel corso dell’attività di intermediazione, gran parte dei flussi finanziari in entrata e in uscita tende a compensarsi; quando ciò non avviene la banca si trova in presenza di uno squilibrio, e quindi di un’eccedenza dei flussi di cassa in entrata rispetto a quelli in uscita o viceversa nel caso di prevalenza di quest’ultimi sui primi.

Nel primo caso la banca avrà una disponibilità di risorse monetarie detenute in forma pressoché infruttifera (riserve) mentre nel secondo caso verserà in una situazione di disavanzo di cassa e quindi nella necessità di porre in essere operazioni per ottenere le risorse monetarie sufficienti a coprire tale disavanzo.

Lo squilibrio ha nature fisiologica nell’attività bancaria visto che essa consiste proprio nella trasformazione di passività prevalentemente liquide e dunque soggette a un rischio di prelievo (che possono fungere da moneta per le famiglie, le imprese, la collettività), in attività prevalentemente a medio-lungo termine, spesso non liquidabili (prontamente ed economicamente) sul mercato secondario. Compito della gestione finanziaria è dunque in primo luogo quello di mantenere condizioni di equilibrio finanziario, nel senso di evitare, da un lato, l’accumularsi di eccedenze di riserve monetarie infruttifere che potrebbero penalizzare la redditività della banca e, dall’altro, le situazioni in cui i flussi finanziari in uscita sono maggiori di quelli in entrata e quindi si producono disavanzi da finanziare mediante onerose operazioni di indebitamento.

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12 In tale prospettiva il perseguimento dell’equilibrio finanziario implica la gestione:

1) della tesoreria, il cui obiettivo è quello di garantire la capacità di far fronte nell’immediato a qualsiasi impegno di pagamento, previsto o imprevisto, emergente da contratti che pongono l’intermediario nella condizione di dover eseguire una prestazione monetaria. Tale capacità dipende evidentemente dalla disponibilità di adeguate riserve liquide, di attività prontamente liquidabili o stanziabili per il rifinanziamento - i cosiddetti unencumbered

assets- e dal complesso degli strumenti attivabili per sistemare temporanei

squilibri fra movimenti in entrata e in uscita;

2) della liquidità: l’obiettivo è il mantenimento, nel medio-lungo periodo, di un’adeguata corrispondenza tra entrate ed uscite monetarie sui diversi orizzonti temporali. È evidente che questa capacità strutturale diviene in linea di principio tanto più impegnativa quanto maggiore è la trasformazione delle scadenze attuate dalla banca. Se la scadenza media ponderata dell’attivo è superiore a quella del passivo, i flussi di cassa generati dall’estinzione di attività in un dato periodo sono inferiori ai flussi di cassa necessari al rimborso delle passività che scadono nel medesimo arco temporale. Tale situazione accentua il potenziale rischio di liquidità sopportato dalla banca in quanto richiede di mantenere una costante capacità di credito sul mercato ovvero la capacità di rinnovare le passività scadute- senza pregiudizio per l’equilibrio economico- per raccordare la scadenza del passivo con quella dell’attivo.

Anche se la gestione della tesoreria e della liquidità hanno obiettivi diversi e lavorano con strumenti operativi differenti, non hanno confini nettamente definiti poiché sussistono profonde relazioni di carattere economico e finanziario. Tali relazioni negli ultimi anni hanno assunto connotati di maggior ampiezza, profondità e dinamicità in seguito all’ evoluzione dei vari segmenti del mercato monetario e finanziario e all’importanza delle operazioni ivi incluse dalla banca centrale nell’ambito della gestione operativa della politica monetaria, anche alla luce del fatto che le scelte operative della tesoreria, tipicamente relative a orizzonti temporali di breve e brevissimo termine, concorrono a

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13 produrre e a qualificare la dinamica dei flussi finanziari risultante dall’attuazione delle politiche della liquidità e di gestione delle risorse finanziarie12.

Pertanto diviene fondamentale che la gestione finanziaria sviluppi capacità previsionali relativamente a fattori che possono determinare nel concreto l’equilibrio finanziario (di tesoreria e di liquidità), onde poter prendere le decisioni più opportune. La gestione di questo equilibrio può essere immaginata come un processo logico in cui si susseguono una serie di previsioni, valutazioni, decisioni e azioni predefinite, finalizzato al costante mantenimento di una situazione di tesoreria equilibrata, sia in condizioni normali sia in condizioni di stress.

In definitiva, sia la prassi operativa sia la letteratura in materia evidenziano che i profili gestionali della liquidità e della tesoreria, pur essendo concettualmente distinti, nel contempo, dal punto di vista operativo sono:

1) strettamente connessi, in quanto rappresentano aspetti complementari della gestione e della politica di liquidità di una banca;

2) identificabili e differenziabili in relazione agli obiettivi, all’ orizzonte temporale di riferimento, agli strumenti operativi, alle quantità attive/passive oggetto degli strumenti, alle politiche scelte.

Non bisogna nemmeno dimenticare l’evoluzione che negli ultimi anni ha interessato la regolamentazione dell’attività bancaria13, la quale ha posto un altro obiettivo della

gestione finanziaria della banca: rispettare la regolamentazione del rischio di liquidità secondo le specifiche prescrizioni delle autorità in materia di misurazione e di gestione della liquidità in condizioni normali e di criticità. Più nello specifico, le norme che regolano l’attività bancaria richiedono il rispetto di regole specifiche relative alla gestione della liquidità e il mantenimento di un livello minimo di patrimonio.

