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L’ART 50 E IL DIRITTO PUBBLICO COMPARATO COMPARABILITA’ FRA IL FENOMENO DEL RECESSO DALL’UE E QUELLO DELLA

4. RECESSO DALL’UNIONE E SECESSIONE: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA?

4.1. L’ART 50 E IL DIRITTO PUBBLICO COMPARATO COMPARABILITA’ FRA IL FENOMENO DEL RECESSO DALL’UE E QUELLO DELLA

SECESSIONE DA UNO STATO FEDERALE

Siamo arrivati al cuore della nostra indagine, per la quale ci siamo prefissi lo scopo di indagare la relazione esistente fra i due aspetti, per molti versi strettamente connessi, di quello che Carlos Closa ha definito il problema della “troubled membreship” in ambito UE211: il recesso di uno Stato membro dall’Unione e la secessione di parte del territorio di uno Stato.

Fino a che punto si può affermare che i due fenomeni costituiscano diverse manifestazioni di uno stesso concetto, ispirate ad un sentire comune ed a principi fra loro assimilabili?

È corretto sostenere che il recesso dall’UE costituisce una particolare sottospecie del genus della secessione, poiché il livello di integrazione fra Stati membri all’interno dell’Unione è ormai così elevato che il distacco di uno di essi dal comune livello di governo sovranazionale configurerebbe una situazione del tutto analoga alla separazione di una singola unità territoriale subnazionale dal resto dello Stato?

Oppure si tratta di un paragone spinto troppo oltre, che trascura di tenere conto delle innegabili differenze fra un ordinamento nazionale, sia pure organizzato su basi federali, e quello dell’Unione Europea, il quale, nonostante i suoi recenti sviluppi, non ha ancora assunto pienamente i caratteri della statualità sovrana?

E come può leggersi in quest’ottica l’art. 50 TUE, una norma che si prefigge lo scopo non solo di permettere, ma anche di guidare il distacco, similmente a quanto fanno certe Costituzioni nazionali con riguardo alla secessione?

C’è posto per l’art. 50 TUE in quest’ultima categoria di norme, per il fatto di prendere in considerazione un evento di separazione della parte dal tutto, normalmente percepito come pericoloso ed eversivo, extra ordinem, e cercare di ricondurlo “nel sistema”, ammansendolo e portandolo sotto controllo attraverso la predisposizione di un procedimento normativamente regolamentato nei suoi passaggi e nei suoi presupposti, unica via legittima per pervenire a certi obiettivi?

Non si tratta ovviamente di domande alle quali è agevole rispondere.

L’analisi dell’art. 50 e del contesto politico e giuridico nel quale ha visto la luce, che abbiamo fin qui condotto con dovizia di particolari e di excursus storici, è strumentale a cercare quantomeno di farlo, mediante l’individuazione delle caratteristiche fondamentali del recesso e della disposizione che lo prevede ed il loro paragone con quelle del fenomeno secessionista e dei tentativi di disciplinarlo.

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La nostra ambizione è quella di mettere in luce le influenze, ammesso che esistano e/o che siano rintracciabili, che il diritto costituzionale di altri Paesi in tema di secessione avrebbe esercitato sulla concezione e redazione dell’art. 50.

Lo faremo adottando una visuale comparatistica, guardando al modo nel quale il problema della secessione è stato affrontato negli ordinamenti statali ed in particolare in quelli di natura federale.

Poggiando su queste basi, proviamo dunque a di sviluppare un’analisi comparata.

Prima di tutto, torniamo ancora una volta alle origini dell’art. 50, al periodo storico nel quale per la prima volta si tentò di dare una soluzione alla problematica del recesso nell’ordinamento comunitario.

Se rivolgiamo uno sguardo a quella che è la nostra principale fonte di informazioni su quel periodo, ovvero i lavori preparatori della Convenzione Europea, dai quali dovrebbero emergere la ratio e l’ispirazione dietro l’introduzione della clausola esplicita di recesso212, rischiamo tuttavia di rimanere delusi.

Da un’analisi dei testi in questione, infatti, sia per quanto riguarda le bozze degli articoli elaborate dal Praesidium che le proposte di emendamento avanzate dai convenzionali, non risulta mai alcuna menzione di norme costituzionali in tema di secessione come esempi al quale rifarsi nella disciplina del recesso.

