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Rc sanitaria e assicurazione:criticità e necessità di cambiamento

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

R.C. SANITARIA E ASSICURAZIONE:

CRITICITA’ E NECESSITA’ DI CAMBIAMENTO

Relatore

Prof.ssa Maria Gagliardi

Candidato

Diego Dini

(2)

Indice

Introduzione

...5

CAP 1: Responsabilità civile del medico

...8

I. Conseguenze ampliamento della tutela giurisprudenziale del paziente...8

II. Medmal medica: gli effetti che provoca sul sistema...12

II.1 La medicina difensiva...14

III. Doveri del medico: diligenza, informazione, trasparenza...17

III.1 Diligenza...17

III.2 Informazione...20

CAP 2: Rc sanitaria: normativa ed evoluzione

………...21

I. I danni risarcibili per responsabilità medica...21

I.1 Danno biologico...21

I.2 Danno iatrogeno...24

I.3 Perdita delle chances di sopravvivenza...25

I.4 Danno patrimoniale...26

I.5 Danno morale...27

I.6 I nuovi danni ...28

II. Prima del decreto Balduzzi ...28

III. Decreto Balduzzi ...31

IV. I problemi interpretativi a seguito dell'emanazione della legge Balduzzi...35

(3)

VI. Nesso di causalità e onere della prova………...40

VI.1 Onere della prova...41

VII. La responsabilità del medico dipendente...44

VIII. Il rapporto ente-paziente...44

IX. Il metodo milanese...46

CAP 3: Difficoltà per le Compagnie assicurative italiane

………...47

I. La fuga delle Compagnie di Assicurazione...47

I.1 Un'eccezione: Amtrust Europe Ltd...50

CAP 4: Modalità assicurative: pro e contro delle possibili

soluzioni

………..……...52

I. Tipologie di assicurazione...52

I.1 La tendenza all'autoassicurazione...52

I.2 I Fondi regionali...56

I.3 Il Fondo di Garanzia...58

I.3.a Regole del Fondo...59

II. Periodo di pregressa: fonte di dibattito...61

II.1 Principio di meritevolezza...65

CAP 5: Problemi di Risk management

...68

I. Il rischio clinico...70

II. Analisi del rischio...71

(4)

IV. Il modello del formaggio svizzero...75

V. Metodi per l'analisi del rischio...77

VI. Valutazione del rischio organizzativo nel processo di cura...78

CAP 6: Cosa aspettarci dal futuro

...83

Conclusione

...87

(5)

INTRODUZIONE

La ragione del trattare questo argomento quale oggetto di studio e di approfondimento si fonda sull'esigenza avvertita, particolarmente da un ventennio a questa parte, dagli operatori sanitari (medici e personale ausiliario), di non sottovalutare, ma anzi, di prendere coscienza che nell'espletamento di funzioni assai delicate, quali sono quelle relative alla cura della persona e alla salute in generale, l'attuale società nel suo insieme è - giustamente - sempre più esigente. Il continuo progresso scientifico e tecnologico da cui scaturisce una maggiore efficacia del servizio induce, da un lato, il cittadino-utente a pretendere un risultato sempre migliore e, dall’altro, gli stessi operatori sanitari a cercare di raggiungere obiettivi sempre più elevati in termini sia quantitativi che qualitativi. Tale circostanza deve far riflettere sul fondamentale ruolo che ricopre la condotta professionale tenuta dal medico nello svolgimento della propria professione, le conseguenze e le responsabilità che questa comporta nell'ambito del diritto e il ruolo ricoperto dalle strutture sanitarie.

In una società ormai sempre più orientata all'attenzione verso il mantenimento della salute e caratterizzata da rapporti sempre meno reverenziali fra personale sanitario e paziente, il medico si trova nella scomoda posizione di poter essere sempre chiamato a giudizio per il lavoro svolto. Essendo noto come l'Art. 32 della Costituzione riconosca la tutela della salute come fondamentale diritto della persona e interesse della collettività, diventa quanto mai opportuno che ogni operatore sanitario sia almeno consapevole dei rischi connessi all’ordinario

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esercizio delle funzioni allorquando queste si dovessero discostare dai normali canoni di correttezza e diligenza.

Nel contesto storico in cui viviamo le azioni di responsabilità verso gli operatori sanitari si sono fatte sempre più intense e frequenti, che, parallelamente ad un elaborazione giurisprudenziale sempre più incentrata alla tutela del paziente, ha trascinato il medico in una posizione alquanto complicata. Con l'evolversi dell'aggravamento del rischio è aumentata anche la correlata sensibilità del medico: egli è sempre più intenzionato a trovare quella soluzione assicurativa che gli possa garantire la maggior sicurezza possibile durante lo svolgimento dell'attività professionale.

La criticità nasce nel momento in cui le Compagnie di Assicurazione denunciano che il sistema, così per come è strutturato e regolamentato, non funziona: l'ammontare dei premi versati vengono di gran lunga superati dagli esborsi che le Compagnie devono affrontare per i risarcimenti. Anche l'Ania sembra confermare la teoria andando a sottolineare che mentre sulla somma totale dei premi versati per Rc generale, i premi per Rc sanitaria costituiscono circa l'8,3%, i risarcimenti hanno inciso per circa il 23% sul complesso dei sinistri pagati. Come può essere facilmente intuito anche sotto il profilo assicurativo la situazione non è molto stabile e la necessità di un intervento inizia a farsi sentire sempre di più.

Questo elaborato si prefigge il proposito di offrire una panoramica sulla questione della responsabilità civile professionale del medico sia a livello giuridico, volto a esplicare le principali norme che disciplinano tale attività, sia a livello assicurativo, con tutte le esigenze e le problematiche che il continuo

(7)

incremento di tale fenomeno comporta sulle polizze e sul rapporto fra medici e Compagnie di Assicurazione.

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Cap 1: Responsabilità civile del medico

I. Ampliamento della tutela giurisprudenziale del paziente

Fino alla prima metà degli anni '90 le richieste di risarcimento per danni derivanti da negligenza della prestazione del medico erano quantitativamente non rilevanti e soprattutto non destavano nessun tipo di allarme le quantificazioni economiche dei danni che venivano risarciti.

Nel momento in cui il paziente leso si trovava nella situazione di dover richiedere un risarcimento per danni, non risultava semplice riuscire a dimostrare il nesso di causalità tra la prestazione ricevuta dal medico e il danno subito; inoltre le tempistiche assai lunghe dei processi rendevano ancora più complessa la strada per ottenere il risarcimento desiderato.

In queste condizioni di mercato era facile per gli operatori sanitari riuscire a trasferire il rischio di provocare danni a terzi alle compagnie di assicurazione, che, nel trovarsi a dover risarcire somme di poco conto, si potevano permettere di richiedere conseguentemente anche premi assicurativi di piccola entità.

Negli anni successivi, contemporaneamente ad una crescita significativa del numero di richieste di risarcimento, si è registrata una radicale trasformazione nell'orientamento delle istituzioni giudiziarie sia nella quantificazione del danno, con un forte aumento delle sentenze che riconoscono i danni subiti dai pazienti (di quel periodo e degli anni precedenti), sia per quanto riguarda l'ampliamento delle voci di danno risarcibili (come il danno biologico, la perdita delle chances di sopravvivenza, il danno non patrimoniale ecc.)