Tra gli obiettivi della gestione finanziaria trova perciò posto anche il reperimento di mezzi finanziari volti ad osservare il vincolo patrimoniale rafforzando le dotazioni di patrimonio nonché la costante verifica della compliance nei confronti degli indicatori di liquidità previsti.

12 A. Ferrari, Gestione finanziaria e liquidità nelle banche, pag. 127, Op. cit.

13 Si fa riferimento al nuovo framework regolamentare definito Basilea 3, il quale ha completamente ridefinito lo scenario regolamentare entro cui gestire la liquidità tramite l’introduzione di due nuovi indici, il liquidity coverage ratio ed il net stable funding ratio.

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1.3) Breve analisi della letteratura in materia di gestione della liquidità

La tematica della liquidità in banca, che fino a pochi anni fa non aveva trovato grande interesse in ambito accademico, sembra tornata prepotentemente di attualità, anche alla luce delle modifiche intervenute in questi ultimi anni nel contesto competitivo e soprattutto regolamentare che ne hanno mostrato la sua importanza e trasversalità. Le turbolenze finanziarie che recentemente hanno colpito i mercati finanziari globali hanno infatti risvegliato l’interesse dell’autorità di vigilanza, dell’industria finanziaria e degli studiosi per il tema della liquidità, spingendo a riesaminare in modo critico concetti e termini che sembravano dimenticati dalla prassi operativa.

Guardando ai lavori prodotti dalla dottrina sulla tematica della liquidità delle banche, possiamo notare come essi abbiano risentito di un processo evolutivo articolabile in cinque fasi temporali14 e definibili come di seguito riportato:

1) impostazione dell’architettura concettuale di base; 2) definizione dei profili tecnico-gestionali;

3) sviluppo dei profili manageriali; 4) liquidità dimenticata;

5) interesse ritrovato e tecnicismi sofisticati.

I concetti della prima fase, riconducibile agli anni trenta-quaranta ma ulteriormente consolidatasi negli anni cinquanta-sessanta15, sono pressoché concordanti nell’affermare

che la gestione della liquidità, considerata come un aspetto centrale dell’attività bancaria, possa essere sostanzialmente indicata come la gestione di tutti i flussi finanziari in un’ottica di ottimizzazione dell’equilibrio reddituale , enfatizzando altresì a tal riguardo l’importanza della gestione delle riserve libere di liquidità in termini sia di dimensione che di composizione.

La gestione della liquidità viene dunque concepita in termini dinamici, ovvero sulla base di un modello teorico incentrato sulla previsione delle fluttuazioni cicliche e stagionali dei depositi e degli impieghi bancari e su una logica di copertura dei relativi scompensi, basata su interventi correttivi attuati ex-ante, piuttosto che su interventi compensativi

14 F. Tutino, La gestione della liquidità nella banca, Il Mulino, Bologna, 2012, pag. 83.

15 Possono essere fatti rientrare in tale ambito i contributi dei seguenti autori: U. Caprara, La banca, Giuffrè, Milano, 1946; G. dell’Amore, I depositi nell’economia delle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1951; F. Arcucci, La liquidità bancaria nelle banche di deposito, Giuffrè, Milano, 1970.

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15 posti in essere ex post. Tuttavia tali logiche e principi di gestione risultavano assai distinti dai modelli di gestione applicati in quegli anni nella realtà operativa delle banche. In quegli anni infatti i compiti della funzione finanziaria erano tenuti distinti dalla definizione degli indirizzi di fondo della politica degli impieghi e della politica della raccolta della banca, e di conseguenza essa non arrivava mai a poter praticare una gestione anticipatoria o quantomeno correttiva degli scompensi di medio termine.

L’evoluzione dottrinaria continua poi con la fase della definizione dei profili tecnico-gestionali legati alla tematica della liquidità, fase che si apre intorno alla metà degli anni sessanta e prosegue fino agli inizi degli anni ottanta.

Essa si distingue per l’emergere di una nuova area d’interesse, rappresentata dalle problematiche relative alla gestione della tesoreria, la quale si differenzia dalla liquidità non tanto riguardo agli obiettivi perseguiti quanto sotto il profilo della minore durata del periodo temporale preso a riferimento per l’assunzione delle decisioni16. Sono gli anni di

crescita dei vari mercati dei capitali e di conseguenza i contributi di questo periodo si soffermano anche ad analizzare gli strumenti del mercato monetario e le interrelazioni tra l’attività svolta dal tesoriere e gli obiettivi della politica monetaria. Risalgono a questa fase anche le prime modalità operative di integrazione tra tesoreria domestica e tesoreria in valuta17.

A partire dalla prima metà degli anni ottanta fino alla prima metà degli anni novanta si consolida la terza fase.

