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Art. 660 c.p.: la dubbia efficacia della penalizzazione delle microviolazioni. Osservazioni sulla pronuncia n. 35718/2018 della Corte di Cassazione

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CASSAZIONE SEZIONE I^ PENALE - 26 luglio 2018, n. 35718 - PRES. CARCANO - REL. SARACENO -P.M.GALLI (conc. inammissibilità), in http://www.diritto24.ilsole24ore.com.

Art. 660 c.p.: la dubbia efficacia della penalizzazione delle microviolazioni. Osservazioni sulla pronuncia n. 35718/2018 della Corte di Cassazione.

Mariangela Telesca*

SOMMARIO: 1.- Il fatto. 2.- Dichiarazioni della parte lesa e ascrizione di reità. 3.- La condotta petulante.4.- La “vexata quaestio” delle attenuanti generiche: ovvero un gravame da cento euro! 5.- Una postilla politico-criminale per una vicenda (quasi) semiseria.

1.- Il fatto.

La decisione in commento s’inserisce nell’ambito di una vasta gamma di interventi giurisprudenziali in tema di molestia o disturbo alle persone1, e ciò nonostante offre molteplici spunti di riflessione. Non essendo questa la per addentrarci nell’analisi della fattispecie incriminatrice descritta dall’art. 660 c.p. – operazione, del resto, che ci farebbe perdere di vista il più limitato oggetto delle presenti considerazioni a tacere del rischio di ripetitività – soffermeremo la nostra attenzione solo sugli aspetti posti in luce nella sentenza de qua.

Il caso in esame si dipana con cadenze ormai consuete: venditori ambulanti, per lo più abusivi, a volte extracomunitari (i cd. “vu cumprà”), che cercano attraverso continue insistenze di piazzare la loro mercanzia consistente, di solito, in piccoli oggetti. Fenomeno d’altronde ben noto che si concretizza nella quotidiana offerta ad ogni angolo di strada di una ricca chincaglieria (anelli, collanine, cinture, giocattoli, prodotti tecnologici), differenziata solo in base alle condizioni atmosferiche stagionali (dalle sciarpe, ai cappucci, agli ombrelli del periodo invernale, si passa agli occhiali da sole per quello estivo); evento che si replica ai semafori dove i cd. “lavavetri” cercano di pulire il parabrezza dell’autovettura, in cambio di qualche moneta. Pochi (fortunati), del resto, non sono stati avvicinati da un venditore di calzini o di biancheria intima all’atto di parcheggiare la propria auto e sollecitati ad acquistare anche dei compact disk con gli ultimi “successi” musicali o cinematografici.

Il giudice di prime cure riconoscendo la responsabilità penale dell’imputato lo aveva condannato alla pena dell’ammenda di euro trecento.

La difesa dal prevenuto ha censurato la sentenza del giudice di merito con tre distinti motivi, il primo di carattere processuale, e gli altri due di natura sostanziale; viene infatti contestata: a) l’affermazione di reità in quanto fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della parte lesa; b) la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 660 c.p., in modo specifico l’agire petulante del prevenuto; in particolare quest’ultimo non si sarebbe avveduto dell’oggettivo disturbo arrecato alla parte offesa perché intento a promuove e, quindi, a vendere il proprio prodotto; c) l’eccessiva onerosità della pena inflitta ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Censure ritenute, per le ragioni che vedremo, manifestamente infondate dalla Corte con consequenziale declaratoria di inammissibilità del ricorso da cui discendono ulteriori effetti sul piano sanzionatorio.

* Dottoranda di ricerca – Università degli Studi di Salerno.

1 Sottolinea le numerosissime applicazioni giurisprudenziali nell’ultimo decennioF.Basile, sub art. 660 c.p., in

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15 2.- Dichiarazioni della parte lesa e ascrizione di reità.

