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I “LATI OSCURI” DELL’ART 50: ALCUNI RISCHI E PROBLEMATICHE IRRISOLTE

3. L’ART 50 TUE GENESI E CARATTER

3.3. I “LATI OSCURI” DELL’ART 50: ALCUNI RISCHI E PROBLEMATICHE IRRISOLTE

Abbiamo fin qui tentato di riassumere le principali caratteristiche dell’art. 50 TUE, in modo da poter poi procedere, nell’ultima parte di questo elaborato, ad un confronto con quelle che invece afferiscono tipicamente alle previsioni costituzionali in tema di secessione.

Accenniamo però, prima di concludere questa sezione, ad alcuni aspetti di questa previsione che hanno suscitato particolari dubbi negli interpreti, per via della loro difficile compatibilità con alcuni dei principi chiave dell’ordinamento UE e di certi comportamenti abusivi ai quali potrebbero dar luogo: si tratta riflessioni che svilupperemo maggiormente nella parte successiva, e che si accompagnano a diverse altre perplessità relative al dettato di qeusta disposizione delle quali abbiamo dato conto nella sezione precedente.

Ci si riferisce, in particolare, da una parte alla convinzione, espressa da parte dei commentatori, che la previsione di una clausola espressa di recesso dall’UE risulterebbe in qualche modo contrastante con con i valori fondanti della stessa Unione, ricavabili da previsioni in larga parte già citate, dall’altra all’utilizzo “strategico” che uno Stato potrebbe tentare di farne.

Sotto il primo profilo, la legittimazione del recesso nell’ordinamento europeo è apparentemente in conflitto con alcune delle caratteristiche di quest’ultimo che, prima delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, inducevano numerosi commentatori a dubitare della legittimità del distacco unilaterale dall’UE: si tratta ad esempio dell’elenco di valori fondamentali di cui all’art. 2 TUE, della previsione della durata illimitata dei Trattati ex art. 53 TUE, nonché dell’obiettivo di “un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa” (art. 1, 2° comma, TUE) e più in generale dell’humus stesso che ha visto la nascita e lo sviluppo dell’idea dell’integrazione europea.

In quale modo si può giustificare una disposizione che afferma che, senza alcun obbligo di motivare le proprie azioni, uno Stato membro può lasciarsi alle spalle tutto questo, senza alcun altro obbligo che quello di seguire un apposito procedimento, nel quale peraltro nessuno degli attori istituzionali e politici coinvolti dispone del potere di impedire il conseguimento dell’obiettivo del recesso?

Abbiamo già osservato supra come le ragioni dietro all’introduzione della clausola in discussione fossero principalmente politiche e contingenti, legate alla volontà di salvaguardare la sovranità dei singoli Stati membri contro qualsiasi evoluzione futura dell’UE che essi eventualmente non condividano, ma ciò non implica che queste concessioni a livello politico siano del tutto prive di ripercussioni a livello ordinamentale.

Se lo scopo perseguito dall’Unione nella sua lunga storia è stato quello di avvicinare fra loro i popoli dei diversi Stati, creando e consolidando progressivamente legami di solidarietà ed appartenenza fondati su basi in parte alternative rispetto ai tradizionali Stati-nazione e volte a superare le inimicizie del passato, non risulta forse in contrasto con questo patrimonio etico oltre che giuridico la volontà del singolo Stato di “fare da

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solo”, di tornare ad esercitare la propria sovranità in modo pieno come “ai vecchi tempi”, anche a costo di ripudiare stabili e duraturi rapporti di collaborazione con gli altri Stati membri, magari tornando ad una logica di relazioni esterne antagonistica ed esclusivamente concentrata sull’interesse nazionale205

?

Ecco perché parte degli interpreti hanno accolto con una certa diffidenza l’introduzione dell’art. 50 TUE, sostenendo che l’aver riconosciuto un diritto di recesso sostanzialmente unilaterale agli Stati abbia posto uno strumento pericoloso nelle loro mani, uno strumento del quale, prima o poi, inevitabilmente decideranno di fare uso, proprio per l’esistenza e la disponibilità di esso206.