Essa si sostanzia in una visione sistemica dell’intera problematica della liquidità in banca perseguita sia attraverso la definitiva messa a punto di criteri di coordinamento dei compiti della gestione della liquidità e della tesoreria, sia tramite l’approfondimento degli studi relativi alla gestione dei flussi finanziari verso un’ area emergente completamente nuova: la gestione integrata dell’attivo e del passivo, ovvero una politica di gestione finalizzata a gestire tutte le quantità bancarie in un’ottica unitaria. Dall’analisi dei principali contributi prodotti emergono con chiarezza il largo anticipo e l’assoluta convinzione con cui la dottrina ha sostenuto l’opportunità per le banche da un lato di

16 Tra i principali contributi di tale epoca si ricordano: A. Bertoni, La gestione della tesoreria nelle banche di deposito, Giuffrè, Milano, 1974; P. Leone, La gestione della tesoreria e della liquidità nelle banche, in << Rivista Bancaria>>, 1983, n. 7/8; C. Bisoni ,Il mercato monetario, Giuffrè, Milano, 1983.

17 << La maggiore complessità e importanza che i gestori della tesoreria delle banche attribuiscono alla

loro funzione si ricollega all’introduzione di nuovi strumenti e allo sviluppo di nuovi mercati, ai quali essi possono e debbono fare riferimento nella loro attività>>, F. Cesarini, Le aziende di credito italiane, Il Mulino, Bologna, 1981, pag. 67-95.

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16 sviluppare una gestione unitaria dei flussi finanziari aziendali rivolta alla gestione dell’insieme delle entrate e delle uscite senza alcuna distinzione relativa alla valuta di denominazione e basato su una visione temporale integrata, e dall’altro di predisporre un assetto organizzativo ad hoc della funzione finanziaria nell’ambito di un disegno organizzativo unitario, in coerenza con la view della gestione integrata dell’attivo e del passivo.

In tale logica risalgono a questo periodo i primi tentativi di mettere a punto dei sistemi di programmazione, misurazione e controllo dei risultati della funzione finanziaria.

Dalla seconda metà degli anni novanta ai primi anni duemila, si percorre una fase che potrebbe essere definita in maniera provocatoria della liquidità dimenticata. La dottrina in questi anni produce autorevoli studi in materia di risk management e di capital management, ma tra i rischi considerati quello della liquidità è relegato a un posto secondario o ad argomentazioni meramente definitorie, alla luce anche di quello che è il trattamento regolamentare rivolto a tale tipologia di rischio. Sono gli anni in cui tutta l’attenzione è concentrata sul rischio di credito, di mercato, di tasso d’interesse sul banking book, e sulle conseguenti metodologie di misurazione e gestione organizzativa18. Il rinnovato interesse di questi anni per la tematica della liquidità da parte dell’industria finanziaria e dei regulators è accompagnato anche da una copiosa produzione scientifica19: a volumi espressamente dedicati al tema della liquidità si affiancano

contributi scientifici focalizzati sull’individuazione delle diverse dimensioni del problema della liquidità in banca e sulla loro stima/misurazione sia in condizioni normali sia in caso di shock estremi nonché sui tentativi di incorporare nella misurazione del rischio di liquidità gli strumenti tecnici del var model20.

Con lo scoppio della crisi finanziaria i regulators riscoprono la trasversalità e quindi la pericolosità della tematica della liquidità in banca; studiano le integrazioni/modifiche da apportare al framework regolamentare sul capitale, producono un imponente mole di

sound practices e core principles cui ispirare la costruzione di un processo di misurazione

e gestione della liquidità che permetta di superare definitivamente l’approssimazione con

18 All’interno del framework regolamentare di Basilea 2 il rischio di liquidità è relegato nel secondo pilastro tra i cosiddetti altri rischi, e le autorità di vigilanza dei diversi paesi propongono approcci di misurazione/controllo che vanno dalla semplice enucleazione di principi generali alla definizione di regole quantitative o metodologie di misurazione interne.

19 L. Matz e P. Neu, Liquidity Risk Measurement and management. A Practioner’s Guide to Global Best Practices, Wiley & Sons, New York, 2006.

20 L. Erzegovesi, Var and liquidity risk. Impact on market behavior and measurement issues. Tech report n°14, February 2002.

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17 la quale le banche hanno portato avanti per diversi anni il tema della gestione integrata dell’attivo e del passivo adeguandosi alla mera compliance delle poche prescrizioni regolamentari in materia .

A fronte di ciò si sono riscontrati i primi tentativi operativi di realizzare una vera e propria funzione di liquidity risk management a sé stante. In tale prospettiva sembrerebbe quasi che oggi si stia aprendo una fase nuova del processo evolutivo della dottrina in materia di liquidità, caratterizzata da un rinnovato interesse da parte dei practioners e dei regulators21 per una tematica classica della gestione di qualsiasi impresa. È una fase in cui si comincia a riconoscere la multidimensionalità del rischio di liquidità, si propongono tecniche di misurazione e di gestione delle diverse dimensioni, si delineano i correlati organizzativi coerenti, si tenta di traslare alla misurazione di questo rischio le metriche di misurazione del valore a rischio (var) già ampiamente sperimentate per il rischio di credito e di mercato. È una fase nuova, i cui contenuti sono ancora pressoché ad una fase embrionale.

