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Simulazione della dinamica del detrito palatabile mediante un modello di comunità macrodetritivora

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Academic year: 2021

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(1)umvEnslrÀ. otctt. sTUDt. DEttArusctA. Dt vlrERBo. DIPARTIMEI{IO DI SCIENZE ECOTOGICHE E BIOLOGICHE. Corso dl Dolforoto dl Rlcerco ln. Ecologlo e Geslionc delle Rlcorsc Blologlehe - XXV Clclo. SI,I,IUTAZIONE DETIA DINAi,TICA DEL DETRITO PATATABILE MEDIANTE UN T,IODELIO DI CO,uTU NITA,,I,IACRODEIRIIIVORA. (Blo/oa. Tesi di dottorqio di:. Coordlnotore del corso Prof.sso RoberÌo Cimmoruto. rir. r*W'"rrrrrr"r€-. Vllreòo, 12 Gftrgno Z)13.

(2) A Giulio e Maria.

(3) Indice Introduzione .................................................................................................................... 1 Capitolo I – Sistemi, Modelli e Simulazioni ................................................................. 4 1.1 I Sistemi .............................................................................................................................. 6 1.2 I Modelli ............................................................................................................................ 13 1.3 La Simulazione.................................................................................................................. 35. Capitolo II - Ecosistema basato sul detrito ................................................................ 43 2.1 Definizione e classificazione del detrito ........................................................................... 44 2.2 Interazione tra detrito e ambiente ...................................................................................... 46 2.3 Il detrito nelle reti trofiche ................................................................................................ 47 2.4 Ontogenesi del detrito ....................................................................................................... 49 2.5 La risorsa detrito ............................................................................................................... 50 2.6 Il condizionamento del detrito........................................................................................... 52 2.7 I detritivori e i microbivori ................................................................................................ 54 2.8 Le Saline di Tarquinia: dati sperimentali. ......................................................................... 57. Capitolo III – Modello di Comunità Macrodetritivora (CMD) ............................... 63 3.1 Il modello di DeAngelis (1989) ........................................................................................ 65 3.2 Il primo modello di Moore (1996) .................................................................................... 67 3.3 Il secondo modello di Moore (2004) ................................................................................. 69 3.4 Modello di Comunità Macrodetritivora (CMD)................................................................ 71 3.5 Funzioni del modello......................................................................................................... 76 3.6 Rappresentazione grafica .................................................................................................. 79 3.7 Analisi di sensibilità del modello ...................................................................................... 83. Capitolo IV – Simulazione del detrito palatabile....................................................... 90 4.1 Dati d’ingresso .................................................................................................................. 92 4.2 Stima dei parametri ........................................................................................................... 94 4.3 Discretizzazione delle equazioni ....................................................................................... 96 4.4 Simulazione con il modello CMD..................................................................................... 98. Discussione e conclusioni............................................................................................ 102 Bibliografia .................................................................................................................. 106.

(4) Introduzione Argomento di questa tesi è la simulazione della dinamica del detrito consumato da una comunità macrodetritivora. A questo scopo è stato elaborato un nuovo modello matematico del sistema detrito-detritivori basato, da un lato, sulle equazioni di tipo preda-predatore (Lotka, 1925; Volterra, 1927) e dall’altro, sulle indicazioni che emergono dalla letteratura più attenta all’argomento (Pimm, 1982; DeAngelis et al., 1989; Moore et al., 2004). Per verificare le capacità di simulazione del modello, sono stati impiegati dati rilevati durante una campagna di sperimentazione presso le Saline di Tarquinia (Eusepi E., AA 2007-2008). Il sistema detrito-detritivori si basa sul consumo della materia organica morta da parte degli organismi viventi. Questo sistema, come in generale tutti i sistemi, è costituito da componenti (o subsistemi) che interagiscono tra loro a diverse scale spazio-temporali che ne rendono complessa la rappresentazione. È necessario perciò ricorrere a semplificazioni, ossia a formulare ipotesi per scegliere le caratteristiche che si vogliono rappresentare. Queste scelte definiscono un processo che dipende dalla conoscenza delle caratteristiche del sistema e dagli strumenti disponibili per rappresentarlo e porta alla formulazione del modello: rappresentazione teorica, semplificata e finalizzata del sistema. Formulando questo attraverso l’uso di equazioni matematiche si arriva a simulare l’andamento temporale del sistema (Capitolo Primo). I dati sperimentali sono stati rilevati in una campagna di misure effettuata nell’anno 2007 sotto la guida del Prof. Fulvio Cerfolli presso la Riserva Naturale delle Saline di Tarquinia. Questi dati sono stati elaborati per ricavare le due variabili di stato del sistema: il peso secco di detrito vegetale e la numerosità della comunità macrodetritivora, espressa in termini di unità tassonomiche e di abbondanze delle singole unità. I valori sperimentali per la prima variabile sono i più complicati da elaborare perché sul detrito agiscono sia fenomeni fisico/chimici (lisciviazione) sia biologici (organismi) che possono modificarne qualità e quantità disponibile in maniera dinamica. Il detrito palatabile è qualitativamente quello che viene assimilato dagli organismi detritivori che, consumandolo, ne diminuiscono la quantità. Così facendo i. 1.

(5) detritivori espongono nuove porzioni di materia organica morta all’azione dei microorganismi e lo rendono appetibile ad altre specie di macrodetritivori. Il risultato di questo meccanismo definisce la quantità di detrito palatabile e quindi la sua dinamica nel tempo. Questa quantità è stata determinata partendo dall’analisi dei dati disponibili vista la difficoltà di distinguere il peso dei microorganismi che colonizzano il detrito dalla materia organica morta condizionata. Per quanto riguarda la comunità macrodetritivora, i dati sperimentali a disposizione evidenziano la presenza di individui distinguibili in nove unità tassonomiche ognuna delle quali presenta una dinamica temporale propria (Capitolo Secondo). Per utilizzare l’informazione derivante dai dati sperimentali della comunità macrodetritivora e ridurre il numero di variabili da trattare nella simulazione è stato introdotto l’indice di Shannon-Wiener (S-W). Con l’uso di questo indice, dalla dinamica di nove variabili (gli individui di ogni unità tassonomica) si passa alla dinamica di una sola variabile. Il valore dell’indice infatti sintetizza le variazioni del numero di unità tassonomiche e quelle degli individui per unità tassonomica. Le due funzioni di stato del sistema di cui si vuole simulare la dinamica sono quindi: il detrito palatabile e la struttura della comunità macrodetritivora descritta con l’indice S-W. Partendo dall’analisi dei modelli matematici presenti in letteratura (DeAngelis et al., 1989, Moore et al., 1996, Moore et al., 2004) si è sviluppato un nuovo modello per rappresentare l’interazione tra queste due nuove funzioni di stato. Il modello di Comunità Macrodetritivora (CMD) proposto in questa tesi si basa su un sistema di due equazioni differenziali del primo ordine che può essere ricondotto alla struttura tipica dei sistemi di tipo preda-predatore (così come proposto da Volterra, 1927). Il modello CMD è in grado di distinguere tra le caratteristiche della materia organica morta e quelle degli organismi viventi. In particolare, nel modello CMD si tiene conto che il detrito palatabile consumato non è in grado di aumentare anche se cessa l’azione svolta dai detritivori e quindi tende a diminuire nel tempo. La seconda variabile di stato del modello, invece può sia aumentare che diminuire: questo dipenderà dalla disponibilità di detrito palatabile e dalle caratteristiche della comunità macrodetritivora. Le relazioni tra le due variabili di stato del modello vengono definite attraverso l’introduzione dei parametri (quattro): di lisciviazione del detrito palatabile, di consumo di detrito per unità di indice di Shannon-Wiener (che definisce la struttura della comunità 2.

(6) macrodetritivora presente in termini informazionali), di diminuzione (destrutturazione) della comunità macrodetritivora in assenza di detrito e di crescita (strutturazione) della comunità macrodetritivora per unità di detrito consumato (Capitolo Terzo). Il modello CMD è stato risolto numericamente per procedere con la simulazione della dinamica del detrito palatabile. I suoi quattro parametri sono stati stimati a partire dai dati sperimentali raccolti presso la Riserva Naturale delle Saline di Tarquinia. In particolare, i loro valori sono stati computati confrontando l’indice S-W calcolato dal modello con quello ottenuto dai dati sperimentali, utilizzando il comando “FindFit” nel pacchetto software “Mathematica”. La quaterna di valori trovata, essendo valida per entrambe le equazioni del modello CMD, permette di procedere con la simulazione della dinamica del detrito palatabile. Il risultato così ottenuto è stato messo a confronto con i dati sperimentali di detrito palatabile (Capitolo Quarto).. 3.

