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La resistenza agli acaricidi in Tetranychus urticae (Kock): indagini condotte su coltivazioni floricole in ambiente protetto del Pesciatino e della Versilia

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ DI PISA

Facoltà di Agraria

Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie

Tesi di Laurea

La resistenza agli acaricidi in Tetranychus urticae (Kock)

(Acarina:Tetranychidae): indagini svolte in coltivazioni floricole in serre

della Versilia e del Pesciatino

Candidato: Relatore:

Francesco Pellegrini Prof.ssa Elisabetta Rossi

Correlatore:

Prof. Gianluca Brunori

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pag. 4 pag. 5 pag. 7 pag. 11 pag. 14 pag. 14 pag. 16 pag. 17 pag. 18 pag. 21 pag. 24 pag. 25 pag. 27 pag. 28 pag. 30 pag. 31 pag. 33 pag. 34 pag. 35 pag. 36 pag. 38 pag. 38 Ringraziamenti Introduzione CAPITOLO 1

1.1. La floricoltura in Italia e nel mondo 1.1.2. La floricoltura in Toscana

1.2. Principali fitofagi delle colture floricole 1.2.1. Ragnetto rosso

1.2.2 .Tripidi 1.2.3. Aleuroidi 1.2.4. Afidi

1.3. Modalità di controllo dei fitofagi

1.3.1. Valutazione dei rischi relativi all’utilizzazione di prodotti fitosanitari in ambienti protetti

1.3.1.1. Inquinamento ambientale

1.3.1.2. Risultati di tossicità per l’uomo legati all’uso di fitofarmaci in ambiente protetto

1.3.1.3. Pronubi ed entomofauna utile

CAPITOLO 2

2.1. Definizione di resistenza ai fitofarmaci 2.2. Ampiezza del fenomeno

2.3. Meccanismi di resistenza

2.4. Fattori che influenzano lo sviluppo della resistenza 2.5. I meccanismi di resistenza in Tetranychus urticae 2.6. Evoluzione della resistenza in Tetranychus urticae 2.6.1. I casi di studio: Dicofol, Abamectin e Propargite 2.6.1.1. Propargite

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pag. 39 pag. 40 pag. 42 pag. 42 pag. 42 pag. 44 pag. 45 pag. 46 pag. 50 pag. 52 pag. 54 pag. 54 pag. 61 pag. 65 pag. 69 pag. 73 pag. 76 2.6.1.2. Abamectina 2.6.1.3. Dicofol CAPITOLO 3

3.1. Obbiettivo della tesi 3.2. Materiali e metodi

3.2.1. Metodologia e campo d’indagine della fase di acquisizione dati 3.2.2. Popolazioni utilizzate nei biosaggi

3.2.3. Allevamento delle popolazioni di Tetranychus urticae 3.2.4. Prodotti chimici utilizzati

3.2.5. I biosaggi

3.2.6. Elaborazione dei dati

CAPITOLO 4 4.1. Risultati e discussione 4.1.1. Risultati d’indagine 4.1.2. Propargite 4.1.3. Abamectin 4.1.4. Dicofol 4.2. Conclusioni Bibliografia

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Ringraziamenti

Come sempre preferisco ringraziare di persona tutti quelli che mi hanno assistito e aiutato a portare a termine questo lavoro.

Mi fa comunque piacere dedicare qui un sorriso ad alcune persone particolari;

A mia madre, che mi ha sempre sostenuto ed incitato in tutte questi anni, perchè possa gioire di questo traguardo che in gran parte le appartiene,

A Fausta, senza la quale mi sarebbe stato impossibile rispettare alcune scadenze,

A Paolo, perchè marciando è riuscito ad accorciare (anche se non di molto), la mia lunga carriera universitaria,

A Giuseppe, Angela e soprattutto Giulia, perchè hanno contribuito a rendere “movimentati” questi ultimi anni,

Ad Alessia per l’instancabile e prezioso contributo fornito alla realizzazione di questo lavoro perché mi ha sopportato e perchè lo so io,

A chi non c’è, ma si fa comunque sentire.

Infine un caloroso saluto al Dott. Lapucci e al So’agronomo Pennucci perché insieme a me hanno visto cose che gli altri studenti di agraria nemmeno immaginano.

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Introduzione

L’utilizzo di sostanze di sintesi chimica per al lotta contro gli agenti nocivi alle colture agricole ha rappresentato uno dei più potenti strumenti dell’agricoltura moderna e ha permesso il raggiungimento di ingenti rese e alte qualità altrimenti impensabili.

Tuttavia l’impiego dei prodotti di sintesi, specialmente se generalizzato ha determinato un’ampia serie di conseguenze negative a carico dell’uomo e dell’ambiente, fondamentalmente riconducibili all’inquinamento diffuso del sistema aria-acqua-suolo. Molte di queste conseguenze oltre a determinare problemi di ordine ecologico e sanitario, hanno anche importanti risvolti di natura tecnica e operativa: fra questi, la resistenza agli insetticidi rappresenta, nell’ambito della lotta ai fitofaghi una delle maggiori difficoltà operative.

Questo problema, comune a tutta la pratica agricola, è particolarmente sentito in quei settori dove il ricorso alla chimica di sintesi è massiccio e fra questi, la floricoltura riveste senza dubbio un ruolo di primo piano.

I fiori, le piante ornamentali e quelle da giardino richiedono alti standard qualitativi e di conseguenza bassissime soglie d’intervento. Inoltre le popolazioni fitofaghe subiscono in serra un parziale isolamento che, unito alla forte pressione chimica e alla mancanza di importanti fattori di limitazione (es. mancanza di predatori) può condurre, unitamente agli altri elementi sopra citati, ad una rapida selezione della resistenza agli insetticidi.

Ultimo aspetto, ma non certo di minor importanza, è il risvolto economico che la resistenza comporta.

Lo sviluppo di questo fenomeno, infatti, spinge il floricoltore ad un progressivo aumento del numero dei trattamenti e dei dosaggi: ciò, determina, nel breve periodo un contestuale aumento dei costi relativi alla difesa, oltre ai già citati danni ambientali. Nel lungo periodo, tale stato di cose induce invece l’industria agrochimica al rapido sviluppo e alla relativa commercializzazione di nuovi prodotti i cui costi ricadranno comunque sugli utilizzatori finali.

Concludendo registriamo come in Italia la resistenza agli insetticidi per quanto ormai diffusa e ben conosciuta tra gli agricoltori, i quali da tempo denunciano vistosi casi di

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inefficacia da parte di più prodotti, non sia adeguatamente supportata da studi e ricerche, soprattutto in ambito floricolo, miranti a quantificarne l’effettiva entità per ogni specie di artropoda parassita e di prodotto interessato.

Tale carenza costituisce un ulteriore aspetto negativo del fenomeno, ricordiamo infatti come la prevenzione e la gestione di fenomeni di resistenza sia imprescindibile dal monitoraggio in campo delle popolazioni di fitofaghi e dalle relative risposte ai vari p.a. testati. In futuro è quindi auspicabile un potenziamento di tale settore della ricerca inquanto fondamentale mezzo di pianificazione e controllo del fenomeno.

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C

C

A

A

P

P

I

I

T

T

O

O

L

L

O

O

1

1

1.1 LA FLORICOLTURA: IN ITALIA E NEL MONDO

Nel corso del secolo, la coltivazione del fiore ha progressivamente assunto il ruolo di agricoltura specializzata.

I forti indotti (tab.1) derivati dalla commercializzazione di questo bene voluttuario, uniti ad una notevole efficienza dei trasporti che ne favoriscono in termini economici la vendita a notevole distanza dalle zone di coltivazione, hanno fatto sì che importanti produzioni, soprattutto quelle caratterizzate da una grande richiesta di manodopera e tipiche di paesi industrializzati, si spostassero negli ultimi anni in paesi del Terzo Mondo come Kenya, Ecuador, Sudafrica, ecc., dove la conformazione del territorio, ricco di altopiani, favorisce la coltivazione di svariate specie (garofano, rosa,ecc.).

Valore Valore Nazione

(US $ 1,000) Nazione (US $ 1,000) Germaia U.S.A. Francia U.K. Olanda Svizzera Italia Belgio Giappone 1.869.988 1.071.977 817.147 809.223 739.868 319.411 311.039 265.432 234.821 Canada Svezia Danimarca Spagna Norvegia Altri 168.813 146.105 140.653 108.200 86.515 652.866 TOTALE 7.961.768 Austria 219.470

Tabella 1 - Indotti (US $ 1,000) dei maggiori mercati floricoli nazionali. (Laws, 2000).

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La nascita e la succesiva affermazione del mercato globale hanno determinato la crisi del settore, specialmente in mercati fortemente orientati alla produzione di fiori recisi (mercato europeo) che maggiormente hanno risentito della concorrenza delle aree meno sviluppate.

I maggiori produttori europei sono attualmente Olanda, Germania, Francia, Spagna e Italia per i fiori recisi Belgio e Danimarca per la vasetteria (tab 2). In questi paesi ci si è progressivamente orientati verso standard qualitativi sempre più elevati che, accompagnati da moderne tecniche produttive, hanno negli ultimi anni frenato la calata del settore.