1.4) Prassi di gestione della liquidità e tendenze evolutive

Gli studi sulla gestione della liquidità bancaria hanno condotto alla formulazione di prassi gestionali e di teorie di gestione della liquidità che si sono evolute, affiancate e sovrapposte in relazione all’evoluzione di quelli che si possono definire gli spazi strutturali esterni con cui deve interfacciarsi una banca : le strutture tecniche delle operazioni con la clientela, le strutture e il funzionamento dei mercati monetari e dei capitali, le strutture tecniche delle operazioni di politica monetaria e non ultima l’evoluzione della regolamentazione dell’attività bancaria.

1.4.1) Teoria dell’autoliquidabilità e sincronizzazione delle scadenze

La teoria dell’autoliquidabilità è in ordine cronologico la prima da considerare, in quanto strettamente connessa alla quotidiana operatività degli intermediari bancari. Secondo la logica sottostante tale teoria, così come originariamente formulata, la banca basa la previsione dei propri flussi in entrata sulla base dei futuri pagamenti dovuti dai debitori dei propri clienti ai quali essa abbia concesso anticipi a fronte della presentazione di documenti rappresentativi di crediti per merci vendute o servizi erogati.

21 Per approfondimenti www.bis.org.

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18 Elemento cardine su cui ruota la gestione della liquidità è dunque il regolare adempimento da parte del debitore del cliente affidato, corroborando altresì la concezione secondo cui l’idea sottostante sia, pressoché unicamente, la costante attenzione all’evoluzione dell’attivo della banca. Secondo tale prassi, dunque, la liquidità va gestita essenzialmente sul lato degli impieghi; la raccolta e i suoi conseguenti movimenti finanziari non destano particolari preoccupazioni e per questo non vengono esplicitamente presi in considerazione.

È proprio in virtù di tale circostanza che tale teoria rientra a pieno titolo nell’ambito delle teorie di gestione dell’attivo.

Sebbene tale concezione possa apparirci, ai giorni nostri, alquanto superata vista la pressoché esclusiva attenzione rivolta ad un singolo aspetto della complessa gestione aziendale, essa merita comunque un’approfondita analisi visto e considerato che rappresenta il retaggio del macrocontesto economico in cui le banche operavano negli anni in cui la teoria e le prassi di gestione dell’autoliquidabilità si sono affermate. Si trattava a ben vedere di uno scenario competitivo ben diverso da quello attuale e caratterizzato specificatamente da una serie di elementi che, favorendo una operatività complessivamente stabilizzata, rendeva di fatto suddetta teoria altamente affidabile. Tra le varie condizioni caratterizzanti il citato periodo meritano sicuramente menzione la costante crescita del sistema economico, la tendenziale stabilità dei depositi bancari, l’assenza di reali alternative di investimento per i risparmiatori e ultima ma non per questo meno importante degli altri, la scarsa competizione tra banche che di fatto toglieva loro molta pressione competitiva e reddituale.

Tuttavia, pur nella sua semplicità e apparente limitatezza, l’idea sottostante la gestione dei flussi finanziari futuri in termini di autoliquidabilità degli stessi ha sempre trovato e trova tuttora applicazione anche nell’ambito dell’erogazione di mutui alla clientela o negli investimenti operati in titoli: alle scadenze previste contrattualmente l’intermediario creditizio registra i pagamenti ed incassa le risorse.

La teoria e le prassi da cui scaturisce si fondano dunque su due specifiche fondamenta logiche: scadenze certe e rischi di credito tendenti a zero. È in quest’ultimo aspetto che si possono rintracciare tratti di modernità e attualità: considerare il rischio di liquidità non come qualcosa di a sé stante, bensì come correlato ad altri rischi, nello specifico al rischio di credito. Qualunque siano il contesto in cui si svolge l’attività bancaria e le sue caratteristiche operative e gestionali, almeno una parte dell’attività bancaria si basa su operazioni con scadenze contrattuali certe. Il riferimento alla certezza delle scadenze e al

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19 raccordo tra esse richiama un obiettivo tendenziale che la banca vorrebbe poter conseguire, un’utopia irraggiungibile per tutte le attività e passività di bilancio: la sincronizzazione delle scadenze fra entrate e uscite monetarie.

1.4.2) La teoria della trasferibilità

Lo sviluppo che ha interessato nel corso del tempo i mercati monetari e finanziari ha gettato le basi operative per quella che viene comunemente definita teoria della trasferibilità22. Il riferimento è sempre l’attivo della banca, o meglio una parte di esso,

cioè le attività finanziarie che possono essere vendute sul mercato per reperire liquidità, altresì chiamate attività monetizzabili (marketable).

Si tratta a ben vedere di una strategia di asset management che si pone come obiettivo principale quello di assicurare sicurezza di liquidità alla banca grazie alla disponibilità di attività che all’occorrenza possono essere facilmente convertite in moneta. Tali attività devono, quindi, presentare caratteristiche di elevata qualità, di negoziabilità in mercati ampi ed efficienti nei quali transazioni anche di elevato livello importo non modificano significativamente il prezzo di mercato e presentare probabilità di perdita molto contenute.

Con tali cessioni sul mercato la banca si pone come scopo il raggiungimento di due obiettivi: da un lato riuscire ad ottenere i fondi necessari a riequilibrare il saldo negativo di tesoreria e dall’altro disporre di risorse aggiuntive con cui poter finanziare maggiori impieghi alla clientela ed espandere in tal modo la propria operatività nel rispetto altresì dei limiti imposti dall’autorità di vigilanza23.