(7) Capitolo I – Sistemi, Modelli e Simulazioni Un sistema è definito come l’insieme dei componenti (o subsistemi) che interagiscono con l’ambiente come un unico elemento in un intervallo spazio-temporale di nostro interesse. Ad esempio, consideriamo cinque oggetti (elementi): una lampada, un filo elettrico, una spina, un interruttore. Se si considerano come oggetti separati questi rappresentano un insieme, ma se vengono collegati in maniera opportuna, formano un sistema in grado di emettere luce quando viene inserito nella rete elettrica (ambiente esterno). Questo sistema interagisce con l’esterno come se fosse un unico elemento, il cui funzionamento dipende dalla sua struttura e dalla relazione fra le singole parti che lo compongono. Ogni singola parte del sistema appena descritto può essere trattata a sua volta come un sistema, anch’esso costituito da diverse parti collegate tra loro. Così, la lampadina può essere considerata un sistema formato da tre elementi: un filo di tungsteno posto in un bulbo di vetro sotto vuoto e collegato ad un terminale a vite per ricevere la corrente elettrica. Un sistema è quindi costituito da più parti (subsistemi) collegate tra loro in modo da formare un unico elemento in grado di funzionare seguendo delle regole proprie. Ognuna di queste parti è a sua volta un sistema con i propri subsistemi che possono interagire con le altre parti interne del sistema e con l’ambiente esterno: la dinamica (cioè la variazione nel tempo) del sistema dipende da tutte queste interazioni. La numerosità di queste parti, delle interazioni interne e di quelle con l’ambiente esterno, rendono un sistema un oggetto troppo complesso per essere descritto nella sua interezza. La sua rappresentazione può essere effettuata solo dopo averlo semplificato e quindi procedendo con la costruzione di un modello. Un modello è definito come una rappresentazione semplificata e finalizzata di un sistema (deWit e Arnold, 1976). La semplificazione consiste nel formulare delle ipotesi per ridurre la complessità del sistema che si vuole rappresentare in funzione degli interessi del modellista. Infatti, non essendo possibile rappresentare tutto il sistema è necessario scegliere quale processo, fenomeno, aspetto, o parte studiare. Ad esempio, un costruttore che mostra al potenziale acquirente il plastico in scala dell’edificio da lui costruito: seppur in dimensioni ridotte, il plastico è comunque una rappresentazione. 4.

(8) semplificata della realtà che può essere mostrata nel proprio ufficio e che descrive le caratteristiche esteriori del sistema oggetto di interesse. Un modello è quindi sempre un modello di un sistema costruito per un determinato scopo, e a causa della complessità del sistema, possono esistere diversi modelli dello stesso sistema elaborati per scopi diversi e con diversi gradi di semplificazione. Ad esempio, nel voler costruire il modello del sistema solare, se si intende studiare l’orbita terrestre è possibile trascurare l’effetto dei corpi celesti più piccoli come gli asteroidi e considerare significativi solo i pianeti che costituiscono il sistema solare per raggiungere il nostro obiettivo. Se invece lo scopo del modello è studiare la traiettoria di una sonda da inviare su Marte, l’ipotesi fatta precedentemente risulterebbe errata, visto che la massa della sonda è confrontabile con quella degli asteroidi, che vanno quindi considerati. Le ipotesi valide in un certo contesto e rispetto a certi obiettivi, non lo sono più in altri casi. L’abilità del modellista sta nel saper analizzare il sistema e cogliere i fenomeni che lo rappresentano facendo delle ipotesi per semplificare la complessità del sistema senza snaturarlo. Ciò che guida il modellista nella scelta delle parti del sistema che più di altre influenzano la riposta del sistema al quale è interessato è la sua conoscenza scientifica. Questa dipende sia dalla preparazione del modellista sia dalle scoperte scientifiche del suo tempo. Il modello è quindi un operazione teorica, che partendo dalla conoscenza della fenomenologia del sistema considerato arriva alla definizione delle leggi generali per quella porzione di realtà che vuole rappresentare. Per verificare la validità delle ipotesi e delle semplificazioni apportate al sistema nella definizione delle leggi generali, è necessario confrontare i risultati ottenuti con il modello con le misure corrispondenti effettuate nell’intervallo spazio-temporale del mondo reale nel quale si trova il sistema modellato. L’applicazione del modello per descrivere un evoluzione particolare di un sistema reale prende il nome di simulazione. In questo caso, il modello perde la caratteristica di rappresentazione generale del sistema a favore della capacità di descriverne un caso particolare dovuto alla combinazione di ingressi e uscite che possono essere misurate nella realtà. Se ad esempio, si vuole sapere quanti individui di una popolazione di Artemia salina (Crustacea) è possibile prelevare in una vasca di allevamento, senza minacciare la futura sopravvivenza della popolazione, sarà necessario scegliere il modello adatto per rappresentare tale sistema e i dati necessari per calibrare il modello rispetto al caso 5.

(9) particolare che si vuole simulare. Il risultato della simulazione darà l’andamento temporale della funzione di stato del modello che verrà verificata tramite il confronto con i dati osservati nel sistema.. 1.1 I Sistemi Il sistema è una porzione della realtà oggetto di studio che, pur essendo costituita da diversi elementi reciprocamente interconnessi e interagenti tra loro e con l’ambiente esterno, reagisce o evolve come un tutto, con leggi proprie. Un sistema è costituito da: la frontiera, che distingue cosa è sistema da cosa non lo è, quindi dall’ambiente esterno ad esso; i componenti interni (o parti, o subsistemi), considerati come l’insieme delle parti che sono interconnesse tra loro e formano il sistema; i flussi (o interconnessioni), che rappresentano i collegamenti e le interazioni tra i componenti interni (struttura del sistema) e le dinamiche con l’ambiente esterno. Tutti i flussi provenienti dall’ambiente esterno passano attraverso la frontiera per raggiungere le componenti interne del sistema. Ad esempio, in una cellula, la membrana può rappresentare la frontiera del sistema: attraverso di essa passano i flussi di nutrienti e composti chimici provenienti dall’ambiente esterno e che raggiungono le parti interne del sistema (nucleo, citoplasma, organi). La classificazione di un sistema dipende dalla sintesi delle caratteristiche che questo presenta in funzione del tipo di interazioni che ha con l’ambiente circostante, della sua natura, della sua struttura interna, e della sua evoluzione nel tempo. Rispetto alle connessioni interne i sistemi possono essere definiti come sistemi legati, se i componenti sono collegati tra loro attraverso l’energia di legame che rende stabile il sistema e non richiede ulteriore energia per mantenersi, oppure come sistemi coerenti, i cui componenti interni sono collegati dall’ordine della loro dinamica. Questi ultimi sono molto più instabili e per mantenere la coerenza dei processi interni richiedono energia dall’ambiente esterno. A seconda del tipo di flussi che un sistema scambia con l’ambiente esterno i sistemi si distinguono in sistemi chiusi, aperti o isolati. Un sistema si dice chiuso se la sua frontiera risulta impermeabile ai flussi di materia ma permette il passaggio dei flussi di energia. Ad esempio, un televisore è un sistema chiuso, che per funzionare acquisisce energia dall’esterno (corrente elettrica) e la usa in funzione delle proprie caratteristiche interne per produrre suoni ed immagini. Un sistema aperto è un 6.

(10) sistema che interagisce con l’ambiente che lo circonda e con il quale scambia sia flussi di materia, ed energia. Ad esempio, una pianta è un sistema aperto, che per svilupparsi acquisisce energia (radiazione solare) e materia (nutrienti e acqua) dall’esterno. Infine un sistema si dice isolato se non scambia nessun tipo di flusso con l’ambiente esterno: né materia, né energia, né informazione. Questi sono sistemi ideali che non esistono in natura ma sono costruzioni pensate utilizzate soprattutto in fisica per facilitare lo studio dei fenomeni naturali. Lo stato di un sistema può essere definito come l’insieme dei valori delle grandezze caratteristiche del sistema che ne riassumono la condizione in qualsiasi istante. Se si analizza lo stato del sistema in funzione del tempo, possiamo considerare statico quel sistema la cui condizione rimane invariata nel tempo. Come per i sistemi chiusi, quelli statici sono sistemi che non esistono in assoluto, ma possono essere riconosciuti nei casi in cui almeno apparentemente la loro condizione rimane invariata nel tempo. Ad esempio, i continenti possono essere definiti come un sistema statico se si analizzano i loro spostamenti rispetto ad un intervallo di tempo dell’ordine di grandezza paragonabile alla durata della vita umana. Al concetto di statico si contrappone il concetto di sistema dinamico, ossia un sistema che evolve nel tempo rispetto ad alcuni parametri: i sistemi fisici che si trasformano al variare della temperatura e della pressione, quelli dei prezzi che si equilibrano al variare del costo dei combustibili o delle materie prime, ecc. Tutti i sistemi coerenti possono essere classificati come sistemi aperti e dinamici, cioè che interagiscono con l’ambiente e che a causa della variazione nel tempo di queste interazioni variano lo stato in cui si trovano. A seconda della tipologia di variazione temporale delle caratteristiche del sistema è possibile riconoscere i sistemi continui, quando la condizione in un certo istante di tempo è diversa da quella nell’istante precedente, per quanto piccolo possa essere l’intervallo di tempo che separa questi due istanti. Un esempio è quello di un aereo in volo che durante il viaggio si sposta con continuità dal luogo di partenza al luogo di destinazione. Se invece consideriamo un sistema dotato di interruttore, questo potrà assumere solo un numero finito di condizioni, diverse una dall’altra, che rimangono stabili per un certo intervallo di tempo, finché non viene imposta una nuova sollecitazione: il sistema in questo caso si definisce discreto. 7.