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della gestione del rischio da parte delle aziende sanitarie: le imprese hanno continuato ad utilizzare le ordinarie polizze di Responsabilità Civile promosse dalle assicurazioni, che invece, percependo il costante aumento dei costi relativi a tale settore, hanno iniziato a nutrire un livello di interesse sempre più basso provocando una riduzione dell'offerta e conseguentemente della concorrenza.

Tale fenomeno è riconducibile a tre principali cause:

una maggiore consapevolezza e attenzione dei pazienti alle cure ricevute;

un deciso aumento degli importi dei risarcimenti riconosciuti dai tribunali, non tanto a causa della componente del danno patrimoniale costituito dalla “perdita subita (danno emergente)” o dal “mancato guadagno (lucro cessante)”, quanto a causa della componente rappresentata dal «danno biologico» o «alla salute» e dall’importo riconosciuto a titolo di «danno morale» che ad oggi si configurano sotto la sfera del danno non patrimoniale1.;

l’ampliamento dei diritti e dei casi da risarcire da parte della giurisprudenza, che ha sostanzialmente modificato i contenuti della prestazione medica, quasi trasformandola da obbligazione di mezzi a obbligazione di risultato.

Collegandosi al secondo punto basti pensare che nel 2009, in occasione

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dell'emanazione delle nuove Tabelle per il calcolo degli indennizzi del Tribunale di Milano, sono stati modificati i parametri di risarcimento:

danno temporaneo: passaggio da importo fisso a forbice di valori con incremento del 15%;

danno permanente: da fissi a forbice con incrementi del valore medio tra il 25 e il 50%;

vittime secondarie: incrementi del 40% a favore del coniuge o convivente sopravvissuto, a genitori per la morte del figlio o viceversa;

incrementi dei valori massimi passati da 212.000 euro a 300.000.

Il potenziale valore dei danni risarcibili ha reso il settore appetibile a società di infortunistica e di studi legali specializzati in ambito sanitario.

Con l'ampliarsi del fenomeno, il sistema da anni standardizzato si è completamente ribaltato andando a creare presupposti inversi a quelli precedenti:

oneri probatori a carico del medico anche in tema di nesso causale, affermazione della responsabilità di natura contrattuale,

parametri risarcitori incrementati (evoluzione delle tabelle milanesi), esplosione delle richieste risarcitorie e dei contenziosi giudiziali, durata della prescrizione sino al termine decennale.

E’ evidente come tale situazione costituisca un vero e proprio problema sia di carattere assicurativo che di carattere sociale, il non essere intervenuti nei tempi necessari ha provocato delle conseguenze devastanti per il buon funzionamento

(11)

del sistema: sistema che adesso necessita di ampie riforme tanto dibattute ma non di facile realizzazione.

A conclusione, le conseguenze che quindi rappresentano i punti critici sono:

maggiori costi in termini di risarcimenti corrisposti ai pazienti,

un incremento del costo delle coperture assicurative,

maggiori difficoltà nel rapporto medico paziente,

maggiori difficoltà tra assicuratore e sanitario, dovute al conseguente aumento dei prezzi e alle più rigide politiche assuntive delle compagnie che hanno portato alla rarefazione dell’offerta.

Se un tempo quindi l'attività medica era considerata secondo l'antica concezione di professione intellettuale come l'espressione della libertà morale e dell'indipendenza delle decisioni del professionista, adesso assume contorni del tutto differenti: le azioni di responsabilità si sono fatte sempre più frequenti e complesse. Con il progredire dell'aggravamento del rischio, è di conseguenza aumentata anche la correlata sensibilità del medico, il quale inizia sempre più a percepire la necessità di sottoscrivere polizze in grado di tutelare i propri diritti e il proprio patrimonio.

L'evolversi del fenomeno ha registrato un ampliamento tale che oggi le compagnie assicurative maggiormente impegnate sul fronte dell'offerta di polizze sulla responsabilità professionale, lanciano l'allarme: il sistema, se non

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riorganizzato, volgerà al collasso. I dati che vengono sottoposti all'attenzione del settore descrivono una situazione nella quale i ricavi derivanti dai versamenti dei premi sarebbero di gran lunga superati dalle spese per i risarcimenti, ai quali le compagnie sono tenute in seguito a pronunce sempre più severe.

Anche l'Ania denuncia il peso che la RC del medico ha esercitato sui dati complessivi: i premi rappresentano generalmente appena l'8,3% della raccolta della RC generale, mentre i risarcimenti incidono per il 23% sulla somma totale dei sinistri pagati. Come si può facilmente comprendere, la responsabilità professionale sanitaria sta raggiungendo ormai il suo punto più critico e siccome l'aumento del premio non può essere visto come la soluzione ottima a risolvere il problema, un intervento di riforma e riorganizzazione dell'intero sistema si fa sempre più necessario e urgente.

II. Medmal medica: gli effetti che provoca sul sistema

La scarsa cultura del rischio e della prevenzione che caratterizza gli operatori sanitari e le strutture ospedaliere, unitamente alla mancanza di dati attendibili circa i livelli di rischiosità dei singoli centri ospedalieri, rendono molto difficile per il mondo assicurativo gestire quest'area di business e per gli operatori lavorare in tranquillità.

Risulta quindi essenziale andare ad analizzare le problematiche giuridiche, economiche e tecniche connesse al processo assicurativo dei rischi sopra citati.

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La lacuna del settore assicurativo e del mondo sanitario in tema di quantificazione e qualificazione dei rischi all'interno delle strutture sanitarie è piuttosto grave. Sarebbe auspicabile pertanto, riuscire a definire una batteria di indicatori la cui sintesi possa esprimere un indice globale della sicurezza delle strutture di cura, ma nessuno degli operatori coinvolti appare ad oggi realmente in grado di sviluppare tali indicatori sulla base dei dati esistenti. L'introduzione di un sistema di rating degli ospedali, peraltro, risulterebbe estremamente utile anche ad altri operatori: le Amministrazioni Regionali, le direzioni delle strutture di cura, ecc. e gli effetti positivi che tali indicatori potrebbero generare sono facilmente immaginabili. Acquisire consapevolezza del problema, è comunque il primo passo verso la soluzione, è chiaro che il singolo operatore, autonomamente, non può riuscire a risolvere la questione, però vero anche che a livello di sistema qualcosa sta iniziando a muoversi.

Le evoluzioni accennate si sono inevitabilmente riflesse sulle dinamiche assicurative, anche a causa della mancanza di una “cultura assicurativa diffusa”. Tale mancanza rileva sotto due profili distinti. In primo luogo, ciò che manca in generale in Italia, ma soprattutto nell'ambito della gestione dei rischi in campo sanitario, è una sufficiente cultura della gestione del rischio in modo multidisciplinare e sistemico tra gli operatori. Dalle analisi effettuate, molti dei danni arrecati si riferiscono a ipotesi a volte evitabili se le informazioni relative a precedenti medesime situazioni, fossero state gestite in modo opportuno.

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negativa del settore assicurativo da parte del personale medico, specialmente ospedaliero.

Una delle inevitabili conseguenze generate dalla overcompensation è che ogni qualvolta il medico si trovi in situazioni di incertezza, egli tenda a rifugiarsi nella spesso criticata “medicina difensiva”: essa consiste nella sistematica prescrizione di farmaci o di accertamenti non necessari alla salute del paziente (tipologia positiva o commissiva) ovvero dalla tendenza a evitare prestazioni ad alto rischio (tipologia negativa od omissiva), al solo fine di prevenire denunce giudiziarie, ma con ovvie conseguenze negative per il paziente nonché sul piano dei costi.