Nel primo caso la soluzione operativa rientra fra gli strumenti di gestione della tesoreria, ponendosi come alternativa a onerose soluzioni di indebitamento a breve verso altre banche o verso la banca centrale; nel secondo caso invece si è nel campo delle politiche di ricomposizione dell’attivo.

La trasferibilità degli attivi (asset management) presuppone l’esistenza di mercati finanziari in cui poter negoziare le attività finanziarie cedute ed è pesantemente influenzata dall’ andamento generale dei mercati di riferimento. In tal senso condizioni di

22 L’idea sottostante a tale strategia è quella della «trasferibilità» delle attività, ovvero la possibilità di ottenere fondi liquidi dalla vendita o dal prestito delle proprie attività (operazione di vendita a pronti e riacquisto a termine).

23 E. Loutskina, The role of securitization in bank liquidity and funding management, Working paper, August 2010.

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20 eccedenza dell’ offerta rispetto alla domanda provocano un aumento dei tassi e conseguentemente una diminuzione dei prezzi, con l’eventualità dunque che l’intermediario possa registrare perdite in conto capitale e dunque un calo, anche significativo, della redditività globale24; si tratta evidentemente di un rischio che può

vincolare l’effettiva percorribilità di una prassi di gestione fondata sulla cessione di attivi e che evidenzia i limiti di tale teoria soprattutto in condizioni di mercato avverse oppure in momenti di ricorso al trasferimento di attivi da parte di molte banche con conseguente aumento dell’offerta sulla domanda.

Nel decidere l’ammontare di attività liquide da detenere in portafoglio, la banca deve altresì tener conto del fatto che tali attività offrono un rendimento atteso inferiore alle altre attività in bilancio come i prestiti, i titoli non negoziabili e quelli negoziabili a tasso fisso ma a più lunga scadenza, i quali in genere offrono rendimenti più elevati per compensare il minor grado di negoziabilità, il maggior orizzonte temporale in cui è previsto il rimborso e dunque il maggior rischio.

Di conseguenza la scelta della banca di mantenere attività finanziarie a breve termine e negoziati in mercati secondari ampi ed efficienti, se da un lato riduce il rischio di liquidità, dall’altro diminuisce anche il rendimento atteso dell’attivo, con la conseguente diminuzione nel profitto atteso della banca.

Inoltre la detenzione di attività negoziabili non elimina completamente il rischio di liquidità, soprattutto al verificarsi di specifiche situazioni di crisi dei mercati finanziari. Anche in questa teoria tuttavia è possibile rintracciare alcuni tratti di modernità, ma non sempre e non solo relativi alla gestione dell’equilibrio finanziario della banca.

È infatti sui suoi fondamenti che poggia la cartolarizzazione degli attivi, ovvero il trasferimento ad investitori istituzionali di crediti, spesso non performing, volto a ridurre la rischiosità complessiva degli impieghi della banca e a trasformare investimenti illiquidi in moneta da poter destinare ad altri impieghi maggiormente redditizi oppure a bilanciare eventuali squilibri futuri di cassa. In virtù delle sue caratteristiche tale modello di business è chiamato originate to distribute, in contrapposizione al modello tradizionale di concessione del credito denominato originate to hold25.

1.4.3) Liability management

24 Per questa ragione le banche scelgono di acquistare attività che presentano la caratteristica di rendere minimo questo rischio e quindi possono efficacemente svolgere la funzione interna di liquidità.

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21 Il costante sviluppo dei mercati finanziari e monetari ha costituito l’elemento base anche per quella che è la teoria fondata sulla gestione del passivo (liabilty management). Con lo sviluppo del mercato dei fondi interbancari e quello dei certificati di deposito, infatti, le banche hanno iniziato a considerare la possibilità di acquisire su tali mercati la liquidità necessaria per fronteggiare sia i fabbisogni improvvisi di liquidità sia l’eventuale espansione della propria operatività.

Come noto la banca, allo stesso modo di ogni altra impresa anche non finanziaria, fa ricorso a specifiche operazioni di indebitamento sul mercato per disporre di liquidità aggiuntiva, rispetto a quella raccolta al deposito dalla clientela, necessaria non solo per effettuare nuovi investimenti ma anche per bilanciare eventuali saldi negativi di gestione. Focalizzandosi su questo ultimo aspetto, la gestione del passivo riguarda essenzialmente la gestione della tesoreria della banca, con gli eventuali saldi negativi che sono coperti indebitandosi presso altre banche, tipicamente sul mercato interbancario, o presso la banca centrale e le sue forme di rifinanziamento.

La gestione del passivo, come detto, può riguardare anche la gestione della liquidità nel momento in cui va ad incidere sulla struttura finanziaria della banca26: ciò accade

segnatamente quando, all’interno di un’ottica complessiva di gestione delle sue fonti di finanziamento, vengono stabilite specifiche operazioni di raccolta che modificano la posizione strutturale di liquidità della banca.

In tale circostanza l’istituto di credito sceglie le proprie fonti di finanziamento (da clientela retail o all’ingrosso sui mercati finanziari) gestendo la propria finanza così come fa ogni altra impresa, facendo riferimento cioè alle scadenze dei debiti contratti, ai volumi e ai costi negoziabili sul mercato nonché alle necessità manifestate dalla propria specifica strategia gestionale. Vengono altresì gestiti i rinnovi o le sostituzioni a scadenza dei debiti verso altre banche e delle obbligazioni sottoscritte da clientela e da altri operatori di mercato coerentemente con le proprie necessità27.

