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CONTESTO DIVERSO, STESSA FUNZIONE: L’ART 50 TUE COME FENOMENO PARALLELO ALLE CLAUSOLE DI SECESSIONE

4. RECESSO DALL’UNIONE E SECESSIONE: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA?

5.1. CONTESTO DIVERSO, STESSA FUNZIONE: L’ART 50 TUE COME FENOMENO PARALLELO ALLE CLAUSOLE DI SECESSIONE

L’esame che abbiamo sin qui svolto si era proposto come scopo quello di porre in evidenza, attraverso una minuziosa ricostruzione del contesto normativo (ed in parte anche politico), eventuali vicinanze fra la disciplina che il Trattato sull’Unione Europea ha dedicato al diritto di recesso degli Stati membri, avvalendosi di una disposizione specifica come l’art. 50, e quella che, in diversi ordinamenti nazionali (soprattutto di natura federale), è stata approntata per fare fronte all’eventualità della secessione, ricorrendo a clausole apposite che si pongono lo scopo di regolarla.

Ci si è chiesto, in particolare, se fosse possibile accostare l’art. 50 a questa seconda categoria di norme, le quali, nonostante alcune differenze evidenti (come il riferirsi ad un ordinamento composto da diverse componenti, autonome ma non sovrane, mentre la previsione del TUE attribuisce il relativo diritto a Stati sovrani ed indipendenti, caratterizzati da un libertà di azione in linea di principio assai maggiore), sono spesso percepite come un genus nel quale, previe opportune specificazioni ed adattamenti, può essere fatto rientrare l’art. 50 stesso.

Questo atteggiamento è dovuto, in buona parte, alla diffusa constatazione per la quale sono gli stessi fenomeni ai quali i due tipi di disposizioni fanno riferimento a presentare delle affinità di fondo, che le rendono, per così dire, due facce della stessa medaglia301, specialmente in un periodo quale quello odierno, di diffusa crisi e sfiducia nei confronti dell’attuale status quo politico e sociale ai livelli più vari, che come già osservato ha contribuito a fomentare sentimenti di ostilità in una larga parte del mondo politico e dell’opinione pubblica verso le architetture istituzionali consolidate.

301 Non è sicuramente un caso che, in modo coerente per tutto il suo contributo, F

RIEL, Secession from the

European Union, cit., impieghi il termine “secession” come sinonimo di recesso in relazione alle

eventuali aspirazioni degli Stati membri a lasciare l’Unione, quasi a suggerire che le analogie sostanziali fra quest’ultima ed una vera e propria federazione siano abbastanza sviluppata da proiettare l’UE oltre la natura internazionale che abitualmente le viene riconosciuta dalla dottrina maggioritaria. Nella nota 7, pp. 592 s., l’autore spiega che “The difference is important”, poiché mentre “withdrawal” indica un semplice ritiro da qualcosa, “secession” ha un profondo ed inequivocabile significato politico. “The use of "secession" therefore implies that the Union is a State, with all the relevant emotional and political baggage that it entails”, scrive pertanto Friel, e procede ad esporre sinteticamente le ragioni che a suo giudizio giustificano questa scelta terminologica: la personalità legale dell’Unione, sancita dal TUE, come emendato dal Trattato di Lisbona, e ragionevolmente assimilabile soltanto a quella propria di uno Stato; “Second, the term "withdrawal" does not accurately reflect the seriousness or difficulty that the action would involve” (ponendo quindi l’accento sulle sue rilevantissime conseguenze per lo Stato coinvolto, di portata addirittura ordinamentale) ; infine, “the preference to use "withdrawal" is simply a refusal to deal with the issue as to whether the Union is in fact a State in the accepted sense of the word”, ma in tal modo si crea solamente confusione, poiché “Terminology on leaving is not that which defines whether the Union is a State or not but rather how, if at all, leaving is to be achieved”. In definitva, “No prohibition on departure would indicate that the Union is not a State as we currently understand that concept; prohibited or limited departure would indicate it is far closer to a State than many recognize”.