Con il primo motivo si censura, come si anticipava, la carenza di prova nell’ascrizione della responsabilità penale in quanto fondata solo sulle dichiarazioni della parte lesa. I giudici di legittimità rigettano tale obiezione sulla base di un duplice presupposto: la difesa si è limitata ad un «generico» rilievo limitandosi a tacciare le dichiarazioni della parte offesa come inattendibili senza indicare le situazioni dubbie («che il ricorso nemmeno astrattamente adombra» scrivono i giudici) che ne avrebbero inficiato la credibilità; il secondo presupposto è dato dalla riaffermazione, da parte del supremo Collegio, dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la deposizione della persona offesa dal reato può essere anche da sola assunta come fonte di prova, «ove sia ritenuta oggettivamente e soggettivamente credibile, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, se non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità»2.

Il fatto di riconoscere valore di piena prova alla deposizione della parte lesa anche in assenza di riscontri esterni (seppure mediato dalla mancata evidenziazione di situazioni dubbie) non convince; non va dimenticata la circostanza che tale riconoscimento s’inserisce all’interno di un’interpretazione delle norme del codice di rito, in materia di prova, affermatasi per lo più con riferimento a fatti di violenza sessuale – poi divenuta ius receptum – ove, di solito, l’unica fonte di prova, per le condizioni ambientali in cui viene consumata la condotta3, è data dal racconto della parte offesa4, e ciò ancor di più in ipotesi di atti sessuali consumati su vittime minorenni5. In questi casi alla luce di un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed

oggettiva del dichiarante la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a

2 Cfr. punto 3.1. della sezione «Ritenuto in fatto e considerato in diritto».

3 Cfr. recentemente Cass., Sez.V, 19/9/2017, n. 42749, in http://www.ristretti.org, che ai fini della formazione

del libero convincimento del giudice, ha affermato che ben può tenersi conto delle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, sulla quale può essere, anche esclusivamente, fondata l'affermazione di colpevolezza dell'imputato, purché la relativa valutazione sia adeguatamente motivata; ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l'accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi.

4 Recentemente nell’ambito di una vasta applicazione cfr. Cass., Sez. III, 16/9/2015, n. 37354, in http://

www.cortedicassazione.it, per cui le dichiarazioni della parte offesa di abusi sessuali, che abbia piena capacità di intendere e di volere, possono esse prese da sole per fondare la prova della responsabilità dell'autore della condotta ove non sussistano elementi, anche solo indiziali, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni;

5 In proposito i giudici di legittimità (cfr. Cass., Sez.III, 18/9/2007, in CedCass 237554), in una vicenda di

ipotizzati abusi sessuali in danno di minori all’interno di in una scuola materna, ha affermato che il controllo della Corte, in presenza di un eccepito vizio motivazionale, ha un orizzonte circoscritto e va confinato alla verifica della esistenza di un apparato argomentativo non contraddittorio né manifestamente illogico del provvedimento impugnato. Le dichiarazioni del minore possono essere poste a fondamento della decisione anche se non risultano osservate le indicazioni di cui alla Carta di Noto, contenente le linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale, aggiornata nel 2011, dopo il recepimento delle disposizioni contemplate dall’art. 8 co. 6, del Protocollo della Convenzione di New York ratificato l’11 marzo 2002 e dall’art. 30, co. 4 della Convenzione di Lanzarote, ratificata in Italia con L. 172/2012. L'inosservanza dei protocolli prescritti per la conduzione dell'esame del minore non determinano alcuna nullità o inutilizzabilità della prova; infatti, secondo la giurisprudenza, Cass., Sez. III, 16/10/2014, n. 5754, in https://www.diritto.it, le cautele prescritte dalla Carta di Noto, pur di notevole rilevanza nell’interpretazione delle norme che disciplinano l’audizione di detti soggetti, presentano, carattere non tassativo. Il contenuto di tale Carta si limita, come indicato nel preambolo, a suggerimenti volti a garantire meglio l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica del medesimo. Quindi l’inosservanza delle guide linea non determina automaticamente l’inattendibilità delle dichiarazioni del minore e neppure la nullità dell’esame o la sua inutilizzabilità, a meno di non voler introdurre un’ipotesi non prevista di nullità o inutilizzabilità. Sul punto da ultimo cfr. A. Diamante, La valutazione dell'attendibilità e della credibilità della persona offesa e delle sue dichiarazioni nei procedimenti per violenza sessuale. Il minore abusato e la Carta di Noto. Breve ricognizione della più recente giurisprudenza di legittimità, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 2, 1s.

