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L'articolo 50 TUE: una clausola di secessione per l'Unione Europea?

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Academic year: 2021

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CLASSE ACCADEMICA DI SCIENZE SOCIALI

SETTORE DI SCIENZE GIURIDICHE

DIPLOMA DI LICENZA MAGISTRALE

L’ARTICOLO 50 TUE: UNA CLAUSOLA DI

SECESSIONE PER L’UNIONE EUROPEA?

Candidato

Relatore

Federico Spagnoli

Chiar.mo Prof. Giuseppe Martinico

Allievo Ordinario Scuola Superiore Sant’Anna

Tutor

Chiar.mo Prof. Alberto di Martino

Scuola Superiore Sant’Anna

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1. INTRODUZIONE ... 4 1.1. L’ART. 50 TUE: NORMA DI DIRITTO INTERNAZIONALE O CLAUSOLA DI SECESSIONE? NATURA E STORIA DI UNA DISPOSIZIONE CONTROVERSA ... 4

2. LA SITUAZIONE PRECEDENTE ALL’ART. 50 ... 11 2.1. IL TESTO ORIGINARIO DEI TRATTATI E LA MANCANZA DI RIFERIMENTI AL RITIRO DALLE COMUNITÀ EUROPEE. POSSIBILI INDIZI CONTRARI ALLA

FACOLTÀ DI RECESSO NEI PREAMBOLI E NEGLI ARTICOLI ... 11 2.2. TESI FAVOREVOLI ALLA LIBERTÀ DI RECESSO DALLE COMUNITÀ

EUROPEE. IL RICHIAMO AL DIRITTO INTERNAZIONALE DEI TRATTATI E ALLA QUALITÀ SOVRANA DEGLI STATI. LE POSIZIONI DI ALCUNE CORTI

COSTITUZIONALI NAZIONALI ... 17 2.3. PRESUNTI ESEMPI DI RECESSO DALLE COMUNITÀ EUROPEE PRE-ART. 50 TUE: APPLICABILITÀ O MENO DELLA NOZIONE ... 29

3. L’ART. 50 TUE. GENESI E CARATTERI ... 32 3.1. LE RAGIONI DELL’INTRODUZIONE DI UNA CLAUSOLA ESPRESSA DI

RECESSO. LA COSTITUZIONE EUROPEA E I LAVORI PREPARATORI DELLA CONVENZIONE ... 32 3.2. IL FALLIMENTO DEL TRATTATO COSTITUZIONALE E IL TRATTATO DI LISBONA. L’ATTUALE ART. 50 TUE: UN’ANALISI ... 44 3.3. I “LATI OSCURI” DELL’ART. 50: ALCUNI RISCHI E PROBLEMATICHE

IRRISOLTE ... 65

4. RECESSO DALL’UNIONE E SECESSIONE: DUE FACCE DELLA STESSA

MEDAGLIA?... 68 4.1. L’ART. 50 E IL DIRITTO PUBBLICO COMPARATO. COMPARABILITA’ FRA IL FENOMENO DEL RECESSO DALL’UE E QUELLO DELLA SECESSIONE DA UNO STATO FEDERALE ... 68 4.2. LE CLAUSOLE DI SECESSIONE COSTITUZIONALIZZATE (CENNI): IL

POSSIBILE TERMINE DI PARAGONE DELL’ART. 50 ... 79 4.3. L’ART. 50 TUE COME CLAUSOLA DI SECESSIONE COSTITUZIONALIZZATA: UN’ANALOGIA FONDATA? ... 92

5. CONCLUSIONI ... 109 5.1. CONTESTO DIVERSO, STESSA FUNZIONE: L’ART. 50 TUE COME FENOMENO PARALLELO ALLE CLAUSOLE DI SECESSIONE ... 109

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3 BIBLIOGRAFIA ... 115 SITOGRAFIA ... 121 DIRITTO INTERNAZIONALE ... 121 TRATTATI EUROPEI ... 121 PRONUNCE GIURISDIZIONALI ... 122

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1. INTRODUZIONE

1.1. L’ART. 50 TUE: NORMA DI DIRITTO INTERNAZIONALE O CLAUSOLA DI SECESSIONE? NATURA E STORIA DI UNA DISPOSIZIONE CONTROVERSA

Questo elaborato si concentra sull’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), probabilmente una delle disposizioni più problematiche e controverse dell’intero corpus dei Trattati europei1, che di recente ha ricevuto un’ampia esposizione mediatica2, per via degli eventi scaturiti dalla c.d. Brexit, ossia la decisione del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea, presa dal Governo britannico a seguito del referendum consultivo sul tema svoltosi il 23 giugno 2016 e notificata il 29 marzo 2017 secondo le previsioni di cui alla norma citata.

Tuttavia, in quest’occasione non ci concentreremo nello specifico sui concreti risvolti politici della disposizione3, nonostante la loro notevole attualità, e più in generale sulle tematiche concernenti l’uscita del Regno Unito dall’UE, bensì su aspetti più squisitamente giuridici e teorici, ma non per questo meno importanti e meritevoli di attenzione.

Il nostro interesse, infatti, è in primo luogo quello di rispondere ad una serie di domande relative alla redazione dell’articolo 50, alle sue caratteristiche ed agli scopi della sua introduzione, domande che potrebbero contribuire ad illuminare alcuni discussi aspetti della natura dell’UE e delle dinamiche della sua evoluzione.

È infatti ormai risalente il dibattito dottrinario sui caratteri dell’UE e sull’eventuale qualificabilità in termini “statali” e “costituzionali” di questa forma di aggregazione politica dai caratteri peculiari, un dibattito originato, come noto, dai contributi di alcuni studiosi del federalismo che in particolare hanno posto l’attenzione sull’importante

1 Ad essa la dottrina ha dedicato una significativa attenzione, specialmente in tempi recenti. Su tutti si rinvia ad alcuni saggi recenti di Carlos Closa, che trattano il tema nel quadro dell’odierno contesto europeo legandolo a quello, altrettanto spinoso e d’attualità, della secessione: C. CLOSA, Troubled

Membership: Secession and Withdrawal, in C. CLOSA (Edited by), Secession from a Member State and

Withdrawal from the European Union, Cambridge University Press, 2017, e C. CLOSA, Interpreting

Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, in RSCAS 2016/71 Robert Schuman Centre for

Advanced Studies Global Governance Programme-246, disponibile in

http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/44487/RSCAS_2016_71.pdf?sequence=1, p. 2. 2 Al punto che P.E

ECKHOUT -E.FRANTZIOU, Brexit and Article 50 TUE: A Constitutionalist Reading, UCL Institute, dicembre 2016, p. 4, in https://www.ucl.ac.uk/european-institute/brexit-article-50.pdf, osservano che “Never before has a provision of EU law become so well known in such a short space of time as Article 50 TEU”.

3

Sui quali si consultino a titolo di esempio, nella vasta letteratura che in questi quasi due anni si è accumulata sul tema della Brexit: C. CURTI GIALDINO, Oltre la Brexit: brevi note giuridiche e politiche

per il futuro prossimo dell’Unione europea, in www.federalismi.it, n. 13/2016, 29 giugno 2016, che delinea con chiarezza il quadro politico immediatamente successivo alla consultazione e le prime reazioni delle istituzioni UE e dei principali Stati dell’Unione; EECKHOUT-FRANTZIOU, op. cit., che propone una lettura della previsione in modo conforme ai requisiti posti dal framework costituzionale UE come sua unica intepretazione legittima e giustificabile in vista del ritiro e della disciplina delle successive relazioni fra Stato recedente ed UE; L.BRIASCO (a cura di), La Brexit, l’art. 50 del Trattato di Lisbona e i negoziati

per il recesso dall’Unione, in Servizio Studi del Senato, XVII legislatura, n. 348 luglio 2016

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ruolo svolto dalla Corte di Giustizia dell’UE attraverso celebri e fondamentali sentenze come Van Gend en Loos (1963), Costa c. Enel (1964) e molte altre4.

Il giudice comunitario ha finito per configurare una figura ibrida, a metà strada fra un’organizzazione di Stati sovrani regolata dalle norme ordinarie del diritto pubblico internazionale e una federazione vera e propria, sancendo la nascita di un nuovo ordinamento giuridico di tipo assolutamente diverso da tutti quelli precedenti.

