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Studio di un dissipatore di calore a cold plate per applicazioni spaziali

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Academic year: 2021

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INDICE

INDICE... I ELENCO DELLE FIGURE ... IV ELENCO DELLE TABELLE... XI

1 IL CONTROLLO TERMICO ...1

1.1 GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE ...2

1.1.1 CONDUZIONE...2

1.1.2 CONVEZIONE ...5

1.1.3 IRRAGGIAMENTO ...15

1.1.4 CIRCUITI TERMICI ...20

1.1.5 MECCANISMI COMBINATI DI SCAMBIO ...22

1.2 GLI HEAT SINK ...24

1.2.1 DEFINIZIONE E CATEGORIE DI HEAT SINK ...24

1.2.2 CIRCUITO TERMICO DI UN HEAT SINK...25

1.2.3 ESEMPIO DI HEAT SINK ...27

1.2.4 VINCOLI DI PROGETTO...28

1.3 REFRIGERAZIONE LIQUIDA FORZATA...29

2 LE COLD PLATE...32

2.1 INTRODUZIONE ...33

2.2 CRITERI GENERALI DI PROGETTO ...36

2.2.1 MODELLO PER L’ANALISI...38

2.2.2 RESISTENZA TERMICA CONDUTTIVA ...39

2.2.3 RESISTENZA TERMICA CONVETTIVA ...41

2.2.4 RESISTENZA TERMICA DI RISCALDAMENTO...43

2.2.5 CADUTA DI PRESSIONE...43

2.3 LAVORAZIONI TECNOLOGICHE DELLE COLD PLATE...46

3 PARAMETRI DI PROGETTO PER UNA COLD PLATE...48

3.1 PIASTRA ...49

3.1.1 MATERIALE DELLA PIASTRA ...49 I

(2)

3.1.2 SPESSORE DELLA PIASTRA...49

3.2 TUBAZIONE ...50

3.2.1 DIAMETRO DEL TUBO ...50

3.2.2 SPAZIATURA TRA I TUBI...58

3.2.3 LUNGHEZZA DEL TUBO ...60

3.2.4 SISTEMI DI TUBAZIONE IN SERIE ED IN PARALLELO ...61

3.3 REFRIGERANTE ...66

3.3.1 TIPO DI REFRIGERANTE ...66

3.3.2 REGIME DI FLUSSO (NUMERO DI REYNOLDS) ...70

4 APPLICAZIONI SPAZIALI DELLE COLD PLATE ...78

4.1 CONTROLLO TERMICO PER VEICOLI SPAZIALI...79

4.1.1 L’AMBIENTE TERMICO SPAZIALE ...79

4.1.2 BILANCIO TERMICO PER UN VEICOLO SPAZIALE ...83

4.1.3 TECNICHE PRINCIPALI DI CONTROLLO TERMICO...85

4.2 CASO DEL J.E.M. ...89

5 ESEMPI SIGNIFICATIVI DI COLD PLATE...94

5.1 COLD PLATE PER USO TERRESTRE ...95

5.1.1 ESEMPIO No.1...95 5.1.2 ESEMPIO No.2...98 5.1.3 ESEMPIO No.3...100 5.1.4 ESEMPIO No.4...104 5.1.5 ESEMPIO No.5...106 5.1.6 ESEMPIO No.6...109 5.1.7 ESEMPIO No.7...112 5.1.8 ESEMPIO No.8...116 5.1.9 ESEMPIO No.9...119 5.1.10 ESEMPIO No.10...122 5.1.11 ESEMPIO No.11...124 5.1.12 ESEMPIO No.12...128

5.2 COLD PLATE PER USO SPAZIALE...131

5.2.1 ESEMPIO No.1-Sp ...131

5.2.2 ESEMPIO No.2-Sp ...135 II

(3)

5.2.3 ESEMPIO No.3-Sp ...137

5.2.4 ESEMPIO No.4-Sp ...138

6 COLD PLATE A FENOMENOLOGIA EHD...142

6.1 INTRODUZIONE ALL’EHD...143

6.1.1 BASI TEORICHE DELL’EHD ...143

6.1.2 APPARATI SPERIMENTALI E RISULTATI OTTENUTI ...146

6.2 PROPOSTE COSTRUTTIVE PER UNA COLD PLATE EHD ...156

6.2.1 SEZIONE TRASVERSALE DEI CONDOTTI ...156

6.2.2 CONSIDERAZIONI SU CIRCUITI IN SERIE ED IN PARALLELO ...158

6.2.3 CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI ...170

BIBLIOGRAFIA ...171

(4)

ELENCO DELLE FIGURE

FIGURA 1.1 BILANCIO ENERGETICO IN UN VOLUME INFINITESIMO DI MATERIALE...3

FIGURA 1.2 ANDAMENTO DELLA TEMPERATURA NELLA CONDUZIONE A REGIME STAZIONARIO IN UNA PARETE PIANA...5

FIGURA 1.3 RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DI UN FLUSSO SOPRA UNA SUPERFICIE SOLIDA....6

FIGURA 1.4 SVILUPPO DEL PROFILO DI VELOCITÀ NELLA REGIONE D’ENTRATA IDRODINAMICA DI UN TUBO, [33] ...7

FIGURA 1.5 STRATO LIMITE TERMICO SU UNA LASTRA PIANA ISOTERMA, [1] ...8

FIGURA 1.6 TIPOLOGIA DI FLUSSI ALL’INTERNO DEI CONDOTTI, CASO DI FLUSSO LAMINARE, [34]...9

FIGURA 1.7 SVILUPPO DELLO STRATO LIMITE IDRODINAMICO SU UNA LASTRA PIANA, [8] ...11

FIGURA 1.8 FORZE AGENTI SU UN ELEMENTO DI FLUIDO IN CONVEZIONE LIBERA...12

FIGURA 1.9 SPETTRO DELL’EMISSIONE DI POTENZA PER UN CORPO NERO, [35] ...17

FIGURA 1.10 SITUAZIONE GEOMETRICA TRA DUE SUPERFICI IRRAGGIANTI, [25] ...19

FIGURA 1.11 SISTEMA GAS CALDI/LASTRA METALLICA/REFRIGERANTE E ANDAMENTO QUALITATIVO DELLA TEMPERATURA...22

FIGURA 1.12 CIRCUITO TERMICO ASSOCIATO AL SISTEMA DI FIGURA 1.11...23

FIGURA 1.13 HEAT SINK AD ARIA E CIRCUITO TERMICO ASSOCIATO, [3] ...26

FIGURA 1.14 ESEMPIO DI DISSIPATORE AD ARIA, [12] ...27

FIGURA 1.15 CURVE CARATTERISTICHE DEL DISSIPATORE AD ARIA DELL’ESEMPIO, [12]...28

FIGURA 1.16 SCHEMA DI UN SISTEMA DI REFRIGERAZIONE LIQUIDA FORZATA, [5]...31

FIGURA 2.1 ESEMPIO DI CONDOTTI IN SERIE, [6]...34

FIGURA 2.2 ESEMPIO DI CONDOTTI IN PARALLELO, [6]...34

FIGURA 2.3 ALTRI ESEMPI DI CANALIZZAZIONE, [6]...35

FIGURA 2.4 POSSIBILI SEZIONI TRASVERSALI DEI TUBI...36

FIGURA 2.5 ELEMENTO MODULARE DI UNA COLD PLATE E RESISTENZE TERMICHE ASSOCIATE..37

FIGURA 2.6 SCHEMA DELLA COLD PLATE PER L’ANALISI...38

FIGURA 2.7 ANDAMENTO DEL FATTORE DI FORMA S′, [5]...40

FIGURA 2.8 DIAGRAMMA DI MOODY, [9] ...44

(5)

FIGURA 3.1 DIPENDENZA DELLE RESISTENZE TERMICHE DAL DIAMETRO DEL TUBO PER FLUSSO LAMINARE NON SVILUPPATO...52 FIGURA 3.2 DIPENDENZA DELLE RESISTENZE TERMICHE DAL DIAMETRO DEL TUBO PER FLUSSO

TURBOLENTO...52 FIGURA 3.3 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL DIAMETRO, PARAMETRATA CON VFR,

MOTO LAMINARE NON SVILUPPATO...53 FIGURA 3.4 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL DIAMETRO, PARAMETRATA CON VFR,

MOTO TURBOLENTO...54 FIGURA 3.5 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DI VFR, PARAMETRATA CON D, MOTO

LAMINARE NON SVILUPPATO...55 FIGURA 3.6 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DI VFR, PARAMETRATA CON D, MOTO

TURBOLENTO...55 FIGURA 3.7 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DEL DIAMETRO, PARAMETRATA CON VFR,

MOTO LAMINARE...57 FIGURA 3.8 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DEL DIAMETRO, PARAMETRATA CON VFR,

MOTO TURBOLENTO...58 FIGURA 3.9 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL RAPPORTO SPAZIATURA/DIAMETRO, [5] ..59 FIGURA 3.10 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI VFR, PARAMETRATA CON D E L, MOTO

LAMINARE...60 FIGURA 3.11 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI VFR, PARAMETRATA CON D E L, MOTO

TURBOLENTO...61 FIGURA 3.12 RESISTENZA TERMICA GLOBALE IN FUNZIONE DI VFR (SERIE/PARALLELO), MOTO

LAMINARE NON SVILUPPATO...63 FIGURA 3.13 RESISTENZA TERMICA GLOBALE IN FUNZIONE DI VFR (SERIE/PARALLELO), MOTO

TURBOLENTO NON SVILUPPATO...64 FIGURA 3.14 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI VFR (SERIE/PARALLELO), MOTO