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Ciò giustifica l’interesse dimostrato da alcuni autori ad una trattazione congiunta di questi due temi, ritenuti espressione di istanze fra loro simili, per le quali si propongono soluzioni idealmente comparabili, sotto il profilo del distacco da una realtà più ampia ed articolata (Stato di appartenenza od Unione Europea), criticata perché ritenuta opprimente e non rappresentativa delle esigenze di un determinato territorio, indipendente o meno, il quale ambisce a gestire direttamente tutti i propri interessi302. La compresenza di queste due tendenze odierne in molti Stati dell’UE ha condotto quindi ad interpretazioni collegate delle stesse, col rischio però di produrre confusione fra piani distinti.

Sì è già cercato in più luoghi di delineare le principali differenze fra recesso e secessione: differenze di natura dei soggetti coinvolti (Stato sovrano vs ente autonomo di livello subnazionale); differenze di scopo (allontanamente definitivo e più o meno completo da un ordinamento sovranazionale al quale erano stati ceduti in precedenza significativi spazi di sovranità vs conseguimento della piena indipendenza da un ordinamento nazionale); differenza di relazioni col contesto multilevel europeo (decisa contestazione dell’appartenenza all’Unione vs frequente accettazione della stessa, se non addirittura precisa intenzione del nuovo Stato di aderirvi); differenza nel grado di unilateralità della condotta (relativamente spiccata nel caso del recesso, nulla o comunque ridotta a seconda della disciplina rinvenibile a livello statale per la secessione).

Tuttavia, in questa conclusione intendiamo sottolineare con forza un altro aspetto, capace di evidenziare meglio il paragone fra i fenomeni qui esaminati e le rispettive clausole normative.

Riprendendo la constatazione che tanto la secessione quanto il recesso dall’UE costituiscono forme di critica di un ordinamento esistente, si può cercare di ipotizzare che sia le norme costituzionali relative alla secessione che l’art. 50 rappresentino una tipologia di reazioni a tali critiche, reazioni che, pur presentando ovvie differenze per i motivi sopra esposti, rispondono all’esigenza di affrontare con strumenti giuridici una situazione fuori dall’ordinario e potenzialmente pericolosa per l’ordinamento coinvolto. Anche la risposta proposta al problema risponderebbe ad una ratio comune, ossia a quella di accettare e legalizzare fenomeni che, in linea teorica, un ordinamento dovrebbe avversare, in quanto suscettibili di causarne sconvolgimenti rischiosi, se non la disintegrazione stessa.

Ripetiamo, brevemente, i motivi alla base di una scelta simile, che sono tendenzialmente analoghi per entrambe le situazioni.

302 “"Taking back control" was a predominant campaign theme, and it might be said to follow that Article 50 must be read in ways that accommodate that expression of popular will”, scrivono EECKHOUT –

FRANTZIOU,op. cit., p. 6 a proposito del recente esempio della Brexit. CLOSA, Troubled Membership:

Secession and Withdrawal, cit., p. 1, trattando del referendum britannico del 2016 osserva, tracciando un

parallelo con i recenti fenomeni secessionisti manifestatisi in vari Stati membri, che “the results underline the reliance on the basis of a kind of atavistic community which has survived the rationalising effects of membership in an organisation whose main virtue is precisely the management of complex interdependences through constitutional tolerance and based on a clear distinction between European integration and nation-building”.

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Oltre a ragioni di carattere puramente politico e pragmatico, come quelle di superare obiezioni verso procedimenti graduali di unificazione/integrazione (espressioni di una tendenza all’accentramento del potere politico verso un’autorità centrale in sistemi caratterizzati da una struttura federale/confederale) attraverso la predisposizione di una “clausola di salvezza” per gli scontenti e i dissidenti, l’argomentazione principale in favore della costituzionalizzazione della secessione e del riconoscimento del recesso da parte dei Trattati UE è, se si vuole, il frutto di un calcolo.

Un calcolo che, da una parte, soppesa quali conseguenze negative in termini di tenuta dello Stato e/o dell’Unione e di possibili condotte degli attori politici ed istituzioni (ad es. attraverso il potenziale di ricatto che questi possono esercitare attraverso un’invocazione non troppo scrupolosa della clausola) e dall’altra le compara con i potenziali benefici che la clausola di legittimazione del distacco è in grado di apportare, sotto forma di disincentivo rispetto a minacce infondate e di preparazione di un organico quadro normativo per la gestione dell’uscita e dei suoi effetti.