Questo trae la propria origine dal diritto internazionale, impiegando le cui forme e categorie un certo numero di Stati ha acconsentito volontariamente a limitare i propri poteri sovrani in alcuni ambiti materiali ben delimitati per perseguire scopi comuni, mediante la creazione di istituzioni indipendenti dagli Stati stessi e capaci di adottare, nei limiti delle proprie competenze, atti dotati di efficacia giuridca vincolante nei singoli ordinamenti anche senza bisogno di intermediazione statale.

La struttura di base così originata si è poi sviluppata nel tempo ed ogni trattato di revisione che si è succeduto ha provveduto a rafforzarla e ad ampliarne le attribuzioni anche oltre le originarie finalità economiche, perseguendo l’obiettivo di un’unione sempre più stretta e di carattere politico fra gli Stati membri, avvicinando progressivamente l’UE alle forme di uno Stato federale5

; nel contempo si cominciava a parlare anche di valori costituzionali propri del nuovo ordinamento sovranazionale europeo, cercando di individuare questi ultimi fra i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, assurti a patrimonio comune di tutti gli Stati6.

4 Esponenti di questa linea di pensiero sono ad esempio E. S

TEIN, Lawyers, Judges and the Making of a

Transnational Constitution, in “American Journal of Internation Law”, 1981, p. 2, e J. H. WEILER, La

Costituzione dell’Europa (1999), 2003, Bologna, p. 45, citati da R. SCARCIGLIA, La “Costituzione”

europea: dal patrimonio comune al quasi federalismo, in P. CARROZZA,A.DI GIOVINE,G.F.FERRARI,

Diritto costituzionale comparato, Tomo I, Bari, Laterza, 2014, p. 378, i quali notarono come, sentenza

dopo sentenza, la Corte di Giustizia “aveva elaborato alcuni principi giurisprudenziali, cui era stato improntato il rapporto fra il diritto comunitario e quello degli Stati membri, rendendolo molto simile a quello degli Stati federali”.

5 La storia del percorso dell’integrazione europea è abbastanza conosciuta per non doverne qui riassumere le tappe principali, e vi daremo qualche accenno nel paragrafo successivo. Per una panoramica manualistica del fenomeno si veda ad esempio A.M.CALAMIA, Diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffré, 2013, pp. 5 ss.

6 D’altro canto, come ricorda S

CARCIGLIA, op. cit., pp. 385 s., la stessa Corte di Giustizia, nella celebre sentenza Les Verts (1986), qualificò il Trattato istitutivo della Comunità Europea (“ma evidentemente tale giudizio può essere esteso anche ai successivi Trattati, come quelli di Maastricht, di Amsterdam, di Nizza e di Lisbona”, soggiunge l’autore) come “Carta costituzionale fondamentale”, cosa che permetterebbe di fondare su tale corpus la possibilità di una revisione giurisdizionale degli atti delle istituzioni UE. Ad ogni modo l’autore fa presente che “Il dibattito teorico sul Trattato costituzionale e il riconoscimento di un patrimonio comune ha avuto implicazioni sulle prospettive della forma di Stato dell’Unione e la sua riconducibilità alla teoria del federalismo”, elemento quest’ultimo da più parti contestato. La stessa nozione di costituzionalismo UE presenta rilevanti ambiguità, come riconosciuto ad esempio da JOSEPH WEILER, il quale, nel suo The Constitution of Europe, “Do the New Clothes have an

Emperor?”, Cambridge, Cambridge University Press, 1999 (ottimamente recensito da EDWARD A. MEARNS JR.,The Constitution of Europe, by Joseph H. H. Weiler, 32 Case W. Res. J. Int'l L.169 (2000) Available at: http://scholarlycommons.law.case.edu/jil/vol32/iss1/7, pp. 169 s.), “sees it [l’ordinamento

UE] as a constitutional legal order whose constitutional theories have not yet been worked out, whose basic values are not clear, and whose legitimacy is not solidly rooted”, pur ammettendo che il Trattato di Maastricht ha rappresentato, con l’aspro dibattito politico sul suo contenuto anche a livello di opinione pubblica, “the most significant constitutional moment in the process of Europe's integration, more significant than the Treaty of Rome, or the European Court of Justice's decision on supremacy”.

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Ovviamente, non è nostra intenzione ripercorrere nel dettaglio in questo spazio vicende così complesse e tentare di raggiungere conclusioni definitive circa una questione che vede dibattere da molti anni sia esperti di diritto costituzionale che del diritto dell’Unione Europea.

Ci basti solo accennare che è proprio nell’ambito della redazione di quello che avrebbe dovuto rappresentare l’apice del processo tendente alla costituzionalizzazione dell’Europa, il Trattato Costituzionale del 2004, che fu inserita per la prima volta una previsione mirante a regolare esplicitamente la possibilità per uno Stato di lasciare l’UE, diretta antesignana dell’odierno articolo 50, e, come avremo modo di spiegare con maggior precisione in seguito, tale mossa rappresentò con ogni probabilità una sorta di compromesso fra le diverse tendenze esistenti in seno agli Stati membri circa l’ulteriore prosieguo dell’integrazione comunitaria.

Prima di allora, il problema del recesso dalla CEE prima e dalla CE/UE poi si era ben di rado posto all’attenzione dei governi degli Stati membri e dei loro cittadini e non era mai stato oggetto di una riflessione seria ed approfondita da parte del mondo accademico, maggiormente intento ad osservare e tentare di descrivere i meccanismi di unione piuttosto che quelli di disgregazione e comunque in generale poco favorevole ad una simile prospettiva7.

In questo periodo, fra l’altro, si registrarono alcuni casi comunemente presentati come esempi di “ritiro” dalle Comunità (i più celebri dei quali furono quelli di Algeria e Groenlandia), che i fautori della facoltà di recesso unilaterale degli Stati membri hanno spesso invocato per sostenere le proprie posizioni, ma - come constateremo - il loro status di “precedenti” da questo punto di vista, una volta esaminato con sguardo maggiormente attento, risulta alquanto dubbio.

Gli Stati stessi, d’altra parte, non sembravano nutrire significativi dubbi circa l’esistenza, almeno in linea di principio (tutt’altra cosa era la volontà di esercitarlo effettivamente) di un simile diritto di recesso, facendo riferimento a questo proposito principalmente al diritto internazionale dei trattati, riferimento che in questa impostazione sarebbe stato giustificato dalla formale natura di trattati internazionali dei Trattati istitutivi, tale da far postulare un’applicazione diretta o analogica delle disposizioni generali dettate per questi strumenti.

Persino la Corte Costituzionale Federale tedesca, nella sua famosa sentenza sul Trattato di Maastricht del 1993, che aprì la via all’entrata in vigore dell’accordo che istituiva l’Unione Europea, e sulla quale torneremo, dava per scontata la praticabilità del recesso, giungendo a configurarla addirittura come clausola di salvaguardia contro eventuali sviluppi imprevisti e sgraditi dell’integrazione.

Dopo il fallimento del progetto costituzionale comunitario, il successivo tentativo di riforma e rilancio dell’Unione Europea a seguito di un periodo di stasi fu portato avanti

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T.PEI ROO, Article 50 TEU: Assessing the new right of unilateral withdrawal from the European Union, in https://www.peregrinelaw.com/wp.../Article_50_TEU_Assessing_the_new_right_o.pd..., p. 7 osserva

che “It is interesting to note that the vast majority of academic literature discussing Article 50 TEU have compared pre-Lisbon understandings of EU membership to a traditional ‘marriage for life’ with an option ‘for amicable divorce’ now introduced through the right of unilateral withdrawal”.

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con il Trattato di Lisbona, che conferì ai Trattati la fisionomia che ancora oggi presentano, con la summa divisio fra Trattato sull’Unione Europea (TUE) e Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

In quest’occasione, fra le molte previsioni del Trattato Costituzionale ad essere riproposte sotto un’altra veste, si decise di reiterare la disposizione sul recesso unilaterale dall’Unione: nasceva così l’articolo 50.