LAMINARE...65 FIGURA 3.15 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI VFR (SERIE/PARALLELO), MOTO

TURBOLENTO...65 FIGURA 3.16 RESISTENZA TERMICA CONVETTIVA IN FUNZIONE DI VFR, DEL TIPO DI FLUIDO E

DELLA SUA TEMPERATURA...67 FIGURA 3.17 RESISTENZA TERMICA DI RISCALDAMENTO IN FUNZIONE DI VFR, DEL TIPO DI

FLUIDO E DELLA SUA TEMPERATURA...68 V

(6)

FIGURA 3.18 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI VFR, DEL TIPO DI FLUIDO E DELLA SUA

TEMPERATURA...69

FIGURA 3.19 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL NUMERO DI REYNOLDS PER FLUSSO LAMINARE NON SVILUPPATO...71

FIGURA 3.20 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL NUMERO DI REYNOLDS PER FLUSSO TURBOLENTO...71

FIGURA 3.21 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL NUMERO DI REYNOLDS, PARAMETRATA CON D, MOTO LAMINARE NON SVILUPPATO...72

FIGURA 3.22 RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DEL NUMERO DI REYNOLDS, PARAMETRATA CON D, MOTO TURBOLENTO...73

FIGURA 3.23 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI RE, PARAMETRATA CON D, MOTO LAMINARE...74

FIGURA 3.24 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI RE, PARAMETRATA CON D, MOTO TURBOLENTO...74

FIGURA 3.25 RESISTENZA TERMICA GLOBALE IN FUNZIONE DI RE (SERIE/PARALLELO), MOTO LAMINARE NON SVILUPPATO...75

FIGURA 3.26 RESISTENZA TERMICA GLOBALE IN FUNZIONE DI RE (SERIE/PARALLELO), MOTO TURBOLENTO NON SVILUPPATO...76

FIGURA 3.27 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI RE (SERIE/PARALLELO), MOTO LAMINARE...77

FIGURA 3.28 CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI RE (SERIE/PARALLELO), MOTO TURBOLENTO...77

FIGURA 4.1 CARICHI TERMICI AGENTI IN AMBIENTE SPAZIALE, [24] ...79

FIGURA 4.2 DISTRIBUZIONE DELLO SPETTRO SOLARE...80

FIGURA 4.3 DISTRIBUZIONE SPETTRALE DI POTENZA IRRAGGIATA DALLA TERRA, [25] ...82

FIGURA 4.4 SCHEMA GENERALE DI UN TUBO DI CALORE, [25]...87

FIGURA 4.5 USO DI COLD PLATE IN SISTEMI DI CONTROLLO TERMICO ATTIVO E PASSIVO, [26]..88

FIGURA 4.6 VISIONE DI INSIEME DEL JAPANESE EXPERIMENT MODULE, [28] ...89

FIGURA 4.7 CONFIGURAZIONE DELLA EXPOSED FACILITY E POSIZIONAMENTO DEL PAYLOAD, [28] ...90

FIGURA 4.8 INTERFACCIA TRA EF E BOX DEL PAYLOAD, [28] ...91

FIGURA 4.9 DETTAGLIO DELLA PAYLOAD INTERFACE UNIT (PIU), [28] ...91 VI

(7)

FIGURA 4.10 STRUTTURA BASE DEL BOX DEL PAYLOAD, [28] ...92

FIGURA 4.11 ESEMPIO DI LAYOUT PER IL SISTEMA DI CONTROLLO TERMICO ATTIVO (ATCS), [28] ...93

FIGURA 5.1 ES.1: RESISTENZA TERMICA IN FUNZIONE DELLA PORTATA (LYTRON, [7]) ...95

FIGURA 5.2 ES.1: CADUTA DI PRESSIONE IN FUNZIONE DI PORTATA (LYTRON, [7]) ...96

FIGURA 5.3 ES.1: SCHEMI TECNICI (LYTRON, [7]) ...97

FIGURA 5.4 ES.2 SCHEMI TECNICI (WAKEFIELD ENGINEERING, [11])...98

FIGURA 5.5 ES.2: CURVE CARATTERISTICHE (WAKEFIELD ENGINEERING, [11]) ...99

FIGURA 5.6 ES.3: FORMA IN PIANTA DELLA COLD PLATE, [13] ...100

FIGURA 5.7 ES.3: SEZIONI TRASVERSALI DELLA COLD PLATE, [13] ...101

FIGURA 5.8 ES.3: PERCORSO DEI TUBI ALL’INTERNO DELLA PIASTRA, [13] ...102

FIGURA 5.9 ES.3: PERDITE DI CARICO, [13] ...102

FIGURA 5.10 ES.3: COEFFICIENTE DI SCAMBIO TERMICO (TUBI A “D”), [13] ...103

FIGURA 5.11 ES.3: COEFFICIENTE DI SCAMBIO TERMICO (TUBI FORATI), [13] ...103

FIGURA 5.12 ES.4: SCHEMA DEL TCM (IBM CORP), [14] ...104

FIGURA 5.13 ES.4: CONFIGURAZIONE INTERNA DELLE COLD PLATE (IBM CORP.), [14]...105

FIGURA 5.14 ES.5: GEOMETRIA DI UN APPARATO PER RAFFREDDAMENTO A LIQUIDO, [15]...106

FIGURA 5.15 ES.5: MONTAGGIO DEI COMPONENTI SULLA COLD PLATE, [15]...107

FIGURA 5.16 ES.5: FORMA DELLO STRATO METALLICO, [15] ...108

FIGURA 5.17 ES.5: ACCOPPIAMENTO TRA PIASTRINE DI METALLO E PACCHETTI ELETTRONICI, [15]...108

FIGURA 5.18 ES.6: SCHEMA GENERALE DELLA COLD PLATE, [16] ...109

FIGURA 5.19 ES.6: VISTA DAL BASSO DELLA COLD PLATE, [16] ...110

FIGURA 5.20 ES.6: SEZIONE TRASVERSALE DELLA COLD PLATE, [16]...111

FIGURA 5.21 ES.6: ALTRA POSSIBILE CONFIGURAZIONE DEL CANALE DEL REFRIGERANTE, [16] ...111

FIGURA 5.22 ES.6: INTERFACCIA COLD PLATE/CARD ELETTRONICA, [16]...112

FIGURA 5.23 ES.7: VISTA DALL’ALTO DELLA COLD PLATE, [17]...113

FIGURA 5.24 ES.7: SEZIONE 3-3 DI FIGURA 5.23, [17]...113

FIGURA 5.25 ES.7: SEZIONE 4-4 DI FIGURA 5.23, [17]...114

FIGURA 5.26 ES.7: SEZIONE 5-5 DI FIGURA 5.23, [17]...114

FIGURA 5.27 ES.7: MONTAGGIO DEI COMPONENTI ELETTRONICI SULLA COLD PLATE, [17]...115 VII

(8)

