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IL FALLIMENTO DEL TRATTATO COSTITUZIONALE E IL TRATTATO DI LISBONA L’ATTUALE ART 50 TUE: UN’ANALIS

3. L’ART 50 TUE GENESI E CARATTER

3.2. IL FALLIMENTO DEL TRATTATO COSTITUZIONALE E IL TRATTATO DI LISBONA L’ATTUALE ART 50 TUE: UN’ANALIS

Non è sicuramente questa la sede per ripercorrere nel dettaglio la vicenda del naufragio del tentativo di costituzionalizzazione dell’UE effettuato sulla base del testo predisposto dalla Convenzione: sarà sufficiente qualche cenno.

Nel periodo successivo alla conclusione dei lavori della Convenzione, vi fu un susseguirsi di incontri ed attività diplomatiche da parte dei governi degli Stati membri nell’ambito della Conferenza Intergovernativa, culminato poi, nonostante alcune difficoltà, con la firma del Trattato Costituzionale a Roma il 29 ottobre 2004134.

Seguì il travagliato processo di ratificazione del Trattato, necessitandosi dell’approvazione da parte di ogni Stato membro per la sua entrata un vigore: ma l’esito negativo dei referendum popolari appositamente convocati in Francia e nei Paesi Bassi sancì una forte battuta d’arresto, e di fatto, il fallimento dell’intera operazione135.

Ciò non significava, però, che tutte le ambizioni di riforma dell’Unione fossero andate definitivamente perdute, tant’è che poco dopo, a seguito di un periodo di riflessioni, trattative e discussioni, un’altra Conferenza Intergovernativa vide l’approvazione di un nuovo Trattato, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 (poi entrato in vigore il 1° dicembre 2009, a seguito del completamento del procedimento di ratifica).

I suoi caratteri fondamentali sono abbastanza noti da non doverli qui riprendere, neppure in forma generale, dato che da esso scaturisce l’attuale impostazione dell’ordinamento europeo, in primis per quanto riguarda la bipartizione fra Trattato sull’Unione Europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, risultante dall’adattamento del Trattato istitutivo della CE.

Ci interessa in particolare sottolineare come, certamente non per caso, molte previsioni dei Trattati odierni, risultanti dalla riforma operata a Lisbona, rispecchino disposizioni a suo tempo già contenute nel progetto costituzionale, come se si fosse tentato di ottenere per altre vie una versione depotenziata e meno dirompente dell’obiettivo originario, priva o quasi di suggestioni in senso federalista e costituzionale, ma mirante comunque a concreti progressi sotto il profilo dell’integrazione e dell’ampliamento delle competenze dell’UE136

.

Una di queste previsioni “trapiantate” senza significative variazioni da un testo all’altro è proprio quella dell’art. 50 TUE, che riprende l’art. I-60 del Trattato Costituzionale.

134 Per maggiori dettagli sui lunghi e complessi lavori della CIG si rimanda a B. M

CDONAGH, The

Intergovernmental Conference: how the deal was done, in AMATO,BRIBOSIA,DE WITTE, op. cit., pp. 87

ss.

135 Su quest’altra fase è utile rinviare al contributo di J.Z

ILLER, Le processus de ratifications et la période

de réflexion, nella stessa opera di cui supra, pp. 137 ss.

136 Come osserva C

ALAMIA, op. cit., p. 30, con tale trattato “il progetto costituzionale viene definitivamente abbandonato, ma buona parte delle innovazioni risultanti dalla Conferenza intergovernativa che dette vita alla Carta costituzionale dell’Unione sono state mantenute nei Trattati attualmente in vigore, seppure integrate con i dovuti accorgimenti e le modifiche frutto degli accordi raggiunti nei Paesi membri”. Una differenza significativa è però rappresentata dal fatto che, al contrario di quanto previsto dal Trattato del 2004, il Trattato di Lisbona non si proponeva di rimpiazzare ed unificare i due trattati precedenti.

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È quindi giunto il momento di dedicarci ad un’analisi specifica della norma, fino a qui rimandata, per chiarire che cosa effettivamente essa preveda e con quali implicazioni. A mo’ di premessa, ci limitiamo ad accennare (per riprendere il tema più avanti) che, sebbene il citato articolo abbia attirato un certo interesse da parte della dottrina, soprattutto negli ultimissimi anni, essa sia tutt’altro che concorde quanto ad apprezzamento della stessa e del suo testo.