Questa disposizione era destinata sin da subito a suscitare perplessità, data quella che da più parti era percepita come la sua possibile incoerenza con gli obiettivi complessivi e più in generale con lo spirito dell’Unione, improntato alla costruzione di legami via via sempre più stretti fra gli Stati che avessero deciso di partecipare al progetto comune europeo e basato su un impegno di tutti gli Stati che appariva però potenzialmente messo a rischio dall’introduzione nero su bianco di una opportunità di ritiro, tanto che l’art. 50 era da alcuni considerato una previsione sostanzialmente simbolica, non destinata a ricevere un’applicazione concreta.

Com’è facile immaginare, con il rafforzarsi in anni recenti dei sentimenti euroscettici nel Regno Unito, ed ancor più con l’annuncio da parte del Governo di Londra dello svolgimento di una consultazione referendaria sul tema della permanenza nell’UE ed i risultati della medesima, l’argomento in discussione è tornato a suscitare l’interesse scientifico, per quanto, come si è già detto, i più recenti contributi tendano perlopiù a considerarne le specifiche implicazioni in relazione all’ordinamento britannico e alla vicenda della Brexit8.

In questa sede, piuttosto, ci si occuperà della questione da un’altra prospettiva.

L’obiettivo di ricerca sul quale intendiamo soffermarci è un chiarimento dei rapporti fra la previsione introdotta dapprima col Trattato Costituzionale e poi riprodotta in occasione del Trattato di Lisbona ed alcuni concetti del diritto internazionale e del diritto pubblico comparato.

In particolare, è nostro interesse cercare di capire a quali scopi risponda la previsione di un diritto unilaterale di recesso dall’Unione, quale sia la ratio di una norma simile, da dove derivino e quali fini perseguano le caratteristiche che essa attualmente presenta e quali possano essere i suoi immediati antecedenti e/o “parenti prossimi” nelle citate branche del diritto.

Esaminando accuratamente il testo dell’articolo, tenteremo di chiarire i suoi eventuali legami con istituti di diritto internazionale, spesso invocati nel lungo periodo in cui il recesso degli Stati membri è stato privo di una esplicita disciplina come base della potestà di questi ultimi di ritirarsi, con l’obiettivo di concludere se il procedimento ex art. 50 sia, in quanto norma speciale propria di un ordinamento distinto da quello internazionale, l’unica disciplina applicabile in materia, o se in aggiunta ci si possa

8 C. H

ILLION, This Way, Please! A Legal Appraisal of the EU Withdrawal Clause, in C. CLOSA (Edited by), Secession from a Member State and Withdrawal from the European Union, cit., pp. 215 s., non manca di osservare che “Article 50 TEU has generated considerable academic interest following its introduction in EU law, but predominantly since the UK voted in favour of leaving the Union, a vote that triggered its first ever activation”, oltre a riportare una nutrita lista di scritti dedicati alla sua analisi nel periodo pre-referendum.

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rifare anche a disposizioni generali dell’ordinamento internazionale per giustificare l’uscita attraverso percorsi diversi.

Inoltre, risulta interessante esplorare almeno in parte i legami concettuali fra il fenomeno del recesso dall’Unione e quello, altrettanto attuale e controverso, della secessione nell’ambito dell’Unione stessa.

Vale la pena di notare, infatti, che negli ultimi anni, segnati da un crescente malcontento e da sempre più vive contestazioni nei confronti di quelle che vengono percepite come strutturali imperfezioni e problematiche di funzionamento dell’UE, si devono registrare anche la nascita e/o il rafforzamento di sentimenti indipendentisti in alcuni territori appartenenti a vari Stati UE (es. Regno Unito, Spagna, Belgio, Italia).

Queste due tendenze, che spesso convivono all’interno del medesimo Paese (si pensi ancora al Regno Unito, nel quale a distanza di pochi anni si sono tenuti i referendum sull’indipendenza della Scozia e sulla permanenza nell’UE e nel quale il risultato della secondo consultazione ha riproposto l’eventualità di una secessione della Scozia)9, sembrerebbero indicare uno stato di crisi degli attuali paradigmi nazionali e sovranazionali, dove ha forte presa il richiamo ad argomenti identitari e democratici, sulla cui base si vorrebbero delimitare nuovi tipi di comunità, senza comunque contestare il modello di riferimento dello Stato nazione10.

Se analizzati sotto certi punti di vista, il recesso e la secessione possono così apparire due facce della stessa medaglia, diverse espressioni di uno stesso orientamento al rifiuto dello status quo politico e istituzionale per addentrarsi in territori che, per quanto sconosciuti, appaiono (non sempre sulla base di un calcolo utilitaristico e razionale) preferibili alla realtà esistente: non è quindi un caso che essi presentino sia somiglianze che differenze fra di loro.

Entrambe le esperienze si inseriscono in un nuovo sistema di governance multilivello inaugurato dall’UE, reagendo però in modo diverso alla presenza di quest’ultima (nel caso del recesso lo Stato membro si vuole liberare dall’appartenenza all’UE, in quello della secessione l’entità secessionista fa affidamento per il futuro sull’adesione alla

9 Peraltro, è giusto evidenziare (come fa J. H. H. W

EILER, Secessionism and its discontents, in C. CLOSA

(Edited by), Secession from a Member State and Withdrawal from the European Union, cit., p. 12) che non necessariamente un atteggiamento euroscettico e favorevole all’abbandono dell’UE implica anche la messa in discussione della struttura politico-territoriale dello Stato di appartenenza e viceversa. Anzi, i due citati trends possono interagire fra di loro in modi diversificati e a volte sorprendenti, tanto che “Interestingly, in the internal discourse of secessionism, European integration is considered favourably and the European Union is viewed as the safe haven within which the newly independent State would be firmly anchored”. Di ciò sono un esempio particolarmente lampante i movimenti secessionisti di Scozia e Catalogna, fortemente interessati all’ingresso delle rispettive nuove entità politiche nell’Unione Europea, possibilmente attraverso meccanismi semplificati e agevolati rispetto all’ordinaria procedura di adesione

ex novo di Stati terzi disciplinata dal Trattato UE.

10 Ibidem, pp. 12 s., conclude che, nonostante le apparenti divergenze fra “internal secessionism” (separazione dallo Stato di appartenenza, pur permanendo nell’ambito comunitario) ed “external secessionism” (ritiro dall’UE per ripristinare nella sua integrità la sovranità dello Stato nazionale), “the deep structure of both discourses draws from the same well: the turn, or return, to national identity as a potent mobilising and coalescing factor in social and political life”. Weiler nota come, in generale, la vocazione identitaria si accompagni alle critiche per il malfunzionamento della democrazia a livello statale o sovranazionale e alla proposta di sistemi alternativi e come in parecchi casi, per complicare ulteriormente il quadro, spesso a questi argomenti vengano strumentalmente accostate le problematiche dell’immigrazione e dei rifugiati.

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stessa) e vengono perseguiti quando, in base ad una valutazione dei costi e benefici, reali o presunti, della permanenza, gli attori politici ritengono prevalenti i primi11.

Tuttavia, non devono essere sottovalutate le differenze: la scelta dello Stato di ritirarsi dal’Unione è sostanzialmente unilaterale, mentre la secessione unilaterale è con ogni probabilità incompatibile sia con l’ordinamento nazionale che con quello europeo; in caso di secessione l’impatto pratico sull’organizzazione e sul funzionamento dell’UE, che pure si caratterizza ormai come comunità indipendente, è significativo ma meno profondo di quello del ritiro, il quale avrà effetti considerevoli “on power balances, policy priorities and institutional balances”, ma anche e soprattutto sui cittadini UE e sui loro diritti sia nell’Unione che nello Stato interessato12.

Stando così le cose, non risulta ozioso domandarsi se sia possibile configurare l’articolo 50 come una particolare versione di quelle clausole di secessione che si incontrano, esplicitamente formulate nei testi costituzionali oppure riconosciute per via giurisdizionale, negli ordinamenti di alcuni Stati, soprattutto quelli di natura federale, ovviamente nei limiti in cui recesso e secessione possono essere assimilati (ovvero, come si è appena detto, ad un livello non totale).