Anche in questo caso, come per le scelte di allocazione dell’attivo, le decisioni di composizione del passivo devono tener conto di un trade off tra rendimento e rischio. Infatti, se da un lato la raccolta ottenuta mediante strumenti diversi dai depositi a vista

26 Strategie di liability management possono riguardare anche la composizione delle passività in modo da ridurre il rischio di liquidità, soprattutto quello che origina dall’improvvisa conversione dei depositi in moneta.

27 Aumentando la quota delle passività a scadenza, come i certificati di deposito o le obbligazioni, la banca riduce la probabilità di incorrere in deflussi imprevisti di fondi per iniziativa della propria clientela.

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22 consente di ridurre la probabilità di deflussi improvvisi dei fondi, dall’altro il loro costo è in genere superiore a quello dei fondi ottenuti dall’emissione dei depositi a vista. Ciò ovviamente tenendo presente che ciascuna tipologia di finanziamento presenta opportunità e rischi da gestire adeguatamente.

Mentre infatti il ricorso a forme di raccolta retail permette alla banca di disporre di risorse che nel tempo si sono dimostrate nel tempo maggiormente stabili (ma potenzialmente soggetti al completo rimborso in qualsiasi momento) e con un costo relativamente contenuto, forme di raccolta wholesale sono maggiormente volatili e sensibili a quelle che sono le condizioni dell’economia e dei mercati, con conseguente rischio di un aumento del costo del funding o addirittura di una totale chiusura dei canali di approvvigionamento.

Le strategie di liability management presentano dunque un limite simile a quello delle corrispondenti strategie di asset management: quando tutte le banche chiedono simultaneamente i fondi al mercato, il costo di tali risorse può aumentare molto rapidamente e con esso anche la probabilità di non trovare la disponibilità completa dei fondi stessi.

Anche nell’ambito del liability management sono comunque riscontrabili tratti di modernità, e ciò accade segnatamente nel costante riferimento ai mercati finanziari e monetari quali elementi imprescindibili per la gestione della liquidità, tenendo conto degli altri intermediari con i quali interagire, i mercati ai quali partecipare e i rischi che ne possono scaturire.

1.4.4) Asset and liability management

In un contesto in cui i fabbisogni di liquidità della banca sono generati da un insieme composito di fattori, tra cui la diversa manifestazione temporale dei flussi di cassa contrattualmente previsti dalle attività e dalle passività in essere, il comportamento della clientela in merito all’utilizzo dei conti di deposito a vista o all’utilizzo dei finanziamenti ricevuti, le differenze nei flussi tra nuovi depositi e nuovi crediti, le scelte di gestione della liquidità non possono che essere adottate nell’ambito di una gestione finanziaria integrata di tutto l’attivo e il passivo della banca.

La gestione integrata dell’attivo e del passivo28 (asset and liability management)

rappresenta dunque l’ultimo stadio di sviluppo a cui la gestione della liquidità deve far

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23 riferimento. L’accento non è più posto su una singola componente dello stato patrimoniale, bensì sull’integrazione e sulla continua coerenza tra le singole politiche di gestione poste in essere dalla banca29, politiche che vanno poste in essere all’interno di una visione unitaria e congruente sia dal lato dell’attivo – nei rapporti con la clientela o nei trasferimenti di attività attraverso i mercati- sia dal lato del passivo - e dunque le forme di raccolta della banca -.

L’obiettivo specifico di fondo, ovvero l’equilibrio della struttura finanziaria e conseguentemente l’equilibrio tra i flussi finanziari, va dunque perseguito:

1) Gestendo all’interno di un unico modello di riferimento le attività e le passività e le relazioni tra esse sui diversi e correlati piani dell’economia e della finanza delle banche: la redditività, la liquidità, la rischiosità;

2) Avendo riguardo per aspetti fondamentali quali le scadenze attese e il grado di trasformazione delle scadenze posto in essere dalla banca;

3) Intervenendo sull’assetto organizzativo in modo da porre basi unitarie all’insieme delle funzioni attinenti alla gestione finanziaria della banca: la gestione della tesoreria, la gestione della liquidità, la gestione delle attività e delle passività finanziarie, la gestione dei raccordi tra flussi in moneta nazionale e in valuta.

La filosofia unitaria a cui si ispira la gestione integrata dell’attivo e del passivo esprime in sintesi i punti chiave essenziali della gestione della liquidità in banca: riferimenti e forme tecniche diverse che si integrano tra di loro, in un’ottica di visione congiunta della gestione dei crediti e degli investimenti e delle relative passività di copertura finanziaria, non disgiuntamente da un controllo efficacie e costante di quelli che possono essere i rischi che si possono manifestare.

1.5) La crisi finanziaria: cause scatenanti ed errori gestionali

La crisi finanziaria iniziata a partire dall’estate del 2006 ha costituito il presupposto per una revisione sostanziale da parte dei regulators internazionali del framework

29 M. Dash, K.A. Venkatesh, B.D. Bhargav. An analysis of asset-liability management in Indian banks, SSRN id 1760786.

(24)

24 regolamentare entro cui gli intermediari creditizi possono muoversi per poter condurre un’efficace ed efficiente gestione della liquidità30.

