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Ozurdex e pucker. Modificazioni retiniche nella chirurgia del pucker maculare con impianto di Desametasone a lento rilascio.

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- 1 - Membrana Epiretinica ... 3 -Epidemiologia ... - 5 - Etiopatogenesi ... - 6 - Clinica ... - 7 - Diagnosi ... - 11 - Diagnosi differenziale ... - 13 - Istopatologia ... - 14 - Trattamento ... - 15 - Decorso ... - 17 -

Tomografia a coerenza ottica ... 20

-Principi di base e tecnica ... - 23 -

Diagnostica retinica ... - 25 -

OCT nella diagnosi delle membrane epiretiniche ... - 27 -

Tonometria ... 31 -Tonometria ad applanazione ... - 32 - Tonometro di Goldmann ... - 34 - La pressione intraoculare ... - 35 - Vitrectomia ... 38 -Valutazione preoperatoria ... - 39 - Indicazioni ... - 40 - Anestesia ... - 40 - Tecnica chirurgica ... - 41 - Complicanze ... - 44 - L’Ozurdex ... 46 -Approcci al trattamento ... - 47 -

Panoramica del mercato ... - 48 -

Il desametasone ... - 49 -

Chimica e meccanismo d’azione ... - 50 -

L’impianto intravitreale ... - 51 -

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Efficacia clinica ... - 53 -

Sicurezza clinica e tollerabilità ... - 54 -

Studio clinico ... 55 -Materiali e metodi ... - 55 - Risultati ... - 60 - Discussione ... - 65 - Conclusioni ... - 70 - Bibliografia ... 72

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Membrana Epiretinica

La membrana epiretinica (epiretinal membrane ERM) è una membrana fibrocellulare avascolare che prolifera in corrispondenza dell’interfaccia vitreoretinica fino a produrre disfunzioni maculari di vario grado.

La membrana si forma sopra lo strato più interno della retina e può avere aspetto oftalmoscopico trasparente, traslucente, pigmentato o opaco, in relazione alla sua densità e all'eventuale associazione di deformazioni dell’albero vascolare retinico.

Si suppone che la separazione vitreale posteriore giochi un ruolo nell’eziologia di questa patologia, che origina dalla proliferazione di cel-lule gliali migrate sulla superficie retinica attraverso rotture della mem-brana limitante interna. Tali rotture si formerebbero per il distacco della porzione posteriore del vitreo dalla regione maculare.

Il principale fattore patogenetico della ERM consiste nel suo effetto di trazione sulla macula che provoca una distorsione retinica e causa edema maculare.

I disturbi visivi correlati alla ERM dipendono dal suo grado di opacità e dalla distorsione maculare provocata dalla retrazione del tessuto fibrocel-lulare. Possono consistere in metamorfopsie o perdita della visione cen-trale.

Le complicanze maggiori dell’ERM sono rappresentate da emorragie in-traretiniche o preretiniche, pseudoforo e foro maculare.

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Sinonimi di ERM sono: pucker maculare, fibrosi o gliosi premaculare, retinopatia da raggrinzimento della superficie e cellophane maculare. Il termine cellophane maculare ė abitualmente usato per i casi meno gravi, mentre si utilizza più spesso il termine pucker maculare per indicare i ca-si più gravi, con maggior spessore e contrazione della membrana.

La terapia della membrana epiretinica è l’asportazione chirurgica, pee-ling, indicata in pazienti con significativi sintomi visivi in quanto risulta efficace nell’aumentare l’acutezza visiva e ridurre le metamorfopsie.

Figura 1. Illustrazione dell’aspetto del pucker maculare all’esame biomicroscopico del fundus

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Epidemiologia

La ERM può essere idiopatica, insorgendo senza causa riconosciuta in occhi altrimenti sani, oppure secondaria a malattie vascolari retiniche, in-fiammazioni o traumi oculari, rotture retiniche o distacchi retinici regma-togeni, fotocoagulazione, crioterapia.

La prevalenza totale di ERM in soggetti di 50 o più anni in visita oculi-stica si attesta intorno al 6%(1). Anche le casistiche autoptiche riportano una prevalenza di circa il 6%, che aumenta proporzionalmente all’età(2)

. La maggior parte delle ERM idiopatiche insorge in pazienti con più di 50 anni, ma anche bambini e giovani adulti possono esserne affetti(3,4). Le membrane epiretiniche idiopatiche sono bilaterali nel 20-30% dei casi

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.

Una significativa perdita della visione centrale non è comune(5).

L’incidenza di ERM sintomatiche secondarie a riparazioni di distacchi di retina regmatogeni è del 4-8%(6). L’incidenza di ERM sintomatiche se-condarie a trattamento profilattico di rotture retiniche periferiche è del 1-2%(7). I fattori di rischio per ERM secondaria a intervento chirurgico convenzionale per distacco di retina includono età avanzata, emorragie vitreali intraoperatorie, distacco della macula, segni preoperatori di proli-ferazione vitreoretinica, grandi rotture, uso di criotrattamento e interventi multipli(6,8,9).

Lievi forme di ERM si associano comunemente a traumi oculari contusi-vi o penetranti, infiammazioni contusi-vitreali, vasculopatie retiniche con edema intraretinico cronico, ed emorragie vitreali di lunga durata(9). Escluso il

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trauma oculare penetrante, le altre condizioni appena citate sono poco comuni, e in queste l’alterazione maculare è risultato della contrazione della membrana epiretinica(10).

Etiopatogenesi

In circa il 90% delle membrane epiretiniche idiopatiche si riscontra un distacco posteriore di vitreo(3,5,11) e questo distacco è virtualmente pre-sente nella totalità delle membrane secondarie a rotture retiniche e di-stacchi retinici regmatogeni. Questo fatto spiega perché diffusamente si ritiene che le membrane epiretiniche idiopatiche siano prodotte da cellule gliali retiniche che migrano attraverso difetti della membrana limitante interna, per proliferare e contrarsi sulla superficie retinica interna(2,12,13). Studi recenti ipotizzano un ruolo delle cellule dell’epitelio retinico pig-mentoso, rilevate in stretta associazione con miofibroblasti, in campioni chirurgici di ERM associata o meno a distacco di retina(14). Molte dei-scenze della membrana limitante interna sono probabilmente create al momento della separazione del vitreo(9). L’osservazione di membrane idiopatiche in occhi senza distacco posteriore di vitreo suggerisce però che tale migrazione cellulare possa avvenire attraverso difetti preesistenti o assottigliamenti della membrana limitante interna(15). Un meccanismo patogenetico alternativo proposto per le membrane epiretiniche idiopati-che considera la proliferazione, metaplasia e contrazione degli ialociti che si trovano sulla superficie retinica interna dopo il distacco posteriore di vitreo(9).

Le membrane epiretiniche secondarie in occhi con rotture retiniche rap-presentano più probabilmente una forma media di proliferazione

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vitreo-- 7 vitreo--

retinica causata dalle cellule dell’epitelio pigmentato retinico liberate nella cavità vitreale, che proliferano insieme ad altri tipi cellulari e for-mano una membrana contrattile. Per i rimanenti tipi di membrane epire-tiniche secondarie una patogenesi plausibile è una proliferazione cellula-re stimolata da infiammazione vitcellula-reale o da rottura della barriera emato-retinica.

Clinica

Lo spessore e il raggrinzimento della membrana determinano gli aspetti clinici di questa patologia.

La forma lieve, cellophane maculare, con membrana sottile e trasparente, è spesso asintomatica perché non produce distorsioni della superficie re-tinica. Nei casi asintomatici all’esame biomicroscopico si può notare un anormale riflesso luminoso, traslucido o irregolare, a livello della macu-la, meglio osservabile con luce rosso priva.

Membrane sottili con limitata contrazione o raggrinzimento producono fini striature irregolari o pieghe confinate alla membrana limitante inter-na e al tessuto retinico interno. I piccoli capillari possono essere tortuosi anche senza spostamento dei vasi più grandi. Queste forme possono ri-sultare asintomatiche o produrre metamorfopsie di durata incerta.

Membrane epiretiniche più spesse e contratte producono trazioni tangen-ziali su tutto lo spessore della retina neurosensoriale inducendo un grado maggiore di disfunzione maculare. La membrana stessa può rimanere larga e invisibile, pur provocando tortuosità e stiramenti dei vasi retinici. In altri casi la membrana può apparire grigio biancastra semitrasparente

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e oscurare parzialmente la visione dei vasi retinici. Alcune membrane, in particolare se secondarie a rotture retiniche o a distacchi regmatogeni, possono essere opache, bianche, occasionalmente scure. Spesso una componente importante dell’opacità è lo sbiancamento della retina inter-na posta sotto le membrane, presumibilmente da stasi assoplasmica do-vuta a trazione dello strato di fibre nervose.