In questo modo, oltre a portare alla luce eventuali influenze implicite di argomenti di diritto costituzionale comparato sulla redazione ed applicazione della norma, si potrebbe ipotizzare di trasporre in ambito comunitario le riflessioni svolte dai teorici della secessione sull’effettiva utilità di simili clausole per combattere un fenomeno, come quello secessionista, ampiamente ritenuto come qualcosa da evitare per le sue ripercussioni potenzialmente negative sulla stabilità di un ordinamento, e sui caratteri che esse dovrebbero in concreto presentare per assolvere ai loro scopi.

Solo così potremo arrivare a comprendere se la previsione di una clausola espressa di recesso presenta una specifica funzione nel sistema che la comprende, oppure se si tratta semplicemente del frutto contingente di un compromesso fra diverse linee politiche, una norma di difficile applicazione pratica e forse persino in grado di stimolare atteggiamenti deplorevoli e contrastanti con i principi fondanti dell’UE.

Nel resto del lavoro procederemo per prima cosa a riepilogare la prima fase di esistenza dell’ordinamento comunitario, caratterizzata dalla totale assenza di una chiara disciplina del recesso dalle Comunità Europee, ed esporremo le diverse opinioni intrattenute in materia da attori istituzionali e mondo accademico, con un esame delle teorie avanzate per giustificare l’esistenza o meno di una facoltà di ritiro unilaterale degli Stati, nonché dei pochi (presunti) casi o tentativi di secessione avvenuti in questo periodo.

Subito dopo ci dedicheremo a ricostruire il processo di genesi dell’articolo 50 TUE, analizzando i dibattiti e le idee prevalenti in seno alla Convenzione incaricata di redigere il Trattato Costituzionale e responsabile dell’introduzione della disposizione poi ripresa a Lisbona.

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CLOSA, Troubled Membership: Secession and Withdrawal, cit., p. 2, conia, per indicare entrambi i fenomeni ivi considerati, la nozione di “troubled membership”, definendola come una “traumatic belonging” ad una qualche entità maggiore, sia essa un’organizzazione sovranazionale come l’UE od un comune Stato nazionale, la quale può far sì che la cessazione di tale status di appartenenza venga ad un certo punto ad essere percepita come “the only way forward”.

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Avremo modo di confrontare fra di loro le due versioni della previsione e di svolgerne un esame approfondito, per mettere in luce i caratteri e le principali innovazioni della procedura così delineata, oltre a rilevarne gli aspetti problematici e le possibili ripercussioni per l’ordinamento sovranazionale europeo.

In seguito verremo a sviluppare la domanda cruciale del lavoro, ovvero la ricerca di punti in comune con la disciplina riservata alla secessione in altri ordinamenti secondo una prospettiva comparatistica; confronteremo le caratteristiche dell’art. 50 con quelli che dovrebbero essere i lineamenti di una clausola di costituzionalizzazione della secessione e verificheremo fino a che punto possa essere portato il confronto e con quali conseguenze per il diritto UE, prima di trarre le nostre conclusioni.

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2. LA SITUAZIONE PRECEDENTE ALL’ART. 50

2.1. IL TESTO ORIGINARIO DEI TRATTATI E LA MANCANZA DI RIFERIMENTI AL RITIRO DALLE COMUNITÀ EUROPEE. POSSIBILI INDIZI CONTRARI ALLA FACOLTÀ DI RECESSO NEI PREAMBOLI E NEGLI ARTICOLI

Per rispondere alle questioni che ci siamo fin qui posti, è necessario per prima cosa fare un passo indietro, tornando indietro alla nascita stessa del progetto di integrazione europeo ed alle sue prime concretizzazioni.

Non sarà infatti inutile spendere qualche parola sul contesto in cui videro la luce i Trattati e sui valori ed obiettivi politici che ne informarono la redazione, dato che, riflettendosi su alcune previsioni particolarmente importanti degli stessi, ci consentono di tentare di formarci opinioni su quali potessero essere le intenzioni in materia di recesso dei fondatori delle Comunità Europee.

Anzitutto, occorre ricordare, per quanto già ben note, le ragioni della scelta di procedere alla realizzazione di un piano così ambizioso13.

L’Europa era appena uscita dal secondo conflitto mondiale, col suo carico di lutti e devastazioni, ed ai governanti di alcuni dei principali Paesi dell’Europa Occidentale sembrò auspiacabile reagire a questa difficile congiuntura storica spingendo verso l’unità, un nuovo ordine fondato su relazioni internazionali di tipo completamente diverso rispetto al recente passato, nel tentativo di evitare il ripetersi della tragedia. Quello di cui c’era bisogno, secondo gli uomini politici e pensatori poi divenuti noti come Padri Fondatori dell’Europa unita (personaggi del calibro di De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman e altri ancora), era un taglio netto con le passate rivalità fra Stati, attraverso una stretta collaborazione in settori economici cruciali che avrebbe posto le premesse per il conseguimento della pace e prosperità comune, sulla spinta anche di un’ondata di sentimenti idealistici e di speranza verso il futuro14

.

13 Informazioni precise e puntuali su questo periodo iniziale, nonché sui primi progetti di unione fra gli Stati europei (già vagheggiati da numerosi filosofi e politici di varie nazionalità nel corso dei secoli, ma giunti ad approdi concreti sono nel ‘900 ed in particolare nel secondo dopoguerra), si rinvengono in N. BERGER, Les origines du processus constitutionnel, in G.AMATO,H.BRIBOSIA,B.DE WITTE (editori),

Genèse et destinée de la Constitution européenne/Genesis and destiny of the European Constitution,

Bruxelles, Bruylant, 2007, pp. 3 ss. Fra le iniziative più celebri ed importanti di quegli anni, si ricordano il c.d. Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi del 1941, che mirava ad un’Europa di stampo federale, ed il discorso di Winston Churchill all’Università di Zurigo del 19 settembre 1946. Nel medesimo arco di tempo le diffuse aspirazioni alla realizzazione di un’impalcatura sovranazionale per la collaborazione fra Stati portarono alla nascita dell’Unione dell’Europa Occidentale e del Consiglio d’Europa (sebbene quest’ultimo rientrasse pienamente nel classico paradigma dell’organismo di cooperazione diplomatica).

14 In questo senso si esprime W

EILER, Secessionism and its discontents, cit., pp. 26 ss., spiegando come l’Unione, oltre a perseguire l’assai pragmatico obiettivo di “consolidating peace and reconstructing European prosperity”, nutrisse anche l’aspirazione “to an ever-closer union among the distinct peoples of Europe, to be such a community of fate”, secondo una retorica di appartenenza ed identità comune a sua volta spesso invocata (ed abusata) dai nazionalisti, ispirandosi a “the two civilisational pillars of Europe: The Enlightenment and the heritage of the French Revolution and the European Christian tradition”. Questa particolare temperie storica, politica, ed ideologica spiega come mai, in seguito, l’Unione abbia

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Nacque così dapprima (1952) la CECA, poi nel 1957 si giunse alla firma del Trattato di Roma, che dava vita alla Comunità Economica Europea, una nuova entità sovranazionale dagli obiettivi ancor più grandiosi, quali la costruzione di un mercato unico europeo, primo passo verso forme ancora più complete di integrazione politica. Delineato il contesto storico-giuridico di riferimento, possiamo procedere all’esame delle disposizioni del Trattato che risultano di qualche interesse per la nostra ricerca. Ebbene, innanzitutto, se si prende in considerazione il testo del 1957 (ed in verità, se si guarda a qualsiasi fonte di rango primario del diritto comunitario fino al Trattato Costituzionale e a quello di Lisbona), spicca l’assenza di ogni riferimento al tema del ritiro.

In nessuna previsione si menziona espressamente e specificamente un diritto degli Stati, che abbiano aderito alla Comunità ed accettato quindi limitazioni di sovranità in alcune materie, secondo quanto consentito dal Trattato per il conseguimento degli scopi comunitari, di liberarsi da questi vincoli autoimposti e recidere i legami con l’entità sovranazionale, riappropriandosi della pienezza dei propri poteri.

