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Il materiale ceramico della Ca’ Granda di Milano

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S T O R I A E R E S T A U R O

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distanza di diciassette anni i ricerca-tori della sede “Gino Bozza” di Milano dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR hanno avuto modo di poter nuovamente investigare il ricco apparato de-corativo in terracotta delle facciate della “Ca’ Granda” attualmente sede dell’ Università de-gli Studi di Milano. L’edificio, originariamente progettato come ospedale da Antonio Averu-lino (detto il Filarete) per volontà di Francesco I Sforza, fu realizzato a partire dalla seconda metà del XV secolo fino al suo completamento nel XVIII secolo.

Un aspetto importante del monumento è il suo configurarsi come palinsesto: sopravvissuto ad un pesante bombardamento durante la Se-conda guerra mondiale, seppur parzialmente crollato, fu oggetto di numerosi interventi tra-sformativi e conservativi succedutisi tra il 1946 ed il 1985, che hanno determinato la presenza

di molti elementi di integrazione, realizzati con materiali anche diversi rispetto ai ceramici ori-ginariamente presenti in opera.

Diverse campagne diagnostiche a partire dagli anni Novanta, a supporto di interventi conser-vativi, furono finalizzate ad acquisire informa-zioni riguardanti i materiali costituenti i para-menti esterni dell’edificio, con particolare at-tenzione ai prospetti di via Festa del Perdono e via San Nazaro (Fig. 1). Ad una prima fase conoscitiva dei materiali è succeduta una se-conda fase di valutazione in situ dei prodotti e delle metodologie conservative. La sistema-tizzazione di tutte le informazioni raccolte ha permesso di costituire una banca dati che po-trà essere utilizzata in futuro nell’ambito di un piano di conservazione programmata.

Tra gli elementi di facciata e dell’apparato de-corativo, gli studi si sono focalizzati sulle an-tiche decorazioni in terracotta e sugli sfondati KEYWORDS Laterizio Terracotta Finiture Tecnologia Ricerca Brick Terracotta Finishes Technology Research

Il materiale ceramico

della Ca’ Granda di Milano

Gli studi propedeutici al restauro di laterizi e terrecotte sono un esempio dell’importanza

di promuovere la conoscenza di un bene per assicurarne la conservazione, valorizzare

l’identità culturale di un territorio e incrementare lo sviluppo sostenibile

Chiara Colombo

Ricercatore, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, CNR

Stefano Della Torre

Professore Ordinario,Dipartimento ABC, Politecnico di Milano

Rebecca Fant

Architetto specialista in Restauro dei Monumenti, libero professionista

Antonio Sansonetti

Ricercatore, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, CNR

The ceramic material of the Ca’ Granda hospital of Milan

T

he last conservation works

at Milan Ca’ Granda building, formerly hosting an hospital designed by Filarete, is proposed as a model to conceive a knowledge plan on architectural brick and terracotta surfaces. Conservation works were carried out in between 2008-2012, planning a characterization analytical campaign followed by an in situ evaluation of limits and benefits of conservation treatments. The ceramic substrates have been characterized in

their main components; the state of conservation of the ceramic elements has been studied and several decay patterns have been individuated such as exfoliation, pulverization and scaling. Red finishes have been detected on the ceramic substrate.

Their composition is different, basing on gypsum and lead white respectively, both pigmented with red ochre. Both of them are of extreme interest in reconstructing some elements of the building conservation history: for this

main reason the cleaning approach ought to safeguard those residues of red finishes presents on the surface. Nd:YAG laser source proved to be fruitful at this aim. Moreover some conservation products, including both surface consolidants and water repellent treatments, have been evaluated. The study could be assumed as a overall knowledge model to serve as an example in approaching the conservation works of an important monument faced with brick and terracotta tiles.

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in mattoni, permettendo una dettagliata inda-gine delle finiture di colore rosso, presenti su questi elementi architettonici.

Anche nel caso della Ca’ Granda, come era consuetudine, si può ipotizzare che tali finiture fossero applicate sulle superfici inizialmente con lo scopo di proteggere il substrato cera-mico e, nel corso degli interventi manutenti-vo-conservativi, per ravvivare il colore ed ac-cordarlo rispetto alle integrazioni realizzate. La conservazione di tali strati rossi, presenti

spesso come lacerti e tracce, è stato uno de-gli obiettivi perseguiti nell’intervento; la scelta del tipo di pulitura e le modalità sulle diverse superfici è risultata impegnativa a causa della loro composizione chimica, degli esigui spes-sori, del precario stato di adesione al supporto ceramico.