I pazienti con membrane epiretiniche che causano una distorsione macu-lare a tutto spessore, pieghe o trazioni, lamentano tipicamente metamor-fopsie, perdita di acutezza visiva e occasionalmente fotopsia centrale. Alcuni pazienti con membrana epiretinica che non comporta gravi dimi-nuzioni dell’acutezza visiva lamentano macropsia, presumibilmente per l’affollamento dei fotorecettori dovuto alla trazione retinica tangenziale. La trazione della membrana epiretinica sulla retina può causare edema maculare, emorragie preretiniche o intraretiniche o distacchi maculari trazionali. I distacchi trazionali della macula possono essere sollevamenti pianeggianti visibili solo alla biomicroscopia con lente a contatto, oppure evidenti bordi di distacco che attraversano la macula.

In alcuni casi, la membrana epiretinica posta eccentricamente può porta-re a uno spostamento laterale della fovea senza distacco dell’epitelio pigmentato retinico, una ectopia foveale. Questa situazione comporta una relativa conservazione dell’acutezza visiva e sintomi di diplopia cen-trale binoculare.

Quando è presente un difetto nella porzione prefoveale della membrana epiretinica, all’esame biomicroscopico con lampada a fessura, può simu-lare l’aspetto di un foro macusimu-lare a tutto spessore (16). L’aspetto di uno

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pseudoforo risulta da un difetto nel tessuto epiretinico, come lo sposta-mento anteriore e centrale della retina perifoveale, clivus, durante la con-trazione della membrana(9). L’approfondimento della depressione foveale e la ripidità della sua parete alterano il riflesso della fovea, che risulta con aspetto rossiccio che aumenta la somiglianza con un difetto macula-re a tutto spessomacula-re. I segni biomicroscopici utili a distinguemacula-re uno pseu-doforo maculare da un vero foro maculare comprendono: raggrinzimento della superficie retinica interna che circonda il foro; presenza di tessuto retinico alla base dello pseudoforo; assenza nello pseudoforo di depositi gialli dell’epitelio pigmentato retinico alla base del foro, alone di distac-co del neuroepitelio e un sovrastante operdistac-colo o pseudooperdistac-colo. Alla fluoroangiografia gli pseudofori mostrano nessuna o media iperfluore-scenza, in contrasto con il foro maculare a tutto spessore. Gli occhi con pseudofori sono minimamente sintomatici e con acuità visiva per lontano e per vicino normale, a differenza dei veri fori maculari.

Occasionalmente la trazione foveale tangenziale dovuta alla contrazione della membrana può causare un foro maculare a tutto spessore. Questi fori hanno di norma forma ovale e talvolta possono essere difficili da di-stinguere dagli pseudofori. La scarsa acuità visiva, l’assenza di tessuto retinico alla base del foro e la cospicua iperfluorescenza alla fluoroan-giografia sono importanti segni di foro a tutto spessore. Questo è un meccanismo patogenetico inusuale per il foro a tutto spessore, mentre la membrana epiretinica lieve, a cellophane, comunemente si forma a se-guito di fori maculari idiopatici, presumibilmente come risposta di cica-trizzazione.

La trazione maculare cronica o la diffusione vascolare retinica dovuta a membrane epiretiniche possono portare ad alterazioni ipertrofiche

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dell’epitelio pigmentato retinico, o ad atrofia(16)

. Questi sono considerati generalmente segni di prognosi visiva scarsa dopo rimozione chirurgica della membrana epiretinica(8).

La trazione vascolare e la diffusione causate dalle membrane epiretiniche occasionalmente producono essudati intraretinici duri o cambiamenti mi-crovascolari come microaneurismi. Questi reperti possono però anche essere segnali della presenza di patologie associate, come una membrana neovascolare coroideale, o una occlusione cronica di un ramo della vena retinica, che possono richiedere trattamenti differenti e alterare la pro-gnosi visiva.

In rari casi la membrana epiretinica con deiescenza centrale contraendosi può dare un prolasso anteriore del tessuto foveale attraverso il foro nella membrana(17).

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Diagnosi

La diagnosi di ERM è basata sulla rilevazione biomicroscopica delle al-terazioni sopra descritte e può spesso rappresentare un reperto occasiona-le in pazienti asintomatici o paucisintomatici.

Figura 2. Foto di ERM alla biomicroscopia. Il riflesso irregolare e brillante dalla superficie retinica permette di identificare la membrana epiretinica trasparente.

In pazienti con membrane evidenti e mezzi diottrici trasparenti i test strumentali sono generalmente superflui. La biomicroscopia con lente a contatto (figura 2) frequentemente aiuta nell’identificazione delle mem-brane trasparenti o traslucide, in particolare in occhi con irregolarità del-la superficie corneale od opacità dei mezzi diottrici(9). In più la risoluzio-ne eccellente e la stereopsi che si ottengono con la lente a contatto

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per-- 12 per--

mettono di valutare il grado di distorsione della macula, il suo ispessi-mento, spostamento o distacco dalla membrana. Osservare all’esame con lente a contatto i margini di membrane sottili può essere utile per pianifi-care l’intervento. L’esame o la fotografia della macula con luce rosso priva possono sottolineare i riflessi brillanti e quindi aiutare l’identificazione della membrana.

Il test di Watzke Allen, con lampada a fessura, o la luce di puntamento del laser possono aiutare a differenziare lo pseudoforo maculare dal foro maculare a tutto spessore, che complica la membrana epiretinica.

Quando le condizioni cliniche, per esempio un’opacità dei mezzi diottri-ci, precludono un adeguato esame biomicroscopico della regione macu-lare, la tomografia a coerenza ottica (optical coherence tomography OCT) è spesso utile per evidenziare la presenza di una membrana epire-tinica e la presentazione morfologica dei vari strati retinici.

Sebbene non necessaria in ciascun caso, l’OCT si rivela utile per valuta-re il profilo valuta-retinico, la conservazione della morfologia foveale, la pvaluta-re- pre-senza di edema retinico e di cisti intraretiniche, lo spessore e il volume retinici. Gli pseudofori e i fori maculari possono essere differenziati e valutati grazie all’ottima visualizzazione dei differenti strati retinici. La risoluzione spaziale che si ottiene all’OCT permette di valutare finemen-te l’infinemen-tegrità della strutture retinica, e può fornire utili indicazioni circa il recupero ottenibile con il trattamento.

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Diagnosi differenziale

Le patologie che più comunemente entrano in diagnosi differenziale con la ERM sono la sindrome da trazione vitreomaculare, l’edema maculare cistoide postchirurgico, il foro maculare a tutto spessore, l’amartoma combinato dell’epitelio pigmentato retinico (retinal pigment epithelium RPE), l’edema del disco ottico per membrana epiretinica iuxtapapillare e il notevole riflesso maculare fisiologico in soggetti giovani.

L’anamnesi può distinguere un foro maculare a tutto spessore quando questo comporta un calo dell’acuità visiva sotto i 5/10 e scotomi, ed è fondamentale nel valutare l’edema maculare cistoide postchirurgico. L’eventuale presenza di valutazioni precedenti di un notevole riflesso maculare e un loro progressivo calo d’intensità possono aiutare a identi-ficare un riflesso fisiologico in un soggetto giovane.

L’esame biomicroscopico alla lampada a fessura con una lente per met-tere a fuoco il fondo dell’occhio permette spesso di localizzare un edema al disco ottico, e di individuare un punto di colore giallo o un difetto di forma ovale, rotonda, a mezza luna o a ferro di cavallo in casi di foro maculare a tutto spessore.

Il foro maculare a tutto spessore entra in diagnosi differenziale con la ERM con pseudoforo maculare. Il test di Watzke Allen valuta soggetti-vamente un difetto retinico a tutto spessore e può essere attendibile nel dirimere questo dubbio diagnostico. Si effettua con la lampada a fessura: si dirige un sottile fascio verticale di luce sull’area dove si sospetta il fo-ro a tutto spessore e si indaga la percezione del paziente. Il test indica la

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presenza di un foro a tutto spessore quando viene percepita una interru-zione nella linea luminosa.