Le norme non parlano né di un ritiro consensuale, con l’accordo della Comunità e/o degli altri Stati membri, né unilaterale, per esclusiva ed insindacabile iniziativa dello Stato che vuole lasciare la Comunità.

Dato che non si riscontra né un chiaro permesso in tal senso né un esplicito divieto, ma solo silenzio, risulta difficile raggiungere conclusioni certe su quali fossero le intenzioni degli autori del Trattato.

Il problema in questione è ulteriormente aggravato dal fatto chei lavori preparatori del Trattato CEE, che avrebbero potuto fare chiarezza sul punto, non sono mai stati pubblicati, e la dottrina, posta di fronte all’interrogativo, ha di volta in volta ipotizzato che i redattori avessero semplicemente trascurato questo particolare, oppure tendessero implicitamente ad affermare un divieto di recesso, o infine che intendessero consentire tale possibilità ma al contempo scoraggiare gli Stati dall’avvalersene predisponendo volutamente una disciplina scarna se non inesistente15.

Tuttavia, anche per l’ovvio interesse che suscita un tema così controverso e dalle significative conseguenze per l’esito del progetto di integrazione, questo non ha

potuto godere di una forte legittimazione a livello politico e statale nonostante alcune incoerenze potenzialmente assai vistose, come la sua mancata adesione agli strumenti europei per la protezione dei diritti umani e certi suoi caratteri non pienamente democratici.

15 Lo ricorda A. W

YROZUMSKA, Article 50 [Voluntary withdrawal from the Union], in H.-J.BLANKE,S. MANGIAMELI (editori) The Treaty of European Union (TEU): A Commentary, Springer-Verlag Berlin Heidelberg 2013, p. 1386, citando l’opinione riguardo a queste ipotesi di J. HILL, The European

Economic Community: The Right of Member State Withdrawal, 1982, 12 Georgia Journal of International

and Comparative Law, p. 338, il quale tuttavia osserva come la proposta di inserire una clausola di recesso, avanzata dai rappresentanti francesi, fosse stata bocciata, dimostrando che l’argomento non era passato inosservato in sede di lavori preparatori, e come la Germania Ovest avesse apposto una riserva ai Trattati che le consentiva specificamente di riconsiderare la propria partecipazione alle Comunità in caso di riunificazione con l’Est comunista, a riprova che la possibilità di un recesso dalle Comunità non era stata completamente esclusiva. La terza opzione, a giudizio di Hill, risultava la più verosimile. I redattori del Trattato, insomma, non avrebbero voluto chiudere del tutto la porta al recesso, quanto cercare, non menzionando il problema e quindi mantenendo avvolti nell’incertezza i mezzi per effettuare il ritiro ed i suoi effetti, di evitare tentativi in tal senso, presumendo che gli Stati membri sarebbe stati dissuasi dalla prospettiva del “salto nel buio” verso una destinazione ignota.

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13

impedito alla dottrina di riflettere approfonditamente sull’argomento del recesso degli Stati membri, elaborando teorie che, partendo da basi differenti, pervengono ad ammettere o a vietare il diritto in discussione; né ha impedito, in certi Paesi, un dibattito politico in materia di recesso, in molti casi limitatosi appunto a proposte e suggerimenti, ma in almeno un’occasione sfociato in un referendum sulla permanenza (probabilmente non a caso) del Regno Unito nella CEE16.

Il risultato è stato che, già prima del Trattato di Lisbona e dell’art. 50 TUE, diversi interpreti erano già convinti della (almeno teorica) liceità del recesso di uno Stato membro dalle Comunità, basandosi sul dettato della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (ritenuta applicabile alla fattispecie, in mancanza di una disciplina più specifica) e sull’assenza di opposione degli Stati membri allo svolgimento del citato referendum britannico del 1975.

Peraltro, e non c’è quasi bisogno di ricordarlo, fino ad un momento assai recente tutte queste discussioni hanno avuto una consistenza sostanzialmente teorica, priva di esempi concreti tramite i quali verificare la sostenibilità dell’una o dell’altra ipotesi: anche perché, trattandosi comunque di questioni dai massimi risvolti politici, nell’improbabile caso che si fosse giunti a tanto, c’era da aspettarsi che considerazioni di carattere politico avrebbero avuto un peso assai rilevante nel decidere de facto sulla legittimità del ritiro, quanto e forse anche più del pressoché inesistente background normativo17. Fautori ed oppositori del diritto di recesso hanno fondato le loro argomentazioni principalmente su considerazioni di diritto comunitario e su principi di diritto internazionale.

In questo paragrafo ci occuperemo delle prime, dando uno sguardo a quelle disposizioni dei Trattati e a quei principi dell’ordinamento europeo pre-Lisbona che avrebbero potuto contribuire a colmare la lacuna del testo.

In primo luogo, potremmo cominciare proprio dai fondamenti della costruzione comunitaria, in modo da chiarire se l’abbandono di uno Stato membro risulti coerente con i principi stessi di quell’ordinamento.

Da questo punto di vista, rivestono particolare interesse i Preamboli dei Trattati, che tramite i loro contenuti, di natura politico-programmatica ma nondimeno parte integrante del testo e dotati di un proprio valore interpretativo, hanno la funzione di esporre in forma solenne gli obiettivi di fondo ed i valori ispiratori di un ordinamento, ai quali deve conformarsi ogni azione politica e atto giuridico.

Una previsione ricorrente è quella che allude ad una delle finalità principali dell’ integrazione europea, ovvero la realizzazione di una qualche forma di unità fra i popoli del continente.

16 Alcuni di questi tentativi di recesso, non approdati a nulla di concreto, sono menzionati da WYROZUMSKA, Article 50, cit., p. 1386, nota 6, che rinvia ad una bibliografia più specifica.

17

Di ciò appare ben consapevole P. VAN NUFFEL, “Appartenance” a l’Union, in AMATO,BRIBOSIA,DE

WITTE, op. cit., p. 280, quando scrive “En effet, jusqu’ici, il n’y a jamais eu de réponse juridique claire à la question de savoir si un État membre a le droit ou non de quitter l’Union; en même temps, il est clair pour tout le monde que si un État membre avait la ferme intention de quitter l’Union, il n’y aurait pas de moyens de l’en empêcher”.

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14

Nei testi dei Trattati attualmente vigenti incontriamo ancora espressioni ereditate dal Trattato istitutivo della CEE e sopravvissute più o meno intatte a tutti gli interventi di modifica e manutenzione successivi18.

Già nel Trattato del 1957, che pure aveva una finalità di natura strettamente economica, mirando alla realizzazione del mercato unico europeo, non si trascurava la dimensione politica19 e tali ambizioni erano ben espresse dal richiamo, fra i numerosi scopi della Comunità, alla fondazione di “un'unione sempre più stretta fra i popoli europei”20

, promuovendo migliori condizioni di vita per tutti e la fine di divisioni e barriere.

Né è da meno il Trattato istitutivo dell’Unione Europea, adottato a Maastricht e poi modificato più volte fino a Lisbona, che fa riferimento alla prosecuzione del processo di integrazione già avviato con la costituzione delle Comunità Europee negli anni ’50, a “l'importanza storica della fine della divisione del continente europeo e la necessità di creare solide basi per l'edificazione dell'Europa futura”, a “il processo di creazione di un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà”, e più in generale all’obiettivo di accrescere la solidarietà, la vicinanza, il senso di comunità ed il coordinamento delle politiche in numerosi settori21.

Si tratta di un processo che viene concepito come tuttora in corso, aperto ad ulteriori possibili sviluppi futuri, i cui esiti finali esulano però dal nostro campo d’interesse. A noi basta osservare che, stando così le cose, appare chiaro come alla base delle Comunità prima e dell’Unione poi ci sia una forte spinta verso l’integrazione progressiva, in modo lento ma inesorabile, tale da rendere piuttosto difficile immaginare un cambio di marcia nel senso di una riconquista di ambiti di competenza da parte degli Stati membri o, tanto meno, la cessazione dell’appartenenza all’organismo sovraordinato.

Ulteriori indicazioni in questo senso potrebbero rintracciarsi in un altro articolo, spesso poco considerato, dedicato alla prevista durata del Trattato, corrispondente all’odierno articolo 53 TUE e nel quale si afferma che “Il presente trattato è concluso per una durata illimitata”22

.