FIGURA 5.28 ES.8: SCHEMA GENERALE DELLA COLD PLATE, [18] ...116

FIGURA 5.29 ES.8: PIASTRE CHE COMPONGONO LA COLD PLATE, [18]...117

FIGURA 5.30 ES.8: DISPOSIZIONE GEOMETRICA DELLE PIASTRE FORATE, [18]...117

FIGURA 5.31 ES.8: ANDAMENTO DEL FLUSSO NELLA COLD PLATE, [18] ...118

FIGURA 5.32 ES.8: CONDIZIONE DI REGIME NON SVILUPPATO, [18]...118

FIGURA 5.33 ES.8: ANDAMENTO DEL NUMERO DI NUSSELT CON LA DISTANZA DALL’IMBOCCO, [18] ...119

FIGURA 5.34 ES.9: VISTA DALL’ALTO DELLA COLD PLATE, [19]...120

FIGURA 5.35 ES.9: PERCORSO DEL LIQUIDO CON LE ALETTE, [19]...121

FIGURA 5.36 ES.9: DETTAGLIO DELLE APERTURE PER L’ASSEMBLATO CONNETTORE, [19]...121

FIGURA 5.37 ES.9: PLACCHE PER LA CONDUZIONE TERMICA, [19]...122

FIGURA 5.38 ES.10: SEZIONE TRASVERSALE DELLA COLD PLATE, [20]...123

FIGURA 5.39 ES.10: RISULTATI DELLE PROVE SPERIMENTALI, [20] ...124

FIGURA 5.40 ES.11: SCHEMA GENERALE DELLA COLD PLATE, [21] ...125

FIGURA 5.41 ES.11: VISTA DAL BASSO DELL’APPARATO, [21]...126

FIGURA 5.42 ES.11: SEZIONE TRASVERSALE DELLA COLD PLATE (SEZ.5-5, FIG.5.41), [21]...127

FIGURA 5.43 ES.12: SCHEMA DELLA SEZIONE TRASVERSALE DELLA COLD PLATE, [22] ...128

FIGURA 5.44 ES.12: CIRCUITO CHIUSO A DOPPIA FASE, [22]...129

FIGURA 5.45 ES.12: CURVE SPERIMENTALI PER LA COLD PLATE, [22] ...130

FIGURA 5.46 ES.12: EFFETTO DELLA ROTAZIONE DI 180° DELLA COLD PLATE, [22]...130

FIGURA 5.47 ES.12: COMPORTAMENTO IN TRANSITORIO DELLA COLD PLATE, [22] ...131

FIGURA 5.48 ES.1-SP: SCHEMA IN PIANTA DELLA COLD PLATE, [29]...132

FIGURA 5.49 ES.1-SP: CONFORMAZIONE DELLA TUBAZIONE DELLA COLD PLATE, [29] ...133

FIGURA 5.50 ES.1-SP: ANDAMENTO DEL COEFFICIENTE DI SCAMBIO TERMICO CON LA PORTATA, [29]...134

FIGURA 5.51 ES.2-SP: SCHEMA GENERALE DELLA COLD PLATE E RIASSUNTO DEI DATI, [30] ..135

FIGURA 5.52 ES.2-SP: RISULTATI SPERIMENTALI E RISULTATI TEORICI PER LA COLD PLATE, [30]...136

FIGURA 5.53 ES.3-SP: IMMAGINE DELLA COLD PLATE, [31] ...137

FIGURA 5.54 ES.4-SP: LAYOUT GENERALE DELLA COLD PLATE, [32] ...139

FIGURA 5.55 ES.4-SP: VALORE DELLA CONDUTTANZA RISPETTO ALLA PORTATA, [32]...140

FIGURA 6.1 MECCANISMO DI IONIZZAZIONE DELLE PARTICELLE ADIACENTI ALL’ELETTRODO, VIII

(9)

[38] ...144

FIGURA 6.2 IMPINGING JET SVILUPPATO TRA I DUE ELETTRODI...145

FIGURA 6.3 SCHEMA DELL’APPARATO SPERIMENTALE NO.1, [40] ...146

FIGURA 6.4 CAMERA DI PROVA IN DETTAGLIO (MISURE IN MM), [38]...147

FIGURA 6.5 DISPOSIZIONE DELLE PUNTE IN DUE SEZIONI LONGITUDINALI CARATTERISTICHE DELLA SEZIONE DI PROVA, [40] ...147

FIGURA 6.6 NUMERO DI NUSSELT MEDIO SULLA PARETE ESTERNA DELL’ANNULUS CON FLUSSO VERSO L’ALTO IN FUNZIONE DI RE CON PRESENZA DI CAMPO ELETTRICO, [38] ...148

FIGURA 6.7 NUMERO DI NUSSELT IN FUNZIONE DELLA COORDINATA LONGITUDINALE, A VARI RE, CON CAMPO ELETTRICO, [38] ...149

FIGURA 6.8 NUMERO DI NUSSELT IN FUNZIONE DELLA COORDINATA LONGITUDINALE (ANNULUS ORIZZ., UNIFORMEMENTE RISCALDATO, CAMPO ELETTRICO), [38] ...150

FIGURA 6.9 DISEGNO SCHEMATICO DELLA VASCA DI PROVA, [41] ...151

FIGURA 6.10 POSIZIONAMENTO DELLE TERMOCOPPIE SOTTO LA PIASTRA, [41] ...152

FIGURA 6.11 NU LUNGO LA COORDINATA LONGITUDINALE DELLA PIASTRA A SECONDA DEL MATERIALE DELLA PUNTA E DELLA DISTANZA TRA GLI ELETTRODI, [41]...152

FIGURA 6.12 VASCA DI PROVA DOTATA DI PIASTRA PER IL SCONFINAMENTO DEL GETTO, [41]153 FIGURA 6.13 CONFRONTO DEL NU AL PUNTO DI RISTAGNO PER GETTI CONFINATI E NON IN FUNZIONE DELLA DISTANZA TRA GLI ELETTRODI, [41] ...154

FIGURA 6.14 VASCA DI PROVA RUOTATA DI 180°, [42] ...154

FIGURA 6.15 ANDAMENTO DEL <NU> E DEL NUMAX IN FUNZIONE DELLA D.D.P. E DELLA DISTANZA TRA GLI ELETTRODI, [42] ...155

FIGURA 6.16 POSSIBILE CONFIGURAZIONE DELLA SEZIONE DEI CONDOTTI PER FLUSSO DI CALORE DA ENTRAMBI I LATI...157

FIGURA 6.17 POSSIBILE CONFIGURAZIONE DELLA SEZIONE DEI CONDOTTI PER FLUSSO DI CALORE DAL LATO SUPERIORE DELLA COLD PLATE...158

FIGURA 6.18 SCHEMA TECNICO DEL CIRCUITO IN SERIE (COLD PLATE DELL’ES. NO.1-SP)...160

FIGURA 6.19 PERDITE DI CARICO (COLD PLATE DELL’ES. NO.1-SP) ...161

FIGURA 6.20 PERCENTUALE DELLE PERDITE DI CARICO CONCENTRATE RISPETTO A QUELLE TOTALI (COLD PLATE DELL’ES. NO.1-SP) ...162

FIGURA 6.21 POTENZA NECESSARIA ALLA CIRCOLAZIONE DEL FLUSSO NEL CONDOTTO PER VARIE PORTATE (COLD PLATE DELL’ES. NO.1-SP)...163 FIGURA 6.22 PERCORSO DEL FLUIDO NELLA CONFIGURAZIONE IN PARALLELO DELLA COLD

(10)

PLATE ESA...164 FIGURA 6.23 ANDAMENTO DELLE PORTATE NEI TUBI DELLA PARTE IN PARALLELO DELLA COLD

PLATE ESA...165 FIGURA 6.24 SCHEMA DELLA TUBAZIONE PARALLELO/SERIE PROPOSTA...166 FIGURA 6.25 MODELLO PER IL CALCOLO DELLA CADUTA DI PRESSIONE IN UN CIRCUITO A

DISTRIBUZIONE CON COLLETTORI, [45]...168

(11)

ELENCO DELLE TABELLE

TABELLA 1.1 VALORI TIPICI DEL COEFFICIENTE DI SCAMBIO CONVETTIVO, [5] ...30

TABELLA 2.1 ESEMPI DI VALORI DEL COEFFICIENTE DI PERDITA DI CARICO

CONCENTRATA, [10]...46

TABELLA 3.1 PROPRIETÀ TERMOFISICHE RILEVANTI PER ACQUA, PER MISCELA

ACQUA/GLICOLETILENE E PER FC-72, [5,37] ...67

TABELLA 4.1 VALORI MEDI DEL COEFFICIENTE DI ALBEDO, [25]...81

TABELLA 5.1 ES.4: CARATTERISTICHE DELLE COLD PLATE (IBM CORP.), [14]...105 TABELLA 5.2 ES.4-SP: CARATTERISTICHE ESSENZIALI DEI DUE PROTOTIPI DI COLD

PLATE, [32]...141

TABELLA 6.1 CORRELAZIONI PER IL CALCOLO DELLE PERDITE CONCENTRATE NEI RACCORDI A “T”, [43] ...159

(12)

1 IL CONTROLLO TERMICO

(13)

1.1 GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE

Dallo studio della termodinamica classica si sa che l’energia può essere trasferita attraverso certe interazioni tra un sistema e l’ambiente circostante e tali interazioni vengono chiamate lavoro e calore, [8]. In particolare si ha trasferimento di energia quando in un sistema esiste un gradiente di temperatura o quando due sistemi a temperatura diversa vengono posti in contatto termico: allora, il processo mediante il quale avviene lo scambio di energia è noto come trasmissione di calore.

Il calore risulta una grandezza non misurabile e non osservabile direttamente, ma se ne possono considerare gli effetti prodotti, associati principalmente alla variazione dell’energia interna del sistema, [1]. Tutti i processi di trasmissione del calore comportano lo scambio e la conversione di energia e devono quindi obbedire al primo ed al secondo principio della termodinamica: quindi, in condizione di regime stazionario, l’energia termica ceduta da un sistema deve essere uguale a quella ricevuta dall’altro e il calore passa dalla parte più calda a quella più fredda. Ad ogni modo, le leggi che governano lo scambio di calore non possono essere dedotte dai principi fondamentali della termodinamica, visto che questa si limita allo studio di stati di equilibrio (equilibrio meccanico, chimico e termico), mentre il flusso di calore è il risultato di uno squilibrio di temperatura.

Inoltre la termodinamica classica non provvede a fornire informazioni riguardo la natura dello scambio termico e la velocità con cui esso avviene mentre, da un punto di vista ingegneristico, il problema essenziale è la determinazione della potenza termica trasmessa per una determinata differenza di temperatura, affinché si possa valutare il costo, le possibilità e le dimensioni dell’impianto necessario per scambiare una certa quantità di calore in un dato tempo.

La letteratura sullo scambio termico distingue, in genere, tre differenti modalità fondamentali di trasmissione del calore: conduzione, convezione e irraggiamento.