Quando la biomicroscopia del fundus e l’anamnesi non riescono a diri-menti questi dubbi diagnostici si può far ricorso alla tonometria a coe-renza ottica. L’OCT riesce a evidenziare con precisione le strutture ana-tomiche del fondo dell’occhio e dà immagini diverse in ciascuna delle patologie citate sopra: esclude la presenza di una membrana al davanti della membrana limitante interna nella trazione vitreomaculare; eviden-zia edemi intraretinici con ottima sensibilità compresi i cistoidi postchi-rurgici; mostra gli strati retinici permettendo di valutare la morfologia dell’RPE ed eventuali amartomi; definisce la normalità della retina carat-teristica del riflesso maculare spiccato nei giovani; individua con preci-sione il disco ottico consentendo la localizzazione degli edemi.

Una diagnosi corretta è di grande importanza perché le patologie sopra citate differiscono dalla ERM per trattamento e per prognosi.

Istopatologia

Studi istopatologici e ultrastrutturali hanno dimostrato che le membrane epiretiniche sono costituite da fogli fibrocellulari di vario spessore, in cui sono stati rilevati sia il vitreo nativo che il nuovo collageno sintetizza-to(2,14,18-20). I reperti chirurgici mostrano comunemente frammenti di membrana limitante interna(19), che suggeriscono che la rimozione di queste membrane non preclude il buon visus.

Gli elementi cellulari riscontrati nelle ERM possono essere cellule dell’epitelio pigmentato retinico, astrociti, fibrociti, e macrofagi. I tipi

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cellulari ritrovati in ciascuna membrana possono dipendere in parte dalla patologia oculare associata(2,16,18-20). L’identificazione precisa dell’origine delle cellule formanti la membrana epiretinica dipende dall’abilità di ciascuna di queste di trasformarsi in tipi cellulari con mor-fologia e funzione simili(9). Il fatto che il tipo cellulare più rappresentato in molte ERM idiopatiche sia l’epitelio pigmentato retinico non è ancora ben compreso(19), ma può essere spiegato da una migrazione transretinica in risposta a stimoli biochimici(21). Molti tipi cellulari ritrovati in mem-brane epiretiniche sono capaci di assumere proprietà miofibroblastiche, ciò permette loro di cambiare aspetto e di causare la contrazione della membrana(9,14).

Trattamento

Le ERM lievi, che non comportano nessun sintomo, non hanno nessuna indicazione terapeutica. Casi più gravi, con significative diminuzioni dell’acuità visiva o con metamorfopsie, beneficiano di norma della chi-rurgia vitreoretinica con asportazione della membrana epiretinica (pee-ling) dalla superficie della macula. Lo scopo di questa chirurgia è elimi-nare o ridurre i più comuni fattori patogenetici di alterazione del visus, come la distorsione maculare, il distacco maculare trazionale, l’ectopia foveale, l’edema maculare e l’ostruzione del flusso assoplasmatico dovu-to alla trazione.

L’asportazione chirurgica è raccomandata per pazienti che soffrono di importante perdita visiva, di metamorfopsie marcate, o di diplopia bino-culare centrale. Spesso le membrane epiretiniche mostrano scarsa o nes-suna progressione dopo la diagnosi iniziale, quindi la chirurgia non è

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giustificata a scopo profilattico se la membrana è di lieve entità. I bene-fici maggiori della terapia chirurgica si hanno in casi di membrane di re-cente insorgenza e le possibilità di recupero visivo si riducono con l’aumentare del periodo sintomatico preoperatorio(8)

. Comunque un re-cupero postoperatorio non è precluso per pazienti che hanno sintomi che durano da più di un anno. Una valutazione preoperatoria accurata di tutti gli occhi serve a escludere ulteriori cause di diminuzione dell’acutezza visiva, come neovascolarizzazione coroideale, ischemia maculare, pre-cedenti occlusioni vascolari retiniche, o altre patologie preesistenti. Le tecniche convenzionali di vitrectomia via pars plana (pars plana vi-trectomy PPV) (figura 3) sono usate per rimuovere il gel vitreale, che in molti casi si è precedentemente separato dalla retina posteriore. Con uno strumento appuntito da vitreoretina viene preso un margine della mem-brana epiretinica, o con un ago tagliente con una punta modellata si crea un margine. Si separa una porzione di membrana dalla retina, e l’asportazione si completa tipicamente con le pinze. La membrana epire-tinica viene rimossa normalmente come singolo pezzo. Occasionalmente, in siti di forti adesioni alla retina, le membrane vengono amputate, per evitare rotture retiniche iatrogene nella macula.

La complicanza chirurgica più comune è la cataratta nucleare, che avvie-ne avvie-nel 60-70% degli occhi entro due anni, con incidenza più bassa in pa-zienti sotto i 50 anni(8, 22). Complicanze meno comuni includono rotture retiniche periferiche, distacco di retina regmatogeno, rotture retiniche posteriori, maculopatia fotica e endoftalmiti. Le recidive postoperatorie

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di tessuti epiretinici sintomatici avvengono in circa il 5% dei pazienti.

Decorso

Molti casi di membrana epiretinica presentano piccola o nessuna pro-gressione dei sintomi dopo l’iniziale diagnosi, quindi la contrazione delle membrane avviene solitamente subito dopo la loro formazione, per poi stabilizzarsi. Nel 10-25% dei casi comunque si nota un declino dell’acutezza visiva nel tempo, la percentuale di progressione varia da più di qualche mese a molti anni(9).

Figura 3. Illustrazione schematica di PPV che mostra il punto di in-gresso degli strumenti. Da sinistra si notano una pinza, uno stru-mento per l’illuminazione e la cannula d’infusione.

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In rari casi le membrane epiretiniche si separano spontaneamente dalla retina, con miglioramento della visione(9). Circa il 20% dei pazienti che sviluppano un pucker dopo il cerchiaggio sclerale presenta un migliora-mento spontaneo dell’acuità visiva, risultato di risoluzione dell’edema maculare e rilassamento o “peeling” parziale della membrana epiretini-ca(6).

Dopo la rimozione chirurgica delle membrane epiretiniche, molte delle distorsioni maculari e tutti gli sbiancamenti si risolvono, di solito entro giorni o settimane dall’intervento. L’edema maculare cistoide associato può risolversi o persistere cronicamente. Il miglioramento visivo di due o più linee di Snellen si ha nel 60-85% degli occhi e può continuare per 6-12 mesi dopo l’intervento(8,11,24)

. Solo un piccolo numero di occhi, 2-15%, ha un peggioramento visivo dopo la chirurgia(8,11,24).

In molti occhi dopo l’intervento l’acutezza visiva migliora e le metamor-fopsie si riducono significativamente, ma la funzione visiva raramente torna alla normalità. I pazienti sono comunemente informati che note-ranno un miglioramento dell’acutezza visiva, approssimativamente metà tra quella preoperatoria e quella normale. I fattori prognostici influenti per l’acuità visiva finale includono il livello di visione preoperatorio, la durata dei sintomi prima dell’intervento, e la natura del danno maculare precedente(8, 23). Occhi con acuità visiva preoperatoria più bassa tipica-mente guadagnano un numero maggiore di linee, ma tendono ad avere minore acuità visiva finale rispetto a occhi con acuità preoperatoria più alta(23).

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Il valore prognostico dell’edema maculare preoperatorio è controverso, la fluoroangiografia probabilmente non aiuta a predire il risultato visivo in pazienti sottoposti a intervento per membrane epiretiniche idiopatiche.

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Tomografia a coerenza ottica

La tomografia a coerenza ottica (figura 4) è un metodo di imaging dei tessuti intraoculari rapido, senza contatto, e non invasivo, che per le pa-tologie retiniche ha notevolmente migliorato la capacità di diagnosi pre-coce, la comprensione della patogenesi, e il monitoraggio della progres-sione e della

rispo-sta alla terapia(25). Nel 1991 Huang e altri hanno presenta-to la presenta-tomografia a coerenza ottica, OCT, come una tecnica sviluppata per l’imaging di si-stemi biologici non invasivo, che usa l’interferometria a

bassa coerenza per produrre un’immagine bidimensionale della disper-sione ottica proveniente dalle microstrutture interne a un tessuto, in ma-niera analoga all’imaging ecografico(26)

.

Huang aveva dimostrato in vitro l’imaging tomografico dell’area peripa-pillare della retina e dell’arteria coronarica, due esempi clinici significa-tivi che rappresentano rispettivamente mezzi trasparenti e torbidi(26) e messo in evidenza il fatto che l’OCT può mantenere un’alta risoluzione

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della profondità anche attraverso una piccola apertura, questa utile carat-teristica ha poi permesso uno sviluppo notevole di questa tecnologia in campo oftalmologico, in particolare per l’imaging del polo posteriore dell’occhio con approccio transpupillare non invasivo(26,27)

.