(11) Studio dei sistemi Lo studio di un sistema ha come obiettivo la comprensione delle caratteristiche e delle regole che ne determinano la dinamica. Secondo il filosofo greco Aristotele, questa conoscenza si può raggiungere attraverso due processi mentali opposti: partendo dall’analisi del singolo caso particolare cerca di stabilire le leggi universali che governano il sistema (processo induttivo), partendo da postulati e principi generali attraverso una serie di rigorose concatenazioni logiche, procede verso determinazioni più particolari attinenti alla realtà (processo deduttivo). Un esempio di applicazione del metodo deduttivo è riportata in questi tre passaggi logici: tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale. La conclusione particolare che riguarda Socrate deriva da due affermazioni più generali, che vengono guidate da un ragionamento esatto per coerenza logica ma che non sono in grado di verificare la validità dei postulati generali. Per Aristotele, il compito di stabilire la validità e l’universalità delle premesse è riservata all’intuizione intellettuale dello studioso, che può avvalersi in un primo momento dell’induzione empirica. Il metodo induttivo basato sulla raccolta dei dati empirici del sistema con la finalità di individuare i fattori che determinano il verificarsi di un particolare fenomeno venne riproposto dal filosofo inglese Francesco Bacone. A questa corrente del metodo induttivo seguì l’empirismo di Locke e ancora lo scetticismo di David Hume, che mise in dubbio la validità delle leggi scientifiche ritenute induttivamente giustificate sulla base dell’esperienza personale a causa della loro formulazione soggettiva e non universale. Il metodo deduttivo è stato rielaborato e rivalutato da Karl Popper (XX secolo), il quale ha ritenuto che da singoli casi particolari non si potesse mai ricavare una legge valida sempre e in ogni luogo, proprio perché non è possibile fare esperienza sull’universale. L’universalità è qualcosa che può solo essere definita a priori e successivamente adattata alla realtà, tanto che ogni conoscenza scientifica ricavata per via empirica è dedotta dai nostri schemi mentali. L’approccio allo studio dei sistemi viene definito analitico se si suddivide il sistema nei diversi subsistemi che lo compongono e si studiano le singole parti per giungere ai risultati di carattere generale che riguardano l’intero sistema. Il successo della procedura analitica dipende da due condizioni: la prima è che le interazioni tra le parti non esistano, o siano talmente deboli da essere trascurate, la seconda condizione è che le relazioni siano lineari. Facciamo l’esempio di un sistema costituito da tre 8.

(12) resistenze elettriche collegate in serie attraverso le quali passa corrente: se si vuole stimare la tensione ai capi del circuito è sufficiente sommare la differenza di potenziale ai capi delle tre componenti in cui è stato suddiviso il sistema. Secondo la teoria analitica, il sistema si considera scomponibile in parti (le tre resistenze) e la legge che si applica ai tre addendi (la legge di Ohm) è applicabile anche alla somma dei tre elementi collegati in serie. Prendiamo ora in considerazione un gruppo di persone e supponiamo di voler studiare il comportamento dei componenti all’interno del gruppo. Se volessimo applicare il metodo analitico dovremmo definire il carattere di ogni individuo per giungere a conclusioni sulle caratteristiche del gruppo sommando i risultati ottenuti per i singoli individui. In questo caso, le conclusioni formulate con il metodo analitico sarebbero distanti dal comportamento del sistema, in quanto ogni individuo reagisce alle sollecitazioni esterne in maniera differente se inserito in un gruppo o se isolato. Il metodo analitico non tiene conto del condizionamento reciproco (interazione) tra gli elementi che lo compongono, cioè del fatto che le persone in gruppo si comportano in maniera differente che da sole. Una nuova metodologia di studio dei sistemi, che tiene conto non solo del comportamento dei singoli elementi che li compongono, ma soprattutto dei condizionamenti che derivano dall’interazione tra di essi prende il nome di approccio sistemico. L’interesse è rivolto al funzionamento dell’intero piuttosto che alla descrizione e alla conoscenza delle singole parti. Questo approccio è stato introdotto con la teoria generale dei sistemi proposta dal biologo austriaco-americano Ludwig von Bertalanffy e sviluppato grazie alla nascita di nuove teorie come la cibernetica (Wiener, 1948) e la teoria dell’informazione (Shannon, 1948) che hanno come scopo quello di fornire gli strumenti matematico-concettuali per rappresentare il funzionamento organizzato dei sistemi. La teoria dell’approccio sistemico si basa sull’individuazione delle caratteristiche comuni tra i sistemi in quanto tali, delle corrispondenze, degli isomorfismi che sono presenti in tutti i sistemi e che possono essere trattati con le stesse tipologie di metodi; lo sforzo è diretto verso la ricerca di questi parallelismi in sistemi che, sotto altri aspetti, sono tra di loro completamente diversi. L’obiettivo della formulazione di una teoria generale dei sistemi risiede nel tentativo di elaborare delle interpretazioni scientifiche e di raggiungere un grado di generalità maggiore di quello relativo alle scienze particolari, promuovendo lo scambio di informazioni tra un settore scientifico e l’altro. 9.

(13) L’Ecosistema e i flussi di energia e materia Un ecosistema è una porzione di biosfera costituita dagli organismi viventi che interagiscono tra loro e con l'ambiente fisico che li circonda. Per definire un ecosistema e per studiarlo, gli ecologi hanno seguito i due approcci analizzati precedentemente: il concetto di grande sistema avente proprietà che derivano dalle interazioni tra i suoi componenti interni e quello di espressione delle proprietà di organizzazione e regolazione che non possono essere dedotte dallo studio delle singole parti. Così, l’ecologo Clemens all’inizio del XX secolo utilizzò l’approccio sistemico per descrivere le associazioni di piante che si trovano in un ecosistema, mentre Gleson definì le stesse associazioni attraverso la somma delle proprietà delle singole parti. Successivamente, l’ecologo inglese Charles Elton (1926) ipotizzò che l’intera struttura e tutte le attività delle comunità degli ecosistemi dipendano dalla disponibilità di cibo e che esistano catene di organismi legati fra loro dalle risorse trofiche dispobinili. In funzione di questo legame vengono distinti gli organismi in produttori primari (piante), consumatori (erbivori), predatori (carnivori) e detritivori. Lo stesso Elton propose la teoria della “piramide dei numeri” come principio organizzatore dominante nella struttura delle comunità, dove si assumeva che salendo la gerarchia dei livelli trofici aumentano in maniera più o meno regolare le dimensioni corporee degli organismi ma diminuisce il numero degli individui. Il fisico Lotka, nel 1925, presentò una concezione termodinamica del funzionamento dell’ecosistema, dove le trasformazioni di massa ed energia ne seguono i principi fondamentali e dimostrò che il comportamento di interi sistemi poteva essere descritto per mezzo delle interazioni dei loro componenti. Il termine "ecosistema" venne coniato dall'ecologo inglese Arthur Tansley (1935) che scrisse: «Il concetto fondamentale è l’intero sistema (nel senso della fisica), comprendente non soltanto il complesso degli organismi, ma anche l’intero complesso dei fattori fisici che formano ciò che chiamiamo ambiente […] Sebbene gli organismi possano richiedere il nostro interesse principale, quando cerchiamo di pensare a livello fondamentale non possiamo distinguerli dal loro ambiente particolare, con cui formano un unico sistema fisico». Successivamente, Raymond Lindeman (1942) studiò l’ecosistema in funzione della capacità di convertire l’energia, analizzandone il flusso nei livelli trofici e il rendimento ecologico degli organismi che li compongono. Sotto la 10.