Non si richiamano modelli, non si cerca di avvalorare l’innovativa scelta citando a sostegno casi concreti, non si cerca di paragonare quella dell’UE “costituzionalizzata” ad altre realtà statali.

Al più, ci si può imbattere, soprattutto nelle proposte di emendamento, in sporadici riferimenti a principi di diritto internazionale, specialmente quelli desumibili dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, ma richiamati perlopiù al fine di sostenere che essi erano già applicabili alla fattispecie del recesso di uno Stato dall’Unione, rendendo una previsione espressa in materia perfettamente accettabile e forse persino superflua213.

In altre parole, se ci si mantiene ad un livello di analisi simile, superficiale e letterale, non si riscontra un’esplicita e riconosciuta influenza delle riflessioni di diritto pubblico comparato in tema di secessione sulla disciplina europea del recesso, che a quanto pare non avrebbero direttamente ispirato i redattori dell’articolo in materia, poi confluito nel Trattato Costituzionale e quindi in quello di Lisbona214.

212 Rivolgere la nostra attenzione al periodo precedente rispetto alle attività della Convenzione ci sembra poco utile, almeno nella misura in cui ci interessa ricercare prove scritte di influenze comparatistiche sulla disciplina comunitaria del recesso, poiché per tutti quegli anni semplicemente è mancata quest’ultima e quindi a maggior ragione ogni tentativo dei redattori dei Trattati di giustificare in tal senso le proprie (non) scelte.

213 Abbiamo già menzionato diversi esempi di emendamenti in questo senso; spiccano soprattutto quelli ricordati alla nota 108 di questo lavoro, diversi dei quali peraltro accompagnavano questo riconoscimento con la constatazione che, pur essendo un’opzione in teoria permessa ai sensi del diritto internazionale, il recesso rimaneva di fatto un atto fortemente sconsigliabile in quanto passibile di aprire delle crepe nella solidità dell’edificio comunitario, contrapponendosi al suo spirito di integrazione continua.

214 Per quanto riguarda il processo che, dopo il fallimento dell’iniziativa del Trattato Costituzionale ha portato al Trattato di Lisbona ed alla sostanziale ripetizione di molte previsioni del primo da parte di quest’ultimo, si è già osservato supra, nella parte precedente dell’elaborato, che risulta complicato ricostruire il ragionamento dietro al mantenimento anche in questa versione di una clausola di secessione

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Scartata la possibilità di un’influenza diretta, per mancanza di espresso riconoscimento della stessa da parte di coloro che avevano partecipato in prima persona alla creazione della nuova disposizione, si può escludere anche la sussistenza di qualsiasi forma di influsso indiretto sulla formulazione e sugli scopi svolti dsll’articolo 50?

Questo non è affatto sicuro.

Il fatto che non ne abbiano fornito un riconoscimento ufficiale, nero su bianco, di per sé non significa che i redattori del Trattato non siano stati in alcun modo indirizzati, anche solo inconsciamente, a prendere certe decisioni da considerazioni relative al dibattito sulla secessione in altre realtà.

Chiaramente non è possibile giungere a conclusioni certe sul punto, ma possiamo tentare di mettere in evidenza le eventuali somiglianze che giustifichino un trattamento assimilabile delle due fattispecie del recesso e della secessione e che potrebbero aver giocato un ruolo nelle decisioni della Convenzione e, più tardi, in quelle che hanno condotto all’adozione del Trattato di Lisbona.

Iniziamo, dunque, domandandoci in primo luogo: è corretto utilizzare il termine “secessione” per indicare fenomeni che si verificano nell’ambito dell’Unione Europea ed in particolare quello del ritiro volontario di uno Stato membro? “Recesso” e “secessione” possono essere interpretati, almeno in un certo grado, come nozioni sinonimiche?215

Per rispondere, occorre prima di tutto dare una definizione di secessione, per chiarire se tale parola possa designare anche realtà diverse da quella di uno Stato.

Questo è un punto particolarmente rilevante, dato che nessuno, neppure i più accesi sostenitori dell’integrazione europea, può seriamente sostenere, da un punto di vista politico e ancor più giuridico, che l’Unione Europea ha già assunto i caratteri fondamentali di uno Stato, ed in particolare quelli di una federazione, potendo al più essere classificata, come ha fatto in diverse occasioni il Tribunale Costituzionale Federale tedesco, come una Staatenverbund, un’associazione di Stati di tipo tendenzialmente confederale nella quale però gli Stati membri mantengono ognuno la propria sovranità ed indipendenza individuale.