Come noto, infatti, la turbolenza finanziaria scatenatasi negli Stati Uniti a seguito delle ripetute insolvenze sui mutui con basso merito di credito (cosiddetti mutui subprime) si è rapidamente trasmessa a numerosi segmenti del mercato finanziario globale, provocando ingenti difficoltà ai vari operatori internazionali ed alle economie dei loro paesi.

Sebbene la crisi avesse interessato inizialmente soprattutto le istituzioni finanziarie con una spiccata operatività nella finanza innovativa, in un secondo momento essa ha coinvolto anche altri intermediari con un’attività più tradizionale in virtù di una fortissima restrizione subita dalla liquidità offerta sul mercato. La crescente sfiducia nelle controparti ha difatti provocato un blocco pressoché totale delle fonti di approvvigionamento delle banche, facendo sì che quest’ultime attraversassero un lungo periodo di forte tensione.

Questo paragrafo si prefigge l’obiettivo di analizzare dapprima le cause che hanno portato a tale fase recessiva per poi andare a considerare le difficoltà riscontrate dagli intermediari internazionali durante tale periodo, nella consapevolezza che i criteri gestionali adottati hanno subito e subiranno ancora grandi mutamenti a seguito delle modifiche avvenute a livello regolamentare nell’ambito della gestione della liquidità.

1.5.1) Cause

Come noto, la crisi finanziaria dei mutui subprime ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2006. I presupposti della crisi possono essere fatti risalire però al 2003, anno in cui è cominciata ad aumentare in modo significativo l'erogazione di mutui cosiddetti “ad alto rischio”, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie.

I fattori che hanno stimolato la crescita dei mutui subprime sono molteplici e strettamente interrelati tra di loro, per cui per una piena comprensione si rende doveroso cercare di analizzarli congiuntamente.

L’analisi di tali fattori non può che partire dalla considerazione che dal 2000 e fino alla metà del 2006, negli Stati Uniti, i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in maniera costante e significativa, generando una vera e propria bolla immobiliare. Tale dinamica è stata

30 P. Alessandrini, L. Papi, A.F. Presbitero, A. Zazzaro, Crisi finanziaria globale, crisi sovrana e crisi bancaria: l’Italia e il confronto europeo, Working paper n° 87, September 2013.

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25 favorita dalla politica monetaria accomodante della Federal Reserve (FED), la quale ha mantenuto i tassi di interesse su valori storicamente bassi fino al 2004 in risposta alla crisi della bolla internet e all'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 alle torri gemelle. Tassi di interesse bassi equivalevano infatti a un basso costo del denaro per i prenditori dei fondi, ossia per le famiglie che richiedevano mutui ipotecari, i quali hanno finito pertanto con lo stimolare eccessivamente la domanda di abitazioni alimentandone ulteriormente i relativi prezzi. L’elevata bolla immobiliare, inoltre, sembrava rendere conveniente la concessione di mutui da parte delle istituzioni finanziarie le quali infatti, in caso di insolvenza del mutuatario, avrebbero comunque potuto recuperare le risorse prestate attraverso la rivendita dell'abitazione oggetto di ipoteca.

Oltre alla bolla immobiliare e ai bassi tassi di interesse, la crescita dei mutui subprime è stata sostenuta anche dallo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione (securitisation), ossia dalla possibilità per gli istituti creditizi di trasferire i crediti, dopo averli “trasformati” in un titolo grazie ad un veicolo definito nello specifico special purpose

vehicle (SPV), a soggetti terzi e conseguentemente di recuperare immediatamente buona

parte del credito che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine dei mutui stessi (10, 20 o 30 anni dopo). La cartolarizzazione consentiva alle banche, apparentemente, di liberarsi del rischio di insolvenza dei prenditori dei fondi e indeboliva così l'incentivo a valutare correttamente l'affidabilità dei clienti.

Le società veicolo, dal canto loro, hanno finanziato l'acquisto dei mutui cartolarizzati mediante l'offerta agli investitori di titoli a breve termine. In un contesto di bassi tassi di interesse, i titoli cartolarizzati sono stati sottoscritti da molti investitori sia negli USA sia in Europa. Tale circostanza ha creato i presupposti per la trasmissione della crisi dall'economia statunitense alle economie europee.

Lo sviluppo delle cartolarizzazioni ha comportato il passaggio del modello di business delle banche dall'approccio originate to hold (il credito viene gestito in termini finanziari, amministrativi e di rischio fino alla scadenza, ovvero la banca presidia per intero la catena del valore del prodotto offerto, attendendo un lasso di tempo più o meno lungo prima di recuperare la somma prestata e i relativi interessi) all'approccio originate to distribute (la banca eroga il mutuo e lo trasferisce a terzi vendendolo tramite cartolarizzazione, recuperando in tal caso velocemente la somma prestata, oppure trasferisce il rischio sottostante tale crediti ad altri soggetti - cosiddetta cartolarizzazione sintetica-).