Incidenza economica della medicina difensiva praticata da tutti i medici (pubblici e privati) sulla spesa totale

Beni e servizi N. medici che praticano la medicina difensiva In % sul totale medici Incidenza spesa medicina difensiva su spesa totale (in %) Esami 208583 75,6 0,8 Visite 201299 73 2,4 Laboratori 193536 71,6 0,8 Farmaci 145319 53,8 3,7 Ricoveri 138622 49,9 3,2 Totale 10,9

Fonte: Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri

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Per fare un esempio l'Italia è uno dei paesi al mondo dove si fanno più risonanze magnetiche, circa 9 milioni ogni anno. Secondo il parere degli esperti almeno la metà di esse potrebbero anche non essere fatte.

Il fenomeno della medicina difensiva è visibile su tutti i campi dell'area medica:

nella prescrizione dei farmaci, dove oltre il 53% dei medici dichiara di prescrivere farmaci per ragioni di medicina difensiva e mediamente, tali prescrizioni sono circa il 13% del totale;

per le visite specialistiche, dove oltre il 73% dei medici ammette di di prescrivere visite specialistiche per ragioni di medicina difensiva e mediamente rappresentano il 21% di tutte le prescrizioni;

i ricoveri, circa il 49% dei medici dichiara di prescrivere ricoveri per ragioni di medicina difensiva e mediamente queste rappresentano l'11% di tutte le prescrizioni;

esami di laboratorio, circa il 71% dei medici dichiara di prescrivere esami di laboratorio per ragioni di medicina difensiva, mediamente tali prescrizioni costituiscono il 21% di tutte le prescrizioni;

esami strumentali, circa il 75% dei medici dichiara di prescrivere esami strumentali per ragioni di medicina difensiva, 22% del totale.

Nel complesso, il costo di simili pratiche sul Servizio Sanitario Nazionale è stato valutato in 13 miliardi di euro l'anno, pari a quasi l'11% della spesa sanitaria

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totale. L'elemento che risulta evidente da tale situazione, è l'evidente autonomia soggettiva che rimane in capo al singolo medico, manca l'elemento oggettivo con il quale poter confrontare i comportamenti, mancano le linee guida a cui il medico deve far capo, o quantomeno ad una gerarchia di standard professionali che orientino i medici nella loro prassi.

Dallo studio fatto da Ania, non mancano anche alcuni aspetti contraddittori. Dalle risposte alle interviste si evince che circa l'85% segue molto o abbastanza eventuali linee guida e/o protocolli o standard. Ma sono le stesse persone che, nel 73% dei casi, dichiarano di prescrivere visite specialistiche per ragioni di medicina difensiva. Qualcosa non funziona; o l'adesione alla best practise non è così diffusa o il gran numero di visite specialistiche rientrano a pieno titolo negli standard, o probabilmente, e forse è la vera ragione, quelle regole di condotta che sono presenti non sono così chiare o cogenti.

Il decreto Balduzzi prima e il ddl Gelli poi, si occupano specificamente di questo tema sottolineando come <<l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività, si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve2 >>.

Le linee guida a cui si fa riferimento possono essere definite come quelle raccomandazioni di comportamento clinico, studiate al fine di aiutare i medici a

2

Decreto legge 13 settembre 2012, n.158. Decreto Balduzzi. Art. 3 Responsabilità professionale dell'esercente le professioni sanitarie. Fermo restando il disposto dell'articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.

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decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche. La difficoltà in questo caso riguarda il fatto che si possono prevedere migliaia di linee guida, prodotte dalle società scientifiche, dagli ordini professionali ecc., però, per esser valide, devono comunque possedere requisiti di scientificità, attualità ed efficacia ed essere periodicamente soggette a revisione clinico-scientifica. L'intento sarebbe quindi quello di riuscire ad elaborare una tendenziale standardizzazione delle condotte da seguire, in quanto si presume che attenersi a determinate regole prefissate potrebbe diminuire sia la rischiosità dell'attività svolta dal medico, sia la quantificazione del rischio per le Compagnie di Assicurazione: operazione non facile, ma necessaria.

III Doveri del medico: diligenza, informazione e trasparenza

III.1 Diligenza

L'articolo 1166 del codice civile3, titolato Diligenza nell'adempimento, afferma che nell'adempiere l'obbligazione il debitore debba usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

Pur essendo il concetto di diligenza un criterio obiettivo, bisogna comunque interpretarlo nell'ottica di quel determinato rapporto, in funzione della sua

3 Art.1176 c.c. - Diligenza nell'adempimento. Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la

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specialità4 e della natura dell'attività esercitata. L'articolo riassume il complesso di cure e cautele che dovrebbe sottostare ad ogni comportamento che il debitore tiene nel momento in cui adempie alla propria obbligazione, avendo riguardo sia alla natura del rapporto sia alle circostanze di fatto che lo caratterizzano.

Il concetto della diligenza viene sempre affiancato anche da quello di buona fede5 e di correttezza; è necessario metterli a confronto per poter sottolineare la reciproca interferenza che c'è fra loro. La diligenza rappresenta un concetto diverso da correttezza o buona fede (art. 1175 e 1375 cc)6. Queste ultime impongono alle parti di tenere un comportamento corretto nell'eseguire la propria prestazione ma non riguardano interessi specificamente predeterminati, bensì il rapporto obbligatorio nel suo complesso. La diligenza invece, indica le modalità di esecuzione della prestazione e impone al debitore di fare tutto quanto necessario a soddisfare l'interesse del creditore all'esatto adempimento.

L'operatività dei criteri di buona fede e correttezza si pone su un piano diverso rispetto a quello della diligenza, essendone diversa la funzione. Buona fede e correttezza si pongono infatti sul piano degli strumenti d'integrazione del contenuto dell'obbligazione, laddove la diligenza, al contrario, assolve alla funzione di valutare “la conformità del comportamento del debitore a quello dovuto”, non con funzione integrativa o correttiva, piuttosto delimitando “ciò che

4

RODOTA', voce “Obbligazioni”, in Enc. Dir., Milano, 1969, 539.

5

Cfr. anche sen. Cass. Civ. sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014: << Occorre inoltre rilevare che il consenso, oltre che legittimare l'intervento sanitario costituisce, sotto altro profilo, uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista (art.1325 c.c.), avente ad oggetto la prestazione professionale, sicché l'obbligo di informazione deriva anche dal comportamento secondo buona fede cui si è tenuti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.).>> Sforza c. Milesi Olgiati, in Foro it., 1995, I, 2913 nota (SCODITTI); in Nuova giur. Civ. 1995, I, 937 nota (FERRANDO).

6

Art. 1175 – Comportamento secondo correttezza. Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza [in relazione ai principi della solidarietà corporativa].

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deve ritenersi, in quel singolo caso, esatta prestazione”.

La diligenza così come descritta viene quindi a porsi, rispetto alla nozione di correttezza, come criterio guida per valutare in quali limiti vi sia stata violazione della correttezza medesima, fondando così il proprio ruolo di criterio di responsabilità. Risulta quindi confermata la duplicità di funzioni che la diligenza svolge in relazione alle obbligazioni aventi ad oggetto un'attività: da un lato è utilizzato come criterio per determinare il contenuto dell'obbligo, dall'altro da criterio di imputazione dell'inadempimento.