Le prime immagini retiniche OCT furono ottenute indipendentemente nel 1993 da Fercher e altri, e da Swanson e altri, e il primo apparecchio OCT con capacità diagnostiche per le strutture del polo posteriore fu di-sponibile nel 1995(25).

L’OCT ha avuto il maggior impatto nel campo dell’oftalmologia, dove fornisce informazioni strutturali e quantitative che non possono essere ottenute con nessun’altra modalità(25); l’uso di questa tecnologia si è lar-gamente diffuso dalla seconda metà degli anni ‘90 grazie alla sua capaci-tà di visualizzare le strutture oculari ad alta definizione(27). Oggi l’OCT è uno standard di cura in oftalmologia ed è considerato essenziale per la diagnosi e il monitoraggio di molte patologie retiniche(25).

Alla sua introduzione nella pratica clinica veniva usato per ottenere se-zioni incrociate del segmento anteriore, e per patologie retiniche come distacco e foro maculare, membrana epiretinica, edema maculare e corio-retinopatia centrale idiopatica sierosa(27).

Questo strumento è molto utile perché dà la possibilità di eseguire una “biopsia ottica” in tempo reale perché delinea i vari strati della retina (fi-gura 5), quindi permette di identificare dettagli morfologici che prima potevano essere visualizzati solo all’analisi istopatologica: in oftalmolo-gia ha permesso di identificare stadi precoci di malattia, prima che insor-gano sintomi o perdite irreversibili della vista(25).

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L’OCT dà un’aggiunta potente al convenzionale esame del fundus e alla fluoroangiografia, perché rappresenta un test diagnostico sensibile e an-che un mezzo per seguire la progressione di patologia e il monitoraggio del trattamento(25).

Figura 5. Visualizzazione degli strati retinici all'OCT. La scansione a livello foveolare mostra come i vari strati della retina possono essere distinti con questa metodica.

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Principi di base e tecnica

L’imaging OCT è analogo all’imaging ultrasonografico, con la differen-za che vengono usate riflessioni della luce infrarossa invece che onde sonore (figura 6). Le immagini di sezione trasversale sono generate scan-sionando il tessuto con un fascio ottico e misurando il ritardo dell’eco e l’intensità della luce riflessa(25)

.

Figura 6. Schema di funzionamento dell'OCT.

L’OCT si basa su una tecnica di misurazione ottica, l’interferometria a bassa coerenza, che può misurare la distanza da un dato oggetto (nel no-stro caso le strutture oculari) misurando la luce riflessa da questo(25). L’interferometro divide la luce della sorgente (un diodo superlumine-scente) in una via di misurazione e in una di riferimento: il fascio di mi-surazione viene proiettato nell’occhio e la luce diffusa o riflessa ci dà in-formazioni sulla distanza e sullo spessore delle varie microstrutture reti-niche(25).

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La time domain OCT, TD-OCT, rileva differenti profondità del tessuto prendendo livelli di intensità riflessi grazie al variare della posizione del-lo specchio di riferimento(27).

Vari miglioramenti dei macchinari OCT sono stati introdotti nella pratica clinica, e soprattutto la risoluzione assiale e la velocità si scansione rap-presentano i progressi principali(27). La tecnica OCT è passata dalla riso-luzione assiale di 15 μm e velocità di 400 A-scan al secondo della TD-OCT, ai circa 5μm di risoluzione e fino a 50.000 A-scan al secondo della spectral domain OCT (SD-OCT), e quel che è più importante, il metodo di scansione SD-OCT permette una ricostruzione tridimensionale dell’intera regione maculare(25).

La velocità di acquisizione è molto aumentata per la rilevazione di se-gnali riflessi nel dominio di frequenza, cioè l’informazione sulla profon-dità riflessa in un dato punto può essere rilevata senza il movimento del-lo specchio di riferimento(27).

Nella spectral domain OCT, SD-OCT, l’informazione sulla frequenza è acquisita usando una sorgente luminosa ad ampio spettro, una videoca-mera CCD, e uno spettrometro(27).

Nella swept source OCT, SS-OCT, l’informazione sulla frequenza è ac-quisita grazie al trascinamento di una sorgente a spettro ristretto attraver-so un range di frequenze ampio, con un fotorivelatore(27).

Viene usata una lente molto potente, +78 diottrie, in modo da visualizza-re l’immagine visualizza-retinica in un piano all’interno dello strumento(25)

. Le im-magini OCT bidimensionali B-scan sono costruite eseguendo

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misurazio-- 25 misurazio--

ni assiali rapide e successive a punti trasversi differenti, in modo analogo alla B-scan ultrasonografica(25).

La posizione di ciascuna scansione viene registrata da un computer e può essere utilizzata per ripetere la scansione nello stesso preciso punto du-rante esami OCT successivi(26). L’immagine OCT finale viene visualiz-zata come una mappa a colori falsati che corrisponde ai livelli di luce ri-flessa(25).

L’apparecchiatura OCT consiste in un modulo che dirige la scansione OCT verso l’area retinica di interesse, e in un computer per processare le immagini ottenute e mostrarle sullo schermo(25).

Nella pratica clinica la SD-OCT garantisce la miglior visualizzazione dell’architettura retinica, rispetto a ogni altra tecnica di imaging oggi correntemente disponibile: la velocità e la risoluzione di questa tecnica permettono una valutazione strutturale ultramicroscopica del polo poste-riore con una definizione spaziale estremamente alta(25).

Diagnostica retinica

La tomografia a coerenza ottica trova applicazione grazie alle proprietà ottiche dell’occhio e al facile accesso alla retina che si ha con questa me-todica(25).

Uno dei vantaggi principali ottenuti con la tomografia a coerenza ottica è che ha permesso di chiarire la fisiopatologia dei fori maculari(25).

Il modello di scansione maculare con sei scansioni radiali a distanza di 30°, lunghe 6mm, è stato usato tradizionalmente nelle TD-OCT per

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prezzare parametri come lo spessore retinico totale. L’imaging 3D ha pe-rò rivoluzionato le possibilità di esame delle patologie retiniche, perché può rivelare cambiamenti strutturali considerati in precedenza troppo fi-ni(27).

Oggi l’immagine OCT tridimensionale (figura 7) ha un potenziale clini-co notevole che aiuta a valutare la necessità di un intervento chirurgiclini-co, a decidere il momento più vantaggioso per operare, e a valutare i risultati dopo gli interventi chirurgici per membrane epiretiniche o per sindrome da trazione vitreomaculare(25). Questa tecnologia rappresenta anche un fattore predittivo nella prognosi e nel follow up delle più comuni patolo-gie del polo posteriore(25).

Figura 7. Scansione OCT 3D: corrispondenza tra immagini biomicroscopiche e OCT.

Una mappa tridimensionale della membrana ialoidea e dello spazio su-bialoideo può fornire informazioni cliniche utili. Falker-Radler e altri hanno usato l’OCT tridimensionale per visualizzare l’interfaccia

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vitreo-- 27 vitreo--

maculare in pazienti che hanno poi subito un intervento per membrana epiretinica, notando che questa tecnologia migliora la valutazione preo-peratoria dei pazienti, offre una ricostruzione topografica dell’interfaccia vitreomaculare e migliora l’identificazione delle strutture retiniche(28)

. Altri autori hanno usato l’OCT per valutare le strutture dopo la chirurgia per foro maculare e per trazione vitreomaculare(27).

La segmentazione automatica e standard delle strutture oculari di parti-colare interesse, quando possibile, garantisce misurazioni obiettive ai clinici per poter valutare coerentemente la situazione pre- e postchirurgi-ca dei pazienti. La quantifipostchirurgi-cazione dello spessore è utile in certe patolo-gie, specialmente nelle sue modificazioni precoci. La riproducibilità del-le misurazioni SD-OCT è maggiore di queldel-le TD-OCT. Si è dimostrato che lo spessore retinico è in correlazione con l’acuità visiva nei pazienti con membrana epiretinica e con edema maculare diabetico(27).

OCT nella diagnosi delle membrane

epiretiniche

Le immagini OCT della membrane epiretiniche possono essere classifi-cate in due grandi gruppi: quelle completamente aderenti e quelle par-zialmente non aderenti (figura 8). Entrambi i tipi sono solitamente ap-prezzabili come una linea tesa iperriflettente contigua o anteriore alla su-perficie retinica interna. La perdita del normale profilo foveale, irregola-rità varie degli strati retinici interni, e ispessimento maculare sono effetti secondari della membrana epiretinica, e sono usati all’esame OCT per dimostrare la presenza della membrana epiretinica(25).