(14) spinta della teoria proposta da Lindeman, l’ecologo Eugene Odum (1969) sviluppò una teoria sull’ecosistema basata sull’approccio sistemico, nella quale poneva l’accento sulle proprietà generali dell’ecosistema senza la necessità di documentarne tutti i meccanismi e le interazioni interne. Vennero utilizzati dei traccianti radioattivi per seguire i percorsi dei flussi di energia e materiali nelle barriere coralline, ed analizzando i risultati di questi esperimenti è stato possibile definire il percorso dei flussi di energia e materia in molti ecosistemi, suggerendone il funzionamento generale. Ogni ecosistema è costituito da una comunità di organismi e fattori fisico-chimici con i quali si vengono a creare delle interazioni reciproche, come in un sistema aperto, dinamico e continuo, che si basano sui flussi di energia e sulla circolazione di materia tra componente abiotica e biotica. L’energia che fluisce attraverso gli ecosistemi è fornita dalla radiazione solare che arriva sulla Terra. Il bilancio tra la radiazione solare in entrata e radiazione in uscita dal sistema determina l’energia disponibile per guidare i fenomeni climatici e per la formazione di materia organica. Il clima, infatti, è uno dei fattori che influenzano fortemente la distribuzione globale dei diversi ecosistemi (Chapin et al., 2002). Ad esempio, la temperatura e l’acqua disponibile in un ecosistema sono due variabili che determinano il tasso con cui molte reazioni biologiche e chimiche possono avvenire. Questi tassi controllano alcuni dei processi critici degli ecosistemi, come la produzione di materia organica da parte di piante e la decomposizione da parte dei microbi. Inoltre, gli altri parametri meteorologici sono in grado di agire sulla trasformazione delle rocce e la formazione del suolo, che a loro volta influenzano la struttura dell’ecosistema. L’energia della radiazione solare permette lo sviluppo della componente biologica dell’ecosistema attraverso il processo di fotosintesi, che la sfrutta per fissare il carbonio in composti organici e racchiudere in questi legami l’energia assimilata. La formazione di glucosio ed altri composti organici permette di accumulare l’energia nei tessuti degli organismi e di liberarla successivamente attraverso i processi metabolici. La componente biotica è costituita da organismi vegetali ed animali che tendono a formare tra loro associazioni naturali (comunità biologiche) e sono legati in unità funzionali per mezzo delle relazioni alimentari che determinano i flussi di materia all’interno dell’ecosistema. Queste relazioni hanno una struttura nella quale è possibile distinguere diversi livelli che si susseguono in quella che prende il nome di catena 11.

(15) trofica. Ogni anello (o livello) della catena è collegato al precedente e al successivo in funzione degli organismi che lo popolano. Negli ecosistemi si distinguono due catene principali che vengono percorse dai flussi di materia: la catena del pascolo e quella del detrito. La catena del pascolo si basa sull’assorbimento dei minerali e dei nutrienti da parte degli organismi fotosintetici (definiti produttori primari). Questi, a loro volta, vengono consumati, in un accezione semplificata, dagli erbivori (ovvero i consumatori primari o produttori secondari), che sono in grado di metabolizzare la materia vegetale e assimilare l’energia in essa raccolta. Il livello successivo è occupato dai carnivori, ossia i consumatori secondari (o produttori terziari). Il passaggio di materia attraverso i diversi livelli segue la struttura che prende il nome di catena alimentare. Più complessa è l’analisi del reticolo trofico che considera singolarmente l’insieme delle unità tassonomiche presenti in un ecosistema, non oggetto del presente lavoro. Ad ogni trasferimento tra un livello e il successivo della catena trofica, parte dell’energia viene persa dall’ecosistema attraverso i meccanismi di respirazione e canalizzata lungo la catena del detrito. Quest’ultima si basa sul processo di decomposizione della materia organica morta, sia di origine vegetale che animale, attraverso il quale, elementi come anidride carbonica e nutrienti, vengono estratti dal detrito e rimessi a disposizione dell’ecosistema. Senza questo processo, infatti, si accumulerebbero grandi quantità di materia organica morta, e la gran parte dei nutrienti in essa presenti non sarebbe disponibile per le piante e non verrebbe reintegrata l’anidride carbonica nell’atmosfera. La decomposizione del detrito organico è data dall’interazione tra fenomeni fisici e chimici che avvengono all’interno o all’esterno degli organismi viventi ed è il risultato di tre tipi di processi che hanno controlli e conseguenze diverse. La lisciviazione è il processo attraverso il quale la porzione di materia organica morta solubile viene separata (grazie all’azione dell’acqua) e reimmessa nell’ambiente. Questa soluzione può percorrere tre strade: essere assorbita dagli organismi, reagire con i minerali presenti nel suolo o andare persa uscendo dal sistema. La frammentazione meccanica del detrito da parte degli animali (ma anche da agenti fisici come la corrente dei fiumi che agisce sul detrito fogliare) è il processo che determina la riduzione delle dimensioni delle particelle di materia organica morta e permette di esporre una porzione maggiore di superficie alla colonizzazione microbica (batterica e fungina). Il terzo processo di decomposizione della materia organica morta è l’alterazione chimica dovuta 12.

(16) principalmente all’azione di batteri e funghi che sono in grado di assimilarla e produrre composti metabolici di scarto che ne permettono la rielaborazione. I funghi, con i loro enzimi, sono in grado di decomporre la maggior parte dei composti organici delle piante e risultano competitivi rispetto all’azione dei batteri per quei tessuti che sono poveri di nutrienti in quanto sono in grado di utilizzare l’azoto e il fosforo che sono presenti nell’ambiente esterno. I batteri, grazie alle dimensioni ridotte e ad un maggiore rapporto superficie-volume, sono capaci di assorbire i substrati solubili e crescere molto rapidamente. Il livello immediatamente superiore della catena trofica basata sul detrito è composto da organismi che sono in grado di nutrirsi di funghi, batteri e detrito condizionato per assimilarne l’energia e la materia in essi contenuta.. 1.2 I Modelli I modelli sono strumenti sviluppati dall’uomo per rappresentare un sistema in maniera semplificata. Il grado di semplificazione, gli elementi e le caratteristiche del sistema che si vogliono rappresentare, gli strumenti che si utilizzano per formularli, sono scelte soggettive fatte dal modellista e dipendono sia dalle finalità per la quali si vuole rappresentare il sistema, sia dalle conoscenze e dagli strumenti disponibili al momento dello sviluppo del modello. La rappresentazione può riguardare i fenomeni del sistema, oppure riassumere ed organizzare un insieme di dati. Questo obiettivo può essere raggiunto utilizzando diversi modi e metodi: ad esempio, alcuni modelli sono repliche in scala ridotta (o allargata) del sistema e vengono definiti “modelli veri” (Achinstein, 1968). Nella realtà non esistono modelli perfettamente fedeli al sistema, la fedeltà è sempre limitata ad alcuni degli aspetti del sistema e non a tutti. Così, ad esempio un modello in scala ridotta di un palazzo (plastico) ne può riprodurre le caratteristiche formali, ma non i materiali di cui è costituito e il funzionamento degli impianti interni. Altri sono modelli ideali, ossia che rappresentano dei sistemi in cui vengono modificate alcune caratteristiche con l’obiettivo di renderne più semplice la trattazione. Tra questi modelli si distinguono i modelli aristotelici, che prevedono l’eliminazione di proprietà che non sono necessarie per capire il sistema oggetto di studio e permettono di focalizzare l’attenzione su altri aspetti che vengono isolati nel sistema, e quelli galileiani che propongono la distorsione di alcune caratteristiche del 13.