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quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza6. La valorizzazione delle sole dichiarazioni rese dalla vittima, idonee a fondare un giudizio di colpevolezza, passa attraverso il riconoscimento di un altro principio, affermatosi in seguito ad un’ampia casistica giurisprudenziale, che vuole le regole previste dall'art. 192 co. 3 c.p.p., non applicabili alle dichiarazioni della persona offesa7. Queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, in presenza di una duplice condizione8 consistente nella «previa verifica, corredata da idonea

motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone»9. Non a caso è stato affermato – in

considerazione dell'interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale – che il controllo debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti10. La circostanza che l’offeso si sia costituito parte civile se non attenua il valore probatorio delle dichiarazioni, richiede, però, un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell’interesse patrimoniale vantato11.

Tali orientamenti cercano di pervenire ad una difficile “quadratura del cerchio” perché la disposizione di cui all’art. 533 co. 1 c.p.p., come sostituito dall’art. 5 l. n. 46/2006, impone la pronuncia di condanna solo se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli "al di là di ogni ragionevole dubbio"12. L'art. 533 co. 1 c.p.p. prescrive di pronunciare sentenza di condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana13.

Il giudice in questi casi è chiamato a sciogliere un nodo alquanto intricato la cui complessità può essere colta riflettendo sulle limpide anticipazioni svolte dal Carrara, che ancor oggi

6 Tra le tante cfr. Cass., Sez. III, 1/10/2013, n. 40610, in https://www.personaedanno.it; Cass., Sez. IV,

18/10/2011, n. 44644, CedCass 251662; Cass., Sez. I, 24/6/2010, n. 29372, ivi, 29372; Cass., Sez. III, 10/8/2005, n. 30422, in Cass.pen. 2006, 2554s.; Cass., Sez. III, 29/1/2004, n. 3348, ivi, 2005, 513s.; Cass., Sez. IV, 9/4/2004, n. 16860, CedCass 227901. Il tema, è noto, ha sollevato un ricchissimo dibattito su cui v. recentemente cfr. M. Stellin, Il contributo testimoniale della vittima tra Cassazione e CEDU, in http:// www.archiviopenale.it, 2015, 1, per i riferimenti bibliografici e ulteriori richiami giurisprudenziali.

7 Le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., co. 3, non si applicano alle dichiarazioni dell’offeso, le quali possono

essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, purché vi sia una previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, cfr. Cass., Sez. VI, 14/5/2015, n. 20126, in http://www.dirittoegiustizia.it.

8 Sulla necessità dell’intrinseca attendibilità e dell’adeguata motivazione, cfr. Cass., Sez. III, 9/11/2011, n.

44423, in http://www.dirittoegiustizia.it.

9 Da ultimo cfr. Cass., Sez. Un., 19/7/2012, n. 41461, in CedCass 253214, la Corte ha altresì precisato come, nel

caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi; Cass., Sez. II, 24/9/2015, n. 43278, ivi 265104.

10 Cass., Sez. III, 26/9/2006, in http:// www.altalex.com.

11 Le Sezioni Unite con la richiamata decisione n. 41461/2012, hanno infatti affermato che «può essere

opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato»; nello stesso senso Cass., Sez.I, 26/6/2010, n. 29372, in CedCass 248016; Cass., Sez. VI, 3/6/2004, n. 33162, ivi 229755.