D’altro canto, è evidente, e lo è stato sin dal principio dell’integrazione europea, che, quantomeno in linea generale, l’Unione abbia sempre mirato, come obiettivo ideale da

dato che i lavori preparatori della CIG non sono stati resi pubblici. Da parte nostra, possiamo solo ipotizzare che, considerata anche la distanza temporale abbastanza ravvicinata fra le due sedi di discussione, i fautori della previsione siano stato mossi perlopiù da intenzione e motivazioni analoghe, quali che fossero.

215 Sembra non porsi neppure il dubbio S

CARCIGLIA, op. cit., p. 386, che parla di “diritto di recesso volontario (o di secessione riconosciuto dall’articolo I-60 del Trattato costituzionale, come anche nel Trattato di Lisbona”. MARTINICO, Il federalismo dei vinti. Appunti sul pensiero di John C. Calhoun, cit., p. 118, sottolinea la straordinaria attualità della definzione di secessione data da Calhoun (“Secession is a withdrawal from the Union; a separation from partners, and, as far as depends on the members withdrawing, a dissolution of partnership. It presupposes an association; a union of several States or individuals for a common object […]”, in J.C.CALHOUN, To General Hamiltonon the subject of State

Interposition, 28 agosto1832), accostandola alla formulazione dell’art. 50 TUE per l’uso comune del

termine “withdrawal”, ad apparente sostegno delle “tesi sulla “comparabilità” del processo integrativo sovranazionale” con la formazione e lo sviluppo degli USA, e facendo emergere la necessità di non considerare la “secessione” (o il recesso) come una patologia nell’ambito UE.

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raggiungersi attraverso tappe graduali, ad una qualche forma di unificazione politica fra gli Stati che la compongono, organizzata all’incirca secondo le linee di un ordinamento federale, il che rende non del tutto ingiustificato ogni tentativo di paragonare le due differenti figure216.

Si ha un caso di secessione quando ricorre il distacco, unilaterale o consensuale che sia, di parte del territorio di uno Stato preesistente, la quale tende ad organizzarsi a sua volta come Stato sovrano, conseguendo un’indipendenza de jure o de facto, con il risultato della “nascita di uno o più Stati su una parte del territorio dello Stato predecessore”217. La secessione è un fenomeno che presenta forti legami con la forma di Stato federale218, non nel senso che può verificarsi soltanto in questo tipo di ordinamenti219, ma in quello che, sicuramente, essa risulta più agevole da un punto di vista pratico e maggiormente concepibile in prospettiva teorica negli Stati dove esistono già unità territoriali subnazionali autonome e territorialmente circoscritte, dotate di proprie istituzioni e di un qualche grado di autonomia politica, legislativa e giudiziaria.

Questi ultimi costituirebbero quindi dei veri e propri Stati in embrione che con più facilità potrebbero adattarsi al funzionamento quali entità indipendenti, avendo già una certa esperienza nella gestione diretta dei propri affari ed interessi.

Basti ricordare qui gli esempi offerti dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Belgio, dalla Spagna, tutti Paesi federali, o quantomeno caratterizzati da forme di decentramento politico su base territoriale che li avvicinano notevolmente agli esponenti di tale categoria tassonomica, che in tempi recenti e meno recenti hanno avuto a che fare con la secessione, sia pur con atteggiamenti ed esiti differenti.

Inoltre, come si è già rammentato supra, nella prima parte di quest’elaborato, la secessione ha acquisito in tempi recenti un particolare risalto nell’UE.

Risulta a prima vista curioso che ciò sia avvenuto in un contesto dal quale pure, secondo analisi dottrinarie del passato220, ci si aspettava che, diminuendo fortemente

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Anche GATTI, op. cit., p. 1, parla della “(quasi-)federal nature” dell’UE come di uno dei fattori che secondo alcuni autori rendono difficile, da un punto di vista teorico, giustificare il recesso unilaterale dall’Unione, osservando che ad ogni modo “The ideas of ‘federalism’ and ‘federation’ are of course polysemic” e rinviando per maggiori dettagli a M.CLAES AND M.DE VISSER, ‘The Court of Justice as a

Federal Constitutional Court: A Comparative Perspective’, in CLOOTS ET AL. (eds.), Federalism in the

European Union (Hart 2012) p. 83 at pp. 83-85.