Nazione Serra Piena aria

Totali Nazione Serra Piena aria Totali Austria Belgio Danimarca Finlandia Francia Germania Grecia Ungheria Irlanda Italia 216 542 330 - 1.747 2.713 - - 49 4.402 529 1.100 353 - 2.048 3.908 - - 251 3.252 7454 1.642 683 144 3.795 6.621 882 1.050 300 7.654 Olanda Norvegia Polonia U.K. Spagna Svezia Svizzera TOTALE 5.518 - - 859 2.442 27 272 2.499 - - 8.017 310 807 5.945 6.804 1.788 4.230 89 116 373 644 44.444

Tabella 2 – Superfici floricole nei vari paesi europei (Hamrick, 1997).

Per ciò che riguarda l’Italia, la situazione rispecchia a grandi linee quella europea, con però alcune sostanziali differenze.

Nata intorno agli Anni 20’ in Liguria, la floricoltura si è progressivamente espansa in tutta la nazione, andando a ricoprire un ruolo primario nell’economia delle regioni maggiormente vocate a tali produzioni, come confermano i grandi mercati floricoli sorti in queste zone tra cui ricordiamo Ospedaletti, Ventimiglia e San Remo in Liguria,

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Viareggio e Pescia in Toscana, Ercolano in Campania, Terlizzi in Puglia e Ragusa in Sicilia.

La superficie totale destinata alla floricoltura comprende più settori: fiori recisi, fronde ornamentali, piante appartamento e vasetteria fiorita.

La superficie investita si aggira oggi intorno ai 4750 ha (Accati Garibaldi, 1998), collocati prevalentemente in 4-5 regioni principali, ovvero Campania, Liguria, Lazio, Toscana e Puglia. (fig. 1)

La produzione di fiori recisi, di cui l’Italia possiede il 2% del mercato mondiale, riveste il ruolo principale sia come valore della produzione che come superficie occupata.

Oggi, sia il mercato del fiore reciso che della vasetteria, si trovano in una condizione di profonda crisi, causa di una “stanchezza” dei consumi e di un’elevata polverizzazione produttiva.

Di contro, si è assistito al notevole incremento della produzione e vendita di fronde recise delle quali l’Italia é leader mondiale con il 16% del mercato controllato.

Altre

14%

Toscana

12%

Puglia

10%

Lazio

14%

Liguria

18%

Campania

32%

Figura 1 - Regione floricole italiane con produzioni di rilievo e relative superfici investite espresse in percentuale sul totale nazionale (Accati Garibaldi, 1998).

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Tale produzione, dislocata su un area di circa 2.544 ha (tab.3), per quanto remunerativa e di facile gestione, è comunque da considerasi estremamente vulnerabile perchè soggetta a possibili “aggressioni” da parte di altri mercati mediterranei (es. ex-Jugoslavia), dove è possibile reperire le stesse specie a minor prezzo; tali zone sono infatti caratterizzate dalla presenza spontanea delle più importanti specie da fronda (Eucalyptus, Asparagus, felci, ecc..); questo fa sì che i produttori locali annoverino fra i costi di produzione la sola raccolta del prodotto.

Passando a valutare la situazione produttiva delle singole regioni, la Liguria, come già accennato, è stata il punto di origine della floricoltura italiana grazie alle condizioni pedoclimatiche favorevoli, la capacità e la costanza degli operatori locali costituisce oggi il mercato nazionale di riferimento per fiori recisi e piante da appartamento. Esistono tuttavia altre zone caratterizzate da ottime produzioni fra cui ricordiamo la Campania, per la produzione di fiori recisi, il Piemonte, e in particolar modo la zona del lago Maggiore, importante per la produzione di azalee e rododendri, il Veneto e il Trentino, per le piante da bordura, la Lombardia e il Lazio, per il vivaismo ornamentale, la Puglia che, grazie al clima particolarmente favorevole, riesce a essere competitiva in ogni settore del mercato.

Regione Serra Pien’area Totale Sup.% Regione Serra Pien’area Totale Sup.% Piemonte Lombardia Veneto Friuli Liguria Emilia Toscana Marche Lazio - 3 3 1 53 5 11 - 12 10 2 4 10 2.115 6 72 - 20 10 5 7 11 2.168 11 83 -32 0,4 0,2 0,3 0,4 84,9 0,4 3,2 -1,3 Abruzzo Campania Puglia Sicilia Sardegna Centronord Mezzogiorno ITALIA 1 41 44 14 -88 100 188 - 102 4 14 8 2.219 128 2.347 1 143 48 Tabella 3 - Localizzazione delle produzioni di fronde ornamentali in Italia per regione nel 1997 (superfici espresse in ettari) (ARSIA,1997)

-5,5 1,9 28 1,1 - -2.327 91,1 220 8,9 2.547 100,0

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1.1.2 La floricoltura in Toscana

Per ciò che concerne la Toscana, oltre alla grande importanza che il vivaismo ornamentale ha in provincia di Pistoia, abbiamo anche buone produzioni floricole collocate principalmente nelle zone di Pescia e Viareggio, e una serie produzioni di nicchia come ad esempio le azalee a Borgo a Mozzano, gli alberi di natale nel Casentino, le piante australiane a Vada, i vasi fioriti a Montevarchi, le fronde recise nella piana di Capannori, ecc.. (fig. 2).

Nell’ Ottobre 2000 è stato condotto dall’ ISTAT l’ultimo censimento sull’agricoltura. In tale ricognizione, le aziende floricole sono state raggruppate nelle catagorie “produttrici di fiori e piante ornamentali” in cui sono incluse tutte le coltivazioni, sia in

Figura 2 - Distribuzione geografica delle attività florovivaistiche in Toscana (Vieri e Ceccatelli, 2003)

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pien’aria che protette, di piante da fiore e ornamentali, con l’esclusione dei vivai, ovvero, tutte le superfici investite a piantine agrarie o forestali destinate al trapianto. Da tale censimento risultano presenti nell’intera provincia di Lucca, 618 aziende floricole, per una superficie totale pari a 483 ha, e le specie maggiomente coltivate risultano essere rispettivamante per i fiori recisi, gladioli, rose, iris e fronde ornamentali, mentre per le piante in vaso, gerani e stelle di natale. Nella provincia di Pistoia che, contrariamente a quanto accade in lucchesia ha registrato negli ultimi dieci anni un aumento del settore, sono presenti 858 aziende per una superficie complessiva di 765 ha coltivati prevalentemente a garofani, fresie e calle (tab. 4 )

In entrambi i casi il maggior numero di aziende presenta dimensioni limitate mai superiori ai 5 ha e i grandi produttori con superfici maggiori di 10 ha, sono soltanto poche decine ( ISTAT, 2000).

Infine, sotto il profilo economico è interessante rilevare che il settore della floricoltura riveste ancora nella nostra regione una particolare importanza (fig. 3) e soprattutto in determinate zone, costituisce ancora oggi una buona fonte d’impiego (fig. 4).

0 25 50 75 100 125 150 175 200 225 250

Massa Lucca Pistoia Firenze Livorno Pisa Arezzo Siena Grosseto

fiori recisi (ha) vaso (ha)

Figura 3 - Coltivazioni floricole in serra. Dati riferiti al 1998 disaggregati per provincia. (Vieri e Ceccatelli, 2003)

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Produzione MS LU PT FI LI PI AR SI GR TOT Calle Crisantemi multiflori Crisantemi uniflori Fresie Garofani americani Garofani mediter. Altri garofani Gerbere Gigli Gladioli Iris Rose Fronde

Totale fiori e fronde Piante intere da vaso

- 4,1 28,7 2,0 - - - - 2,1 5,4 1,5 3,2 - 3,1 2,9 22,1 24,2 30,1 26,9 20,3 5,9 34,5 53,2 43,1 75,0 67,6 45,9 38,9 35,0 22,6 66,3 63,5 8,2 71,1 79,7 59,5 60,9 42,9 53,0 17,0 27,0 43,3 22,8 49,1 6,7 3,0 2,4 9,5 - - 13,9 0,2 - 0,9 1,2 3,8 2,4 - 2,2 0,5 8,6 2,5 14,2 - - 9,5 2,7 3,9 - 0,5 - 5,2 2,3 2,7 0,8 - 0,5 - - - 11,1 - - 0,9 0,9 - - - 1,3 0,7 - 2,1 7,2 - - - - - - - - - - 0,5 33,8 - 0,1 0,4 - - - 1,7 - - 0,1 - - 0,5 0,3 29,0 - 0,7 1,8 - - - - - - - - - 35,5 5,8 3,1 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Figura 4 - Incidenza percentuale dei vari sistemi economici locali (SEL) sul totale

regionale in termini di unità di lavoro a tempo pieno impiegate nel florovivaismo (Pagni, 2003)

Tabella 4 - Distribuzione provinciale delle principali produzioni floricole nel 1996.Valori percentuali calcolati sulle superfici investite. (Pacciani et al., 1998)

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1.2. PRINCIPALI FITOFAGI DELLE COLTURE FLORICOLE

I fitofarmaci risultano ancora oggi il metodo di difesa più utilizzato in agricoltura, il successo che questi prodotti hanno avuto e che conservano è da ricercarsi nella facilità d’impiego, e nella relativa economicità degli interventi (Ferrari et al, 2002).