Tali aspetti sono stati attentamente studiati con l’obiettivo di scegliere il metodo di pulitura più idoneo da impiegare per la massimizza-zione della permanenza materiale.

1. Prospetto principale della Ca’ Granda su via Festa del Perdono. In primo piano le parti del Quattrocento e del Seicento oggetto di un intervento di restauro conservativo, più in lontananza la parte settecentesca con finitura ad intonaco rosso. 2. Porzione del prospetto seicentesco di Via Festa del Perdono. Aree di test corrispondenti alle formelle in terracotta ed al paramento murario.

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Metodi diagnostici

per lo studio dei materiali

Lo studio dei materiali è stato condotto con tecniche non invasive di cantiere e tecniche micro distruttive di laboratorio.

In particolare per investigare le superfici di fi-nitura è stata condotta una campagna diagno-stica non invasiva, con spettrometro porta-tile in fluorescenza di raggi X in dispersione di energia (XRFp), impiegata per mappare la loro diffusione e distribuzione. Lo studio del sub-strato ceramico e della natura stratigrafica delle finiture è stato condotto mediante op-portune tecniche di laboratorio (osservazioni in microscopia ottica in luce riflessa e in luce polarizzata, osservazioni in microscopia elet-tronica ed analisi elementare alla microsonda EDS, diffrazione di raggi X, analisi in fluore-scenza a raggi X, cromatografia ionica, spet-trofotometria infrarossa in trasformata di Fou-rier e spettroscopia Raman). Le analisi di labo-ratorio sono state effettuate su circa una cin-quantina di microframmenti, prelevati dagli apparati decorativi e dai mattoni.

In corrispondenza del cantiere pilota (2009), è stata condotta la valutazione di prodotti con-servativi mediante campagne di misura effet-tuate nel tempo, al fine di consentire una cor-retta polimerizzazione, una completa evapo-razione dei solventi, un assestamento del pro-dotto applicato ed un invecchiamento natu-rale. Su tali aree sono state effettuate misure colorimetriche e misure di assorbimento di ac-qua mediante il metodo della spugna di con-tatto. La valutazione dell’efficacia dei test di pulitura (Fig. 2), intesa come lo studio delle variazioni morfologiche e composizionali in-dotte sul profilo superficiale, è stata condotta mediante indagini in microscopia ottica in luce riflessa ed in microscopia elettronica a scan-sione, abbinata ad indagini EDS e micro FT-IR.

Risultati delle indagini e discussione

L’osservazione macroscopica degli elementi ceramici ha messo in evidenza che essi si pre-sentano con colorazioni omogenee, ma di to-nalità variabili dal rosso intenso al beige chiaro, oppure con colorazioni “variegate”,

so-prattutto nel caso delle terrecotte ornamen-tali (Fig. 3). Lo studio dell’impasto, foggiato e cotto, ha mostrato una composizione ana-loga sia per la realizzazione dei mattoni pieni che per le formelle in terracotta: è stata im-piegata un’argilla di natura non carbonatica, in accordo con quanto riscontrato sui cam-pioni analizzati durante la campagna del 1993. Dopo il processo di cottura sia i mattoni che le terrecotte ornamentali hanno presentato la stessa composizione chimica e mineralogica. Per quest’ultima si registra una preponde-ranza della componente silicatica in termini di quarzo e feldspati, sia di natura sodica che po-tassica, con presenza di ematite, illite e clorite quali minerali argillosi, ed anfibolo in traccia. Si può verosimilmente supporre che la tempe-ratura di cottura sia stata superiore ai 900°C. Il gesso riscontrato è da correlare ad un pro-cesso di cristallizzazione, causato dal degrado delle malte e dei materiali lapidei adiacenti, che forma cristalli di neoformazione nella po-rosità del corpo ceramico.

I dati raccolti dalle indagini diagnostiche ef-fettuate durante l’ultima campagna di studi (2009-2013), confrontati con i risultati delle indagini condotte agli inizi degli anni Novanta, evidenziano una profonda analogia non solo per quanto concerne la natura del materiale in crudo impiegato, ma anche per le tecniche di lavorazione utilizzate.

I risultati delle analisi condotte sulle formelle che ornano le cornici ogivali delle grandi fi-nestre e le fasce marcapiano di epoca seicen-tesca e di due lotti di epoca quattrocenseicen-tesca, suggeriscono l’uso di impasti appositamente formulati per conferire una maggiore plasti-cità al materiale crudo.

I differenti valori nei contenuti in allumina sem-brerebbero infatti indicare che l’argilla utiliz-zata sia stata soggetta ad un processo di depu-razione durante le fasi di prepadepu-razione del ma-teriale a crudo, che l’ha parzialmente privata di una porzione di scheletro, presente invece nei mattoni pieni, rendendola più ricca nella componente argillosa e quindi più plastica ed adatta alla realizzazioni di porzioni riccamente decorate.