217 R

ONZITTI, op. cit., p. 93. In teoria si tratta di un fenomeno ben distinto da quello dello smembramento o della dissoluzione, caratterizzato dal ricorrere della “nascita di più Stati sull’intero territorio appartenente allo Stato predecessore con conseguente estinzione di quest’ultimo”, ma come osserva l’autore, non sempre la distinzione risulta altrettanto facile nella pratica, come esemplifica ad esempio la vicenda dell’ex Jugoslavia.

218

Come scrive R. J. FRIEL, Secession from the European Union: Checking Out of the Proverbial

“Cockroach Motel”, in Fordham International Law Journal, Volume 27, Issue 2, 2003, Article 4,

disponibile in https://ir.lawnet.fordham.edu/ilj/vol27/iss2/4/, p. 600. “Historically, most federations have

had to deal with the issue of secession at some point in their past. Experience tells us that results have been mixed, and in some cases the federal experiment is still under way. […] Maintaining federations is not an easy task, nor is success guaranteed. Sometimes the price to be paid is exceptionally high”. 219 Lunga è la lista dei tentativi di secessione o delle iniziative separatiste che si registrano anche in Stati normalmente classficati come “unitari” o al più “regionali”, come la Francia e l’Italia.

220 Lo osserva C

LOSA, Troubled Membership: Secession and Withdrawal, cit., p. 2, definendolo “an irony of destiny” e rinviando, per maggiori dettagli, alle tesi esposte nel medesimo volume nei contributi di N.

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l’importanza pratica ed ancora di più il prestigio percepito dell’organizzazione di un’entità politico-territoriale sotto forma di Stato sovrano, avrebbe eliminato o ridotto i motivi che spingevano alcune regioni a cercare l’indipendenza, dato che, in un ordinamento sovranazionale fortemente integrato, la sovranità non avrebbe più goduto dell’appeal tradizionale, senza contare le nuove e numerose forme di partecipazione riservate nei procedimenti decisionali europei alle unità subnazionali.

I risultati si sono rivelati, tuttavia, ben distanti dalle aspettative, cosicché, oggi più che mai, in alcuni Stati dell’Unione si registrano fermenti separatisti, che coinvolgono molti degli Stati che abbiamo già nominato e nei quali l’Unione si trova sovente in una posizione difficile, dovendo attenersi ai propri principi di non intromissione negli affari nazionali degli Stati membri e al contempo agire per preservare la stabilità complessiva dell’UE221

.

Allo stesso tempo, questi nuovi sentimenti secessionisti hanno avuto modo di interagire con quelli euroscettici e favorevoli all’uscita di Stati membri dall’Unione, producendo risultati diversificati e peculiari, ai quali abbiamo accennato in modo più particolareggiato nell’introduzione di questo lavoro, di convivenza e/o contrapposizione fra queste tendenze.

In breve, sembra che il principale punto di contatto fra la secessione da uno Stato membro dell’UE ed il recesso di uno Stato membro dall’UE sia che entrambi i gesti tendono a contestare lo status quo ed a proporre una modifica radicale della realtà vigente, mutando la posizione di parte del territorio statale o dello Stato stesso nell’ordinamento sovranazionale europeo e quindi la composizione di quest’ultimo (aggiungendovi un nuovo membro nel primo caso, sottraendone uno nel secondo). In questo modo, tuttavia, quello che contestano non è tanto il quadro generale nel quale gli attori istituzionali agiscono di per sé, bensì la sua attuale articolaziome, per la quale si limitano a proporre una variazione e non una ristrutturazione completa e totale. Semplicemente, i fautori dell’indipendenza e della successiva adesione all’UE del nuovo Stato, accogliendo appieno la tradizionale configurazione dello Stato come ente sovrano ed indipendente dotato di un proprio popolo e di un proprio territorio delineato da confini ben precisi, mirano a conseguire tale traguardo per il proprio territorio di riferimento, tentando se possibile di inserirlo anche nella “famiglia” UE, percepita come il luogo dove si riuniscono gli Stati europei “che contano” e che possono così aspirare

WALKER, Internal Enlargement in the European Union: Beyond Legalism and Political Expediency, e C. FASONE, Secession and the Ambiguous Place of Regions Under EU Law.