12 Cfr. Cass., Sez. I, 8/5/2009, in CedCass 243801; Cass., Sez. IV, 12/11/2009, n. 48320, ivi, 245879; Cass., Sez.

IV, 17/6/2011, n. 30862, ivi 250903.

13 Cass., Sez. III, 6/11/2014, n. 45920, in https://www.personaedanno.it; in senso conforme Cass., Sez. 1,

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rappresentano un costante punto di riferimento per gli studiosi del processo, in tema di testimonianza. L’illustre giurista, nel porre in risalto «le cause di sospettare il mendacio del fidefaciente», distingueva tra «difetti nella persona» e «difetti nel detto». E in relazione ai primi affermava: «I principali difetti nella persona del testimone derivano dalle seguenti cause: Dai rapporti col processo, quando vi abbia interesse: come i soci del delitto. Dai rapporti con la persona del reo o dell’accusatore: amici e nemici, congiunti, servi, dipendenti, subalterni in impiego, familiari, difensori»14.

Nel caso di specie i giudici di legittimità – dopo aver affermano che, da un lato, la sentenza impugnata ha ampiamente ricostruito i fatti descrivendo il comportamento insistente dell’imputato e, dall’altro, non essendovi stata allegazione di fatti contrari da parte della difesa – ribadiscono un principio incontroverso: la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni15. Pertanto, non rilevando evidenti incoerenze e antinomie nella ricostruzione operata nel giudizio di merito la Corte conclude per il rigetto delle censure riprodotte nel primo motivo.

3.- La condotta petulante.

Il secondo motivo – anch’esso non accolto dalla Corte – confuta il fatto che il prevenuto abbia agito nel modo petulante previsto dalla fattispecie di cui all’art. 660 c.p., laddove l’unico fine era quello di convincere la vittima a farle acquistare la propria merce. Occorre allora soffermarsi, seppur per rapidi cenni, sul concetto di “petulanza” e sull’inciso “o per altro biasimevole motivo” di cui alla norma codicistica posta, secondo un orientamento tradizionale16, a tutela dell’ordine pubblico e segnatamente della pubblica tranquillità con la conseguenza che la quiete dei singoli riceverebbe una tutela mediata e riflessa17. Le numerose perplessità (di ordine testuale, esegetico, storico-ideologico, costituzionale18), avanzate verso tale impostazione hanno spinto parte della dottrina e della giurisprudenza a propendere per una lettura che emancipi la fattispecie sulle molestie da riferimenti all’ordine pubblico e che individui come oggetto della tutela, immediata e diretta, la tranquillità personale intesa come interesse alla privatezza, alla intangibilità e al rispetto della sfera della vita privata19.

14 Cfr. F. Carrara, Programma del corso di diritto criminale. Del giudizio criminale, (1859-1870), Bologna 2005,

§ 952. Al § 953 il giurista lucchese continuava affermando: «Si dicono eccezionabili o difettosi nel detto i testimoni: 1 Che narrano cose impossibili, o grandemente inverosimili. 2 Che si esprimono in modo incerto e dubbioso, per quanto siano molti di numero; perché cento mi pare non possono fare un è. 3 Che sono o varii o contraddittorii seco medesimi. 4 Che non danno causa della loro scienza. 5 Che risultano mendaci in una parte del loro deposto: onde la regola di ragione naturale – mendax in uno mendax in toto. 6 Che depongono con animosità, con affettazione; o se in più, per eundem praemeditatum sermonem».

15 Fra le tante cfr. Cass., Sez. VI, 14/4/2008, n. 27322, in CedCass 240524; Cass., Sez.III, 22/1/2008, n. 8382, in

CedCass 239342; Cass., Sez. VI, 4/11/2004, n. 443, in CedCass 230899; Cass., Sez.III, 13/11/2003, n. 3348, in CedCass 227493; Cass., Sez.III, 27/3/2003, n. 22848, in CedCass 225232; Cass., Sez. II, 2/1/2017, n. 5, in http://www.parolaalladifesa.it.

16Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano5, X, Torino 1987, 189; G. Rosso, Ordine pubblico

(contravvenzioni),in Nss dig It.,XII, Torino 1965, 143; in giurisprudenza Cass., Sez. II, 23/2/1940, in Gius. pen.1940, II, 900; Cass., 8/5/1967, in Cass. pen mass. ann. 1968, 552; Cass. 15/6/982, in Riv. pen. 1983, p. 489; Cass., Sez. III, 1/7/2002, in CedCass 222705. A tale conclusione si perveniva richiamando la collocazione sistematica della norma e la perseguibilità d'ufficio del reato.

17 É stato sostenuto che la fattispecie di cui all’art. 660 c.p. mira a prevenire il turbamento della pubblica

tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata ed è pertanto procedibile d’ufficio, cfr. Cass., Sez. I, 30/10/2007, n. 43704, in CedCass 238134.

18 Sul punto si rinvia alle considerazioni svolte con ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali da Basile, sub

art. 660 c.p., cit., 6691s.

19 Cfr. Basile, sub art. 660 c.p., cit. p. 6691. Per ulteriori considerazioni cfr. G. Contento, Molestie o disturbo

alle persone, Enc.giur. Trec., XX, 1990, 1s.; De Vero, Inosservanza di provvedimenti della polizia e manifestazioni sediziose e pericolose (contravvenzioni), in Dig. disc. pen., VII, Torino 1993, 76s.

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“Molestia o disturbo”, che costituiscono gli eventi del reato a forma libera20 vengono intesi in

termini di interferenza, momentanea o durevole, nella sfera di tranquillità del soggetto passivo che provoca disagio, fastidio o insofferenza per il proprio equilibrio fisico o psichico21.

Ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 660 c.p. occorre una condotta “petulante” ossia un contegno intollerabile ed incivile verso la vittima «tale da determinarla ad invocare aiuto, ed ogni modo di agire arrogante o vessatorio senza riguardo per la libertà o la quiete altrui»22. Nella stessa ottica si sostiene che integra il concetto di petulanza l’atteggiamento di arrogante invadenza, di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà23, che si concretizza anche in un modo di agire insistente, pressante, ostinato e

indiscreto nei confronti della persona molestata24.

Non può essere pertanto condiviso un minoritario orientamento giurisprudenziale che assume realizzato il fatto di cui all’art. 660 c.p. anche con una sola azione di disturbo o di molestia non trattandosi di reato abituale25, come si verifica nel caso di una sola telefonata – cui segua bruscamente l’interruzione della comunicazione non appena il chiamato risponde – perché «non (essendo) motivata da intenti civili, interferisce inopportunamente nella sfera dell’altrui quiete ed è quindi idonea a determinare sensazioni psichiche sgradevoli»26. Una tale

posizione si pone in contraddizione con la struttura della fattispecie ove il sostantivo “petulanza”, da un punto di vista esegetico, implica uno specifico atteggiamento di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza, intromissione inopportuna e continua27.

L’inciso “altro biasimevole motivo” concerne qualunque altra azione riprovevole in sè o in relazione alla persona molestata, che ha gli stessi effetti della petulanza28.

La Corte rigetta anche il secondo motivo dopo aver evidenziato il comportamento «insistente sopra ogni limite tenuto dall’imputato», che non si è limitato a reiterare l’offerta di vendita del prodotto, del resto già rifiutata, ma ha rincorso e tallonato la vittima fino a quando la stessa non ha raggiunto l’autovettura con a bordo il marito che l’attendeva. Così operando i giudici di legittimità si allineano ad un precedente orientamento giurisprudenziale che ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. considera petulante l’atteggiamento di chi insista nell’interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà, anche dopo essersi accorto che la sua condotta non è gradita ed essere stato anzi diffidato a porvi fine29. Il supremo Collegio, alla luce della condotta obiettivamente petulante del prevenuto, ritiene provato anche l’elemento soggettivo affermando che «è sufficiente ad integrare il reato la circostanza che l’agente sia consapevole di tale suo modo di fare, non rilevando la pulsione che lo muove». Anche in proposito la decisione procede in sintonia con un costante principio affermato dalla prassi secondo cui in tema di molestia e disturbo alle persone, ai fini dell’elemento soggettivo del reato, è sufficiente la coscienza e volontà della