Se i benefici risultano, almeno in teoria, preponderanti rispetto ai rischi, ecco che allora l’apertura ad un frazionamento (debitamente controllato) dell’ordinamento assume un altro significato, trasformandosi in strumento di preservazione, anziché di distruzione, dello stesso.

Argomentazioni simili sono state espresse dapprima in relazione al discusso tema della secessione303, ma sono probabilmente valide anche per la questione del recesso dall’UE. In definitiva, le conseguenze dei due avvenimenti sui rispettivi ambienti sono notevolmente simili, cosa che può spiegare l’intento di occuparsene mediante strumenti assimilabili.

Molte caratteristiche dell’art. 50 TUE, se interpretate attraverso questa chiave di lettura, rivelano notevoli tratti di vicinanza con i suoi corrispondenti in materia di secessione contenuti in varie Costituzioni od elaborati in via di interpretazione sistematica da giudici costituzionali, come avvenuto in Canada e in Spagna.

Al pari di queste ultime norme, la disposizione in questione aderisce ad un’idea per la quale “prevenire è meglio curare”: se adeguatamente utilizzata, essa dovrebbe essere, almeno teoricamente, in grado di prevenire tentazioni nazionali di ritiro dall’UE, non vietandolo espressamente, ma ponendo gli aspiranti recedenti di fronte alle condizioni da soddisfare per raggiungere il loro scopo (le uniche consentite, senza possibilità di ricorrere ad alternative di loro scelta).

Tali presupposti, al contrario di quanto accade in altre realtà a proposito della secessione, sono di natura quasi304 esclusivamente procedurale, consistendo

303 Si veda la menzionata visione di Weinstock sulla possibilità di conciliare costituzionalismo e disciplina della secessione (nota 240), a suo giudizio dipendente dalla ricorrenza di tre condizioni fondamentali (“the inevitability condition”, “the moral treshold condition”, “the consequentialist condition”) tali da far prevalere i pro della costituzionalizzazioni sui moli ed innegabili contro.

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Questo perché, come già abbondantemente discusso, l’ambiguo riferimento nel 1° comma alla conformità della decisione statale di recesso alle “norme costituzionali” interne non chiarisce di quali condizioni occorra tenere conto a tali fini, ed in particolare se debba trattarsi di requisiti procedurali o sostanziali, senza contare quanto già visto circa la probabile, implicita necessità che l’atto si conformi anche ai valori di cui all’art. 2 TUE.

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prevalentemente nel rispetto di ben precisi passaggi procedimentali, a prescindere dalle motivazioni sostanziali che lo spingono a desiderare il recesso305, oggetto invece di maggiore attenzione nell’altra grande categoria di clausole di secessione alla quale si è accennato.

Il messaggio che traspare è che l’Unione Europea non ha problemi ad accettare che un suo membro non voglia più partecipare al progetto comune e che a costoro offre una via d’uscita apposita e, nei limiti del possibile e dell’opportuno, facilitata: si ricorda, fra l’altro, che, una volta innescato il procedimento con la notifica della decisione statale, esso è destinato306 a concludersi con il recesso, persino, ex 3° comma, se l’accordo Stato-UE, che pure rappresenta, nella logica del Trattato, lo sbocco fisologico del procedimento, non si concretizza.

Il prezzo di questa disponibilità, tuttavia, è l’accettazione da parte della controparte del percorso delineato dall’articolo.

L’art. 50, ed i suoi immediati predecessori, si sono sempre posti come obiettivo quello di conciliare l’espressione democratica, da parte della popolazione di uno Stato membro, della volontà di abbandonare l’Unione, insopprimibile in un ordinamento che, ex art. 2 TUE, elenca la democrazia fra i propri principi fondamentali, con la necessità di tenere conto di tutta una serie di diritti ed interessi (facenti capo ad altri Stati, oppure a persone fisiche e giuridiche, come i cittadini UE residenti nello Stato recedente) contrapposti a tale aspirazione e che rischiano di essere danneggiati dal recesso.

Il mezzo prescelto per compiere questa mediazione è stata la previsione di un negoziato dove le due parti si confronteranno e discuteranno, secondo un procedimento flessibile e modulabile secondo le loro specifiche esigenze, in una sede concepita appositamente per agevolare compromessi e misure condivise, che vincoleranno le relazioni future fra l’Unione e l’ex membro e devono perciò riceverne l’approvazione.