Non manca, e vi abbiamo già fatto cenno207, chi, invece, ha cercato di sostenere che una previsione del genere sarebbe in grado di esplicare anche una funzione positiva e benefica.

Essa faciliterebbe il progredire dell’integrazione per gli Stati che sono favorevoli ad approfondirla senza però volerla imporre a quelli che preferiscono impegnarsi meno a fondo, mettendo questi ultimi in condizione di andarsene quando vogliono piuttosto che di costringere gli altri a subire i loro veti, impedendo progressi verso un maggiore coordinamento fra le politiche nazionali sotto l’egida dell’UE; inoltre avrebbe il pregio di regolare in maniera dettagliata e definitiva una procedura dai caratteri altrimenti poco chiari e così facendo ne sconsiglierebbe un utilizzo spregiudicato e non sostenuto da una reale intenzione di recedere 208.

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Per lo stesso motivo, secondo WEILER, Secessionism and its discontents, cit., pp. 18 s., i vari movimenti politici che aspirano alla secessione di parte del territorio di Stati UE, come la Scozia e la Catalogna, danno spesso prova di “a regressive and outmoted nationalist ethos”, tradendo “the very ideals of solidarity and human integration for which the European construct stands”, e l’avanzare richieste di indipendenza anziché cercare di risolvere politicamente le proprie divergenze con i governi dei rispettivi Stati “arguably morally and politically disqualify Catalonia, and the like, as future Member States of the European Union”.

206 Quest’idea è sostenuta da C

LOSA, Interpreting Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, cit., p. 17, riprendendo il pensiero di C. R. SUNSTEIN, ‘Constitutionalism and Secession,’ (1991) 58(2) University of Chicago Law Review, Article 9, <http://chicagounbound.uchicago.edu/uclrev/vol58/iss2/9>,

accessed 5 June 2015, relativo all’inclusione di clausole di secessione nei testi costituzionali, che paventa il rischio dell’aumento di tensioni e scontri fra fazioni politiche e sociali, dell’impossibilità di raggiungere compromessi fra le parti, del ricorso massiccio a comportamenti strategici e ricattatori e della crisi generale del sistema di governo, tutti rischi che il costituzionalismo è chiamato a scongiurare e che la costituzionalizzazione della possibilità di secessione aumenterebbe. Così come tale tipologia di previsioni costituzionali sarebbero per i motivi appena esposti incompatibili con una nozione non esclusivamente formale di costituzionalismo, lo stesso vale per l’art. 50 TUE, che secondo Closa “is not the EU’s greatest contribution to global constitutionalism”.

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Vedi anche la nota 142 del presente lavoro. 208 Questa è l’opinione di G

ATTI, op. cit., p. 12: “The paper suggests that Article 50 promotes an orderly ‘secession’ from the Union, since it ensures the EU’s unity in withdrawal negotiatons, limits the discretion of the departing State regarding the activation and termination of the withdrawal procedure, and stimulates it to reach a compromise with the Union. Unilateral withdrawal from the EU is possible, thanks to Article 50, but is also discouraged. Article 50 may thus contribute to preserve European integration by functioning as a ‘safety valve’: when the pressure (of Euroscepticism) rises too high, the withdrawal of a Member State enables the Union to release some ‘steam’ in a controlled manner, thereby reducing the risk of ‘explosions’”. Inoltre, chiarendo agli interpreti ed all’opinione pubblica che “the membership of the Union is now a choice, not a necessity”, la norma consentirebbe anche di ridurre il preteso deficit democratico dell’Unione, mostrando di tenere conto della volontà dei diversi Stati membri e delle rispettive popolazioni.

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Proprio con riguardo a situazioni di quest’ultimo tipo si segnala l’altro importante filone di dubbi sulla legittimità e sull’opportunità di una disposizione come l’art. 50.