20 Cfr. Cass., Sez. I, 19/1/2006, n. 8198, in CedCass 233438, secondo cui il resto previsto dall’art. 660 c.p.

consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata di relazione.

21 Cfr. G.M. Flick, Molestia o disturbo alle persone, in Enc. dir., XXVI, Milano 1976, 702. 22 Cass., Sez. I, 30/10/1986, n. 12251, in CedCass 174192.

23 Secondo la giurisprudenza per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione

continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l'elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all'ipotesi del reato continuato, Cass., Sez. I, 24/11/2011, n. 6908, in CedCass 252063; Cass., Sez. I, 13/3/2008, n. 17308, ivi 239615.

24 Cfr. Cass., 23/4/2004, in CedCass 228217; Cass., 22/12/1998, Faedda, ivi, 212059; Cass., 12/6/1998, in Cass.

pen. 1999, 1804.

25 Cfr. Cass., Sez. I, 25/11/1992, n. 11336, in CedCass 192565. 2626 Cfr. Cass., Sez. I, 20/11/1991, n. 11755, in CedCass 188987. 27 Così l’Enciclopedia Treccani, in http://www.treccani.it.

28 Cass., Sez. I, 28/6/2016, n. 26776, R.S., in http://www.neldiritto.it; Cass., Sez. I, 7/1/1994, n. 3494, in

CedCass 195915

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condotta, accompagnata dalla consapevolezza dell’oggettiva idoneità di quest’ultima a molestare o disturbare, senza valida ragione, il soggetto che la subisce, nulla rilevando la ricerca degli eventuali impulsi motivazionali dai quali il soggetto attivo sia stato spinto ad agire. Gli stimoli proprio perché attinenti alla sola sfera dei motivi, non hanno incidenza alcuna nulla finalità oggettiva e penalmente rilevante dell’azione, in relazione alla quale si configura il dolo30.

4.- La “vexata quaestio” delle attenuanti generiche: ovvero un gravame da cento euro!

Il terzo motivo di gravame, come anticipato, attiene all’eccesiva onerosità della pena inflitta nonché all’ingiustificato mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte, nel sostenere l’infondatezza anche dell’ultima censura, afferma che il giudice di merito ha correttamente operato perché a base della decisione ha posto i precedenti penali dell’imputato e questi sono stati ritenuti ostativi.

Com’è noto, il richiamato art. 133 co. 2 individua nella capacità a delinquere del reo il secondo parametro (dopo la gravità del reato di cui al co. 1) che deve utilizzare il giudice per la commisurazione della pena. Sono note le questioni, tuttora aperte, sollevate dall’interpretazione del criterio della capacità a delinquere – se vada riferita al passato e quindi come criterio per la quantificazione della pena per il fatto commesso, oppure da intendersi come possibilità, maggiore o minore, di future condotte criminose – così come il ricco dibattito scientifico sul tema, per essere nell’ambito di queste brevi riflessioni solo richiamate. Limitandoci al disposto di cui all’art. 133 co. 2 n. 2 c.p. va evidenziato, al fine di stabilire la capacita a delinquere, il ruolo dei precedenti penali e giudiziari e in genere la condotta di vita anteatta del reo. La sentenza sul punto non offre particolari appigli che consentano specifici approfondimenti; dal silenzio dei giudici di legittimità può trarsi la conclusione: a) l’imputato non aveva precedenti penali e, quindi, non aveva riportato condanne anteriormente alla commissione del fatto31; b) non aveva precedenti giudiziari che sono dati dai procedimenti pendenti, dall’eventuale sottoposizione a misure di prevenzione, da provvedimenti di interdizione o di inabilitazione; c) l’imputato «era già stato segnalato alle forze dell’ordine» perché «infastidiva i passanti, tentando di vendere con insistenza dei profumi» e dunque sotto il profilo della condotta di vita del reo tali specifici, pregressi, comportamenti sono stati ritenuti sufficienti per negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche. In particolare, ai fini della concessione o del diniego di queste ultime il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso32. A completare il quadro con riferimento al diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare un consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato»33. E sempre per quanto concerne l’onere di motivazione è stato precisato come

ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione

30 Cass., Sez. I, 4/12/1995, in CedCass 203042.

31 Va segnalato in proposito l’arresto giurisprudenziale in ordine all’irrilevanza ex lege dello stato di

incensuratezza al fine della riconoscimento delle attenuanti generiche, Cass., Sez. IV, 17/8/2011, n. 32117, in http:// www.neldiritto.it.

32 Cass., Sez. II, 18/1/2011, n. 3609, in CedCass 249163. 33 Cfr. Cass., Sez. VI, 14/12/2003, n. 7707, in CedCass 229768.

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delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo34.

Va in fine segnalato che il rifiuto della concessione delle circostanze attenuanti si è tradotto, sul piano concreto, in un mancato “sconto” di un terzo della pena irrogata e, quindi, della somma di cento euro!

5.- Una postilla politico-criminale per una vicenda (quasi) semiseria.

A guadare l’intera storia da tutt’altra angolazione si ha l’impressione di una vicenda connotata da aspetti semiseri. Si tratta, in fin dei conti, di un fenomeno fatto di scene di quotidiana indigenza o, peggio ancora, di povertà estrema, la cui soluzione troppo spesso viene “tartufescamente” delegata al diritto penale. Quest’ultimo, però, in casi come questi, crea più problemi di quelli che dovrebbero risolvere. Forse un migliore controllo del territorio eviterebbe in radice queste difficoltà se solo si riflette sulle violazioni della vigente normativa in materia di commercio ambulante di cui al d. lgs. n. 114/98, a tacere dei fatti di abusivismo. Innanzitutto la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 660 c.p. prevede un regime sanzionatorio alternativo (arresto fino a sei mesi o ammenda fino a cinquecentosedici euro) che si traduce spesso nell’applicazione di una mera sanzione pecuniaria. Ciò è paradigmatico dell’utilità di una tale fattispecie incriminatrice; meglio del suo mantenimento nell’ambito del codice penale. Con questo non si vuole affermare che l’ambulante, ancor di più se abusivo, sia legittimato a molestare o ad infastidire le persone ma solo ribadire – senza riprendere il dibattito intorno alla collocazione in altra sede degli illeciti contravvenzionali – che altri possono essere gli strumenti di intervento per contrastare, con maggiore efficacia, fatti certamente al di fuori del vivere civile.

Ed invero, il perseguimento di una più efficace salvaguardia di determinati beni giuridici si concreta, spesso, in una serie di microviolazioni sicuramente non irrilevanti rispetto ai fini che la legislazione di volta in volta si propone, ma la cui penalizzazione, specie nella forma tradizionale, appare di assai dubbia efficacia35.

Pertanto, è innegabile che il sistema sanzionatorio amministrativo, sul piano dell’effettività, abbia migliori capacità di salvaguardare il bene giuridico evitando tutti i ben noti inconvenienti del processo penale. Le misure sanzionatorie a supporto dell’illecito amministrativo si caratterizzano in termini di maggiore incisività se rapportate alle attuali pene brevi limitative della libertà, in realtà mai applicate per effetto dei provvedimenti di clemenza disciplinati dal sistema penale.