L'adempimento del debitore diligente inizia sin dalle fasi preparatorie della prestazione, configurandosi come comportamenti nell'interesse dell'altro e pertanto già giuridicamente doverosi, in quanto predispongono il terreno affinché la prestazione consegua il suo risultato.

Un altro punto su cui soffermarsi è la diligenza richiesta al sanitario nel caso di carenza organizzativa della struttura; data la necessità di particolari strumenti per ogni qualsiasi tipologia di intervento, indipendentemente dalla considerazione che la loro mancanza sia addebitabile esclusivamente alla struttura, l'inadeguatezza delle apparecchiature non costituisce esonero di responsabilità per i sanitari se tali carenze, al momento dello svolgimento della prestazione, sono note. La diligenza del buon padre di famiglia va valutata in correlazione alle circostanze concrete nelle quali il professionista opera: per il medico, le dotazioni della struttura sanitaria fanno parte delle circostanze da tenere in considerazione. L'obiettivo di tale norma mira a responsabilizzare il medico che quando si trova nella situazione di decidere come svolgere una determinata prestazione,

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seguendo il principio di diligenza e di perizia, “sceglierà di effettuare all'interno della struttura soltanto quegli interventi che possono essere ivi eseguiti, disponendo per il resto il trasferimento del paziente in altra sede, ove ciò sia tecnicamente possibile e non esponga il paziente stesso a più gravi inconvenienti7.”

La perizia sopra citata, è il complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d'appartenenza.

III.2 Informazione

Riguardo all'obbligo di informazione8 da parte del medico, deve essere chiaro che sul piano strettamente giuridico, l'impegno che il sanitario contrae col proprio assistito riguarda l'obbligo di comportarsi con perizia, prudenza e diligenza, di agire nel rispetto delle leggi e delle norme deontologiche.

Si parla quindi di informazione preliminare, da fornire in ogni caso al cliente prima dello svolgimento della prestazione da parte del sanitario; l'informazione deve essere esauriente e precisa relativamente alla natura della malattia, sulle reali indicazioni e controindicazioni che caratterizzano la prestazione, sui rischi ad essa collegati e sui risultati che di fatto possono essere raggiunti.

L'informazione deve essere:

semplice, non è detto che il paziente conosca la terminologia medica e quindi il sanitario deve impegnarsi ad essere il più chiaro possibile per mettere l'assistito in condizioni di capire le sue reali condizioni;

7

Sentenza Cass. 13 marzo 1998, n. 2750, in Riv. it. Med. Leg, 2000

8

Cass. 8 agosto 1985, n.4394 in Foro It, 1986, I, 121, con nota di Princigalli; conforme Cass. 26 marzo 1981 n.1173, in Foro it, 1981, II, 1540.

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personalizzata, cioè adeguata al livello di cultura dell'assistito; veritiera, ma emotivamente equilibrata;

esauriente, deve esaudire tutte le richieste della persona assistita.

CAP 2: Rc sanitaria: normativa ed evoluzione

I. I danni risarcibili per responsabilità medica

Analizziamo adesso la natura, il tipo e la risarcibilità dei danni civili che il medico può causare nell’esercizio della propria attività professionale alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali. I danni risarcibili al danneggiato sono sostanzialmente di due tipologie: quello patrimoniale, suddiviso a sua volta in “danno emergente” (spese mediche, farmaceutiche, legali, ecc.) e “lucro cessante” (il mancato guadagno, particolarmente significativo nei casi in cui l’estetica è funzionale al lavoro svolto dal danneggiato) e quello non patrimoniale, suddiviso dalla dottrina in tre grandi categorie (danno biologico, danno morale e danno esistenziale). Per chiarezza di esposizione, questi danni sono stati raggruppati in quattro macro categorie generali: danno patrimoniale, danno biologico, danno morale e, infine, i c.d. “danni emergenti” apparsi in epoca recente nel panorama giurisprudenziale e tuttora in evoluzione.

I.1 Danno biologico

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teoria, il falegname ferito alla mano e con ciò messo in condizione di produrre, per un certo periodo di tempo, ogni giorno una sedia in meno rispetto al normale, ha diritto a ricevere a titolo di risarcimento il valore di tante sedie quanti sono i giorni di menomata efficienza. Sulla base di questo principio, il metodo tradizionale del lucro cessante inchioda il danneggiato alla concretezza della sua situazione reddituale nel momento in cui accade l'evento dannoso e tende ad eliminare ogni eventualità di sviluppo lavorativo della persona. Attraverso proprio il concetto di danno biologico si è cercato di dare attuazione ad un'idea dinamica dell'eguaglianza, riconoscendo uguali potenzialità di realizzazione lavorativa astraendo dal lavoro effettivamente svolto, dagli studi compiuti e dalle attitudini dimostrate.

Con “danno biologico” si intende un concetto esclusivamente medico, configuratosi come il pregiudizio all'incolumità o integrità somato-psichica preesistente, indipendente da qualsiasi riferimento o ripercussione sulla capacità di produrre reddito. Il danno alla salute, che nel caso di lesione dell'integrità psico-fisica integra “il primo, essenziale e prioritario risarcimento” (Corte Cost., sent. n. 184/1986), rappresenta una figura di danno normativamente disciplinata nelle due principali aree di danni sociali: i sinistri stradali e gli infortuni sul lavoro. L’art. 13 d. ls. 38/2000 e l’art. 5 della l. 57/2001 qualificano il danno biologico come la lesione, temporanea o permanente, della integrità psico-fisica, suscettibile di “accertamento” medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da ripercussioni sul reddito. Il danno

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conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto art. 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo.

Il danno biologico è un danno unitario e areddituale: con unitario si intende che ogni lesione della salute, qualunque sia la causa che l’ha generata, genera un danno avente le stesse caratteristiche ontologiche e strutturali, a parità di entità della menomazione riportata. Ciò si dovrebbe tradurre anche nell’impiego di metodologie omogenee di valutazione medico-legale della ridotta validità. Areddituale significa che sia l'accertamento, la valutazione che la liquidazione devono prescindere da qualsiasi riferimento al reddito o al patrimonio del danneggiato.

La lesione della integrità psico-fisica può risolversi in una malattia che non lascia residuare conseguenze permanenti sulla validità del danneggiato (danno biologico a carattere temporaneo) oppure provocare conseguenze durevoli che si protrarranno a lungo o indefinitamente nel tempo (danno biologico permanente). Rientrano nella categoria di danno permanente anche il danno estetico, il danno sessuale, il danno alla capacità di procreare e ogni misurabile danno ad una qualunque funzione biologica ben delineata ai fini della vita organica e soprattutto di relazione. Occorre quindi considerare tutto ciò che è relativo alla qualità della vita della persona: si riferisce a funzioni quali quella uditiva, visiva, fonatoria estetica ecc.; vengono incluse anche le ripercussioni sul funzionamento

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della psiche (danno alla salute psichica).

I.2 Danno iatrogeno

Con danno iatrogeno (dal greco “iatròs”, medico e “gennan”, generare) si intende l'aggravamento9, riconducibile a condotta imperita del medico, delle conseguenze di una patologia o di una lesione già sussistenti e non imputabili al medico. Gli eventuali danni posso essere quindi provocati dal concorso di due condotte umane: quella del terzo che ha causato la lesione originaria, e quella del medico, che invece di curarla l'ha aggravata.