(17) sistema. per. semplificarne. la. struttura. complessa.. Secondo. Hughes. (1997). l’apprendimento attraverso l’uso dei modelli si svolge in tre fasi: la prima prevede la definizione delle analogie tra gli elementi del modello ed il sistema che si vuole studiare; la seconda è la dimostrazione delle conclusioni teoriche alle quali si può arrivare attraverso lo sviluppo dei risultati del modello; la terza permette di prevedere l’andamento del sistema attraverso l’interpretazione dei risultati e della struttura del modello. La comprensione del modello avviene in due momenti: durante la costruzione ed con la sua manipolazione (Morgan, 1999). Una volta esplorate le sue caratteristiche attraverso queste due fasi è possibile sfruttare le corrispondenze tra le proprietà del sistema e quelle rappresentate dal modello. La costruzione di un modello si basa sull’assunzione che lo stato di ogni sistema in ogni momento può essere caratterizzato attraverso la descrizione dei suoi cambiamenti nel tempo. Lo stato di un sistema è definito come la condizione in cui esso (o una sua caratteristica) si trova in un determinato istante ed è esprimibile quantitativamente attraverso un numero. La scelta della caratteristica (o delle caratteristiche) da utilizzare come indicatore dello stato del sistema è soggettiva e dipende dalle conoscenze e dagli obiettivi che si pone il modellista nella costruzione della sua rappresentazione semplificata della realtà. Ad esempio, se il sistema di nostro interesse è un albero, è necessario indicare quale caratteristica verrà utilizzata per indicarne lo stato: l’altezza del fusto, la lunghezza delle radici, lo stadio del ciclo vitale in cui si trova in un determinato istante, la produzione di biomassa giornaliera ecc. Le caratteristiche che vengono utilizzate per indicare lo stato del sistema prendono il nome di variabili di stato e costituiscono le incognite dei modelli. Le variabili di stato sono la risposta del sistema alle sollecitazioni che provengono dall’ambiente esterno: tali sollecitazioni si definiscono in linguaggio modellistico variabili forzanti. Ad esempio, per le popolazioni di insetti, i tempi di sviluppo degli individui per il passaggio da uno stadio all’altro del ciclo vitale sono guidati dalla temperatura alla quale gli individui vivono e che quindi rappresenta la variabile forzante del modello. Se si considera l’andamento nel tempo delle variabili di stato si individuano due categorie di modelli: quelli statici, dove lo stato non varia nel tempo, e quelli dinamici, che rispondono alle sollecitazioni esterne variando nel tempo. In questa seconda categoria, è possibile distinguere i modelli discreti, quando la variabile tempo viene 14.

(18) suddivisa in intervalli regolari, da quelli continui, dove la variabile tempo viene considerata senza suddivisioni. La rappresentazione di un sistema attraverso un modello richiede l’identificazione delle parti del sistema di nostro interesse e delle caratteristiche dell’ambiente esterno. Un modello che permette di rappresentare graficamente il sistema distinguendo il ruolo che svolgono le sollecitazioni esterne su di esso è il modello grafico detto schema a blocchi (Figura 1.1).. Figura 1.1 – Rappresentazione grafica del modello schema a blocchi: il rettangolo definisce la frontiera del sistema che si vuole rappresentare, le frecce in ingresso e le frecce in uscita descrivono direzione e verso degli scambi di energia, materia, informazione tra sistema ed ambiente esterno. Il rettangolo vuoto rappresenta il sistema, la linea nera ne definisce la frontiera, esternamente ad essa c’è l’ambiente con il quale il sistema interagisce. Le frecce in entrata sono gli ingressi (di materia, o energia, o informazione, ecc.) che provengono dall’ambiente ed entrano nel sistema, ovvero le sollecitazioni esterne alle quali il sistema è sensibile. Le frecce in uscita rappresentano le uscite dalla frontiera, cioè le risposte del sistema alle sollecitazioni esterne in funzione delle caratteristiche interne. Questo tipo di rappresentazione è ancora semplicemente descrittiva, serve al modellista per ordinare le idee, dichiarare quali sono le caratteristiche del sistema che si vogliono trattare e quindi supportare la costruzione del modello matematico.. Il modello matematico Il modello matematico organizzato sotto forma di equazioni, definisce le caratteristiche che determinano il funzionamento del sistema attraverso: i parametri, le variabili forzanti, le variabili di stato, gli ingressi e le uscite dalla frontiera. La matematica ha un linguaggio proprio e conciso fatto di simboli ed operazioni che è molto diverso dal linguaggio parlato. Nei linguaggi comuni le parole sono sovrabbondanti: una parola indica più cose ed una stessa cosa è indicata da più parole ed i connettivi tra parole (verbi, congiunzioni, ecc.) hanno spesso significati differenti. Ciò fa sì che un ragionamento fatto tramite un linguaggio comune non risulti stringente ed. 15.

(19) univoco. In matematica, le cui parole sono quantità, ad ogni quantità corrisponde un simbolo (spesso una lettera dell’alfabeto) ed i connettivi tra simboli (operazioni, anch’esse espresse con simboli) portano ad una sola conclusione (risultato). La matematica è una branca della logica e la logica tratta delle relazioni formali tra affermazioni (o proposizioni) e deduzioni. Per la logica, ciò che è vero o falso dipende solo dalla forma con cui due o più proposizioni sono legate tra loro, ne segue che una verità logica è vera indipendentemente dalla materia trattata (Whitehead and Russel, 1910). I modelli matematici sono i più adatti a descrivere la dinamica dei sistemi perché in natura non esiste cosa più variabile del pensiero e la matematica è pensiero logico puro. Il modello matematico è il modello concettuale più rigoroso che può essere formulato usando gli strumenti della logica. Nella costruzione di un modello matematico, la criticità iniziale consiste nel valutare le ipotesi che vengono formulate per descrivere il sistema. Ad esempio, le assunzioni fatte dal modellista nella scelta del posizionamento della frontiera del sistema che si vuole riprodurre, distinguono di fatto quali sono i processi da includere nel modello e quali eventi rappresentare come variabili forzanti esterne che agiscono su di esso. Le equazioni del modello matematico rappresentano quantitativamente le assunzioni e le ipotesi che semplificano il sistema reale. I sistemi di equazioni sono definiti tramite parametri e variabili che possono essere stimati, i primi, attraverso il confronto con i dati raccolti nel sistema reale (stima dei parametri), le seconde, in funzione dell’interazione tra il comportamento del sistema di equazioni del modello e i risultati che il modello produce (calibrazione). I risultati di queste procedure permettono di stabilire l’efficienza del modello nel rappresentare il sistema e di assicurare che tutti i dettagli siamo giustificati dai dati disponibili. Dopo la calibrazione del nuovo modello matematico, attraverso la procedura di analisi di sensibilità, si studiano le soluzioni del modello in funzione della variazione dei valori dei parametri. L’analisi di sensibilità è uno strumento utile per approfondire la conoscenza del modello, il significato dei parametri e del loro effetto sul risultato ottenuto. A seconda della modalità in cui viene definita la soluzione del modello è possibile distinguere i modelli matematici in deterministici, quando il risultato viene espresso con le unità di misura delle grandezze rappresentate nel modello, e in stocastici, se le variabili del sistema vengono descritte in funzione di probabilità. Entrambi i modelli sono da 16.

(20) considerare dinamici, e descrivono l’evoluzione temporale dello stato del sistema e delle sue grandezze. L’approccio per la formulazione di un modello matematico può essere distinto in due categorie: meccanicista ed empirico (Thornley, 1976). Nel primo approccio, il modello rappresenta la struttura del sistema attraverso la suddivisione in più subsistemi e descrive il comportamento dell’intero in relazione al funzionamento delle singole parti che lo compongono e delle loro interrelazioni. Del sistema vengono quindi studiate le parti di cui è composto, analizzate individualmente e successivamente collegate tra loro per descrivere il fenomeno nella sua interezza. L’approccio empirico consiste invece nello sviluppare un modello matematico senza cercare di riprodurne la struttura e le connessioni tra gli elementi che lo costituiscono, bensì analizzando i dati sperimentali e ipotizzando una funzione che sia in grado di descriverne l’andamento. L’interesse primario è di rappresentare la risposta del sistema alle sollecitazioni esterne, dando minore importanza ai meccanismi che la determinano. Spesso viene utilizzato per riassumere grandi quantità di dati che provengono da esperimenti riguardanti i sistemi più complessi, in cui la conoscenza dei fenomeni che li costituiscono è carente e non è possibile rappresentarli con l’approccio meccanicista. Anche se l’approccio empirico può sembrare meno rigoroso rispetto a quello meccanicista, spesso viene utilizzato nella fase preliminare dello studio del sistema: nel caso in cui i risultati ottenuti con il modello empirico siano coerenti con i dati sperimentali potrebbe essere giustificato lo sforzo per ottenere un modello che guardi più ai meccanismi e alla struttura del sistema piuttosto che alla descrizione della distribuzione dei dati sperimentali.. Modelli matematici algebrici e dinamici Consideriamo un sistema (Figura 1.2) sul quale agisce una sollecitazione esterna indicata con una freccia rivolta verso la frontiera col simbolo x(t): la risposta del sistema a questa sollecitazione è descritta con una freccia in uscita rispetto alla frontiera con il simbolo y(t) e la sua entità dipende dall’azione del sistema sulla sollecitazione che prende il nome di funzione di trasferimento (indicata con la lettera f). Nella costruzione del modello matematico del sistema di Figura 1.2, si considera che la sollecitazione in ingresso e la risposta in uscita variano nel tempo, la funzione f agisce sulla variabile x(t) e solo dalla sua azione dipende la risposta y(t), tanto che è possibile scrivere: 17.