In effetti, se il codice penale deve essere inteso – come già sostenuto da illustre dottrina – quale «prontuario tendenzialmente esaustivo degli interessi e dei valori meritevoli di tutela»36,

riconoscendogli, in tal modo, il ruolo di legge fondamentale in materia criminale, allora difficilmente in esso possono trovare asilo fattispecie si scarsa o nulla rilevanza37. Solo così il codice svolge la funzione classica, di stabilire il catalogo delle aggressioni più gravi a beni

34 Cfr. Cass., Sez. I, 31/3/1994,n. 3772, in P. Corso, Codice di procedura penale commentato, Piacenza, 2018,

1567.

35 Cfr. C. Fiore, Prospettive della riforma penale. Il ruolo della legislazione speciale, in Dem. dir., 1977, 685. 36 Così Fiore, Prospettive cit. 686.

37 In proposito cfr. E. Lo Monte, Art. 659 c.p.: una fattispecie contro il disturbo delle persone che finisce solo

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giuridici di estrema rilevanza in un dato momento storico38 e la norma penale “guadagna in prestigio e in efficacia pedagogica”39.

Nel caso di specie i giudici di legittimità hanno confermato la sentenza del giudice di merito e in seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso hanno condannato l’imputato al pagamento delle spese del procedimento e – «per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione» – al pagamento della somma di duemila euro in favore della casa delle ammende. Com’è stato sostenuto, in questi casi la “vera sanzione” – che dal punto di vista della funzione della pena può trovare qualche giustificazione solo sul piano della generalprevenzione negativa – è stata quella inflitta dalla Corte non per il fatto commesso ma attraverso la valorizzazione di profili diversi quali la temerarietà del ricorso40. Tutto ciò in

linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale secondo cui è incompatibile con il principio di eguaglianza una norma che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto il ricorso per cassazione, poi dichiarato inammissibile, ragionevolmente fidando nell'ammissibilità e quella del ricorrente che invece non versi in tale situazione, al punto da essere definito temerario41.

Sotto altri aspetti va posto nel debito risalto che la previsione di questa tipologia di illeciti finisce solo per distogliere il magistero penale dall’occuparsi di questioni più serie; e parlare di perdita di tempo per celebrare processi di scarsa importanza impegnando uomini e mezzi alla luce dei vistosi problemi di sovraccarico giudiziario non deve suonare come un’eresia.

Abstract

La decisione in commento, nel rilevare profili di colpa per irritualità dell’impugnazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente oltre al pagamento delle spese processuali ad una ulteriore somma in favore della cassa delle ammende. In fin dei conti è questa la vera sanzione irrogata considerato che l’art. 660 c.p. presenta vistosi limiti di effettività.

Due to the irregularity of the appeal, in identifying guilty profiles, the decision in question, declares the latter to be inadmissible and orders the appellant, to pay not only the relevant legal costs, but also an additional sum into the penalty fund. Ultimately, this is the real penalty imposed, considering that Art. 660 of the Italian Code of Criminal Procedure has conspicuous limits of effectiveness that even cast doubt on its retention in the Italian Code of Criminal Procedure.

38 In tal senso cfr. G. Fiandaca, Relazione introduttiva al convegno su Aa.Vv., Valore e principi della

codificazione penale: le esperienze italiana, spagnola, francese a confronto, Atti del Convegno di Firenze, 19-20 novembre 1993, Padova 1995, 20.

39 Cfr. C. Pedrazzi, La riforma dei reati contro il patrimonio e l’economia, cit., 355; sui significati “simbolici e

pedagogici” cfr. D. Pulitanò, La formulazione delle fattispecie di reato: oggetti e tecniche, in Aa.Vv. Beni e tecniche della tutela penale. Materiali per la riforma del codice, Crs (cur.), Milano 1987, 38.

40 Cfr. Lo Monte, Art. 659 c.p., cit., 8.

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