Alludiamo al timore che quest’ultimo possa trasformarsi in strumento di ricatto politico da parte di Stati intenzionati non a ritirarsi dall’Unione, con tutte le conseguenze che questo comportarebbe, bensì a rimanervi, sia pur ottendo nuove (e più favorevoli per loro) condizioni, i quali per far valere le loro pretese non esisterebbe ad impiegare la minaccia di recesso nello stesso modo in cui, in altre realtà, forze politiche radicate sul territorio di una comunità nazionale specifica hanno sfruttato la minaccia di secessione ed i timori che questa suscita negli altri attori ordinamentali al fine di risolvere controversie politiche in modo a sé favorevole209.

Appare chiaro che in questo caso si assisterebbe ad un utilizzo della clausola che devia dal suo scopo primario e naturale, venendo strumentalizzata e quasi “pervertita” per meri calcoli politici.

Un atteggiamento del genere potrebbe inoltre essere accompagnato da un comportamento negoziale dello Stato recedente poco rispettoso degli obblighi di buona fede e leale collaborazione da osservare nel corso delle trattative (ad es. se esso tardasse nel notificare la decisione di recesso, attendendo il momento strategicamente più idoneo per avviare le trattative, oppure, insoddisfatto dalle condizioni proposte dall’UE, revocasse la notifica e poi ne inviasse un’altra in modo da prorogare artificiosamente il termine di scadenza dei negoziati e cercare un accordo migliore210, etc.).

Giunti a questo punto, non possiamo fare altro che sviluppare in maniera ulteriore e specifica il paragone fra recesso dall’UE e secessione da uno Stato, alla ricerca di punti di contatto e differenze fra i due fenomeni.

209 Citando A. O. H

IRSCHMAN, Exit, Voice, and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations,

and States (Harvard MA: Harvard University Press, 1970), p. 95, CLOSA, Interpreting Article 50: exit and

voice and…what about loyalty?, cit., p. 17, osserva che “‘once the exit mechanism is readily available,

the contribution of voice’ – that is of the political process – ‘to such matters is likely to be and remain limited’, nel senso che la facoltà di fare appello ad un diritto di recesso da un’organizzazione o da un ordinamento, sovranazionale o federale, ha l’effetto di indurre gli attori che vi interagiscono a non confrontarsi secondo la comune dialettica politica, ma ad invocare tale previsione in modo utilitaristico, sfruttando la forza contrattuale conferita loro della clausola di recesso per conseguire i propri obiettivi. 210 Non è chiaro se simili comportamenti siano in qualche modo sanzionabili ai sensi del diritto UE. Verso la prospettiva che una notifica eccessivamente ritardata giustificherebbe “l’apertura da parte della Commissione europea di una procedimento di infrazione, ex art. 258 TFUE”, per violazione del principio di leale collaborazione ex art. 4, par. 3 TUE si mostra possibilista CURTI GIALDINO, op. cit., p. 21. Secondo PAPAGEORGIU, op. cit., pp. 24 ss., in caso di revoca unilaterale della notifica, anche in mancanza di tentativi di proroga del termine senza rispettare la previsione dell’art. 50, “Such a unilateral act would create a major institutional crisis within the EU and could arguably be considered to violate the principle of sincere cooperation between Member States”, pur esprimendo dubbi sulla possibilità di coinvolgere in qualche modo la Corte di Giustizia nel giudizio sugli abusi, data anche la natura di atto meramente politico di una lettera di revoca. Secondo MIGLIO, op. cit., p. 13, uno Stato intenzionato a revocare la notifica lo farebbe in ogni caso, a prescindere dall’eventuale legittimità del gesto, ed in caso di riconoscimento della revocabilità da parte della Corte “anziché un accordo condiviso ex ante, sarebbe una decisione successiva all’esito di un contenzioso a determinare la soluzione del problema, in un clima di incertezza che potrebbe perdurare a lungo, con evidenti effetti nefasti sulla sicurezza dei rapporti giuridici”.

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4. RECESSO DALL’UNIONE E SECESSIONE: DUE FACCE DELLA