Di seguito vengono presentati i principali fitofagi delle colture floricole in serra, verso i quali, gli insetticidi e gli acaricidi menzionati rappresentano oggi il maggior strumento di controllo. Tali parassiti sono principalmente Aleuroididi, Acari, Tripidi e Afidi.

1.2.1. Ragnetto rosso (Tetranychus urticae Kock) (Acarina Tetranychidae)

I danni da acari riscontrati nelle aziende da noi esaminate, sono prevalentemente imputabili a un'unica specie della famiglia Tetranychidae, il Tetranychus urticae. Gli adulti di questo fitofago, noti anche con il nome di ragnetti rossi delle serre, vivono prevalentemente sulla pagina inferiore delle foglie e, per nutrirsi, perforano con l’apparato boccale l’epidermide delle stesse, succhiando il contenuto protoplasmatico delle cellule del mesofillo, determinandone sovente lo svuotamento e producendo la caratteristica colorazione grigiastro-bronzea (Rota, 1962).

Il ciclo del Tetranychus è caratterizzato da partenogenesi arrenotoca e viene rappresentato in figura 5.

La rapidità del ciclo è fortemente influenzata dalla temperatura (tab. 5) ed in coltura protetta si assiste ad una attività riproduttiva continua, con generazioni e forme tra loro sovrapposte (Nuzzaci, 1992). Questi Artropodi sono particolarmente attivi su molte specie ortive e ornamentali, oltre che su colture di pieno campo e fruttiferi.

Temperatura

Durata ciclo gg.

32°C

3,5

21°C

14,5

18°C

21

15,5°C

20

Tabella 5 - Ciclo biologico, da uovo ad adulto di Tetranychus urticae a diverse temperature (Benuzzi e Nicoli, 1988)

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La pericolosità massima di un fitofago come il Tetranychus urticae, caratterizzato da brevi cicli biologici e alto numero di generazioni, è infatti dovuta alla velocità di sviluppo di diverse forme di resistenza che gli permettono di passare, nel giro di breve tempo, da una condizione di fitofago occasionale e limitatamente dannoso a principale agente di danno (Stumpf e Ralf, 2001).

Uovo Larva Protoninfa

Protocrisalide

esapoda

Deuterocrisalide

♂ ♀

Adulto Deutoninfa

Teleiocrisalide

Figura 5 - Ciclo di un acaro appartenente alla Superfam. Tetranychoidea (Nuzzaci, 1992)

In quest’ottica, la difesa chimica acquista un ruolo particolarmente importante in quanto costituisce non solo un metodo di contenimento immediato del parassita, ma ne determina anche la futura pericolosità.

I composti oggi usati sono svariati e appartengono alla classe degli aloidrocarburi (Dicofol, Bromopropylate, Chloropropilate), degli azoto organici (Amitraz, Clofentezine), dei solforganici (Propargite, Tetradifon) e degli stannorganici (Cyhexatin, Fenbutation-oxide) oltre ad altri composti con duplice azione quali le Abamectina con azione acaricida-insetticida e il Dinocap ad azione anticrittogamica-acaricida (Nuzzaci, 1992).

Questi acaricidi, qualora utilizzati secondo linee guida ben precise basate sull’alternanza dei prodotti, sulla rigida osservazione delle dosi e sulla

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somministrazione di miscele soltanto nei casi previsti, mantengono una buona efficacia nel tempo e sono in grado di scongiurare danni alle colture senza provocare effetti collaterali (IRAC,1996).

1.2.2. Tripidi (Thysanoptera, Thripidae)

Sono insetti molto piccoli, circa 1 mm di lunghezza, dal corpo allungato e molto sottile caratteristico per le ali prive o quasi di nervature strette e allungate da cui deriva il nome dell’ordine (Tysanos = Frangia)

I Tisanotteri annoverano molte specie che vivono a carico dei fiori di numerose piante coltivate e spontanee alle quali arrecano sia danni di natura diretta che indiretta (Marullo, 1991 ; Tremblay, 1995).

Tra le colture maggiormente colpite ricordiamo crisantemo, gerbera, ciclamino, garofano, azalea, saintpaulia, poinsettia, peperone e pomodoro, sulle quali il danno risulta a carico della parte epigea della pianta dove, sia gli adulti che le neanidi, grazie a un apparato boccale pungente-succhiante, svuotano le cellule vegetali e vi iniettano saliva tossica, provocando così decolorazioni, imbrunimenti e malformazioni in foglie e fiori (Colombo, 1996). A questi danni si deve aggiungere l’azione della terebra per la deposizione delle uova.

Per ciò che riguarda i danni indiretti questi consistono nella capacità di alcune specie di trasmettere virus e batteriosi.

La lotta è resa particolarmente difficoltosa da alcune caratteristiche proprie di questi fitofagi, quali brevità del ciclo di sviluppo, la sovrapposizione delle generazioni, l’elevato potenziale biotico, la capacità di sviluppare popolazioni resistenti e la presenza, in certi casi, di forme ben protette all’interno di gemme e fiori (Pasini, 1999) Molte delle specie dannose sono di origine tropicale, altre sono invece indigene; tra le più importanti ricordiamo le specie polifaghe Thrips tabaci (Lindermann) e

Heliothrips haemorrhoidalis (Bouchè), da sempre molto diffuse nel nostro Paese

(Melis, 1960) e in grado di compiere in ambienti controllati fino a quindici generazioni l’anno e attive su una vasta gamma di specie da fiore e da vaso stimabili in circa 150 specie nel caso di Thrips tabaci (Marullo, 1998).

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Fra le specie di più recente introduzione, particolare importanza risulta avere un altro appartenete alla famiglia dei Thripidae, la Frankliniella occidentalis (Pergande), importata dalla California (USA) in Europa a metà degli Anni ’80 e divenuta in breve tempo uno dei fitofagi chiave di molte colture ortive e floreali sotto serra (Santonicola, 1998).

Segnalata in Italia per la prima volta nel 1987, in coltivazioni floricole della Liguria e Toscana, sulle quali causava depigmentazione e distorsione di foglie e fiori (Arzone et

al, 1989), si è rapidamente diffusa in tutta la penisola.

Tale specie risultava particolarmente temuta anche in orticoltura, dove insieme a

Thrips tabaci rappresenta il principale vettore di TSWV, Tomato spotted wilt virus, in

grado di provocare ingenti danni oltre che su pomodoro anche su peperone (Tavella, 1997).

Tra i Tisanotteri di recente introduzione segnaliamo Echinothrips americanus (Morgan) rinvenuto su piante da appartamento in provincia di Torino e su piante di

Impatiens spp. di provenienza centro americana e allevate nel bolognese (Scarpelli,

1999 ; Marullo e Pollini, 1999).

1.2.3. Aleirodidi (Homoptera, Aleyrodidae)

Questi insetti comunemente, noti con il nome di mosche bianche delle serre a causa di una polvere cerosa e biancastra che ne ricopre il corpo (aleyron = farina), rappresentano uno dei più gravi problemi entomologici della floricoltura italiana.

Le varie specie di Aleurodidi, di dimensioni pari a circa 1 mm, vivono prevalentemente sulla pagina inferiore delle foglie e sono caratterizzati da uno sviluppo neometabolico.

La durata del ciclo risulta fortemente influenzata da fattori quali la temperatura e il tipo di pianta ospite (Butler et al, 1983 ; Coudriet et al, 1986) .

La dannosità di questi fitofagi è da imputare sia alla sottrazione di linfa elaborata, ottenuta mediante un apparato boccale pungente-succhiante, sia all’emissione di grandi quantità di melata a seguito della quale si sviluppano fumaggini che determino una

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riduzione dell’attività fotosintetica, un’occlusione degli stomi e la comparsa di ustioni generate dalla concentrazione dei raggi solari sulla melata stessa.

La lotta convenzionale viene attuata con l’impiego di principi attivi scelti tra fosforganici, azotorganici (Methomyl), piretroidi (Deltamethrin, Bifenthrin,ecc) e regolatori di crescita (Imidacloprid) (Pasini et al, 1997).

Fra le specie maggiormente presenti in Italia ricordiamo Trialeurodes vaporiorum (Westw) e Bemisia tabaci ( Gennadius).

In particolar modo, riferendoci alla sola Bemisia tabaci, questa ha negli ultimi anni destato particolare preoccupazione negli operatori del settore, non solo per la gravità degli attacchi ma anche per la funzione di vettore svolta nei confronti di alcuni virus tra cui il TYLCV-Sar, tomato yellow leaf curl virus (De Michelis et al ,2000)

Segnalata per la prima volta in Italia negli Anni ’40 (Silvestri, 1939), ha cominciato a diffondersi ed arrecare i primi considerevoli danni negli Anni ’80 (Patti e Rapisarda, 1981) fino a rappresentare oggi il principale fitofago di colture ad alto interesse commerciale come poinsettia (Manzaroli et al,anno) e gerbera (Rumine e Del Bene, 1986). Per quanto concerne Trialeurodes vaporariorum, questo, di frequente presente sulla stessa coltura in contemporanea a popolazioni di Bemisia (Vacante et al, 1994) risulta al pari di questa estremamente dannoso. Originario del Centro America, questo fitofago è caratterizzato da un elevata polifagia che gli consente di attaccare ben 249 generi di piante (Benuzzi e Nicoli, 1988).