Alle stesse preoccupazioni la Corte Suprema canadese e il giudice costituzionale spagnolo hanno cercato di rispondere, in epoca più o meno contemporanea alle riforme europee, ponendo anch’esse l’accento sul contemperamento di democrazia e legalità costituzionale, che non devono soffocarsi a vicenda, ma piuttosto collaborare per assicurare il miglior esito possibile della vicenda, evitando quanto più possibile fratture ordinamentali unilaterali e non gestite, mantenendo come elemento essenziale e legittimante il rispetto dei principi fondamentali.

La soluzione porposta dalle corti vede come centrale il ricorso al procedimento di revisione costituzionale, che oltre ad essere l’unica via per modificare la carta fondamentale al fine di consentire la secessione in mancanza di un’apposita previsione, costituisce la sede ideale di confronto politico fra gli attori della dispusta (dimensione

305 Che possono anche non fondarsi su argomenti razionali; si veda quanto affermato da C

LOSA,

Interpreting Article 50: exit and voice and…what about loyalty?, cit., p. 15, che, criticando il

deterioramento del discorso politico a suo giudizio causato dalla formalizzazione del diritto di recesso, afferma che questa “has provided space for a ‘disloyal’ (in Hirschman’s sense) portrayal of the EU´s ‘declining performance’ which empirical evidence does not confirm”, se non in una misura relativamente minore, tale da rappresentare “hardly a rationale for secession”.

306 Salvo “ripensamento” dello Stato sotto forma di revoca della notifica stessa, possibilità peraltro messa in dubbio da parte della dottrina, come spiegato retro, nota 155.

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dialettica che, per la sua maggior capacità di contemperare interessi divergenti, dovrebbe essere preferita alla risoluzione dei contrasti in via rigidamente giurisdizionale, che in Spagna ha dato risultati tutt’altro che positivi).

Agli stessi fini l’UE si è munita di una procedura specifica, ma la sostanza di base non cambia307.

Date le implicazioni del recesso, le parti hanno tutta la convenienza a cercare e trovare un accordo; ma dal momento che, al contrario di alcune proposte emerse in sede di redazione, la stipulazione dell’accordo non è attualmente condizione necessaria per il recesso, quest’ultimo potrà prodursi automaticamente alla scadenza prestabilita e lo Stato che, consciamente o meno, si disinteressa alle trattative ne subirà le conseguenze sotto forma di recesso “radicale” e non graduale, senza la possibilità di cercare di ottenere dall’UE condizioni a sé maggiormente favorevoli di una brusca soluzione di continuità.

Non mancano, lo ripetiamo, i problemi insoluti, relativi, in particolare, alla formulazione tutt’altro che perfetta dell’art. 50, che contiene sicuramente lacune e ambiguità e sconta il fatto di essere stata, probabilmente, pensata come extrema ratio, che con molta difficoltà avrebbe trovato applicazioni concrete, ma anche questo è un tratto comune a molte clausole di secessione308.

Nonostante il mancato riconoscimento esplicito di simili fonti di ispirazione da parte dei lavori preparatori delle Conferenze che hanno condotto al Trattato Costituzionale ed al Trattato di Lisbona309, ci sentiamo quindi di affermare che, ferma restando la diversità

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EECKHOUT – FRANTZIOU,op. cit., pp. 42 s., osservano che “It is the commitment to constitutional

values that distinguishes the European Union from other international organisations. These values are put to the test during Brexit”, e che “A constitutionalist reading of Article 50 brings into sharper relief the fact that the withdrawal process cannot be one that is entirely at the mercy of politics. It is governed by specific constitutional stipulations on the EU side as well. They necessitate respect for the UK’s constitutional decision to withdraw; but, at the same time, due respect for rights as foundational pillars of the Union and, and for other EU constitutional values such as the rule of law and democratic governance”. Questa però, tutto sommato, non costituisce una significativa differenza con l’ordinamento britannico, che condivide numerosi di questi valori (“rule of law and commitment to the democratic process”), cosa che aumenta le possibilità di collaborazione e richiede che “constitutional oversight of the withdrawal negotiations is ensured on both sides before those negotiations are concluded”.