(21) y(t )  f [ x(t )]. (1.1). Che rappresenta l’equazione generale dei modelli algebrici. La caratteristica comune di questi modelli è che l’azione esercitata sulla sollecitazione in ingresso non dipende dal tempo, in quanto la funzione di trasferimento resta sempre la stessa e si mantiene costante: non è influenzata né dal tipo o dall’entità della sollecitazione, né da cambiamenti del sistema, né dall’ambiente esterno. Un esempio di sistema che può essere rappresentato con un modello algebrico è lo specchio che agisce sulla luce in arrivo (sollecitazione) respingendola indietro (reazione) rispetto al verso di provenienza. f. y(t). x(t). Figura 1.2. Schema grafico di un modello algebrico. Il rettangolo indica la frontiera che definisce il sistema, la freccia in ingresso (con il simbolo x(t)) rappresenta la sollecitazione che agisce sul sistema mentre quella in uscita (con y(t)) è la risposta del sistema in relazione alla funzione di trasferimento f . Ogni modello algebrico è caratterizzato da una propria funzione di trasferimento che è diversa da quella degli altri sistemi ed ogni funzione per agire sulla sollecitazione deve essere tradotta in un’operazione matematica. Spesso, l’ingresso del sistema coincide con la causa e l’uscita con l’effetto e spesso è noto l’effetto e si vuole risalire alla causa che l’ha generato. In questo caso, il modello matematico (1.1) può essere presentato nella forma: x(t )  f '[ y(t )]. (1.2). dove f’ sarebbe la funzione di trasferimento dall’uscita all’ingresso. La (1.2) mostra che se è noto l’andamento temporale della risposta di un sistema algebrico, si può risalire all’andamento temporale della sollecitazione che l’ha causata e quindi al valore che essa aveva in un tempo passato o avrà in un tempo futuro. I modelli algebrici possono descrivere quei sistemi le cui caratteristiche non variano nel tempo e le cui uscite sono determinate dai contemporanei valori degli ingressi. Esiste invece, una vasta categoria di sistemi naturali le cui caratteristiche sono modificate dai flussi in ingresso in maniera variabile nel tempo: questi sistemi vengono rappresentati attraverso i modelli dinamici. La caratteristica principale di questi modelli. 18.

(22) è data dalla funzione di stato G(t) variabile istante per istante (Figura 1.3). Nei modelli dinamici la funzione di stato descrive matematicamente la caratteristica del sistema come fa la funzione di trasferimento nei modelli algebrici, con la differenza che nel primo caso la caratteristica varia nel tempo mentre nel secondo rimane costante. Inoltre, essendo i modelli algebrici un caso particolare (e più semplice) dei modelli dinamici, mentre i primi possono essere descritti attraverso una sola equazione, per i secondi devono essere formulate almeno due equazioni, che messe a sistema danno:  dG (t )   x(t )  y (t )  dt  y (t )  f [G (t )]. (1.3). dove la prima equazione è detta equazione differenziale e presenta la derivata temporale della funzione di stato, ossia definisce la variazione nel tempo della G(t) come differenza tra ciò che entra e ciò che esce dal sistema (equazione di conservazione).. G(t) x(t). y(t). Figura 1.3. Schema grafico di un modello dinamico. Il rettangolo indica la frontiera che definisce il sistema, la funzione di trasferimento è variabile nel tempo, G(t), così come i flussi in ingresso x(t) ed in uscita y(t). La seconda equazione prende il nome di equazione dinamica e stabilisce in che modo ciò che esce dal sistema dipende dalla funzione di stato in quell’istante. Se consideriamo questa relazione di tipo lineare la (1.3) può essere riscritta come:  dG (t )   x(t )  y (t )  dt  y (t )  a  G (t )  b. (1.4). E nel caso particolare in cui b=0 e x(t)=0, ossia il flusso in ingresso è nullo tanto che il sistema non riceve sollecitazioni dall’esterno la (2.4) diventa:.  dG (t )    y (t )  dt  y (t )  a  G (t ). (1.5). Sostituendo la seconda equazione nella prima il sistema (1.5) si riduce in:. dG(t )  a  G(t ) dt 19. (1.6).

(23) il risultato finale del modello dinamico lineare:. G(t )  G(0)  e  at. (1.7). ossia l’andamento temporale della funzione di stato G(t) se sono noti il valore iniziale G(0) e il valore della costante a che indica la velocità con cui il sistema si svuota. L’andamento grafico della funzione (1.7) è riportato in Figura 1.4 dove le tre curve esponenziali partono dallo stesso valore iniziale G(0), ma sono ottenute con tre valori differenti delle costanti ( a1  a2  a3 ). Modello dinamico lineare G(0). a1 Serie1. a2 Serie2 a3 Serie3 G(0) G(0). G(t). tempo t. Figura 1.4. Soluzione grafica del modello dinamico lineare. Le linee del grafico tracciano la traiettoria nel tempo della funzione di stato G(t) del modello dinamico definito con il sistema (1.5). Il valore iniziale, G(0), è uguale per tutti e tre i risultati, mentre per i parametri vale la relazione a1 < a2 < a3.. Modelli matematici in Ecologia Come in tutti i sistemi anche gli ecosistemi naturali contengono un numero troppo elevato di subsistemi e una varietà troppo vasta di interazioni che sia traducibile con un modello. Gli studi in ecologia fanno largo uso di modelli biologici, ossia di organismi viventi semplici e profondamente studiati (Daphnia, Drosophila, Tribolium, ecc.) che costituiscono utili intermediari fra i modelli matematici e gli ecosistemi naturali. L’associazione tra modello biologico e matematico è un passaggio importante per la comprensione e la formulazione di una teoria degli ecosistemi. Ad esempio, gli studi sperimentali hanno dimostrato l’esistenza di interazioni e correlazioni tra specie, e di un equilibrio dinamico che dipende dalle condizioni esterne e interne alle specie stesse. L’applicazione di strumenti matematici a tali problemi ha svolto un ruolo importante nello sviluppo di teorie innovative e nella comprensione dei fenomeni, fornendo modelli in grado di essere modificati in funzione delle nuove conoscenze biologiche raggiunte. Nel definire il rapporto tra biologia e matematica, il ricercatore russo Gause mette in. 20.

(24) evidenza come sia fondamentale per risolvere un problema biologico l’uso della procedura sperimentale. Tuttavia, per studiare a fondo la natura di questi fenomeni è necessario combinare tale metodo con quello qualitativo e descrittivo del modello matematico al fine di costruire uno dei più potenti strumenti di indagine della scienza contemporanea. Lo studio matematico dei problemi riguardanti l’ecologia e la biologia ha avuto inizio intorno al diciottesimo secolo con i contributi isolati di Bernoulli, Eulero, Malthus e Verhulst, ma è solo all’inizio del ventesimo secolo, sotto la spinta di ricercatori come Lotka, Volterra e McKendrick, che tali problemi iniziarono ad essere affrontati sistematicamente con l’obiettivo di costruire una teoria dei fenomeni biologici analoga a quella dei fenomeni fisici. In questo periodo vengono formulati i modelli degli ecosistemi e delle popolazioni che verranno utilizzati come prototipo della teoria biologica.. Il modello dinamico di Malthus (1798) La popolazione è definita come l’insieme di individui della stessa specie che vivono nello stesso posto e nello stesso tempo. Per descrivere l’evoluzione nel tempo di una popolazione, ossia la variazione del numero di individui di cui è composta, l’economista Thomas Robert Malthus (1798) sviluppa un modello matematico lineare. Questo è il modello più semplice che si può applicare alla crescita di una singola popolazione, si basa su ipotesi che si applicano ad una situazione ideale, riproducibile in laboratorio per le specie di organismi semplici e in natura in periodi di tempo sufficientemente limitati. Per essere descritta con il modello di Malthus la popolazione deve essere: omogenea, gli individui che la compongono si possono considerare identici; isolata, non soggetta ad immigrazione ed emigrazione; vivere in un habitat invariante, le risorse a disposizione non sono influenzate da fattori esterni e non risultano limitanti per la sua sopravvivenza.. N(t) RB(t). RD(t). Figura 1.5. Rappresentazione grafica del modello di Malthus: N(t) è la funzione di stato descritta dal numero di individui della popolazione, RB(t) il numero di individui nati mentre RB(t) il numero di individui morti al tempo t. 21.