Da sempre in grado di sviluppare forme di resistenza ai più comuni gruppi di insetticidi, quali carbammati, piretroidi, fosforganici, ecc. ha dimostrato ultimamente analoghe capacità nei confronti di alcuni regolatori di crescita come, Buprofezin e Imidacloprid (Gorman et al, 2001). In floricoltura risulta partricolarmente dannoso su speci come gerbera, crisantemo e poinsettia.

1.2.4. Afidi (Homoptera, Aphidoidea)

Comunemente noti come Afidi o pidocchi delle piante questi piccoli insetti che appartengono al vastissimo ordine degli Emitteri risultano caratterizzati da un corpo

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piriforme con tegumento poco sclerificato e a volte protetto da sostanze cerose prodotte da ghiandole ceripare diffuse su tutto il corpo.

Gli Afidi sono insetti polimorfici cioè presentano forme diverse, sia alate che attere. Le differenze tra le varie forme non riguardano soltanto la morfologia, ma anche aspetti biologici legati alle diverse modalità di riproduzione (Barbagallo et al, 1996) questa infatti può avvenire sia per partenogenesi che per anfigonia e a seconda della tipologia di coesistenza di queste due modalità, il loro ciclo viene distinto in olociclo, paraciclo e anociclo.

Detti cicli possono essere svolti sulla stessa specie vegetale (ciclo monoico) oppure su due o più piante (ciclo eteroico).

Il danno è dato, oltre che dalla suzione diretta di linfa, da una serie di effetti collaterali tra cui ricordiamo la trasmissione di alcune virosi e la forte emissione di melata che, oltre ad imbrattare gli organi vegetali, costituisce un ottimo substrato di crescita per funghi saprofiti (fumaggini), in grado di ostacolare l’attività fotosintetica (Ebert e Cartwright, 1997).

Alcune specie di Afidi sono poi in grado di determinare deformazioni sugli organi colpiti, che vanno dal semplice accartocciamento od arrotolamento del germoglio o della foglia alla formazione di vistose galle, questa capacità sembra dovuta alla possibilità che la saliva dell’insetto interagisca in qualche modo con l’Acido Indolacetico (IAA) prodotto dalla pianta stessa (Tremblay, 1988). Le specie di afidi maggiormente temute sulle principali colture floricole sono riportate in tab. 6.

CRISANTEMO GAROFANO ROSA

(Rosae spp.) (Chrysanthemum spp.) (Dianthus Spp).

Myzus persicae Myzus persicae Macrosiphum rosae Aphis gossypii Aulacorthum solani

Aulacorthum circumflexus Aulacorthum solani

Tabella 6 - Specie di Afidi più comuni su tre delle principali colture da fiore in serra (Benuzzi e Nicoli, 1988)

Tra gli Afidi menzionati, particolare importanza viene attribuita a Myzus persicae (Sulzer) il quale, se pur esigente in rapporto agli ospiti primari, costituiti

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principalmente da piante arboree appartenenti al genere Prunus, risulta estremamente polifago riguardo agli ospiti secondari.

Le sue forme estive sono infatti reperibili su oltre 400 specie sia arboree che erbacee, tra cui ricordiamo tra le colture da fiore garofano, crisantemo, gerbera, ecc.

Tipicamente olociclica, è una specie molto temuta per la spiccata dannosità, legata non solo all’attività trofica, ma anche alla capacità di differenziare ceppi resistenti a molti insetticidi e a diffondere alcuni pericolosi virus vegetali come ad esempio il virus della maculatura delle drupacee o Sharka (Barbagallo et al, 1996).

La lotta chimica a questo parassita viene condotta con l’ausilio di aficidi specifici quali Pirimicarb e Ethiophencarb intervallati con altri di diverso tipo come Acefate, Fosfamidone, piretrinici, nicotinoidi, ecc. al fine di prevenire i sopracitati fenomeni di resistenza (Tremblay, 1988)

Per quanto riguarda Aphis gossypii (Glover) tale specie, nota anche con il nome di Afide del cotone, è caratterizzata da una spiccata polifagia e da uno sviluppo anociclico.

Diffusa in Italia su molte piante ornamentali, oltre che su ortensi e agrumi, può risultare presente in serra al pari degli altri afidi menzionati, in maniera ininterrotta per tutto l’anno (Kocourek et al, 1994).

La lotta a questo parassita risulta particolarmente difficile a causa dell’elevata capacità riproduttiva, particolarmente marcata a temperature superiori a 18-20 C°, e dello sviluppo di popolazioni resistenti a molti principi attivi.

Costituiscono poi un'altra rilevante fonte di danno, due specie apparteneti al genere

Aulacorthum, e cioè A. solani (Kalt.) e A .circumflexum (Buckt.).

Queste specie entrambe polifaghe, risultano particolarmente attive su piante ornamentali in serra e in particolar modo su tulipano, lilium, ranuncolo, anemone, ciclamino, ecc. (Tremblay, 1988).

Infine, per quanto concerne Macrosiphum rosae (Linn), questo rappresenta l’afide più noto e diffuso al mondo. Tipicamente olociclico su rosa e altre piante erbacee della famiglia delle Dipsacacee e Valerianacee può, su colture in serra dove la pianta mantiene costantemente le foglie, vivere partenogeneticamente tutto l’anno.

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Parassita chiave in coltivazioni di rosa, sulle quali determina deformazione del bocciolo, fioritura irregolare, distorsione e deformazione del germoglio e squilibri nello sviluppo, viene contrastato con l’ausilio di trattamenti chimici a base di Pirimicarb, Acefate, Imidacloprid, Fluvalinate, ecc. (Pollini et al, 1999)

1.3. MODALITA’ DI CONTROLLO DEI FITOFAGI

La difesa fitosanitaria in serra rappresenta da sempre, soprattutto in campo floricolo uno dei maggiori problemi gestionali di questi agroecosistemi.

L’allevamento in ambiente protetto, tipico di floricolture moderne ed indispensabile per alcune specie vegetali crea inevitabilmente condizioni microclimatiche assai diverse rispetto al pieno campo e favorevoli alla proliferazione di molti fitofagi.

Limitandoci al solo ambito entomologico, è facile notare come alcune pratiche, quali la tendenza ad infittire la densità di piantagione, la marcata monosuccessione, il mantenimento di temperature ed umidità ottimali per la specie coltivata, favoriscano lo sviluppo e la diffusione di molti fitofagi, frequentemente, ma non esclusivamente, di origine tropicale che, proprio nelle condizioni sopracitate, trovano l’habitat ideale alla loro sviluppo.

I mezzi di lotta a disposizione degli agricoltori per il controllo dei fitofagi sono numerosi e differiscono tra loro a seconda delle finalità che si prefiggono (contenimento od eliminazione del parassita) e del grado di preparazione tecnica che richiedono per essere messi in atto.

In linea di massima, per ambienti serricoli queste possono essere ricondotte a due principi fondamentali: quello del controllo biologico e quello della lotta chimica.

Per quanto riguarda la lotta biologica in serra, questa viene prevalentemente attuata mediante l’introduzione o il potenziamento di ausiliari, specifici per ogni tipo di fitofago, che attraverso una naturale azione di predazione, parassitismo, ecc. riescono ad attuare un parziale controllo della popolazione fitofaga.

Questo tipo di lotta, pur avendo riportato discreti successi soprattutto in ambiente orticolo, viene difficilmente impiegata in campo floricolo poiché non è sufficiente a garantire gli alti livelli qualitativi richiesti. Il fiore o la pianta d’appartamento rappresentano infatti la

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soddisfazione di un bisogno accessorio, in cui la componente estetica ha la prevalenza sugli altri fattori. Il fiore quindi, indipendentemente dal processo produttivo, deve presentarsi all’acquirente privo di difetti. Il binomio perfezione-produzione biologica rappresenta oggi il maggior problema da risolvere per quelle aziende che dopo lunghi anni di conduzione tradizionale intendono convertirsi al biologico, nonostante questo sono però ben noti casi di produzione biologica sia nel vivaismo ligure con produzioni di calendule, girasoli, ranuncoli e altre specie, che nelle zone del pistoiese con il progetto PROBIORN (Ferrante, 2004). Per quel che riguarda il controllo chimico, questo riveste oggi un ruolo di primaria importanza: in Italia infatti sono presenti circa 350 principi attivi con varia azione, commercializzati in circa 2000 formulazioni (Muccinelli, 2005) e il loro utilizzo, pur non esente da pericolosi effetti collaterali (inquinamento ambientale, tossicità per l’uomo, sviluppo di popolazioni resistenti, ecc.), permette il raggiungimento di risultati altrimenti impensabili.