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L’OCT garantisce una misurazione quantitativa dello spessore retinico, dello spessore della membrana, e della separazione tra la membrana e la retina. Questa misurazione dello spessore della membrana e la sua riflet-tività possono essere usate per stimare il grado di opacità della membra-na stessa. L’OCT inoltre aiuta a distinguere le membrane completamente aderenti da quelle parzialmente separate(25).

Figura 8. Immagine OCT con evidente ERM parzialmente adesa

L’immagine OCT della membrana epiretinica può mimare quella della superficie posteriore del vitreo parzialmente distaccata, la membrana epi-retinica tende a essere più spessa e più riflettente rispetto al vitreo. Il di-stacco completo posteriore di vitreo si valuta all’OCT come una linea a maggior riflettività sospesa al di sopra della superficie retinica; le mem-brane epiretiniche sono visibili come uno strato iperriflettente sulla su-perficie retinica interna(25).

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Nei casi di membrane non completamente adese il chirurgo può indiriz-zarsi verso le aree di separazione per iniziare la dissezione, le membrane completamente adese invece aumentano la difficoltà del peeling chirur-gico. Inoltre il chirurgo dovrà procedere con particolare cautela quando un edema intraretinico esteso lascia uno strato retinico interno sottile e friabile al di sotto della membrana(25).

La classificazione della membrana epiretinica basata sullo spessore dello strato nucleare interno è potenzialmente utile come indicazione alla chi-rurgia.

La rappresentazione ad alta definizione di tutti gli strati identifica il livel-lo e la livel-localizzazione delle alterazioni morfolivel-logiche di strutture funzio-nalmente importanti, come l’architettura neurosensoriale e lo strato foto-recettoriale.

La microstruttura maculare, compresi lo spessore maculare e l’aspetto dello strato fotorecettoriale, può essere associata con la acuità visiva po-stoperatoria. L’SD-OCT può valutare l’integrità della giunzione tra i segmenti retinici interno ed esterno (IS-OS junction), il cui dato preope-ratorio è importante per la prognosi del miglioramento dell’acuità visiva nel postoperatorio. Una giunzione IS-OS integra nel preoperatorio porta a un miglior recupero visivo e a una miglior acuità visiva corretta dopo la chirurgia per la membrana epiretinica(29).

La tecnica SD-OCT ha aumentato la sensibilità e la rapidità dell’esame, permettendo una scansione a più alta risoluzione, quindi nel postoperato-rio l’imaging OCT può essere usato per documentare la risposta alla chi-rurgia.

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L’SD-OCT garantisce una visualizzazione più precisa delle caratteristi-che morfologicaratteristi-che intraretinica, come la membrana limitante esterna e lo strato fotorecettoriale, permettendo così una misurazione della zona el-lissoide anche in presenza di una retina ispessita per la presenza di mem-brane epiretiniche.

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Tonometria

Il termine pressione intraoculare (IOP) descrive la tensione esercitata dall’umore acqueo sui tessuti della camera anteriore dell’occhio, risultato del bilancio tra la sua produzione e il suo riassorbimento. Al momento non è disponibile una metodica invasiva e sicura per misurare la pressio-ne a livello intraoculare, perciò pressio-nella pratica clinica questo valore è sti-mato, più che effettivamente misurato(30).

I tonometri considerano che la forza esercitata sulla superficie corneale esterna sia pari a quella esercitata a livello dell’endotelio, quindi che sia la pressione presente in camera anteriore e posteriore(30).

La forza necessaria per deformare un globo oculare è proporzionale alla pressione interna del globo stesso. Oggi vengono usati tre tipi di tonome-tri(31).

I tonometri a indentazione hanno uno stantuffo per indentare di un certo valore la cornea, così spostano un significativo volume di fluido intrao-culare nel momento in cui la cornea si deforma, provocando quasi un raddoppiamento della pressione intraoculare, poi con tabelle di conver-sione si calcola il valore della presconver-sione intraoculare a partire dal valore rilevato(34).

I tonometri ad applanazione invece innalzano il valore di pressione in-traoculare in maniera irrilevante perché esercitano una forza sufficiente solo ad appiattire la cornea: la forza richiesta per ottenere un costante

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grado di appiattimento corneale viene convertita in valori di pressione intraoculare(31).

I tonometri non a contatto appiattiscono la cornea usando un soffio d’aria e il tempo richiesto per appiattire la cornea viene correlato al valore di pressione intraoculare(31).

Tonometria ad applanazione

Esistono due tipi di tonometria ad applanazione, quella a forza costante e quella a forza variabile. Il tonometro a forza costante più usato è quello di Maklakov, che applica alla cornea una forza costante e misura il dia-metro dell’area corneale appiattita(31)

.

In occidente i tonometri più diffusi sono quelli a forza variabile, come il tonometro di Goldmann, di Perkins, il pneumotonometro e il tono-pen.

Figura 9. Utilizzo del tonometro di Goldmann. Il biprisma di plastica viene applicato sul-la cornea del paziente.

Il tonometro ad applanazione di Goldmann (figura 9), sviluppato negli anni ‘50, si basa sulla legge di Imbert Fick: “la pressione in una sfera

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riempita di fluido e circondata da una membrana infinitamente sottile e flessibile è misurata dalla pressione contraria che appiana la membrana”. Questa membrana ipotetica non corrisponde ovviamente alle caratteristi-che della cornea, quindi Goldmann e Schmidt hanno valutato caratteristi-che il to-nometro lavora con più precisione con valori di spessore corneale centra-le compresi tra 500 e 525μm(30).

Molte variabili sono state modificate per poter applicare la legge di Fick alla misura della pressione endooculare, in quanto la cornea non è asciut-ta, infinitesimamente sottile né perfettamente rotonda. Adattamenti sono stati necessari per casi di astigmatismo corneale, variabilità sclerale e corneale e alterazioni lacrimali; si è giunti alla conclusione che un’area di applanazione di 3,06mm fa raggiungere alle variabili l’equilibrio ne-cessario per stimare correttamente la pressione endooculare(31).

Ancora oggi il tonometro di Goldmann è il metodo di misurazione della pressione intraoculare più utilizzato al mondo, dà misurazioni semplici e riproducibili, e resta il gold standard per la tonometria oftalmologica(30).

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Tonometro di Goldmann

Il tonometro di Goldmann consiste di una molla sensibile attaccata a un biprisma di plastica, che a contatto con la cornea crea due semicerchi (fi-gura 10), facili da vedere con una luce blu cobalto dopo applicazione di fluoresceina nel fornice congiuntivale. L’esaminatore regola la molla ap-plicata al globo attraverso una rotella, in modo che i margini superiori del biprisma tocchino i semicerchi, vengono così applanati 3,06mm di cornea e viene rimosso approssimativamente 0,05μl di acqueo.

In seguito a questa piccola rimozione di umore acqueo la pressione misu-rata è probabilmente più alta della reale di una quota inferiore al 3%(31). un’eccessiva o una troppo piccola applicazione di fluoresceina possono

però dare risultati eccessivamente alti o bassi, rispettivamente(32). Altri fattori che possono causare un errore nella stima della pressione endoo-culare sono: anormale ispessimento o curvatura della cornea, eccessivo tempo di contatto, improprio strumento di calibrazione. Cornee sottili di

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solito forniscono valori di IOP falsamente bassi(33). Un stigmatismo più elevato di 3 o 4 diottrie provoca un errore di 1mmHg ogni 4 diottrie, questo errore può essere viene evitato usando la media di due misurazio-ni, una utilizzando le mire orizzontali e una utilizzando quelle vertica-li(34). L’eccessivo tempo di contatto porta a un valore falsamente basso, ma viene evitato con un tocco leggero, che porta anche il vantaggio di ri-sparmiare i difetti dell’epitelio corneale iatrogeni(35)

. La calibrazione del-lo strumento è necessaria almeno ogni due anni(31).

Nell’utilizzo del tonometro bisogna prestare attenzione ad asciugare la punta con perossido di idrogeno o con alcol isopropilico prima di posi-zionarlo sull’occhio del paziente(36)

, come precauzione contro virus HIV, adenovirus e virus dell’epatite. Le alterazioni dell’epitelio vanno evitate strofinando la punta con un tessuto dopo la disinfezione(31).