(25) Il modello è presentato graficamente con lo schema a blocchi di Figura 1.5, dove con N(t) si indica la funzione di stato incognita del modello (numero di individui della popolazione) e con RB(t) e RD(t) rispettivamente il flusso in ingresso espresso come numero di individui nati ed il flusso in uscita, ovvero il numero di individui morti. Matematicamente il modello viene descritto dal sistema di equazioni:.  dN (t )  dt  RB (t )  RD (t )   RB (t )  B  N (t )   R (t )  D  N (t )  D. (1.8). Dove le equazioni di dinamica sono due e descrivono la relazione tra i nuovi nati e i morti della popolazione rispetto al numero di individui presenti in base al tasso giornaliero di natalità B ed il tasso giornaliero di mortalità D. Sostituendo le due equazioni dinamiche in quella di conservazione, e si ha: dN (t )  ( B  D)  N (t ) dt. (1.9). E considerando (B-D) = a la (1.9) risulta uguale alla (1.6) a meno del segno, da cui si deduce che la soluzione analitica del modello è: N (t )  N (0)  e ( B D)t. (1.10). Numero individui N(t). Modello Malthus B>D. B=D. N(0) B<D. tempo t. Figura 1.6. Soluzione grafica del modello di Malthus: N(0) è il numero di individui iniziale della popolazione, le linee punteggiate sono le traiettorie del modello nel caso in cui il tasso di natalità è maggiore del tasso di mortalità (B > D); la linea continua si ha per B = D; le linee tratteggiate sono ottenute per B < D. Il modello di Malthus permette tre tipi di soluzioni diverse a seconda del risultato del coefficiente dell’esponenziale (B-D) e quindi della relazione tra il tasso di natalità e. 22.

(26) quello di mortalità: se il primo è maggiore del secondo la popolazione crescerà in maniera esponenziale, se è minore invece diminuirà in maniera esponenziale ed infine se le nascite equivalgono i morti la numerosità della popolazione rimarrà invariata nel tempo. L’esperienza di Vito Volterra Nello sviluppo dei modelli matematici in ecologia, un grande contributo è stato apportato dal matematico italiano Vito Volterra. Nella prefazione del suo libro del 1927 “Variazioni e fluttuazioni del numero d’individui in specie animali conviventi”, esprime le idee sul trattamento matematico dei problemi di ecologia delle popolazioni. In particolare suggerisce la procedura attraverso la quale impostare lo sviluppo di un modello di popolazione e i vantaggi portati dall’uso della matematica. Per poter trattare il sistema, Volterra suggerisce di partire da ipotesi che, pur essendo lontane dalla realtà, siano in grado di darne un’immagine approssimata. Dalla prima descrizione a parole del sistema, si passa alla traduzione in linguaggio matematico. Questa traduzione conduce all’utilizzo di equazioni differenziali alle quali è possibile applicare i metodi dell’analisi matematica e che porteranno a formulare ipotesi molto più avanzate di quelle raggiungibili seguendo il semplice ragionamento. Anche se la rappresentazione matematica potrà sembrare in un primo momento grossolana, o troppo semplificata, si ha il vantaggio di poter applicare il calcolo e verificare quantitativamente, o qualitativamente, se i risultati ottenuti con il modello corrispondano ai dati sperimentali e quindi misurare la rappresentatività delle ipotesi formulate. Per facilitare il compito del calcolo, inoltre, è necessario schematizzare il fenomeno isolando le azioni che si vogliono esaminare, supponendole funzionare da sole e trascurando le atre. Ad esempio, se il sistema riguarda l’andamento del numero di individui di una popolazione, questo dipende sia dalle condizioni degli individui che la compongono che da quelle ambientali: una prima approssimazione considera solo quelle degli individui, come voracità e riproduttività, ponendosi nelle condizioni ideali in cui queste cause agiscono e tutte le altre vengono trascurate. Solo dopo un primo riscontro della validità di queste ipotesi è possibile sviluppare nuovi modelli che siano in grado di tenere conto anche delle altre condizioni.. 23.

(27) L’esperienza di Volterra fa riferimento alla formulazione di un modello matematico in grado di analizzare le fluttuazioni delle quantità pescate di pesci prima, durante e dopo il periodo di guerra. La spiegazione matematica di tali fluttuazioni era stata richiesta dal biologo Umberto D’Ancona, che era in possesso dei dati sperimentali. Entrambi i ricercatori lavorarono in maniera indipendente, ognuno con i propri strumenti (matematici e sperimentali), ed arrivarono a risultati concordanti: la pesca perturba il sistema naturale di variazione di due specie, una delle quali si nutre dell’altra, facendo diminuire il numero di individui della specie mangiante ed aumentare quella mangiata. Mentre D’Ancona osservò questo fenomeno raccogliendo dati sperimentali, Volterra formulò un modello matematico che potesse rappresentarlo. Il primo passo fu quello di scegliere di descrivere la relazione fra una specie mangiata e l’altra che mangia, senza prendere in considerazione l’effetto di altri fattori esterni (ad esempio la guerra). Per iniziare con la formulazione del modello matematico, Volterra ipotizzò due casi particolari: i) due specie che si trovano da sole in uno stesso ambiente e si contendono il medesimo nutrimento, ii) due specie in cui una si accresce continuamente perché trova sufficiente nutrimento e l’altra si esaurirebbe per mancanza di esso, ma che unita alla prima vive a spese di questa. Il primo caso viene risolto formulando un sistema di equazioni differenziali per le quali è possibile calcolare le soluzioni che indicano le leggi con le quali le due specie si accrescono o diminuiscono con andamento asintotico. Nel secondo caso il calcolo prevede il formarsi di fluttuazioni ciclico-periodiche delle due specie delle quali è possibile determinare il periodo. Queste fluttuazioni e i loro periodi dipendono da tre leggi generali alle quali Volterra arriva attraverso l’analisi matematica del sistema di equazioni differenziali formulato: i) le fluttuazioni delle due specie sono periodiche e il periodo dipende dai coefficienti di accrescimento, di esaurimento e dalle condizioni iniziali; ii) le medie dei numeri di individui delle due specie sono costanti qualunque siano i valori iniziali dei numeri di individui delle due specie finché si mantengono costanti i coefficienti caratteristici delle due specie; iii) la perturbazione prodotta nelle quantità medie delle due specie da un’azione esterna fa prevedere un accrescimento della specie mangiata e una diminuzione dell’altra. Queste tre leggi sono state calcolate e successivamente confermate dall’analisi dei dati sperimentali sulla pesca proposti da D’Ancona: la traduzione della descrizione del sistema in linguaggio matematico e l’applicazione dei 24.

(28) metodi di analisi ha permesso a Volterra di formulare le leggi che spiegano il comportamento del sistema osservato sperimentalmente e di arrivare a conclusioni che non sarebbe stato possibile ottenere con l’analisi statistica dei dati. Modello di due specie una delle quali si nutre dell’altra (Volterra, 1927) Lo sviluppo del modello matematico segue il percorso indicato da Volterra (1927). Il sistema che si vuole rappresentare con il modello è costituito da due specie: una ha risorse illimitate di nutrimento mentre l’altra si nutre esclusivamente della prima. Si considerano le due specie con numerosità variabili con continuità nel tempo (Figura 1.7) e si indicano con N1 e N2 (il simbolismo per esteso delle due numerosità ha la forma: N1(t) e N2(t) in quanto entrambe indicano il numero di individui in funzione del tempo). N2. N1. Figura 1.7. Rappresentazione grafica del modello di Volterra (1927). La freccia in ingresso al rettangolo contrassegnato con N1 rappresenta il flusso di individui della prima popolazione che nascono grazie alla presenza di risorse illimitate, quella in uscita descrive il numero di individui N1 che viene consumato da N2 ed individua il flusso in ingresso alla popolazione N2. Infine, la freccia in uscita dal rettangolo contrassegnato con N2 rappresenta il flusso di individui che muoiono. La prima specie in condizioni di isolamento ha coefficiente di accrescimento positivo (ε1 > 0), mentre la seconda, nelle stesse condizioni si esaurirebbe per mancanza di nutrimento e quindi il suo coefficiente di accrescimento viene considerato con segno negativo (-ε2). In forma matematica, se ognuna delle due specie fosse isolata, si possono scrivere le due equazioni: dN1  1 N1 dt. ;. dN 2   2 N 2 dt. (1.11). che possono essere risolte singolarmente seguendo la procedura adottata per il modello di Malthus. Se invece consideriamo che la seconda si nutre della prima, ε1 diminuirà tanto più quanto più saranno numerosi gli individui della seconda specie, mentre -ε2. 25.