Tale fenomeno crea due tipologie di problemi: il primo relativo all'accertamento del nesso causale tra la condotta dell'originario danneggiante ed il danno finale, il secondo relativo alla quantificazione del danno nel caso di regresso fra condebitori (responsabile del danno e medico) o nell'agire pro-quota contro ciascuno di essi.

Per quanto riguarda il primo problema, la giurisprudenza ritiene che rispondono in solido per il danno complessivo sia l'autore della lesione originaria (seppure meno grave di quella finale) sia il medico (benché senza la lesione originaria la gestione del medico sarebbe stata irrilevante). Nello specifico si è ritenuto poi che l'originario danneggiante risponda anche dell'aggravamento provocato dal medico, e che, così come il responsabile della prima lesione risponde dell'intero danno, nello stesso modo anche il medico risponderà del danno complessivo. Riguardo al secondo punto invece, è di uso comune il richiedere al C.T.U. quale

9

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sia l'entità di invalidità permanete del danneggiato, e qual è la percentuale di essa provocata dalla lesione originaria. Tramite questo sistema al giudice vengono fornite due valutazioni percentuali: una relativa al danno originario, l'altra al danno iatrogeno.

I.3 Perdita delle chances di sopravvivenza

L'errore del medico può impedire al paziente di conoscere in tempo di essere affetto da una certa malattia e quindi di adottare cure che sarebbero efficaci solo se tempestive, oppure aggravi una patologia già preesistente riducendo le possibilità di guarigione. Laddove il soggetto leso dimostri che la condotta negligente abbia provocato ripercussioni negative su di esso, l'errore del medico compromette la speranza di vita futura del paziente, provocando una lesione all'integrità fisica e psichica per cause legate al fattore tempo. (Art. 32 Cost.) La perdita delle chances di sopravvivenza crea due situazioni differenti a seconda che la vittima muoia prima della liquidazione del danno (con annessa necessità di verificare la presenza di nesso eziologico tra la morte del paziente e l'errore del medico), o che la vittima sia in vita al momento della liquidazione del danno (stabilire il quantum del rischio di morte anticipata, futuro e probabile, ma non certo). Nella prima situazione il responsabile dell'illecito dovrà risarcire il danno biologico sofferto dalla vittima per aver vissuto meno di quanto avrebbe potuto; nella seconda, data la difficoltà di analisi e di stima, non è ancora stato determinato un criterio scientificamente obiettivo per tale valutazione.

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I.4 Danno patrimoniale

Consiste nella lesione di un danno patrimoniale diretto o indiretto che provoca la diminuzione o la sottrazione del patrimonio del danneggiato, sotto la forma o del danno emergente (diminuzione patrimoniale subita) o del lucro cessante (mancato guadagno).

Relativamente alla rc medica va individuato nelle spese mediche, farmaceutiche e in generale per ogni esborso di denaro conseguente alla condotta illecita del sanitario (danno emergente), a cui si aggiungono i pregiudizi derivanti dalla perdita di tutte le occasioni di guadagno di cui la persona avrebbe potuto beneficiare se non avesse subito la lesione (lucro cessante).

I danni patrimoniali per spese mediche vengono generalmente comprovati mediante l’esibizione in giudizio della documentazione di spesa. Il danneggiato ha anche la possibilità di richiedere, dove ne sussistano i presupposti, il risarcimento delle spese non ancora sostenute, nelle quali, con ogni probabilità incorrerà in futuro.

Per quanto riguarda il danno che provoca la riduzione della capacità lavorativa, si deve fare una distinzione tra capacità lavorativa “generica” e “specifica”. Per capacità lavorativa generica si intende la potenziale attitudine alla attività lavorativa da parte di un soggetto in base alle sue condizioni fisiche, oltre che alla preparazione professionale e culturale: la perdita e la riduzione di tale capacità provoca un danno che viene generalmente ricondotto nella generale figura del danno biologico e perciò risarcito in via unitaria e areddituale come già esposto. Al contrario, la capacità lavorativa specifica si riferisce all’attività

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lavorativa realmente svolta dall'individuo, con la conseguenza che l’eventuale pregiudizio da quest’ultimo subito va rapportato al reddito da esso percepito.

I.5 Danno morale

Secondo una formula tralatizia, il danno morale consisterebbe nel “turbamento psichico soggettivo e transeute, causato dall’atto illecito”. In modo più corretto può essere identificato come la “sofferenza”, cioè come lo stato di sconforto ed afflizione provocato dall’evento dannoso. Il danno morale va però differenziato dal danno psichico, ovvero la compromissione patologica dell’integrità psichica. Vi sono due differenze strutturali. In primo luogo, il danno psichico deve fondarsi su una patologia, ovvero su una alterazione patologica delle funzioni psichiche dell’individuo, patologia che deve essere a sua volta nota alla psichiatria. Il danno morale, al contrario, non costituisce una malattia: esso è fonte di sofferenza per il danneggiato, ma non altera in senso patologico le sue funzioni psichiche.

In secondo luogo, diversi sono i “contenuti” delle due nozioni di danno. Il danno psichico, in quanto danno biologico, per definizione sussiste quando il danneggiato, per effetto della lesione, è costretto a rinunciare, in tutto od in parte ad alcune tra le attività esistenziali cui era solitamente dedito prima del sinistro; il danno morale, al contrario, non comporta una perdita od una riduzione di attività esistenziali, ma soltanto una sensazione di dolore.

La differenziazione tra danno psichico e danno morale va dunque ricercata nei presupposti e nei contenuti, e non nella mera quantità od intensità della

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sofferenza provata dal danneggiato.

I.6 I nuovi danni

Una fattispecie peculiare di danno è rappresentata dal c.d. danno da nascita indesiderata. Tale fenomeno si riscontra nei casi in cui la nascita di un figlio avviene contro la volontà del genitore: sono alcuni esempi l'insuccesso di un intervento abortivo, l'omessa informazione al genitore di malformazioni del feto con conseguente perdita di possibilità di interrompere la gravidanza; ciò può provocare la nascita di una sindrome depressiva nella madre o più banalmente la violazione del diritto a portare a termine la gravidanza. In particolare con la sentenza n. 16754/2012 la Corte di Cassazione ha convenuto che il medico, nel non riferire alla donna in gravidanza l'esistenza di una malformazione al feto, ha precluso a quest'ultima la possibilità di abortire, ed è obbligato a risarcire non soltanto il danno patito dalla madre, ma anche quello del neonato, a nulla rilevando che le malformazioni fossero congenite. Nella medesima sentenza è stabilito anche che il risarcimento del danno da nascita indesiderata è previsto anche per i fratelli della persona nata con malformazioni.

II. Prima del decreto Balduzzi

Il medico si trova nella difficile posizione di dover sempre rispondere per il suo operato; se il paziente subisce un danno, o anche più semplicemente se il processo di cura attuato dal medico non sortisce l'effetto desiderato, egli e

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l'ospedale possono essere chiamati a risponderne.