In ambito floricolo, il ricorso alla chimica di sintesi come unico metodo efficace per il controllo dei fitofagi rappresenta da sempre la norma, tanto che è stato calcolato che in una serra coltivata a fiori, il quantitativo di molecole di sintesi annualmente rilasciate si aggira sui 1000 Kg/ha (Benuzzi e Nicoli, 1988). Tali quantitativi si collocano ben oltre le effettive esigenze colturali: gli interventi fitoiatrici infatti, non incidendo eccessivamente nel costo globale di gestione, sono frequentemente eseguiti senza motivazione (Del Bene, 1995). In figura 6 sono riportati i consumi di insetticidi medi nelle due provincie toscane maggiormente vocate alla produzione florovivaistica, ovvero quelle di Lucca e Pistoia. 0 1 0 0 0 2 0 0 0 3 0 0 0 4 0 0 0 5 0 0 0 6 0 0 0 7 0 0 0 8 0 0 0 9 0 0 0 1 9 9 7 1 9 9 8 1 9 9 9 Q.li/anno p r o v . L U p r o v . P T

Figura 6 – Vendite di prodotti fitosanitari per il periodo ’95-’97 relative alle Provincie di Lucca e Pistoia (Prov. LU, 2000 ; Prov. PT, 2004)

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Gli insetticidi utilizzati pur appartenendo a svariate classi di composti tra cui ricordiamo per la maggior frequenza i fosforganici, i carbammati e i piretroidi sono tutti mediamente accumunati da un ampio spettro d’azione e una certa persistenza, caratteristiche fondamentali in grado di assicurare l’ampia protezione necessaria al raggiungimento dell’elevato standard qualitativo richiesto.

In tabella 7 sono riportati i dati di vendita espressi in quintali dei principali prodotti insetticidi relativi alla provincia di Pistoia. Si noti come tutti i prodotti siano accumunati, oltre che da un ampio spettro d’azione, anche da un elevato grado di tossicità. Le sostanze ad azione insetticida elencate in tabella sono infatti tutte racchiuse nelle classi: molto tossici, tossici o nocivi. Tali prodotti, verso i quali si applicano le maggiori restrizioni (rilascio di un patentino per l’acquisto, l’obbligo di un registro di carico e scarico per le vendite, la presenza di un esclusivo locale o per l’immagazzinamento, ecc.) sono i maggiori responsabili dell’inquinamento ambientale e della tossicità nei riguardi dell’uomo. In generale, come appare chiaro dalla tabella, per queste categorie si assiste negli anni ad un incremento nel numero e nella tipologia di sostanze utilizzate.

q/anno

Insetticidi/

acaricidi 1995 1996 1997

Classe toss. Gruppo

chimico Olii minerali Methomyl Methiocarb Propoxur Azinphos Methyl Acephate Carbaryl Propargite Dinocap Dicofol TOTALE 27,27 8,03 6,08 10,02 1,96 6,37 7,38 2,45 0,92 1,95 80,55 32,05 11,70 9,50 6,00 2,72 7,64 5,63 4,41 0,79 40,45 n n Oli insett. 13,67 Molto tossico Carbammati 13,10 Tossico Carbammati 8,50 Tossico Carbammati 8,22 Molto tossico Fosforganici 7,82 Nocivo Fosforganici 5,61 Nocivo Carbammati 8,21 Tossico Solforganici 3,62 Irritante Azotoorganici 1,97 2,47 Nocivo Aloidrocarburi 88,82 120,2

Tabella 7 - Vendite in quintali di sostanze attive ad azione insetticida ed acaricida in provincia di Pistoia relative al triennio ’95-’97. Classificazione tossicologica del prodotto e gruppo chimico di appartenenza. (Coppi et al, 2001)

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1.3.1. Valutazione dei rischi relativi all’utilizzo di prodotti fitosanitari in

ambiente protetto

L’utilizzo di prodotti di sintesi, sebbene permetta il raggiungimento di qualità estetiche e rese altrimenti impensabili (fig. 7), non è esente da risvolti negativi, da ricercarsi nell’impatto ambientale causato.

produzione realizzabile senza impiego fitofarmaci 30% perdite evitabili con impiego fitofarmaci 28% perdite inevitabili 42%

Figura 7 - Stima del contributo dei fitofarmaci nella salvaguardia delle produzioni agricole (Muccinelli, 2005).

In sintesi, gli aspetti negativi degli antiparassitari possono essere individuati nell’inquinamento ambientale (acqua e suolo), nell’azione tossica esercitata sull’uomo, nello sviluppo di sempre più marcate forme di resistenza sui fitofagi e negli effetti negativi riscontrabili su pronubi e entomofauna utile.

Riservandoci di trattare separatamente il fenomeno della resistenza, vengono di seguito brevemente analizzati i problemi scaturiti da un loro indiscriminato uso.

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1.3.1.1. L’Inquinamento ambientale legato all’uso di fitofarmaci

sulle colture protette in Toscana

La contaminazione del suolo e delle acque, sia superficiali che profonde, rappresenta uno dei principali rischi riconducibili all’uso di fitofarmaci. Ad acuire questo problema, si aggiungono frequentemete altri fattori come le cattive regolazioni delle macchine, l’uso di mezzi non idonei, ecc. che, unite ad altre naturali cause di dispersione (fig. 8), favoriscono la diffusione dei prodotti anche a grandi distanze da quelli che sono gli originari punti di applicazione (Baraldini e Rondelli, 1990), determinando fenomeni di inquinamento anche in aree non interessate alla produzione agricola. Applicazione prodotti Volatilizzazione Deriva Colture agrarie Ruscellamento

Suolo nudo Drenaggio Ecosistema terrestre

Percolazione Ecosistema acquatico

Acqua di falda Movimenti laterali dell’acqua

Figura 8 - Diffusione dei prodotti fitosanitari nell’ambiente (Coppi et al, 2001).

Per quanto riguarda il suolo, ragguardevole e variegato risulta l’accumulo di principi attivi causato dal massiccio uso che di questi si è fatto.

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Gli inquinanti di origine antropica presenti nel terreno e riconducibili all’attività florovivaistica tendono ad accumularsi nel terreno secondo due modalità principali. La prima, ben visibile nei territori della provincia di Pistoia, è legata al ripetuto utilizzo di fitofarmaci contenenti metalli pesanti (piombo, cadmio, rame,ecc.) che, distribuiti annualmente sul terreno, ne determinano un eccessivo accumulo (Coppi et al, 2001). La seconda riguarda quei composti che, pur non somministrati da anni, risultano sempre fra gli inquinanti di determinate zone. In altri casi invece, il prodotto, grazie a particolari caratteristiche di persistenza, perdura come inquinante nel terreno anche a molti anni dalla cessazione del suo utilizzo.

Sempre in provincia di Pistoia, emblematico è il caso di alcuni insetticidi da tempo ritirati dal commercio e appartenenti alla classe degli organoclorurati: il Dieldrin e il 4,4 DDE.

Il Dieldrin è un insetticida che veniva utilizzato principalmente in terreni destinati a colture orticole ed ornamentali mentre il 4,4 DDE è un metabolita del 4,4 DDT ritirato dal commercio con D.M. l’ 11/10/78 e ancora presente nel terreno in concentrazioni vicine a quelle medie accettabili per terreni ad uso residenziale (Coppi et al ,2001). In provincia di Lucca, e in particolar modo in Versilia, non esistono studi analoghi miranti ad individuare l’origine degli inquinanti nel terreno. Tuttavia, date le analogie riscontrate in tema di orientamenti produttivi e distribuzione di fitofarmaci, non appare eccessivamente azzardato ipotizzare una situazione analoga.

Per quanto riguarda l’inquinamento delle risorse idriche, i fitofarmaci costituiscono una preoccupante fonte di rischio a carico dell’ecosistema acquatico, in particolar modo per pesci e molluschi, ma anche per le colture e le loro produzioni, qualora corpi idrici inquinati vengano utilizzati per la loro irrigazione e infine, direttamente per l’uomo se l’inquinamento riguarda falde destinate alla produzione di acque potabili o minerali (Pimentel, 1992) .

L’apporto di sostanze insetticide all’ecosistema acquatico può avvenire secondo diverse modalità (fig. 8). E’ evidente come la presenza di residui nelle acque sia in relazione con i dosaggi dei prodotti utilizzati in agricoltura, con il numero di trattamenti eseguiti su piante e terreno, con i processi di drenaggio del suolo, nonché

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con la natura chimica e la velocità di degradazione dei vari fitofarmaci (Foschi et al, 1985).

Rimanendo in ambito locale in entrambe le province da noi analizzate sono evidenti problematiche riguardanti l’inquinamento delle fonti idriche.

In provincia di Pistoia, recenti studi hanno evidenziato la presenza di diversi inquinanti in tutti i corsi d’acqua che attraversano zone a netta vocazione vivaistica (torrenti Ombrone, Brana, Stella, Pescia Morta, Pescia Nuova ecc.) (Coppi et al, 2001).

Per quanto riguarda le acque profonde provenienti da pozzi lo stesso lavoro individua una percentuale di campioni inquinati del 31% L’importanza delle pratiche florovivaistiche hanno nell’inquinamento delle acque è ancora maggiormente evidente in provincia di Lucca.