18

S. MANGIAMELI, Preamble, in BLANKE,MANGIAMELI,op. cit., pp. 3 ss., parla per il Preambolo del

TUE di una stratificazione dei contenuti, iniziata col Trattato di Maastricht e terminata per ora con quello di Lisbona, ma rileva come anche l’odierno Preambolo del TFUE riprenda totalmente, salvo qualche cambiamento marginale come l’abolizione del riferimento alla Comunità Europea, quello dei Trattati CEE e CE. Secondo l’autore “Ultimately therefore, we might say that the axiological and political aspects of Europeam primary law were written in three different historic moments: in 1957, in 1993 e in 2004” e soltanto una loro interpretazione sincronica “reveals the comprehensiveness of the constitutional principles of the European edifice”.

19 Ibidem, p. 8, sottolinea una “well known” asimmetria fra il Preambolo e le disposizioni del Trattato CEE, nel senso che mentre queste ultime si limitavano a disciplinare la materia economica, il primo “coped with the more complex issue of European history, imposing respect for supreme values and aims that were partially related to the economy”, ponendo le premesse per un’integrazione di tipo politico, sociale etc., delineando un programma dal forte spirito idealistico ed aperto all’adesione di altri Paesi. 20 Preambolo del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (versione consolidata), riportato in

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12016ME/TXT&from=IT. 21 Preambolo del Trattato sull’Unione Europea (versione consolidata), riportato ibidem.

22

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15

Mentre il Trattato CECA era stato concluso per un periodo di cinquant’anni (poi scaduti nel 2002), il Trattato CEE fu invece stipulato prevedendo espressamente la clausola di durata illimitata, previsioni poi ripetute nei Trattati successivi ed oggi alla base del citato articolo 53 TUE e dell’analogo 356 TFUE23

.

Secondo alcuni autori, dando il debito peso ad entrambi questi fattori (finalità dell’“unione sempre più stretta” e durata illimitata del Trattato) nell’interpretazione, si sarebbe dovuti giungere alla conclusione per la quale, in mancanza di una clausola dei Trattati che consentisse espressamente il recesso dalla Comunità, questo doveva intendersi proibito, perché contrario ai suoi principi fondamentali, e non sarebbe stato possibile invocare come scappatoia quelle previsioni dell’ordinamento internazionale che a giudizio di altri erano invece sufficienti ed applicabili allo scopo24.

Ovviamente, a porre termine a queste speculazioni è arrivato infine l’art. 50 TUE, che ha sancito in modo chiaro e indubitabile la sussistenza di un diritto al ritiro, da conciliare in qualche modo con la previsione della durata illimitata, che comunque non poteva essere interpretata in maniera tale da impedire l’operatività del primo articolo25

. Non manca (e ne daremo conto a suo tempo) chi in dottrina26 ha espresso l’opinione che l’art. 50, oltre a non avere un’utilità pratica (limitandosi a ratificare una possibilità che già in precedenza veniva perlopiù ammessa dagli studiosi), rappresenterebbe una sorta di “tradimento” rispetto allo spirito ed agli intenti originari dell’UE, addirittura suscettibile di causare problemi alle dinamiche di funzionamento politico comunitarie, ma ad ogni modo resta il fatto che oggi, a differenza del passato, esiste una espressa disposizione sul recesso degli Stati membri che si esprime in senso positivo al riguardo. Prima di passare ad esplorare l’altro campo, ovvero le argomentazioni portate avanti nel periodo pre-Lisbona per sostenere la liceità del recesso nel diritto comunitario, diamo

23

Come riporta A. WYROZUMSKA, Article 53 [Duration of the Treaty], in BLANKE,MANGIAMELI, op. cit.,

pp. 1449 s., la bozza di Art. 1 del Trattato istitutivo della Comunità Politica Europea menzionava espressamente “a union of peoples and States”, dotata di carattere sovranazionale ed indissolubile, ma i Trattati successivi optarono per la più prudente formula della durata illimitata. Peraltro, l’autrice osserva che, per via della stretta interdipendenza esistente fra i due, non era rigidamente necessario ripetere la previsione sia nel TUE che nel TFUE.

24 Una panoramica riassuntiva di queste opinioni si riscontra in H

ILLION, op. cit., pp. 228 s, che ricorda fra gli elementi citati da questi autori (ad es. K.LENAERTS E P. VAN NUFFEL, Constitutional Law of the

European Union, Londra, Sweet and Maxwell, 2005, p. 363) a sostegno della tesi secondo la quale gli

Stati membri non avrebbero diritto di recedere dall’Unione, o quantomeno non in maniera ingiustificata, “The supremacy of Union law, the enforceable rights it confers directly on Member States and individuals, its institutions endowed with sovereign rights and entitled to deal with economic, social and political issues, and its compulsory system for the judicial resolutions of disputes”.

25 Secondo W

YROZUMSKA, Article 53, cit., p. 1452 la chiave sta nell’interpretare i due articoli ricordando che “The objective of such treaties is sustainable, long-term integration. Voluntary participation in every phase of the integration process is thus an indispensable prerequisite if that goal has to be reached”. In altre parole, si riconosce al carattere volontario della partecipazione all’organizzazione sovranazionale un ruolo fondamentale ai fini della realizzazione e del mantenimento della costruzione comunitaria ed i singoli Stati non possono essere obbligati a perseguire un obiettivo di integrazione sempre maggiore che non condividono, senza che la loro partenza possa in alcun modo ripercuotersi sull’intenzione degli Stati rimanenti di procedere verso l’unione. La possibilità per uno stato di abbandonare il progetto comune non implica perciò la sua fine, cosicché il Trattato e l’Unione che ne scaturisce mantengono la loro durata illimitata (ma sempre terminabile per ogni singolo partecipante) e “Viewed in this way, Art. 50 and art. 53 TEU do not contradict each other”.

26

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16

cenno anche di altre posizioni scientifiche tendenti a negare una simile facoltà degli Stati membri, fondate su basi diverse da un’interpretazione sistematica del testo dei Trattati, ma che ne condividono alcuni presupposti e gli approdi finali.

In particolare, alludiamo alla tesi che può essere definita del “federal argument”27, basata sulla constatazione che, per alcuni versi, l’Unione Europea sarebbe venuta progressivamente acquisendo caratteri paragonabili a quelli di un ordinamento federale, ben distinto sia da quelli degli Stati membri che dall’ordinamento internazionale28, le cui caratteristiche determinanti (oltre a quanto già affermato riguardo agli obiettivi e alla durata dei Trattati, si pensi al principio di primazia del diritto comunitario sulle norme nazionali incompatibili e a quello di compartecipazione della sovranità fra Stati membri ed istituzioni europee) renderebbe inconcepibile il recesso, perlomeno se unilaterale29.

Torneremo ancora su queste considerazioni quando procederemo ad istituire un confronto fra l’art. 50 e le norme sulla secessione presenti in alcuni ordinamenti federali.

Adesso, invece, occorre prendere in considerazione le tesi di coloro che, già prima del Trattato di Lisbona, ammettevano la libera recedibilità degli Stati membri dall’Unione.

27 In questo senso W

YROZUMSKA, Article 50, cit., pp. 1393 s.

28 Si tratta peraltro di una constatazione assai comune in dottrina, man mano che il sistema multilevel costituito dalla sovrapposizione di questi (ed eventualmente altri) ordini territoriali si ramifica e si sviluppa: si veda ad esempio P. CARROZZA, I rapporti centro-periferia: federalismi, regionalismi e

autonomie, in P. CARROZZA,A.DI GIOVINE,G.F.FERRARI, Diritto costituzionale comparato, Tomo II, Bari, Laterza, 2014, p. 896, per l’osservazione che l’UE “è infatti nata come organizzazione internazionale di tipo pattizio, ma ha gradualmente e col tempo espresso una forte dinamica centripeta, di progressiva crescita del peso e dei compiti delle istituzioni comuni” (pur non mancando incertezze e momentanee battute d’arresto, come la mancata ratifica del Trattato Costituzionale). A giudizio dell’autore per descrivere efficacemente questo tipo di fenomeni più che alle categorie tradizionali del diritto internazionale occorrerebbe fare riferimento alla nozione di federalizing process delineata da Friedrich per spiegare le dinamiche centripete o centrifughe che muovono lo sviluppo di confederazioni e federazioni.