Anzi, non mancano gli autori convinti che questo “cannot be considered as the treaty drafters’ finest hour”137, parlando di una disposizione “eufemisticamente definita “poco

chiara”, “imprecisa”, “incompleta”, “criptica”, “ambigua”138

, che finisce per dare origine a problemi di diverso tipo e per complicare non poco il lavoro dell’interprete e l’applicazione della norma ad evenienza concrete.

Possiamo partire dalla constatazione che, ancora una volta, la formulazione dell’articolo è pressoché identica all’originale139.

L’articolo 50 odierno consta di cinque paragrafi (contro i quattro dell’I-59/I-60), per i quali procediamo ad un esame particolareggiato.

Il primo paragrafo coincide totalmente con quello di cui al Trattato Costituzionale, nell’affermare140

che “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”.

I redattori del Trattato di Lisbona, dunque, hanno ritenuto che la rinnovata Unione Europea avesse ancora bisogno della clausola espressa di recesso suggerita per la prima volta dalla Convenzione.

Per quali motivi, ci si può chiedere, dato l’ormai acquisito rigetto dell’opzione federale per l’evoluzione dell’Unione?

Una risposta chiara e sicura è difficile da fornire, anche perché i lavori della CIG che ha condotto al Trattato di Lisbona non sono interamente di pubblico dominio, al contrario di quelli della Convenzione141.

Ad ogni modo, si possono a questo proposito riprendere considerazioni già svolte. La conferma della disposizioni sul ritiro dipenderebbe quindi in gran parte dal desiderio di offrire rassicurazioni agli Stati membri, e specialmente a quelli poco inclini a vedere la propria sovranità ulteriormente limitata, facendo balenare la contropartita di una clausola di uscita utilizzabile in ogni momento, in modo da non doversi preoccupare nell’immediato di cedere una quantità eccessiva di competenze al livello di governo

137 A. L

AZOWSKI, Be Careful What You Wish for: Procedural Parameters of EU Withdrawal, in CLOSA Secession from a Member State and Withdrawal from the European Union, cit., p. 238, secondo il quale

esso, pur essendo frutto di delicati equilibri e compromessi raggiunti in seno alla Convenzione Europea, non solo “lacks precision but also, when combined with no relevant practice to rely on, leaves many questions unanswered” e quindi genera notevole incertezza.

138 Così B

ARTOLONI, op. cit., p. 4, rifacendosi alla bibliografia ivi indicata alla nota 11. 139 Scrive A

THANASSIOU, op. cit., p. 23: “the differences in this respect between the now defunct draft Constitution and the recently ratified Lisbon Treaty are only minor and of a technical nature”.

140 Si farà riferimento alla traduzione in italiano riportata in

https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/T rattato_sull_unione_europea.pdf.

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sovranazionale e di dover collaborare con l’UE e gli altri Stati membri, dato che in ogni caso potranno svincolarsene in seguito senza che nessuno possa impedirlo142.

Sembrerebbe, quindi, che la norma in questione possa, oltre a perseguire il suo scopo immediato e dichiarato, svolgere anche una funzione ulteriore, ed in un certo senso paradossale per un articolo che si propone di incidere sulla composizione dell’UE distaccandone un membro.

Consentendo ad ogni Stato membro di lasciare l’Unione quando non desideri più partecipare ad un ordinamento sovranazionale condiviso ed ai suoi progressi, esso permetterebbe altresì di “selezionare” solo gli Stati più determinati e volenterosi nei loro sforzi di integrazione, dando modo agli altri di andare per la loro strada anziché rimanere nell’UE ed opporsi ai cambiamenti sostenuti dalla maggioranza, abusando dei propri poteri decisori in vari ambiti per fare ostruzionismo143.

Il fatto che finora, nella realtà pratica, tale previsione sia stata invocata solo dal Regno Unito, uno Stato membro che nei decenni si è dimostrato notoriamente ostile ad un eccessivo rafforzamento dell’UE a scapito della sovranità nazionale ed in più occasioni ha richiesto deroghe ed eccezioni all’applicazione di previsioni del diritto comunitario parrebbe confermare questa utilità indiretta dell’art. 50.