La pressione intraoculare

Alcuni ricercatori sostengono che la pressione intraoculare tenda a cre-scere con l’età, forse in relazione alla minor facilità di deflusso attraver-so il trabecolato dell’anziano. Questo si verifica nonostante la diminu-zione di produdiminu-zione di acqueo associata all’età(37)

.

La IOP tende a essere simile nei due sessi, anche se alcuni ricercatori hanno rilevato un aumento nelle donne dopo la menopausa(38). I pazienti neri possono avere valori di IOP leggermente più alti dei caucasici(39), e i pazienti con familiarità positiva per glaucoma tendono ad avere valori più alti di quelli presentati da pazienti con familiarità negativa(38). I

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pa-- 36 pa--

zienti miopi con lenti assiali più grandi tendono ad avere valori più al-ti(40), ma questo fatto risulta privo di conferme.

La IOP ha oscillazioni normali durante il giorno di 5mmHg o più. Va-riando la posizione da seduti a sdraiati la IOP può aumentare anche di 9mmHg(41). Un’attività fisica prolungata può associarsi a una IOP bas-sa(42), ma uno sforzo a breve termine, come una manovra di Valsalva, può causare uno sbalzo della IOP(43). Una forte cecità può provocare un aumento di IOP da 10 a 90mmHg(44).

Molti farmaci anestetici provocano una diminuzione della IOP, ma la ke-tamina(45) e la succinilcolina(46) sono eccezioni che ne provocano al con-trario un aumento. Tra le condizioni cliniche collegate ad aumento della IOP ricordiamo l’ipertensione sistemica(47)

, il diabete(48), l’ipertiroidismo(49), l’obesità(50), il morbo di Cushing. L’uso di alcol(51)

e di marijuana(52) provocano un abbassamento della IOP, mentre la caffei-na(53) non ne altera il valore.

La IOP dell’intera popolazione ha un valore di 15,5+/-2,57mmHg(54)

. I fisici inizialmente hanno ritenuto che i valori della IOP si distribuissero lungo una gaussiana, e che il 95% si trovasse nel range 10,5-20,5mmHg. Quindi per molti anni un valore di IOP più grande di due deviazioni standard rispetto a questo valore medio fu considerato anormale, e gli of-talmologi hanno ritenuto opportuno curare i pazienti glaucomatosi por-tandone la IOP <21mmHg. Però la distribuzione dei valori di IOP nella popolazione non giace lungo una gaussiana perfetta, ma ha una coda ver-so valori più alti(55). Quindi non esiste un’interruzione tra valori normali e anormali di IOP, e la gravità del valore di IOP è messa in relazione allo stato del nervo ottico e alla perdita di campo visivo.

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Possiamo concludere considerando che non esistono valori sicuri o peri-colosi di IOP validi per la popolazione in generale, ma che vanno valuta-ti individualmente(31).

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Vitrectomia

La vitrectomia (figura 10) è il più comune intervento di microchirurgia intraoculare dopo l’estrazione di cataratta. Lo straordinario sviluppo del-le tecniche di chirurgia del vitreo è avvenuto grazie all’aumento della comprensione dei cambiamenti anatomopatologici retinici, e all’evoluzione di tecnologie e strumentazioni.

Figura 11 Illustrazione schematica dell’utilizzo di colorante bianco per rendere evidente il vitreo durante una PPV.

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Il perfezionamento di questa tecnica e la maggiore sicurezza acquisita dalla procedura hanno permesso nuove possibili applicazioni, come ri-stabilire la funzione visiva centrale in pazienti affetti da pucker macula-re, foro maculare o neovascolarizzazione coroideale.

In una percentuale di casi variabile tra 70% e 90% la vitrectomia per pucker maculare porta a un recupero funzionale dell’acuità visiva(56-60)

.

Valutazione preoperatoria

La valutazione preoperatoria della vitrectomia comprende un esame del-la situazione clinica, un’attenta valutazione delle condizioni generali e del rischio anestesiologico del paziente. Si valutano quindi gli obiettivi della procedura e si spiegano i benefici e i rischi potenziali. Occorre stu-diare il segmento anteriore con l’esame alla lampada a fessura, e la bio-microscopia indiretta si usa per esplorare vitreo e retina.

Se si prevede di usare una bolla di gas tamponante è importante valutare la profondità della camera anteriore per escludere la possibilità di glau-coma da chiusura d’angolo postoperatorio. Occorre accertare la traspa-renza di cornea e cristallino, e la capacità di midriasi per garantire una buona visione intraoperatoria della retina.

In caso di pseudofachia è importante conoscere la composizione della lente intraoculare perché i modelli in silicone possono sviluppare con-densa durante lo scambio liquido aria. Inoltre il posizionamento dell’olio di silicone in camera vitrea può inficiare la trasparenza della zona ottica per adesione di goccioline d’olio sulla superficie di impianto.

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Il vitreo viene esplorato con biomicroscopia indiretta utilizzando una lente da 78D o 90D. Occorre valutare la presenza o meno di distacco del-la superficie ialoidea posteriore, che è determinante per l’approccio chi-rurgico. L’oftalmoscopia indiretta ci informa sulla gravità di membrane epiretiniche, su cambiamenti anatomici della base del vitreo e sulle strut-ture retiniche periferiche.

Se i mezzi diottrici si presentano opachi si ricorre alla ultrasonografia per ottenere informazioni sulla mobilità del distacco retinico, per delineare regioni di trazione e localizzare emorragie sottoretiniche. In caso di trauma la tomografia e lo studio radiografico dell’orbita possono essere necessari per localizzare corpi estranei e danni alle strutture perioculari.

Indicazioni

Le indicazioni chirurgiche alla vitrectomia includono una vasta gamma di condizioni, che possono interessare il vitreo, aree retiniche o zone più diffuse. Si ricordano le emorragie vitreali o coroideali, il distacco di reti-na di varia origine, complicanze di chirurgia del segmento anteriore co-me framco-menti di cristallino o lenti intraocualri (intraocular lens IOL) di-slocate, traumi, pucker e foro maculari.

Anestesia

Questo intervento necessita di anestesia locale infiltrativa (retrobulbare, peribulbare o sottocongiuntivale) e viene effettuata sotto controllo ane-stesiologico. Se il paziente si presenta eccessivamente ansioso, si consi-dera l’anestesia generale.

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In caso di anestesia generale bisogna ricordare di sospendere l’inalazione di monossido di azoto 20 minuti prima dell’iniezione intraoculare di gas per evitare il rischio di innalzamento della pressione intraoculare e di riempimento inadeguato della camera vitrea.

Tecnica chirurgica

L’approccio di routine è una vitrectomia via pars plana (figure 12 e 13) a tre porte, con una cannula di infusione inserita nella sclera che permette di sostituire gradualmente il tessuto vitreale asportato con una soluzione salina, in modo da mantenere stabile la pressione intraoculare.

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Figura 13. Illustrazione di una puntura a livello della pars plana.

Le altre due sclerotomie forniscono l’accesso della strumentazione chi-rurgica. Uno degli strumenti contiene una fonte luminosa, per consentire un controllo bimanuale nella manipolazione dei tessuti. Gli accessi ven-gono fatti per mezzo di trocar (figura 14). Oggi gli strumenti hanno dia-metro di 25 Gauge, corrispondenti a 0,45mm, ed è già iniziata la com-mercializzazione di set di strumenti da 27G, 0,41mm.

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I trocar sono costituiti da un mandrino tagliente a forma di lancia che fa da guida per una cannula che, inserita e sfilato il mandrino, garantisce la pervietà delle vie d’accesso al bulbo.

Per osservare il fundus durante l’intervento viene utilizzato generalmente un microscopio chirurgico con lente a contatto pianoconcava, ma posso-no essere utilizzate lenti chirurgiche addizionali per migliorare la visua-lizzazione intraoperatoria. Inoltre sistemi a campo largo o panoramici sono utili per espandere la zona di visualizzazione e per aumentare la profondità di fuoco.

La vitrectomia via pars plana utilizza per l’illuminazione e l’osservazione un oftalmoscopio indiretto binoculare al posto del micro-scopio operatorio.

I vitrectomi sono i taglienti vitreali: si distinguono quelli a ghigliottina e i modelli rotatori. I modelli a ghigliottina hanno una porta laterale e un manicotto interno che si muove lungo l’asse longitudinale della sonda. I vitrectomi rotatori hanno la porta più vicino alla punta della sonda e una lametta interna che ruota all’interno dell’ago esterno. Gli apparecchi ro-tatori prevengono una rimozione massiva incontrollata del vitreo.