308 Tuttavia da ciò non conseguono necessariamente solo problemi: ad esempio, si può sostenere che questo favorisca una certa elasticità nella gestione del recesso, dato che i molti vuoti potranno essere colmati ad hoc in sede di negoziati, prendendo le misure della situazione concreta, come riconosce SYRPIS, op. cit., p. 15, ricordando il ruolo del Consiglio Europeo, incaricato di dettare le inee guida del negoziato: “The text of Article 50 provides very few answers. Nevertheless it envisages the provision of guidelines by the European Council. These may operate as the vehicle through which the answers to the legal questions identified in this paper are developed”.D’altro canto, pur rappresentando un’importante garanzia, una disciplina minuziosa del procedimento di per sé non assicura il successo della clausola in mancanza di altre condizioni fondamentali. Per esempio, in materia di secessione, come osserva TOSI, op.

cit., pp. 236 ss., la legge sovietica del 1990 sui referendum di secessione, pur proponendosi di attuare

concretamente la clausola costituzionale in proposito, attraverso le sue previsioni estremamente complicate e macchinose perseguiva in realtà lo scopo di rendere pressoché inesercitabile tale diritto. 309 Non mancherebbe, però, un riconoscimento implicito, che riecheggia nelle riflessioni di alcuni membri della Convenzione Europea circa la necessità che la clausola di recesso venga foggiata in modo tale da non prestarsi ad essere utilizzata per scopi ricattatori e non genuini, ma anzi, se possibile, per contribuire a soddisfare i desiderata dello Stato recedente senza porre in pericolo la stabilità dell’UE. Se ne incontra un esempio nell’emendamento alla proposta di art. I-59 avanzata da Brok et al. (http://european- convention.europa.eu/docs/Treaty/pdf/46/46_Art%20I%2059%20Brok%20EN.pdf), i quali, pur

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dei due fenomeni, l’art. 50 e le clausole costituzionali in materia di secessione costituiscono, se non proprio due species del medesimo genus, sicuramente strumenti simili per perseguire uno stesso scopo310.

Quest’ultimo è identificabile nel tentativo di delineare un meccanismo predeterminato e specifico di gestione di situazioni di crisi di un ordinamento composito multilivello, come uno Stato federale o un’organizzazione sovranazionale sui generis come l’UE, in una logica di responsabilizzazione politica e contemperamento di principi ed interessi311.

Solo il tempo potrà chiarire se, complice anche il possibile sviluppo futuro dell’Unione verso una dimensione (pienamente ed inequivocabilmente) costituzionale e statale, le somiglianze vanno oltre lo scopo di base e riguardano la natura stessa di queste previsioni.

auspicando direttamente la cancellazione dell’articolo in questione, dato che “Such an explicit exit clause could allow Member States to blackmail the Union, paralyse its decision-making processes and even endanger the stability of the Union” e “It would also give a wrong political signal with regard to the required mutual solidarity in the Union”, sono disposti ad accettarne l’inserimento nel Trattato, purché esso sia assoggettato a “strict procedural and substantive conditions in order to avoid an abuse of the clause”.

310 Al quale si aggiunge a livello europeo, come ricorda P

EI ROO, op. cit., p. 61, quello, fondamentale per l’UE, di rafforzare la propria legittimità democratica, tutt’altro che salda, riconoscendo espressamente ai popoli degli Stati membri l’autorità di decidere in ogni momento sulla continuazione della propria partecipazione all’Unione, sebbene l’articolo 50 finisca così per rappresentare “an easily understandable assurance of state sovereignty, the existence of which may curb the EU’s legitimacy concerns”.

311 Secondo G

ATTI, op. cit., 12, (che riprende le definizioni date da NORMAN, op. cit., p. 175)“It may therefore be argued that Article 50 TEU constitutes a ‘well-designed secession clause’, which allows the possibility of withdrawal ‘in accordance with norms of democracy, justice and the rule of law’”. L’autore si spinge persino a sostenere che la comunanza di caratteri e di scopi fra l’art. 50 e le clausole di secessione vere e proprie sia tale che “It is not entirely inconceivable that this reviled provision may, in the future, inspire the rafting of secession clauses at the national level”, come strumento utile, in Stati alle prese con movimenti indipendentisti interni, “to prevent populous or rich seceding regions from exploiting their greater bargaining power in the context of secession negotiations”.

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BIBLIOGRAFIA

P. ATHANASSIOU, Withdrawal and expulsion from the EU and EMU. Some reflections,