Tornando al testo dell’articolo, il primo paragrafo conferma l’impostazione unilaterale del diritto di ritiro dall’UE, già accolta dalla Convenzione e neppure messa in discussione144.

Con ciò vogliamo dire che, nel paragrafo in questione, non si menzionano condizioni o requisiti particolari il cui rispetto si impone per il legittimo perfezionamento del recesso, fatta eccezione per il ripetersi dell’accenno alle “proprie norme costituzionali”, che lo Stato interessato deve osservare ai fini della decisione145.

Ovviamente, dato che si tratta a normative che variano da Stato a Stato, non si possono fare affermazioni generali su quali caratteristiche specifiche debbano presentare tali

142 C

LOSA, Interpreting Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, cit., p. 4, parlando dell’introduzione della clausola con riferimento alla Costituzione UE (ma con considerazioni che riteniamo valide anche per l’attuale panorama dei Trattati) la definisce “an ‘insurance policy’ against future uncertainty permitting at state to renounce to its commitment if the anticipated benefits of cooperation turn out to be overblown”, e che permette al contempo agli Stati “to negotiate more expansive or deepen substantive treaty commitments ex ante, although it raises troubling opportunities for strategic action ex post”.

143

Per HILLION, op. cit., p. 216, “Moreover, and somewhat paradoxically, the withdrawal procedure may contribute to the pursuit of an ‘ever closer union among the peoples of Europe’, precisely by making it possible for a state to step out of, rather than hold up, the integration process, and to partecipate in it in a different fashion”.

144 C

LOSA, Interpreting Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, cit., p. 5, osserva come all’inizio dei lavori della Convenzione si fossero formate opinioni divergenti su tale carattere, dato che, mentre “some British representatives defended a strictly unilateral provision which would merely require a notification to the Council for withdrawal to become effective”, la maggior parte degli emendamenti, come abbiamo già illustrato, puntava ad introdurre previsioni che temperassero l’unilateralismo della misura, ed il risultato è stato una sintesi fra le opposte tendenze, che quale unico limite pone il rispetto della procedura ex art. 50.

145 V

AN NUFFEL, op. cit., pp. 281 s, ricorda, con riferimento già al testo del Trattato Costituzionale, che tale menzione poteva considerarsi “en principie superflue”, e che il Segretariato della CIG ne aveva proposto la cancellazione, per non dare adito a dubbi di presunte intromissioni sovranazionali nel funzionamento dell’ordinamento costituzionale nazionale.

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requisiti (se ad esempio sia necessario un referendum per la consultazione generale dell’elettorato, come immaginavano a loro tempo alcune proposte della Convenzione146

, se occorra un’autorizzazione parlamentare o sia sufficiente una decisione del Governo etc.147).

Con ogni evidenza, si tratta di requisiti il cui rispetto può essere verificato solo dagli Stati in questione (ad es. dalle loro Corti costituzionali), data la loro attinenza all’ordinamento interno e non europeo, ed anzi, come paventavano alcuni progetti convenzionali, un’eccessiva insistenza delle istituzioni sovranazionali per verificarne il rispetto rischierebbe di configurarsi come un’illegittima ingerenza ed un’usurpazione del monopolio interpretativo della Costituzione spettante agli organi nazionali148.

Tuttavia, si è posto l’interrogativo se, oltre ai requisiti espliciti citati, l’articolo 50 ne presupponga implicitamente altri, il cui rispetto verrebbe a caratterizzarsi come condizione da soddisfare necessariamente perché il recesso sia lecito ai sensi del diritto europeo.

Nella fattispecie, alcuni autori149 hanno avanzato l’ipotesi che un recesso unilaterale legittimo, oltre che alle norme costituzionali interne, dovrebbe risultare conforme anche ai valori fondamentali elencati nell’art. 2 TUE150, esprimenti i principi essenziali sui

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Ibidem, p. 282, ritiene che “La disposition n’oblige toutefois pas d’organiser un référendum”, ma che avrebbe soltanto lo scopo di imporre allo Stato membro di disporre di un solido sostegno parlamentare alla propria iniziativa, per evitare una successiva bocciatura dell’accordo con l’UE.