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Lo stato di conservazione. Lo stato di conser-vazione delle terrecotte ornamentali e dei mat-toni era caratterizzato prevalentemente dalla presenza di abbondanti depositi superficiali di colore scuro che nascondevano, quasi total-mente, il colore rosso delle superfici. Si trat-tava, come definito dalla norma UNI 11182, di accumuli di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. con spes-sore variabile, generalmente con scarsa coe-renza ed adecoe-renza al materiale del substrato. Lo spessore del deposito, costituito prevalen-temente da carbonato e solfato di calcio, oltre che da particelle carboniose e silicati, si atte-stava intorno ai 400-500 micron. Dove il de-grado ha portato a vista il bulk del materiale ce-ramico, emergevano fenomeni di esfoliazione (manifestati dalla presenza di frammenti la-minari di spessore assai ridotto, sub-paralleli al profilo della superficie) cui si associavano fenomeni di scagliatura (costituiti da porzioni di materiale di forma irregolare con spessore consistente e non uniforme) generalmente lo-calizzati in corrispondenza di soluzioni di con-tinuità del materiale originario. Dove invece si sono registrate importanti perdite di interi ele-menti tridimensionali, particolarmente

mar-cati sono risultati i fenomeni di disgregazione, decoesione con caduta di minutissimi fram-menti, erosione e puntuale polverizzazione (si veda sempre Fig. 3).

Gli interventi manutentivi che sin dal Sette-cento hanno interessato le superfici deco-rate quali le formelle in cotto e il modellato in pietra d’Angera (conseguenza del degra-darsi delle superfici e della leggibilità del mo-dellato) hanno spesso determinato la sostitu-zione di elementi di materiale ceramico sia del paramento murario che, ancor più, delle for-melle decorate. Si ritrovano così numerose parti realizzate con materiali ceramici assolu-tamente confrontabili, dal punto di vista com-posizionale, con i materiali originari, ma anche sostituzioni effettuate con materiali differenti come impasti di malte cementizie.

Lo studio condotto mediante cromatografia ionica su diversi campioni rappresentativi di materiale degradato ha permesso di eviden-ziare come le terrecotte ornamentali risultino maggiormente interessate, rispetto ai mat-toni pieni, dalla presenza di solfati: le prime infatti possiedono un contenuto medio pari a circa 2,7%, mentre i mattoni si attestano a circa 1,6%. L’origine di tali sali è stata imputata alla

3. Elementi ceramici presenti nella parte quattrocentesca ed in quella seicentesca prima del restauro: mattoni dei paramenti murari, cornici semplici e formelle in terracotta “a stampo” e realizzate con “tecnica mista”. Sono evidenti i diversi fenomeni di degrado: erosione, disgregazione, polverizzazione, scagliatura fino alla perdita di parti consistenti del modellato, depositi di varia natura, sia poco aderenti che compatti e tenaci.

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natura delle malte di allettamento impiegate nell’apparecchiatura degli elementi ceramici, così come ai materiali impiegati nelle integra-zioni successive: essi infatti non possono ori-ginarsi dal cotto in quanto materiale non car-bonatico. La porosità aperta tipica del mate-riale ceramico sano (che, come rilevato nelle indagini condotte nella campagna del 1993, si attesta attorno al 29% per le terrecotte e al 37% per i laterizi) costituisce la via preferen-ziale lungo la quale le soluzioni saline migrano in superficie, portando alla cristallizzazione di sali e alla perdita di porzioni, anche significa-tive, di materiale.

Le superfici di finitura. Lo studio delle finiture di colore rosso è stato effettuato dapprima mediante misure non invasive di fluorescenza a raggi X. I punti di misura hanno rilevato oc-casionalmente e prevalentemente solo sul lato seicentesco, la presenza di una risposta signi-ficativa dell’elemento piombo. I risultati di que-sto screening iniziale hanno permesso di otti-mizzare il campionamento e di ridurre al mi-nimo il prelievo di microframmenti che, se pur indispensabili, risultano sempre invasivi nei confronti dell’opera indagata. Lo studio strati-grafico micro-invasivo è stato poi condotto so-lamente in corrispondenza di 12 punti.