In diversi pozzi del territorio versiliese si è rilevata una costante presenza di Arsenico, Bromuro, Ferro e Manganese, sostanze oggi vietate, ma in passato molto usate a scopi fitoiatrici e caratterizzate da una notevole persistenza nel terreno (Prov. Lucca, 2000). Un’altro valore molto più diretto ed esaustivo risulta essere l’indice di esposizione ai pesticidi.

La presenza di fitofarmaci nelle acque (e non solo) viene stimata attraverso un indice di esposizione ai pesticidi: l’EEP (Environment Exposure to Pesticides). Questo indice permette la stima del peso ambientale dei principi attivi tramite l’individuazione di parametri ambientali che governano il comportamento di una molecola (principio attivo) nei diversi sistemi: acqua, aria e suolo.

Tale indice risulta per le acque prossimo allo zero, nel caso di alcuni comuni della piana non interessati da particolari attività florovivaistiche (Capannori e Porcari), mentre rappresenta invece più di un quarto del rischio rilevato a livello provinciale in zone particolarmente interessate dalla produzione (Viareggio) (Pagni et al, 2001).

1.3.1.2 Risultati di tossicità per l’uomo legati all’uso di fitofarmaci in

ambiente protetto

E’ stato ampiamente dimostrato che molti dei composti chimici introdotti nell’ambiente possono essere tra i principali fattori che inducono la formazione di forme tumorali. Per

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quanto riguarda i fitofarmaci, il fenomeno è stato confermato per alcune molecole attualmente revocate, mentre per altre oggi in commercio, non si hanno ancora dati definitivi (Ferrari et al, 2002).

I fitofarmaci sono ritenuti oggi fra le cause scatenanti, oltre che le patologie cancerogene, anche molte forme d’intossicazione sia acuta che cronica (Pimentel et al, 1992).

Queste problematiche trovano in ambiente protetto la loro massima espressione, dal momento che il rischio a carico dell’operatore è ulteriormente aggravato da fattori ambientali particolari quali le condizioni climatiche, l’elevata umidità, la temperatura, l’assenza di ventilazione, la micronizzazzione più o meno spinta delle particelle disperse in aria e la conseguente possibilità di inalazione (Leandri, 1997).

I concetti sopra esposti trovano ulteriori conferme negli studi condotti da alcune ASL Toscane in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (Fedi, 2003).

Tali ricerche hanno accertato significativi incrementi di rischi relativi ad alcune forme di tumore (tumori del sistema linfoemopoietico) e a dermatiti da prodotti fitosanitari per addetti all’attività floricola.

Dati riportati nel I° Rapporto sullo stato dell’ambiente nella Provincia di Lucca (Prov. Lucca, 2000) evidenziano in accordo con quanto sopra esposto una maggiore incidenza di queste patologie nella zona della Versilia rispetto alla media Regionale, analogo scenario è rilevabile anche nella Provincia di Pistoia (Prov. Pistoia, 2004) mentre non esistono dati disgregati relativi alla sola area del Pesciatino.

1.3.1.3.

Pronubi ed entomofauna utile

E’ ben noto come il maggiore fattore di contenimento naturale di molte popolazioni di parassiti sia costituito dai nemici naturali (De Bach, 1964).

Questa attività di controllo, alla base della lotta biologica, viene largamente utilizzata e potenziata nelle diverse tattiche che sfruttano questo tipo di antagonismo

Appare opportuno evidenziare come, in opposizione a ciò, l’introduzione dei fitofarmaci di sintesi per il controllo dei fitofagi può, a causa della limitata specificità che spesso questi composti presentano, andare a mirare tale attività. L’esplosione demografica di fitofagi secondari o l’incremento abnorme della specie chiave

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costituiscono fenomeni frequentemente legati all’applicazione ripetuta di insetticidi in un ecosistema (Masutti e Zangheri, 2001).

Significative sono anche le conseguenze sui pronubi utilizzati per l’impollinazione (api, bombi, ecc.). Dobbiamo infatti ricordare che molti degli insetticidi comunemente utilizzati risultano tossici soprattutto per le api (Muccinelli, 2004). Si ritiene infatti che mortalità superiori a 200 individui/giorno siano unicamente riconducibili a fenomeni di intossicazione da parte di insetticidi nei confronti delle api (Accorti, 2000). Fra i principali responsabili di questi fenomeni ricordiamo gli organofosforici, i cloroderivati, prodotti appartenenti ai carbammati (es. Carbaryl) e benzoilure (es. Diflubenzuron) responsabili di riduzioni di fertilità e sterilità della regina e molti acaricidi, fra cui Propargite, Dicofol, Tetradifon e altri sempre molto pericolosi per le pronubi soprattutto se miscelati con fungicidi o insetticidi (Accorti, 2000). Nonostante non vi siano dati riguardanti questo fenomeno relativi alle province di Lucca e Pistoia il problema è recepito in Toscana oltre che dai singoli produttori anche dagli enti e dalle amministrazioni locali che mettono in atto diverse misure tese a tutelare l’attività dei pronubi. Tra i provvedimenti ricordiamo una norma regionale (L.R. Toscana n°26 del 15/06/79) che, al fine di evitare perdite tra gli insetti impegnati nelle operazioni di impollinazione, vieta l’irrorazione di prodotti chimici durante la fioritura sia delle colture da proteggere che di quelle spontanee sottostanti le colture arboree, e prevede in tal caso che le erbe spontanee vengano sfalciate prima del trattamento.

Tali norme non si applicano in ambiente protetto, in quanto nel caso di prodotti floricoli, l’attività degli insetti impollinatori costituisce un danno a causa della precoce sfioritura che sono in grado di determinare sulle produzioni. Analoga mancanza desta invece perplessità in serre orticole dove il problema della coesistenza fra pronubi ed insetticidi è all’ordine del giorno (Garcia e Rapisarda, 2004).

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2.1. DEFINIZIONE DI RESISTENZA AI FITOFARMACI

La resistenza ai fitofarmaci, rappresenta un complesso fenomeno riguardante vari aspetti della pratica agricola.

Numerose sono state le definizioni che si sono susseguite nel tempo e che soprattutto grazie alle continue scoperte in merito, hanno di volta in volta sottolineato diversi aspetti del problema.

Di seguito ne vengono riportate due fra le più recenti e complete al fine di comprendere a pieno l’argomento trattato.

Secondo l’IRAC (Insecticide Resistance Action Committee) comitato internazionale sorto nel 1984 dalla collaborazione fra le maggiori ditte produttrici di fitofarmaci la resistenza è: “un cambiamento ereditabile nella sensibilità di una popolazione del parassita, dovuta alla ripetuta immissione di un p.a. utilizzato per il suo contenimento e somministrato conformemente alle norme indicate per tale parassita” (IRAC, 1984). Questa definizione evidenzia gli aspetti genetici del fenomeno e individua, nell’interazione fra la vasta eterogeneità genica tipica di tutte le popolazioni di parassiti e la pressione selettiva esercitata dai composti chimici, le cause scatenanti. Il termine resistenza si riferisce quindi a modificazioni del genoma stabili ed ereditabili che determinano minor sensibilità di un parassita ad un fitofarmaco.

Tale definizione, per quanto esauriente, ignora quelle che sono le conseguenze pratiche ed economiche del cambiamento genetico, ed è quindi per completezza che riportiamo la definizione di Sawicki (1987) secondo la quale: “la resistenza segna un cambiamento genetico nella risposta alla selezione operata da sostanze tossiche che vengono così a perdere la loro capacità di controllo in campo”.

In questo caso si affiancano ai concetti già esposti argomentazioni pratiche che sottolineano la dannosità e il costo di questi fenomeni sulla gestione delle colture “in campo”.

C

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2.2. AMPIEZZA DEL FENOMENO

La resistenza agli insetticidi è un fenomeno tipico del XX secolo, venne osservata per la prima volta nel 1914 da Melander che, sulle pagine del Journal of Economic

Entomology, descrisse la capacità di alcuni insetti di sopravvivere anche se sottoposti a

pressanti trattamenti a base di insetticidi inorganici (Melander, 1914).

Tale fenomeno si dimostrò da subito preoccupante e, nel periodo compreso fra il 1914 e il 1946, vennero documentati altri undici casi a carico di insetticidi inorganici.

E’ però in seguito all’avvento e il forte utilizzo dei composti organici di sintesi avutosi dopo la seconda guerra mondiale (si noti in figura l’incremento successivo alla data indicata dalla freccia) che il fenomeno si manifesta in tutta la sua ampliezza (fig. 9).

0

100

200

300

400

500

600

1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000

Figura 9 – Incremento della resistenza in specie di artropodi (Georghiou e Lagunes-Tejeda, 1991; Norris et al, 2001).

I primi casi di resistenza agli organici di sintesi si registrano intorno agli Anni ’50 a carico di insetticidi clororganici e riguardano dapprima generi di importanza igienico-sanitaria come Anopheles, Culex e Musca domestica.

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Successivamente si assiste ad un rapido incremento di specie di Artropodi sia di interesse medico-veterinario che agrario resistenti ad uno o più principi attivi.