147 Quest’ultimo aspetto ha assunto un notevole rilievo nel dibattito politico del Regno Unito, laddove, a seguito del referendum del 2016 sull’uscita dall’UE, è sorta una vivace controversia fra la posizione del Governo, che sosteneva di poter procedere ad attivare la procedura di recesso mediante notifica ex art. 50 TUE in virtù della royal prerogative, e quindi senza bisogno di un’autorizzazione parlamentare, ed una tesi avversa che affermava invece la necessità che il Parlamento si pronunciasse in proposito. La vexata

questio, non priva di ricadute sull’interpretazione del modello costituzionale parlamentare britannico, ha

dato vita ad intense discussioni politiche e dottrinali ed è stata infine risolta dalla Corte Suprema del Regno Unito con la sentenza Miller (2016) nel senso dell’esistenza di un obbligo convenzionale a che il Parlamento si esprima. Sul dibattito e sui possibili seguiti di tale iniziativa si vedano ad esempio SYRPIS, P.A.J. (2016), What next? An Analysis of the EU law questions surrounding Article 50 TEU, University of Bristol - Explore Bristol Research, in https://research-information.bristol.ac.uk/files/ 79052041/What_next_FINAL_.pdf, e P. CRAIG, The Process: Brexit and the Anatomy of Article 50, in F. FABBRINI (ed), The Law and Politics of Brexit (Oxford University Press, 2017), Chap. 3 Oxford Legal Studies Research Paper No. 37/2017, versione elettronica disponibile in:

https://ssrn.com/abstract=2967808.

148 H

ILLION, op. cit., pp. 217 s., osserva che “If, for example, the decision to withdraw was challenged before a domestic court, and/or if the notification was communicated without adequate legal authority, the European Council would arguably have to wait for that court’s judgment and/or obtain clarification on the validity of that notification before formally acknowledging receipt”, anche perché solo una notificazione giuridicamente legittima è decisiva ai fini del decorso dei termini per l’approvazione di un accordo di recesso o, in alternativa, il ritiro incondizionato dall’Unione.

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Così per ibidem, pp. 218 s., “formal compliance with domestic constitutional requirements might not suffice to validate the initial withdrawal decision under Article 50 TEU”, se l’appropriatezza di tali requisiti non rispondesse ai parametri UE esemplificati dall’elencazione di cui all’art. 2 TUE. Peraltro, anche se in linea di principio l’UE avrebbe tutto l’interesse a favorire il recesso di un membro che ormai non rispetta più le regole e i principi basilari del suo ordinamento, un’applicazione dell’art. 7 TUE potrebbe condurre alla sospensione del diritto di recesso dello Stato, “so as to protect the rights and interests of other Member States, and of the European citizens potentially affected by the putative withdrawal”.

150 “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone

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quali si basa l’Unione stessa e dei quali essa e gli Stati membri non possono mai mancare di tenere conto nella loro azione.

Fra l’altro, ex art. 7, parr. 2° ss. TUE, lo Stato che commetta “una violazione grave e persistente” degli stessi valori è suscettibile di incorrere in sanzioni ad opera del Consiglio, consistenti nella sospensione di “alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio”.

Ciò significa che, pur non giungendosi ad ammettere espressamente la possibilità di espellere uno Stato dall’UE per il mancato rispetto di certi standard151

,i valori di cui all’art. 2 vengono considerati tanto vitali da giustificare, in caso di violazioni significative e ripetute degli stessi, misure punitive tali da incidere pesantemente sul godimento di fatto da parte dello Stato dello status di membro dell’Unione.

Non sarebbe perciò del tutto fuori luogo affermare che, data l’indubbia e preminente importanza del citato pacchetto di valori fondamentali, questi dovrebbero indirizzare l’agire dello Stato membro anche nell’atto di lasciare l’Unione (secondo una logica, alla quale accenneremo in seguito, non troppo dissimile da quella che persino alcune Corti costituzionali hanno dichiarato applicabile alla secessione da una federazione, che concettualmente presenta alcune vicinanze al recesso da un’organizzazione internazionale peculiare come l’UE)

Comunque sia, il fatto che il diritto di recesso ex art. 50 sia ampiamente riconosciuto come di esercizio unilaterale non significa che esso non debba obbedire ad una procedura appositamente delineata, la quale si impone anzi come di applicazione obbligatoria in tutti i casi nei quali venga in questione l’intenzione di uno Stato di ritirarsi dall’UE.