Per effetto delle cartolarizzazioni, le banche sono riuscite a rientrare in tempi rapidi nella disponibilità del denaro prestato, che dunque hanno potuto riutilizzare per erogare altri

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26 mutui a clienti la cui affidabilità è stata valutata in maniera sempre meno accurata. In tale circostanza, inoltre, le istituzioni finanziarie hanno potuto espandere enormemente le attività in rapporto al capitale proprio (fenomeno del leverage o leva finanziaria). Ciò ha consentito loro di realizzare profitti molto elevati, esponendole però anche al rischio di perdite ingenti.

Le operazioni di cartolarizzazione hanno però avuto la colpa di generare prodotti strutturati molto complessi, poco standardizzati e poco liquidi. I prodotti strutturati, inoltre, sono stati scambiati prevalentemente in mercati over the counter (OTC), ossia al di fuori dei mercati regolamentati e in assenza di prezzi significativi, ossia di prezzi utilizzabili per una loro valutazione condivisa dagli operatori di mercato. In tale contesto, a fronte dell'opacità dei prodotti e della difficoltà di apprezzarne il valore, il giudizio delle agenzie di rating ha assunto un'importanza crescente in quanto riferimento condiviso per la valutazione dei prodotti.

Il rating, tuttavia, rappresentava il risultato di stime basate su modelli di valutazione inadeguati e risultava pertanto assoggettato ai limiti che le ipotesi alla base dei modelli stessi potevano presentare. Tali limiti sono divenuti evidenti in seguito allo scoppio della crisi subprime, quando è divenuto chiaro che le agenzie hanno utilizzato modelli non sufficientemente sofisticati, ovvero basati su ipotesi e scenari sull'evoluzione del quadro congiunturale troppo ottimistici.

In quella circostanza è risultato palese che le agenzie hanno assegnato rating troppo generosi e si sono dimostrate troppo caute nel rivedere il proprio giudizio sugli emittenti che avevano iniziato a manifestare i primi segnali di crisi. Inoltre a giudizio di molti, le agenzie di rating hanno operato in una condizione di forte conflitto d’interessi in quanto gran parte dei loro profitti derivavano proprio da attività verso quegli stessi intermediari i cui titoli erano oggetto di valutazione da parte di tali compagnie.

All'inizio del 2004, la FED ha cominciato a innalzare i tassi di interesse in risposta alla ripresa dell'economia statunitense. I mutui di conseguenza sono divenuti sempre più costosi e sono aumentati i casi di insolvenze delle famiglie incapaci di restituire rate sempre più onerose. La domanda di immobili si è ridotta drasticamente, con conseguente scoppio della bolla immobiliare e contrazione del valore delle ipoteche a garanzia dei mutui esistenti.

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27 Le istituzioni finanziarie più coinvolte nell'erogazione dei mutui subprime hanno cominciato a registrare pesanti perdite31. A partire da luglio 2007 e per tutto il 2008,

inoltre, si sono susseguiti vari declassamenti del merito di credito (downgrading) di titoli cartolarizzati da parte delle agenzie di rating. Tali titoli, ormai ampiamente diffusi sul mercato, hanno perso ogni sorta di valore diventando così illiquidabili e costringendo di conseguenza le società veicolo a chiedere fondi alle banche che li avevano emessi e che avevano garantito loro linee di liquidità. Alcune banche non sono state in grado di reperire la liquidità necessaria per soddisfare tali richieste, poiché nessun istituto finanziario era disposto a fare loro credito.

In un contesto di scarsa chiarezza circa la distribuzione dei titoli strutturati nel sistema finanziario, infatti, il mercato interbancario ha cominciato a sperimentare un forte aumento dei tassi e una significativa contrazione della disponibilità delle banche a concedere credito ad altri istituti finanziari. Dalla crisi di fiducia si è sviluppato dunque una crisi di liquidità. Le banche hanno registrato pesanti perdite non solo per l'esposizione verso le società-veicolo, ma anche per le esposizioni verso soggetti colpiti dalla crisi (ad esempio, i fondi che avevano investito nei titoli cartolarizzati).

Tali circostanze hanno condotto alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi verso la soglia del fallimento, evitato grazie all'intervento del Tesoro di concerto con la FED. La banca di investimento Lehman Brothers, tuttavia, non ha ricevuto aiuti statali o supporto da soggetti privati e per questo ha dovuti iniziare le procedure fallimentari il 15 settembre 2008. L'insolvenza della banca d'affari americana ha avuto come conseguenza quello di innescare una nuova fase di intensa instabilità. La decisione delle Autorità americane di lasciare fallire una grande istituzione finanziaria, con un'ampia e rilevante operatività al di fuori degli Usa, ha infatti fortemente scosso la fiducia degli operatori alimentando un clima di fortissima tensione e incertezza sui mercati.

Il default Lehman Brothers ha generato preoccupazioni diffuse sulla solidità di altre banche d'affari e timori per gli effetti dell'esposizione verso questi istituti da parte di tutti gli altri partecipanti al mercato. Il brusco aumento del rischio di controparte percepito dagli operatori ha determinato una nuova drastica riduzione della liquidità sul mercato dei depositi interbancari e un aumento dei tassi a breve termine, nonostante le banche centrali avessero già avviato massicce iniezioni di liquidità.

31 I. Pezzuto, Miraculous Financial Engineering or Toxic Finance? The Genesis of the U.S. subprime mortgage loans crisis and its consequences on the global financial markets and real economy, Swiss Management Center working paper, December 2008.

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