29 W

YROZUMSKA, Article 50, cit., pp. 1393 s., che aggiunge come “Those concepts were grounded in the well-known case law of the ECJ on the autonomous, definite and constitutional character of the EC/EU law”, citando fra di esse alcune delle più famosi ed importanti sentenze della Corte di Lussemburgo (da

Van Gend en Loos a Internationale Handelsgesellschaft), che mediante le loro interpretazioni dei Trattati

e dei principi generali hanno contribuito a fissare alcuni pilastri del diritto comunitario. Poco dopo l’autrice parla dei rapporti fra la giurisprudenza UE ed il diritto di recesso, osservando come da essa sembrerebbe di poter desumere che la Corte, insistendo sull’irrevocabilità del consenso degli Stati alla ratifica dei Trattati, sia contraria ad un ritiro unilaterale ma non al recesso di per sé, almeno se effettuato col consenso degli altri Stati membri e mediante la procedura di modifica dei Trattati ex art. 48 TUE. Bisogna comunque ricordare che, sinora, la Corte non ha mai avuto modo di pronunciarsi espressamente e direttamente su un caso di recesso.

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2.2. TESI FAVOREVOLI ALLA LIBERTÀ DI RECESSO DALLE COMUNITÀ EUROPEE. IL RICHIAMO AL DIRITTO INTERNAZIONALE DEI TRATTATI E ALLA QUALITÀ SOVRANA DEGLI STATI. LE POSIZIONI DI ALCUNE CORTI COSTITUZIONALI NAZIONALI

Come si è visto nel capitolo precedente, negli anni compresi fra la nascita delle Comunità Europee e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, una certa parte della dottrina sosteneva l’idea dell’incompatibilità del recesso degli Stati membri con i caratteri essenziali delle Comunità stesse.

Tuttavia, dato il carattere fortemente controverso della questione, una parte ancora più rilevante, e probabilmente maggioritaria, degli studiosi e degli esponenti politici nazionali erano al contrario convinti della legittimità di tale obiettivo, pur divergendo sull’individuazione dei mezzi per raggiungerlo.

In questo paragrafo, ci occuperemo di riassumere alcune di queste tesi passate, senza mancare di menzionare le sentenze di alcune Corti costituzionali che hanno avuto occasione di esprimersi sul tema.

Una delle tesi più frequentemente invocate a questo proposito chiamava in causa l’applicabilità del diritto internazionale30

.

Il ragionamento alla base di questa sosteneva che, dato che il Trattato istitutivo della CEE prima (e della CE/UE in seguito) era in definitiva un trattato internazionale, non diverso in linea di principio da quelli alla base di una qualsiasi organizzazione internazionale, ci si poteva a buon diritto appellare agli strumenti previsti dal diritto internazionale per liberarsi dai vincoli pattizi per fare lo stesso con quelli comunitari. Nello specifico, fra le discipline più spesso menzionate dai fautori di questa scuola di pensiero c’era la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, conclusa nel 1969 ed entrata in vigore nel 1980, che detta norme volte in parte a riordinare ed in parte a sviluppare ed integrare il complesso del diritto internazionale consuetudinario vigente in materia di trattati31.

Tenendo conto che ritorneremo ancora sull’argomento, per esplorare il tema della possibile alternatività fra la procedura di recesso disciplinata dal TUE ed altre eventualmente ricavabili dal diritto internazionale, è utile intanto procedere ad un

30 Come ricorda E-M.P

OPTCHEVA, Article 50 TEU: Withdrawal of a Member State from the EU (briefing del Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo del febbraio 2016), in

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2016/577971/EPRS_BRI(2016)577971_EN.pdf, pp. 2 s., la stessa introduzione di una facoltà di recesso ad opera del Trattato di Lisbona “was based on the premise that such a withdrawal would have been permissibile anyway through application of the general principles of international law”.

31 Per le caratteristiche generali della Convenzione e la definizione di “trattato” ivi contenuta si consulti N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2013, pp. 168 s. Va ricordato che ai sensi dell’art. 2 di tale Convenzione costituisce “trattato” “un accordo internazionale concluso per iscritto fra due Stati e disciplinato dal diritto internazionale, contenuto sia in un unico strumento sia in due o più strumenti connessi, e quale che sia la sua particolare denominazione”. Questa previsione sembrerebbe a prima vista poter includere agevolmente anche i Trattati (in quanto da un punto di vista formale essi sono stipulati da e fra gli Stati membri, la cui ratifica è tuttora necessaria per l’approvazione di modifiche al loro testo), per quanto si ponga il problema (come si illustrerà, tutt’altro che semplice da risolvere) dell’applicabilità o meno del diritto internazionale alle norme di diritto primario dell’UE.

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raffronto fra le previsioni della convenzione e l’ordinamento comunitario quale era nell’epoca in cui mancava ancora una disciplina espressa del recesso.

Anzitutto, i sostenitori di questo orientamento partivano dal presupposto che il silenzio dei Trattati riguardo alla facoltà di ritiro degli Stati non ammontasse ad un implicito divieto di recesso32, come da altri sostenuto, ma che piuttosto evidenziasse l’esistenza di una lacuna, di “a certain interpretative vacuum on the exit option”, che avrebbe potuto essere colmata dal richiamo al diritto internazionale, ed alla Convenzione di Vienna in particolare33.

Ma è possibile una simile integrazione in via interpretativa del dettato dei Trattati? La loro formale natura di accordi internazionali è sufficiente a giustificare l’applicazione del diritto consuetudinario oppure occorre riconoscere il giusto peso alla circostanza della creazione di un nuovo ordinamento di tipo sovranazionale?

Questo risulta tutt’altro che sicuro, per una serie di motivi.

Per prima cosa, è stato fatto presente che la Convenzione di Vienna è applicabile soltanto ai trattati stipulati successivamente alla sua entrata in vigore, cosa che escluderebbe da tale ambito tutti gli atti di diritto primario europeo precedenti al 1980, ed in primis gli stessi Trattati istitutivi originari34.

Per gli atti precedenti, invece, tali norme varrebbero soltanto nei limiti in cui esse rispecchiano il diritto consuetudinario vigente.

C’è poi chi osserva che, in definitiva, il tutto si ridurrebbe al fornire una risposta alla seguente domanda: il diritto internazionale si applica alle previsioni dei Trattati europei ed in particolare in caso di lacune lasciate aperte dalla mancanza di un’espressa disciplina? E se sì, in quale veste? Può valere in questo contesto la massima giuridica lex specialis derogat legi generali, e se sì come individuare le norme destinate a prevalere in base al criterio di specialità?

Ovviamente, come per molte altre, si tratta di una questione controversa.

Si ricordi, ad esempio, che la stessa Corte di Giustizia CEE, in Costa c. Enel (1964) ed altre decisioni fondamentali, aveva insistito sul carattere internazionale dei Trattati istitutivi, pur precisando che non si trattava di accordi internazionali ordinari, poiché avevano dato vita a “un proprio ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento

32 Opinione questa che potrebbe anche essere confortata dal riferimento a quanto affermato per alcuni casi di secessione; come nota HILLION, op. cit., p. 227, “After all, the absence in the Canadian constitution of the right of provincial secessions did not prevent the Canadian Supreme Court from considering such secession conceivable, albeit under certain conditions and provided that it was negotiated with the rest of Canada”. Allo stesso modo, non bisogna attribuire un’importanza dirimente all’eventuale qualificazione di un’unione (e quindi di un trattato) come “indissolubile” o perpetua, dato che ad esempio essa non è stata ritenuta sufficiente ad impedire un referendum volto ad abrogare il Trattato di Unione fra Inghilterra e Scozia. Si potrebbe quindi sostenere che, se è consentito abbandonare un’unione “indissolubile”, a maggior ragione è ammissibile recedere da un trattato, sia pure di durata illimitata.

33 C

LOSA, Interpreting Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, cit., p. 2.