Per quanto riguarda i principi attivi oggetto di resistenza, si evidenzia una stretta correlazione fra la quantità delle molecole distribuite e la comparsa di ceppi resistenti a tali sostanze (fig.10) sintomo questo di come la pressione selettiva rappresenti il maggior amplificatore della resistenza.

0 100 200 300 DDT Ciclodieni Organofosfati Carbammati Piretroidi Fumiganti Altri n° specie resistenti

Figura 10 - Numero di specie di insetti resistenti alle diverse classi di insetticidi (Georghiou e Lagunes-Tejeda, 1991)

È’ infine importante sottolineare come le stime riguardanti i casi di resistenza, siano queste a carico di specie di Artropodi o di classi di insetticidi, costituiscano solo indicazione di tendenze generali costantemente in evoluzione e fortemente influenzate dalla massa di ricerca condotta negli specifici settori.

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2.3. MECCANISMI DI RESISTENZA

La resistenza come già esposto nel paragrafo precedente, è un complesso fenomeno biologico riguardante sostanzialmente la risposta di ordine conservativo fornita da una qualsiasi popolazione sottoposta ad uno o più fattori di stress.

Questa risposta rappresenta un caso particolare della “teoria generale di risposta agli stress” elaborata per la prima volta nel 1972 (Levitt, 1972).

RESISTENZA ALLO STRESS

ESCLUSIONE DELLO STRESS TOLLERANZA DELLO STRESS

ESCLUSIONE TOLLERANZA DELL’EFFETTO DELL’EFFETTO

Secondo Levitt esistono diversi tipi di risposta nei confronti di uno stress da parte degli organismi. Come evidenziato in figura 11, un organismo può sopravvivere a questi fattori di disturbo attraverso distinte modalità d’azione che prevedono, fra l’altro, la possibilità di evitare lo stress, come avviene ad esempio nel caso del mancato assorbimento di un agente tossico (eslcusione dallo stress) o in alternativa a questo, grazie alla capacità di prevenire il danno attraverso meccanismi di detossificazione o inattivazione (esclusione dell’effetto), o infine, tollerando lo stesso mediante meccanismi di riparazione in grado di rimediare agli effetti negativi dovuti all’esposizione a questi fattori (tolleranza dell’effetto).

Figura 11 - Schematizzazione dei possibili meccanismi di resistenza degli organismi agli stress di varia natura (Levitt, 1972).

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2.4. FATTORI CHE INFLUENZANO LO SVILUPPO DELLA RESISTENZA

I fattori che influenzano l’insorgenza della resistenza agli insetticidi possono essere, in base alla loro natura, suddivisi in fattori di tipo genetico, biologico-ecologici od operazionali (tab.8) (Georghiou e Taylor, 1976). Mentre i primi due gruppi includono caratteristiche delle diverse specie (dominanza/recessività del gene R, numero di generazioni annue, monofagia/polifagia, ecc.) che non sono sotto il controllo del’uomo, i fattori operazionali sono invece quelli sui quali si può agire per evitare o, almeno, dilazionare l’insorgenza della resistenza. Questi includono caratteristiche dell’insetticida utilizzato (persistenza, natura chimica del principio attivo, ecc.) e della modalità di applicazione ( soglia d’intervento scelta, dosaggio dell’insetticida, eccc.)

(A) GENETICI -frequenza degli alleli R -numero degli alleli R -dominanza degli alleli R

-penetranza espressivita e interazioni degli alleli R

-capacità di interazione del genoma resistente con i fattori di fitness

-turnover generazionale (B) BIOLOGICO/ECOLOGICI

(1) Biotici -progenie per ogni generazione -poligamia/monogamia

(2) Ecologico/comportamentali -isolamento mobilità e migrazioni -monofagia/polifagia

-sopravvivenza fortuita in rifugi -natura chimica del principio attivo (C) OPERAZIONALI

(1) Prodotti chimici -interazione con i prodotti usati in precedenza -persistenza

(2) Applicazione -stadio biologico selezionato

-dosaggio e modalità di distribuzione -soglia d’intervento

-soglia di selezione

-limitazione spaziale della selezione -alternanza di selezione

Tabella 8 – Fattori che influenzano la selezione di resistenza ai fitofarmaci (Georghiou e Taylor, 1976)

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2.5. MECCANISMI DI RESISTENZA IN TETRANYCHUS URTICAE

Diversi sono i meccanismi con cui le popolazioni di Tetranychus urticae riescono a sviluppare forme di resistenza, questi vengono raggruppati in tre diverse classi: meccanismi biochimici, fisiologici e comportamentali.

I meccanismi biochimici, sicuramente i più importanti, sono molteplici ma riconducibili in sostanza a due diverse tipologie. La prima prevede l’acquisizione della capacità da parte dell’acaro di degradare la sostanza tossica attraverso la presenza di una maggiore quantità dell’enzima detossificante o, in alternativa, grazie ad una maggiore quantità dello stesso, mentre la seconda riguarda la possibilità che si sviluppi una minore sensibilità del sito bersaglio dell’insetticida (insensitivity of site of action). Per quanto riguarda la detossificazione, tale meccanismo è stato identificato per la prima volta da Matsumura e Voss (1964) nei riguardi della resistenza agli Organofosfati. In questo caso l’azione detossificante era condotta da due enzimi: la carbossil-esterasi e la fosfatasi. Tale meccanismo ha avuto nel tempo successive conferme. Nel 1997, Knowles sottolineava il ruolo di primo piano che enzimi come glutatione-S-transferasi, esterasi, e MFO avevano nella detossificazione dei principali acaricidi. Più recentemente, studi condotti su Bifenthrin, Cyhalothrin e Dimetoato hanno sottolineato l’incremento nell’attività dell’esterasi in popolazioni resistenti (Yang et al, 2002 ; Van Leeuwen et al 2004). Ad analoghe conclusioni si è poi giunti anche per composti di relativa nuova introduzione appartenenti alla classe dei METIs (Mitochondrial Electron Transport Inhibitors), quali Pyridaben, Fenpyroximate, Tebufenpyrad e Fenazaquin, introdotti sul mercato in rapida successione a partire dagli Anni ’90 (Devine et al, 2001).

Studi condotti su popolazioni giapponesi sottoposte a selezione con questi composti hanno evidenziato una forte attività della monoossigenasi ritenuta quindi responsabile dell’ inefficacia dei prodotti (Stumpf, 2001).

Per ciò che concerne il secondo meccanismo di resistenza biochimica, ovvero quello riguardante le alterazioni del target dell’insetticida è ormai certo per casi di resistenza a organofosfati e carbammati, dove l’inefficacia dei prodotti è causata da una ridotta sensibilità da parte dell’ Acetil-colinesterasi (Smissaert, 1946 e 1970).

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Dati contrastanti emergono invece nel caso di eventuali alterazioni nella sensibilità del GABA neurotrasmettitore bersaglio dell’Abamectina (Clark et al, 1994).

La resistenza di tipo fisiologico è negli acari dovuta fondamentalmente ad una riduzione nella velocità di penetrazione del p.a. ed a una conseguente più rapida escrezione. Tale meccanismo è stato individuato per la prima volta a carico di Dimetoato (Hirai et al, 1973) ma si ipotizza presente anche in altri composti come Dicofol e Abamectina (Fergusson-Kolmes et al 1991). Raramente tale forma costituisce l’unico meccanismo di resistenza, ma risulta altresì sinergico con altre modalità di resistenza che tende a potenziare.

La resistenza comportamentale è invece legata al comportamento dell’acaro in presenza dell’acaricida. Già nel 1968 Fisher e Morgan dimostrano la capacità di

Tetranychus urticae di evitare le zone trattate. Questi movimenti di fuga noti come walk-off o spin-down (Schiffhuer e Mizell, 1988) sono risultati poi presenti in

popolazioni resistenti a diversi composti, tra cui Fenbutation-oxide e Dicofol, dove però non sembrano in grado di influenzare in maniera sensibile la resistenza della popolazione (Kolmes et al, 1990).

2.6. EVOLUZIONE DELLA RESISTENZA IN TETRANYCHUS URTICAE

La capacità di sviluppare resistenza agli acaricidi è un fenomeno spesso estremamente rapido e difficilmente gestibile in molte realtà produttive.

Il primo caso di resistenza agli acaricidi risale al 1937 e si è manifestato nei confronti di un composto sistemico contenente Selenio, il Selocide (Cranham e Helle, 1985). Da rilevare comunque che il più grande fallimento riguardante la lotta agli acari si è registrato a carico degli organofosfati. A cominciare dal 1949, sono stati introdotti sul mercato prodotti insetticidi quali Azinphos-Ethil, Demeton, Demeton-S-Methyl, Malathion e Parathion i quali, utilizzati anche su Tetranychus, erano inizialmente in grado di contenere soddisfacentemente la popolazione del fitofago. Già a partire dal 1957, è iniziata tuttavia la diminuzione della loro efficacia e il loro uso in floricoltura venne sconsigliato a partire dal 1962 (Lloyd, 1962). Successivamente, analoga sorte è toccata ad altri insetticidi organofosfati come il Methidathion che, introdotto nel 1967,

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ha sviluppato alti livelli di resistenza già a partire dal 1972 (Unwin, 1973). Composti a duplice azione fungicida/acaricida come Dinocap e Binapacryl, largamente utilizzati fino agli Anni ’50, sono stati progressivamente abbandonati a causa di marcate manifestazioni di resistenza avutesi a partire dagli Anni ’60. Nel 1957 sono stati introdotti anche i primi acaricidi specifici, Dicofol e Tetradifon. Questi, largamente utilizzati da molti agricoltori, hanno manifestato i primi casi di resistenza nel 1968 (Unwin, 1971). Altri acaricidi specifici come Cyhexatin Azocyclotin e Febutation-oxide, introdotti successivamente al 1970, hanno sviluppato analoghi problemi a partire dal 1981 (Edge e James, 1982).