Per il trattamento delle membrane epiretiniche si procede alla dissezione separando perifericamente la ialoide posteriore dalla superficie retinica e rimuovendo il tessuto proliferante epiretinico. Le tecniche per la rimo-zione comprendono la segmentarimo-zione, la delaminarimo-zione e la disserimo-zione in blocco. Per la rimozione si possono utilizzare vari tipi di forbici, an-che di tipo end-gripping, ma una tecnica bimanuale con un membrane pick e forbici illuminate può ridurre il rischio di rotture retiniche iatroge-ne. L’ampia scelta di strumenti per la manipolazione dei tessuti retinici

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riesce a soddisfare le esigenze di ciascun chirurgo. La micropinza di Ec-kardt ha una presa terminale molto precisa ed è adatta per la rimozione del pucker e della membrana limitante interna.

Un momento critico dell’atto chirurgico è la separazione della ialoide posteriore dalla retina. Effettuata la vitrectomia centrale, si aggancia lo strato di corteccia vitreale che aderisce all’interfaccia vitreoretinica e si stacca usando una cannula in silicone appuntita a elevata aspirazione. I punti di maggiore aderenza sono il disco ottico e la regione maculare. Il passo finale consiste nel decidere se riempire la camera vitrea con un agente tamponante. Una pompa automatizzata realizza lo scambio tra li-quido e aria. Una bolla tamponante viene usata per appianare le pieghe retiniche, e nel caso di fori maculari può aiutarne la chiusura. Il tipo di gas viene scelto in base al quadro clinico, e anche l’olio di silicone può essere utile come agente tamponante a lunga durata.

I trocar 25G hanno aperto la porta della chirurgia mini invasiva, inoltre la forma dei moderni trocar riduce la traumaticità dell’estrazione, quindi il rischio di perdite dai fori di accesso. Rimane comunque un tramite, perciò Una sutura sclerale al termine della procedura può essere utile a ridurre il rischio infettivo.

Complicanze

Il tasso di complicanze della vitrectomia è progressivamente diminuito grazie ai continui miglioramenti tecnologici.

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Le principali complicanze intraoperatorie della chirurgia vitreale sono le rotture retiniche posteriori e periferiche(60) e le emorragie coroideali, più rare.

Le complicanze postoperatorie sono la formazione di cataratta(60), più frequente in pazienti sopra i 50 anni(61), rotture retiniche e distacco di re-tina regmatogeno(60), aumento della IOP secondario a molteplici cause (tra cui risposta ai corticosteroidi o eccessivo riempimento con gas), pro-liferazione fibrovascolare ialoidea anteriore, depositi di fibrina in camera anteriore (non rara nei diabetici) e recidiva di membrana epiretinica(58).

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L’Ozurdex

Il segmento posteriore dell’occhio può essere colpito da una varietà di patologie che comportano una minaccia per la vista, fino a un danneg-giamento permanente del visus e cecità. Tra queste ricordiamo l’occlusione venosa retinica (retinal vein occlusion RVO), le uveiti, l’edema maculare diabetico (diabetic macular edema DME), la degene-razione retinica correlata all’età (age-related macular degeneration AMD)(62).

L’etiologia specifica è varia, ma tutte queste patologie presentano un cer-to grado di infiammazione oculare e danneggiamencer-to della barriera ema-toretinica che comporta stravaso di fluidi e rischio di edema maculare (macular edema ME). L’edema maculare è la causa principale di com-promissione del visus nell’RVO, uveiti e retinopatia diabetica(63-65)

.

La fisiopatologia dell’ME è multifattoriale: si pensa che siano coinvolti i mediatori dell’infiammazione(65-69)

, la disregolazione delle proteine delle giunzioni serrate endoteliali(70, 71), e l’aumento di fattori che favoriscono la permeabilità cellulare(66). Questi fattori contribuiscono a indebolire la barriera ematoretinica e permettono il passaggio di fluidi e piccole mole-cole nel circostante tessuto retinico(70, 72).

L’edema maculare si sviluppa quando si accumula nella regione macula-re una quantità di fluido sufficiente a macula-renderla gonfia. Questo può di-struggere l’architettura retinica e portare a perdita del visus(62)

.

C’è necessità di trattamenti che consentano una terapia duratura ed effi-cace al tessuto bersaglio sul fondo dell’occhio, e che contemporanea-mente possa limitare l’esposizione dei tessuti non bersaglio(62)

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Approcci al trattamento

Esistono terapie con effetti antiinfiammatori molto potenti, come i corti-costeriodi e i farmaci antiVEGF (vascular endothelial growth factor): la sfida consiste nel distribuire il farmaco al segmento posteriore dell’occhio. Le possibili strategie sono un trattamento topico(73, 74)

, un approccio sistemico(73, 75, 76), iniezioni peribulbari o sottocongiuntivali(75,

77)

, o il posizionamento intravitreale(78-80).

I trattamenti topici incontrano varie barriere molto efficaci: strutture pre-corneali, la cornea, e i meccanismi di clearance della congiuntiva. Perciò le concentrazioni intraoculari rimangono spesso subterapeutiche(74). Inol-tre ripetute applicazioni topiche di corticosteroidi possono provocare ipertensione oculare(73).

La via sistemica è stata usata contro casi gravi di uveite(76), ma sono stati rilevati numerosi effetti collaterali sistemici e questa via non viene usata per le altre affezioni retiniche croniche. Le proprietà della barriera ema-toretinica(81) limitano il passaggio del farmaco e rendono difficile rag-giungere concentrazioni terapeutiche all’interno dell’occhio. Dosaggi si-stemici elevati sono quindi necessari e questi si associano con un gran numero di effetti collaterali anche gravi, soprattutto in caso di terapie corticosteriodee a lungo termine(73, 78, 82, 83).

Iniezioni peribulbari e sottocongiuntivali garantiscono dosaggi intraocu-lari maggiori rispetto ai sistemici ma l’assorbimento sistemico resta co-munque significativo, e è necessario ripetere frequentemente il tratta-mento(84), quindi questo approccio non è molto consigliato per le patolo-gie croniche, come le uveiti(75).

Il posizionamento intraoculare diretto garantisce la miglior distribuzione del farmaco al bersaglio: si ottengono concentrazioni di farmaco efficaci

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nella parte posteriore dell’occhio, e una limitata esposizione sistemica(78)

. La sfida con questo metodo è quella di garantire una terapia sicura ed ef-ficace sul lungo termine. Penetrare il bulbo oculare ogni volta per inocu-lare il farmaco fa aumentare il rischio per la sicurezza del paziente, e può limitare la compliance a questo tipo di cura(78-80, 82). Alcuni effetti collate-rali gravi si associano a iniezioni intraoculari frequenti, come distacco di retina, endoftalmiti ed emorragie vitreali(79, 80).

Una strategia efficace quindi potrebbe essere quella di combinare un po-sizionamento intravitreale con un meccanismo di rilascio graduale. Ciò aggirerebbe l’ostacolo fisiologico della barriera ematoretinica, e permet-terebbe di ottenere rapidamente livelli terapeutici di farmaco direttamen-te al bersaglio, limitando al condirettamen-tempo l’esposizione dei direttamen-tessuti non ber-saglio. Un meccanismo a lento rilascio inoltre riduce le fluttuazioni della concentrazione del farmaco e abbassa il rischio alla sicurezza dovuto alle iniezioni ripetute di frequente, permettendo intervalli più lunghi tra i trat-tamenti(62).

Panoramica del mercato

Le terapie intravitreali approvate per il trattamento delle affezioni croni-che della retina sono un numero limitato.

Gli antiVEGF sono il pegaptanib (Macugen®, EyeTech, Inc.)(85), ranibi-zumab (Lucentis®, Genentech, Inc.)(86, 87) e aflibercept (Eyelea™, Rege-neron Pharmaceuticals, Inc.)(88), e il bevacizumab (Avastin®, Genentech, Inc.)(89), che è stato usato offlabel in ambito oftalmologico.

I corticosteroidi sono il desametasone (DEX)(90, 91), il triamcinolone(92, 93), e il fluocinolone(94, 95). Questi farmaci hanno molte proprietà che possono essere utili nel trattamento delle patologie retiniche croniche, come il

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tente effetto antinfiammatorio, poter ridurre la permeabilità vascolare, l’inibizione di depositi di fibrina e del movimento dei leucociti, la sop-pressione della migrazione delle cellule dell’infiammazione, la stabiliz-zazione delle giunzioni serrate e l’inibizione della sintesi del VEGF, pro-staglandine e altre citochine infiammatorie(96).