1.1.1 CONDUZIONE

La conduzione è un processo mediante il quale il calore fluisce da una regione a temperatura maggiore ad una a temperatura minore attraverso un solo mezzo (solido, liquido o aeriforme) 2

(14)

o attraverso mezzi diversi posti a diretto contatto fisico: l’energia si trasmette per contatto diretto tra le molecole senza che si instaurino moti macroscopici. Una volta che le molecole di una regione acquistano un’energia cinetica media maggiore di quella delle molecole di una regione adiacente, come indicato da un gradiente di temperatura (secondo la teoria cinetica), le molecole a più alta energia cedono parte di questa alle molecole della regione a temperatura più bassa. Il meccanismo di scambio termico può avvenire per urto elastico (nei fluidi) o per diffusione degli elettroni più veloci nelle zone più fredde (nei metalli), ma, a prescindere da tutto ciò, l’effetto globale della conduzione risulta in un livellamento della temperatura tra le due zone a contatto.

L’equazione generale della conduzione si ottiene imponendo il bilancio di energia per un parallelepipedo di materiale di dimensioni dx, dy e dz paralleli rispettivamente agli assi x, y e z (Figura 1.1).

Figura 1.1 Bilancio energetico in un volume infinitesimo di materiale

(15)

Si utilizza allora il postulato di J.B.J. Fourier, ovvero l’equazione costitutiva per lo scambio termico conduttivo:

k

q = − ∇ k T (1.1)

dove k è la conducibilità termica del materiale, T è la temperatura e qk è il cosiddetto flusso di calore.

L’equazione generale della conduzione del calore, ipotizzando un sistema omogeneo e isotropo, risulta allora la seguente:

2 ( ) P T c ρ q k T q k τ ∂ T = − ∇ − ∇ = + ∇ ∂ i (1.2)

in cui cP è il calore specifico a pressione costante, ρ è la densità,τ rappresenta il tempo, è

la potenza termica per unità di volume generata da sorgenti interne di calore, mentre a è la diffusività termica. Ogni singolo problema di conduzione del calore può essere affrontato con l’applicazione di tale equazione, detta equazione di Fourier, una volta adattata al caso in esame (es. regime stazionario, conduzione in più dimensioni…). In particolare, si riporta il problema di conduzione monodimensionale per una lastra piana, in regime stazionario ed in assenza di sorgenti interne di calore. La geometria è riportata in Figura 1.2, mentre la soluzione del campo di temperatura all’interno della piastra deriva direttamente dall’integrazione dell’equazione di Fourier, con le opportune condizioni al contorno.

q

(16)

Figura 1.2 Andamento della temperatura nella conduzione a regime stazionario in una parete piana Si trova allora:

(

)

0 cold hot t T k T k hot cold k q dx kdT q T T t = − ⇒ = −

(1.3) 1.1.2 CONVEZIONE

Con il termine convezione si vuole descrivere il trasferimento di energia tra una superficie solida ed un fluido che si muove sulla superficie stessa. Il contributo principale al passaggio di energia è generalmente fornito dal moto globale del fluido, anche se il meccanismo di diffusione, che consiste nel moto casuale delle molecole fluide, risulta talvolta molto importante. Si consideri allora un fluido a temperatura T in moto relativo rispetto ad una parete solida a temperatura Ts >T e di area ; lo scambio termico avviene in seno al fluido (la situazione è rappresentata in Figura 1.3).

S

A

(17)

Figura 1.3 Rappresentazione schematica di un flusso sopra una superficie solida

Il problema convettivo si traduce localmente con la seguente:

(

)

C C S S

dq =h dA TT (1.4)

dove rappresenta il flusso locale di calore e h è il coefficiente locale di scambio termico convettivo. La formulazione globale risulta invece, per h

C dq C C e TS uniformi: ( ) C C S S q =h A TT (1.5)

con ovvio significato della simbologia. In particolare q è stato calcolato integrando l’espressione del flusso di calore locale su tutta l’area di scambio ;

C

S

A h rappresenta invece il C valore medio della conduttanza termica unitaria per la convezione, detto appunto coefficiente di scambio termico convettivo ricavato mediando i valori dei coefficienti di scambio locali su tutta l’area di scambio.

Risulta chiaro quanto la convezione sia un fenomeno termofluidodinamico nel quale i parametri fisici di fondamentale importanza sono il campo di temperatura T ed il campo di velocità V . Essendo questi fortemente legati tra loro, per uno studio completo del fenomeno

(18)

convettivo occorre considerare le equazioni di bilancio della massa, della quantità di moto e dell’energia per il flusso.

Spostandoci in prossimità della superficie solida, le particelle fluide a contatto con la parete assumono velocità relativa nulla e quindi comportano un rallentamento dello strato di flusso immediatamente sovrastante, che, a sua volta, rallenta lo strato ancora sopra, e così via fino ad una distanza dalla superficie pari a δ : tale spessore, piccolo rispetto alla lunghezza caratteristica della superficie solida, è chiamato strato limite idrodinamico ed è essenzialmente una zona di flusso in cui si trovano alti gradienti di velocità lungo la perpendicolare alla parete. Applicando questa considerazione al flusso in un condotto (Figura 1.4), si nota come al procedere del flusso lungo il condotto stesso, la condizione di non scorrimento alla parete causi il formarsi di uno strato limite che ha la sua origine all’entrata del tubo dove il flusso ha ancora la velocità indisturbata . Man mano che la coordinata x aumenta, aumenta lo spessore dello strato limite fino ad estendersi su tutto il raggio.

u

Figura 1.4 Sviluppo del profilo di velocità nella regione d’entrata idrodinamica di un tubo, [33]

Al rallentamento dei filetti fluidi si associano azioni tangenziali viscose, che risultano elevate nello strato limite, e che provocano scambio di quantità di moto tra gli strati di particelle e quindi scambio di energia. Allora, si ha, per lo stesso meccanismo prima descritto, lo sviluppo di uno strato limite termico di spessore δT, nel caso ci sia differenza di temperatura tra la superficie solida ed il flusso libero a partire da un profilo uniforme di temperatura di valore 7

(19)

T al bordo di attacco della piastra. Il profilo di temperatura ha l’andamento qualitativo riportato in Figura 1.5.

Figura 1.5 Strato limite termico su una lastra piana isoterma, [1]

Ritornando al caso di un fluido che scorre in un condotto, sono distinguibili due regioni di flusso: una, nella quale gli strati limite termico ed idrodinamico hanno occupato l’intera sezione trasversale del condotto, denominata regione di flusso completamente sviluppato mentre l’altra, in cui ciò non avviene, è chiamata regione d’imbocco, che è inoltre soggetta a diverse modalità di flusso a seconda che lo strato limite idrodinamico si sviluppi prima, dopo o contemporaneamente a quello termico, Figura 1.6.

(20)

Figura 1.6 Tipologia di flussi all’interno dei condotti, caso di flusso laminare, [34]

Nella precedente Figura 1.6 è stato introdotto uno dei parametri adimensionali di fondamentale importanza, il numero di Prandtl, definito come segue:

Pr cP k µ ν α = = (1.6)

Pr specifica le proprietà termiche del fluido e può essere interpretato sia come il rapporto tra la diffusività molecolare della quantità di moto o coefficiente di viscosità cinematica (ν µ ρ= / , dove µ è il coefficiente di viscosità dinamica e ρ la densità) e la diffusività molecolare del calore (α =kcP, dove c è il calore specifico a pressione costante), sia P come il rapporto tra gli spessori degli strati limite idrodinamico e termico, δ δT .

(21)

Il coefficiente di viscosità dinamica µ risulta importante in quanto rappresenta il fattore di proporzionalità tra le azioni viscose che si sviluppano alla parete e il gradiente della velocità calcolato sulla superficie:

0 S y u y τ µ = ∂ = ∂ (1.7)

da cui si ricava direttamente il coefficiente di attrito viscoso:

2 2 S f C u τ ρ ≡ (1.8)

Un altro aspetto importante dell’analisi fluidodinamica è quello di stabilire se il moto del fluido sia laminare o turbolento. Nel moto laminare, il fluido si muove a strati ed ogni particella segue un cammino regolare e continuo; differentemente, nel moto turbolento, il percorso di una particella fluida è irregolare, somma di un moto medio e di un moto fluttuante (il moto è regolare solo da un punto di vista di media statistica). Nel primo caso il calore si trasmette soltanto su scala molecolare all’interno del fluido e solo per conduzione si trasmette all’interfaccia solido-fluido; in presenza di turbolenza il meccanismo di scambio termico è modificato e fortemente favorito dal forte mescolamento di particelle fluide trasportatrici di energia. L’aspetto negativo è l’aumento delle forze tangenziali nella zona di contatto fluido-parete. La Figura 1.7 mostra il passaggio tra strato limite laminare e turbolento su una lastra piana (fenomeno di transizione).

(22)

Figura 1.7 Sviluppo dello strato limite idrodinamico su una lastra piana, [8]

Vicino all’imbocco (x = 0), lo strato limite è laminare. Nel seguito tende ad ispessirsi, il rapporto tra le forze viscose e le forze d’inerzia diminuisce fino a raggiungere un punto nel quale i disturbi, sempre presenti nel moto, non vengono più smorzati ma aumentano col tempo. Lo strato limite si instabilizza e si ha la transizione da laminare a turbolento, che avviene alla distanza dal bordo di attacco xc, detta anche distanza critica. Il parametro

numerico adimensionale che regola il regime del flusso è il numero di Reynolds, definito come:

ReX ρu x u x

µ∞ ν∞

= =

(1.9)

Al raggiungimento del valore critico del numero di Reynolds (un valore rappresentativo per un flusso su una lastra piana può essere circa 5x105) inizia la transizione tra strato limite

laminare e turbolento. Il regime del flusso influenza anche la dimensione della regione d’imbocco: in caso di flusso laminare in un tubo, questa viene prescritta dalla seguente relazione di Graetz, dove si introduce l’omonimo numero, [44].