(29) crescerà tanto più quanto più numerosi saranno gli individui della prima specie. Per rappresentare questo fenomeno in maniera più semplice si suppone che ε1 diminuisca proporzionalmente ad N2 nella misura ρ1N2, mentre -ε2 cresca proporzionalmente ad N1 nella misura ρ2N1. La dipendenza lineare dei coefficienti di accrescimento e di esaurimento rispetto alle numerosità si giustifica mediante il calcolo delle probabilità di incontro degli individui delle due specie. Introducendo queste modifiche nelle due equazioni (1.11) e riunendo a sistema si ottiene:.  dN1  dt  (1  1 N 2 ) N1   dN 2  (   N ) N 2 2 1 2  dt. (1.12). dove ε1 ed ε2 sono i coefficienti di natalità e di mortalità rispettivamente della prima e della seconda specie; ρ1 e ρ2 dipendono sia dalla capacità degli individui della prima specie di difendersi dalla seconda (coefficiente di difesa), che di quelli della seconda di attaccare (coefficiente di voracità o di offesa). Se la capacità offensiva della seconda specie sarà in progresso, i valori di questi due coefficienti aumenteranno, al contrario, se ad aumentare è la capacità difensiva della prima allora i coefficienti diminuiranno. La dinamica del sistema (1.12) si ottiene se le due equazioni sono soddisfatte contemporaneamente. Per facilitare lo sviluppo del sistema, si considerano tutti i coefficienti positivi (verranno cambiati nuovamente alla fine dei calcoli in funzione delle ipotesi formulate per arrivare alla definizione del sistema (1.12)) e si ottiene:.  dN1  dt   1 N1  1 N 2 N1   dN 2   N   N N 2 2 2 1 2  dt. (1.13). Moltiplicando entrambi i membri delle due equazioni per ρ2 la prima e ρ1 la seconda, e lasciando al secondo membro solo l’addendo con il prodotto N1 N2 si ha:.  dN1   2 dt   2 1 N1   2 1 N 2 N1    dN 2    N    N N 1 2 2 1 2 1 2  1 dt dove i primi membri possono essere eguagliati tra loro per ottenere:. 26. (1.14).

(30) 2. dN1 dN 2  1   21 N1  1 2 N 2 dt dt. (1.15). Moltiplicando entrambi i membri delle due equazioni (1.15) per ε2/N1 la prima e per ε1/N2 la seconda, si ha:.   2 dN1  N dt   2 1 N 2   2 1  1    1 dN 2    N    1 2 2 1 2  N 2 dt. (1.16). Anche in questo caso è possibile eguagliare i primi membri delle due equazioni e si ottiene:.  2 dN1 N1 dt. . 1 dN 2 N 2 dt.   2 1 N 2  12 N 2. (1.17). Il secondo membro della (1.17) differisce da quello dell’equazione (1.15) per il segno dei due addendi, moltiplicando per meno uno la (1.17) è possibile eguagliare i primi membri delle due equazioni, e separando le variabili di stato, si ha:. 2. dN1  2 dN1 dN  dN 2   1 2  1 dt N1 dt dt N 2 dt. (1.18). Se si moltiplica la (1.18) per dt e si procede con l’operazione di quadratura si ottiene:.  2  dN1   2 . 1 1 dN1  1  dN 2  1  dN 2 N1 N2. (1.19). Applicando le regole degli integrali immediati ed accorpando le costanti di integrazione in unica costante K, si ha:. 2 N1   2 ln N1  1 N2  1 ln N 2  K. (1.20). Facendo l’esponenziale ad ogni membro si trova l’equazione equivalente della (1.20): . . e 2 N1 N1 2  e 1N2 N 2 1 e K. (1.21). che rappresenta la soluzione del sistema (1.13), con i coefficienti tutti positivi e l’esponenziale della costante di integrazione eK, che successivamente sarà indicata con la lettera C. Inserendo nuovamente i segni dei coefficienti come definiti nel sistema (1.12), dove una specie ha risorse illimitate mentre l’altra si nutre esclusivamente della prima, la (1.21) diventa:  2. e 2 N1 N1. .  e 1N2 N2 1 C. 27. (1.22).

(31) Questa è l’equazione implicita indipendente dal tempo che lega le numerosità delle due specie che si verificano contemporaneamente e ne descrive la traiettoria in un grafico definito da un piano cartesiano, detto piano delle fasi, i cui punti hanno coordinate (N1, N2). Il fattore costante C dipende dalle condizioni iniziali, ossia dalle numerosità delle due specie al tempo zero e dal valore dei parametri del sistema. Per studiare il risultato del sistema (1.22) si definiscono le due equazioni ausiliarie  2. Y [ N1 ]  e 2 N1 N1. . X [ N2 ]  e 1N2 N2 1. ;. (1.23). E quindi la relazione:. Y [ N1 ]  X [ N 2 ]  C. (1.24). L’andamento semi-qualitativo delle due funzioni ausiliarie viene determinato analizzando i loro estremi (massimi o minimi) e i loro andamenti a zero e ad infinito. Si considera Y[N1] quando N1 tende a zero, e si ha:. lim Y [ N1 ]  lim e N1 0.  2 N1. N1 0. N1.  2. 1  N1 0 0.  lim e  2 0 0 2  lim N1 0. (1.25). E se N1 tende ad infinito, si ha:. lim Y [ N1 ]  lim e. N1 .  2 N1. N1 .  2.  lim e 2  2  lim e. N1. N1 . N1 . 1  . (1.26). Dove il limite del prodotto (∞∙0) è indeterminato, ma si osserva che l’esponenziale tende ad infinito più rapidamente del tendere a zero del rapporto (1/∞) e quindi si può considerare il risultato del limite ∞. In conclusione, la funzione Y[N1] tende ad infinito sia quando N1 tende a zero sia quando tende ad infinito e presenta un minimo che si può calcolare ponendo uguale a zero la derivata prima della funzione, tale che:. . . dY [ N1 ] d d d  2 N1     e  2 N1 N1 2  e 2 N1 N1 2  N1 2 e 0 dN1 dN1 dN1 dN1. (1.27). Dalla quale risulta che la derivata di Y[N1] è nulla se:. N1.  2.     e  2 N1   2  2   0  N1  2 N1  2 . (1.28). La stessa procedura è applicabile all’altra funzione ausiliaria, X[N2], dove il limite per N2 che tende a zero è:   N  0  lim X [ N 2 ]  lim e N 2  lim e 0  lim 1 0  0 1. N 2 0. 2. 1. N 2 0. 1. N 2 0. E per N2 che tende ad infinito: 28. 1. N 2 0. (1.29).

(32)   N N 2  lim e      lim 0    0 lim X [ N 2 ]  lim e 1. N 2 . 1. 2. 1. N 2 . 1. N 2 . N 2 . (1.30). Anche in questo caso il limite del prodotto (∞∙0) è indeterminato, ma si osserva che l’esponenziale tende a zero più rapidamente del tendere a infinito della potenza e quindi si può considerare il risultato del limite 0. La funzione X[N2] tende a zero sia quando N2 tende a zero sia quando tende ad infinito e presenta un massimo che si può calcolare ponendo uguale a zero la derivata prima della funzione, tale che:. . . dX [ N 2 ] d d d  1N 2     e  1N 2 N 2 1  e  1N 2 N2 1  N2 1 e  0 (1.31) dN 2 dN 2 dN 2 dN 2. Dalla quale risulta che la derivata di X[N2] è nulla se:.     N 2 1 e  1N 2  1  1   0  N 2  1 1  N2 . (1.32). Sostituendo i risultati della (1.28) e della (1.32) nel sistema (1.12) si ottiene che: dN1 dN 2  0 dt dt. (1.34). Ossia se le variabili N1 ed N2 assumono contemporaneamente il valore espresso rispettivamente in (1.28) e (1.32) allora le due specie sono in uno stato stazionario e la loro numerosità non varia nel tempo. In queste condizioni è possibile calcolare il valore dei coefficienti di difesa e aggressività con le due relazioni:. 1. 1 . 2 . ;. N2. 2 N1. (1.35). Per valutare i coefficienti di natalità e mortalità si considerano le soluzioni delle equazioni (1.11) in condizioni di isolamento: N1  C1  e1t. ;. N 2  C 2  e  2t. (1.36). Dove C1 ed C2 sono le numerosità N1 ed N2 al tempo zero delle due specie. Nelle condizioni in cui la prima specie raddoppia il numero dei propri individui e la seconda si dimezza, si può scrivere: N1  2C1. ;. N2 . C2 2. (1.37). Che sostituite nelle (1.36) e risolvendo rispetto ai coefficienti danno:. 1 . ln 2 t1. ;. 29. 2  . ln 0.5 t2. (1.38).

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