L’art. 50, perciò, oltre ad eliminare gli ultimi dubbi ancora rimanenti sull’esistenza di una facoltà di recesso nel diritto europeo, avrebbe anche il compito di stabilire in modo incontrovertibile in quali modi essa vada esercitata; in altre parole persegue lo scopo di impedire agli Stati di tentare di servirsi di strade alternative, ad esempio quelle in teoria offerte dal diritto internazionale o dal diritto interno152.

Anche ammettendo che in linea generale la materia del recesso ricadesse sotto la disciplina del diritto internazionale, ed in particolare della Convenzione di Vienna sul

appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri di una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

151 Non è casuale che nel Trattato Costituzionale l’originaria previsione in tema di sospensione dei diritti di appartenenza all’UE (art. 58) fosse contenuta nel Titolo IX, lo stesso che ospitava la norma sul recesso, ad ulteriore conferma dello stretto legame concepito fra valori fondamentali e appartenenza all’UE. 152 Così si rivelano non praticabili le strade ipotizzate (e scartate) da S

YRPIS, op. cit., pp. 5 s., richiamandosi al dibattito relativo alla campagna elettorale per la Brexit, nel corso del quale alcuni fautori dell’uscita avevano proposto di aggirare la procedura di cui al Trattato mediante l’applicazione pura e semplice della Convenzione di Vienna oppure attraverso l’abrogazione dello European Communities Act

1972 ed il ripristino delle piene competenze legislative del Parlamento nazionale, liberato dai vincoli

sovranazionali. Ma l’autore si dimostra scettico, affermando che l’approvazione dell’articolo 50 TUE dimostra la chiara intenzione dei redattori del Trattato “to establish a withdrawal process which is able to lead to an orderly exit from the EU, in which levels of disruption and uncertainty are minimised”, un processo interamente rientrante nel diritto europeo e slegato da quello internazionale.

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diritto dei trattati, si sarebbe voluto così derogare a tali regole universali mediante l’introduzione di una norma apposita, costituente lex specialis e quindi prevalente sulla lex generalis internazionale per quanto riguarda il solo ordinamento UE153.

Quanto alla procedura di recesso, esaminiamola mediante l’analisi dei successivi paragrafi dell’art. 50, a cominciare dal secondo: “Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo”.

Come si può constatare, sono state mantenute appieno le previsioni del Trattato Costituzionale sul ruolo da attribuire alle varie istituzioni e sulla necessità di una trattativa volta all’adozione di un accordo fra le parti.

Per prima cosa, al Consiglio Europeo spetta il compito di ricevere ed esaminare la richiesta stessa di recedere, oltre che di delineare i binari fondamentali entro i quali dovranno essere contenuti i negoziati.

Ai fini dell’attivazione dell’intera procedura risulta allora obbligatorio che la decisione di recedere non sia soltanto assunta conformemente ai requisiti (espliciti o impliciti) dei quali si è parlato, ma anche che essa venga portata a conoscenza delle istituzioni europee in maniera formale, attraverso lo strumento della notificazione.

Quest’ultima dovrebbe rispondere anch’essa alle condizioni fissate dal diritto europeo ed interno (ed a tale valutazione sarebbe deputato il Consiglio Europeo, nonché secondo alcuni, potenzialmente anche la Corte di Giustizia)154 ed in sua assenza non potrebbe attivarsi il meccanismo architettato dall’art. 50, costituendo un prerequisito necessario per la validità del recesso.

153 H

ILLION, op. cit., p 216, scrive “It will hopefully become clear that the recent codification of the right to withdraw entails that it is now subject to EU rules rather than governed by the classic canons of public International law”. Come osserva WYROZUMSKA, Art. 50, cit., p. 1393: “There are no specific rules of international law applicable to International organisations (the term is of a descriptive character only).