Re PrD 20

Gz= L= (1.10)

(23)

dove D e L sono rispettivamente il diametro e la lunghezza del tubo. In caso di flusso turbolento la regione d’imbocco è comunemente stimata come 60 volte il diametro.

Un’ulteriore constatazione riguarda le cause del moto del fluido: questo può mettersi in movimento, in un campo gravitazionale, grazie alla differenza di densità dovuta alle variazioni di temperatura, allora si parla di convezione naturale o libera, oppure il moto è dovuto a fattori esterni, come una pompa o un ventilatore, allora si parla di convezione forzata. Nel primo caso, quando un corpo viene inserito in un fluido a diversa temperatura rispetto al solido, il flusso di calore per conduzione fa in modo di variare la temperatura del mezzo fluido e quindi la sua densità, in modo che la parte di fluido più pesante vada verso il basso, mentre quella più leggera si diriga verso l’alto: in questo caso la forza di massa che scatena i moti convettivi è pertanto la forza di gravità (anche se non è l’unica: si possono presentare altre cause scatenanti il moto, come forze centrifughe o forze elettriche) e l’effetto globale è la cosiddetta forza di galleggiamento. In generale questa è dovuta alla presenza contemporanea di un gradiente di densità ed una forza di volume proporzionale alla densità stessa. In Figura 1.8 sono rappresentate le forze agenti su un elemento di fluido a contatto con un pannello di un impianto di riscaldamento che può essere assimilato ad una lastra piana verticale, infinitamente lunga e larga, disposta nel piano perpendicolare al pavimento, cosicché il moto possa ritenersi bidimensionale.

Figura 1.8 Forze agenti su un elemento di fluido in convezione libera

(24)

L’equazione che descrive la conservazione della quantità di moto del sistema risulta allora:

(

)

22 u u u v g T T u x y y ρ ∂ + ∂ = ρβ − + ∂ ∂ ∂ ∂   µ (1.11)

dove nel termine ascensionale, che è il primo del secondo membro nell’equazione precedente, è stato introdotto il coefficiente di dilatazione termica:

1 1 P T T T ρ ρ ρ β ρ ρ ∞ ∞    = − ≈ −    (1.12)

Il parametro adimensionale che misura il rapporto tra le forze ascensionali o di galleggiamento e quelle viscose è il numero di Grashof:

(

)

2 3 2 gL T T Gr βρ µ ∞ − = (1.13)

dove L rappresenta una lunghezza caratteristica del sistema. Quando l’azione di galleggiamento è la sola forza agente, la velocità del fluido è completamente determinata dalle grandezze che compaiono in Gr (dalle equazioni di Navier-Stokes: u ui∇ ∼ gβ∆T , da cui si ricava u ui∇ ν∇2u Gr12, [2]): la similitudine dinamica tra due sistemi in convezione libera è individuata dall’uguaglianza dei numeri di Grashof e delle condizioni al contorno. Nella realtà, in un qualsiasi processo di scambio termico i gradienti di temperatura sono sempre presenti. Conseguentemente si hanno le relative correnti di convezione naturale. Se gli effetti di convezione forzata sono considerevoli, quelli di convezione naturale risultano trascurabili, o viceversa. Ci sono circostanze, però, in cui entrambi gli effetti hanno lo stesso ordine di grandezza e devono essere considerati entrambi allo stesso tempo: in questi casi si parla di scambio termico per convezione mista. L’equazione dello strato limite per moto monodimensionale in convezione libera (con x direzione del moto e proprietà fisiche uniformi), in forma adimensionale è la seguente:

(25)

(

)

3 2 2 0 2 2 2 1 2 g L T T U U P U U V 2 X Y X U L Y U L β µ ν ρ ν ∞ ∞ ∞  −    ∂ += −+ ∂ +     ∂ ∂ ∂ Θ (1.14)

dove sono stati definiti:

, X =x L Y = y L , U =u u V =v u

(

T T

) (

T0 T

)

Θ = − −

(

)

(

2 2

)

P= p p ρu (1.15)

Il galleggiamento influenza la distribuzione di velocità se il coefficiente di è dell’ordine di 1 o maggiore. Si definisce allora il numero di Richardson:

Θ

(

)

(

)

3 2 0 2 Re2 1 L L g L T T Gr Ri U L β ν ν ∞ ∞  −    = = (1.16)

Ri ci dice allora quando gli effetti della convezione naturale possano o meno essere trascurati rispetto a quelli della convezione forzata.

L’ultimo parametro fondamentale è il numero di Nusselt, che deriva dall’uguaglianza della potenza termica introdotta dalla parete per conduzione nel fluido con quella smaltita con la legge di convezione:

(

)

0 par fluido S c S S y T q kA h A T y → ∞ = ∂ = − = − ∂ T (1.17)

da cui si ricava direttamente la definizione del numero di Nusselt:

C h L Nu k = (1.18) 14

(26)

L’importanza di Nu sta nel fatto che è direttamente proporzionale al coefficiente di scambio termico e la relazione funzionale, per la sua determinazione risulta del tipo:

(

Re, Pr

Nu= f

)

(convezione forzata) (1.19)

mentre, per convezione naturale, Nu risulta una funzione di Gr e di Pr. Nel caso di convezione mista il numero di Nusselt dipende contemporaneamente da Pr, Gr e Re.

1.1.3 IRRAGGIAMENTO

L’irraggiamento è l’emissione di energia sotto forma di onde elettromagnetiche (o fotoni) come risultato di modificazioni nelle configurazioni elettroniche degli atomi. La trasmissione di calore per irraggiamento non richiede né il contatto tra i sistemi sedi del fenomeno né la presenza di un mezzo interposto tra essi poiché le onde elettromagnetiche si propagano anche nel vuoto e la loro velocità di propagazione è pari a quella della luce nel mezzo ( c≅300000Km /s nel vuoto.

In generale, quando una radiazione termica colpisce un solido parte della radiazione viene assorbita, parte riflessa dalla superficie e la restante si trasmette attraverso il corpo. Questa considerazione viene descritta una volta definiti i coefficienti αR, ρR e τR, che rappresentano rispettivamente la frazione della radiazione incidente che viene assorbita, che viene riflessa e che viene trasmessa. Il legame fra i tre coefficienti risulta:

1

R R R

α +ρ +τ = (1.20)

Si introduce allora il concetto di corpo nero, una superficie ideale con le seguenti proprietà.

• Un corpo nero assorbe tutta la radiazione incidente, a prescindere dalla lunghezza d’onda e della direzione.

• In determinate condizioni di temperatura e lunghezza d’onda, non esistono superfici che emettono più energia di un corpo nero.

(27)

• Il corpo nero emette in modo diffuso, cioè l’energia che irradia non dipende dalla direzione.

Lo spettro della potenza emessa dal corpo nero, per unità di superficie e di lunghezza d’onda, ha la seguente forma, nota anche come distribuzione di Planck:

(

)

( )

2 1 , 5 , 1 b C T C E T e λ λ λ λ =   −     (1.21)

dove le costanti C e 1 C2 valgono:

(

)

2 8 1 4 2 2 3.742 10 1.439 10 b C hc W m C hc k m K π µ µ = = × ⋅ = = × ⋅ 4 m2 J s (1.22)

in cui compare la costante di Planck h=6.6256 10× −34 ⋅ , la costante di Boltzmann 23

1.3805 10

b

k = × − J K e la velocità della luce nel vuoto . Il grafico di Figura 1.9 mostra l’andamento della distribuzione di Planck in funzione della lunghezza d’onda, parametrata con la temperatura assoluta.

c

(28)

Figura 1.9 Spettro dell’emissione di potenza per un corpo nero, [35]

In particolare si nota che ogni curva presenta un massimo che all’aumentare della temperatura si “sposta” verso lunghezze d’onda più basse: questa legge è detta legge dello spostamento di Wien.

2897.6

MAXT m K

λ = µ ⋅ (1.23)

dove λMAX indica la lunghezza d’onda per cui si ha il valore massimo della potenza emessa ad una certa temperatura. La potenza totale emessa da un corpo nero può essere calcolata integrando l’espressione della distribuzione di Planck su tutto il campo delle lunghezze d’onda. Quello che ne deriva è la legge di Stefan-Boltzmann:

4

b

ET (1.24)

(29)

con σ =5.67 10 W m K× −8 2 4, denominata appunto costante di Stefan-Boltzmann. Si ricava allora la distribuzione spettrale di emissione o intensità di emissione:

(

)

,

(

)

, , , b b E T Iλ λ T λ λ π = (1.25)

Tornando al caso di corpi reali, è ugualmente conveniente scegliere il corpo nero come riferimento per descrivere l’emissione di una superficie non ideale, introducendo un fattore detto emissività, definito come il rapporto tra la radiazione emessa da una superficie e la radiazione emessa da un corpo nero alla medesima temperatura. Analiticamente:

(

)

(

)

(

)

, , , , b E T T E T λ λ λ λ ε λ λ = (1.26)

oppure, considerando l’emissività totale:

( )

( )

( )

b E T T E T ε = (1.27)

Da quanto detto finora risulta che il flusso termico emesso da una superficie è pari alla potenza irradiata, calcolabile tramite l’equazione di Stefan-Boltzmann, con l’eventuale inserimento del fattore di emissività ε nel caso di corpo reale. Lo scambio netto di calore tra due corpi, denominati 1 e 2, per irraggiamento avviene se e solo se esiste una differenza tra le temperature assolute dei corpi stessi. Per lo studio di tale fenomeno deve essere prima introdotto il concetto di fattore di vista . Questo è definito come la frazione della radiazione che lascia la superficie 1, che viene intercettata da una superficie 2.