La sentenza numero 589/1999 della Corte di Cassazione ha sancito la natura contrattuale della relazione paziente-struttura sanitaria: viene definito come "contratto da contatto"10, consistente nel fatto che il paziente nel momento in cui si rivolge alla struttura sanitaria, entra ovviamente in relazione con un medico e si affida alle cure che quest'ultimo si impegna a prestare. Prima del '99, in linea con quanto stabilito anche negli altri paesi europei, valeva il principio della cosiddetta responsabilità extracontrattuale del medico (art. 2043 c.c.)11. Il principio quindi secondo il quale chi causa un danno ad un altro, è tenuto a risarcire. La sentenza del '99 è andata a riformare completamente i principi dettati dalle precedenti interpretazioni normative, cambiando soprattutto l'oggetto del contendere. La responsabilità extracontrattuale sarebbe configurabile solo nel caso in cui la prestazione del medico provochi una lesione alla salute del paziente allorché, per effetto dell'intervento del sanitario, il paziente si trovi in una situazione peggiore rispetto a quella precedente il contatto con il medico (connotato da colpa). Di conseguenza, il caso in cui la prestazione del medico non provochi nel paziente il risultato che si presumeva di raggiungere, ma comunque senza neanche aggravarla, non sarebbe configurabile come

10

Il Tribunale di Milano osserva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria in caso di inadempimento e/o inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, deve essere inquadrata nella responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, il rapporto che lega la struttura sanitaria (pubblica o privata) al paziente ha fonte in un contratto obbligatorio atipico (c.d. contratto di “spedalità”), che ha ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia alle prestazioni principali di carattere strettamente sanitario sia alle prestazioni secondarie ed accessorie (ad es. fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.). Nessun rilievo assume il fatto che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno dei suoi dipendenti. Infatti, a norma dell'art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

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responsabilità extracontrattuale per il semplice fatto che egli non ha subito alcun danno.

La novità principale è stata quindi quella di definire l'ambito del rapporto di natura contrattuale. Tale dichiarazione, sebbene andava a migliorare il dettato della norma precedente, non risultava comunque essere priva di lacune: la portata di tale affermazione rischiava di spingere implicitamente la prestazione del medico sotto la sfera dell'"obbligo di risultato".

Tale approccio ha provocato l'effetto di dilatare enormemente le responsabilità di chi presta cure sanitarie; di fatto il dover indennizzare non soltanto il danno alla salute, ma anche il mancato raggiungimento del risultato positivo sperato, amplia in maniera esponenziale le possibilità di chiamare a responsabilità il medico operante. Con l'applicazione della riforma si contano circa 500 mila casi avversi l'anno rispetto alle poche migliaia che venivano registrate in precedenza: risultato dato sia per via della dilatazione della responsabilità, sia perché passando sotto la sfera della responsabilità contrattuale, i termini di prescrizione si sono allungati da 5 a 10 anni. Ulteriore conseguenza da non sottovalutare è che il passaggio da extracontrattuale a contrattuale ha provocato lo spostamento dell'onere della prova dal paziente che denuncia il sinistro al medico. Essendovi una pluralità di variabili che possono essere considerate nel valutare le performance di un trattamento, non è sempre agevole per il medico riuscire a dimostrare la totale estraneità agli eventi dannosi che il paziente ha subito, e ciò ha reso i sanitari molto più vulnerabili, incentivando così avvocati e pazienti ad aumentare le cause.

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III. Il Decreto Balduzzi

Decreto legge 13 settembre 2012 (decreto Balduzzi).

Con la sentenza del 1999 si riconosce alla Corte di Cassazione il merito di aver rafforzato la tutela del paziente, tuttavia non è stato raggiunto il livello di normativa necessario per essere quello definitivo; rimase vivo il dibattito sulla mancanza di precise gerarchie da seguire, le varie riforme che fino a quel momento si erano susseguite erano riuscite soltanto a stabilire regole di best practise e standard professionali senza però riuscire a definire una regola precisa e chiara.

L'art. 3 del decreto legge del 13 settembre 2012, conosciuto come decreto Balduzzi, cerca di arginare tale carenza andando a stabilire che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo".

Il decreto è stato emanato con l'intenzione di andare a circoscrivere la responsabilità dei medici, limitare i costi dei risarcimenti e favorire la copertura assicurativa dei sanitari resa sempre più difficile dall'incremento dei costi delle polizze. Nonostante le ottime intenzioni, la nuova legge non è comunque riuscita ad eliminare tutti i dubbi preesistenti, lasciando comunque aperte molte questioni

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interpretative.

Facendo diretto riferimento all'articolo 2043 del Codice Civile, si è creato negli interpreti il dubbio che il legislatore abbia voluto incentrare nuovamente tale forma di responsabilità sotto la sfera della responsabilità extracontrattuale, sicuramente meno favorevole per il danneggiato.

Sulla vicenda si aprono due problematiche:

la responsabilità professionale ed in particolare quella del medico; la natura giuridica della responsabilità del medico.

Per quanto riguarda il primo punto la responsabilità professionale consegue all'inadempimento delle obbligazioni inerenti lo svolgimento dell'attività professionale. In questo caso nello svolgimento della prestazione si richiede una diligenza di tipo qualificata, per il soggetto debitore non è sufficiente attenersi alla diligenza del buon padre di famiglia, ma ad una diligenza adempitiva superiore, da valutarsi alla stregua della natura dell'attività professionale svolta (art. 1176 c.c.)12. Come già accennato in precedenza, l'obbligazione del medico si identifica come obbligazione di mezzi, in quanto egli è obbligato solamente ad eseguire la prestazione con la diligenza dovuta, ma non è tuttavia obbligato a raggiungere il risultato sperato inizialmente.

La professione sanitaria rientra nella categoria delle professioni intellettuali che sono sottoposte, oltre agli ordinari canoni di diligenza e prudenza, alle specifiche regole del settore di riferimento, la cosiddetta perizia.

Per quanto riguarda invece la natura giuridica della responsabilità del medico, la

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Art. 1176 c.c. - Diligenza nell'adempimento . Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata.

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questione nasce nei casi in cui l'obbligazione cui è tenuto il sanitario non trovi la propria fonte in un contratto concluso con il paziente, ma tramite il rapporto di lavoro che lo lega alla struttura sanitaria. Mentre la struttura sanitaria da sempre risponde a titolo contrattuale (contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi), più complicata è sempre apparsa l'individuazione dell'esatta natura della responsabilità del singolo medico che opera all'interno della struttura.

Secondo l'impostazione tradizionale, il medico risponderebbe a titolo extracontrattuale, art. 2043 del Codice Civile, risultando in questo caso semplicemente soggetto ad un generico dovere di "neminem laedere". Questo regime giuridico e il suo conseguente precipitato in tema di regime probatorio, inizia però a non mostrarsi soddisfacente agli occhi degli interpreti, al fine di un’adeguata protezione del paziente, anche in virtù del disposto dell’articolo 24 della Costituzione13.

La giurisprudenza pertanto, sul finire degli anni ottanta inizia a cercare un possibile fondamento contrattuale di tale responsabilità, poiché diversamente opinando si finirebbe con il paragonare il medico ad un quisque de popolo, sul quale graverebbe solo il generico dovere di neminem laedere di cui sopra.

Con la storica sentenza della Corte di Cassazione del '99, si registra una svolta. Si afferma infatti il principio di diritto per cui il medico risponde a titolo contrattuale ex art. 1218 del Codice Civile, in forza del cosiddetto " contratto

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Art. 24 Costituzione. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le

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sociale qualificato" che si instaura tra lui e il paziente.

Quando paziente e medico entrano in contatto fra loro, anche se non è stato stipulato direttamente alcun contratto, quest'ultimo deve agire comunque come se tra i due il contratto sia stato realmente concluso.