La tipologia di finitura più diffusa riscontrata è costituita da una stesura sottile di colore rosso che copre omogeneamente le disuniformità del cotto sottostante. Si tratta della succes-sione di strati realizzati a gesso ed ocra rossa

aventi spessore intorno ai 30-40 micron, ade-renti al corpo ceramico e caratterizzati occa-sionalmente dalla presenza di crettature per-pendicolari all’andamento dello strato stesso. La ricerca della componente organica, me-diante analisi FT-IR, ha mostrano situazioni assai complesse, date dalla co-presenza di diversi composti individuati sui residui solidi dopo estrazione in esano. Si sono individuate sostanze proteiche (probabilmente uovo in-tero/caseina) e sostanze lipidiche (olii sicca-tivi). Lo studio delle componenti organiche im-piegate per la stesura delle finiture ha eviden-ziato, durante la seconda campagna diagno-stica, la presenza di sostanze di natura pro-teica. Si tratta di un approfondimento rispetto a quanto già emerso nella campagna del 1993, dove le sole sostenze lipidiche erano state identificate. Si ricorda infatti che su superfici così porose ed esposte all’aperto, era prassi comune “trattare” le superfici in cotto con so-stanze oleose o proteiche per “impermeabiliz-zarle”. La ricerca delle componenti organiche e la funzione effettiva svolta dalle finiture non è esente da dubbi e perplessità, derivanti an-che dalla forte mineralizzazione di queste so-stanze, con trasformazione delle stesse in os-salati di calcio.

I metodi di pulitura ed i trattamenti conserva-tivi. L’intervento conservativo è stato eseguito per lotti successivi. Il cantiere ha avuto una du-rata di circa 4 anni e ciò ha permesso di moni-torare le prestazioni dei prodotti utilizzati in

4. Esiti delle prove di pulitura su formelle con lacerti di finitura di colore rosso. A) Laser, B) Rotec, C) (NH4 ) 2CO3 , D) EDTA

A

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condizioni naturali di invecchiamento e per un intervallo di tempo di circa tre anni. Per il la-voro di valutazione degli effetti indotti dai trat-tamenti di pulitura, di consolidamento super-ficiale e di protezione idrorepellente, è stato opportunamente allestito un cantiere pilota su via Festa del Perdono, scegliendo un’area del paramento in laterizio e un’area adiacente con formelle di terracotta decorate su cui sono stati valutati cinque differenti metodi di puli-tura, tre consolidanti e tre protettivi. Le zone dei test sono state scelte con condizioni di con-servazione il più possibile omogenee, così da condurre una corretta valutazione delle pre-stazioni di metodi e prodotti.

Le prove di pulitura (Fig. 4) sono state effet-tuate utilizzando i seguenti parametri:

• laser EOS 1000; sorgente Nd:YAG; durata d’impulso ≈ 60-130 μs. fluenza operativa me-dia 1.35 J/cm2, frequenza di ripetizione 20 Hz;

diametro dello spot 3,5 mm.

• aero-abrasivatura Rotec; abrasivo Mikhart 130 (99% di carbonato di calcio); granulome-tria media 140 μm, pressione di esercizio 0.2 bar;

• lavaggio con acqua nebulizzata - 5 cicli da 5 minuti ciascuno;

• impacco di soluzione satura di carbonato di ammonio; tempo di applicazione 3 ore;

• impacco di soluzione acquosa di EDTA al 7%; tempo di applicazione 16 minuti.

Da ogni area di pulitura è stato prelevato un micro-frammento per indagare, in sezione trasversale, le differenze tra superficie pu-lita e sporca. Il deposito compatto sui supporti ceramici presi in esame era costituito essen-zialmente da silicati, particelle carboniose e gesso. La rimozione del deposito mediante la

soluzione satura di carbonato di ammonio è ri-sultata insoddisfacente, soprattutto dove l’im-pacco non era ben aderente alla superficie mo-dellata, come ad esempio in corrispondenza dei sottosquadri, dove in alcune delle stesse aree si sono osservati sbiancamenti dovuti alla presenza di precipitati in forma di minuti cri-stalli bianchi: si trattava di un accumulo di sali solubili di spessore variabile attorno ai 100 mi-cron cristallizzati al di sotto della superficie

esterna. La pulitura aveva inoltre lasciato nu-merose particelle scure, raccolte in fondo agli incavi, e residui di fibre appartenenti al mate-riale spessente dell’impacco. Inoltre dopo la pulitura, i lacerti di finitura rossa, presenti in alcune micro-aree dei campioni “non puliti”, erano ridotti a minime tracce: verosimilmente un meccanismo di idrolisi, da parte della so-luzione di carbonato di ammonio, ha coinvolto la componente oleosa che accompagnava la biacca portandola parzialmente in soluzione. Il metodo ad impacco testato non si dimostrò selettivo, ma al contrario eliminò sia il

depo-5. Pulitura mediante Laser Nd:YAG. A) Osservazione al microscopio ottico in luce riflessa di una sezione lucida trasversale. B) Osservazione in elettroni retrodiffusi (BSE). C) Analisi EDS eseguita in corrispondenza della finitura rossa, dopo pulitura.