12 F

(30)

Figura 1.10 Situazione geometrica tra due superfici irraggianti, [25]

Relativamente alla Figura 1.10, si può ricavare partendo direttamente dalla definizione soprascritta: 1 2 1 2 12 2 1 2 1 cos cos 1 A A F d A s A dA φ φ π =

∫ ∫

(1.28)

Una volta definito , si può calcolare lo scambio termico netto raggiante tra due corpi neri, considerando che:

12 F

12 1 2 2 1

q =qq (1.29)

per cui, sfruttando le proprietà del fattore di vista e utilizzando la legge di Stefan-Boltzmann, si trova:

(

4 4

)

12 1 12 1 2

q = A F σ TT (1.30)

(31)

1.1.4 CIRCUITI TERMICI

Da quanto visto finora, i sistemi termici in condizioni stazionarie ed in assenza di generazione interna di calore possono presentare un’analogia con quelli elettrici: in effetti l’equazione che regge un sistema è utile anche per l’altro, solo modificando i simboli delle variabili in gioco. Per una corrente che passa attraverso una resistenza elettrica si ha:

el V i R ∆ = (1.31)

con ∆V differenza di potenziale elettrico ai capi della resistenza.

Allo stesso modo si parla allora di flusso termico attraverso una resistenza termica (o il suo inverso, la conduttanza termica), mentre il ruolo della differenza di potenziale viene assunto dalla differenza di temperatura:

th T q R ∆ = (1.32)

Di seguito si riportano i valori delle resistenze per ogni meccanismo di scambio termico.

• CONDUZIONE

Dall’Eq.1.3, valida per un flusso di calore attraverso una lastra piana, si ricavano immediatamente i seguenti valori:

S K K S A k t R K A k t = ⇔ = (1.33)

Con RK e KK rispettivamente resistenza termica conduttiva e conduttanza termica

conduttiva.

(32)

• CONVEZIONE

Molto semplicemente, dall’Eq.1.8 si trova direttamente:

1 C C S C C S R h A K h A = = (1.34)

dove RC e KC rappresentano rispettivamente la resistenza termica convettiva e la

conduttanza termica convettiva.

• IRRAGGIAMENTO

In questo caso il primo passo consiste nel linearizzare l’equazione dello scambio termico per irraggiamento, in quanto il flusso di calore, in tali sistemi, è proporzionale alla differenza delle potenze quarte della temperatura. Una possibile risoluzione viene riportata di seguito:

(

)

(

)(

)

(

)

(

)(

)

4 4 2 2 2 2 12 1 12 1 2 1 12 1 2 1 2 2 2 1 12 1 2 1 2 1 2 q A F T T A F T T T T A F T T T T T T σ σ σ = − = + = + + − − (1.35) Si pone allora:

(

)

(

)

(

)

1 2 2 2 3 1 2 1 2 4 T T T T T T T T − = ∆ + + = (1.36)

Con si individua una sorta di temperatura media tra TT 1 e T2 in modo che valga la

relazione precedente. Si trova infine:

3 12 1 12

1 4

q = σA F TT (1.37)

Allora la resistenza termica e la conduttanza termica per irraggiamento risultano:

(33)

3 1 12 3 1 12 1 I I R A F T K A F T σ σ ∗ ∗ = = (1.38) in cui F12=F12 4.

1.1.5 MECCANISMI COMBINATI DI SCAMBIO

In pratica il calore si trasmette di solito per stadi attraverso un certo numero di elementi diversi connessi in serie; frequentemente in un singolo elemento si trasmette secondo due meccanismi in parallelo. Ammettiamo di avere un sistema come quello di Figura 1.11.

Figura 1.11 Sistema gas caldi/lastra metallica/refrigerante e andamento qualitativo della temperatura

(34)

Si fa presente che i gas caldi assorbono ed emettono radiazioni. Il circuito termico associato al sistema di Figura 1.11.

Figura 1.12 Circuito termico associato al sistema di Figura 1.11

Il calcolo viene quindi fatto come se fossimo in presenza di un semplice circuito elettrico:

1 2 3 1 2 g f tot T T T q 3 R R R R R R − ∆ = = + + + + (1.39)

La prima resistenza termica R1 è l’equivalente di due resistenze in parallelo, e quindi:

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 C I C I C I R R R R = R +R ⇒ = R +R (1.40)

Si può allora introdurre la conduttanza unitaria globale o coefficiente globale di scambio termico U nel seguente modo:

tot

q UA T= ∆ (1.41)

(35)

Nel nostro caso, UA=1 R

(

1+R2+R3

)

. Il coefficiente U può essere riferito a qualsiasi area. L’uso di questa simbologia semplifica notevolmente la scrittura, soprattutto nel progetto di scambiatori di calore.

1.2 GLI HEAT SINK

1.2.1 DEFINIZIONE E CATEGORIE DI HEAT SINK

Gli heat sink o dissipatori sono apparecchiature utilizzate per la trasmissione del calore da una superficie calda ad un ambiente refrigerante, [3]. Solitamente la superficie calda è proprio la faccia del componente che deve essere raffreddato.

Nella maggior parte dei casi, nel sistema di scambio di un heat sink, il punto critico per il passaggio del calore risulta l’interfaccia tra la superficie solida e il fluido refrigerante e, a tutti gli effetti, essa rappresenta la più alta barriera al trasferimento di energia; principalmente, i metodi per sopperire a tale vincolo risultano l’aumento dell’area a diretto contatto con il fluido, oppure l’aumento della velocità del flusso. Questo comporta più calore dissipato ed un abbassamento della temperatura operativa dell’apparecchio, visto che lo scopo primario di un heat sink è giusto quello di mantenere la temperatura del componente sotto il limite prescritto dal produttore.

Una prima classificazione degli heat sink viene fatta analizzando il meccanismo impiegato per la rimozione del calore. Sulla base di ciò si possono individuare cinque grandi categorie.

• HEAT SINK PASSIVI

Sono utilizzati in condizione di convezione naturale o per applicazioni in cui non si prevede l’impiego di fluido refrigerante in moto. Il carico termico per unità di superficie di scambio previsto è di bassa entità.

• HEAT SINK SEMI-ATTIVI

Questi sono supportati da strumenti per il moto del fluido già presenti nel sistema per svolgere principalmente altre attività. I carichi termici per unità di superficie raggiungono valori di medio livello.

(36)

• HEAT SINK ATTIVI

Impiegano sistemi di ventilazione appositamente designati per questo uso. In genere, un sistema di heat sink attivo comprende parti meccaniche in movimento e quindi la fattibilità di tali sistemi dipende anche dalla possibilità di realizzazione di tali impianti. In questo caso la potenza dissipata per unità di superficie raggiunge ottimi valori.

• COLD PLATE CON REFRIGERANTE LIQUIDO

Tipicamente impiegano una tubazione interna o appoggiata in canali ricavati sulla superficie di piastre, in modo da usare liquidi in pressione. I valori del carico termico sono molto più alti rispetto ai precedenti, anche di un paio di ordini di grandezza.

• SISTEMI A RICIRCOLAZIONE CON CAMBIO DI FASE

Si tratta di sistemi a due fasi in cui sono presenti un evaporatore ed un condensatore lungo un percorso auto-guidato (o passivo, es. moto per capillarità). Un sistema del tipo heat pipe o tubo di calore può presentare matrici porose nel caso non si possa sfruttare il campo gravitazionale. Nella presente categoria sono previsti anche sistemi con cambio di fase da solido a liquido, utilizzati soprattutto con moderati gradienti di temperatura.

1.2.2 CIRCUITO TERMICO DI UN HEAT SINK

Di seguito si riporta lo studio del circuito termico di un heat sink raffreddato ad aria (Figura 1.13).

(37)

Figura 1.13 Heat sink ad aria e circuito termico associato, [3]

Tj, Tc, Ts, e Ta rappresentano rispettivamente la massima temperatura di giunzione del

componente, la massima temperatura del contenitore del componente, la massima temperatura dell’heat sink in prossimità del componente e la temperatura dell’aria.

Come si vede dalla Figura 1.13, la resistenza termica globale dell’heat sink è data dalla somma delle tre resistenze termiche in serie:

(

j a

)

ja jc cs sa T T R R R R q − = + + = (1.42)

dove q rappresenta la potenza termica dissipata. Misurando le temperature e nota la potenza termica, le resistenze termiche in gioco, molto semplicemente, sono le seguenti:

(

)

(

)

(

)

j c jc c s cs s a sa T T R q T T R q T T R q − = − = − = (1.43) 26

(38)

1.2.3 ESEMPIO DI HEAT SINK

La geometria di tale dissipatore ad aria ([12]) è indicata nella seguente Figura 1.14.