Da questo scaturiscono anche i cosiddetti obblighi di protezione: il paziente non ha il diritto che il medico intervenga obbligatoriamente, ma se il medico decide di intervenire, dovrà farlo adoperando la dovuta diligenza obbligatoria derivante dall'adempimento di un'obbligazione che trae origine da un reale contratto.

Il regime probatorio dell'analizzanda forma di responsabilità è agevolmente intuibile.

Al paziente sarà sufficiente provare l'esistenza di un contratto e l'aggravamento della situazione patologica, restando a carico del sanitario la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita diligentemente e che l'aggravamento sia dipeso da eventi imprevedibili e a lui non imputabili.

Un ulteriore aspetto del decreto che deve essere menzionato, è l'introduzione dell'obbligo di stipula dell'assicurazione per responsabilità civile professionale per tutti i medici e per gli operatori sanitari. L'obbligatorietà riguarda tutti i medici che hanno una partita iva e i dipendenti del servizio sanitario pubblico che svolgono anche attività extramoenia. Gli unici rimasti esenti da tale obbligo sono quindi i dipendenti del servizio sanitario nazionale che svolgono esclusivamente attività intramoenia in quanto già in possesso delle coperture assicurative stipulate con gli enti ospedalieri; i medici che lavorano per strutture pubbliche

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non sono comunque completamente tutelati: come analizzeremo in seguito, le coperture previste dalle Asl prevedono la protezione esclusivamente per i casi di colpa lieve e, pertanto, nei casi in cui venga rilevata la colpa grave del medico, l'ente o la Compagnia potrà avere diritto di rivalsa, per questa ragione è comunque consigliato anche ai dipendenti pubblici un'apposita copertura assicurativa.

IV. I problemi interpretativi a seguito dell'emanazione della legge

Balduzzi

L'art. 3 della legge Balduzzi prevede che "l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del Codice Civile".

Con l'espressione "linee guida" viene fatto riferimento a quanto utilizzato nelle discipline estere, ovvero alle buone pratiche, come guida ai comportamenti che i medici devono tenere consistenti in protocolli, raccomandazioni, opinioni scientifiche ecc.; linee di condotta che vengono poi anche utilizzate dal Giudice in fase di analisi dell'attività professionale svolta dal medico.

Il rispetto di queste guidelines garantisce al medico di essere esonerato dalla colpa lieve, ma non da colpa grave.

Se dal punto di vista penale, tale riforma ha condotto ad una depenalizzazione, dal punto di vista civilistico, il richiamo all’articolo 2043 del Codice Civile ha

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generato non poche incertezze in dottrina e giurisprudenza.

In particolare, gli interpreti si chiedono se tale riferimento debba intendersi nel senso che la responsabilità medica sia stata ricondotta sotto le coordinate della responsabilità aquiliana.

In buona sostanza, da un’analisi delle pronunce emanate a seguito di tale Decreto, si registrano due orientamenti.

Secondo una prima linea interpretativa, il Legislatore avrebbe voluto abbandonare la teoria della responsabilità contrattuale elaborata dalla giurisprudenza, qualificando nuovamente la responsabilità del sanitario come aquiliana.

Se così fosse, tale svolta di pensiero costituirebbe un superamento dell’ormai maggioritario indirizzo, al quale si riconosce il pregio di aver offerto una maggiore tutela alla parte debole del rapporto, cioè il paziente.

Per un diverso orientamento invece, maggioritario allo stato attuale, il richiamo all’articolo 2043 del Codice Civile, non costituirebbe l’intento del Legislatore di riportare tale responsabilità nell’alveo di quella extracontrattuale, ma andrebbe inteso soltanto come un generico richiamo ad un obbligo di risarcire il danno cagionato.

Secondo tale ultimo orientamento dunque la responsabilità del medico rimarrebbe di tipo contrattuale.

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Dopo solamente qualche anno dall'entrata in vigore della Balduzzi, vi è stato un ulteriore intervento: il disegno di legge Gelli (28 gennaio 2016).

L'intervento si pone innanzitutto l'obiettivo di combattere il fenomeno della medicina difensiva e raggiungere un sostanziale equilibrio tra tutela del paziente e limiti ai contenziosi.

La legge Balduzzi ha il merito di aver definito la differenza tra colpa grave e colpa lieve definendo che non risponderà per colpa lieve il medico che, nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Tale norma però, seppur prova a dare una distinzione fra le due tipologie di colpa, non riesce a dare una completa chiarezza su come questa possa poi essere applicata nella pratica, in quanto manca la definizione del concetto di colpa grave e quello di colpa lieve. A tal scopo è in seguito intervenuta la Corte di Cassazione precisando che occorre tenere conto dell'entità della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma comportamentale, dalla prevedibilità ed evitabilità dell'evento e tenendo conto del soggetto, delle sue conoscenze e motivazioni per le quali ha tenuto quella determinata condotta.

Nonostante il contributo della Corte, intento a diminuire la troppa discrezionalità lasciata al giudice nell'individuare la differenza fra colpa lieve e colpa grave, si è comunque avvertita la necessità di un ulteriore intervento legislativo e il ddl Gelli cerca di ottemperare a queste necessità una volta per tutte.

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ritengo essere al momento i più dibattuti.

L'art. 6 affronta la nuova responsabilità penale stabilendo che “il medico che nello svolgimento della propria attività cagiona, a causa di imperizia, la lesione o la morte di un paziente, risponde dei reati di lesioni personali od omicidio colposo solo in caso di colpa grave; colpa grave che però viene esclusa se il medico ha rispettato le buone pratiche clinico-assistenziali previste dalle linee guida (art.5).

La responsabilità penale viene quindi leggermente attenuata per i medici, mutamento voluto non tanto per favorire il medico, quanto più per abbattere il fenomeno della medicina difensiva.

L'art. 7 si occupa della responsabilità civile e prevede un cosiddetto doppio binario: si parla di un primo livello, dove la responsabilità a carico delle strutture ospedaliere è di tipo contrattuale, e di un secondo livello per il professionista, che sarà invece assoggettato a responsabilità extracontrattuale (onere della prova al paziente e riduzione della prescrizione da 10 a 5 anni). Tale regola dovrebbe essere una buona conquista per i medici, - in un industria che produce automobili, se abbiamo da lamentarci della prestazione di una vettura non andiamo a cercare l'ingegnere che l'ha progettata, ma andiamo alla ditta; stessa cosa dovrà accadere per i medici, per lamentarsi di un intervento non riuscito, di una diagnosi sbagliata ecc. sarà giusto rivolgersi non direttamente al medico ma alla struttura, la quale potrà comunque nei casi previsti, esercitare diritto di rivalsa sul medico14.

-L'azione di rivalsa sopracitata consiste nella facoltà, da parte della struttura, di

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richiedere al medico colpevole un risarcimento per il pagamento sostenuto per i danni dal medico cagionati. Tale argomento viene affrontato all'art. 9 dove è stabilito che l'azione può essere esercitata soltanto nei casi di dolo o colpa grave e soltanto a risarcimento avvenuto.