Lo sviluppo storico della resistenza agli acaricidi per Tetranychus urticae viene sinteticamente riportato in tab. 9.

Tabella 9 – Sviluppo storico della resistenza di Tetranychus urticae in serre di rosa di Aalsmeer (NL). Le linee scure indicano gli anni in cui il prodotto è stato

utilizzato con successo; R indica il punto di sviluppo della resistenza in seguito al quale si è avuto un calo nell’utilizzo del prodotto (Cranham e Helle, 1985).

R Parathion altri OP R Chlorbenside R Tetradifon Chlorobenzilate - R Dicofol Bynapacryl R Dienochlor ⏐ ⏐ ⏐ ⏐ ⏐ ⏐ ⏐ ⏐ 1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985

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Il continuo ricambio dei prodotti fin qui descritto è caratteristico del mercato degli acaricidi, si registrano infatti fenomeni di resistenza in tempi sempre pù brevi, causati dall’alto numero di trattamenti annui eseguiti. E’ questo il caso di importanti prodotti tutt’oggi utilizzati su floricole in Europa, come Abamectina che, registrata nel 1986 manifesta già nel 1995 resistenza in popolazioi raccolte su rosa (Campos, 1995) o di acaricidi del gruppo METIs, prodotti chiave per il controllo di acari in Gran Bretagna, registrati nel 1990 e con primi segni di inefficacia già a partire dal 1998 (Goka, 1998). In paesi extra-europei, il trend si mantiene costante: in Giappone, Chlorfenypyrad e Extoxazole introdotti nel 1996, vengono sconsigliati dal 1999 (Uesugi et al, 2002) e in Australia, Bifenthrin, registrato nel 1993 ha indottoda resistenza dal 1999 (Herron et

al, 2001).

2.6.1. I casi di studio: Abamectin, Dicofol, e Propargite

2.6.1.1. Propargite

La Propargite di contro è un acaricida contatticida molto utilizzato in ambito floricolo ma anche su agrumi (Aucejo et al, 2003) e in orticoltura dove trova impiego anche in protocolli di lotta integrata (Morris et al, 1999).

Stime di resistenza condotte su questo prodotto evidenziano una notevole variabilità nella risposta come riportato nei lavori di Keena et al (1987) e più recentemente da Chen-ho (2000). Queste differenze possono riflettere una reale variabilità nella natura e nella potenza dei meccanismi di resistenza ma possono anche essere attribuibili a differenze nella modalità di somministrazione del prodotto. E’ riportata ad esempio l’utilizzo di Propargite contro Helicoverpa armigera su cotone in Australia (Herron et

al, 2001) tale pratica determina un incremento della pressione selettiva nei riguardi

delle popolazioni di acari presenti le quali già sottoposte a trattamenti mirati ricevono un ulteriore stimolo evolutivo che si traduce in un piu rapido sviluppo di ceppi resistenti.

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Monogenica (Hoy, 1989), caratterizzata da una non completa recessività del carattere e dall’azione di due o piu geni minori (Keena, 1990), la resistenza del Tetranychus

urticae nei confronti di questo prodotto appare stabile nel tempo e non caratterizzata

da negativi livelli di fitness.

Rilevata in ceppi Dicofol resistenti (Grafton-Cardwell et al, 1987) e più recentemente in popolazioni sottoposte a trattamenti a base di Fenpyroximate (Sato, 2004 ; Kim et

al, 2004) risulta interessata da fenomeni di resistenza incrociata.

Non sono riscontrano a suo carico fenomeni di repellenza o irritabilità (Keena e Grannett, 1985) mentre i meccanismi di detossificazione attiva rappresentano il principale metodo di resistenza.

2.6.1.2. Abamectina

L’abamectina è un principio attivo a duplice azione insetticida/acaricida, le cui principali caratteristiche sono descitte in Tab. 15.

Registrato per la prima volta in USA nel 1986, si è poi diffuso rapidamente in tutto il resto del mondo (Campos et al, 1996) ed oggi rappresenta uno dei prodotti chiave per il contenimento degli acari su molte colture ornamentali (Nauen et al, 2001; Gorman et

al 2001; Aucejo et al, 2003).

I primi casi di resistenza si registrano a partire dalla fine degli Anni ’80, soprattutto a causa del massicio uso che di questi prodotti si è fatto in floricoltura, ed un continuo monitoraggio del fenomeno è stato eseguito a partire dal 1991 (Campos et al, 1995). Gli studi condotti hanno evidenziato come l’insensibilità del Tetranychus urticae nei confronti dell’Abamectina sia dovuta ad una resistenza poligenica e polifattoriale (Clark et al, 1994).

Diversi sono quindi i meccanismi coinvolti che spesso sinergici tra loro rendono la valutazione del singolo meccanismo particolarmente difficoltosa. Prove condotte con la duplice tecnica del residual assay e del contact assay, su popolazioni di acari provenienti da serre di rosa di Olanda e California, hanno evidenziato una resistenza di tipo fisiologico, dovuta ad un minor assorbimento del prodotto ed a una rapida

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escrezione dello stesso attraverso la sua coniugazione a molecole idrosolubili (es. Glutatione).

Un altro importante ruolo nella detossificazione dell’ Abamectina è svolto dal complesso enzimatico della monossigenasi (Argentine et al, 1992). Studi condotti con l’ausilio di inibitori dell’attività enzimatica (Piperonil-butoxide) hanno evidenziato la presenza di tale meccanismo, seppur di lieve entità, anche su popolazioni di

Tetranychus urticae (Campos et al, 1996). Marginale importanza è poi attribuita

all’azione, del walk-off (Knight et al, 1990).

Da notare infine come grazie alla mancata presenza di fenomeni di resistenza incrociata nei riguardi delle principali classi di composti, carbammati, organofosfati e piretroidi, l’Abamectina possa essere indicata come valida alternativa ai principali composti acaricidi qualora questi sviluppino forti forme di resistenza (Flexner et al, 1998; Beers et al, 1998; Stumpf e Nauen, 2001;).

2.6.1.3. Dicofol

Per quanto riguarda Dicofol, questo è un acaricida contatticida utilizzato in tutto il mondo su colture floricole, ornamentali e ortive (tab.16). La sua resistenza, segnalata per la prima volta su melo in USA (Hoyt e Harris, 1961) si è diffusa rapidamente il tutto il mondo, tanto da costituire oggi una costante per gli ambienti sottoposti a tale trattamento da almeno 6/7 anni. Di tipo monogenico (Martinson et al 1991), la resistenza risulta decrescere nel tempo in assenza di selezione (Dennehy e Grannett, 1984 ; Dennehy et al 1987 ; Pree e Wagner, 1987) e sembra principalmente dovuta a meccanismi di detossificazione operati da diversi gruppi enzimatici fra cui quello delle monoossigenasi, mentre trascurabili risultano le differenze nella velocità di penetrazione del principio fra popolazioni resistenti e sensibili (Fergusson-Kolmes, 1991).

Trattamenti a base di Dicofol stimolano poi negli acari meccanismi di resistenza di tipo comportamentale (Kolmes et al, 1990 ; Kolmes et al, 1994), ritenuti comunque di marginale inportanza rispetto a fenomeni di detossificazione. Caratterizzato da svariati fenomeni di resistenza incrociata verso più composti fra cui organofosfati (Jepperson,

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1963), Propargite (Grafton-Cardwell et al, 1987), Amitraz (Aveyard et al, 1992), Tebufenpyrad (Kim et al, 1999), Dimethoato e Bromopylate (Van Leeuwen et al, 2005), ne viene consigliato l’uso in ambienti a rischio solo all’interno di strategie di lotta alla resistenza che prevedano intervalli minimi obbligatori tra due successivi interventi (minimun treatment interval) ed il contemporaneo uso di acaricidi non selettivi su Dicofol (Dennehy, 1987).

Figura

Tabella 2 – Superfici floricole nei vari paesi europei (Hamrick, 1997).
Figura 1 -  Regione floricole italiane con produzioni di rilievo e relative superfici  investite espresse in percentuale sul totale nazionale (Accati Garibaldi, 1998)
Figura 2 -  Distribuzione geografica delle attività florovivaistiche in  Toscana (Vieri e Ceccatelli, 2003)
Figura 3  - Coltivazioni floricole in serra. Dati riferiti al 1998 disaggregati per  provincia
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