Figura 1.14 Esempio di dissipatore ad aria, [12]

L’heat sink è stato utilizzato per investigare il comportamento in situazione di convezione forzata: esso si compone di 82 canali di sezione rettangolare ed ha dimensioni totali pari a 12.7 x 6.3 x 1.4 cm3.

Le condizioni del dissipatore risultano le seguenti: Re varia tra 1988 e 22067 (portata d’aria tra 0.00246 e 0.0271 kg/s); le termocoppie presenti sulla superficie scaldata hanno registrato temperature tra i 27.3°C e i 75°C, mentre l’ambiente circostante si trova tra 25°C e 28.5°C. Il caso tipico di studio è risultato quello di uno scambio di calore pari a 9684 W/m2 con una

portata di 0.0124 kg/s, cioè Re = 10137.

Vengono fornite un paio di relazioni a riguardo dello scambio termico e della perdita di carico, proporzionale al lavoro di pompaggio che deve essere fatto per far circolare il fluido (aria nel nostro caso) nei condotti del dissipatore:

(39)

Nu = 133.72 Re0.115 (= 386)

∆P = 72.33 (portata)1.265 (= 0.28 kN/m2 = 280 Pa) (1.44)

dove le unità di misura per la caduta di pressione e la portata sono rispettivamente kN/m2 e kg/s. Tra parentesi sono stati indicati i risultati del caso tipico.

Nei grafici seguenti si riportano le curve caratteristiche dell’heat sink. È stato eseguito un confronto con il caso di hollow-channel (letteralmente canale vuoto, cioè in assenza di canaletti interni) e si può dire che la presenza dell’alettatura migliora lo scambio termico (valori di Nu maggiori). Nella seconda immagine si nota come i valori sperimentali siano molto vicini a quelli teorici.

Figura 1.15 Curve caratteristiche del dissipatore ad aria dell’esempio, [12]

1.2.4 VINCOLI DI PROGETTO

L’ottimizzazione termica di un heat sink, con riferimento alla Figura 1.13 si indirizza soprattutto a minimizzare Rsa (cioè la resistenza termica tra ambiente e componente), una

(40)

volta dati una serie di vincoli di progetto. Questi riguardano principalmente i seguenti parametri:

• Velocità di approccio del fluido. • Caduta di pressione consentita.

• Geometria della sezione trasversale del passaggio del flusso. • Quantità di calore da smaltire.

• Massima temperatura dell’heat sink. • Temperatura del fluido.

• Dimensioni massime dell’heat sink. • Orientamento rispetto alla gravità. • Costi di produzione.

• Costi operativi.

La determinazione delle massime performance ottenibili avviene quindi all’interno di tutta la serie di requisiti sopra elencati.

1.3 REFRIGERAZIONE LIQUIDA FORZATA

I sistemi di refrigerazione liquida forzata sono sempre più richiesti in quanto riescono a fornire coefficienti di scambio termico, per unità di superficie di dissipazione, molto più alti in confronto a quelli ottenibili tramite il raffreddamento ad aria, vedi Tabella 1.1.

Il coefficiente di scambio termico convettivo (h), per un sistema a refrigerazione liquida forzata, aumenta più di un ordine di grandezza; per contro, un sistema di questo tipo risulta molto più complicato rispetto a quelli ad aria, nei quali il calore viene portato via dalla superficie calda e in seguito dissipato nell’ambiente circostante. Nei sistemi a refrigerazione liquida forzata il liquido viene mantenuto in circolo tramite apposite attrezzature. Un’ulteriore complicazione che ne deriva sta nella vera e propria dissipazione del calore: il liquido, dopo aver raffreddato la superficie calda ha aumentato la propria temperatura, quindi deve essere fatto passare in uno scambiatore di calore (liquido-liquido o liquido-aria, quest’ultimo più economico) affinché la sua temperatura venga riportata ai valori iniziali.

(41)

PROCESSO h [W/m2 °K] Convezione naturale • Gas 2-25 • Liquidi 50-1000 Convezione forzata • Gas 25-250 • Liquidi 50-20000

Convezione con cambio di fase

• Ebollizione o condensazione 2500-100000

Tabella 1.1 Valori tipici del coefficiente di scambio convettivo, [5]

Si possono contare almeno due vantaggi apportati da questo tipo di circuito: per primo, visto che il calore viene rimosso dal componente caldo e trasferito in un altro luogo, non ci sono vincoli particolari sulle dimensioni dello scambiatore mentre le misure dell’heat sink risultano come specifiche di progetto. Infatti, queste devono essere ridotte il più possibile (aree di scambio concentrate) e, inoltre, si deve tenere conto dell’interfaccia con il componente scaldante. In secondo luogo, si cerca di eliminare vibrazioni e rumore acustico, che risultano nocivi per l’attività dell’elemento da refrigerare: tali disturbi si associano sia alla presenza dei ventilatori per l’aria, sia alle pompe per il refrigerante, sia agli scambiatori di calore: tutti questi elementi possono essere allora disposti distanti dall’heat sink.

Un esempio semplice di un sistema di refrigerazione liquida forzata è riportato nella seguente Figura 1.16.

(42)

Figura 1.16 Schema di un sistema di refrigerazione liquida forzata, [5]

Il circuito si compone di diversi elementi: la cold plate, la pompa per il refrigerante, il serbatoio, lo scambiatore di calore e le apparecchiature per il controllo della pressione e della velocità del flusso del refrigerante. Questi ultimi sono usati per la prevenzione dal danno dell’equipaggiamento provocato sia da una pressione eccessiva del liquido, sia da cadute di velocità nel circuito sotto i livelli prestabiliti.

(43)

2 LE COLD PLATE

(44)

2.1 INTRODUZIONE

Come visto in precedenza, le cold plate sono una particolare categoria di heat sink, alimentate a liquido, sulla cui superficie di scambio vengono disposti i vari componenti che devono essere raffreddati. In particolare la refrigerazione può essere di tipo diretto, in cui i componenti caldi entrano a contatto con il fluido, oppure di tipo indiretto, ed in tal caso le apparecchiature scaldanti sono a contatto solamente con la superficie attraverso la quale avviene il passaggio di calore.

Le cold plate vengono soprattutto utilizzate per il raffreddamento di batterie elettriche e di apparati elettronici a basso voltaggio (chip, transistor, processori, trasformatori,…) o, più in generale, riescono a garantire una dissipazione di alti flussi di calore. Quest’ultimo requisito è diventato sempre più necessario con il passare degli anni, proprio nel settore della elettronica e della microelettronica, visto che il progresso ci sta portando nel campo dei computer ad alte performance: tale richiesta si traduce allora nell’aumento della densità superficiale di elementi elettronici ad alte velocità di funzionamento. Chiaramente questi presentano caratteristiche superiori alla media riguardo l’impegno di potenza e ciò comporta, anche grazie alla maggiore densità, un’eccezionale generazione di calore che, se non smaltita adeguatamente, può provocare il cattivo funzionamento o anche, il danneggiamento totale del componente elettronico in considerazione.

L’idea di cold plate che abbiamo è essenzialmente quella di una piastra, quindi un volume che presenta una dimensione molto minore rispetto alle altre due, nel cui interno è presente una tubazione in cui scorre il liquido refrigerante, che entra ed esce dall’heat sink attraverso appositi collettori. Svolgendo una ricerca su quanto è presente sul mercato si nota immediatamente che le cold plate possono assumere forme di qualsiasi tipo, in quanto ognuna di esse viene progettata solitamente partendo da precise specifiche riguardo l’ambiente di lavoro, le interfacce con i componenti da raffreddare e con il fluido di lavoro, ed altro ancora: quindi questo tipo di scambiatore viene disegnato “su misura”. La geometria esterna della cold plate sarà influenzata soprattutto da parametri quali zona di montaggio (presenza o meno di zone aperte, forma rettangolare o circolare….), la grandezza degli elementi da raffreddare e la loro interfaccia con la cold plate, ed i requisiti di rigidezza nel caso funzioni anche da supporto per carichi strutturali. Un altro particolare che deve essere considerato è se il processo di raffreddamento avviene o meno su entrambe le facce della piastra. Anche per 33

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quanto riguarda l’ingresso e l’uscita del fluido, sia la disposizione, sia le modalità di passaggio, sia le dimensioni effettive degli imbocchi dipendono da vari fattori: è utile conoscere come la cold plate deve interfacciarsi con i tubi di rifornimento e di smaltimento del refrigerante; inoltre il dimensionamento corretto degli imbocchi dei collettori deve essere affrontato a seconda delle portate imposte e dei limiti sulle perdite di carico che vengono richieste.

Si possono trovare diverse soluzioni costruttive anche per quanto riguarda la struttura interna alla piastra, [6]. La tubazione può seguire un andamento in serie (modello serpentina, Figura 2.1) oppure in parallelo, con la presenza cioè di serbatoi che distribuiscono il liquido in condotti tra loro paralleli, Figura 2.2.

Figura 2.1 Esempio di condotti in serie, [6]

Figura 2.2 Esempio di condotti in parallelo, [6]

(46)

La scelta dipende, essenzialmente, sia dalla semplicità tecnologica di fabbricazione che dalle possibilità di pulitura e diagnostica dei condotti, nonché dalle performance termiche richieste. Inoltre è molto importante fare un calcolo delle perdite di carico e dei salti di temperatura che si ottengono in entrambe le situazioni: a tale proposito, infatti, la soluzione con più tubi in parallelo consente di ottenere, tra ingresso ed uscita, salti di pressione e di temperatura N volte più piccoli (dove N è il numero dei tubi) rispetto a quelli relativi al caso della serpentina, a parità di portata circolante in ogni singolo tratto di tubo e di potenza termica dissipata. Dalla Figura 2.3 si vede che esistono anche sistemi di canalizzazione di tipo misto.