Tale decisione che sembrerebbe andare incontro alle esigenze sia dei medici che delle strutture, potrebbe però presentare un ulteriore punto critico: il medico, nel momento in cui dovrà sottoscrivere la polizza assicurativa per rc professionale, avrà la necessità di coprirsi solamente sul rischio di azione di rivalsa della struttura, il che significa assicurarsi esclusivamente per colpa grave; che ne pensano però le Compagnie di Assicurazione? Per le Compagnie, assicurare soltanto i casi di colpa grave, non sarà sicuramente efficiente: si ritroveranno nella situazione di dover chiedere o un premio troppo elevato o gli esborsi che saranno tenuti a effettuare non saranno proporzionati ai premi ricevuti.

L'articolo 12 prevede la possibilità dell'azione diretta del soggetto danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice; un ultimo aspetto da affrontare riguarda l'art. 14, nel quale il disegno di legge dava il via all'istituzione del tanto acclamato Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria. Stabilisce che il fondo dovrà essere costituito e gestito da Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici S.p.a.), e avrà il ruolo di risarcire i danni cagionati da responsabilità sanitaria nei casi in cui il danno sia di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti stipulati dalla struttura, oppure nel caso in cui la struttura o il medico colpevole sono assicurati presso una Compagnia che in quel momento si trovi in stato di insolvenza o liquidazione

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coatta.

VI. Nesso di causalità e onere della prova

Per poter imputare al medico una responsabilità per un evento dannoso è necessario che vi sia uno stretto legame fra l'evento accaduto e l'azione o omissione del sanitario.

Ai fini di una corretta disamina del nesso di causalità viene data applicazione, anche in ambito civilistico, ai principi espressi nelle norme penali articoli 40 e 41 del Codice Penale:

Art. 40: nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Art 41: il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute,

anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce di per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

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La Corte di Cassazione inoltre, tenendo conto dell'art. 122315 del Codice Civile relativo al risarcimento del danno da inadempimento richiamato dall'articolo 2056 e pertanto applicabile anche al risarcimento in materia di responsabilità extracontrattuale, stabilisce che ai fini della nascita dell'obbligo di risarcimento, il nesso di causalità fra il fatto illecito e l'evento dannoso può anche essere indiretto. È in tal senso sufficiente che il fatto illecito abbia posto in essere uno stato di cose senza il quale l'evento dannoso non si sarebbe potuto provocare e che il danno, si sia creato da un rapporto eziologico conforme alla media e non fuori dall'ordinario.

VI.1 Onere della prova

Il primo comma dell'articolo 269716 del Codice Civile sancisce che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Questa sarebbe la regola generale che però non può essere tenuta in considerazione nell'ambito della responsabilità giuridica del medico in quanto, nel nostro caso, esistono regole particolari sull'onere della prova, regole stabilite dall'articolo 121817 del Codice Civile.

La criticità dell'onere sulla prova si fonda sulle difficoltà che il paziente può

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Art. 1223 C.C.: il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.

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Art. 2697 c.c. Onere della prova. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

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Art. 1218 c.c. Responsabilità del debitore. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da

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incontrare nel reperire la documentazione o i mezzi di prova per far valere la propria pretesa; tenendo conto di tale necessità il legislatore ha preferito ridurre l'onere probatorio in carico al paziente leso ponendo in capo al medico l'onere di provare che la propria prestazione professionale fosse adeguata alla circostanza considerata. A questo viene tuttavia mossa la critica di aver trattato allo stesso modo, quasi confondendoli, l'onere della prova con l'obbligo di chiarimento. Effetto direttamente apprezzabile è l'aver predisposto il trasferimento del rischio del mancato convincimento del giudice dal soggetto danneggiato all'altra parte, sulla quale sarebbe semmai gravato esclusivamente l'onere di chiarimento.

Il nostro ordinamento prevede comunque anche regole più generali relative all'onere della prova; un esempio sono le cosiddette presunzioni iuris tantum e iuris et de iure, le prime ammettono la prova contraria che da un lato ripartiscono l'onere della prova, dall'altro esplicano le regole di giudizio indicando al giudice come deve decretare la controversia ove la parte che risulta onerata non sia stata in grado di fornire le prove richieste. Le seconde invece, dette anche presunzioni assolute, non ammettono la prova contraria.

Tra le norme che presentano una diversa ripartizione dell'onere della prova bisogna evidenziare l'art. 1218 del codice civile, secondo il quale sul debitore che non ha adempiuto correttamente alla prestazione, grava l'onere di provare che la mancata esatta esecuzione o il ritardo siano dovute a cause a lui non imputabili, essendo tenuto in caso contrario a dover risarcire il danno.

Nel caso di un non corretto adempimento di una prestazione da parte del medico si va anche ad analizzare la complessità dell'operazione svolta; le prestazioni

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vengono suddivise nelle macro categorie di interventi di facile o di difficile esecuzione. Nel caso in cui l'intervento viene considerato difficile, il medico ha soltanto l'onere di provare la natura complessa dell'operazione e il paziente quali siano state le modalità di esecuzione ritenute idonee; in caso di intervento facile invece, il paziente ha solo l'onere di provare la natura routinaria dell'intervento, mentre sarà il medico a dover provare che l'esito negativo non è dipeso da sua negligenza o imperizia.

Nelle situazioni in cui l'intervento era considerato semplice ma si è comunque verificato un danno al paziente la giurisprudenza distribuisce quindi l'onere della prova tra le due parti. Fa gravare sul paziente l'onere di dimostrare che la terapia era di facile esecuzione e che però ne è comunque derivato un risultato peggiorativo, e al medico, l'onere di fornire la prova contraria, ossia la prova che la prestazione è stata eseguita correttamente e che con la dovuta diligenza professionale non era possibile prevedere l'evento dannoso.

VII. La responsabilità del medico dipendente

Parimenti rilevante si rileva il percorso giurisprudenziale in tema di qualificazione della responsabilità del medico che opera all'interno di una struttura sanitaria. Volendo tutelare il paziente che l'assenza di un contratto non garantisca una variazione del contenuto dell'obbligo del medico, il legislatore ha preferito allontanarsi dalla prospettiva extracontrattuale tenendo fermo l'applicazione dell'art. 1176 comma 2 del Codice Civile.

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contrattuale da contatto sociale, a sostegno di tale principio vi sono altre due differenti teorie: la prima si sofferma sul concetto di "comune radice", rappresentata dalla non diligente esecuzione della prestazione, che qualificherebbe la responsabilità dell'ente e del medico suo dipendente, facendovi derivare una responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi i soggetti. In tale situazione la fonte normativa sarebbe l'art. 28 della Costituzione.

Secondo un ulteriore punto di vista viene ipotizzata l'esistenza di un contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo fra il medico e l'ente, il cui beneficiario sarebbe quindi il paziente, e da ciò, deriva per egli la possibilità di contestare il medico per la non diligente esecuzione della prestazione.

In conclusione possiamo comunque affermare che qualsiasi sia il principio a cui far riferimento, quello che preme è che la soluzione da intraprendere garantisca principi di correttezza, coerenza, nonché di compatibilità con i principi cardine del nostro ordinamento.

VIII. Il rapporto ente-paziente

Guardando alla relazione che si instaura fra il paziente e l'ente dentro al quale egli si sottopone alla prestazione del medico si è ormai superato ogni dubbio potendo quindi affermare che è di tipo contrattuale. È tuttavia parso riduttivo generalizzare il rapporto sotto la definizione della prestazione d'opera intellettuale, criticata per la troppa complessità delle prestazioni erogate dall'ente e nonché scarsamente aderente alla realtà nella quale è erogato il servizio

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