L’impianto di desametasone è un sistema intravitreale biodegradabile, a lento rilascio, approvato per il trattamento di ME dovuto a blocchi veno-si retinici centrali o periferici, e contro le uveiti croniche non infettive del polo posteriore dell’occhio. L’impianto si è dimostrato sicuro ed effi-cace in una terapia durata fino a dodici mesi in pazienti con occlusione venosa retinica(91, 97), e fino a sei mesi in casi di uveiti posteriori o inter-medie(90).

Il desametasone

Il desametasone è stato sviluppato nel 1958 come risultato degli sforzi per produrre un analogo sintetico del cortisone con attività mineralcorti-coidea ridotta, onde evitare gli effetti collaterali legati a questa attività, e attività antiinfiammatoria aumentata. Il desametasone ha infatti attività antiinfiammatoria sei volte più potente del prednisolone e del triamcino-lone, e 25 volte più potente dell’idrocortisone(98)

, con una durata d’effetto maggiore nell’utilizzo sistemico(98)

. Quindi questo farmaco è molto utile quando è necessaria una terapia antiinfiammatoria potente e cronica.

Le iniezioni intravitreali di desametasone hanno dimostrato di raggiun-gere alti dosaggi intravitreali senza effetti tossici (84, 99, 100). Sfortunata-mente l’emivita intraoculare del farmaco è di sole tre ore circa, e questo

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lo rende inutilizzabile per il trattamento della maggior parte delle malat-tie retiniche(84).

Chimica e meccanismo d’azione

Il nome chimico del desametasone è pregna-1,4-diene-3,20-dione,9-fluoro-11,17,21-triidrossi-16-metil-,(11β,16α)-

Il suo peso molecolare è 392,47 e la formula bruta è C22H29FO5. La sua

struttura chimica è rappresentata sotto.

Struttura chimica della molecola di desametasone.

Il meccanismo esatto con cui il desametasone sopprime l’infiammazione non è noto, ma i corticosteroidi inibiscono molte citochine infiammatorie e fattori di permeabilità vascolare, e prevengono la rottura delle mem-brane ematoretinica e ematoacquea indotte dal VEGF(96, 101-103). L’esatto meccanismo molecolare è complesso e non ancora del tutto compreso, ma sappiamo che il desametasone lega un recettore intracellulare prima di traslocare nel nucleo, dove attiva l’espressione di geni con effetto an-tiinfiammatorio e dove reprime una batteria di geni codificanti per agenti proinfiammatori(104).

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L’impianto intravitreale

L’impianto intravitreale di desametasone (figura 15) contiene 0,7mg di principio attivo in un polimero solido che garantisce il rilascio graduale (NOVADUR®, Allergan, Inc.) formato da poli-D,L-lactide-co-glicolide (PLGA), una matrice intravitreale polimerica formulata senza conservan-ti(105).

Figura 15. La foto mostra la dimensione dell'impianto intraoculare paragonato a una compressa di Aspirina.

I polimeri biodegradabili hanno una lunga storia di utilizzo sicuro ed ef-ficace in molte applicazioni cliniche(105, 106). Il primo utilizzo risale al 1966 per fili di sutura chirurgici biodegradabili(107), e da allora è stato usato per molti scopi, tra cui il lento rilascio(105). Il PLGA è un polimero particolarmente versatile perché può essere manipolato durante la sua produzione, al fine di ottenere tempi di degradazione che possono variare da settimane a anni(106); è il polimero biodegradabile più utilizzato per le formulazioni a lento rilascio(105, 106). Le formulazioni a base di PLGA so-no utilizzate per il trattamento di condizioni croniche come il cancro pro-statico, difetti di crescita e acromegalia(106).

Una volta inserito nell’occhio l’impianto a lento rilascio di desametaso-ne, l’acqua diffonde all’interno del polimero e il farmaco viene rilascia-to. Ciò viene accompagnato da una lenta degradazione della matrice nei suoi componenti inerti: acido lattico e acido glicolico. Nell’utilizzo

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co l’impianto è precaricato in un applicatore monouso, che si è rivelato sicuro ed efficace, progettato appositamente per facilitare l’iniezione dell’impianto direttamente nel vitreo(90, 91, 97, 108)

.

Farmacocinetica e farmacodinamica

La farmacocinetica e la farmacodinamica del rilascio del principio attivo dall’impianto di DEX sono state valutate in scimmie e conigli(109, 110)

. In occhi intatti di scimmia il desametasone è stato rilevato a livello della retina e del vitreo per sei mesi(109), la concentrazione ha un picco nei primi due mesi e cala sotto il livello rilevabile dopo sei mesi: ciò sugge-risce che ci siano due fasi di rilascio dall’impianto. l’attività biologica del desametasone, misurata attraverso l’espressione di CYP3A8 nella re-tina, ha seguito un andamento simile. I livelli plasmatici di desametasone sono rimasti bassi fino a due mesi dal trattamento e sono scesi sotto il li-vello rilevabile dopo due mesi(109). Questi risultati dimostrano che l’impianto di desametasone garantisce una concentrazione efficace e mi-rata alla retina con minima esposizione sistemica.

Nei conigli la farmacocinetica del rilascio è stata studiata sia in occhi vi-trectomizzati che in occhi integri. Il periodo di osservazione è stato al massimo di 31 giorni e non sono state osservate differenze significative tra integri e vitrectomizzati(110).

Non è noto quanto i risultati ottenuti negli animali siano applicabili agli umani. Nei pazienti trattati con impianto a lento rilascio per edema ma-culare o uveiti l’effetto terapeutico raggiunge un picco nei primi 60 gior-ni ed è apprezzabile per circa sei mesi(90, 91, 111-113). Inoltre, in occhi tratta-ti per edema maculare diabetratta-tico i miglioramentratta-ti clinici sono statratta-ti simili in pazienti vitrectomizzati e non(112, 113). Solo sporadici casi hanno

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sentato una concentrazione plasmatica misurabile di desametasone a se-guito del trattamento con impianto a lento rilascio.

Efficacia clinica

Negli Stati Uniti un impianto di 0,7mg di DEX è stato approvato per il trattamento dell’edema maculare secondario a occlusione venosa retinica centrale e periferica, e contro le uveiti posteriori non infettive, ed è in corso di studio il suo utilizzo in casi selezionati di edema maculare dia-betico e di degenerazione maculare correlata all’età.

Nei pazienti con occlusione venose retiniche il trattamento ha prodotto incrementi significativi del visus spesso accompagnati da forti migliora-menti anatomici e dei segni clinici di infiammazione.

Il potenziale clinico dell’impianto di DEX nel trattamento dell’edema maculare dovuto a diabete, occlusioni, uveiti o sindrome di Irvine Gass è stato oggetto di studio. Si sono rilevati miglioramenti nell’acuità visiva corretta significativamente maggiori nei pazienti trattati che nei controlli: le differenze sono rilevabili nei 60 giorni successivi al trattamento e si mantengono fino ai sei mesi successivi (data dell’ultima visita). L’analisi dei sottogruppi ha rivelato un’efficacia simile per qualunque causa di edema maculare(111, 112, 114).

Globalmente questi dati indicano che l’impianto di desametasone può migliorare gli esiti sia funzionali che anatomici in occhi con edema ma-culare associato a una varietà di cause sottostanti, e giustifica ulteriori studi clinici sulla sua efficacia contro specifiche patologie retiniche(111).

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Sicurezza clinica e tollerabilità

Ogni iniezione intravitreale dell’impianto a lento rilascio di DEX deve essere effettuata in condizioni asettiche e con anestesia adeguata.

Gli effetti collaterali più preoccupanti sono l’innalzamento della pressio-ne intraoculare e la formaziopressio-ne di cataratta.

Viene raccomandato un monitoraggio regolare della pressione intraocu-lare a seguito dell’iniezione intravitreale di qualunque corticosteroide, perché alcuni casi possono portare a danni al nervo ottico e a perdita di acuità e campo visivi.

Non è stato rilevato un incremento di cataratta statisticamente significa-tivo a distanza di sei mesi da un singolo impianto di DEX(90, 91), la cata-ratta è stata vista nel 30% di occhi fachici con occlusione venosa retinica che hanno ricevuto due impianti a distanza di sei mesi, solo quattro di questi occhi (1,3%) sono stati sottoposti a chirurgia per cataratta(91). Oltre a questi due, i più comuni effetti collaterali rilevati a sei mesi sono stati: emorragia congiuntivale, dolore oculare, iperemia congiuntivale, distacco di vitreo, emicrania. Non c’è stato incremento di incidenza di questi ultimi effetti dopo un secondo impianto di DEX(91).

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