Figura 2.3 Altri esempi di canalizzazione, [6]

Si può distinguere anche riguardo alla sezione trasversale dei condotti: la scelta può essere tra classiche sezioni circolari (o anche rettangolari) e tra i cosiddetti tubi a “D”, posti in modo da diventare parti integranti della superficie di scambio, Figura 2.4.

(47)

Figura 2.4 Possibili sezioni trasversali dei tubi

La fattibilità tecnologica predilige la soluzione con tubi circolari interni, ottenibili per semplice foratura, quando non vi sono problemi di corrosione per i quali si rende inevitabile l’inserimento di spessori in materiale inossidabile, come in figura. Nel caso di tubi a “D” invece è possibile che lo scambio termico venga favorito, in quanto la resistenza termica conduttiva della cold plate dipende solo dallo spessore del tubo; nel caso di tubazioni completamente all’interno, invece, c’è sempre una parte occupata dalla piastra, che va dalla parete esterna del tubo fino alla superficie di contatto con il corpo e che non può avere spessori troppo limitati, essenzialmente per motivi tecnologici.

2.2 CRITERI GENERALI DI PROGETTO

L’obiettivo principale di una cold plate risulta quello di mantenere la temperatura della zona di contatto con l’elemento caldo entro un limite imposto. Come visto in generale per un heat sink, allo stesso modo tale valore di temperatura è regolato da una serie di resistenze termiche, la cui somma fornisce la resistenza termica globale dal refrigerante, a partire dalle condizioni di entrata del fluido, fino alla superficie della piastra.

(48)

Una cold plate si compone essenzialmente di tre elementi: la piastra, il sistema dei condotti per il fluido e il refrigerante stesso (Figura 2.5).

Figura 2.5 Elemento modulare di una cold plate e resistenze termiche associate

Le temperature riportate in Figura 2.5 corrispondono a vari punti del sistema cold plate: T è la temperatura di un punto sulla superficie del dissipatore,

S

D

T è la temperatura di un punto sulla parete del condotto, T è la temperatura relativa al fluido sufficientemente lontano dall’ingresso ed infine T è la temperatura del fluido al momento della sua entrata nel condotto, cioè la temperatura “ambiente” del fluido. È inoltre riportato a lato il circuito termico dell’elemento raffigurato, formato dalle resistenze termiche relative ai salti di temperatura presenti.

B

A

L’ottimizzazione della cold plate non avviene tenendo conto di ogni singolo componente separatamente, visto che le variabili in gioco possono avere effetti su più di una delle resistenze termiche e quindi c’è interdipendenza tra le varie parti. Ad esempio, la scelta del fluido influisce direttamente sia su RqBA che su RqDB. Allo stesso modo, queste dipendono

anche dalla velocità del flusso ed allora un importante fattore diventa la “sorgente” di fluido, 37

(49)

in relazione soprattutto alla caduta di pressione ed alle perdite in ingresso. In effetti, la caduta di pressione, proporzionale al lavoro fatto dalle forze di attrito, è uno dei valori che contraddistinguono maggiormente la qualità della cold plate.

Risulta allora che i criteri essenziali di progettazione sono i seguenti.

• Minimizzare la resistenza termica globale della cold plate, nel percorso dalla superficie di scambio al refrigerante.

• Minimizzare la caduta di pressione e quindi il lavoro fatto per far passare il fluido nella cold plate.

• Mantenere la superficie di appoggio dei componenti elettronici il più possibile isoterma, o evitare forti gradienti di temperatura, dannosi per gli elementi da raffreddare.

2.2.1 MODELLO PER L’ANALISI

Il modello scelto per un’analisi di prima approssimazione è riportato in Figura 2.6.

Figura 2.6 Schema della cold plate per l’analisi

(50)

Il flusso di calore è considerato uniforme su entrambi le superfici di appoggio della cold plate. L’elemento in dettaglio rappresenta la più semplice geometria per l’analisi, una volta considerate la simmetria strutturale, termica e geometrica.

Vediamo allora quali sono le equazioni principali relative alla resistenza termica e alla caduta di pressione.

2.2.2 RESISTENZA TERMICA CONDUTTIVA

La resistenza termica in questione deriva dall’analisi di un sistema termico in conduzione bidimensionale. Per semplificare la scrittura, si introduce un fattore di forma, adimensionale, S, valido su tutta la lunghezza L del condotto, come suggerito in [5]. Si ricava allora:

1 qSD R kLS = ′ (2.1)

Il fattore S′ è definito nel seguente modo:

( )

(

)

2 S D q s S k T T ′ = − (2.2)

È stato anche affrontato un calcolo numerico i cui risultati mostrano l’andamento del fattore di forma con i parametri adimensionali caratteristici del dissipatore, in particolare i rapporti s/D e t/D. Tale studio viene rappresentato nel grafico di Figura 2.7.

(51)

Figura 2.7 Andamento del fattore di forma S′, [5]

Si nota facilmente che minimizzare la resistenza RqSD significa massimizzare S′. Quindi, dalla

Figura 2.7, si ricava che si ottengono alti valori del fattore di forma per bassi valori del rapporto s/D, cosi come, a parità di questo, generalmente si ha l’aumento di S′ al decrescere di t/D.

Per una progettazione ottimale, il primo passo consiste nella scelta dello spessore minimo considerando i vincoli di integrità strutturale e di fabbricazione; in seguito, deve essere scelto il valore della distanza tra due canali successivi, che risulta un unico valore stabilito (dalla Figura 2.7, l’andamento di S′ ha, in genere, un massimo relativo, per cui solo per quel particolare s/D si raggiunge il valore più alto del fattore di forma).

I calcoli effettuati sono quindi riferiti alla struttura nel dettaglio di Figura 2.6, che rappresenta un quarto di una cold plate dotata di un solo condotto, altrimenti detta una singola cella. Questo comporta che, per una struttura con singolo tubo, di larghezza s e lunghezza L, il risultato è il seguente:

( )

41 cella qSD R k S L = ′ (2.3) 40

(52)

2.2.3 RESISTENZA TERMICA CONVETTIVA

La forma di questa resistenza termica è quella della classica resistenza per convezione (vedi Eq.1.34). Si riportano allora alcune correlazioni, tratte da [8], per il numero di Nusselt in convezione forzata in un tubo, dalla cui definizione (Eq.1.18), conoscendo sia la conduttività termica del fluido, sia il diametro del tubo, si ricava direttamente il coefficiente di scambio termico h . c 36 . 4 = D

Nu Flusso laminare completamente sviluppato, con

flusso di calore uniforme alla parete; Pr≥0.6 (2.4)

66 . 3 =

D

Nu Flusso laminare completamente sviluppato, con

temperatura costante alla parete; Pr≥0.6 (2.5)

(

)

(

)

[

]

2/3 Pr Re / 04 . 0 1 Pr Re / 0668 . 0 66 . 3 D D D L D L D Nu + + = (Relazione di Hausen)

Flusso laminare, regione d’entrata termica, temperatura costante alla parete, numero di Prandtl molto maggiore dell'unità

(2.6) 14 . 0 3 / 1 / Pr Re 86 . 1             = s b D D D L Nu µ µ (Correlazione di Sieder-Tate)

Flusso laminare, regione d'entrata combinata, temperatura uniforme alla parete;

16700 Pr 48 . 0 ≤ ≤ , 0.0044≤µbs ≤9.75 (2.7) 3 / 1 5 / 4 Pr Re 023 . 0 D D Nu = (Equazione di Colburn)

Flusso turbolento completamente sviluppato;

160 Pr 6 . 0 ≤ ≤ , ReD ≥10000, L/D≥10 (2.8) n D D Nu =0.023Re 4/5Pr (Equazione di Dittus-Boelter)

Flusso turbolento completamente sviluppato;

160 Pr 6 .

0 ≤ ≤ , ReD ≥10000, L/D≥10; n=0.4

per il riscaldamento, n=0.3 per il raffreddamento

(2.9) 14 . 0 3 / 1 5 / 4 Pr Re 027 . 0       = s b D D Nu µ µ (Equazione di Sieder-Tate)

Flusso turbolento completamente sviluppato;

16700 Pr

6 .

0 ≤ ≤ , ReD ≥10000, L/D≥10 (2.10)

Per moti turbolenti non sviluppati può essere considerata la relazione di Dittus-Boelter (Eq.2.9), corretta tramite un fattore moltiplicativo pari a 1+

( )

DL 0.7

 .

Figura

Figura 1.2 Andamento della temperatura nella conduzione a regime stazionario in una parete piana  Si trova allora:  ( ) 0 cold hottTkT k hot coldkqdxkdTqTT t= −⇒= −∫∫ (1.3)  1.1.2 CONVEZIONE
Figura 1.3 Rappresentazione schematica di un flusso sopra una superficie solida
Figura 1.4 Sviluppo del profilo di velocità nella regione d’entrata idrodinamica di un tubo, [33]
Figura 1.6 Tipologia di flussi all’interno dei condotti, caso di flusso laminare, [34]
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