34 Così l’art. 4 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, menzionato ibidem. In questo modo le disposizioni della Convenzione sarebbero invocabili solo a partire dal primo atto di riforma dei Trattati successivo alla data menzionata (che risulterebbe, a seconda delle diverse opinioni, o l’Atto Unico europeo del 1987 o il Trattato di adesione alla CEE della Grecia del 1981). Inoltre, come sottolinea WYROZUMSKA, Article 50, cit., p. 1396, un’altra difficoltà applicativa scaturisce dal fatto che alcuni Stati membri (es. la Francia) non aderiscono alla Convenzione.

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giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare”, istituendo “una Comunità senza limiti di durata35”,

dotata di propri organi, personalità e poteri derivanti da limitazioni di sovranità accettate a condizioni di reciprocità da tutti gli Stati membri36.

Una simile ricostruzione dei rapporti fra ordinamenti, effettuata per di più dall’organo giurisdizionale posto al vertice della piramide dei soggetti legittimati ad interpretare il diritto comunitario, le cui decisioni in materia non sono appellabili e vincolano Stati membri, istituzioni e soggetti privati, sembrerebbe porre particolarmente l’accento sulla distinzione dell’ordinamento comunitario da quello internazionale e quindi sulla “specialità” del corpus del relativo diritto, chiamato a regolare quello che appare come un ambito totalmente nuovo rispetto ad ogni altra organizzazione internazionale del passato, meritevole quindi di essere sottoposto a principi e norme propri.

En passant, si può anche notare come l’insistenza della Corte sulla durata illimitata e sui poteri specifici e (nei limiti delle loro competenze) sovrani della Comunità non deponga particolarmente a favore di una sua apertura verso proposte di ritiro, specie se unilaterali.

Tuttavia, come abbiamo già ribadito supra, si tratta di semplici speculazioni, basate sull’applicazione congetturale di principi tratti dalla giurisprudenza UE a evenienze che non si sono concretamente verificate nel periodo in questione, cosicché nulla ha impedito ad altri autori di sostenere che il recesso era non solo lecito, ma governato dalle norme della Convenzione di Vienna e/o del diritto internazionale consuetudinario. Costoro affermano che il silenzio dei Trattati in materia equivalga ad una mancata disciplina della stessa, di modo che esisterebbe quindi un settore privo di regolamentazione da parte di quella branca speciale del diritto internazionale che sarebbe il diritto comunitario, rendendo così applicabile la lex generalis, che, come implica il concetto stesso di specialità, vede riespandere il proprio campo d’applicazione tutte le volte che non subisce deroghe da parte di disposizioni più specifiche e di ambito più preciso37.

Queste sarebbero rappresentate dalle previsioni della Convenzione di Vienna dedicate alle varie cause di estinzione dei trattati (artt. 54-64)38, la cui compatibilità con l’ordinamento comunitario deve essere verificata caso per caso e facendo attenzione a distinguere fra il recesso di tipo unilaterale (cioè lasciato alla discrezione dello Stato membro) e quello consensuale (che richiede un accordo con gli altri Stati e/o istituzioni per essere messo in pratica e produrre effetti)39.

35 Corsivo nostro. 36

Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza Costa c. Enel, 15 luglio 1964, causa 6-64, riportata in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:61964CJ0006#MO.

37 In questo senso H

ILLION, op. cit., pp. 226 s, oppure WYROZUMSKA, Article 50, cit., pp. 1395 s., che sottolinea come “There are no doubts that International law is applicable to EC/EU secondary law in certain cases”, come dimostra una nutrita giurisprudenza della Corte di Giustizia, mentre per quanto guarda il diritto primario esso sarebbe soggetto al diritto internazionale “generale” per tutti quegli aspetti riguardo ai quali non disponga espressamente altrimenti.

38 Per maggiori informazioni sulle singole cause si rimanda a R

ONZITTI, op. cit., pp. 214 ss. 39 Come scrive P. A

THANASSIOU, Withdrawal and expulsion from the EU and EMU. Some reflections, in Legal Workin Paper Series, n. 10 dicembre 2009, European Central Bank, Eurosystem, disponibile in

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L’art. 54 prevede che l’estinzione del trattato o il recesso di una delle parti siano possibili: “a) in conformità alle disposizioni del trattato, oppure b) in ogni momento, per consenso di tutte le parti, previa consultazione degli altri Stati contraenti”40

.

Per quanto riguarda la prima alternativa, è semplice notare che, all’epoca, essa era inapplicabile per mancanza di disposizioni specifiche sul recesso, cosa che lasciava aperta solo l’altra, la quale a sua volta delineava lo scenario di una secessione esclusivamente consensuale, alla quale in teoria ogni Stato avrebbe potuto opporre un suo veto, ma che poteva benissimo avere luogo laddove gli altri membri della Comunità non avessero avuto obiezioni da muovere41.

Laddove (come nel caso dei Trattati europei precedenti a Lisbona) un trattato non regoli esplicitamente la materia della sua estinzione, né le altre parti acconsentano al recesso di una di esse, si aprono altre strade, tutte caratterizzate dall’azione unilaterale dello Stato recedente.

Una di esse è la denuncia o recesso ex art. 56 della Convenzione, il quale pone però stringenti limiti a questa facoltà, ammettendola, nel caso in cui non sia espressamente prevista dal trattato, soltanto quando “a) […] risulti che corrispondeva all’intenzione delle parti ammettere la possibilità di una denuncia o di un recesso; oppure b) il diritto di denuncia o di recesso possa essere dedotto dalla natura del trattato” (paragrafo 1). Si può affermare con sicurezza che queste condizioni sussistessero nell’ordinamento comunitario?

La questione è problematica e di risoluzione tutt’altro che semplice.

Se si tiene conto della natura formale dell’UE e dei Trattati, saldamente ancorata nel diritto internazionale, “it may be generally presumed that the nature of the treaties establishing international organisations implies the right to unilateral withdrawal”, basandosi sull’idea diffusa per la quale nel contesto di simili organizzazioni i poteri non conferiti all’organizzazione permangano in capo ai singoli Stati, e fra questi rientrerebbe il potere di decidere della propria appartenenza alla stessa42.

https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scplps/ecblwp10.pdf, pp. 8 s., “The distinction between unilateral and

negotiated withdrawal is significant, since any inquiry into the existence of a legal right of withdrawal can only concern a non-negotiated withdrawal (negotiated withdrawals are, in principle, always possible). 40Per il testo degli articoli della Convenzione si farà d’ora in poi riferimento a quello riportato in R. LUZZATTO -F.POCAR, Codice di diritto internazionale pubblico, Torino, Giappichelli, 2013, pp. 41 ss. 41 W

YROZUMSKA, Article 50, cit., p. 1396, nota che “This option seems obvious” e che dovrebbe essere esercitata mediante l’apposita procedura di revisione dei Trattati (come avvenuto nel caso, del quale tratteremo a breve, del “recesso” della Groenlandia dalla CEE). Ad ogni modo, il consenso degli altri Stati membri potrebbe essere sia genuino, in quanto “the expression of the common interests of all the MS”, ma in altri casi potrebbe essere invece il frutto di imposizioni unilaterali da parte di singoli Stati (si può supporre i più ricchi e/o influenti).

42

M. GATTI, The Article 50 Procedure for Withdrawal fron the EU: A Well-Designed Secession Clause, Paper presented at the EU Studies Association (EUSA) Conference, Miami, 4-6 May 2017 Panel 3I –

Brexit: Impact upon European Law and Integration, disponibile in

https://www.eustudies.org/conference/papers/download/431, p. 3 sottolinea che però la prassi internazionale in materia “is not entirely straightforward”, poiché si tratta comunque di una presunzione, e rimanda a N. SINGH, Termination of Membership of International Organisations (Stevens & Sons 1958), p. 86, e a T. CHRISTAKIS, ‘Article 56, 1969 Vienna Convention’, in O.CORTEN AND P. KLEIN

(eds.) The Vienna Conventions on the Law of the Treaties: A Commentary, Volume 1 (Oxford University Press 2011) p. 1251, at p. 1275. A favore di un implicito diritto di recesso si pronuncia anche R. VAUBEL,

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