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B

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sito compatto costituito da gesso, che la fini-tura rossa da conservare.

La pulitura mediante EDTA, complessante del calcio, non fornì risultati soddisfacenti ri-guardo alla rimozione del particellato; inol-tre il substrato non risultava sufficientemente ricco di calcio e l’azione dell’impacco si espli-citò sulla componente gessosa rimuovendo la finitura, parzialmente solubile in acqua. Anche lo spray di acqua nebulizzata non pro-dusse un buon risultato, determinando for-mazioni bianco/grigiastre localizzate. La fini-tura, là dove presente, si conservò solo par-zialmente. Per quanto concerne gli effetti del sistema Rotec, ad una osservazione macro-scopica esso sembrava aver ottenuto lo scopo di rimuovere la maggior parte dei depositi, ma una attenta osservazione a livello microsco-pico, evidenziò che il deposito non venne ri-mosso completamente, neppure in quelle aree che macroscopicamente sembravano avere raggiunto un livello di pulitura soddisfacente. Inoltre il tono cromatico generale della

for-mella pulita con Rotec risultava in parte de-saturato, con evidenti segni di una probabile abrasione accompagnata dalla perdita delle tracce della finitura. La pulitura effettuata me-diante laser Nd:YAG ha evidenziato chiara-mente la presenza dei lacerti della finitura di colore rosso intenso, che sono rimasti presenti e ben conservati (Fig. 5).

Per quanto concerne i prodotti per la conser-vazione sono stati testati i seguenti consoli-danti superficiali.

• RC70 Rhodia (silicato di etile)

• VP5035 DeGussa (silicato di etile modifi-cato)

• Acril ME (resina acrilica dispersa in acqua) e i seguenti prodotti idrorepellenti:

• RC80 Rhodia (miscela di silicato di etile e di polisilossano)

• Wacker 290 (silossano in forma oligomerica) • Fluoline HY (CTS) copolimeri fluorurati in

soluzione

I prodotti sono stati monitorati in situ attra-verso misure colorimetriche e di assorbimento

6. Fase di cantiere durante

la pulitura con laser di una bifora seicentesca, materiali presenti: terracotta e pietra d’Angera, confronto tra parti pulite e parti con depositi.

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di acqua con il metodo della spugna di con-tatto. Si sono così acquisiti i dati di valutazione per la comprensione di eventuali modifiche cromatiche indotte dalla presenza dei prodotti e di variazioni nella modalità di assorbimento dell’acqua. Tutti i prodotti testati hanno for-nito ottime prestazioni circa la riduzione di as-sorbimento d’acqua e limitate variazioni cro-matiche, soprattutto per quanto riguarda l’A-cril ME (il consolidante a base di resina al’A-crilica dispersa) e Fluoline (il protettivo costituito da copolimeri fluorurati in soluzione)

Conclusioni

I dati raccolti sulla natura dei materiali e delle finiture e quelli acquisiti durante il cantiere di restauro hanno permesso di operare scelte metodologiche mirate ad assicurare la mag-gior conservazione materica, permettendo un approfondimento analitico e di conoscenze del bene e delle tecnologie impiegate per la sua realizzazione. La collaborazione sinergica tra differenti figure professionali che hanno costi-tuito il team di lavoro, ha permesso di approc-ciarsi all’intervento conservativo in modo mi-rato e funzionale, determinando scelte opera-tive virtuose in base alle risultanze del cantiere pilota. Lo studio non invasivo ha evidenziato la presenza di finiture che hanno permesso una nuova lettura delle superfici, che testimoniano una storia del costruito poco conosciuta e do-cumentata, da preservare. La pulitura laser ha fornito i risultati più incoraggianti (Fig. 6), per-mettendo di rimuovere il deposito di gesso in maniera selettiva, al contempo garantendo una buona conservazione dei lacerti di finitura rossa, là dove presenti. Il sistema è lento, ne-cessita di operatori qualificati ed è particolar-mente costoso, ma ha permesso di soddisfare le esigenze di un cantiere così complesso. Le attività che si svolgono in un cantiere pilota: avvicinamento ai materiali, osservazioni in situ e indagini di laboratorio, possono ambire a for-nire un modello di approccio virtuoso in grado di indirizzare scelte mirate ed opportune pro-cedure, garantendo un buon bilanciamento tra limiti e vantaggi offerti dalle tecniche testate e dai prodotti utilizzati.

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