221 Sul tema dei recenti tentativi di secessione nell’UE si rinvia più nello specifico a M.C

AMPINS ERITJA,

The European Union and the Secession of a Territory from a EU Member State, in Processi di secessione e ordinamenti democratici dal punto di vista del diritto internazionale e comparato, sezione monografica

a cura di A.MASTROMARINO in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 2/2015, oppure o T. CERRUTI,

Istanze indipendentiste nell’Unione Europea, in Rivista AIC, N° 3/2015, 10/7/2015. Gli autori in

questione si soffermano in particolare sulle loro conseguenze e sulla possibilità per la nuova entità statuale nata dalla secessione da uno Stato membro di acquisire tale qualità in maniera automatica o semplificata rispetto al procedimento prevedono i Trattati.

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ad un certo livello di benefici ed influenza, facendosi riconoscere come un membro alla pari di tutti gli altri222.

Tuttavia, un ragionamento non troppo dissimile è quello che muove anche i sostenitori del recesso dall’Unione.

Anche costoro, infatti, non solo non rigettano il tradizionale paradigma statalista, ma anzi, se possibile, intendono rafforzarlo ulteriormente, sostenendo la necessità o l’opportunità di rimuovere tutta una serie di limiti imposti (o meglio autoimposti) alla sovranità dello Stato, che si vuole restituire pienamente alla sua configurazione storica di superiorem non recognoscens, distaccandolo da qualsiasi vincolo sovranazionale che, si immagina, ne limiti l’onnipotenza e quindi la capacità di perseguire i propri interessi nel modo migliore.

Secondo la loro ricostruzione, il modo migliore in cui lo Stato può mantenere ed eventualmente accrescere l’influenza della quale già gode ed i connessi benefici non è approfondendo l’integrazione con altri Paesi secondo regole comuni, bensì, al contrario, resistendo ad ogni tentativo in questo senso ed eventualmente fuoriuscendo da un sistema che si crede non tuteli a sufficienza la specificità degli interessi nazionali. Allargando lo sguardo ad un orizzonte più ampio, ci si può accorgere che constatazioni analoghe valgono in generale per tutti i casi di secessione, che si appoggino o no alla relativa sicurezza offerta dalla possibilità della successiva adesione ad un’organizzaziome sovranazionale.

Nessuna entità secedente, infatti, a quanto risulta, ha tentato di sperimentare qualcosa di diverso dalla costruzione di uno Stato nazionale del tipo usuale, ma ha rivolto i propri sforzi verso il raggiungimento di un obiettivo meno rivoluzionario, quale il distacco dallo Stato madre e la delineazione di nuovi confini, spesso ricalcati su quelli che la singola unità amministrativa occupava prima di accedere all’indipendenza.

In questo modo non hanno fatto altro che confermare la perdurante validità del modello contemporaneo di comunità internazionale, che, sia pur in mezzo a diffuse osservazioni circa il declino del concetto tradizionale di sovranità nazionale e l’ascesa del ruolo delle organizzazioni internazionali regionali e non, vede come principali soggetti giuridici rilevanti nel suo ambito gli Stati, ai quali si rivolge in primo luogo il diritto internazionale con le sue previsioni.

D’altra parte, vale la pena sottolineare che, nella gran parte dei casi, la secessione, al contrario di quanto accade per il recesso ex art. 50 TUE, non è disciplinata espressamente da un qualche corpus giuridico, bensì viene lasciata nell’incertezza per via del silenzio delle fonti in materia.

222 Chiaramente, questo non significa che il secessionismo all’interno di alcuni Stati membri non rappresenti, almeno in parte, la risposta all’insoddisfazione di una parte dell’opinione pubblica nazionale verso difetti e malfunzionamenti della democrazia a livello europeo, oltre che statale. Come scrive WEILER, Secessionism and its discontents, cit., p. 26, commentando le sue conclusioni circa il rapporto fra secessionismo e relazioni con l’UE: “I had earlier stated that internal secessionist trends such as Scotland and Catalonia see a safe haven in the European Union. This however does not contradict my argument that the failures of European democracy are a catalyst in underming democracy itself which is one of the feeders of secessionism”.

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Ne tratteremo più approfonditamente quando ci concentreremo sulle affinità fra la disposizione europea e le clausole costituzionali di secessione.

Per ora, sarà sufficiente ricordare che, data la scarsità o, più spesso, la vera e propria